Hellfest 2009 - Stereoinvaders

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Hellfest 2009 - Stereoinvaders
Hellfest 2009
Mercoledì 01 Luglio 2009 14:46 - Ultimo aggiornamento Venerdì 05 Aprile 2013 14:13
E’ veramente difficile buttare giu’ delle righe per il sottoscritto che come altre migliaia di persone
si è ritrovato immerso nel clima del festival Hellfest 2009 a Clisson in Francia, re delle
manifestazioni metal insieme a pochi altri avvenimenti del genere a livello europeo. Un
ambiente principalmente di festa, dove ci si ritrovava fianco a fianco con personaggi provenienti
da tutta Europa, stringendo rapporti amichevoli con finlandesi, svedesi, norvegesi, francesi ecc.;
ho utilizzato il termine personaggi e non spettatori proprio perchè chi assiste allo spettacolo
entra indubbiamente a farne parte, nerboruti esseri umani ricoperti di tatuaggi inneggianti il
metal vicino a rachitici punk con creste colorate, dark lady e vichinghi con scudi e spadoni (finti
ovviament ), alternative men e grassoni con il cappellino con le orecchie di peluche e chi più ne
ha più ne metta, in parole povere...festa metallo birra e gnocca...a vagonate! Un plauso
sopratutto all’organizzazione che ha rispettato puntualmente la scaletta oraria mettendo in
scena quattro palchi il main stage 1, main stage 2, il rock hard tent, e il terrorizer tent,
deliziandoci con camionate di metallo e di bands blasonate suddivise in 3 giornate, il venerdi 19
con 36 bands (per citarne alcune Wasp, Anthrax, Deicide, Entombed, Heaven & Hell e gli
headliner Motley Crue), il sabato 20 (ancora 36 fottutissime bands quali Enslaved, Cro Mags,
The Misfits, Soulfly, Machine Head e l’headliner Marylin Manson), e la domenica 21 giugno che
andremo ad analizzare band per band dato che ho avuto l’onore di visionare e vivere con
immensa gioia. In più l’organizzazione va a regalarci un live sex show con tanto di
spogliarelliste stratosferiche, si quelle con la x sul capezzolo, incontri di westrling, corse di moto
nella gabbia, cucina internazionale, africana, araba, francese, orientale, frullati freschi, acqua
gratis a tutti gli spettatori, cessi chimici praticissimi dove pisciare in piedi ma innovativi,
campeggio, una rockoteca....manca qualcosa? Eccezionale.
Veniamo alla domenica 21 giugno: headliners Manowar e Dream Theater. Chiaramente non
possedendo il dono dell’ubiquità, non ho potuto assistere a tutte le 36 bands....ma mi sono
sbattutto parecchio...tranquilli.
Ore 12:10 ADX
Clima fresco, sole e nuvole, 20 gradi circa, mi scelgo questi ADX che giuocano in casa,
provenienza Parigi, attivi dal lontano 1982, rockers con gli attributi fautori di uno speed metal
con venature hard rock impreziosite da un frontman attempato, ma nonostante le poche
persone e la birra gelata tentatrice riescono a tenere l’attenzione focalizzata sulla loro proposta
musicale sostenendo il buon “Division Blindèe” uscito l’anno scorso. Buona prestazione e
sopratutto grandi suoni già da subito, con canzoni speed ma mai legnose o spigolose che
scendono giù come una buona bibita gelata e con coinvolgimento globale.
Ore 12:55 Despised Icon
Canadesi, doppia cassa a manetta e due vocalist che si alternano uno utilizzando il growls e
l’altro la tecnica in screaming, da subito il loro deathcore squote teste e fa vibrare le nostre
sudate mutande, o meglio il suo interno, tanta la potenza emanata dagli ampli e il muro violento
che ci colpisce ripetutivamente senza lasciare prigionieri. Solitamente non apprezzo il genere
core in generale ma ho trovato veramente una band incazzata che riesce a sprigionare l’odio e
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la rabbia forse senza grande originalità ma indubbiamente strappando applausi dal già copioso
gruppo di aficionados sudati mezzi nel tendone Terrorizer, l’unico leggermente calduccio senza
grande ventilazione. Buono e malvagio il lavoro delle chitarre che come il suono della falce
nell’aria fanno piazza pulita sferrando fendenti immorali e lancinanti decapitando nettamente
l’ascoltatore aprendogli la testa in due. Tecnici, muscolosi e d’impatto...sorpresa.
Ore 12:55. Satan Jokers
Mi sdoppio un po’ facendo qualche visita al main stage 2 dove suonano i Satan Jokers e
conoscendone il curriculum non me li sarei mai persi, che assieme a bands come Sortilege e
Vulcain sono all’origine dell’heavy metal francese. La voce del batterista cantante Renaud
Hantson (in sede live solo voice) è calda, ruvida come la carta vetrata, passa dalla lingua madre
all’inglese e, attivi dal 1979, sono un po’ come il nostro Pino Scotto....un’istituzione!! Freschi
dell’uscita dell’eccellente “Sj 2009” ne ripropongono una maciata di songs non tralasciando i
vecchi classici con sempre in evidenza il personaggio chitarristico di Michael Zurita, jeans
incollati e paiette luccicanti, con movenze un po effemminate ma veramente simpatico ed
eccentrico con il suo stile affine al mitico Randy Roads ma con suoni piu’ puliti, qualche spruzzo
alla Van Halen sempre velocissimo ed espressivo...una primadonna invidiabile. Eccellente
concerto di 40 minuti di colate di metallo puro ritmato e con tanta esperienza alle spalle. Fate
vostro qualche loro disco garantisco io.
Ore 13:35 Volbeat
Era tanto che ne sentivo parlare dei Volbeat la band del frontman Michael Poulsen ex Dominus,
combo danese attivo dal 2001 che propone un fusion heavy metal dove la parola fusione va a
intendere una mescolanza del metal al rockabilly...Michael ne ha divorati di dischi del re
lucertola Jim Morrison e di Elvis Presley sfruttando il suo tono vocale molto simile ai suoi idoli,
qualche mossetta in stile, ma con aggiunta di chitarroni grezzi e potenti sfocianti in canzoncine
lineari quasi da teenagers con buona presenza scenica e un chitarrista d’appoggio tale Thomas
Bredahl che non ha mai smesso di agitare la testa in puro stile punk e quando dico mai
prendetemi alla lettera. Tutti impazziti sul singolo “I Only Wanna Be With You“ la song che li ha
portati a vincere il disco d’oro nel 2008. Catalizzatori e ipnotici, buono il flirt del singer con il
pubblico, sempre simpatico e scanzonato e alla fine accennato il riff di “Raining Blood“ un boato
e un pogo incredibile si è sollevato ad omaggio degli Slayer. Ottimi anche i suoni.
Ore 14:25 Holyhell
Ero proprio curioso di sentire il live gli Holyhell anche perchè è una band che vanta tra le
proprie file uno dei miei batteristi metal favoriti, il poco conosciuto Rhino ex Manowar del
bellissimo “Triump Of Steel”, ed il chitarrista Joe Stump virtuoso di scuola Malmsteen nonché
solista apprezzato come il sesto migliore shredder del mondo dalla rivista americana Guitar
One Magazine, per non dire che il produttore è un certo Joey De Maio...beh con queste carte in
mano gli Holyhell si scatenano sul palco inondandoci con symphonic metal ammaliato dalla
soave e dolce vocina della singer Maria Breon che con il passare delle prime due songs diventa
paragonabile all’uccellino vicino la vostra camera da letto che usignola tutto il pomeriggio e vi
rende nervosi, in collera, pazzi. Non che non sia capace, anzi tutt’altro, ma tutte le songs sono
molto lineari, Rhino paralizzato sulla batteria non va mai fuori gli schemi del concertino per
fiabine e fiabone, resto incredulo e Joe Stump si limita a ritmiche noiose, scontate con buoni
assoli quando lo sciolgono ci mancherebbe altro, ma il tutto è in funzione della voce e del
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symphonic da classifica. Inguardabili, sacco in mano e spadone mi dirigo verso altri lidi triste e
miserabile.
Ore 15:10 Pain Of Salvation
Dopo aver provato la sensazione di un panino con la mota (gli HolyHell) tanto salata e marrone,
mi compaiono innanzi 5 svedesi tutti mori, senza scenografia o nome della band con solo un
manichino con la t-shirt “Elvis“, camicia muticolor per la mente della band Daniel Gildenlow e
subito si parte con il progressive particolare e spezzettato tanto caro alla band che scalda il
cuore di migliaia di fans che si proiettano in avanti alla ricerca del contatto fisico ed emozionale.
I Pain Of Salvation sembrano davvero in forma e sciorinano pezzi da tutto il repertorio
strappando cori e facce imbambolate di fronte ad una prestazione ottima in cui tutto il gruppo
supporta il frontman con cori ed intrecci vocali, belle schitarrate a dimostrazione che la band
non è un solo project del polistrumentista Gildenlow, ma che affiatata e compatta è riuscita a
donare una sensazione di famiglia nonostante il suono classico e un po’ freddo delle
composizioni che live si snaturano un po’ arricchendosi di phatos e riscaldamento umano.
Avvincente concerto che evidenzia il buon momento della band.
Ore 15:55 Dragonforce
Nero è l’insieme degli elementi che circondano l’ambiente scenico ed i londinesi lo riempono di
luci lucine e lucette in pieno giorno. Subito si cambia di registro immergendoci in un power
speed metal scanzonato umoristico che gioca su scherzetti che tutti i membri del combo si
fanno viceversa (il tutto suonando alla velocità della luce) riversando nell’aria il buonumore e la
gioia che sta alla base della musica metal tanto cara alle sonorità di Helloween e Gamma Ray.
Il lavoro al mixer è stratosferico e subito in evidenza il carisma e la calda voce del singer ZP
Theart che munito di cappellone da texano sfodera un timbro stellare e colmo di potenza viste
le tonalità sulle quali si sposa, gli altri di certo in quanto a personalità non hanno nulla da
invidiare vedi il tastierista di origine ukraine Vadym Pruzanov che in sede live si dimostra vera
primadonna, abbigliato anzi, acconciato come un clown nel vestiario, sempre in movimento con
il tastierino a tracolla inscenando gags esileranti con tutti gli altri della band e battaglie a colpi di
tasti. Altra nota di merito al velocissimo Herman Li (l’orientale per capirsi) davvero in possesso
di un frullino al posto del plettro ed autore di molti degli speed solos. Un po di fumogeni ed è già
l’ora di salutarci con l’incredibile songs che tutti gli spettatori stavano aspettando, una “Through
The Fire And Flames” al fulmicotone che schizza via con gli stacchetti alla supermariobros,
tappin hyperfast, sweeppate e la telecamera che si ferma ingrandendo sul maxischermo la
posizione plastica del tastierista che chiude suonando con la lingua. Mitici, coinvolgenti, grazie
anche al bassista che è francese e che incalza il pubblico di casa con controsensi sarcastici che
irradiano un pomeriggio di una domenica che si preannuncia sensazionale.
Ore 16:40 Pestilence
Giusto una decina di minuti per seguire un paio di pezzi dei tedeschi Destruction e mi reco nella
RockHard Tent per gustarmi i Pestilence. Il tendone è ben studiato grazie a una ventilazione
interiore che fa scomparire la calura...e chi mi ritrovo a slappare tapping-are come un
forsennato? Mr Tony Choy. Californiano e calvo come un integerrimo Terry Savalas (Kojak) un
uomo che è un alieno, indescrivibile che ad ogni song aggiunge abbellimenti e svisate con il suo
superbo Zon Bass Guitar, vera masturbazione mentale per chi ama sonorità alla Atheist, Cynic
ed appunto ...Pestilence. Il combo olandese punta molto sulla ferocia dell’ultimo album
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"Resurrection Macabre" e si avvale anche di un session alla chitarra (non vi dirò il nome però)
per incutere potenza e cattiveria a profusione, con un Patrick Mameli stile moicano a suonare
tanto crudele ed abietto, reprobo e bieco, quanto a dialogare con il pubblico generoso e retto, e
di cuore. Bella questa doppia faccia che ci ricorda che il death metal è una musica che viene
principalmente dalla passione interiore, e che in questo caso influenzata com'è dal jazz e dalla
tecnica riesce a convincere anche i deathsters piu’ incalliti e seguaci del demonio. Esagerati e
sbalorditivi annichiliscono il pubblico lasciando tutti a bocca aperta puntando tutto sulla ferocia e
sull’atrocità facendo innalzare un grido inneggiante a bis bis bis. Nessuna presenza di
sintetizzatori solo sudore e shredder. In una parola? Cosmici!!
Ore 17:25 Epica
E’ l’ora della band olandese di Mark Jansen ex After Forever capitanata dalla bellezza sfacciata
di Simone Simons e dal suo cantare mezzosoprano alternato al growls di Mark. Che gli Epica
siano una formazione iperpompata sul mercato discografico lo sanno anche Beavis & Butthead,
che siano capaci invece ho dei dubbi: troppi. Ritmiche monotone, batteria inesistente, tutto
soffuso per enucleare l’importante e graziosa voce della vocalist che quanto a presenza scenica
non mi è sembrata calarsi a perfezione nel ruolo a lei imposto. La noia comincia brevemente ad
assalirmi mentre stuoli di seguaci incitano e si gasano su un piattume che in quanto a qualità mi
lascia irrilevante irricettivo e sopratutto cio’ che è peggio indifferente. Tolgo il disturbo direzione
birra e spettacolo con le moto, almeno il rumore delle marmitte coprirà questa inutile nenia.
Ore 18:15 Stratovarius
Si pensava che come un albero avvizzito gli Stratovarius avrebbero allungato i loro rami sul
palco Hellfest, invece qualcuno deve aver messo un composto chimico nel terriccio e partita la
prima nota musicale una band data spacciata o in calo creativo come la loro elargisce una
grande lezione di musica e di vita a tutti i presenti. Ferrei ed incrollabili dimostrano quanto la
tenacia ripaghi sempre e il nuovo guitar hero e producer Matias Kupiainen non fa rimpiangere di
certo il grassoccio Timo Tolkki, essendo velocissimo e di una tecnica progressive sopraffina
(classe 1983 pure!), per non parlare di un Jorg dietro le pelli sempre a garanzia di drumming
raffinato nella potenza. Il tetragono Kotipelto con le sue mossette è sempre un leader
incontrastato scenico e vocale e in generale tutta la nuova combriccola che ha dato alle stampe
il discreto “Polaris” marcia a pieno regime esaltando con una “Speed Of Light” sferzante e
fulimante, “Kiss Of Judas” ammaliante e una “Black Diamond“ sortita direttamente dalle braccia
di un Jorg Michael d’impatto con il suo tipico suono del rullante capace di far godere al solo
pensiero. Trascinanti accattivanti e ritornati alla grande!!
Ore 19:05 Queensryche
Con in tasca un disco, “American Soldier“, e un catalogo pauroso da cui attingere , i
Queensryche si presentano in sei sul palco partendo dalle nuove composizioni come “Silver“ o
“A Dead’s Man Words” o “Middle Of Hell” per eccitarci con “Operation Mindcrime” “Empire” e
tante altre per un totale di 50 minuti di rock americano passionale con il tedesco naturalizzato
americano Tate modello Big Jim che strega e seduce tutta la platea esibendosi con i vari
strumenti a fiato e con una voce che non da segni di cedimento e cosa dire di più..immenso!!!!!
Tutti gli occhi magnetizzati su di lui che duetta anche con il tastierista e riproduce fedelmente
tutte le canzoni che sicuramente in sede live non sono cosi facili da eseguire ma con un
risultato finale che punta molto sulla loro articolata proposta sonora soddisfacendo pienamente
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tutte le aspettative. Incantevoli con la capacità di rapire le menti dei loro fans.
Ore 20:00 Mastodon
Tanta marmaglia già in attesa prima che cominciassero a suonare i Queensryche si accalca
sotto al palco main stage 2 riservandosi le prime file per i Mastodon (ricordo che la distanza da
un palco all’altro è minima dando la possibilità di suonare ad un gruppo e di fare i suoni
nell’altro rendendo nulla l’attesa senza sorta di disturbo sonoro) e intervistando gli spettatori
scopro che molti sono quà per il gruppo americano che gode di una fama e fedeltà
impressionante anche perchè il loro sound un po sludge un po alternative abbraccia consensi
ovunque. La loro prestazione è furiosa con un drumming spesso jazzistico e muri chitarristici
che passano in suadenti break in clean pescando songs dall’album “Blood Mountain” e
dall’ulitmo “Crank The Skye” finalizzando un rendimento eccellente anche per chi come me non
li digerisce molto strappando applausi a non finire. Mastodontici e chirurgici con solos in
evidenza ed immagine da cattivone ben evidenziata. Concerto a buon fine.
Ore 20:50 Europe
Europe un nome una garanzia, si parte subito con il magnifico anthem ritmato “Last Look At
Eden” per passare alla cadenzata “Superstitious”, al rock n’ roll di “Cherokee”, la mitica “Rock
The Night“ e la speed “Scream Of Anger”, la hard rock “Seventh Sign” che vede il singer Joey
Tempest imbracciare per l’occasione la chitarra per chiudere in bellezza con “The Final
Countdown” a glorificare una band resuscitata più in forma che mai. Joey si sbatte a destra e
manca giocando molto sul suo sex appeal e il chitarrista John Norum delizia tutti i presenti con
un gusto chitarristico invidiabile pur essendo sempre immobile ed inespressivo fisicamente ma
va bene cosi perchè le emozioni sono sempre ben iniettate nei corpi degli spettatori facendoci
cantare e ballare ininterrottamente. Easy listening ma rock n’roll dalla testa ai piedi. Grandiosi!
Ore 21:55 Suicidal Tendencies
Direttamente da Venice Beach California, gli statunitensi Suicidal Tendencies sparano
immediatamente le loro cartucce sul feeling e sul leader Mike Muir. Alla batteria troviamo l’afro
Ron Brunner Jr, di una stazza enorme che riesce quasi a surclassare il suo strumento ma
decisamente in forma sui ritmi funk metal, vero portento. Eseguono “Pledge Your Allegiance”
ben tirata, “You Can’t Bring Me Down“ in apertura annunciata dallo speaker, poi la classica
“War Inside My Head” che fa delirare la gente e comparire I primi canottini pieni di persone che
volano sulla testa dei presenti direzione il palco. Scorrono via grintose le altre canzoni e c'è
posto pure per un bel drum solo ritmato e funky soul. Iniezione di vita e tanto sano
headbanging!
Ore 22:50 Dream Theater
Li attendevo con trepidazione al varco come un bimbo aspetta la sua pappina. Dopo l’intro di
musica classica si parte con “In The Presence Of Enemies” grezza e pesa come un macigno
con un working guitar che ricorda un po' il volo del calabrone (a tratti) per sfociare in slow
emozionali. Si passa a “Beyond This Life“ , “A Rite Of Passage” e la magnifica “Erotomania” ,
“Voices” dove James Labrie si evidenzia per una gran forma vocale ed emozionale, “As I Am”
bella violenta e grezza. Nel complesso buon concerto ci mancherebbe ma i ripetuti intrecci e
duelli chitarra tastiera sfiancano un po’ raffreddando una prestazione già sterile per il drumming
spesso troppo in battere del tiranno Mike Portnoy che preciso come un dito nel didietro fa
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sempre le “sue” stesse cose non ricercando variazioni nello stile. Peccato perché alla fine
dell’esibizione si sente che qualcosa manca e lascia un gusto amaro in bocca per chi si aspetta
sempre performances al top. Tecnicamente ineccepibili ma glaciali.
Ore 01:00 Manowar
Intro con luce rossa e lo speaker che annuncia che questa non è un esercitazione ma che tra
poco ci sarà la band piu’ potente del pianeta e subito sirena impazzita lasciata accesa per vari
minuti a disturbare per poi sfociare in una melodiosa armonia di musica sinfonica e la profonda
voce immancabile: “From the United States of America...only...Manowar” e bam che si parte
con “Manowar” a tutta velocità tra un tripudio generale e uno sventolare di bandiere di tutte le
nazionalità con quella sarda in prima fila che non ha mai smesso di volteggiare in aria. Alla
batteria con mia sorpresa non troviamo il legnoso Scott Columbus ma il secondo leggendario
batterista della band americana, il primo ad incidere “Battle Hyms”, tale Donnie Hamzik bello
roccioso e lineare come papà Manowar esige. Si passa a brani come “Brothers Of Metal”,
“Warriors Of The World” alla trabordante “Kill With Power”, a “Kings Of Metal” con l’immancabile
scenetta di far salire qualcuno del pubblico a suonare con i santoni del metal (gli hanno regalato
pure una chitarra di Karl Logan, non vi dico le lacrime del fortunato che ha suonato tutto il pezzo
a volume zero non accorgendosi di nulla e alla fine continuava a fare assoli a fondo scala
chitarra, e Eric Adams rideva come un pazzo perchè non usciva una nota dagli ampli). Poi il
momento dell’assolo di basso del mastermind Joey DeMaio e la birra scolata d’un fiato, ”Heart
Of Steel” e tante altre fino al riconoscimento di un premio donato al boss dell’Hellfest tanto di
targa con le palle ben in evidenza, e ad un finale affidato alla distruzione delle corde del
bassista e l’immancabile sermone sull’unione che il metal apporta a tutti i fans del mondo di
questa cineband stratosferica. In conclusione una “The Crown And The Ring” registrata con
effetti pirotecnici senza badare a spese, altro che fuochi d’artificio estivi, veramente emozionanti
a immortalare nel cielo un concerto da dieci e lode. Come faremmo senza i Manowar,
pacchiani, cinematografici, ma portavoce del sentimento che ci lega a un genere musicale che
è anche uno stile di vita basato su principi e regole non scritte. Vi amo Manowarrrrrrrrrrrrrrr!!!
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