Pronto soccorso e colpa professionale

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Pronto soccorso e colpa professionale
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01.12.2006 CORTE d’APPELLO Milano (quando non sussiste la
responsabilità del medico di pronto soccorso?).
§ - E' da escludersi la configurabilità della colpa professionale medica allorquando la
carenza di notizie in sede di anamnesi sia così radicale e generale da non offrire al
sanitario di turno in una struttura di pronto soccorso alcun elemento su cui formulare
una sostenibile ipotesi diagnostica e, d'altra parte, elementi di tale valenza non siano
rilevabili ad un esame obiettivo del paziente, né emergano durante il periodo di
osservazione del medesimo. ( Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net )
App. Milano Sez. II, 06-11-2006
omissis
Svolgimento del processo
Il xxx, alle ore xxx G.C., di anni 58, si presentava al Pronto Soccorso dell'Ospedale xxx per
una epistassi manifestatasi intorno alle ore 4.00 dello stesso giorno, mentre il paziente si
trovava nella sua abitazione. All'ingresso veniva rilevata una pressione arteriosa pari a 190/95
con frequenza cardiaca di 110 battiti al minuto. Il medico di guardia, dott. A., annotava nel
verbale di triage e pronto soccorso: "epistassi a risoluzione spontanea - tosse - esame clinico
del torace senza specificità"; ed inoltre: "non precedenti anamnestici - non fa alcuna terapia".
Veniva, quindi, ripetuta la misurazione della pressione arteriosa, che forniva valori di 150/75.
Alle ore 6.36 il C. veniva dimesso con la diagnosi di epistassi e la prescrizione di una visita
otorinolaringoiatrica, fissata per le ore 10.00 dello stesso giorno; gli veniva altresì prescritto
per la tosse "cardiazol-paracodina" (20 gocce). Durante il viaggio di ritorno alla propria
abitazione il C. accusava un improvviso malore; sceso dall'automezzo, si accasciava
improvvisamente al suolo, decedendo sul posto. In relazione a tale fatto il dott. A. veniva
accusato di omicidio colposo; gli si imputava di aver omesso di effettuare gli esami necessari
per verificare l'entità della perdita ematica e di aver omesso, altresì, di indagare le cause
dell'emorragia nasale, anche mediante osservazione del paziente.
L'accusa traeva sostegno dalle conclusioni del consulente del P.M., dott. C., il quale, pur
considerando che il paziente aveva trascurato di segnalare il proprio pregresso stato di etilista e
che l'ipertensione arteriosa, rilevata all'ingresso in Pronto Soccorso, era andata incontro (come
l'epistassi) a risoluzione spontanea, senza che gli fosse somministrato alcun farmaco
antiipertensivo, riteneva nondimeno che l'imputato avrebbe dovuto tenere un atteggiamento
improntato a necessaria prudenza, prolungando il periodo di osservazione del paziente, nonché
procedendo a controllo dei parametri chimico-laboratoristici e a ripetute misurazioni dei valori
pressori, e ciò in ragione della varietà e complessità delle possibili cause all'origine del
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sanguinamento nasale.
Nella specie, il consulente del P.M. aveva rilevato, anche sulla scorta dei rilievi autoptici e
dell'esame dei preparati istologici, che il C. - portatore, peraltro silente, di epatomegalia
steatosica su base etilica e di cardiopatia ipertensiva - aveva avuto, il giorno del decesso,
un'emorragia gastrica di discreta entità, la cui eziopatogenesi era correlabile a flogosi diffusa
della mucosa gastrica, con marcata iperemia della rete vascolare sottomucosa in
corrispondenza delle regioni del fundus e del corpo gastrico. Tale situazione, in parte
condizionata da verosimili deficit coagulativi (ridotta sintesi di fattori procoagulanti da parte di
fegato abnormemente steatosico) aveva comportato, secondo il consulente del P.M.,
l'attivazione di fisiologici meccanismi di compenso, onde far fronte all'ipovolemia. In
particolare, si attivava il sistema simpatico-adrenergico, che determinava un aumento della
frequenza cardiaca e della pressione arteriosa; tale situazione a sua volta dava luogo al
manifestarsi dell'epistassi profusa, che il C. aveva patito nella notte del xxx. Di qui,
determinandosi ulteriore perdita ematica, si era instaurato un circolo vizioso con un ulteriore
aumento dei valori pressori e della tachicardia per preservare l'ossigenazione degli organi
"nobili": una condizione di stress, questa, a cui può far fronte un muscolo cardiaco sano, ma
non un muscolo cardiaco con ridotta capacità di risposta, come quello del C., che aveva
evidenziato in sede di esame autoptico una ipertrofia del ventricolo sinistro da cardiopatia
ipertensiva.
La ricostruzione dell'evento clinico così effettuata dal consulente del P.M., nonché le
conclusioni cui egli era pervenuto circa la sussistenza di profili di colpa professionale medica
in capo al dott. A., erano fatte proprie dal Tribunale di Lecco, il quale attingeva altresì, per il
corredo motivazionale della sentenza, al contenuto informativo di un sito internet. Era,
peraltro, assente nella pronuncia di primo grado ogni disamina (e, per la verità, anche ogni
sostanziale accenno) alle diverse conclusioni cui erano giunti non solo i consulenti di parte,
dott. P.T. e dott.ssa C.C., ma anche il consulente d'ufficio, dott. F.B. In particolare,
quest'ultimo aveva concluso, ribadendo le proprie osservazioni in sede di esame orale, nel
senso che, dall'analisi dei soli elementi di giudizio disponibili all'atto della dimissione, non vi
era prova della necessità di un diverso atteggiamento terapeutico del medico di guardia presso
l'Ospedale xxx, il quale si era trovato di fronte ad una vicenda clinica di estrema difficoltà
tecnica, evolutasi in modo sfavorevole per il carattere di imprevedibilità e perniciosità delle
patologie da cui era affetto il C.
Il Giudice di primo grado riteneva comunque che fossero presenti tutti gli elementi sia per
configurare una colpa professionale del dott. A., sia per stabilire la sussistenza del rapporto di
causalità tra la condotta omissiva del sanitario e la morte del paziente. La condanna, con la
sospensione condizionale e la non menzione, era alla pena di mesi sei di reclusione (penabase: anni uno di reclusione, ridotta a mesi nove per l'avvenuto risarcimento del danno, ridotta
ulteriormente a mesi sei per le attenuanti generiche).
Contro la sentenza proponevano appello, con distinti atti, entrambi i difensori di fiducia,
contestando la possibilità di riconoscere nella fattispecie concreta un caso di colpa
professionale, nonché la sussistenza di un nesso causale tra condotta ed evento, e, pertanto,
chiedendo l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non sussiste. Preliminare ad ogni
discussione degli aspetti della vicenda era, tuttavia, la doglianza circa la mancata
considerazione, da parte del Giudice di primo grado, delle conclusioni del perito d'ufficio
(oltre che delle altre, pur motivate e concordi, relazioni mediche): mancata considerazione che
costituiva ragione di nullità della sentenza per violazione della norma di cui all'art. 546,
comma 1, lett. e) c.p.p.
Motivi della decisione
Ritiene la Corte che, in totale riforma della sentenza di primo grado, l'imputato debba essere
assolto dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste. Le circostanze del caso concreto, così
come emergono dai documenti prodotti e dalle deposizioni testimoniali, non consentono,
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infatti, di delineare una colpa professionale a carico del dott. A. e, d'altra parte, in tal senso si è
già espressa, sebbene del tutto ignorata dal Tribunale di Lecco, la relazione del perito d'ufficio,
dott. F.B. Al riguardo, si osserva che nel "verbale di triage e pronto soccorso" (cfr. produzioni
P.M., in verbale udienza 5/10/04) risultano le seguenti annotazioni: "epistassi a risoluzione
spontanea - tosse - esame clinico del torace senza specificità"; "non precedenti anamnestici non fa alcuna terapia". Dal medesimo verbale risulta ancora che il paziente si era presentato al
Pronto Soccorso "sveglio" e con un respiro "normale"; mentre i valori di pressione arteriosa,
che all'ingresso erano risultati 190/95 (con una frequenza cardiaca pari a 110), erano andati
diminuendo fino ad assestarsi su 150/75.
Il C., che era entrato nella struttura sanitaria alle ore 5.46, ne usciva alle ore 6.36 del xxx, con
diagnosi di "epistassi" e la prescrizione di una visita otorinolaringoiatrica, da effettuarsi alle
ore 10.00 del medesimo giorno (cfr., fra le produzioni ud. citata, "sintesi finale dell'accesso al
Pronto Soccorso"). Non risultano correzioni, abrasioni o cancellature in alcuno dei documenti
sopra richiamati, così che non vi è motivo di dubitare che le annotazioni che vi compaiono
riflettano esattamente quanto avvenuto, rilevato ed eseguito all'interno dei locali del Pronto
Soccorso e nel periodo di tempo compreso fra gli indicati orari di ingresso e di uscita. D'altra
parte, le risultanze probatorie desumibili dalle deposizioni dei testi escussi sono del tutto
coerenti con le annotazioni riportate nel "verbale di triage e pronto soccorso". D.C. ha invero
dichiarato che il padre "non ha mai avuto problemi di salute", tanto che "durante il lavoro non
è mai stato a casa in malattia"; ha inoltre escluso che il padre bevesse "in modo particolare",
riferendo, in proposito, di un normale consumo di vino durante i pasti (cfr. verbale ud. 5/10/04,
trascrizione, ff. 8-9).
E' conseguentemente da escludere che al medico e al personale del Pronto Soccorso siano stati
forniti, anche dal paziente, dati e informazioni diversi. L'infermiera C.S., che era di turno
all'accettazione il giorno del fatto ed ebbe a compilare il "verbale di triage", ha riferito (cfr.
verbale udienza 12/4/05) che "il sanguinamento dal naso in pronto soccorso non era in
atto" (trascrizione, f. 3); che il C. "stava in piedi" davanti a lei, "perfettamente collaborante e
cosciente", tanto da poter rispondere con prontezza e lucidità alle domande che gli venivano
rivolte; che "un certo disturbo nella parola" notato dall'infermiera, "come se avesse un piccolo
raschietto alla gola, un pizzicore alla gola", era stato spiegato dalla figlia come l'esito "di un
raffreddore di 15 giorni prima, che era rimasto un po' come vizio, come... se fosse una...
un'abitudine, negli ultimi 15 giorni, il raschiarsi la gola" (ff. 4-5). La teste ha precisato di aver
attribuito nella specie il "codice verde", che sta a significare che "non c'è nessuna emergenza,
nessuna perdita delle funzioni vitali in atto e non c'è neanche il rischio che possano avvenire
nell'immediato successivo, insomma nei tempi brevi" (f. 4). L'attribuzione di tale "codice
colore" da parte dell'infermiera addetta risulta conforme al contenuto dello studio prodotto
all'udienza del 5/10/04 ("Organizzazione del Triage in Pronto Soccorso"), ove il "codice
verde" è collegato alla situazione di quei pazienti che "necessitano di una prestazione medica
che può essere differibile" e che, pertanto, "non presentano compromissione dei parametri
vitali, che non appaiono dispnoici pallidi, sudati e che presentano la coscienza integra".
La teste C.M., infermiera professionale dal 1982 presso il Presidio Ospedaliero xxx, ha innanzi
tutto spiegato (cfr. verbale udienza 12/4/05) che è "prassi misurare più volte la pressione",
anche se può capitare che "nella cartella medica del pronto soccorso" risultino "i valori ultimi
segnalati" (trascrizione, f. 11); ha poi confermato che nel "momento in cui è entrato", e lei ha
potuto vederlo, il C. "non stava sanguinando" (f. 14); la teste ha escluso altresì che il paziente
mostrasse difficoltà di respirazione , che fosse pallido nel volto o rivelasse altri segni di
indebolimento dei parametri vitali, la cui rilevazione, ferma restando ogni valutazione da parte
del medico, è comunque "anche di competenza infermieristica", solo riferendo di una certa
preoccupazione del paziente per il fatto che "la figlia dovesse andare a lavorare al mattino" (f.
16). La situazione di fatto, quale può essere ricostruita sulla base degli elementi sopra riportati
e si è concretamente posta alla valutazione dell'imputato, appare, quindi, caratterizzata: a)
sotto un primo profilo, da una totale carenza di informazioni utili a fini diagnostici e, in
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particolare, di informazioni (su malattie e terapie pregresse e in atto, su un qualunque quadro
di possibile rilievo sintomatologico, su abitudini di vita comunque significative) in grado di
orientare il sanitario nella varietà e complessità delle patologie che possono determinare
l'epistassi o essere direttamente o indirettamente collegate al verificarsi di tale fenomeno; b)
sotto altro profilo, da una rapida e stabile risoluzione dell'episodio di sanguinamento
(verosimilmente già cessato o in corso di cessazione già al momento dell'ingresso del C. nel
Pronto Soccorso, come lascerebbe intendere la circostanza che neppure la teste S., che fu la
prima a vedere il paziente, perché addetta all'accoglienza, poté constatare il fenomeno "in
atto") e da un altrettanto rapido e stabile assestarsi dei valori pressori, senza alcun supporto
farmacologico, su parametri di normalità: e ciò in un contesto in cui il C., oltre a non rivelare
alcuna particolarità all'esame del torace, ebbe ad entrare e uscire autonomamente dai locali
della struttura sanitaria e a dimostrarsi sempre ed in ogni momento lucido e collaborante, così
presente ai fatti da manifestare la normalissima preoccupazione che la figlia avesse a far tardi
sul posto di lavoro.
E' ancora da rilevare come all'infermiera S., che gli chiedeva "per quanto tempo aveva
sanguinato il naso", il C. rispose "circa una mezz'oretta" (f. 4) e, del resto, anche la figlia, nel
corso della sua deposizione, ha ritenuto, sia pure senza certezza, di poter collocare l'inizio
della perdita di sangue verso le ore 5.00 (ff. 2,7). Si tratta di elemento non privo di rilievo nella
valutazione della condotta professionale dell'imputato, perché, unitamente alla spontanea
risoluzione del fenomeno e a tutti gli altri elementi che si sono posti in evidenza, porta ad
escludere che il dott. A. potesse plausibilmente sospettare un'importante perdita ematica e
conseguentemente procedere, con qualche buona e condivisibile ragione, agli accertamenti e
approfondimenti del caso (in particolare, all'esecuzione di quell'esame emocromocitometrico,
la cui mancata effettuazione gli è esplicitamente contestata nel capo di accusa).
Risulta, pertanto, aderente ai dati e alle risultanze del processo la conclusione del perito dott.
B., laddove questi ha osservato che, tralasciando i commenti a posteriori, mediati dalla
conoscenza di tutti gli elementi in gioco (in particolare, quelli emersi in sede di esame
autoptico), non sono ravvisabili elementi atti a formulare un giudizio di colpa nei confronti
dell'imputato. Il perito d'ufficio ha sottolineato soprattutto, e giustamente, l'influenza decisiva
che sulle sorti del caso in trattazione ha avuto la "reticenza" nel denunciare fattori di rischio,
terapie farmacologiche in corso o patologie concomitanti, fra i quali assume speciale rilevanza
la negazione di una epatopatia su base esotossica (da consumo di alcolici), che di per sé, a
fronte del dato del sanguinamento, avrebbe fornito al medico le basi per un diverso
atteggiamento terapeutico. E' invero da escludersi la configurabilità della colpa professionale
medica allorquando - come nel caso in esame - la carenza di notizie in sede di anamnesi sia
così radicale e generale da non offrire al sanitario di turno in una struttura di pronto soccorso
alcun elemento su cui formulare una sostenibile ipotesi diagnostica e, d'altra parte, elementi di
tale valenza non siano rilevabili ad un esame obiettivo del paziente, né emergano durante il
periodo di osservazione del medesimo. Appare, quindi, corretta la decisione del dott. A. di
dimettere il C., fissandogli a breve (ore 10.00 dello stesso giorno) una visita
otorinolaringoiatrica, potendo ragionevolmente ipotizzarsi, nell'obiettivo contesto che si era
andato delineando, che l'epistassi fosse stata determinata da fattori soltanto locali.
Del resto, le "epistassi modeste" - e non vi è dubbio che quella denunciata dal C., già risolta o
in fase di risoluzione (spontanea), si presentasse come tale, anche per la (contenuta) durata
riferita dal paziente - figurano proprio tra gli esempi di situazioni che consentono il
differimento della necessaria prestazione medica, legittimando l'inquadramento del caso nel
"codice verde" (cfr. studio citato).
In definitiva, può condividersi, perché coerente con le risultanze obiettive del caso concreto, la
conclusione cui è pervenuto il perito d'ufficio, secondo il quale, dall'analisi dei soli elementi di
giudizio disponibili all'atto della dimissione, non vi è prova della necessità di un diverso
atteggiamento terapeutico da parte dell'imputato, il quale si è trovato in posizione svantaggiata
ad affrontare una vicenda clinica di estrema difficoltà tecnica, evolutasi in modo sfavorevole
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per il carattere di imprevedibilità e di pericolosità delle patologie da cui era affetta la persona
offesa. Si tratta di patologie plurime (severa cardiomegalia ipertrofica; grave steatosi epatica
micro-cirrotica, complicata da un assai probabile quadro di ipertensione portale: cfr. relazione
peritale, pag. 4), che evolvevano clinicamente misconosciute - saranno rilevate, infatti, solo
all'esame autoptico, al pari della presenza di un'emorragia gastro-enterica riconducibile ad un
quadro di gastrite erosiva - e senza che fra tali processi morbosi e la perdita di sangue dalla
cavità nasale (epistassi) vi sia prova di una correlazione fenomenologica (cfr. ancora relazione
del perito d'ufficio, pag. 5).
P.Q.M.
Visto l'art. 605 c.p.p., in riforma della sentenza del Tribunale di Lecco in data 29/9/05,
appellata dall'imputato assolve lo stesso dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste. Così
deciso in Milano il 30 ottobre 2006. Depositata in Cancelleria il 6 novembre 2006.
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