L`Acqua Sacra - uonna club associazione culturale MODEM

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L`Acqua Sacra - uonna club associazione culturale MODEM
Università degli Studi di Cagliari
Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea Specialistica in Relazioni Internazionali
(Classe 60/S)
L’Acqua Sacra
Tradizione e Modernità nello sviluppo
dell’India
Relatore
Prof.ssa Annamaria Baldussi
Tesi di:
Crobeddu Carlotta
Anno Accademico 2006/2007
Fonte (Autore), Rishikesh, novembre 2007
Grazie di cuore a tutti quelli che hanno creduto in me, a mia Madre, e in particolare alla professoressa
Baldussi e al dott. Marino per la loro professionalità e disponibilità; grazie a tutti quelli che mi hanno
permesso di realizzare il mio sogno nel cassetto, andare in India, e a tutti quei colleghi che in questi
anni sono diventati compagni di “viaggio”.
2
“Dalla terra nasce l'acqua, dall'acqua nasce l'anima...
È fiume, è mare, è lago, stagno, ghiaccio e quant'altro...
è dolce, salata, salmastra,
è luogo presso cui ci si ferma e su cui ci si viaggia
è piacere e paura, nemica ed amica
è confine ed infinito
è cambiamento e immutabilità ricordo ed oblio”.
Eraclito
“Sulla terra c’è abbastanza per soddisfare i bisogni di tutti,
ma non per soddisfare l’ingordigia di pochi”
M. Gandhi
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Indice-Sommario
Prefazione
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Primo Capitolo
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L’Acqua della sacralità
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1.1 Dalla Storia…
1.1.1 L’ecosistema
1.1.2 Le prime civiltà indiane, la Valle dell’Indo
1.1.3 L’età degli Aryi (1500-1000 a.C. circa )
1.1.4 Dalla fine dell’epoca vedica alla prima unificazione imperiale del continente
1.1.5 Upanishad, Jainismo e Buddismo
1.1.6 I Maurya e l’era post Maurya
1.1.7 Dal Regno dei Gupta alle prime invasioni musulmane
1.2. Alla Religione
1.2.1 Sacro e profano
1.2.2 Lo spazio sacro e la cosmogonia
1.2.3 Mito: modello esemplare
1.2.4 Le acque e il simbolismo acquatico
1.2.5 La religione vedica e l’Induismo
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Secondo Capitolo
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Acqua per la vita e dighe per il progresso?
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2.1 Acqua per la vita
2.1.1 Crisi idrica a livello globale
2.1.2 Cambiamento climatico
2.1.3 Ecologia dell’acqua
2.1.4 Cibo e Acqua
2.1.5 Acqua e sviluppo
2.2 Dighe per il progresso?
2.2.1 Breve storia dei fiumi
2.2.3 Dighe: cosa sono e cosa fanno
2.2.4 L’impatto delle dighe a livello ambientale e sociale
2.2.5 Dighe e malattie
2.2.6 L’India e la malattia del gigantismo
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Terzo Capitolo
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La Valle della Narmada
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3.1 La Narmada come divinità
3.1.1 La Dea Narmada
3.1.2 Unicità del Parikrama
3.1.3 Cultura, storia, componenti etniche
3.1.4 Geografia del fiume
3.2 Narmada Projects
3.2.1 L’Inizio del Conflitto
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3.2.2 L’opposizione popolare e la nascita dell’ NBA
3.2.3 MoEf, Report Morse e ritiro della Banca Mondiale
3.2.4 Satyagrha e creazione dell’ennesimo comitato
3.2.5 Gli sfollati
3.2.6 Dighe e condizione femminile nella valle della Narmada
3.2.7 Dall’intensa lotta 1990-1994 alla sentenza della Corte Suprema
3.2.8 Dal 2000 a oggi la lotta continua
3.2.9 Il miraggio dei benefici
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Quarto Capitolo
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Le Soluzioni, Diritti, Globalizzazione e Cooperazione Internazionale
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4.1 Soluzioni Eco-Sostenibili
4.1.1 Ecologia e tradizione induista
4.1.2 Secolarizzazione ecologica
4.1.3 Etica Gandhiana
4.1.4 Politiche ambientali per ristrutturare la società indiana
4.1.5 Il guardiano del Gange
4.1.6 Alternative alla Sardar Sarovar
4.2 Diritti, Globalizzazione e Cooperazione
4.2.1 La Banca Mondiale, il WTO e il controllo delle grandi aziende sull’acqua
4.2.2 I Giganti dell’Acqua e la Privatizzazione del mercato
4.2.3 Mobilitazione sociale internazionale
4.2.4 L’Acqua in rete
4.2.5 I Social Forum
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Quinto Capitolo
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La sacralità dell’Acqua
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Bibliografia
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Prefazione
La mia totale ammirazione per questo elemento naturale ha radici molto lontane. I miei
ricordi risalgono a quando da bambina, nel paese dei miei nonni1, si andava a vedere la
diga che straripava come se fosse l’evento dell’anno. Tutti stavano lì a guardare una
cascata di acqua immensa che con tutta la sua forza scendeva giù. Tutti gioivano per
l’arrivo dell’acqua, dal momento che avrebbe significato niente acqua razionata in
estate. Un altro ricordo sempre molto vivo è quello della sorgente del paese, dove nelle
ricche annate, l’acqua fuoriusciva dalle grate di protezione.
Ebbene sì l’acqua ha sempre destato curiosità nella mia vita sin da bambina, diciamo
che appartiene alla mia storia, un po’ come l’acqua appartiene al popolo indiano.
Grazie alla borsa di studio dell’Ersu, per ricerca tesi in cooperazione e sviluppo, ho
potuto realizzare il mio sogno nel cassetto, visitare l’India, e allo stesso tempo
approfondire una tematica che oggi sento e ritengo sia molto attuale.
Un’esperienza bellissima e indimenticabile, grazie alla quale ho avuto modo di
constatare di persona tematiche che in parte avevo già trattato nella tesi triennale e che
ho voluto approfondire nella tesi della specialistica. Alla triennale feci una tesi sull’eco
femminismo in India e proprio in quell’occasione ebbi modo di esaminare e conoscere
la Valle della Narmada e la sua problematica sulle dighe. L’argomento mi appassionò
talmente tanto che decisi di affrontarlo nello specifico.
Ma come tutti ben sanno l’acqua è un elemento dalle mille sfaccettature, direi quasi un
argomento multidisciplinare e non solo, nella società odierna del XXI secolo, è il
petrolio blu. L’acqua è presente nella storia dei popoli, nelle religioni, nel diritto, nelle
controversie, nelle tematiche ecologiche, nella povertà, ed è elemento ormai di
discussione in tutti i forum internazionali, fonte di ricchezza materiale e spirituale che
tutti si contendono. Chi per vivere e chi per arricchirsi.
Ho iniziato così, il primo capitolo, parlando dell’importanza dell’acqua nella religione e
nella storia dove l’acqua ha sempre avuto un ruolo fondamentale.
L’acqua per la religione è sacra perché da la vita, è l’origine di tutte le cose. L’acqua
che purifica dai peccati, dalle malattie e ridona la giovinezza. Acqua adorata nei fiumi,
che nel bene e nel male hanno sempre influenzato le popolazioni. Storia e religione
vanno di pari passo, non c’è cultura che non si sia stanziata lungo un fiume e che da
essa abbia tratto sostentamento. Nel caso dell’India in particolare, l’acqua rappresenta la
nascita e la morte. L’origine della religione induista se si considera che lo stesso nome
“India” deriva da Hindo, il fiume indiano sulle cui rive si stanziarono le prime
popolazioni. Acqua, che in India viene adorata in tutte le sue forme e che oggi
rappresenta uno dei più grandi problemi del subcontinente.
Nel secondo capitolo ho invece voluto parlare dell’acqua come mezzo di sostentamento
e come risorsa sempre più scarsa nella nostra società. Ho trattato il problema del
cambiamento climatico e di come questo influenzi il corso dei fiumi e dei laghi, di come
l’acqua diventi sempre più scarsa per certi paesi, come l’India, e di come sia ormai uno
dei pilastri per lo sviluppo moderno. Ho parlato della desertificazione, della non equa
distribuzione e dello sfruttamento dell’acqua, riferendomi in particolar modo al boom
avutosi nei primi anni dell’indipendenza dell’India attraverso la costruzione delle grandi
dighe. I grossi “elefanti bianchi” che nascono come grande sviluppo tecnologico, come
la chiave di svolta per i paesi del Terzo Mondo. Dighe che in realtà in tutti i paesi
sembrano aver provocato più che altro disastri e pochi benefici, danni a livello
ambientale e sociali. Ma nonostante l’India abbia riconosciuto la sua malattia per il
1
Nuxis, a circa 50km da Cagliari, nei pressi si trova la diga di Bau Pressiu
6
gigantismo, la costruzione delle dighe più grandi continua ininterrotta. In tutto il mondo
ormai la costruzione delle grandi dighe è un fenomeno in declino. In America, paese al
primo posto per la costruzione di questi immense opere, lo smantellamento inizia a farsi
strada. Ma purtroppo in paesi come Cina e India, secondo e terzo posto nella classifica
dei paesi con il più alto numero di dighe, la strage continua colpendo soprattutto i
poveri.
Nel terzo capitolo ho parlato della Valle della Narmada e del progetto delle grandi dighe
ormai in corso di costruzione dagli anni ottanta. Con il mio viaggio in India, ho avuto
modo di partecipare a uno dei sit-in che il gruppo di protesta contro le dighe, l’NBA
(Narmada Bachao Andolan), ha tenuto a Indore. Sono stata a Badwani presso la sede
dell’NBA per quattro giorni, dove ho visto come questa ONG lavora e lotta per la difesa
dei diritti umani. Ho inoltre visitato due dei villaggi che dovrebbero essere sommersi
dall’innalzamento della diga Sardar Sarovar e qui ho avuto il piacere di intervistare
alcuni abitanti di questi villaggi, vedendo con i miei occhi le sedi di reinsediamento e il
fiume Narmada. Ho toccato con mano una realtà lontana anni luce dalla civiltà
occidentale e che ha risvegliato in me la voglia di lottare, una lotta sana e civile basata
sui principi della non violenza. Non dimenticherò mai questa esperienza e come
promesso a queste persone io lotto con loro diffondendo la dura realtà che si trovano ad
affrontare.
Il quarto capitolo riassume in breve le possibili alternative a queste grandi costruzioni
portando alla ribalta i vecchi sistemi di irrigazione, economicamente e socialmente più
sostenibili. Analizzo inoltre, la presenza di grandi colossi come la Banca Mondiale e il
WTO, che premono affinché l’acqua diventi una merce e quindi si creino i business
dell’acqua, facendola diventare, in tutti i sensi il petrolio del nuovo millennio.
Organismi che sono pilastri portanti della globalizzazione e che non solo hanno
partecipato alla costruzione delle dighe attraverso finanziamenti, ma che alimentano
ogni giorno i conflitti e le guerre per l’acqua.
Se è vero che la globalizzazione si sviluppa facendo diventare merce tutto, compresi
beni inalienabili come l’acqua, c’è da dire che altrettanto velocemente si sta
diffondendo la mobilitazione sociale attraverso i Forum Sociali, La giornata
internazionale per l’Acqua e altre forme di comunicazione che si diffondono attraverso i
media e internet. L’acqua entra così in rete, una rete di relazioni internazionali che
lottano per la sua salvezza.
Infine l’ultimo capitolo chiude il ciclo non solo della mia tesi, come l’acqua infatti è una
sorta di cerchio che nasce con la vita per chiudersi con la morte, così l’acqua della
sacralità diventa l’acqua sacra. Acqua ormai sacra per noi esseri umani, senza di essa
infatti non possiamo vivere! Acqua che ogni giorno ci da la vita e che oggi diventa sacra
perché rara e preziosa
7
Primo Capitolo
L’Acqua della sacralità
Fonte: Torri M., Storia dell’India, Editori Laterza, Bari, 2007
1.1 Dalla Storia…
1.1.1 L’ecosistema
Per capire meglio il concetto di sacralità dell’acqua non si può saltare quella che è la
parte geografica e storica del continente Indiano.
Il subcontinente indiano è separato dall’Asia attraverso degli ostacoli naturali ben
definiti. Si estende dall’Hindu-Kush e dalle alte terre del Beluchistan a occidente fino ai
8
monti della Birmania a oriente, e dall’Himalaya a settentrione fino all’Oceano Indiano,
coprendo così un area di circa quattro milioni e mezzo di chilometri quadrati2.
All’interno di questo continente troviamo ogni genere di topografia, clima e formazione
geologica: dalle lande desertiche, alle montagne più alte del mondo.
Dal punto di vista geografico il subcontinente indiano può essere diviso in tre zone
chiave: la fascia montuosa settentrionale, le pianure indo-gangetiche e a sud il massiccio
peninsulare del Deccan. La vallata indo-gangetica può essere considerata avente la
forma di una elle rovesciata dove, il braccio più corto è formato dalla vallata dell’Indo e
quello più lungo da quello del Gange. Le due vallate sono separate dal grande deserto
del Thar che delimita, assieme ai monti dell’Himalaya, un corridoio pianeggiante di
poche decine di chilometri.3
La vallata dell’Indo è formata dal grande fiume che nasce sul versante settentrionale
dell’Himalaya, per poi scorrere verso nord-ovest e infine piegare verso sud nel Mare
Arabico. L’Indo riceva l’acqua da cinque grandi corsi fluviali che nascono da
Karakorum e dall’Himalaya, da ovest a est : il Jhelum, il Chenab, il Ravi, il Beas e il
Sutlej. Alimentato dai ghiacciai del Tibet meridionale, l’Indo scorre per 1.500 km verso
nord-est, attraverso il Kashmir per poi dirigersi a sud, strozzandosi attraverso il Nanga
Parbat, giù per il passo di Malakand, fino a ricevere le acque del fiume Kabul,
proveniente dall’Afghanistan. Entrambi i fiumi si ricongiungono nella regione del
Gandhara, a nord del passo del Kyber, via tradizionale per le invasioni dell’India da
occidente. Le acque del bacino dell’Indo, il cui affluente minore è il Soan, divennero la
culla dell’India settentrionale, così pure le valli del Punjab4 e del Sind il cui fango è
portato dai torrenti affluenti dall’Himalaya.
Se il passaggio a occidente della vallata dell’Indo non presentava grandi difficoltà,
quello a oriente si presentava molto più irto. La zona costiera tra il deserto del Thar e il
Mare Arabico è formata dalle paludi del Kutch, ragion per cui si deduce che l’unico
collegamento con le coste dell’India occidentale è stato quello via mare.
Anche la vallata dell’Indo e del Gange sono collegate tra loro da uno stretto corridoio al
di là del quale ha inizio la vallata gangetica, sede della maggioranza dei grandi imperi e
caratterizzata per la presenza del fiume Gange. Questo importantissimo fiume, nasce
dalle pendici sud dell’Himalaya e anch’ esso viene alimentato, come l’Indo, da una serie
di altri fiumi. Il più importante di questi affluenti è lo Yamuna che chiudendosi con il
Gange, dà vita a uno dei terreni più fertili del subcontinente. La Yamuna-Ganga e il
Brahmaputra, traggono origine dagli stessi ghiacciai del Tibet, anch’essi poco distanti
dall’Indo tanto da far supporre che appartenessero allo stesso bacino lacustre, che si
divise a seguito della nascita dell’Himalaya. La dispersione delle acque in varie
direzioni determinò, dal punto di vista politico, l’odierna suddivisione del subcontinente
in Pakistan, India e Bangladesh che devono la loro sussistenza a questi fiumi.
Il Gange, prima di sfociare nel Golf del Bengala, si unisce a un altro grande fiume, il
Brahmaputra il quale nasce non molto distante dalle sorgenti dell’Indo ma scorre nella
direzione opposta rispetto a quest’ultimo, gira attorno alle pendici dell’Himalaya, entra
nel subcontinente indiano e da ultimo si butta nel Golfo del Bengala.
Un’altra divisione geografica all’interno del subcontinente indiano è quella tra nord e
sud. Tale cesura è data da due catene montuose i Vindhya, più a nord, e i Satpura più a
sud fra cui corre il fiume Narmada che sfocia nel golfo di Cambay, sul mare Arabico. A
sud dei Satpura c’è poi il fiume Tapti che scorre anch’esso come il Narmada da oriente
2
Wolpert Stanley, Storia dell’India, dalle origini della cultura dell’ Indo alla storia di oggi.. Bompiani
Milano, 1985, pag.14
3
Questa striscia è stata nel corso della storia, una via obbligata per gli invasori provenienti dall’Asia
centrale, Ibidem
4
Il cui significato etimologico è proprio terra dei cinque fiumi. Ibidem
9
a occidente. Un’altro ostacolo più impegnativo dei monti, che hanno sempre costituito
una barriera naturale contro le comunicazioni fra India settentrionale e India
meridionale favorendo lo sviluppo di culture indipendenti come e di imperi a nord e a
sud dello spartiacque di Vindya-Satpura-Chota Nagpur, è la presenza di fitte foreste
tropicali, tutt’oggi tra le più selvagge dell’India.
La netta differenza tra la parte peninsulare e quella settentrionale del continente è data
dalle differenze ecologiche. Gran parte dell’area peninsulare forma l’altopiano del
Deccan, stretto lungo le catene montuose del Mar Arabico e del Golfo del Bengala; si
tratta dei Ghati5 occidentali e orientali. Nonostante la presenza dei fiumi Godavari e
Krishna, il Deccan è oggi un territorio arido che va pian piano declinando verso il
territorio fertile e pianeggiante formato dalla punta estrema della penisola, irrigata dal
fiume Cauvery.
Per quanto riguarda il clima, si presenta mite al nord ma per la gran parte del continente
possiamo dire esser subtropicale. Il calore è il dato predominante dell’ecosistema
indiano e questo ci spiega anche perché nell’induismo si trovano divinizzati sole e
fuoco. Il calore ha influito non solo nelle abitudini ma anche nella produttività, fattore
che per esempio si può riscontrare mettendo a confronto la cultura indiana con quella
cinese. Come fa notare lo storico Wolpert, a causa del calore, nella vita e nel pensiero
degli indiani l’acqua ha sempre giocato un ruolo sacrale.
Se nell’india settentrionale i fiumi vengono sempre alimentati dalle nevi, quella
meridionale ha sempre dovuto dipendere dalle piogge tant’è che l’arrivo del monsone a
giugno è sempre accolto con danze tribali e feste locali. Gli stessi venti che ogni anno
portano le piogge in India, portarono con ogni probabilità anche i primi uomini nella
penisola Indiana , via mare attraverso l’Africa orientale.
1.1.2 Le prime civiltà indiane, la Valle dell’Indo
I primi insediamenti nel subcontinente indiano avvengono tra il VII millennio a.C. alla
prima metà del primo millennio a.C. Questo periodo a sua volta può essere diviso in due
fasi. La prima, vede il passaggio dei primi insediamenti umani, intorno al 7.000 a.C., a
civiltà urbane basate sull’agricoltura e sul commercio simile alle civiltà egizie e
mesopotamiche.
Questa civiltà urbana, chiamata civiltà dell’Indo fiorì per circa mille anni, dal 2.600 a.C.
al 1.500 a.C. I reperti archeologi scoperti negli anni venti del XX secolo a ridosso del
fiume Indo, fecero sì che l’archeologo sir John Marshall battezzò questa civiltà con
l’omonimo nome del fiume. La valle dell’Indo si presenta molto simile a quella del Nilo
o del Tigri-Ufrate, quindi molto fertile per l’insediamento di villaggi. Il primo dei
villaggi ritrovati nella valle è stato scoperto nel 1929 nel Sind e ha fornito reperti di
vasellame e anfore dipinte con raffigurazioni di animali domestici, che ci fanno quindi
pensare a un evoluzione della società, altri insediamenti di questo tipo sono stati
rinvenuti a Mohenjo-daro, la grande capitale meridionale della civiltà dell’Indo e ad
Harappa6 i due più importanti siti archeologici di questa civiltà.
Oggi si localizzano nel nord e nel sud del Pakistan e grazie a successivi ritrovamenti
dopo il 1947, si è scoperto che questa civiltà si estendeva ben oltre il Pakistan, fino a
comprendere l’Afghanistan e l’altopiani iranico, mentre a oriente comprendeva tutta la
valle gangetica, una parte del Rajastan e del Gujarat.Questa civiltà raggiunse la piena
maturità fra il 2500 e il 2000 a.C. per poi attraversare una fase di declino, seguita da una
5
Termine che significa gradini. Torri M., Storia dell’india, edizioni Laterza, Bari, 2007, pag. 16
Wolpert Stanley, Storia dell’India, dalle origini della cultura dell’ Indo alla storia di oggi. Bompiani
Milano, 1985, pag. 22
6
10
ripresa e infine una nuova fase di decadenza che poi portò alla sua scomparsa nel 1500
a.C. Grazie a numerosi studi compiuti negli anni Ottanta si è venuto a scoprire, non solo
che esistevamo più centri oltre a quelli di Harappa e Mohenjo-daro, ma che questi erano
sorti non lungo l’Indo ma ai lati del corso del fiume ormai prosciugato che nasceva
nell’Himalaya per poi sfociare in Pakistan. Questo fiume secondo alcuni sarebbe il
mitico fiume Sarasvati, descritto nel Rig-Veda come il più grande dei fiumi, “grande
come l’oceano”7.
La civiltà dell’Indo da quanto riscontrato nei reperti archeologici, conosceva la scrittura,
addomesticava varie specie animali, utilizzava il rame e il bronzo, ma non conosceva
ancora l’uso del ferro e quindi non erano ancora in grado di produrre delle asce che poi
sarebbero servite al disboscamento delle terre vergini, allora coperte da irte foreste.
Nonostante tutto la civiltà dell’Indo raggiunse uno sviluppo tecnologico tale da
realizzare dighe e centri urbani disposti secondo un piano regolatore. Furono ritrovati
sistemi fognari simili a quelli romani e grandi silo destinati alla conservazione della
produzione agricola.
Se all’inizio del periodo, si riscontrarono varie differenze tra i vari centri, a partire dal
2200 a.C. si raggiunse una certa omogeneità, dato che assieme ad altri fa pensare al
passaggio da una società articolata in piccole città stato a un unico impero centralizzato
la cui capitale sarebbe stata Mohenjo-daro.
Per quanto riguarda le caratteristiche politiche e sociali, non si sa tanto, fattori
importanti che ci possono condurre a delle ipotesi sono il non ritrovamento di
monumenti funerari, di palazzi o templi. Tutti i monumenti sopravvissuti hanno fini di
utilità civica, gli stessi utensili inoltre sono stati reperiti anche nei siti di minore
importanza, come se ci fosse una distribuzione della ricchezza in modo egualitario.
Tuttavia ciò che si sa sulla civiltà vallinda rimane sempre ipotetico. Con assoluta
certezza si sa che la sua base economica era quella agraria e che aveva importanti
scambi commerciali con le civiltà mesopotamiche.8
Il crollo della civiltà dell’Indo venne inizialmente spiegato con l’invasione del
subcontinente da parte dei popoli conosciuti come arya o indo-arya, oggi l’ipotesi
prevalente pone l’accento su aspetti più di natura ecologica. Vi furono una serie di
catastrofi: mutamenti tettonici, una riduzione delle precipitazioni piovose, la graduale
salinizzazione delle zone coltivate e l’espansione del deserto e mutamenti di grande
rilevanza nel livello del mare ebbero effetti sui porti dell’Oceano Indiano.Perciò se
anche la civiltà dell’Indo sia scomparsa a seguito dell’invasione arya sicuramente, la
civiltà in sé era già in piena disgregazione.
7
Torri M., Storia dell’india, edizioni Laterza, Bari, 2007, pag. 31
Dato dimostrato grazie al ritrovamento di manufatti della cIviltà dell’Indo nella zona mesopotamica e
manufatti mesopotamici nella cIviltà dell’Indo. Inoltre si riscontra una certa similarità fra i manufatti delle
due cIviltà. Torri M.,op. cit., pag. 33
8
11
Fonte: Atlante storico e altro ancora… http://www.silab.it/storia/as07/images/as07p10.jpg
1.1.3 L’età degli Aryi (1500-1000 a.C. circa )
Intorno al 2000a.C. le tribù barbare seminomadi, che in origine parlavano l’indoeuropeo
e vivevano nella regione tra il Mar Caspio e il Mar Nero, vennero sospinte via dalle loro
terre, e per sopravvivere si spostarono verso la Russia meridionale. Le tribù si mossero
in ogni direzione, frazionandosi in piccole e più chiuse comunità e portandosi dietro il
loro bestiame. Si aprì così un nuovo capitolo sia nella storia europea che in quella
indiana. Ciò che rese inarrestabile il movimento dei popoli indo-europei, fu il fatto che
erano portatori di una rivoluzionaria tecnologia in campo militare: l’utilizzo di carri da
guerra.
Gli ittiti furono i primi indoeuropei a stabilirsi in una nuova patria: troviamo infatti loro
tracce a sud del Cucaso e in Cappadocia Altre tribù si spinsero più avanti, alcune verso
l’Anatolia, altre attraverso la Persia e altre verso oriente. Ma intorno al 1.500 a.C.
queste popolazioni si divisero di nuovo e le tribù con il nome di indoarii, o più
semplicemente arii, si spinsero ancora più a oriente, attraverso le pericolose montagne
dell’Hindu Kush sino all’India. L’invasione così descritta ci fa pensare che gli arya o
indo-arya erano membri di un comune gruppo razziale, quello indo-europeo, in realtà i
legami di parentela dei vari popoli indo-europei erano di tipo linguistico culturale e non
razziale. Infatti la lingua indo-arya , dai cui poi ebbe origine il sanscrito, apparteneva al
ceppo delle lingue indo-europe.
12
Il periodo compreso fra l’arrivo degli arya e il 500 a.C. è caratterizzato dal processo di
conquista ai danni dei popoli aborigeni di pelle scura. È questo processo che poi
spiegherà l’emergere delle quattro caste originarie o varna.
All’arrivo degli arya la società era divisa in tre gruppi: l’aristocrazia guerriera, quella
dei sacerdoti e quella del popolo comune. Questa divisione venne alterata con
l’occupazione della parte nord dell’India e a queste tre classi se ne aggiunse un’altra, la
più bassa. La quarta classe conosciuta come shudra o servitori, nata dal desiderio dei
conquistatori di mantenere la propria purezza razziale, tant’è che entrambe le caste
divennero più chiuse e delimitate dall’endogamia. Questa teoria viene spiegata con il
significato etimologico della parola varna che significa colore9. I tre ordini originari
avrebbero incorporato i conquistatori ariani, mentre la quarta classe sarebbe stata
composta dai popoli conquistati aventi la pelle scura.
Le varie interpretazioni su quest’epoca sono basate sull’analisi dei monumenti letterari
lasciatici dagli arya. Si tratta dei Veda, “libri della conoscenza”. Questi sono libri della
religione arya conservati dai bardi di ciascuna tribù mediante tradizione orale. Il Veda
non è mai stato redatto deliberatamente, esso ha funzionato come patrimonio comune di
famiglie sacerdotali che ne memorizzavano la materia a fini utilitari e la trasmettevano
oralmente nelle scuole in cui si formavano i futuri sacerdoti. E’ per questo che esistono
più Veda con i nomi delle famiglie che ne hanno curato l’ordinamento, ma non si va mai
oltre la variazione del genere in sé, ecco perché i brahmani assicurano che il Veda è uno
solo. Il più antico di questi libri sacri è il Rig-Veda ( letteralmente Veda degli inni)10,
che fa riferimento a un periodo che va dal 1500 al 1000 a.C. mentre gli altri tre libri,
coprono i 500 anni successivi.
Per i sacri testi, che gli indù considerano ancora come letteratura rivelata, vengono
individuati tre stadi nella loro evoluzione. Lo stadio iniziale comprende il Rig-Veda e le
tre antiche collezioni (shamita) di inni e formule magiche: il Shama lo Yajur e l’Atharva
Veda, tutti testi di poesia arcaica. Dello stadio successivo fanno parte una serie di
commentari in prosa a ciascuno dei Veda, che descrivono le procedure per attuare
sacrifici e venerare le divinità e allo stesso tempo esaltano il ruolo della classe
sacerdotale dei brahmani, è per questo che prendono il nome di Brahman. Il terzo
gruppo infine comprende opere di filosofia mistica, che si differenziano da quelle
appartenenti alle due categorie precedenti sia per l’aspetto che per il contenuto religioso,
queste si chiamano Upanishad, e fanno parte del Vedanta cioè fine dei Veda.
Il termine arya, inizialmente aveva il significato di nobile, la gente comune identificata
con il nome vaisya, era di solito divisa in tribù, jana. Nonostante fossero tribù unite dal
punto di vista religioso e contro il nemico11, sembra che queste tribù lottassero sempre
le une contro le altre. La più importante tribù aria era quella dei Bharata, dalla quale poi
presa il nome la più tarda composizione Mabharata. Ciascuna tribù aria aveva i suoi
bardi, ovvero dei sacerdoti i quali avevano solo loro il compito di memorizzare gli inni
vedici e di compiere i sacrifici.
Il territorio abitato dagli arya nel periodo della composizione dei Rig-veda era
conosciuto con il nome di terra dei sette fiumi, all’epoca non conoscevano ancora il
fiume Ganga che, secondo quanto pervenutoci, conobbero solo alla fine del periodo
vedico. Plausibile spiegazione del perché le tribù di invasori si espansero molto
lentamente verso oriente per arrivare a Delhi impiegando circa cinque secoli. Durante
questo lasso di tempo, le lotte, la cooperazione e l’assimilazione tra genti arie e precarie
9
Rimane tutt’ora una teoria molto discussa.
E’ la più antica letteratura indoeuropea e consiste in 1017 inni in sanscrito, indirizzati ai vari dèi arii.
Wolpert Stanley, Storia dell’India, dalle origini della cultura dell’ Indo alla storia di oggi.. Bompiani
Milano, 1985, pag. 30
11
Il nemico veniva chiamato dasa, Wolpert, op. cit., pag.31
10
13
determinò i mutamenti più importanti sia dal punto di vista della società che del
pensiero, sia nella natura della società indigena.12
Per quanto riguarda le origini degli arya, si è sviluppato un ampio dibattito.
La tesi secondo la quale gli aria sono di razza indo-europea, venne appoggiata dalla
casta brahmanica soprattutto per ragioni ideologiche, in quando li metteva sullo stesso
piano dei conquistatori britannici. In tempi recenti, a partire dagli anni ottanta del
ventesimo secolo, la tesi dell’origine autoctona degli aryi è ridiventata popolare fra gli
indù. È infatti da qui che parte e si riconosce il nazionalismo indù, il quale considera gli
indiani autentici, solo quelli di religione indù. Dal momento che i Veda sono stati lasciti
dagli aryi, tramite questa prova si può leggere come gli arya siano originari dell’India.
Nella tesi dell’origine arya, si riconosce la destra indù, mentre alla sinistra si
riconoscono tutti coloro che sostengono la tesi della migrazione. Tesi, che
dimostrerebbe sin dall’inizio che in India vi è sempre stato il sommarsi di diversi gruppi
etnici, nessuno dei quali è più indiano di altri, gruppi che hanno sempre convissuto
armonicamente nonostante vi siano state divisioni etnico religiose. Dall’origine degli
arya nascono così due opposte correnti politiche e ideologiche che ci fanno capire
perché i toni sulla questione siano tutt’ora aspri.
Per quanto riguarda la pretese di identità arya dei vallindi, rimane il fatto che la cultura
vedica e la civiltà dell’Indo appaiono profondamente diverse. La civiltà dell’Indo era
una civiltà urbana che conosceva la scrittura, che conosceva la lingua dravidica e che
come animale venerato aveva il bue. La cultura vedica, nonostante i riferimenti al
mondo urbano nei Veda, era una cultura di nomadi che parlavano una lingua indoeuropea, non conoscevano la scrittura e l’animale di maggiore importanza era il cavallo.
Nel periodo rigvedico corrispondente alla composizione del Rig-Veda conclusasi nel
1000 a.C., la società arya rimase essenzialmente tribale, caratterizzata dalla graduale
evoluzione della pastorizia e dal nomadismo a una vita sedentaria, fondata
sull’agricoltura. Un’altra caratteristica della società vedica era data dalle sue peculiari
stratificazioni sociali, che si riallacciavano a sanzioni di natura religiosa rituale. Fino al
1000 a.C. la loro alimentazione si basava soprattutto di carne e orzo. L’economia era
prevalentemente agraria, la tecnologia era caratterizzata dall’uso del ferro e arrivò al suo
culmine nel VI secolo a.C. con la fioritura di una nuova civiltà urbana.
Ai mutamenti della sfera materiale si accompagnarono quelli della sfera filosofica
religiosa. Nel periodo ragvedico erano evidenti gli stretti rapporti con l’Iran, nel
pantheon arya c’erano gli stessi dei iraniani, Indra, Mitra, Veruna, Savitr, Soma e
Agni13. Solo nel periodo tardo vedico nascono nuove divinità, inizialmente sullo stesso
piano delle vecchie per poi divenire dominanti.
Nell’ età vedica matura, cioè fra il 1000 e il 500 a.C., l’agricoltura divenne nuovamente
l’attività economica dominante, questo unito alla diffusione dell’uso del ferro portò a
una rivoluzionaria fase di espansione economica. Nella valle gangetica si sviluppò un
civiltà urbana caratterizzata da dimensioni superiori a quelle della civiltà dell’Indo e
tutto ciò porto a profonde trasformazioni.
12
La struttura tribale divenne più complessa, al raja venne affiancata la figura del nobile guerriero e
quella dell’assemblea di capifamiglia anziani. I rishi, cioè i saggi nominati dal Rig-Veda erano i primi a
essere avvicinata dal raja per dei consigli. Wolpert Stanley, Storia dell’India, cit., pag. 38
13
A questi documenti vedici si può aggiungere la comparazione con altre religioni indoeuropee. Dal
momento che il sanscrito è una lingua sorella dell’iranico, del greco, del latino, dei dialetti celtici,
germanici, scandinavi, slavi etc., si deduce che le pratiche e le credenze dei primitIvi Indiani siano
anch’esse sorelle delle pratiche e delle credenze degli altri popoli. Il nome del dio Mitra lo s ritrova in
Iran (Mithra) quello di Dyaus Pitar si ritrova in Grecia e a Roma, I Maruti vedici corrispondono al Marte
latino, ecc. Talvolta i nomi differiscono, ma le personalità a cui si riferiscono sono le stesse.
Zimmer Heinrich, Miti e s Simboli dell’India, Adelphi, Milano, 1993
14
Mentre in India si attraversavano queste trasformazioni, in Medio Oriente si andavano
delineando dei cambiamenti. Iniziò il processo di unificazione ad opera della dinastia
persiana degli Achmenidi. Ciro il grande iniziò la sua conquista alla fine del VI secolo
a.C. e alla fine dello stesso secolo aveva un impero comprendente la Mesopotamia,
l’altopiano Iranico e la Cirenaica sino ad inglobare la valle dell’Indo. Se la crescita dal
punto di vista economico la riscontriamo con la costruzione di grandi opere14, dal punto
di vista culturale la si riscontra con una serie di maestri del pensiero. Nel 585 a.C. circa,
Talete di Mileto diede origine alla scuola filosofica ionica, cinquant’anni dopo abbiamo
Senofane che postulò una sostanza originaria singola, un Dio unico e onnipotente. Nel
VI secolo venne fondato il libro rivelato della religione persiano Zoroastro, il Ghata. In
India fecero la comparsa una serie di grandi maestri, come il Buddha e Mahavira, alcuni
dei quali dovevano segnare in maniera decisiva, la civiltà indiana. In Cina invece
apparve la concezione confuciana15, basata sugli insegnamenti del maestro Confucio.
Ciò che avevano in comune tutte queste nuove forme di pensiero, era l’idea che i
principi dell’etica non erano funzione della volontà del potere politico, ma
trascendevano questo potere. Il potere politico doveva conformarsi ed apparire legittimo
ai propri sudditi.
Il processo di trasformazione si concluse nella seconda metà del III secolo, la Grecia
venne portata sotto l’egemonia politica del macedone Filippo II, il cui obbiettivo, la
conquista della Persia venne realizzato dal figlio Alessandro che dopo aver conquistato
l’impero Achmenide, nel 327, entrò in Asia centrale invadendo il subcontinente
Indiano. Le imprese del conquistatore macedone segnarono uno spartiacque a livello
storico.
1.1.4 Dalla fine dell’epoca vedica alla prima unificazione imperiale del continente
I mutamenti a livello culturale politico ed economico si riscontrarono anche in India.
Nella vallata gangetica nel VI secolo di diffuse la civiltà urbana e si completò il
processo di sedentarizzazione, accompagnato dal prevale dell’agricoltura come attività
economica dominante. Questo processo consentì il trasferimento della ricchezza dalle
classi subordinate a quelle dominanti dei brahmani. Se nel periodo vedico questa
ripartizione avveniva attraverso una distribuzione di doni, entro il VI secolo le
donazioni divennero obbligatorie e furono fatte a intervalli regolari ben definiti. Nacque
un vero e proprio sistema di tassazione finalizzato a drenare la ricchezza verso le classi
dominanti. Il mondo agricolo era caratterizzato dalla presenza di agiati commercianti
terrieri che assieme agli artigiani costituivano la classe dominante. L’attività produttiva
degli artigiani alimentò i rapporti commerciali, che a loro volta legavano le varie parti
del subcontinente e l’India al mondo estero. Sarà poi dal sistema di tassazione del
surplus agricolo che si svilupperà l’economia monetaria.
Per quanto riguarda il mutamento sociale, consistette nell’evolversi delle caste, cioè
gruppi sociali delimitati dalla pratica dell’endogamia e della commensalità.
L’espansione della colonizzazione di terre contribuì a marginalizzare le popolazioni
tribali aborigene, le quali sia che vi si integrassero sia che rimanessero ai margini,
costituivano una categoria sociale indiscriminata16.
14
In questa fase storica Atene edificò le lunghe mura e il partendone, i gran re edificarono la strada reale
da Susa a Sardi e i signori della Cina feudale promossero grandi opere di canalizzazione. Torri M., Storia
dell’india, op. cit., pag.50
15
Secondo cui la nobiltà è funzione non della nascita ma dell’educazione e gli elementi del buon vivere
sono dati da bontà, saggezza e coraggio.
16
È in questo modo che emerse il gruppo sociale dei fuori casta.
15
Alla crescita e alla differenziazione dell’economia corrispose a livello politico, la
nascita di veri e propri stati e il processo di unificazione imperiale. Questo processo
iniziò verso il 600 a.C. quando nel nord dell’India iniziarono a sorgere monarchie e
repubbliche, le prime concentrate nella pianura gangetica le seconde lungo la periferia
settentrionale e occidentale cioè nella regione del Punjab. Le repubbliche, formate da
una singola tribù o da una confederazione di tribù segnano la fase di passaggio dal
periodo tribale a quello monarchico. Anche se l’ordine monarchico rappresenta la fase
successiva alle repubbliche aristocratiche, il passaggio da una fase all’altra non fu
rapido e irreversibile. Lo scontro della monarchia di Magadha con la confederazione di
Vrijis e la vittoria della prima sulla seconda, sono considerati il momento di svolta nella
lotta fra i due sistemi politici.
L’espansione dei traffici commerciali favorì anche lo sviluppo della lingua scritta, il
sanscrito iniziò ad assumere sempre più carattere di lingua per i colti brahamani, che
diventavano sempre più potenti.
Nacquero inoltre nuove correnti filosofiche e nuove dottrine in riferimento alla
preesistente letteratura vedica. E’ questo il caso della filosofia delle Upanishad delle
nuove correnti filosofiche che si discostavano dalla tradizione vedica; fra queste correnti
ebbero poi origine due religioni: il jainismo e il buddismo.
1.1.5 Upanishad, Jainismo e Buddismo
Le Upanishad furono le prime a cercare di dare una risposta religioso-filosofica alle
esigenze lasciate insoddisfatte dalla dottrina vedica, con esse venne enunciato uno dei
concetti fondamentali della successiva tradizione filosofica indù: il grande segreto
dell’identità fra l’anima universale ( il brahman) e l’anima individuale (l’atman). Nelle
Upanishad c’è l’affermazione che tutti gli essersi e tutte le cose sono compartecipi
dell’anima cosmica e che “come da un fuoco che arde si sprigionano a migliaia scintille
simili a lui, così dall’essere immutabile hanno origine esseri di ogni specie che a lui
ritornano”.17 Nelle Upanishad viene espressa l’idea che in ogni caso, l’anima
individuale dopo la morte, tornerà automaticamente all’anima universale. Quindi le
azioni buone o cattive non hanno nessun peso mentre acquistano importanza il
comportamento logico della non azione. Ciò che le Upanishad affermano dal punto di
vista etico è l’insistenza sulla necessità di ricercare la verità e di attenersi ad essa. Ma
sicuramente il messaggio delle Upanishad non rappresentò una risposta soddisfacente
alle risposte etiche e religiose dell’epoca dal momento che iniziarono a fiorire una serie
di scuole eretiche rispetto alla tradizione del pensiero vedico.
In questo periodo si diffuse anche un forte senso di impotenza, e i primi che cercarono
di trovare una via di salvezza, parlando di concezione etnica dell’esistenza, furono il
fondatore del Jianismo, Vardhamana Mahavira, e il fondatore del buddhismo,
Siddharta detto il Buddha.
La vita dei due maestri si colloca fra la metà del VI e la metà del V secolo a.C.
Entrambi cercarono di offrire una via d’uscita al pessimismo che si basava nell’attivo
operare del singolo, anche se con modalità diverse. Il Buddha predicava una vita basata
su eccessivo rigore ed eccessiva indulgenza verso se stessi, Mahariva invece
sottolineava la necessità di un ascetismo dalle forme estreme.
Le concezioni basilari del buddismo vennero enunciate dal maestro subito dopo
l’illuminazione, nel discorso delle quattro “Nobili Verità” a Varanasi. La prima verità è
che la vita è una vita di dolore, la seconda verità è che il dolore è l’inevitabile
conseguenza del desiderio, la terza è che al dolore si può porre termine solo attraverso
17
Cit. Schweiter 1983 pag. 30; Torri M., Storia dell’India, cit., pag. 58
16
l’eliminazione del desiderio, la quarta è che il desiderio si può eliminare solo
percorrendo il nobile sentiero: retta visione, retta decisione, retto eloquio, retta condotta,
retto stile di vita, retto sforzo, retta attenzione, retta concentrazione.18
Secondo il Buddha è il desiderio che lega il singolo alla ruota delle vite e delle morti. Il
singolo deve rompere questo processo attraverso il raggiungimento del Nirvana, termine
che significa estinzione e rappresenta la fine dell’essenza dell’io individuale e
dall’effettivo raggiungimento di uno stato di suprema beatitudine. Il raggiungimento di
questa condizione si basa sulla pratica di un comportamento altruistico e nel rifiuto di
qualsiasi eccesso. Solo attraverso l’altruismo si può eliminare la sofferenza umana.
Se da un lato la dottrina del Buddha si basa sulla non permanenza e l’illusorietà del
reale, l’insegnamento di Mahavira si basa sull’idea che non esiste l’anima individuale
come entità a sé stante, ma che tutto ha un anima, compresi gli oggetti inanimati.
Quest’anima che si chiama jiva cioè “vita” non si identifica con l’anima universale , ma
è un’entità ben definita la cui essenza è caratterizzata da purezza, beatitudine,
onniscienza e autosufficienza. Vivere comporta una compenetrazione dell’anima
individuale con la materia attraverso un legame detto karma, una “ specie di anima,
sottile, che fluisce nell’anima essenzialmente attraverso gli organi sensoriali”19. È
appunto il karma che incatenando l’anima alla materia lo condanna alla sofferenza della
vita, sia al ciclo perenne delle reincarnazioni. Secondo Mahavira ogni azione, parola e
pensiero hanno un preciso nesso casuale con l’indebolirsi del karma20. Se per i non
induisti, jainismo e buddismo sono religioni a sé, gli indù le considerano più o meno
varianti della tradizione induista. Sicuramente alcuni tratti della tradizione indù matura
sono assenti nel pensiero vedico, i quali furono elaborati storicamente da Buddha e
Mahavira. E’ il caso della dottrina della reincarnazione, totalmente assente nel pensiero
vedico. Un’altro tratto dell’induismo proveniente dal jaisnismo è il concetto di non
violenza, ahisma, non riscontrabile nel periodo vedico dal momento che gli stessi
brahmani nelle celebrazioni attuavano cruenti sacrifici umani.
La grande crescita di queste due religioni era data dal fatto che venivano adottate da
uomini che in quel periodo stavano emergendo ai vertici della società, pur non
appartenendo a classi di sacerdoti o brahmani21. Non a caso la maggior parte dei seguaci
facevano parte degli strati intermedi dei mercanti, finanzieri e artigiani. Il carattere
borghese del jainismo e del buddismo alla fine diventò però anche il loro limite. Queste
tradizioni, non riuscirono mai a divenire patrimonio delle grandi masse contadine. Sia il
buddismo che il jainismo erano concezioni troppo raffinante per sostituirsi agli dèi
locali adorati dalle popolazioni contadine, inoltre il jainismo con la sua filosofia del
rispetto di ogni forma di vita, non si prestava ad essere adottato da coloro che
lavoravano la terra, uccidendo gli insetti e gli animali che vi vivevano. Entrambe le
correnti infatti decaddero in parallelo con la crescita e la decadenza delle classi di
mercanti e artigiani che le adottarono.
1.1.6 I Maurya e l’era post Maurya
Lo sviluppo economico portò alla nascita del primo stato panindiano: quello dei Maurya
che arrivò a comprendere non solo tutto il continente ma anche una parte di quello
18
Torri M., Storia dell’India, cit., pag. 63
Torri M.,op. cit., pag. 64
20
Atti egoistici e crudeli generano un karma negativo, mentre gli atti altruistici non generano alcun
karma, mentre la volontaria sofferenza eliminano il karma già accumulato. Torri M., p. cit., pag. 65
21
E’ il caso di Chandragupta, il fondatore universale dell’universo dei Maurya, che negli ultimi anni di
vita si convertì al jainismo.
19
17
afghano. L’impero dei Maurya non durò a lungo (321-185 a.C.) ma l’idea
dell’unificazione, da loro attuata, sotto il controllo di un unico centro di potere da
questo momento divenne una costante del pensiero politico.
Nel 326 a.C. Alessandro Magno entrò nel subcontinente per restarci sino al 317 a.C. Ma
l’uomo che in India cercò di attuare il sogno di Alessandro Magno22, fu Chandragupta
Maurya per poi essere portato avanti dal figlio di Chandragupta, Bindusara, che regnò
all’incirca tra il 293 e il 268 a.C.
A Bindusara succedette Ashoka, il quale riuscì ad estendere sempre più il domino
Maurya, ma soprattutto fu il primo a convertirsi al buddismo.23
Se anche dopo la conversione l’imperatore continuò a comportarsi con benignità nei
confronti di tutte le religioni, cercò allo stesso tempo di uniformare il proprio stile di
governo ai principi etici buddisti. Ashoka teorizzò e praticò una politica basata
sull’amicizia con i regni confinanti, e fece sì che le sue idee venissero incise su rupi o
colonne per farle diventare degli editti. Questi, avevano il compito di diffondere quanto
più possibile la nuova ideologia imperiale basata sul concetto di dhamma24 e i suoi
quattro punti essenziali: 1) la benevolenza verso tutti gli esseri umani; 2) il rispetto
verso tutte le credenze religiose; 3) la non violenza; 4) la preoccupazione di portare a
termine opere di pubblico interesse.
Con la morte di Ashoka nel 233 o 232 a.C. l’impero iniziò il suo collasso. I territori a
sud della Narmada si sottrassero al controllo Maurya e il resto dell’impero fu suddiviso
fra il suoi tre figli. Circa 50 anni dopo, di queste monarchie ne rimaneva solo una
attorno alla vecchia capitale di Pataliputra.
Con il declino e la scomparsa dell’impero Maurya (circa 185 a.C.) ebbe termine il primo
episodio di unificazione imperiale del subcontinente. A questo seguì un lungo periodo
di frammentazione politica destinato a terminare con l’ascesa dell’impero Gupta.
Questa fase storica nonostante le periodiche invasione da parte di popoli proveniente
dall’Asia centrale, appare caratterizzata dal fiorire dei commerci a noi pervenutoci
anche grazie all’apertura della via della seta. Cambiarono inoltre molte delle vecchie
concezioni religiose, dando origine a religioni del tutto nuove, innovative rispetto alle
precedenti e caratterizzate da analogie reciproche. Nel Mediterraneo si diffuse il
cristianesimo mentre nel continente indiano si diffuse una nuova forma di buddismo e ci
fu una profonda trasformazione della tradizione religiosa brahmanica.
Se l’unificazione politica venne meno, l’unificazione commerciale si rivelò sempre più
efficace.
Dal punto di vista delle invasioni, la parte più colpita fu sicuramente quella del nord.
Con la fine del III secolo a.C., una confederazione di gruppi tribali mongoli e turchi,
sotto la leadership degli hsiung-nu, un popolo di lingua turca, divennero l’origine ultima
delle invasioni in India. Nel 208 a.C. gli hsiung-nu si impadronirono della Mongolia
minacciando la Cina, con la quale raggiunse un accordo nel 200 a.C., a seguito del quale
la popolazione di origine turca iniziò a spingersi verso Occidente e a creare grossi
movimenti migratori da parte di tutte quelle persone che non volevano sottomettersi al
loro potere e che mantenevano un forte desiderio di indipendenza. Popolazioni che
avevano in comune un fattore fondamentale, la lingua iranica. Fu così che gli sciiti
entrarono in India attraverso il passo del Bolan, mentre i Kushana entrarono attraverso i
22
E quindi i creare un impero universale
Con la guerra di Kalinga, che causò centinaia di morti, e le enormi sofferenze umane che si
susseguirono crearono una profonda crisi morale da parte del monarca che poi sfociò nella conversione.
Torri M., Storia dell’India, op. cit., pag. 81
24
Concezione volta a definire criteri di moralità pubblica e privata in cui si riconoscessero sia le diverse
classi sociali, sia gli svariati gruppi etnici presenti nell’impero. Torri M., op. cit. pag. 83
23
18
passi del Nord-ovest. A queste invasioni si aggiunse quella greca, che durò sino al 135
a.C. per poi essere susseguita dall’impero dei Shaka e quello dei Kushana.
Come ho già accennato, in questo periodo nacquero nuove religioni. Le preesistenti
religioni dominanti dell’epoca si presentavano come un metodo per mantenere relazioni
con i poteri sovrannaturali, obbiettivi che persero importanza e vennero soppiantati dal
raggiungimento di una vita di eterna beatitudine nell’aldilà, perseguibile attraverso un
comportamento etico in questo mondo. Idea completamente diversa a quella presente
fino ad allora, fondata sul fatto che la vita eterna era perseguibile solo attraverso la
celebrazione dei riti.
Le tradizioni nate in questo periodo sono caratterizzate da delle analogie di fondo che si
sono sicuramente trasmesse, nel caso del cristianesimo e del buddismo, grazie ai fiorenti
scambi commerciali ma anche grazie a una forte somiglianza della configurazione
sociale tra quella mediterranea e quella gangetica. Entrambe possedevano una classe
dominante, che risiedeva nelle città, e una classe più povera identificabile con la massa
contadina. Ciò che accomuna l’occidente con l’oriente sotto questo punto di vista è il
fatto che la cultura alta non penetrò mai ai livelli inferiori della società. Essa non venne
mai accettata dalla classe contadina25 che rimaneva portatrice della cultura costituita
dalle tradizioni religiose popolari. Il mondo urbano era inoltre attraversato da varie
spaccature etniche, ragion per cui abbracciarono con favore queste nuove religioni
vedendo in esse un nesso per potersi reintegrare nel contesto sociale dal quale
continuavano a essere emarginati.
La nuova forma di buddismo che emerse in questo periodo fu quella mahayana.
Secondo questa tradizione il Buddha iniziò a essere considerato come una figura divina
tanto da porsi al di sopra degli dèi del pantheon brahmanico. Il Buddha era quindi un
dio e lo diventò nel momento in cui raggiunse la perfezione con la sua morte andando
oltre il Nirvana. Nonostante la sua vitalità il buddismo mahayana, non riuscì mai a
penetrare in profondità tra le varie classi contadine dell’India.
Nell’era post-Mauryana, ebbe invece più successo la religione brahmanica, la quale non
godendo dell’appoggio delle classi superiori, si rivolse al mondo rurale26. A partire dal
200 a.C. l’atteggiamento dei brahmani verso le classi contadine iniziò a cambiare,
vennero riproposti i concetti di brahman e rincarnazione, già presenti nelle Upanishad,
attraverso l’assimilazione e l’integrazione delle credenze locali. Gli dèi vedici
scomparvero ed emersero nuovi dèi, come il caso del grande dio Shiva. Il risultato di
questo processo fu la creazione di una nuova religione definita induismo27 e incentrata
su tre figure principali: Brahma, Vishnu, Shiva.
Questa visione dell’induismo è un quadro interpretativo venuto in essere nel XIX
secolo, quando intellettuali europei e indiani cercarono di descrivere un insieme
variegato di religioni che si costituirono attraverso la fusione del brahmanesimo e delle
antiche religioni contadine, come una religione unitaria. Queste religioni avevano in
comune il gran numero di dèi; in ognuna vi era una divinità suprema che presiedeva una
molteplicità di divinità minori. Nel corso del tempo, questa divinità suprema divenne il
dio Vishnu o il dio Shiva. Si formò in seguito la tradizione religiosa, secondo cui Vishnu
e Shiva discendessero periodicamente su questa terra, sotto varie forme, avatar, col fine
25
Spesso questo processo fu voluto dalle stesse classi dominanti, come nel caso dei brahmani.
La connessione tra brahmani e mondo rurale è sempre esistita grazie alla capacità dei brahmani di
organizzare il ciclo agricolo attraverso le conoscenze di astronomiche.
27
II termine indù venne usato per la prima volta dagli invasori arabi nell’ VIII secolo per definire le
popolazioni autoctone del continente indiano, inizialmente il termine non aveva connotazione religiosa.
Torri M., Storia dell’India, pag. 60
26
19
di stabilire l’ordine ed eliminare il male. La credenza degli avatar permise ai brahmani
di assimilare alcune divinità al pantheon indù28.
1.1.7 Dal Regno dei Gupta alle prime invasioni musulmane
Con l’ascesa al trono di Chandra Gupta I, all’incirca nel 319 o 320 d.C. iniziò una
nuova dinastia, che costruì un impero comprendente la vallata indo-gangetica, la
regione dei monti Vindhya e il Gujarat. Una delle caratteristiche del regno Gupta fu
l’emergere dell’induismo come tradizione dominante dell’India e il conseguente declino
del buddismo.
Dal punto di vista culturale vi fu il rifiorire del sanscrito. I buddisti o jaina
abbandonarono i pracriti e adottarono il sanscrito per i loro scritti religiosi e filosofici,
compresi quelli di natura polemica contro le correnti induiste.
La perdita d’importanza del buddismo fu inoltre favorita dalla scelta da parte degli
imperatori Gupta della religione induista, che all’epoca aveva un peso maggiore nella
società. I Gupta videro nell’induismo un’arma ideologica tale, da dare una ragione alle
loro ambizioni imperiali. Essendo le loro origini incerte, come altre dinastie, usarono la
religione induista come strumento per darsi forza. L’induismo li avvantaggiava perché il
monarca veniva proclamato come una figura divina, anche se poi doveva sempre
rispettare le leggi che regolavano l’ordine sociale. Fu in questo periodo che assunsero la
loro forma scritta le due più famose opere letterarie: il Mahabharata e il Ramayana29. E
sempre in ambito letterario bisogna ricordare i Purana30.
Ma gli sviluppi di questo periodo non furono solo positivi. Si solidificarono le divisioni
castali e anche il ruolo della donna si deteriorò. Con la scomparsa del buddismo,
religione che le aveva fornito una certa protezione sociale, le donne divennero
praticamente schiave esattamente come stabiliva la concezione cavalleresca dei Gupta.
Sempre a questo periodo viene fatto risalire l’ideale socialmente lodevole del
matrimonio in età prepuberale e del mantenimento del celibato da parte delle vedove.
Quest’ultimo finì poi per trovare l’estensione della pratica sociale del sati, il suicidio
della vedova nella pira funeraria del marito.31
Il regno dei Gupta si disintegrò dopo la morte dell’ultimo grande imperatore della
dinastia nel 497. Le invasioni degli unni all’inizio del VI secolo e la sconfitta
dell’esercito dei Gupta a opera del capo Toramana nel 510, ne segnarono la fine. In
seguito l’India settentrionale si frantumò nuovamente in numerosi regni indù
indipendenti.
Mentre l’India del sud manteneva il suo carattere induista, quella del nord veniva invasa
dagli eserciti musulmani. L’artefice dell’invasione musulmana fu Mahmud Ghazni.
Tra il 1001 e il 1027 Ghazni scatenò varie spedizioni contro l’India del nord arrivando a
conquistare la valle indo-gangetica e razziare vari templi induisti.Queste conquiste
permisero agli invasori successivi di conquistare ampi territori. Con la morte di Ghazni
28
E’ il caso di Krishna , che inizialmente non era un Dio appartenente al pantheon brahmanico ma che
venne aggiunto come uno dei più potenti avatar del Dio Vishnu. Lo stesso buddismo una volta sparito
vide l’assimilazione del Buddha come avatar di Vishnu.
29
I Mahabarata si distingue per essere il più gigantesco poema epico del mondo e narra le vicende tra
due famiglie parenti ma rivali, i Kaurava e i Pandava. Mentre il Ramayana , è più breve e narra il
rapimento della virtuosa Sita da parte del demone Ravana e la ricerca e liberazione di Sita, tenuta
prigioniera a Lanka ( Ceylon). Torri M., Storia dell’India, cit., pag. 125
30
Insieme di miti e dialoghi filosofici di famiglie regnanti dell’India centro-settentrionale, sono una sorta
di profezie e di miti religiosi. Torri M., op. cit., pag.126
31
Il primo caso di sati, risale al 510 e fa riferimento al suicidio volontario della vedova di uno dei caduti
nella battaglia di Eran, la battaglia che chiuse definitivamente l’epoca dei Gupta. Torri M., op. cit.,132
20
nel 1033, la capitale del regno, che portava lo stesso suo nome, venne conquistata prima
dai selgiuchidi e poi dai Ghur provenienti dall’Afghanistan occidentale.
Nel 1911 Mohammed di Ghur penetrò in India combattendo i sovrani induisti, dai quali
venne sconfitto una prima volta, per poi ritornare l’anno seguente e impossessarsi dei
territori sino alla città di Delhi. Pian piano l’impero musulmano si estese sino al sud,
formando un regno separato nel Bengala.
Con la morte di Mohammed, nel 1206, Qutb-ud-din, uno dei suoi generali, divenne il
primo sultano di Delhi. Nacque così il sultanato di Delhi che difese l’impero dai
tentativi di incursione mongoli.
1.2. Alla Religione
1.2.1 Sacro e profano
Dopo questo breve excursus storico per capire come nacquero e si diffusero le religioni
in India, bisogna ora cercare di capire come si può definire qualcosa di sacro e la
relazione che questo ha con la religione e la storia.
Analizzando il fenomeno religioso ci si trova davanti alla contrapposizione tra sacro e
profano e le maggiori difficoltà si riscontrano quando si vuole delimitare la sfera della
nozione di sacro. Quasi dappertutto ci si trova davanti a fenomeni religiosi complessi,
che presuppongono una lunga evoluzione storica.
Volendo delimitare e definire il sacro è necessario avere una quantità sufficiente di
sacralità, cioè di fatti sacri intesi come riti, miti, forme divine, oggetti sacri e venerati,
simboli, cosmologie, teologumeni, uomini consacrati, animali, piante, luoghi sacri etc.
I documenti che ci parlano di sacro sono da considerarsi tali nel momento in cui
esprimono: 1) modalità di sacro in quanto ierofania32 2) e rivelano, in quanto momento
storico, la posizione dell’uomo rispetto al sacro. Un esempio può essere tratto dal testo
vedico rivolto al morto: “striscia verso la terra , tua genitrice! Possa ella salvarti dal
nulla”33 ,esso ci mostra come la Terra venga considerata come una madre, ma ci rivela
allo stesso tempo un certo momento nella storia delle religioni indiane: il momento in
cui la Terra era valorizzata come protettrice contro il nulla, valorizzazione che la
riforma upanishadica e la predicazione del Buddha renderanno poi caduca.
La comprensione si realizza sempre nella cornice della storia, il fatto stesso che ci sia la
presenza di ierofanie significa che siamo in presenza di documenti storici, il sacro si
manifesta sempre in una certa situazione storica. Le esperienze mistiche subiscono
l’influenza del momento storico.
La ierofania è sempre un atto misterioso, la manifestazione di qualcosa di
completamente diverso, di una realtà che non appartiene al nostro mondo. L’uomo
occidentale moderno, come fa notare Mircea Eliade, prova un certo disagio di fronte a
talune forme di manifestazione del sacro: gli è difficile accettare che per certi esseri
umani, il sacro possa manifestarsi nelle pietre o negli alberi. Ma non si tratta di venerare
la pietra o l’albero in se stessi, la pietra sacra e l’albero sacro non sono adorati in quanto
tali ma in quanto ierofanie, perché mostrano qualcosa che non è più né pietra né albero,
ma il sacro, il ganz andere.34
32
Termine che indica la manifestazione del sacro, come fa notare Mircea Eliade nel testo il sacro e il
Profano, la storia delle religioni è costituita dall’accumularsi di ierofanie ossia dalla manifestazione di
realtà sacre.
33
Rigveda X, 18, 10, Eliade Mircea, Trattato di Storia delle Religioni, Bollati Boringhieri, Torino, 2001,
pag. 4
34
Eliade Mircea, Il Sacro e il Profano, cit., pag. 15
21
Con la manifestazione del sacro cessa di essere se stesso e diventa un’altra continuando
a far parte del proprio ambiente. Per coloro che hanno un esperienza religiosa tutta la
natura può rivelarsi sacralità cosmica. Il Cosmo nella sua totalità può diventare
ierofania.
Il Cosmo desacralizzato è una scoperta recente dello spirito umano, l’uomo primitivo ha
sempre cercato di vivere nel sacro e nell’intimità degli oggetti consacrati, il sacro per
l’uomo ha sempre rappresentato la potenza, mentre la desacralizzazione caratterizza la
vita dell’uomo non religioso delle società moderne.
Il sacro e il profano non sono altro che due modi d’essere del mondo, due situazioni
esistenziali assunte dall’uomo nel corso della storia. Sacro e profano dipendono dalle
differenti posizioni che l’uomo ha conquistato nel Cosmo. E’ normale che buona parte
delle diverse esperienze scaturiscono da differenze di economia, di cultura e di
organizzazione sociale. Chiaramente, una società preagricola specializzata nella caccia
non sentiva con la stessa intensità la sacralità della Terra Madre. Nonostante tutto tra
cacciatori nomadi e cacciatori sedentari esiste una similitudine: entrambi vivono in un
cosmo sacralizzato, fanno parte di una sacralità cosmica manifesta sia nel mondo
animale che in quello vegetale.
1.2.2 Lo spazio sacro e la cosmogonia
Per l’uomo religioso, lo spazio non è omogeneo ma si presenta con varie spaccature,
aspetto riscontrabile anche nelle scritture cristiane: “ Non ti avvicinare – disse il Signore
a Mosè- togliti i calzari, poiché il luogo in cui ti trovi è santo” (Esodo, 3.5)35.
Vi è dunque uno spazio sacro che ha una sua forza, e vi sono spazi non consacrati, cioè
amorfi. Per il religioso la non omogeneità dello spazio contrappone lo spazio sacro e
tutto ciò che lo circonda. Nel momento in cui il sacro di manifesta viene interrotta
l’omogeneità dello spazio e avviene la rivelazione di una realtà assoluta, in opposizione
alla non realtà. La manifestazione del sacro fonda il Mondo e la ierofania rivela un
punto fisso e centrale. L’uomo ha bisogno di un orientamento per vivere e quindi di un
inizio, ha bisogno di fondare il Mondo perché nessuno può nascere nel caos della
omogeneità. La scoperta di un centro equivale così alla Creazione del Mondo.
Questa visione si contrappone a quella profana, per la quale il mondo è omogeneo e
neutro, anche se poi conserva delle tracce di valore religioso. Esistono anche per il
profano dei luoghi privilegiati diversi dagli altri, come il paese natale, il luogo dei primi
amori o una strada che ricorda la gioventù passata. Tutti luoghi che anche per l’uomo
non religioso, hanno una qualità “unica”, sono “luoghi santi” del suo universo privato.
Le società tradizionali si costituiscono dall’opposizione tra il territorio da esse abitato e
lo spazio circostante sconosciuto e indeterminato. Si ha la contrapposizione tra il
Mondo, il Cosmo, e una specie di altro mondo caotico popolato da demoni e fantasmi.
Da una parte il Cosmo, inteso come luogo abitato e dall’altra il Caos. Ma se qualsiasi
luogo abitato è un Cosmo, lo si deve al fatto che è stato consacrato. Perché è opera degli
dèi. Tutto questo lo si può ritrovare nel rito vedico relativo alla conquista di un
territorio. Il possesso acquista valore legale nel momento in cui si costruisce un altare
del fuoco in onore della divinità Agni. Con l’erezione dell’altare del fuoco, Agni diviene
presente ed è assicurata la comunicazione con gli dèi: lo spazio dell’altare diviene
spazio sacro.
L’altare ad Agni non è altro che la riproduzione a livello microscopico della Creazione.
L’acqua con cui si impasta l’argilla è simile a quella primordiale, l’argilla con la quale
si crea l’altare è il simbolo della Terra, le pareti rappresentano l’atmosfera ecc. Come ci
35
Eliade Mircea, Il Sacro e il Profano, cit., pag. 19
22
fa notare Mircea Eliade l’elevazione dell’altare, come convalida della conquista del
territorio, equivale a una cosmogonia.
Ciò che deve diventare il nostro mondo deve essere prima di tutto creato e ogni
creazione ha il suo modello esemplare nella Creazione dell’universo per opera degli
dèi36.La cosmizzazione dei territori è sempre una consacrazione: organizzando uno
spazio si ripete sempre l’opera esemplare degli dèi. Stabilirsi in un territorio significa
consacrarlo, significa organizzarlo, abitarlo.
Nel punto in cui, attraverso una ierofania, si è effettuata la rottura dei livelli, si è
contemporaneamente verificata un’apertura verso l’alto o verso il basso. I tre livelli
cosmici, Terra, Cielo, Regioni Inferiori diventano comunicanti fra loro. La
comunicazione tra questi tre elementi viene spesso espressa attraverso l’immagine di
una colonna situata sempre al centro dell’Universo e attorno ad essa, si estende il
mondo abitabile. Si tenta di ricreare il “Sistema Mondo”37 delle società tradizionali: a)
un luogo sacro costituisce un punto di rottura nell’omogeneità dello spazio, b) la rottura
si manifesta attraverso un apertura attraverso la quale è possibile il passaggio da una
ragione cosmica all’altra, c) la comunicazione con il Cielo avviene attraverso una serie
di immagini che possono essere quella del pilastro, della scala, della montagna,
dell’albero, della liana, d) attorno all’asse cosmico si estende il Mondo, ecco perché
l’asse è al centro della terra, di conseguenza ne risulta che il vero mondo ne è al Centro.
Un universo nasce dal suo proprio centro, estendendosi dal punto centrale che è come il
suo ombelico38. Una volta scoperto il valore del Centro ci è facile capire anche perché
ogni istituzione umana ripete la Creazione del Mondo, partendo da un punto centrale.
Anche il villaggio, esattamente come l’Universo, si sviluppa dal centro, e quindi si
costituisce partendo da un incrocio di strade. La costruzione della casa per la società
tradizionale acquista un significato vitale per il singolo individuo ma anche per la
comunità. La costruzione è una sorta di imitazione dell’opera divina. Spesso, infatti, in
molte popolazioni primitive, la dimora aveva un palo centrale che collegava la casa alla
Terra e al Cielo, nella struttura stessa dell’abitazione si poteva rintracciare il simbolismo
cosmico. Per quanto riguarda la cultura indiana la casa viene paragonata al Cosmo. Nel
momento in cui si posa la prima pietra, l’astrologo indica il punto nel quale si trova il
serpente che sostiene il mondo. Il muratore taglierà il palo conficcandolo nel terreno con
lo scopo di centrare la testa del serpente. Questo gesto riprende l’atto cosmogonico.
Conficcare il palo nella testa del serpente equivale a imitare il gesto di Soma o Indra
che, secondo il Rg-Veda “Ha scovato il serpente nella sua tana” e gli ha tagliato la testa
con il suo sguardo di fuoco. Il serpente rappresenta il Caos, l’amorfo, ciò che non si
conosce. Decapitarlo equivale a un atto di creazione: il passaggio dal virtuale al
formale.
La costruzione dell’abitazione viene quasi sempre preceduta cronologicamente, dal
luogo santo. Tutti i simboli e i riti riguardanti i templi, le città, le case, derivano, in
ultima analisi, dalla primaria esperienza dello spazio sacro.
Nelle grandi civiltà orientali, Mesopotamia, Egitto, Cina, India il tempio ha avuto una
nuova valorizzazione. Non è soltanto un imago mundi, ma anche la riproduzione sulla
terra di un modello trascendente. Il tempio rappresenta ma allo stesso tempo contiene il
Mondo. L’uomo religioso ha una profonda nostalgia del “mondo divino”, di avere una
casa che assomigli alla “casa degli dei”, rappresentata nei templi e nei santuari. Questa
36
Ma questo atteggiamento religioso lo si ritrova anche in Occidente, i conquistarli spagnoli o portoghesi,
si impadronivano del territorio in nome di Cristo, ergendo la croce consacravano il territorio.
37
Eliade Mircea, Il Sacro e il Profano, op. cit.., pag. 29
38
In questo modo, secondo le scritture del Rg-Veda, X, 149 , nasce e si sviluppa l’Universo, da un nucleo
da un punto centrale. Eliade Mircea, op. cit., pag. 33
23
nostalgia religiosa esprime il desiderio di vivere in un Cosmo puro e santo, così com’era
quando uscì dalle mani del creatore.39
L’identificazione nel mondo naturale con la divinità è diffusa in molte teleologie indù,
ma forse non ci sono scritture così dirette come Bhagavata Purana all’interno della
quale si legge che l’intero mondo è il corpo di un dio, conosciuto come Krishna. Gli
alberi per esempio sono i cappelli del suo corpo, le montagne le sue ossa e i fiumi le sue
vene e le sue arterie. Come un giocoso giovane, Dio appare contento del suo corpo
provando piacere nella bellezza della natura. In particolare Bhagavata ci dice che
Krishna era particolarmente deliziato dalla vista delle foreste della città di Vrindavan,
dalla montagna Govardana e dai suoi fiumi riferendosi alla Yamuna. Queste tre
rappresentano speciali forme di divinità. A questo punto c’è da chiedersi quali sono le
implicazioni che questi ideali testuali hanno nella vita culturale religiosa. La foresta di
Vrindavan per esempio è adorata come la dea Vrnda Devi, spesso rappresentata come
una pianta tulasi; la montagna Govardhana è rappresentata come la naturale forma di
Kirshna; le rocce di questa montagna sono bagnate, decorate, nutrite e rappresentate
come parti del corpo di Krishna. La terza caratteristica del paesaggio divino è quella del
fiume Yamuna che nella letteratura Puranica è un potente fiume che rimuove i peccati di
tutti coloro che si bagnano nelle sue acque dando al credente la possibilità di
raggiungere il paradiso.
I miti cosmogonici si muovono attorno all’idea che l’universo si è costituito
gradatamente, a partire da un “caos”originario, simboleggiato dall’immagine di
un’acqua “senza limiti”. In questo stadio tutto è tenebra indistinta , non sussiste né
tempo né esistenza40, una sorta di uovo che galleggia sulla superficie dell’onda senza
limiti. Ma viene un momento in cui esso desidera moltiplicarsi41, questo desiderio lo
riscalda e l’uovo si spezza e le due metà del guscio diventano il Cielo e la Terra, l’essere
è divenuto l’Uno, il demiurgo che il Veda chiama Prajapati “Padre di tutti gli esseri”.
Egli stabilizza la luce , la terra, sorregge il cielo, crea infine gli dei e il primo uomo:
Yama che, con sua sorella Yami, genera una prima razza umana. E’ l’età dell’oro, la
parola è unica, tutti parlano lo stesso linguaggio. Ma le cose vanno male e un diluvio,
provocato dagli dei, annienta tutti gli uomini tranne uno: Manu, che viene salvato dalle
acque per ripopolare la terra.
Ma vi sono anche altre versioni che hanno interferito con quella sopraccitata rendendola
più drammatica. Prajapati, dopo aver fissato il cielo e la terra, dopo aver separato la
luce dalle tenebre, ha fatto comparire gli dèi, i quali decisero di celebrare il primo
sacrificio. Ma l’universo non era popolato da esseri viventi, esistevano solo gli dèi e dal
momento
che non potevano essere fatti sacrifici senza vittime, gli dèi si
impossessarono di Prajapati e lo immolarono. Smembrando la vittima fanno comparire
il sole e la luna, il vento il fuoco, i punti cardinali. L’umanità nella sua strutturazione
gerarchica è creata dalla bocca dalle braccia dalle gambe e dai piedi di Purusa42. Questa
versione della creazione, a differenza dell’altra vede un ruolo attivo degli dèi, aventi
funzione creatrice. Ma entrambe le versioni hanno in comune una cosa: l’immagine di
Prajapati, divinità maschile, padre delle creature avente ruolo attivo nel mondo
indoeuropeo e un ruolo inferiore nella religione vedica.
39
Ivi, pag. 46
La tenebra che nei testi viene chiamato il non essere (a-sad). Puech (a cura di), Le religioni
dell’Estremo Oriente, Biblioteca Universale Laterza, Editori Laterza, Bari, 1988, pag. 41
41
Qui subentra il tema del desiderio: kama=eros, Ibidem
42
Nome attribuito a Prajapati come vittima sacrificale. Il significato della parola è “uomo”. Puech (a cura
di) op. cit., pag. 42
40
24
Alcune parti del Veda tendono a porre l’accento non sul demiurgo ma su qualche cosa
che i testi indicano con il pronome neutro tad “quello”43. L’Atharvaveda-Samhita
riprendeva questa terminologia identificandola con tad ekam “questo mistero
o unico”, con il Brahman. In base al contesto questa potenza è una forza cosmogonica
responsabile della nascita e dell’evoluzione dell’universo delle forme: il Brahman
dunque è al d fuori di questo mondo e se agisce sulla terra o tra gli dei è perché ha scelto
deliberatamente di venire a manifestarvisi. Altrove il Brahaman è considerato
immanente: è sempre e dovunque presente in un universo che non ha né principio né
fine. Uomini e dèi possono utilizzare questa forza se sanno come raggiungerla. Entra
così il tema della conoscenza che da l’onnipotenza a chi la possiede; colui che sa in
questo modo si colloca al di sopra degli stessi dèi. La religione vedica ufficiale deriva
da quest’ultimo modo di considerare il Brahaman e i testi precisano che la via più sicura
per raggiungerlo è quella della liturgia. Secondo il Veda solo quelli che sanno hanno
accesso alla parola vera, quella che mette in moto ogni cosa in questo mondo e
nell’altro. Le Upanishad amplificano questo tema fino a identificare l’assoluto con la
sillaba Om, nella quale si ritiene si condensi l’intero Veda. Ciò deriva dal fatto che il
suono Om si recita prima e dopo ogni pratica rituale.
Nelle religioni indiane, solitamente la struttura del macrocosmo la si tende a ritrovare
anche nel microcosmo, infatti gli inni dell’Atharva-Veda, i Brahmana e tutte le
Upanishad affermano che nel cuore dell’uomo risiede una potenza sacra che lo illumina
come farebbe il fuoco o il sole. Questo prodigio, che si trova nell’intimo di ciascuno si
chiama Atman, il cui significato è anima. L’Atman è sorgente di vita come lo sono il
fuoco e il sole, divinità alle quali viene costantemente assimilato44.
Il Veda, dice esplicitamente che l’Atman non risiede all’interno dell’essere umano sin
dalla nascita ma entra nel corpo umano e si stabilisce nel cuore al momento
dell’iniziazione45.Per quanto riguarda l’ingresso dell’Atman, nei testi si trovano due
spiegazioni possibili: l’Atman concesso da qualche divinità suprema come se fosse una
grazia, oppure l’Atman che deve essere costruito dall’uomo per mezzo dei riti compiuti
nella pratica della religione. Nel primo caso l’Atman si identifica con Vishnu, che si
chiama anche Narayana, nel secondo caso l’Atman si identifica con il Brahman.
L’identificazione dell’anima umana con quella del mondo fa perdere importanza agli
dèi, e danno vita al concetto monastico. Ma questo concetto non toglie importanza al
carattere dualistico che contrappone lo spirito alla materia, dio alla natura e quindi
Purusa e Prakrti.
In Purusa, riconosciamo il nome che riceve Prajapati nel ruolo di vittima sacrificale in
una delle cosmogonie del Rg-Veda. L’unione permanente del Purusa e del Prakrti
spiega l’esistenza dell’universo. Nell’uomo si ritrovano le stesse contrapposizioni:
un’anima (maschile) e una base materiale (il corpo) la cui unione dura tutta la vita.
Quella che noi chiamiamo morte, dipende dal dissolversi di questa unione per poi
rinnovarsi altrove. La grazia concessa dal signore in una vita post mortem non può
essere che transitoria o quantomeno non costituisce un’effettiva soluzione. Coloro che
sanno, aspirano a raggiungere uno stadio spirituale che trascenda la dialettica PurusaPrakrti.
43
) Ibidem
Altre volte si preferisce identificarlo con il vento, intendendo Atman come soffio vitale anche se le
Upanishad preferiscono impiegare il termine in prana. Varenne Jean, La Religione Vedica, Le Religioni
dell’Estremo Oriente, India Cina Giappone, Biblioteca Universale Laterza, Editori Laterza, Bari, 1988,
pag.20
45
Varenne Jean, op. cit, pag.44
44
25
1.2.3 Mito: modello esemplare
Il mito narra una storia sacra, cioè un evento primordiale che ha avuto luogo all’inizio.
Raccontare una storia sacra significa rivelare un mistero, dato che i personaggi dei miti
non sono esseri umani: sono dèi o eroi, abbiamo un motivo in più per credere che le loro
gesta costituiscano dei misteri che l’uomo non poteva conoscere se non gli fossero stati
rivelati. Il mito è la rappresentazione di ciò che gli dèi o gli esseri divini hanno fatto in
principio. Una volta rivelato il mito si stabilisce la verità assoluta. Ecco perché il mito
parla sempre di cose reali, di ciò che è realmente accaduto, di ciò che si è manifestato
totalmente.
Si tratta sicuramente di realtà sacre, dato che il sacro è il reale per eccellenza. Tutto ciò
che è profano non fa parte dell’essere. Ciò che gli uomini fanno di loro iniziativa senza
nessun esemplare mitico, appartiene alla sfera profana. Più l’uomo è religioso e più ha
modelli esemplari a sua disposizione cui uniformare i suoi comportamenti e le sue
azioni.
Il mito rivela la sacralità assoluta, perché racconta l’attività creatrice degli dèi, in altre
parole descrive le varie e a volte drammatiche irruzioni del sacro nel mondo. Ogni mito
rivela la nascita di una realtà o di un frammento di essa. Raccontando come le cose sono
nate, se ne dà la spiegazione e si risponde automaticamente alla domanda: perché sono
nate? Un perché sottointeso nel come. Raccontando com’è nata una cosa, viene rivelata
l’irruzione del sacro nel Mondo, causa finale di ogni esistenza reale.
Ogni cosa creata essendo opera degli dèi rappresenta un irruzione di energia creatrice
nel Mondo. “Dobbiamo fare ciò che gli dèi fecero in principio” dice un testo indiano46 e
ancora da un altro testo: “Così hanno fatto gli dèi, così devono fare gli uomini”47.
La principale funzione del mito è quindi quella di stabilire i modelli esemplari di tutti i
riti e di tutte le attività umane significative: alimentazione, sessualità, lavoro,
educazione, ecc. Comportandosi come essere umano responsabile, l’uomo imita i gesti
degli dèi, ripete le loro azioni e ripetendo ciò che facevano gli dèi si ha un doppio
risultato: 1) da un lato l’uomo si mantiene nel sacro e quindi nella realtà, 2) dall’altro, il
mondo viene semplificato dalla ininterrotta ritualizzazione dei gesti divini ed esemplari.
Il comportamento religioso degli uomini contribuisce a conservare la santità del mondo.
Bisogna inoltre notare come l’uomo religioso non è dato: ma si fa da sé avvicinandosi ai
modelli divini. Questi modelli, sono conservati dai miti e dalla storia delle gesta divine,
di conseguenza l’uomo religioso si considera fatto per la storia, ma l’unica storia che lo
interessa è la storia sacra, cioè quella degli dèi; mentre l’uomo profano si considera
proveniente solo dalla storia umana.
1.2.4 Le acque e il simbolismo acquatico
Le acque simboleggiano la totalità delle virtualità, sono la matrice di tutte le possibilità
di esistenza. Un testo indiano recita: “Acqua tu sei la fonte di tutte le cose e di ogni
esistenza”48. Le acque sono il fondamento del mondo intero, sono l’essenza della
vegetazione, l’elisir dell’immortalità, assicurano la lunga vita e sono il principio di ogni
guarigione.49
46
Sata-patha-brahmana,VII,2,1,4. Eliade Mircea, Il Sacro e il Profano, op. cit., pag. 64
Taittiriya-brahmana, I,5,IX,4. Ivi, pag.65
48
Eliade Mircea, Trattato di Storia delle Religioni, Bollati Boringhieri, Torino, 2001, pag. 169
49
Satapatha Brahmani, VI, 8, 2, 2; XII, 5, 2, 14. Ibidem
47
26
Le acque simboleggiano la sostanzia primordiale da cui nascono tutte le forme, e alle
quali tornano per regressione o cataclisma; furono al principio e tornano alla fine di ogni
ciclo storico o cosmico. Esisteranno sempre ma mai sole, dal momento che sono
germinative e racchiudono la virtualità di tutte le forme. Nella cosmogonia: le acque
precedono ogni forma e sostengono ogni creazione50.
Ricca di germi l’acqua feconda la terra, gli animali e le donne. Spesso viene paragonata
alla Luna che ne regola i ritmi dando al divenire universale una struttura ciclica. La
spirale, lumaca,(che rappresenta la luna) la donna, l’acqua, il pesce, appartengono
costituzionalmente allo stesso simbolismo di fecondità verificabile su tutti i piani
cosmici. La mitologia indiana è quella che ha reso più popolare il tema delle acque
primordiali sulle quali galleggiava Narayana, dal cui ombelico spuntava l’albero
cosmico.51 L’uno dopo l’altro nascono gli altri dèi Veruna, Prajapati, Purusa o
Brahman, Narayana o Visnu, che esprimo sempre lo stesso mito dell’acqua. Con il
tempo questa cosmogonia acquatica la si ritrovò anche nell’arte decorativa: la pianta o
l’albero sorgono dalla bocca o dall’ombelico di uno Yaksa, da un mostro marino, da una
lumaca o da un vaso, mai però da un simbolo che rappresenti la Terra.52 Questo perché
le acque precedono ogni creazione.Oltre all’immagine di Narayana che galleggiava
nelle acque primordiali e dal centro del suo ombelico nasceva la vita, c’è la variante di
Vishnu, che nella sua terza reincarnazione in cinghiale gigantesco, scende nelle
profondità delle acque primordiali e tira su la terra dall’abisso53.
L’acqua diventa così sostanza magica, medicinale per eccellenza; guarisce,
ringiovanisce, assicura la vita eterna. Il prototipo dell’acqua è “l’acqua viva”, le fontane
di giovinezza, l’Acqua della vita ecc.. sono le formule mitiche di una stessa realtà
metafisica e religiosa: nell’acqua risiedono la vita, il vigore e l’eternità.
Ancora ai giorni nostri i bambini malati, in Cornovaglia, vengono tuffati tre volte nel
pozzo di San Mandron e sempre in Francia esistono un numero notevole di pozzi, o
sorgenti che risanano; in India le malattie vengono gettate nell’acqua54 che assorbe il
male grazie al suo potere di disintegrare e assimilare tutte le forme.
La purificazione per mezzo dell’acqua ha le stesse proprietà. Tutto si scioglie nell’acqua
ogni forma si disintegra, qualsiasi sostanza viene abolita, tutto ciò che esisteva prima di
un immersione nell’acque non rimane. L’immersione equivale sul piano umano alla
morte, sul piano cosmico alla catastrofe e al diluvio che scioglie il mondo nell’Oceano
primordiale. Tutto ciò che viene immerso in essa “muore” e uscendone è simile a un
bambino senza peccati in grado di iniziare una nuova vita55.
Lo stesso meccanismo spiega l’immersione delle statue in uso nel mondo antico e
reperibile in varie religioni. Per esempio l’immersione del crocifisso o di statue della
Madonna e dei santi per scongiurare la siccità e ottenere la pioggia, si praticava dai
cattolici sin dal XIII secolo.56Nei testi vedici l’acqua viene identificata con il termine
apah e viene considerata come mezzo purificatore, come vero elemento spirituale “la
prima porta per raggiungere l’ordine divino”57.
50
Ivi, pag. 170
Nella tradizione puranica all’albero viene sostituito il loto, dal quale nasce Brama, etimologicamente:
nato dal loto.
52
Coosmaraswamy, Yaksa II, Eliade Mircea, Trattato di Storia delle Religioni, op. cit., pag. 170
53
Taittiriya Brahmana, I, 1, 2, 5, Satapatha BR., XIV, I, 2, 11,; cfr. Ramayana, Ayodhya kanda, CX, 4;
Mahabharata, Vana-Prana, CXLII, 28-62, 49-55;Bhagavata Purana, III, 13 ecc.
54
Ronnow, Trita Aptya, pag.36 e seg., Eliade Mircea, Trattato di Storia delle Religioni, op. cit., pag. 175
55
Ragione per la quale i morti in India vengono cremati su una pira galleggiante nell’acqua sacra del
Gange.
56
Ivi, op. cit., pag.177
57
Atharva Veda, Fallace T. and Coles A., Gender, Water and development, Oxford, New York: Berg,
2005, pag. 41
51
27
Durante l’atto del bagno, non è l’acqua in sé, ma entrando in contatto con la sacralità
dell’acqua si può raggiungere la conoscenza che guida l’essere all’eterno sé.
Qualsiasi peccato è in me, qualsiasi cosa sbagliata io possa aver fatto, se ho detto una
bugia o falsamente bestemmiato, Acque rimuovete tutto lontano a me58.
L’acqua è considerata sacra, ma uno non prega all’acqua ma alla sorgente di vita e
spiritualità all’interno dell’acqua. Acqua considerata come purificata ma anche
purificatrice come la reale e spirituale fonte di vita.59
1.2.5 La religione vedica e l’Induismo
I testi vedici sono raggruppati in quattro grandi sezioni, ognuna delle quali porta il nome
di Veda.60
Abbiamo il Rg-Veda, ossia il sapere sotto forma di stanze, il Yajur-Veda, il sapere sotto
forma di formule liturgiche, il Sama-Veda, sotto forma di melodie liturgiche, infine
l’Atharva-Veda, ossia il sapere nella forma propria degli Atharvan, nome di una
particolare casta di sacerdoti..
Ciascun Veda contiene numerosi elementi che potrebbero trovare posto in uno
qualunque degli altri tre, spesso sezioni molto ampie sono interamente comuni.
Le stesse parti rituali, coprono sia l’insieme del culto che la parte del sacrificio che
riguarda ad esempio il cantore o il sacerdote incaricato di pronunciare le formule rituali.
All’interno dei Veda, poesia e prosa vengono separate tra di loro e spesso l’espressione
poetica si riteneva di maggior pregio, dal momento che la prosa vedica serviva soltanto
a commentare i poemi e a descrivere le cerimonie del culto.
Da qui nasce la classificazione: a) collezioni poetiche( Samhita); b) i Trattati rituali
(Kalpasutra); c) i Brahmana, raccolte di prosa destinate al commento delle precedenti.
Questi Brahmana si prolungano: d) negli Aranyaka, raccolte di commento di cerimonie
minori, e: e) nelle Upanisad61, testi in prosa o versi destinati alla speculazione teologica.
Queste denominazioni sono differentemente usate per designare le opere vediche con
l’indicazione del Veda da cui provengono e spesso della famiglia liturgica che le ha
tramandate.
Alla fine del periodo dei Brahmana, si ha una graduale trasformazione della religione
vedica, questo processo iniziato lentamente nelle Aranyaka62 diventa manifesto
all’interno delle Upanisad.
Allo stesso tempo la religione avanza dal punto di vista geografico, verso est e verso
sud. Le trasformazioni sono prodotte da una pressione interna e allo stesso tempo
58
cit. Rg Veda , Atharva Veda, Fallace T. and Coles A., Gender, Water and development, cit., pag. 41
Baartmans F., Apah the sacred waters; an Analysis of Primordial Symbol in Hindu Myths, Delhi, Br
Publishing., pag. 20
60
Un fenomeno analogo a quello del vangelo, che si considera unico ma alla fine si presenta in quattro
redazioni: secondo Marco, secondo Luca, ecc. Varenne Jean, La Religione Vedica, Le Religioni
dell’Estremo Oriente, India Cina Giappone, cit., pag. 5
61
sono certamente quelle che hanno ottenuto il maggiore successo in Occidente. Ognuna delle scuole
vediche possiede la sua Upanishad, a volte designata con il nome della scuola, a volte invece con le
parole iniziali. In realtà le Upanisad di epoca vedica non sono più di una quindicina: le altre duecento
circa, conservateci dalla tradizione sono state concepite in epoche molto più recenti e concernono pratiche
e credenze sconosciute ai Veda, come il Tantrismo e il culto di Shiva. Ivi, pag.13
62
Sono dei brevi testi, usati come appendice ai testi brahmani. Sono testi riferiti a pratiche rituali
marginali, spesso di carattere magico che spesso si consigliava di studiare “nel bosco”, cioè lontano dalle
normali comunità di insegnamento insediate nelle città e nei villaggi. Varenne Jean, La Religione Vedica,
Le Religioni dell’Estremo Oriente, India Cina Giappone, cit., pag.12
59
28
esterna. Così la religione, che viene detta vedica per la fase precedente, nella quale era
stata introdotta da poco nella parte settentrionale dell’India, nella fase più recente verrà
indicata con il termine Brahmanesimo. Termine che indica sia l’attaccamento alla
credenza nel Brahman, sia l’importanza del ruolo svolto dalla casta sacerdotale. Essa
prende anche il nome di induismo, termine di origine geografica pervenutoci con i
musulmani. Hindu, forma iranica di Sindhu, indicava inizialmente alcune tribù insediate
sulle rive dell’omonimo fiume, che noi chiamiamo Indo. Le idee religiose di queste
comunità si diffusero in tutto il Nord e poi nella penisola; per contagio la
denominazione si è diffusa in tutto il continente perdendo il suo significato originario.
Al tempo della conquista islamica gli invasori lo applicarono a tutti coloro che non
accettavano la religione del Profeta.
Il termine Indù esclude così tutti coloro che sfuggono da questa duplice caratteristica:
buddisti, jainisti, musulmani, cristiani. Dal punto di vista interno sembra che la
trasformazione sia avvenuta cambiando le nozioni, di dharma a quella di rta, che prende
le mosse dalle Upanishad. Entrambe rappresentano la regola e la legge cosmica.
Rta, indicava il mondo del concatenato, una nozione cosmica alla quale corrisponde il
concatenamento del sacrificio dove il processo rituale riproduce quello cosmico.
La nozione di dharma, ha anch’essa una nozione cosmica che riveste
contemporaneamente un aspetto morale. Il dharma è la legge che sottende l’universo, e
gli oggetti che formano l’universo hanno a sua volta il loro dharma. Ogni uomo ha il
suo dharma particolare, svadharma, una norma morale molto più che fisica, il dharma
appare come legge morale ma anche legge cosmica.
Quando il Brahmanesimo induista si sostituisce al Brahmanesimo vedico, il sovrano
inizia a proteggere il mondo più con la sua retta condotta che non con il sacrificio63,
cambiano così i rapporti tra uomo e divino64.
Tra rta e dharma esiste oltre che qualcosa di antitetico, qualcosa di complementare.
L’indiano dei tempi vedici non vedeva altro che vantaggi materiali procurati dal
sacrificio e l’aldilà si fermava alla visione di una seconda vita che occorreva mantenere
con l’aiuto di offerte.
Dal giorno in cui si inizia a credere che ciascuna azione, brahman, compiuta nel corso
della vita può avere conseguenze nelle future esistenze dell’uomo che si susseguono,
samara, cambia anche il punto di vista. L’azione malvagia comporta un compenso
cattivo, l’azione buona condiziona la natura del soggetto che la compie. Le vite che si
ripetono in continuazione fanno parte della metafisica indiana, il timore di una
trasgressione morale prevale su quello di una trasgressione rituale. Mentre l’errore
tecnico era facilmente evitabile, quello morale era più insinuante e provocava l’angoscia
metafisica.65 Il dharma rimane così il garante di tutta la vita religiosa e morale indiana
che si perpetua ancora oggi.
63
Nel sacrificio antico era essenziale la precisione rituale: un sovrano,contribuiva al sostegno
dell’universo nella misura in cui offriva vittime e pagava gli officianti perché facessero oblazioni
destinate a garantire l’ordine cosmico. Esnoul Anne-Marie, L’Induismo, Le Religioni dell’Estremo
Oriente, India Cina Giappone, cit., pag. 56
64
Buona parte dei riti di espiazione derivanti dal vedismo e venivano attuati con lo scopo di redimersi da
errori rituali mentre in epoca induista hanno lo scopo di redimere gli errori morali. Esnoul Anne-Marie,
op. cit. 56
65
Ibidem
29
Secondo Capitolo
Acqua per la vita e dighe per il progresso?
2.1 Acqua per la vita
2.1.1 Crisi idrica a livello globale
Con il significato di acqua, il Corano dice: “noi diamo vita a tutto”66 da questa semplice
frase si estrapola una profonda verità: l’essere umano ha bisogno dell’acqua esattamente
come dell’ossigeno, senza di essa la vita non esisterebbe. Il popolo ne ha bisogno per la
cura personale, per la dignità, per i bisogni e il sostentamento familiare ha inoltre
necessità che l’acqua sostenga il sistema economico e dia dei contributi a livello di
produzione affinché si possa mantenere un buon livello di vita.
Ultimamente lo sviluppo umano viene collegato allo sviluppo del proprio potenziale, su
ciò che l’uomo può fare e può diventare grazie alla libertà di scelta e di azione. L’acqua
pervade tutti gli aspetti dello sviluppo umano. Quando a un essere umano viene negato
l’accesso all’acqua potabile nella propria abitazione o l’utilizzo dell’acqua nel sistema
produttivo, in qualche modo viene costretto a una salute precaria, alla povertà e alla
vulnerabilità.
L’acqua da vita a tutto: compreso l’essere umano. Il corpo umano stesso è fatto per il
70% di acqua e senza di essa non possiamo vivere. Nonostante tutto ci troviamo ad
affrontare una forte crisi idrica che va a peggiorare di anno in anno.
Con il termine crisi idrica si indica quella situazione tale per cui la quantità di acqua
disponibile pro capite è inferiore 1.000 metri cubi l’anno. Al di sotto di questa soglia lo
sviluppo economico di un paese è fortemente ostacolato. Oggi 1,1 miliardi di persone
dei paesi in via di sviluppo non hanno un adeguato accesso all’acqua e 2,6 milioni sono
carenti in prestazioni sanitarie di base (tabella 1)67. Queste due carenze sono radicate
nelle scelte e nelle istituzioni politiche e non nella disponibilità dell’acqua. L’utilizzo
dell’acqua in campo domestico rappresenta una piccola frazione68, il vero problema è la
forte disparità nell’accesso all’acqua pulita e l’igiene a livello domestico.
In zone cittadine ad alto reddito, dell’Asia, dell’America Latina e dell’Africa
Subsahariana, la gente ha accesso a diversi centinaia di litri di acqua al giorno a basso
costo distribuiti nelle case dalle aziende pubbliche. Allo stesso tempo, nei quartieri
poveri degli stessi paesi si ha accesso a meno di 20litri di acqua al giorno a persona,
necessaria a ricoprire i principali bisogni umani. Le donne e le ragazze sono quelle che
sentono di più questo peso, dal momento che passano parte della giornata a raccogliere
l’acqua per sostentarsi.
In tutto il mondo l’agricoltura e l’industria si devono adeguare per contenere i danni
idrologici. Nonostante la scarsità sia ormai un fattore appurato e quindi un problema
comune, nono viene comunque percepito nello stesso modo da tutti. In India pompe di
irrigazione estraggono acqua dalle sorgenti 24 ore al giorno per i contadini benestanti,
mentre i vicini piccoli proprietari dipendono dalle instabili piogge69. Anche in questo
66
Watkins Kevin, Human Develompment Report 2006, Beyond scarcity: power, poverty and the global
water crisis, UNDP, New York, 2006, pag.2
67
Ibidem.
68
Solitamente meno del 5% del totale. Ibidem
69
Ibidem
30
caso la causa della scarsità nella maggioranza dei casi dipende non da carenze fisiche di
rifornimenti ma da cause politiche e istituzionali.
In molti paesi la scarsità è il prodotto di politiche pubbliche che hanno incoraggiato la
sovrautilizzazione dell’acqua attraverso sussidi, deprezzamento e pratiche
discriminatorie. Oltre al problema acqua a livello domestico e industriale, c’è la sempre
maggiore esclusione della popolazione povera alla quale viene negato l’accesso sia per
la stessa condizione di povertà, ma anche per via di diritti non riconosciuti o politiche
pubbliche discriminatorie. Quando si arriva all’acqua, in molti paesi lo schema è sempre
lo stesso, il povero è colui che paga maggiormente i costi dello sviluppo umano avendo
però minor accesso al bene ricavato; in questo caso l’acqua.
“Il diritto umano all’acqua”, dichiara la Commissione delle Nazioni Unite dei diritti
economici sociali e culturali, “ da diritto a ciascuno, ad avere accesso all’acqua
fisicamente e civilmente sia per uso personale che domestico”.70 Questi punti
rappresentano le fondamenta per la sicurezza dell’acqua, anche se ancora oggi vengono
violati.
I Poveri non hanno accesso all’acqua pulita e per averla pagano anche cifre esorbitanti.
E’ qui che entra in campo la privatizzazione dell’acqua. Una buona fetta della
popolazione mondiale inizia a rifornirsi di acqua dai mercati privati. Ormai l’acqua
conta più del petrolio e come l’oro nero tutti ne vogliono di più. Cresce il divario tra
disponibilità e domanda, e in nome suo aumentano dovunque competizione e
conflittualità.
Ma perché la scarsità di acqua è un problema? In parte perché l’acqua, come la salute
non viene equamente distribuita tra i paesi, l’accesso all’acqua richiede infrastrutture e a
sua volta l’accesso alle infrastrutture è influenzato dalle politiche fra stati e fra quelle
all’interno di ciascuno di essi. Oggi circa 700 milioni di persone in 43 paesi vivono
sotto la soglia minima dell’utilizzo di acqua; se la richiesta di acqua si dovesse
intensificare in Cina, India e Africa Subsahariana, si arriverà nel 2025 a una quota pari a
3 miliardi71.
Il problema dell’acqua è strettamente collegato al problema ambientale. In Cina i fiumi
non sfociano più nel mare, in India le falde acquifere si prosciugano e le uniche
soluzioni realmente efficaci sarebbero quelle dell’ecologia dell’acqua.
La crisi idrica che, come abbiamo detto colpisce soprattutto i paesi in via di sviluppo, si
costituisce al concorrere di diversi fattori: cambiamento climatico, cattiva gestione a
livello statale e poca considerazione a livello ecologico della natura che ci circonda.
2.1.2 Cambiamento climatico
L’impatto della crisi del clima sulle forme di vita viene mediato dall’acqua attraverso
inondazioni, cicloni, calore e siccità. La furia dell’acqua può essere domata attraverso il
controllo dell’anidride carbonica, oggi a livelli altissimi. La destabilizzazione climatica
iniziata con l’industrializzazione si è aggravata solo di recente. Nel 1850 la presenza di
biossido di carbonio nell’aria era di 280 parti per milione, a metà degli anni novanta era
arrivata a 360 ppm.72Questa crisi climatica che a noi si manifesta sotto forma di
inondazioni, siccità, ondate di calore e inverni gelidi, è il risultato dell’inquinamento
aggravato dalle regioni più ricche del mondo.
Con l’aumento del biossido di carbonio, le molecole intrappolano calore causando
l’innalzamento della temperatura globale. Assieme ad altri gas, come il metano
70
Watkins Kevin, Human Develompment Report 2006, Beyond scarcity: power, poverty and the global
water crisis, UNDP, New York, 2006, pag.9
71
Watkins Kevin, op.cit, pag.14
72
Vandana Shiva, Le guerre dell’acqua, Feltrinelli, Milano 2006, pag. 54
31
Figure 10.12
Intergovernmental Panel on Climate Change , Climate Change2007:Syntesys Report, http://www.ipcc.ch/
e l’azoto, l’impatto dell’anidride carbonica diventa anche più dannoso.
Il rapporto dell’ Ipcc, Intergovernmental Panel on Climate Change, rivela come le
emissioni prodotte dalla combustione di gas stiano intrappolando una quantità di calore
superiore alla norma. Undici tra gli ultimi dodici anni sono stati i più caldi del pianeta
(1995-2006)73 causando carenza nei raccolti, siccità, aumento di malattie, alluvioni,
frane e cicloni. Come sempre le principali vittime dei disastri climatici sono quelle che
hanno le responsabilità minori nel creare le condizioni di destabilizzazione.
Nonostante il riconoscimento mondiale del mutamento climatico e l’impegno a
combattere il riscaldamento globale, gli Stati Uniti si oppongono all’applicazione
dell’accordo raggiunto a Kyoto per ridurre i gas serra, benché questi ne producano più
del 25%, la parte maggiore relazionata agli altri paesi.
Sempre secondo gli ultimi studi compiuti dalla IPCC, le variazioni climatiche, causate
soprattutto dalle emissioni di gas emessi dalle industrie, fanno aumentare le temperature
dei mari tropicali intensificando le precipitazioni, che assieme all’innalzamento del
mare minacciano di inondare zone costiere e aumentare la salinità delle fonti acquifere.
L’innalzamento del mare aumenterebbe inoltre il rischio cicloni, come quello avvenuto
nell’Orissa in India74. Non sono da meno le alluvioni e gli uragani. Nel 1995
un’inondazione in Bangladesh ha colpito quasi 19 milioni di persone, l’isola di St
Thomas nei Carabi è stata devastata dagli uragani, la Francia e i Paesi Bassi vengono
73
Intergovernmental Panel on Climate Change , Climate Change2007:Syntesys Report .
Il ciclone avvenne nel 1999 ad una velocità del vento pari a 260 Km all’ora rispetto alla media passata
dei 73Km all’ora. Vandana Shiva, Le guerre dell’acqua, cit., pag. 57
74
32
colpiti da piogge e alluvioni senza precedenti75. O c’è troppa acqua o e n’è troppo poca
ed entrambe gli stremi costituiscono una minaccia alla sopravvivenza.
A causa dei cambiamenti climatici la temperatura della terra è aumentata di 0,4-0,8
gradi rispetto a un secolo fa. Secondo la popolazione locale, il ghiacciaio di Gangotri, la
principale fonte perenne del potente fiume Gange, sta recedendo di 5 metri all’anno.
Il cambiamento climatico sta trasformando la natura, le temperature si alzano e la stessa
Convenzione sul Cambiamento Climatico tenutasi nel 1992 mette in guardia i governi,
sostenendo: che dove ci sono rischi di seri danni, la carenza di certezze scientifiche non
deve essere una ragione per posporre l’azione. Ma nonostante tutto, le varie avvertenze
hanno continuato a essere ignorate76.
Il riscaldamento globale trasformerà la disponibilità di acqua; le aree carenti ne avranno
sempre meno, le correnti dei fiumi saranno meno praticabili e soggette a eventi estremi.
I risultati che ci si aspetta di avere in futuro saranno77:
Riduzione del mercato dell’acqua in Sud Africa e Africa dell’est
L’arresto del sistema produttivo, con un totale di 75-125 milioni di persone che
moriranno di fame
• L’accelerazione dello scioglimento dei ghiacciai che condurrà a una diminuzione
di acqua in un gruppo specifico di paesi: Asia dell’est, sud Asia e America Latina.
• La scomparsa dei monsoni nel sud dell’Asia con conseguente diminuzione di
giorni di pioggia e aumento della siccità.
• L’aumento del livello del mare che porterà a una perdita del delta di alcuni fiumi
come in Egitto, Bangladesh, Tailandia.
•
•
La risposta internazionale ai problemi dell’acqua posti dal cambiamento climatico è
stata sino a oggi inadeguata. Gli sforzi multilaterali, comprendenti il protocollo di
Kyoto non vengono sempre rispettati; raggiungere gli scopi preposti dal protocollo per
il 2012 significa controllare di più le politiche energetiche e adottare tecnologie più
pulite.
Il cambiamento climatico non è una minaccia futura, ma una realtà alla quale la gente e
i paesi si devono adattare.
L’adeguamento più importante è sicuramente da attuarsi nel campo agricolo, fortemente
influenzato dalle precipitazioni che vanno sempre più a diminuire. Ma anche qui, gli
aiuti internazionali che dovrebbero servire come pietre miliari per un adeguamento
mondiale al cambiamento, in realtà sono inadeguati. Secondo il resoconto dello
sviluppo umano del 2006 promosso dall’ UNDP, gli aiuti sono precipitati in termini
assoluti e relativi nell’ultima decade. Per i paesi in via di sviluppo l’aiuto internazionale
è passato da 4,9 miliardi di dollari all’anno a 3,2 miliardi, dal 12% al 3,5% all’anno.
Sicuramente questi dati non aiutano al rapido adattamento.
I paesi che si trovano ad affrontare cambiamenti dal punto di vista dell’acqua,
dovrebbero cercare di attuare delle strategie mirate, come promuove l’ UNDP78:
Sviluppare delle risorse intergate di acqua all’interno dei limiti della sostenibilità
ecologica e quindi creare dei programmi per tutte le sorgenti di acqua.
• Mettere l’equità e gli interessi dei poveri al centro della gestione
•
75
Vandana Shiva, Le guerre dell’acqua, cit., pag. 57
Watkins Kevin, Human Develompment Report 2006, Beyond scarcity: power, poverty and the global
water crisis, cit., pag. 20
77
Ibidem
78
Watkins Kevin, op. cit., pag. 16
76
33
•
•
•
•
•
•
Far si che la gestione dell’acqua faccia parte delle strategie nazionali per la
riduzione della povertà.
Riconoscere il vero valore dell’acqua, attraverso delle appropriate politiche di
prezzo e attraverso procedure nazionali che ritirino i sussidi per l’incoraggiamento
dell’abuso di acqua.
Incoraggiare l’utilizzo di acqua attraverso una sicura fonte di acqua distinta per
usi produttivi e di lavoro da quella per usi domestici.
Aumentare gli aiuti nazionali e internazionali per investimenti in infrastruttura
d’acqua.
Rispondere al surriscaldamento globale dando enfasi alle strategie di adattamento
nell’amministrazione delle politiche dell’acqua e degli aiuti.
Triplicare gli aiuti all’agricoltura
A spiegare la crisi dell’acqua ci sono due paradigmi contrastanti: il paradigma del
mercato e quello ecologico. Il primo vede la scarsità idrica come derivante dall’assenza
di commercio dell’acqua. Come affermano Anderson e Snyder:
Al crescere del prezzo di una merce si tende a ridurre il consumo e a cercare mezzi
alternativi per raggiungere il fine desiderato. L’acqua non fa eccezione.79
I limiti ecologici come anche quelli economici della povertà, non vengono mai presi in
considerazione dal mercato. Lo sfruttamento e la scarsità dell’acqua sono problemi a cui
il mercato non riesce a rimediare attraverso la sostituzione con altre merci. La crisi
dell’acqua è una crisi ecologica che ha cause commerciali ma non soluzioni di mercato.
Le soluzioni di mercato distruggono la terra e aumentano le disuguaglianze.
Secondo V. Shiva la soluzione alla crisi ecologica è l’ecologia di pari passo con la
democrazia. Per fermare la crisi dell’acqua ci vuole una rinascita della democrazia
ecologica.
2.1.3 Ecologia dell’acqua
Sarà in grado la terra di sostenere un’economia globale in continua crescita e di
assorbire al tempo stesso l’inquinamento che lo sviluppo economico produce ?
Per calcolare lo spazio ecologico occupato dall’umanità, a livello nazionale e globale, lo
studioso Wackernagel ha sviluppato un concetto noto come “impronta ecologica”.
L’analisi dell’impronta misura la “quantità di natura” consumata da un’economia e
quindi le risorse di cui essa si alimenta e i rifiuti che produce. La misurazione avviene
utilizzando un unico sistema metrico (gli ettari globali di terra e acqua)80. India, Cina,
Europa, Stati Uniti e Giappone vivono tutti al di sopra della loro capacità ecologica.
Le economie più sviluppate stanno consumando il loro capitale ecologico abbattendo
foreste, sottraendo acqua alle falde e immettendo nell’aria carbonio difficile da
assorbire.
Il ciclo idrologico è un processo ecologico, l’acqua viene ricevuta dall’ecosistema sotto
forma di pioggia o neve, le precipitazioni alimentano i fiumi, le falde acquifere e le fonti
sotterrane. La quantità di acqua che spetta a ogni sistema dipende dal clima che questo
possiede, dalla geologia dalla vegetazione e così via…..tutti fattori che l’essere umano
ha usurpato abusando della terra. La deforestazione ha compromesso la capacità dei
79
Vandana Shiva, Le guerre dell’acqua, cit., pag.31
Se l’impronta ecologica è più grande della sua biocapacità, vuol dire che la sua economia sta
consumando più di quanto il paese disponga in termini di foreste, terre coltivabili e altre risorse e sta
prendendo troppo dalla capacità dell’ambiente di assorbire i rifiuti.World Watch Institute, Rapporto sullo
Stato del Pianeta, focus: Cina e India, 2006, pag. 62
80
34
bacini di trattenere l’acqua. L’uso di combustibili fossili ha provocato l’inquinamento
atmosferico, i cambiamenti climatici responsabili dell’aumento di fenomeni di
inondazione, cicloni e siccità.
Le foreste sono state da sempre dighe naturali, raccoglievano l’acqua e poi la
rilasciavano sotto forma di ruscelli, parte dell’acqua evaporava tornando nell’atmosfera
e se la foresta era ricca di humus questa tratteneva l’acqua per rigenerarla. Con il
disboscamento tutto questo non è più possibile e l’acqua scorre via distruggendo la
capacità di conservazione del suolo.
La crisi d’acqua chiaramente si diffonde a macchia d’olio in tutti i settori che la
riguardano. Molti dei villaggi Himalayani una volta autosufficienti, sono stati costretti a
importare cibo perchè le fonti di acqua si sono esaurite e una volta sparite le foreste
sono aumentate le frane e le alluvioni81. Nel 1978, nel villaggio di Tawaghat, successe
la stessa cosa che avvenne nel 1963 con la diga del Vajont, il fianco di una montagna
franò nel Bagirathi, formando un lago, che cedendo inondò la pianura gangetica.
A dare inoltre un forte peso alla crisi mondiale dell’acqua c’è il diffondersi delle
monoculture di determinate specie naturali non compatibili con certi ecosistemi.
Vandana Shiva82 fa notare come in India la monocultura dell’eucalipto83 impiantato in
regioni carenti di acqua, come in India e in Sud Africa, è la causa di grossi problemi
idrici. In Sud Africa dopo aver eliminato piante estranee all’ambiente e introdotto
l’eucalipto, che utilizzava 3,3 miliardi di metri cubi d’acqua in più rispetto alla
vegetazione originaria, si è registrato un’ aumento della portata dell’acqua del 120%.84
La scarsità come abbiamo già detto non è sempre una calamità naturale, spesso è il
frutto di scelte di governo sbagliate, come per esempio la Rivoluzione verde degli anni
cinquanta, usata in paesi come Cina e India per ampliare la produzione globale
alimentare. Vennero diffuse sementi ad alto potenziale genetico affiancate a
fertilizzanti, acqua e prodotti chimici consentendo un incremento significativo della
produzione agricola in gran parte del mondo. Ma i costi, soprattutto ambientali, di
questa rivoluzione sono stati ignorati. Le critiche che vengono mosse sono: la perdita
della biodiversità, la dipendenza da combustibili fossili, l’inquinamento, il degrado del
suolo, la dipendenza economica e la dimensione sociale. Le forti esigenze idriche hanno
portato all’estrazione di acqua in zone che ne erano povere. Inoltre venivano attinte
attraverso tecnologie avanzate come le pompe elettriche, che estraevano acqua più
rapidamente di quanto la natura fosse in grado di rigenerare.
E anche lo sfruttamento freatico divenne economia. La privatizzazione delle acque ha
fatto sorgere in India i pozzi come funghi. Nel Maharshtra, la Banca Mondiale è
intervenuta fornendo finanziamenti per acquisire moderni macchinari per l’estrazione
dell’acqua e il risultato è stato un boom della coltivazione di canna da zucchero
fortemente dipendenti dall’acqua, tanto da consumare l’80% della sorgente per l’
irrigazione.85In meno di un decennio i campi hanno trasformato l’acqua freatica in
merce, lasciando assetate popolazioni e coltivazioni
Un altro esempio è quello della valle di Malwa nell’India centrale, conosciuta un tempo
come zona ricca di acqua, oggi diventata arida e i suoi residenti sono costretti a percorre
circa 4 km per trovare acqua. L’estrazione meccanizzata non è un fenomeno
81
Come nel caso del disastro Alaknanda, in cui un enorme frana ha bloccato il fiume e inondato 1000 Km
di terra, spazzando via tutto. Vandana Shiva, Le guerre dell’acqua, Feltrinelli, Milano 2006, pag.19
82
Vandana Shiva è una fisica ed economista indiana, dirige il Centro per la scienza, tecnologia e politica
delle risorse naturali a Deradun in India, E’ tra i massimi esperti internazionali di ecologia sociale.
Attivista politica radicale e ambientalista
83
L’habitat dell’eucalipto è quello australiano e la stessa Australia afferma che in annate con scarsità
piovana gli eucalipti creano deficit a livello di umidità. Vandana Shiva, op. cit., pag. 21
84
Ibidem.
85
Vandana Shiva, op. cit., pag. 26
35
riscontrabile solo in India, anche in Africa Subsahariana i pozzi hanno sostituito la
pratica tradizionale del movimento delle bestie da un luogo all’altro. I nuovi pozzi
fornivano abbastanza acqua ai pastori da incoraggiarne l’insediamento in una sola
località aumentando così lo sfruttamento del bestiame. Trasformandosi in stanziali, i
pastori hanno aggravato il problema della desertificazione.
In quasi tutte le collettività indigene, la gestione dell’acqua in modo collettivo è la
chiave della conservazione idrica. Le regole di gestione d’uso e di limiti hanno
permesso che regnasse sempre l’equità e la sostenibilità, ma l’avvento della
globalizzazione ha soppiantato il controllo dell’acqua a livello micro per lasciare spazio
allo sfruttamento privato. In India quando si è iniziato a investire maggiormente sui
progetti idrici i villaggi hanno visto diminuire sempre più le riserve di acqua.
Negli anni settanta e ottanta la Banca Mondiale e altre agenzie si sono concentrate su
tecnologie sulla fornitura di acqua che si sono rivelate disastrose. A partire dagli anni
novanta queste hanno spinto verso la privatizzazione, spesso per correggere i fallimenti
ottenuti negli anni ottanta attraverso i loro stessi investimenti. Nello stato del Gujarat a
seguito della crisi idrica del 1985-1986, fu attuato un programma di emergenza che
prevedeva circa quattrocento pozzi tubolari, ma queste nuove fonti adesso si sono
esaurite. Le potenti tecnologie di prelievo hanno portato solo a una carestia di acqua nel
sottosuolo.
2.1.4 Cibo e Acqua
Senza acqua la produzione di cibo sarebbe impossibile. E’ per questo che la scarsità e la
siccità comportano una riduzione nella produzione alimentare. La scelta degli alimenti
da coltivare dipende proprio dalla quantità di acqua presente. Nei territori poveri di
acqua si sono affermate culture poco esigenti in fatto di irrigazione, mentre quelle con
più necessità di acqua si sono sviluppate in zone umide. Nei territori umidi dell’Asia si
sono sviluppate le risaie, mentre in zone semiaride hanno prevalso frumento, orzo, mais,
sorgo e miglio.
Ma oggi giorno la monocultura diventa il metodo di produzione a livello nazionale,
internazionale e aziendale. L’influenza delle culture è data anche dalla variazione
genetica. Se il mais, il sorgo e il miglio convertono l’acqua in materiale biologico e
sopportano bene l’umidità, con la rivoluzione verde tutte queste culture “amiche”
dell’acqua sono state sostituite con quelle a uso intensivo. La produttività in rapporto
all’acqua è stata ignorata e il risultato delle le nuove coltivazioni è stato mediocre.
I contadini hanno sempre scelto varietà specifiche per i terreni da loro utilizzati, cosa
che non ha fatto l’agricoltura moderna, che ha inoltre eliminato i caratteri propri di
resistenza alla siccità di determinate coltivazioni.
L’agricoltura industriale ha prodotto alimenti usando metodi che hanno ridotto la
capacità idrica del suolo e creato un aumento della domanda di acqua. Il cambiamento
di tipo di sementi e l’utilizzo di fertilizzanti chimici hanno rappresentato uno fattore
sicuro alla carestia d’acqua. La siccità, fattore causato dal mutamento climatico
influisce sicuramente sulla produzione, ma anche dove le precipitazioni non sono
cambiate la capacità idrica del suolo è stata erosa. Tre acri di sorgo utilizzano la stessa
quantità di un acro di riso e forniscono anche maggiori sostanze nutritive, ma l’avvento
della rivoluzione verde ha spinto il terzo mondo verso la produzione di frumento e riso.
Tutte queste introduzioni hanno avuto costi sociali ed ecologici. Innanzitutto la
maggiore irrigazione ha portato a ristagni86, salinizzazione e desertificazione.
86
I ristagni si verficano quando la profondità della superficie freatica si riduce, se in un bacino si
aggiunge acqua più in fretta di quanto questa possa essere drenata, la falda sale. Vandana Shiva, Le
guerre dell’acqua, cit., pag. 116
36
La salinizzazione è sempre connessa al ristagno; nelle zone scarse d’acqua si ha una
grossa quantità di sali disciolti che irrigando salgono in superficie e con l’evaporazione
dell’acqua, i residui salini si depositano nella superficie. Secondo le stime oggi ci sono
nel solo stato del Punjab 70.000 ettari i terra colpiti da salinizzazione. In India tutti
questi fattori negativi hanno portato all’indebitamento dei contadini, che per poter
lottare contro l’improduttività delle terre chiedevano presiti alle banche. A ciò si
aggiunse la tassa di sviluppo sull’acqua che portò ad aspre manifestazioni di dissidenza,
che con l’andare del tempo sfociarono con ribellioni cruente e morti.
L’agricoltura diventa sempre più insostenibile e a causa della cattiva gestione che porta
allo spreco e alla distruzione. Ne abbiamo esempi anche al di fuori dell’India, come il
lago Aral dove oggi porti e pescherecci distano a 40-50Km dalle coste del lago. La
causa sono le acque dei suoi affluenti deviate per irrigare piantagioni di cotone87, frutta,
ortaggi e riso.
Ma l’esaurimento idrico non è l’unico problema di cui è responsabile l’agricoltura
industriale. Nel Bengala, l’utilizzo dei pozzi tubolari di profondità è stata la causa da
avvelenamento da arsenico, stesso problema si è verificato anche in Bangladesh.
Secondo molte grosse multinazionali la soluzione dei problemi idrici risiede
nell’ingegneria genetica che promuove l’introduzione di sementi resistenti alla siccità.
Ma questa teoria in realtà non è ancora provata, le coltivazioni Ogm attualmente in
corso, per esempio le culture della Mosanto resistenti agli erbicidi, hanno portato
all’erosione del suolo88.
Anche il riso golden ricco di vitamina A aumenta l’uso di acqua a discapito di altre
piante come l’amaranto e il coriandolo che richiedono meno acqua e apportano più
vitamina A, essenziale nei bambini per prevenire la cecità. Come dice Vanda Shiva il
riso golden non è altro che “ un approccio cieco alla prevenzione della cecità”.
Bisognerebbe investire di più sulla competenza indigena e proteggere i diritti delle
comunità locali, questi sono gli unici mezzi per assicurare a tutti accesso ad acqua e
cibo.
La produzione totale dei cereali sotto la crisi dell’acqua, per esempio, sarà di 249
milioni di tonnellate, 10%, meno del solito business, risultato del declino sia delle aree
coltivabili che del raccolto. Questa riduzione è la perdita annuale del raccolto di cereali
dell’India o dell’annuale raccolto dell’Africa Subsahariana, dell’Asia dell’est e del nord
Africa. Comparando tutto questo al commercio odierno, l’area di raccolta dei cereali
sotto la crisi idrica sarà di 17.7 milioni di ettari, o meglio il 3% in meno rispetto ai paesi
ricchi.89
87
State of the World 2006, Acqua dolce tesoro da custodire.
Vandana Shiva, Le guerre dell’acqua, cit., pag.114
89
Mark W. Rosegrant, Ximing Cai, and Sarah A.Cline, International Food policy research Institute,
sustainable options for ending hunger and poverty, Global Water Outlook 2025, Averting an Impending
Crisis, pag. 3
88
37
World Commission in Dams, Dams and Development, a New Framework for Decision-Making,
Earthscan, Novembre, 2000
2.1.5 Acqua e sviluppo
Siamo all’inizio del ventunesimo secolo e viviamo in un mondo di ineguagliabile
prosperità, ma ancora oggi circa 2 milioni di bambini muoiono ogni anno per carenza di
acqua pulita.
La crescita economica dal 1950 a oggi è stata all’incirca del 4% all’anno90. L’equilibrio
mondiale sta cambiando e l’Asia diventa sempre più forte. Tale crescita economica ha
due principali implicazioni nella domanda di acqua; la prima è che l’aumento della
produttività economica ne fa aumentare anche la domanda per l’erogazione dei servizi;
la seconda è che sia lo sviluppo che la crescita economica, e quindi il cambiamento
tecnologico che ne consegue, portano a dei cambiamenti strutturali nell’ambito di beni e
servizi che la società produce e nel modo in cui questi servizi vengono forniti. La
domanda di acqua per unità di prodotto interno lordo è data da una combinazione di
queste due componenti. Paesi con lo stesso prodotto interno lordo ma con differenti
caratteristiche di produzione possono consumare più acqua rispetto ad altri paesi.
Questo lo si denota se per esempio si comparano Stati Uniti e Canada con Germania e
Francia o con India e Cina.
Negli ultimi cinquanta anni ci sono stai dei miglioramenti anche se la gestione
dell’acqua e delle tecnologie non sono sempre disponibili e a volte assenti del tutto dove
ce n’è più bisogno. Nonostante l’aumento tecnologico il numero delle persone che non
ha accesso all’acqua pulita cresce sempre più.
90
Mark W. Rosegrant, Ximing Cai, and Sarah A.Cline, International Food policy research Institute,
sustainable options for ending hunger and poverty, cit., pag. 3
38
Quanta acqua serve per una o più persone? Sebbene il clima e la cultura influenzino
quello che è un corretto e appropriato livello di consumo d’acqua, alcune agenzie
internazionali ed esperti hanno proposto 50 litri a persona al giorno91 per un totale che
ricompre le basilari necessità umane, per bere, lavarsi, cucinare e l’igiene.
Gli analisti prevedono un aumento competitivo tra gli utilizzatori di acqua, in
particolare in 3 settori: agricoltura, industria e uso domestico. L’uso maggiore di acqua
per l’agricoltura viene sostenuto dall’Africa, dall’Asia e dall’America Latina, circa
l’85%, mentre in tutte le altre regioni, fatta eccezione per l’Oceania, l’uso domestico è
pari a meno del 20%92.
La disponibilità e l’uso di acqua non è sempre distribuita nel mondo in base alle
necessità umane.
Per colmare la carenza di acqua si è sempre ricorsi a mezzi non adeguati, tra questi
c’erano le costruzioni di grandi dighe o di sistemi di canalizzazione.
2.2 Dighe per il progresso?
2.2.1 Breve storia dei fiumi
Scrivere la storia senza metterci l’acqua è come lasciare fuori una larga parte della
storia. L’esperienza umana non è mai stata così secca come questa.
Donald Worster, Rivers of Empire, 198593
Tutta la terra fa parte di un sistema di fiumi e bacini che scorrendo sopra e attraverso di
essa, la modellano. I fiumi sono più di semplice acqua che scorre verso il mare. I fiumi
trasportano a valle acqua ma anche importanti sedimenti, minerali, detriti di piante e
animali vivi o morti. Anche il letto, le banchine, le acque sotterrane fanno parte del
fiume, come le foreste, i prati, le aree soggette ad allagamenti e così via. Lo spartiacque
inizia sempre dalle cime delle montagne o delle colline, la neve sciolta assieme alle
piogge, crea dei piccoli ruscelli che unendosi ad altri ruscelli e alle sorgenti sotterranee,
ne ingrossano la portata per poi diventare fiume. Come lasciano le montagne, i fiumi
discendono e iniziano a intrecciarsi e districarsi cercando il loro sentiero. Se il fiume è
fangoso e il terreno è piatto, i sedimenti possono formare un delta e il fiume dividendosi
va a sfociare nel mare. Gli estuari, cioè le parti nelle quali l’acqua dolce del fiume viene
a contatto con quella salata dei mari, sono le parti biologicamente più produttive.
La diversità dei fiumi non dipende solo dal terreno in cui essi scorrono ma anche dalle
stagioni e dalle annate ricche di pioggia e da quelle secche.
Le grandi pietre miliari della storia umana si trovano nelle banchine dei fiumi. I resti di
uno dei nostri primi antenati, furono ritrovati nelle rive del fiume Awash in Etiopia. La
prima civiltà umana, nacque nel terzo millennio a.C., lungo il Tigri e l’Eufrate, il Nilo e
il fiume Indo e più tardi sul fiume Giallo e sempre più tardi, un punto cruciale del
cambiamento umano è avvenuto lungo i fiumi nel nord Inghilterra, fiumi che servivano
per il mantenimento delle industrie.
I fiumi, e le varietà di animali e piante si sostengono a vicenda, provvedono a mantenere
le società cacciatrici con l’acqua per bere e per lavarsi, con il cibo, le droghe, le
medicine, i coloranti, le fibre e il legno. I fiumi servono ai pastori come agli agricoltori
91
Mark W. Rosegrant, Ximing Cai, and Sarah A.Cline, International Food policy research Institute,
sustainable options for ending hunger and poverty, cit., pag.5
92
Ibidem
93
Citato in Mc Cully Patrick, Silenced Rivers, The ecology and Politics of Large Dams, Zed Books, 2001
39
e alle città per portar via i rifiuti prodotti. Servono per il commercio, le esplorazioni e le
conquiste.
Il ruolo dei fiumi come sostenitori di vita e fertilità si riflette anche nei miti e nelle
credenze di mote civiltà. In molte parti del mondo i fumi vengono chiamati “Madri”, la
Narmada “Madre Narmada” , il Volga “Madre della Terra”. La parola thai per fiume,
mae nan, tradotta letteralmente significa “acqua madre”. I fiumi vengono spesso
associati a divinità femminili; nell’antico Egitto il fiume Nilo veniva associato alle
lacrime della dea Isis, il fiume irlandese Boyne veniva visto dagli isolani come il più
impressionante monumento storico funerario e per i Celtici era come una dea94.
I fiumi indiani, sono forse quelli più avvolti di mistero, miti storie epiche e significati
religiosi. L’ambientalista Vijay Paranjpye parla di un testo sacro nel quale si sostiene
che “tutti i peccati vengono lavati via facendosi il bagno tre volte nello Saraswati, sette
volte nello Yamuna, una volta nel fiume Gange, ma un solo sguardo nel fiume Narmada
per assolvere uno da tutti i peccati!” Un altro testo sacro descrive il fiume Narmada
come donatore di gioia, beatitudine e come colui che da la felicità95.
Della vita alimentata grazie ai fiumi, il salmone è forse quello più ricoperto di
significato mitologico. Una leggenda lo vede come “ il salmone della Conoscenza”, che
nuotava in una piscina nelle sorgenti del fiume Boyne. Chiunque avrebbe assaggiato il
pesce avrebbe conosciuto qualsiasi cosa al mondo, presente passato e futuro. Anche i
nativi d’america vedevano il salmone come un essere superiore e ancora oggi alcune
tribù danno il benvenuto al primo salmone come se fosse la visita di un importante
capo.
Ma se i fiumi hanno provveduto a donare la vita, con se hanno portato anche la morte.
Gli stanziamenti nelle pianure, che hanno permesso alle popolazioni di avere vantaggi
dalle alluvioni, sono anche stati esposti alle catastrofiche inondazioni96.
I miti e le leggende sui fiumi sono comuni a molte culture nel mondo, dal vecchio
testamento ebreo, a quello pagano norvegese sino a quelli indigeni d’america.
Gli sbarramenti hanno apportato grossi cambiamenti alle sorgenti. Niente altera un
fiume totalmente come una diga. La riserva è l’antitesi del fiume, la cui essenza è quella
di scorrere mentre quella della riserva è di immobilità.
La diga è un monumento statico, cerca di controllare un fiume attraverso i suoi
cambiamenti stagionali, intrappola sedimenti, altera la temperatura del fiume e le sue
qualità chimiche, coinvolge i processi geologici di erosione attraverso i quali il fiume
scolpisce la terra che lo circonda.
2.2.3 Dighe: cosa sono e cosa fanno
Un bacino è il trionfo dell’uomo sulla natura e la vista di una grande lastra di acqua
porta una profonda soddisfazione a coloro che la ammirano.
S.H.C. Silva , Consultant to Irrigation Department of Sri Lanka. 199197
Le dighe hanno due funzioni principali98:
• Raccogliere acqua per compensare le fluttuazioni del flusso del fiume e per
rispondere alla domanda di acqua ed energia.
94
Mc Cully Patrick, Silenced Rivers, The ecology and Politics of Large Dams, Zed Books, 2001, pag. 8
McCully, op. cit., pag.9
96
Gilgamesh, fu la prima storia epica sopravvissuta, parla di un grande fiume scatenato da Dio per
devastare il peccato in Mesopotamia. McCully, op. cit., pag.10
97
Citato in McCully, op. cit., pag.11
98
Ibidem
95
40
Aumentare il livello di acqua che va a monte per poi indirizzarla in var canali
aumentandone il salto99, cioè la differenza tra l’altezza della superficie del bacino
e la corrente del fiume.
La creazione di un deposito e della centrale permettono alla diga di generare elettricità
per fornire acqua all’agricoltura, alle industrie e alle abitazioni, per controllare le
inondazioni; per aiutare la navigazione dei fiumi permettendo un rapido aumentare e
diminuire delle acque.
Altre motivazioni sono i bacini per la pesca e attività di piacere come l’andare in barca.
La capacità di generare elettricità dipende quindi dall’ammontare dell’inondazione e dal
salto, di conseguenza dall’altezza della diga.
Il vantaggio dell’energia idroelettrica rispetto alle altre è che i bacini possono
accumulare acqua durante periodi di bassa domanda e poi successivamente iniziare
velocemente a generarla durante le ore di picco di uso elettrico. L’energia nucleare,
quella del carbone e degli impianti di petrolio, necessitano di più tempo per iniziare a
generarla da freddi. La sostenibilità idrica per i picchi di elettricità negli ultimi anni ha
incoraggiato un boom degli impianti di stoccaggio. Questo sistema solitamente richiede
due piccoli bacini uno sopra l’altro. Durante le ore di punta, l’acqua del bacino più in
alto scorre attraverso le turbine nel bacino più piccolo, creando elettricità. L’acqua viene
poi ripompata in salita usando dei piccoli picchi di elettricità.
Lo sbarramento è un diverso tipo di diga, questi creano solo piccoli bacini e non
possono realmente regolare l’inondazione. Lo sbarramento è solitamente un piccolo
muro di pietre, calcestruzzo o vimini. Può essere una struttura molto grande di 10 o 20
metri d’altezza che si estende per centinaia di metri attraverso il fondo, la corrente
generata da questo tipo di diga è proporzionale al flusso del fiume. Solitamente sono
dighe che producono conseguenze minori rispetto alle dighe da riserva ma non sono
ancora definibili benigne dal punto di vista ambientale perché la differenza tra queste e
le altre non è ancora chiara.
Come ogni fiume è unico, così ogni diga e la sua locazione sono uniche.
Vengono comunque identificati tre tipi principali di diga: in terra, a gravità e ad arco100.
• Dighe in terra: quelle in terra sono le più semplici, le più economiche da costruire
e compongono l’80% delle grandi dighe. Queste vengono solitamente costruite in
ampie vallate vicino a siti dove sono disponibili grandi quantità di materiali
necessari alla costruzione.
• Dighe a gravità: sono spessi muri rettilinei di calcestruzzo, costruiti in strette
vallate con stabili rocce.
• Dighe ad arco: sono anche queste fatte di calcestruzzo e vengono solitamente
costruite nelle vicinanze di gole con forti pareti rocciose e costituiscono solo il 4%
delle grandi dighe. Hanno la forma di un arco e i lati del corpo diga sono
appoggiati direttamente ai monti e su di essi scaricano la pressione esercitata
dall'acqua.
Una diga contiene poi diverse caratteristiche strutturali oltre al grande muro, in poche
parole è un grosso marchingegno umano con una sua storia.
Forse, i primi che costruirono una diga furono i contadini che vivevano nelle montagne
di Zagros in Mesopotamia. Vari reperti archeologici ci portano a pensare che i Sumeri,
6.500 anni fa, attraversarono le pianure del Tigri e dell’Efruate attraverso i canali di
•
99
Il salto è la differenza di quota tra il punto di prelievo dell'acqua ed il punto di restituzione [m].Gli
impianti idroelettrici si suddIvidono in base al valore di questa grandezza in: Alta caduta: al di sopra dei
100
m;Media
caduta:
30-100
m;
Bassa
caduta:
2-30
m.
http://www.greencrossitalia.it/ita/acqua/risorse_acqua/dighe/le_definizioni.htm
100
Mc Cully Patrick, Silenced Rivers, cit., pag. 12
41
irrigazione101. Non sono mai state trovate tracce di dighe ma si pensa che venissero
usate per controllare le inondazioni e i canali di irrigazione.
La prima vera diga della quale sono stati trovati i resti, risale al 3000 a.C. come parte di
un sistema di scorta per la città di Jawa, oggi Giordania. La più grande di questo sistema
aveva 4 metri di altezza e 80 centimetri di lunghezza. Poi 400 anni dopo ne venne
costruita una nelle vicinanze di Cairo, la diga Sadd el kafra “ diga per i pagani” avente
14 metri di altezza e 113 metri di lunghezza102. Nel tardo millennio a.C. le dighe hanno
iniziato a esser costruite nel Mediterraneo, in Cina e in Centro America. L’ingegneria
romana è forse quella più riscontrabile oggi sia attraverso gli acquedotti che le dighe103.
Le tecnologie per trasformare l’acqua in energia meccanica hanno una storia lunga
quanto l’irrigazione. Un tipo di ruota idraulica chiamata Noria veniva già usata dagli
egiziani per poi nel primo secolo d.c. essere soppiantata dai mulini.
Nel 1900 la Gran Bretagna era lo stato che aveva più dighe al mondo, furono la
conseguenza dell’industrializzazione e servivano per conservare l’acqua da fornire alle
città e alle industrie. All’epoca sicuramente i costruttori delle dighe non avevano grandi
dati da analizzare e spesso e volentieri le dighe cedevano, evento che nonostante
l’avanzamento tecnologico continua ad esistere e l’America ne mantiene il primato.
Il primo a scoprire e perfezionare la turbina ad acqua fu l’ingegnere francese Benoit
Fourneyron nel 1832.L’importanza di questa turbina divenne chiara alla fine del XIX
secolo quando grazie agli sviluppi dell’ingegneria elettronica si arrivò alla costruzione
delle centrali energetiche. Il primo impianto idroelettrico è datato1882 e fu installato nel
in Wisconsin per poi, negli anni successivi essere riprodotto in Italia e in Norvegia104.
Pian piano le dighe si diffusero ovunque e la tecnologia delle turbine divenne sempre
maggiore.
2.2.4 L’impatto delle dighe a livello ambientale e sociale
Molti degli effetti provocati dalle dighe ai fiumi, sono difficili da prevedere con
certezza, le teorie apportate sulle dinamiche ecologiche si basano soprattutto su studi a
brevi termine e su particolari fiumi aventi determinate caratteristiche.
Se ogni fiume è unico nelle sue caratteristiche, nell’ambiente in cui scorre e nelle specie
che alimenta, i modelli con cui opera ogni diga e i suoi effetti sull’ambiente sono unici a
sua volta. A volte gli effetti di una diga sull’ambiente si sono realizzati anche dopo
cento anni dalla fine della costruzione. E’ per questo che la diga può essere considerata
come un’ esperimento ambientale a lungo termine largamente irreversibile e senza
controllo.
Le due più grandi categorie di impatto ambientale delle dighe sono: quelle inerenti alla
costruzione della diga e quelle date dallo specifico modo di operare in ciascuna diga,
elencate nello schema sottostante.
101
Mc Cully Patrick, Silenced Rivers, cit., pag. 12
La diga venne spazzata via prima della conclusione dei lavori e non venne mai riparata dal momento
che il Nilo inondava i terreni prima della stagione della semina, quindi non avevano bisogno delle dighe
per l’irrigazione. Mc Cully Patrick, op. cit., pag. 12
103
La più grande diga romana sopravvissuta è quella di Alicante in Spagna, con 46 metri di altezza e 14
anni di lavoro.Anche in sud Asia le prime dighe risalgono al 460 a.C. Ibidem.
104
McCully, op. cit., pag.13
102
42
I MAGGIORI IMPATTI AMBIENTALI DELLE DIGHE
A. Conseguenze date dall’esistenza della diga e del suo bacino
1. La corrente del fiume cambia, dalla vallata si sposta
2. Cambiamenti nella morfologia del letto del fiume, nelle banchine,
nel delta, nell’estuario e nelle linee costiere dovute al sovraccarico dei
sedimenti
3. Cambiamento nella qualità dell’acqua: effetti nella temperatura, nei
nutrimenti, torpidità, gas dissolti, concentrazioni di metalli pesanti e
minerali
4. Riduzione della biodiversità data dal blocco del movimento degli
organismi dovuti a sua volta dai cambiamenti del punto 1, 2 e 3.
Sovrapposti agli effetti sopra citati ci possono essere:
B. Conseguenze dovute allo schema su cui opera la diga
1.Cambiamento nella corrente idrologica:
a) cambiamento nelle inondazioni totali
b) cambiamenti nel tempo delle inondazioni stagionali
c) fluttuazioni a breve termine delle inondazioni
d) cambiamenti nelle estreme alte e basse inondazioni
2.Cambiamento nella morfologia della corrente date
dall’alterazione delle inondazioni
3.Cambiamenti nella qualità dell’acqua
4. Riduzione specie dell’habitat, soprattutto a causa
dell’eliminazione delle inondazioni.
Mc Cully Patrick, Silenced Rivers, The ecology and Politics of Large Dams, Zed Books, 2001, pag.30
La conseguenza più significativa è la frammentazione dell’ecosistema rivierasco, interi
branchi di pesci vengono isolati e di conseguenza viene alterato il loro ciclo vitale.
Quasi tutte le dighe infatti, riduco il flusso dell’acqua e l’eliminazione dei benefici dati
dal naturale fluire del fiume, questo è forse l’impatto più ecologicamente dannoso.
Alcuni effetti delle dighe possono favorire alcune specie, per esempio creando l’habitat
per pesci di lago, oppure attraverso il riscaldamento dell’acqua fanno si che i pesci non
adatti alle acqua gelide si riproducano nel bacino. Ma nel momento stesso in cui
l’impatto della dighe richiede un adattamento delle varie specie, automaticamente ne
deriva una diminuzione.
Tra gli effetti più scontati ci sono: l’inondazione delle foreste, la morte di tutte le specie
all’interno di essa, l’accumulo dei detriti, l’acqua stagna che diventa sporca oppure
diventa salata105, i pesci intrappolati nel bacino106, i cambiamenti degli estuari e dei
percorsi naturali e così via, a tutto ciò bisogna aggiungere gli effetti prodotti sull’ essere
umano
105
Le dighe in zone calde sono esposte all’evaporazione di grandi quantità d’acqua. In 170 km cubici
d’acqua evapora ogni anno più del 7% dell’acqua fresca consumata dalle attvità umane. Mc Cully Patrick,
Silenced Rivers, cit., pag. 12
106
E’ il caso del pesce hilsa nella fiume Narmada. Ivi, pag. 43
43
Nelle ultime sei decadi, i costruttori delle dighe hanno sfrattato dalle loro case e dai loro
terreni più di 10 milioni di persone, la maggior parte, poveri, senza potere politico,
indigeni o minoranze etniche. Questi legionari delle dighe chiamati “oustees”,
estromessi, sono stati economicamente, culturalmente ed psicologicamente devastati.
Alcuni sono stati compensati con terre altri in contanti e altri ancora con niente. Molte
famiglie contadine sono state costrette a migrare nei quartieri poveri delle grandi città.
Persino nei programmi che hanno avuto più successo, gli sfollati si sono lamentati di
come la terra che avevano ricevuto non era di buona qualità come quella che
possedevano precedentemente. I dislocati dai bacini sono quelli più visibilmente colpiti
dagli artefici, dai fondatori e dai costruttori delle dighe. Molti altri hanno perso la casa e
la terra con i canali, i progetti di irrigazione, le strade, le centrali elettriche e tutto lo
sviluppo industriale che segue la costruzione di una diga. Altri non hanno perso
fisicamente la loro casa, ma non hanno più accesso all’acqua pulita, i pesci, i giochi, il
terreno per il pascolo, il legname, i frutti e i vegetali. Altri ancora a valle sono stati
privati delle inondazioni annuali i quali dopo aver irrigato e fertilizzato i loro campi
venivano ricaricati con l’acqua del fiume. Milioni hanno sofferto di malattie che le
dighe e i grandi progetti di irrigazione, nei tropici soprattutto, hanno risvegliato.
Il numero preciso delle persone obbligate a lasciare le loro case è difficilmente
reperibile. Il maggior numero di persone sfollate proviene dalla Cina e dall’India. Molte
statistiche prendono in considerazione solo le persone cacciate dai bacini, il cui numero
viene adesso superato da tutti coloro che sono stati privati della terra o del
sostentamento per via di altre parti del progetto o a causa degli effetti ecologici. Queste
persone raramente vengono definite come “affette dal progetto” e come risultato non
ricevono compensazione. Un simile trattamento viene riservato anche a coloro che
perdono una parte di terra.
La maggior parte, dei non riconosciuti, modi in cui le persone possono perdere il loro
sostentamento a causa di una diga vengono ben illustrati dal progetto delle diga Indiana
Sardar Sarovar (SSP) 107:
• Ottocento famiglie persero le loro terre e vennero spostate nella nuova città
costruita per i lavoratori della diga. Sebbene l’acquisizione della terra iniziò nel
1961, le famiglie 35 anni dopo stavano ancora lottando per un’adeguata
compensazione.
• Centinaia di adivasi108potevano essere strappati dalla loro terra tradizionale per
creare una riserva naturale con lo scopo di mitigare la perdita di specie dovuta al
bacino della SSP.
• Centinaia sono stati privati dell’accesso alle terre per la coltivazione perché il
governo le sta convertendo in tre boschi per colmare la carenza di quelle
sommerse dalla diga.
• Centinaia di coloro che coltivavano la terra, raccoglievano legname per
combustione o mangime per gli animali o erano impiegati in terra agricole e con
l’inondazione delle foreste si sono ritrovati disoccupati.
• Circa 140,000 proprietari terrieri perderanno almeno parte delle loro terre per via
dei canali di irrigazione, circa 25.000 finiranno con meno di 2 ettari, considerato
come il minimo possesso.
• Una grande zona di terra agricola, alcuni villaggi e intere città possono
eventualmente essere inondate dal così soprannominato effetto “acqua stagnante”,
107
Mc Cully Patrick, op. cit., pag. 40
Letteralmente significa: “originale/primo a stanziarsi” ma viene usato per descrivere le persone
indigene dell’India, ufficialmente conosciute come “tribù schedate” e quindi riconosciute come tali, che
costituiscono circa l’8% della popolazione. Baviskar Amita, Waterscapes, Permanent Black, New Delhi,
2007, pag. 209
108
44
causato dal graduale innalzamento dell’acqua dovuto ai depositi nella portata del
bacino.
• A valle, la SSP è programmata per estirpare l’inondazione della Narmada tra la
diga e il mare per buona parte dell’anno distruggendo il sostentamento di
centinaia di pesci e di pescatori.
Uno dei più seri effetti a lungo termine è quello subito dalle persone che vivono a valle.
In Africa, la mancanza annuale dell’inondazione annuale sotto la diga ha devastato
intere pianure agricole e pescicolture.
Non da meno è l’impatto verso la popolazione indigena che subisce il trauma anche dal
punto di vista spirituale dal momento che si sentono fortemente legati alla terra. Vari
studi antropologici hanno evidenziato come gli anziani sono quelli più toccati e che nei
villaggi di riabilitazione continuano ad attuare i riti di preghiera anche in assenza del
loro fiume sacro109.
La paura della dislocazione si protrae spesso per anni o decadi, ricevendo voci o
minacce. Come la diga viene proposta, la gente che vive nel futuro bacino inizia a
soffrire per la carenza degli investimenti privati e del governo. I prezzi delle proprietà
cadono, le banche si rifiutano di fare prestiti e non vengono costruite scuole o centri
ospedalieri. Nel lasso di tempo che intercorre dallo sfratto alla riabilitazione, gli sfollati
vivono in condizioni meno abbienti degli altri nelle aree vicine. Un esempio dei lunghi
tempi per l’attuazione di questi progetti c’è fornito dalla diga delle Tre Gole. La
proposta fu presa in considerazione per la prima volta nel 1919, il primo progetto fu
disegnato nel 1944, disegni dettagliati vennero fatti nel 1955, e la preliminare
costruzione iniziò nel 1993, il reinsediamento non è ancora stato completato nonostante
la data di scadenza fosse il 2008110.
L’incertezza su quando la diga si cominci a costruire e se verrà costruita o no, quante
case e fattorie verranno sommerse, chi sarà idoneo al compenso e quanto gli verrà dato
non viene spesso colmata nemmeno dopo l’inizio della costruzione. A volte anche dopo
l’inizio dei lavori le regole per il compenso possono cambiare per ragioni politiche o
economiche. Qualche volta inadeguate indagini fan sì che nemmeno le autorità sappiano
quanta terra verrà inondata.
Quando ci si avvicina alla fine dei lavori, il processo dello sfratto delle persone dalle
aree che verranno inondate è spesso e volentieri violento o intimidatori con episodi di
uccisioni111. Sicuramente in gran parte perché le persone si rifiutano di lasciare le loro
case.
La maggioranza degli sfollati sono il più delle volte inghiottiti inglobati dalle aree
degradate nelle grandi città. In India tre quarti delle persone dislocate dalle dighe non
hanno avuto terre o case, al massimo hanno ricevuto qualche compenso monetario.
Oltre essere stati impoveriti questi vengono anche denigrati, per esempio gli sfollati
della diga Regali nello stato dell’ Orissa, vengono soprannominati dai vicini “ i mancati
sommersi”.112
Le compensazioni monetarie sono sempre misere, spesso perché il valore della terra
perduta viene valutato in base a vecchie quotazioni, altre volte la causa è l’inflazione
109
Come nel caso dello studio condotto da Lyla Mehta e Anand Punja, le quali hanno messo in evidenza
le differenze tra il vilaggio Gandher e quello di Malu dove gli adivasi vennero spstati dopo l’inondazione
del fiume Narmada. “ Molte delle attIvità fatte nel fiume adesso vengono attuate nelle loro case”.
Baviskar Amita, Waterscapes, cit., pag. 204
110
Ivi, pag 74
111
Per esempio nelle ex colonia britannica delle Rodhesia del nord vennero uccisi otto abitanti e feriti
circa una trentina che si opposero alla abbandono della terra che sarebbe poi diventata il bacino di Kariba.
Ivi, pag.73
112
Ivi, pag. 76
45
che aumenta nel lasso di tempo che va dal momento dell’inondazione della terra al
momento in cui viene elargita la somma. Inflazione che viene favorita anche dai prezzi
esorbitanti delle terre vicino ai bacini, che ormai diventate rare, acquistano valore.
A volte la terra fornita non è adeguata o è insufficiente per sostenere intere famiglie.
Agli adivasi delle diga di Bargi, la prima ad a essere costruita nel fiume Narmada,
vennero promessi 2 ettari di terra di rimpiazzo, ogni appezzamento sarebbe stato fornito
con l’inondazione dei campi, la promessa non venne mantenuta e a gran parte dei
114.000 sfollati vennero forniti solo lotti per case o baracche e un pietoso compenso
monetario113. Inoltre le terre che vennero inizialmente date in sostituzione non furono
sede stabile e definitiva, dal momento che anche queste vennero inondate e gli abitanti
scacciati per la seconda volta.
Il reinsediamento non si è mostrato sino ad ora la soluzione migliore; malattia e casi di
morte sono molto frequenti tra gli sfollati e i riabilitati, soprattutto tra i più giovani e i
più vecchi. Le principali cause delle malattie sono la malnutrizione, la cattiva igiene dei
luoghi di reinsediamento, i parassiti che nascono nell’acqua e lo stress psicologico che
indebolisce l’organismo. Altri casi di morte sono dovuti all’annegamento, sia perché le
loro piccole imbarcazioni non sono adatte ai bacini delle dighe ma anche perché non
vengono mai messi al corrente delle fluttuazioni del livello dell’acqua che possono
crearsi con i lavori nelle dighe. E’ il caso del 7 aprile 2005, quando 68 pellegrini sono
stati uccisi mentre facevano una breve immersione religiosa nel fiume Narmada, nel
villaggio Dharaji presso in distretto Dewas in Madhya Pradesh. Durante i
festeggiamenti della festa religiosa Bhooti Amavasaya Mela, la diga Indira Sagar situata
a 25 km a monte ha alzato le acque senza che le vittime fossero avvisate. Gli
amministratori della Narmada Hydroeletric Corporation sostengono che
l’amministrazione non è responsabile di tutto ciò che succede a valle. L’autorità della
diga non sente di doversi tenere al corrente degli eventi locali. “il festival seguiva il
calendario lunare e noi non siamo a conoscenza di questi eventi culturali” questa è
stata l’affermazione del direttore esecutivo Dodeja.114
Gli stenti della riabilitazione non vengono inoltre distribuiti equamente. Per le donne la
situazione solitamente è peggiore, spesso il compenso monetario va agli uomini e le
donne vengono escluse. Maggiormente colpite anche per via della loro dipendenza ai
beni comuni: in molte culture le donne hanno la responsabilità raccogliere legna,
mangime, e vegetali. Queste persone vengono, per la prima volta nella loto vita, a
conoscenza del debito. Per poter andare avanti iniziano a chiedere prestiti e se poi non
riescono a ripagarli vendono anche l’unico pezzo di terra che gli è stato dato. Un’altro
effetto è quello della rottura delle relazioni familiari, molti villaggi vengono divisi e
riabilitati in diverse zone, le festività religiose perdono importanza e si intensificano le
liti tra famiglie che si devono spartire il compenso monetario. Le donne che si vogliono
sposare possono trovare marito solo all’interno del villaggio degli sfollati perdendo così
il prestigio sociale.
113
Mc Cully Patrick, Silenced Rivers, cit., pag. 78
Padmaparna Ghosh Dewas, 68 Drowned, piligrims die as Indira Sagar releases water, Dow to Earth,
15 maggio, 2005, pag.22
114
46
Riportato in Roy Arundhaty, “Per il Bene Comune”, Internazionale, 22/28 Ottobre, 1999, pag.22
2.2.5 Dighe e malattie
Dal momento che le dighe alterano le condizioni ambientali e favoriscono lo
spostamento di massa, una conseguenza pressoché scontata è quella della diffusione
delle malattie, soprattutto nelle aree tropicali e subtropicali e dove vi sono canali di
irrigazione.
Molte delle malattie, che colpiscono i costruttori sembra siano spesso sconosciute alla
popolazione dei villaggi che quindi si presentano deboli e immuni.
I lavoratori delle dighe inoltre sono esposti a morti e infortuni, secondo François
Lempérierè, un vecchio membro del comitato francese per le dighe, circa 100.000
lavoratori sono morti costruendo dighe e altrettanti sono stati gravemente feriti.115
La principale ragione per la quale le dighe e i sistemi di irrigazione apportano malattie è
che ricreano l’ambiente nel quale gli insetti, le lumache e altri animali, che fungono da
vettore, si moltiplicano. Una tipica malattia ricollegata ai canali di irrigazione e alle
dighe è la schistosomiasi, che si diffonde attraverso le uova del verme che vanno a
installarsi nella lumaca, all’interno della quale crescono, per poi ritornare nell’acqua e
115
Mc Cully Patrick, Silenced Rivers, cit., pag. 83
47
infettarla. Basti che l’essere umano si sfreghi contro una pianta infetta e la larva penetra
rapidamente nella pelle per poi entrare nel sangue.
Un’altra delle malattie più diffuse al mondo è la malaria, parassita che vive all’interno
della femmina di alcune specie di zanzare anofele e che pungendo l’essere umano lo
infettano. I maggiori fattori che contribuiscono alla diffusione della malaria sono il
clima e l’umidità e sicuramente i grandi progetti di acqua contribuiscono a tutto ciò.
Inoltre incoraggiano le persone a vivere a contatto con le anofele quando lavorano e
irrigano i cambi per poi andare a lavorare nelle foreste con gli animali e quindi
trasportare l’infezione. Le mosche inizieranno così non solo a pungere gli esseri umani
ma anche gli animali.
I pianificatori delle dighe spesso sottovalutano il rischio sostenendo che le zanzare
possono essere combattute con i moderni pesticidi, in realtà molte di queste zanzare
sono ormai diventate resistenti e risultano essere anche più mortali delle altre.
Esistono anche altre malattie che si diffondono con le zanzare, la filaria, l’encefalite
giapponese, la febbre gialla e la dengue. Gli insetti a volte possono rendere la vita
difficile anche se non trasmettono malattie, come per esempio l’invasione delle zanzare
in Brasile nel bacino Tucurui116. Un’altra malattia sempre molto diffusa è
l’oncorcercosi117 che causa la cecità.
I costruttori delle dighe sostengono che tutti questi rischi di malattia possono essere
portati a un livello accettabile attraverso monitoraggi e misure per la prevenzione.
Sicuramente il miglioramento per le cure sanitarie è da seguire ma non sarà questo a
prevenire la malattia, quanto piuttosto sarebbe meglio cercare di creare migliori
condizioni ecologiche. Un’ argomento a favore delle dighe, è che queste provvedendo
maggiori quantità d’acqua, possono ridurre il numero delle malattie; ma in realtà le
dighe costruite per fornire riserve di acqua per uso domestico sono poche o questo
scopo fa parte solo di una parte del progetto.
2.2.6 L’India e la malattia del gigantismo
Quando ho camminato attorno al sito, ho pensato in questi giorni che, i più grandi templi
moschee sono i luoghi in cui l’uomo lavora per i bene dell’umanità. Quale tempio può essere
più grande del progetto di Bhakra Nangal, dove centinaia di uomini vi hanno lavorato, versato
il loro sangue, sudato e adattato le loro vite?Dove può esistere un posto più santo di questo, che
può essere guardato così grande?
Jawaharlal Nehru118
La diga di Bhakra fu concepita nel 1908 con un bacino alto 120 metri. Nel 1927
l’altezza fu sollevata a 500 metri119 e dopo l’indipendenza la diga assunse una nuova
importanza: una larga parte della terra irrigata nel bacino dell’Indo era finita sotto il
controllo del Pakistan e all’India occorrevano nuove fonti di irrigazioni per il Punjab.
La diga fu completata nel 1963, il primo ministro indiano la definì il “tempio dell’India
moderna” usando la diga per trasferire il controllo dell’acqua dalle regioni, agli stati al
governo centrale. Venne istituito il Consiglio di gestione del Bhakra Beas con il
compito di controllare i sistemi di canalizzazione più antichi del Punjab. Il compito a lui
116
Mc Cully Patrick, Silenced Rivers, cit., pag.93
E’ causata da un verme trasmesso dal morso di una mosca nera la quale si procrea nelle acqua dei
fiumi correnti. Ivi, pag. 94
118
Citato in Khagram Sanjeev, Dams and Development. Transnational Struggles for Water and Power,
Oxford, 2005, pag. 33
119
Vandana Shiva, Le guerre dell’acqua, cit., pag.70
117
48
affidato non fu sicuramente svolto con eccellenza, il bacino dell’Indo diventò più
vulnerabile alle alluvioni, iniziarono le carestie d’acqua e i conflitti tra stati confinanti.
Nehru in seguito si rese conto e confessò di essere stato vittima della “malattia del
gigantismo”120 e si iniziarono a prendere in considerazione tutti i pro e i contro che una
diga come quella di Bhakra avrebbe potuto creare; il tempo, i costi, e il coinvolgimento
di una certa quantità di denaro proveniente dall’estero.
Nel 1984 il canale principale della diga si sfondò e lo Stato dell’Haryana subì una
grossa perdita monetaria. Intanto nel Punjab si affrontava una forte crisi idrica alla quale
lo stato dovette porre rimedio attraverso le autobotti per fornire acqua potabile in caso
d’emergenza.121
Lo sviluppo attraverso le dighe in India venne esteso per la prima volta nel periodo della
dominazione britannica ma la costruzione di grandi dighe iniziò attraverso le autorità
dell’India indipendente. All’epoca dell’Indipendenza, nel 1947, la coalizione che
guidava il governo indiano con a capo il Primo Ministro Nehru, doveva fronteggiarsi
con uno stato debole con scarse capacità e una società civile smobilitata. Il risultato fu
che i politici e i burocrati indiani poterono effettuare strategie e politiche di sviluppo
autonomamente ed efficacemente122.
Visti gli apparenti benefici a favore della classe dominante indiana dell’epoca, non
stupisce il progresso che si sviluppò attorno agli anni 50 e 60. Le autorità politiche
utilizzavano questi progetti come mezzi di controllo nel sistema democratico. Le grandi
dighe e i progetti di irrigazione venivano inoltre finanziati e supportati da donatori
stranieri, come l’America, l’Unione Sovietica e la Banca Mondiale.123
Solo negli anni ‘70 la tendenza iniziò a invertirsi. Nel 1986, il Primo Ministro Rajiv
Ghandi riferiva:
La situazione al momento è che dal 1951 a oggi sono stati varati 254 grandi progetti di
irrigazione di superficie. Di questi solo 66 sono stati completati, 181 sono ancora in fase di
costruzione. Forse possiamo dire con una certa sicurezza che questi progetti non hanno portato
praticamente nessun vantaggio alla popolazione. Per 16 anni abbiamo sborsato denaro. La
gente non ha avuto nulla in cambio, né irrigazione, né acqua né aumento della produzione né
aiuti nelle attività quotidiane.124
Nel 1988 le alluvioni sommergono il Punjab, 1.500 saranno le vittime e la causa verrà
fatta ricadere sul Bbmb, il comando manageriale della Bhakra Beas il quale avrebbe
riempito la diga più della capacità massima causando l’inondazione125. Il dirigete della
Bhakra Beas venne assassinato nel 1988 incrementando gli scontri tra il Punjab e il
Governo Centrale.
In circa una decade si sono sviluppati sempre più movimenti contro le dighe, soprattutto
a livello internazionale. Molti attivisti hanno sparso la voce, scritto libri e articoli.
Il Centro per la Scienza e l’Ambiente, organizzazione non governativa nata nel 1980 a
New Delhi, pubblicò il suo primo “Stato ambientale dell’India-1982: resoconto ai
cittadini” per una visione dello stato ambientale, attaccando vivamente anche la
costruzione delle dighe.
Nel 2005 lo Stesso resoconto riportava le seguenti notizie:
120
Vandana Shiva, Le guerre dell’acqua, cit., pag 71
Ibidem
122
Khagram Sanjeev, Dams and Development. Transnational Struggles for Water and Power, Oxford,
2005, pag. 35
123
Ibidem
124
Vandana Shiva, Le guerre dell’acqua, cit., pag. 72
125
Hanno riempito la diga di 6 metri in più rispetto alla capacità massima, la diga ha scaricato 380.000
metri cubi d’acqua al secondo sul fiume Sutlej. Ibidem
121
49
•
•
•
•
•
•
•
Nonostante investimenti pari a 7.510 RS nei maggiori e medi sistemi di
irrigazione, la media nazionale raccolta per le terre irrigate è solo di 1,7 tonnellate
di grano per ettaro contro i traguardi da raggiungere di circa 4 o 5 tonnellate per
ettaro.126
Nella provincia di Jammu, che estrae circa l’89% del suo potere dall’
idroelettricità le trasmissioni perdono ogni anno il 62%
I livelli di ostruzione dei bacini delle più grandi dighe sono tre o quattro volte più
alti rispetto le tariffe del progetto.La durata di vita della diga di Theri potrebbe
essere di soli trenta o 40 anni rispetto ai cento proposti all’inizio.
Il progetto idroelettrico della Silent Valley in Kerala sta creando l’estinzione di
specie biologiche che si sono evolute in milioni di anni.
Il terzo piano di costruzione programmato per il fiume Kali in Karnataka ha
portato all’erosione del suolo e alla perdita del sottosuolo, creando un deserto non
adatto alla coltivazione.
I costi dei benefici forniti dalle dighe vengono gonfiati per essere approvati dalla
Commissione. Varie valutazioni rivelano che per molti progetti il rapporto è meno
di uno.
Piccoli progetti idroelettrici in India sono stati sempre ignorati. Mentre in Cina,
87.000 piccoli progetti idroelettrici generano un terzo dell’elettricità della
nazione.127
Nome della
diga
Their(b)
Kishau(b)
Bhakra
Lakhwar(b)
Idukki
Srisailam(b)
Cheruthoni
Sardar Sarovar
Pong
Silent
valley(b)
Notes:
Le dighe più alte in India- informazioni base
Fiume/Stato
Ammontare
Altezza/
complessivo
Lunghezza
della riserva
(m)
(milioni per m3)
Bhagirathi/UP
3539
261/570
Tons/UP
2400
253/360
Satluj/HP
9621
226/518
Yamuna/UP
580
192/440
Periyar/Kerala
1996
169/366
Krishna/AP
8722
143/512
Cheruthoni/Kerala
1996
138/650
Narmada/Gujarat
9492
137/1210
Beas/HP
8570
133/1950
Kanthipuzha/Kerala
317
131/430
(a) I: irrigation, H: potere idroelettrico C: controllo inondazioni
(b) In costruzione
(c) Settimo piano
Fonte: Registro delle Grandi Dighe in India, CBIP, New Delhi
126
127
Scopo
(a)
Agarwal Anil, Dams, The First Citizen’s Report, 1, 2005, pag. 59
Agarwal Anil, op. cit., pag. 58
50
IH
IH
IH
IH
HC
H
HC
IHC
IH
H
Per quanto concerne l’irrigazione la Commissione Nazionale per l’Agricoltura aveva
stimato che il 40% dell’acqua dei bacini delle dighe si sarebbe potuta utilizzare per usi
domestici. Ma attualmente ne viene utilizzata meno della metà. Le aree per l’irrigazione
sono molto ridotte rispetto a quelle prospettare in particolar modo a causa dei ritardi
nella costruzione delle canalizzazioni.
Molti stati non sono in grado di ricoprire le spese per i progetti di irrigazione e le perdite
aumentano sempre più.128 Una delle cause è il ritardo nel completamento dei progetti,
gran parte delle dighe sono in
costruzione da 15-20 anni.
Lo sviluppo dell’irrigazione
continua inoltre a essere
differente da stato a stato.
Punjab, Tamil Nadu, Haryana,
Rajastan e UP hanno avuto un
alta percentuale di terre
coltivate
attraverso
l’irrigazione;
mentre
nel
Maharashtra, nonostante sia lo
stato ad avere il più alto numero
di dighe, solo il 41% del
territorio è coltivato per
irrigazione.
Dietro all’aspetto rinnovabile e
non inquinante di energia,
l’idroelettricità si suppone sia
più economica di quella
termoelettrica e nucleare.
Roy Arundhaty, Internazionale, 19-25 gennaio, 2001, pag. 30
Ma i benefici dei progetti idroelettrici vanno soprattutto nelle aree urbane. Questo
perché in India il maggiore settore a utilizzare energia elettrica è quello industriale. Il
corrispondente spettante al campo agricolo, nonostante sia aumentato dal 1954, è di un
piccolo14,2% .129 Durante i periodi di bassa domanda o bassa produzione elettrica, per
esempio in estate, il supporto di elettricità per le aree rurali viene scavalcato a favore di
aree urbane.
La più notoria capitale d’indebitamento è New Delhi, dato il suo arcaico piano, il nordest del distretto della città si alimenta con l’energia della Bhakra-Beas piuttosto che
ricavare voltaggio dalla centrale termoelettrica di Delhi. La città continua
persistentemente a utilizzare due volte più del tanto concessogli in base alle divisioni
con gli altri stati e l’ironia vuole che la capacità degli impianti di installazione a Delhi è
due volte maggiore da ciò che la città richiede.
Ci sono serie discrepanze nella distribuzione idroelettrica tra le regioni indiane.
Solitamente quelli che ne beneficiano di meno sono le regioni dove sono state costruite
le dighe. Nell’Himachal Pradesh, il consumo pro capite di energia è di 56.6 KW pro
capite, meno della metà della media nazionale di 130,5 KW. Il Punjab è lo stato che
128
Secondo i documenti del Sesto Programma ci sono perdite pari a circa 427 milioni di rupie. Agarwal
Anil,Damns, The First Citizen’s Report, 1, 2005, pag. 60
129
Ibidem
51
beneficia più di tutti delle dighe dell’ Himacha Pradesh, consumando una media di 314
KW pro capita130, la più alta a livello nazionale.
Nel 1993 il Primo Ministro N.K.P. Salve, affermò che l’India non avrebbe mai più
costruito grandi dighe, al massimo avrebbero dato la precedenza a piccoli progetti o
fiumi in corsa131. In realtà le cose non stanno così, il numero dei progetti non è
aumentato ma quelli esistenti continuano ad essere innalzati o continuano a essere
utilizzati senza porvi modifiche. Lo sviluppo economico dell’ India con tutte le sue
contraddizioni e le dighe continuano a crescere assieme alla sua economia.132
Come ha osservato Arundhaty Roy133:
Le grandi dighe rivestono, per lo sviluppo di una nazione, la stessa importanza delle
bombe atomiche per il suo arsenale militare. Si tratta, in entrambi i casi, di armi che i
governi usano per controllare le loro popolazioni. D emblemi del XX secolo che
segnano una svolta storica e dimostrano la rinuncia dell’intelligenza all’istinto di
conservazione. Di sintomi preoccupanti di rivolgimento della civiltà contro se stessa.
Rappresentano il venir meno del legame, e, più ancora, la consapevolezza del rapporto
fra gli esseri umani e il pianeta in cui vivono. Offuscano la comprensione nel nesso
elementare fra l’uovo e la gallina, il latte e la mucca, il cibo e le foreste, l’acqua e i
fiumi, l’aria e la vita e più in generale fra la terra e la nostra esistenza.134.
130
Agarwal Anil, Damns, The First Citizen’s Report, 1, 2005, pag.60
Khagram Sanjeev, Dams and Development. Transnational Struggles for Water and Power, Oxford,
2005, pag. 61
131
133
Nata in Kerala e laureata in architettura a New Delhi, ha vinto nel 1997, il Booker Prize con il libro il
“Dio delle Piccole Cose”, oggi è assieme a Medha Patkar una delle principali attiviste del movimento
Narmada Bachao Andolan.
Shiva Vandana, “Le guerre per l’acqua in India”, Limes, quaderno speciale, Tutti giù per Terra, 2006,
pag. 46
52
Terzo Capitolo
La Valle della Narmada
3.1 La Narmada come divinità
3.1.1 La Dea Narmada
Come già affermato nel primo capitolo, i fiumi sono sempre stati di fondamentale
importanza per le civiltà umane. In India a rendere i fiumi ancora più importanti, ha
contribuito il clima monsonico, imprevedibile ma allo stesso tempo benefico perché
portatori di vita. Ecco perché in tutte le lingue indiane i fiumi sono femminili e al di
sotto di essi vi si ricollega una divinità benevola, portatrice di vita e di conseguenza
femminile. E’ il caso della dea Narmada, Ganga, Yamuna e così via.
Sicuramente la forma dell’immagine del fiume sacro più conosciuto è quello della
Ganga, dal momento che questo ha costituito il punto di irradiazione per la tradizione
Hindu ma tra i fiumi più citati c’è anche la Narmada; la Ganga dell’India occidentale e
lo spartiacque naturale tra India del nord e India del sud.Le popolazioni del Gujarat,
Maharashtra e Madhya Pradesh la venerano come uno dei fiumi più sacri.
La Narmada, chiamata spesso negli antichi testi Rewa135, viene sempre citata come tra i
più sacri dell’ India induista, non solo per il fiume in sé ma anche per i numerosi luoghi
di pellegrinaggio che si trovano lungo le sue rive.
Nonostante la Narmada non venga citata nei Veda, la sua figura inizia a essere centrale
fin dall’epoca puranica, tant’è che in molti passi essa viene associata alla Ganga e alla
Sarasvati. Nei Purana136, la Narmada viene spesso associata al culto di Shiva, mentre la
Ganga è associata al culto di Vishnu e Sarasvati a quello di Brahama.
Si pensa che in passato la Narmada avesse un significato religioso molto più importante
di quello che le viene storicamente attribuito, ossia di essere il principale fiume sacro
dell’India centrale e occidentale.
Ma i purana non si limitano a paragonare la Narmada alla Ganga o alla Sarasvati. In
diversi passi emerge la superiorità della Narmada anche rispetto agli altri due fiumi,
soprattutto per i rituali di purificazione. Il dharsan, semplice sguardo delle acque per
purificarsi dalle colpe, rende la Narmada unica. Essa possiede la capacità di trasmettere
agli essere umani la purezza.
In un passo della Matsya Purana vi è un paragone tra la santità della Narmada e quella
degli altri tre più sacri fiumi della tradizione induista: la Ganga, la Yamuna e la
Sarasvati. Qui si afferma come il primo abbia capacità di purificazione dei peccati in
modo maggiore rispetto agli altri tre137, in un altro passo viene ribadita la superiorità
della Narmada in termini di sacralità. Essa si presenta sacra nel suo insieme, non è sacra
solo in alcuni punti, thirtas138, ma è sacra in ogni luogo del suo percorso. E’ sacra nei
ghat di Amarkantak e Omkhareswar, ma anche dove attraversa un villaggio o una
foresta.
135
Caldirola Stefano, La Narmada: Storia di un Fiume Indiano e del suo Ambiente, tesi di dottorato
(docente supervisore prof E. Fasana) in Storia, Istituzioni e Relazioni Internazionali dell’Asia e
dell’Africa Moderna e Contemporanea, a.a. 2003-2004, pag. 93
136
Eliade Mircea, Il Sacro e il Profano, cit., pag. 30
137
Caldirola Stefano, op. cit., pag. 95
138
Sono i luoghi per le immersioni durante il pellegrinaggio.
53
Se si guarda alle origini della dea Narmada ci si rende subito conto dell’importanza che
nella tradizione è stata data al fiume. Un mito, in particolare, ribadisce il ruolo unico
proprio della dea del fiume, quello espresso nello Skanda Purana sulla discesa della
Narmada sulla terra.
Yudishshthira chiede al saggio Markandeya, che meditava lungo le rive della Narmada,
come mai aveva scelto proprio le rive di quel fiume per compiere azione meditativa. Il
saggio rispose alla domanda raccontando il terzo Avatara139 della Narmada.
Durante il satya yuga alcuni saggi chiesero al re Pururava di portare la Narmada sulla terra,
poiché solo questo avrebbe consentito all’intera umanità di purificarsi dalle proprie colpe. Il re
era afflitto dall’impossibilità, per carenza di fiumi sulla terra, di non poter eseguire i riti
funebri e quindi di liberarne le anime dei suoi antenati, così decise di cimentarsi in penitenze
particolarmente dure, come il digiuno e la tapasya140.Quando Shiva apparse di fronte al re,
rimase impressionato dalla devozione di quest’ultimo e gli chiese la spiegazione delle sue dure
penitenze. Il re spiegò a Shiva il motivo e quest’ultimo, impressionato, chiese alla figlia
Narmada di scendere sulla terra. Ma Narmada si espresse dicendo che sulla terra non esisteva
alcuna montagna che potesse contenere la spinta delle sue acque, fu allora che Shiva chiese il
sacrificio al monte Prayank il quale riuscì a sostenere l’impeto della Narmada. Il fiume fu una
benedizione per tutti, lavando le colpe e consentendo la celebrazione dei riti per i defunti.141
Nei Purana vengono anche citati diversi episodi sulla capacità della Narmada di
purificare le anime degli esseri umani e degli dei.
Nello Skanda Purana si narra un’altro episodio.
Durante l’epoca di Swayambhuva Manvatar, il celebre Manu regnava sulla città di Ayodhya e
una notte fu destato dal suono di migliaia di campane, non riuscendo a capire l’origine del
suono chiese spiegazioni al saggio Vashishth, il quale rispose alla domanda dicendo che il
suono proveniva da una città chiamata Tripuri, lungo le sponde della Narmada. A Tripuri si
usava attaccare ai tetti delle case delle persone virtuose delle campane e visto che la città si
trovava sulle rive del fiume Narmada, tutti, compresi i più grandi peccatori semplicemente
guardando il fiume divenivano virtuosi. Secondo Vashishth solo la Narmada aveva il compito di
cancellare in un’istante i peccati. Manu dopo aver sentito queste spiegazioni decise di mettersi
in moto con il suo clan verso Tripuri.Tutti si immersero nelle acque della Narmada e tutti furono
purificati. Fu allora che Manu compì una grande yagya sulle rive del fiume, invitando asceti e
pellegrini. Narmada rimase impressionata dalla devozione di Manu e per ringraziarlo gli
propose di esprimere qualsiasi desiderio, fu così che Manu le chiese di aiutarlo a fare scendere
sulla terra la Ganga e altri fiumi sacri, in modo da moltiplicare le fonti di purificazione sulla
terra. Narmada rispose che un discendente di Manu, Bhagirath, avrebbe favorito la discesa della
Ganga e alla fine della stessa epoca sarebbe discesi anche gli altri fiumi.142
Come si può notare da questo brano la Narmada era il più sacro dei fiumi e tra le tante
interpretazioni per avvalorare tale tesi, esiste la leggenda più popolare che ha preceduto
la stesura dei Purana per poi essere ripresa nel Karma Purana e nello Shiva Purana.
La giovane e bellissima figlia di Shiva era stata promessa in sposa al giovane
Sonbhadra. Poiché Narmada non aveva mai visto il suo futuro sposo, divorata dalla
curiosità mandò una sua ancella, Johilla a vedere Sonbhadra. Jhoilla si innamorò del
139
Incarnazione di Visnu.
Tapas è un vecchio concetto indiano che lavora a livello cosmico e spirituale. E’ una la purificazione
di se stesso, pagando un prezzo estremo attraverso l penitenza, la preghiera, i digiuno o altre pratiche
spirituali e in comprenso ricevi risposte spirituali o materiali. Per Ghandi, tapas, sar la chiave per scoprire
il debito spirituale di una persona che consente la compassione e la sincerità che emerge nella vita di tutti
i giorni. Chapple Key Christopher and Tucker Mary Evelyn, Hinduism and Ecology, The Intersection of
Earth, Sky, and Water, Oxford University Press, New Delhi 2001, pag. 221
141
Caldirola Stefano, op. cit.,pag. 97
142
Ivi, pag 98.
140
54
futuro sposo di Narmada, il quale non conoscendo la verità, la volle possedere. Jhoilla
non disse mai chi era in realtà e quando Narmada venne a conoscenza del tradimento,
disperata cercò il suicidio gettandosi da una rupe e scappò via correndo verso occidente.
Il fatto che Narmada fosse in preda alla rabbia e all’angoscia è la spiegazione per cui la
Narmada a differenza degli altri fiumi indiani, scorre da ovest a est, compiendo così un
tragitto contrario. Sonbhadra si rese conto dell’inganno, cercò Narmada, compiendo un
lungo percorso che lo portò a scorrere verso est. Oggi il fiume Son nasce a pochi metri
dalla sorgente Narmada, per poi unirsi alla Ganga.
Jhoilla rimase vicino a Sonbhandra, ma con la punizione di poterlo osservare solo da
lontano. Jhoilla è oggi identificata con il terzo fiume che nasce da Amarkantak, la
Mahanadi. Secondo la leggenda Narmada Devi rimase per sempre Kumari, ossia
vergine, non essendosi mai più sposata. Narmada Kumari è di conseguenza la più pura
di tutte le dee, anche la Ganga, secondo la tradizione, va bagnarsi nelle acque della
Narmada per purificarsi. La Ganga raggiunge le acque sotto forma di vacca nera e dopo
essersi immersa ritorna verso nord con le sembianze di una vacca bianca, simbolo
dell’avvenuta purificazione143.
Per tutte le persone che popolano le rive del fiume Narmada, quest’ultimo è il più sacro.
E’ il luogo dove si svolgono i riti funebri, dove vengono immerse le statue della dea al
termine della Durga Puja144, o attorno a cui sono fiorite e leggende di villaggio. Ma il
fatto che attraverso i testi sacri come anche le leggende popolari, la sacralità della
Narmada sia conosciuta in tutta l’India, dà un’ulteriore importanza al fiume. Fiume
sentito come indiano per il retaggio, storico, culturale e religioso non solo per gli
abitante della valle ma per tutta l’intera comunità induista del subcontinente.
3.1.2 Unicità del Parikrama
L’unicità del fiume Narmada di cui abbiamo parlato poc’anzi è data anche dal
pellegrinaggio che si svolge nelle sue rive e che presenta caratteristiche che non
vengono trovate in nessun altro continente: il parikrama.
Si tratta di un pellegrinaggio che i devoti compiono a piedi circuambulando l’intero
corso del fiume per 800 chilometri all’andata e al ritorno145.
L’idea di questo pellegrinaggio nasce dalla considerazione che il letto in cui il fiume
scorre è un unico grande tempio. Poiché il tempio è nella religione induista la dimora
della divinità è normale che il letto del fiume e la valle in cui esso scorre, vengano
riconosciuti come dimora della dea Narmada e quindi come luogo fisico assimilato al
tempio in tutto e per tutto.
I primi riferimenti al parikrama, nonostante non siano certi si riferissero a questo
pellegrinaggio, si trovano nei Purana, purtroppo però non si trovano elementi che ci
diano certezza sulla datazione e l’inizio di questa pratica.
Secondo la tradizione il primo parikramavala fu il santo Markandeya, ed è a lui che
vengono attribuite le regole che ogni pellegrino deve seguire nel realizzare il lungo
143
Questo rituale è ancora svolto nel mese di Veshak, quando nella città di Dudlod, in Gujarat, una vacca
nera viene immersa nelle acque e una vacca bianca viene tirata fuori dal fiume. Per i pellegrini questo
rituale è molto importante, dal momento che per la prima volta sono in presenza dei due fiumi più sacri
nello stesso luogo. Caldirola Stefano, op. cit., pag.99
144
Venerazione di ottobre delle dIvinità Durga, venerata da milioni di indiani come rappresentazione
dell’energia cosmica, la sua primaria funzione è quella di mantenere l’equilibrio dell’ordine cosmico
sconfiggendo i demoni. Chapple Key Christopher and Tucker Mary Evelyn, Hinduism and Ecology, The
Intersection of Earth, Sky, and Water, Oxford University Press, New Delhi, 2001, pag. 469
145
Caldirola Stefano,op. cit., 121
55
viaggio spirituale. Pare infatti che abbia risalito tutti gli affluenti tenendosi sulla destra
delle acque sino a raggiungere la sorgente in tre anni, tre mesi e tre giorni.
Le regole del parikrama consistono nel muoversi sempre a piedi nudi, nel non
attraversare mai il fiume se non alla foce e nel non tagliarsi mai barba e capelli lungo il
percorso. Oltre a queste tre regole fondamentali ve ne sono molte altre, come l’obbligo
del pellegrino di mangiare una volta al giorno, di compiere un bagno nella Narmada una
volta al giorno, astenersi da attività sessuali, dormire sulla nuda terra, non mentire,
procurarsi il cibo attraverso l’elemosina, vestirsi di bianco, non parlare mai ad alta voce,
sopprimere ogni desiderio146.
Oggi i pellegrini partono da una qualsiasi punto lungo le rive del fiume, sulla sponda
settentrionale o, indifferentemente su quella meridionale. Il percorse si compie tenendo
il fiume sempre sulla destra senza viaggiare durante i 4 mesi delle piogge, perché il
fiume si ingrossa e molti sentieri vengono inondati. L’interruzione del pellegrinaggio,
oltre a motivi di tipo naturale, viene giustificata dal punto di vista religioso con il fatto
che il pellegrino non possa attraversare le acque, non può tornare indietro lungo il
percorso, e non può attraversare più di una volta lo stesso affluente.
L’inizio del pellegrinaggio viene sancito attraverso un rituale. A ogni pellegrino
vengono rasati barba e capelli per essere offerti alla dea Narmada, come unici beni in
possesso del pellegrino. Viene poi riempito un contenitore con l’acqua della Narmada, e
tale contenitore verrà portato dal pellegrino lungo il tragitto svuotandolo e riempiendolo
prima quando raggiunge la bocca del fiume a Broach e poi alla sorgente ad Armakantak.
Una volta terminato l’intero percorso il pellegrino si deve recare a Omkareshwar, per
versare quest’acqua sul jyotirlinga, al tempio di Omkareshwar. Qui il contenitore viene
riempito per l’ultima volta e poi portato alla propria dimora, dove l’acqua viene aspersa
per garantire prosperità alla famiglia.
Gli scopi di un pellegrino per intraprendere tale percorso, sono vari: espiare le proprie
colpe, pregare per gli altri membri della propria famiglia, amici e persone che
appartengono alla sua comunità dal momento che i benefici del pellegrinaggio ricadono
in eguale misura sul pellegrino e sulle persone che vengono ricordate da quest’ultimo
nelle sue preghiere. Il parikrama può anche essere intrapreso da una persona per conto
di un’altra, anche se così facendo poi i benefici spirituali, phal, andrebbero ripartiti. Il
pellegrino che compie il parikrama per un’altra persona, dovrebbe provenire dalla
medesima comunità e possedere un uguale livello di conoscenza dei riti e dei testi sacri.
I benefici spirituali sono massimi nel caso in cui un marito compia il parikrama per la
moglie oppure se il parikrama viene compiuto per i genitori, i fratelli, le sorelle, i nipoti
e il proprio guru o discepolo.147
Ma l’idea di intraprendere un viaggio del genere non può essere spiegata solo con il
desiderio di purificazione o la volontà di acquisire meriti per se stessi e per le persone
più care. Il pellegrinaggio viene compiuto per accostarsi al divino, oltre che per
rinforzare i valori della comunità. Una dimensione speso sottovalutata è quella della
simbiosi che si viene a creare tra il pellegrino e la natura. Il fatto che il percorso sia
molto irto e da fare a piedi fa pensare a un percorso di penitenza. Oggi il percorso del
pellegrinaggio rimane lo stesso fatta eccezione per i progetti idrici della valle fatti. I
pellegrini compiono sempre lo stesso sentiero con gli stessi rituali, venendo ospitati nei
villaggi, dormendo nelle case dei contadini o degli adivasi. E’ nel parikrama che si
esprime la massima devozione per la Dea Narmada e attraverso esso i pellegrini si
accostano all’ecosistema del fiume e alle condizioni della sua gente.
146
Chapple Key Christopher and Tucker Mary Evelyn, Hinduism and Ecology, The Intersection of Earth,
Sky, and Water, Oxford University Press, New Delhi, 2001, pag. 397
147
Ibidem
56
3.1.3 Cultura, storia, componenti etniche
Come paesaggio religioso culturale, la regione Narmada viene definita dalle scelte
comportamentali fatte dalle persone che vi vivono. Scelte che si basano su insiemi di
credenze, che includono miti e simboli sacri, concernenti le relazioni delle persone con
il loro passato nel contesto geografico.
La cultura è fatta sia di tradizioni popolari che metropolitane, ma anche se queste hanno
radici comuni, c’è una distinzione tra le due che si basa soprattutto sull’ecologia del
luogo, dove gli aspetti popolari della cultura si mischiano con le leggende della storia.
Le tradizioni popolari esprimo i bisogni umani,danno ordine ai sentimenti umani e ci
permettono di conoscere come le persone organizzano l’espressione di questi
sentimenti. Più di ogni altra attività culturale ci rivelano attraverso a letteratura, la
musica, le canzoni, le danze e l’arte gli sviluppi della società. In particolare nel contesto
induista e in considerazione delle sue gerarchie economiche, politiche e sociali, il
pellegrinaggio è una specifica tradizione popolare dove la consistenza di attività
culturali può esser vista chiaramente.
Le popolazioni che abitano la valle della Narmada sono piuttosto eterogenee. Neppure
gli abitanti originari, adivasi, sono in realtà mai stati estranei e isolati al contesto in cui
vivono. Oggi in India vivono circa 60 mila adivasi, in continua fusione con le
popolazioni circostanti, fatto riscontrabile in modo elevato nella valle della Narmada.
Il fiume ha rappresentato un punto di unione, nonostante le differenze geografiche che
permettono di dividere la valle in quattro distinte aree.
Gli adivasi costituiscono circa un terzo della popolazione della valle della Narmada e si
concentrano nelle zone più remote, dove i gruppi definiti scheduled tribes148
costituiscono spesso la maggioranza assoluta della popolazione.
Analizzando la religiosità induista su due livelli, quello della tradizione dei testi sacri e
quello dei culti locali, il culto della dea Narmada non mostra differenze .
Da un lato la dea Narmada viene divinizzata nei testi sacri, soprattutto alcuno
Mahapurana, che conferiscono alle leggende e alla tradizione religiosa un ruolo di
importanza “panindiano.”
A fianco a questa tradizione troviamo il culto locale, che per quanto non ci pervenga
attraverso testi sacri, mantiene sempre una certa importanza. E’ proprio dal culto locale
che assume l’importanza di colei che da la vita, non a caso le offerte che vengono fatte
oltre a essere un ringraziamento sono un tentativo di placare la forza distruttrice delle
acque. Ogni villaggio ha la sua tradizione e spesso alcuni villaggi vengono influenzati
dalla grande tradizione induista. Gli stanziamenti tribali della valle sono rimasti
relativamente autonomi dal mondo esterno.
Le persone di Baiga, Gond, korku, Bhil e Bhilala hanno coltivato la vallata e le sue
banchine per millenni coesistendo con la foresta, che copre circa 75-85% dei loro
bisogni come alimenti, concimi, frutti materiale da costruzione e così via. I gruppi
tribali più isolati non subiscono influenze esterne, come i Baiga della Narmada orientale
che non attribuiscono al fiume nessun significato.Mentre i Bhilala di Alirajpur, in
Madhya Pradesh, divinizzano ogni fenomeno naturale è così che hanno riservato al
fiume Narmada un ruolo centrale, legato in particolare al monsone. L’unione tra la
pioggia e la terra viene celebrata con la cerimonia indal pooja, dove si canta la canzone
148
Termine utilizzato dal governo per indicare gruppi etnico-tribali riconosciuti dal governo, soprattutto
nei documenti di lingua inglese. Caldirola Stefano, op.cit,pag. 5
57
alla creazione149. Ma l’identificazione della Narmada come Dea madre non è uguale alla
cultura induista. Il rituale induista, il parikrama, per gli adivasi non ha significato.150
Nonostante questo pellegrinaggio non abbia importanza per gli adivasi, ha sicuramente
influito e influenzato le tribù che vivono lungo il corso del fiume, si è creato un sistema
di relazioni sociali, economiche e culturali. I pellegrini sono entrati in contatto con gli
adivasi, i quali hanno col tempo assorbito la cultura induista151.
Il processo di introduzione del culto induista della dea Narmada è graduale e ancora in
corso in molte aree.
3.1.4 Geografia del fiume
La Narmada, la linea di confine naturale che divide l’India del nord da quella del sud,
nasce dal monte Amarkantak,1.057 metri sopra il livello del mare e scorre per 1.312 km
per poi sfociare nel mare d’Arabia. Il fiume attraversa, 16 distretti, il Madhya Pradesh, il
Gujarat e la zona periferica del Maharashtra, scorre attraverso il denso Sal, la pianura
del Nimad, le catene montuose di Satpura-Vindhyas per poi ridiscendere giù nelle
pianure alluvionali del Gujarat.
Tra le catene di Maikal, Satpura e Vindhya si estendono le pianure di Jabalpur,
Narsimhapur, Hoshangabad, Nimad e Gujarat.152.
Nel primo tratto il fiume scorre verso nord-ovest per circa 80 km, cambiando poi
direzione nei pressi di Dindori, scorrendo verso sud-ovest sino all’unificazione con il
fiume Banjar per poi svoltare a nord. Il corso prosegue nella pianura dov’è situata
Jabalpur, e senza toccarla, arrivata al villaggio di Beraghat il fiume compie nuovamente
un’altra svolta da nord-est a sud-est passando attraverso un’area di formazioni
marmoree conosciuta con i nome di Marble Rocks. Il fiume diventa stretto e impetuoso
per poi tornare calmo e placido nella vallata situata tra Vinhya e Satpura, zona in cui
vivono principalmente popolazioni non adivasi. Il fiume prosegue verso la pianura di
Nimar, accogliendo diversi affluenti e facendo di questa zona una delle più coltivate.
Ma subito dopo Badwani, la valle si restringe dando nuovamente spazio alle foreste
vergini dell’India. L’ultimo tratto del fiume di circa 180 km è situato interamente nel
Gujarat, dove il fiume finisce per sfociare nel mare arabico nei pressi della città di
Baruch.
Il fiume Narmada e il suo bacino, formano un importante caposaldo nella storia della
penisola indiana. Il fiume definisce l’altopiano del Deccan, aprendo la strada per il
dakshinapath (regione del sud) nel periodo mediovale. Soltanto qui si può riscontrare
una ininterrotta catena di attività umane dal periodo preistorico al quello storico,
definita dagli archeologi come il tesoro ritrovato.153 Fin dal 1872 ha mostrato di essere
la culla dell’abitazione umana, nel letto del fiume a Butta, nel distretto di Narsinghpur,
venne ritrovata la prima abitazione umana, mentre nelle colline di Bhimbetka e
Adamgarh furono rinvenuti i primi segni di pittura preistorica.
Dalle prima indicazioni di esistenza umana la valle è stata vista come il vai e vieni della
preistoria indiana. Ci sono prove di numerosi stanziamenti dell’età della pietra a
149
La quale dice che il mondo trae origine dalla Narmada. Baviskar A., In the Belly of the River, Tribal
Conflicts over Development in the Narmada Valley, Oxford University Press, New Delhi, 1997, pag. 263
150
Baviskar A., op. cit.,pag. 91
151
Inoltre i villeggianti hanno creato un certo numero di mercati locali, haats, e quindi stilato determinati
giorni della settimana per scambiare prodotti, la gente proveniente dall’esterno della società tribale,
chiamata bazariya, ha finito non solo per influenzare le tribù ma anche per sfruttarle. Sangvai Sanjay, The
River and Life, people’s struggle in the Narmada Valley, Earthcare Books, Mumbai Calcutta, 2002 pag.
152
Sangvai Sanjay, op. cit., pag. 7
153
Ibidem
58
Navadatoli e Kasaravad e recentemente, sono state rinvenute nuove tracce a PipriUtawad, Khaparkheda154.Zone che presto verranno sommerse e cancellando tutto grazie
al Progetto della Narmada, la grande scalinata d’acqua.
3.2 Narmada Projects
Numeri:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
1987 approvazione del Governo per la costruzione delle due dighe principali
91.000 ettari di terre sommerse
41.000 ettari di foresta vergine
249 villaggi sommersi
360.000 sfollati
1980 stesura progetto
3.200 dighe previste (30 grandi, 135 medie, le rimanenti piccole)
44,2% dell’energia prodotta dispersa
50 m altezza iniziale Sadar Savor, in seguito innalzata a 100 m, approvati 110,6 m155
Roy Arundathy, “Per il Bene Comune”, Internazionale, 22-28 ottobre, 1999, pag.18
Il progetto si basa sulla trasformazione del gigantesco fiume in una serie di bacini idrici:
3.200 dighe che avrebbero trasformato la Narmada in una sorta di scala di acqua. Di
queste 30, sarebbero state dighe di grandi dimensioni, 135 medie e il restante piccole.
Lo scopo era quello di fornire acqua per l’irrigazione e l’elettricità: 123.000 ettari
sommersi per irrigarne 91.000 ed elettricità ai due stati di Madhya Predesh e
Gujarant156.
154
Sangvai Sanjay,The River and Life, people’s struggle in the Narmada Valley, Earthcare Books,
Mumbai Calcutta, 2002 pag. 7
155
Dossier Legambiente, Ambiente Violato e Diritti Calpestati, le 10 grandi dighe più devastanti del
mondo, Roma , 22 marzo,2006, pag. 18
156
Sangvai Sanjay, op. cit.,pag. 10
59
3.2.1 L’Inizio del Conflitto
I sogni di imbrigliare le acque della Narmada attraverso le dighe, sono stati coltivati dai
politici fin dal lontano XIX secolo. La prima Commissione per l’irrigazione, nel suo
resoconto del 1901 cita una diga vicino a Baruch157. Tuttavia il profondo suolo nero di
Baruch-Ahmedabad non fu considerato idoneo per la costruzione del canale e venne
così trovata un’altra utilità alla diga di Baruch; vendere l’acqua agli abitanti dei villaggi.
La fiducia verso il progetto della Narmada faceva parte di quella politica di sviluppo
adottata subito dopo l’indipendenza quando la Central Waterways , Irrigation and
Navigation Commission (CWINC) propose come siti per la costruzione delle grandi
dighe; Bargi, Tawa, Punasa, e Baruch.
La diga di Tawa, nel fiume Chhoti Tawa, venne completata nel 1973, causando la
dislocazione e la saturazione in tutte le sue aree di comando. La diga di Bargi fu
completata nel 1989, sfollando più di un milione di persone e sommergendo 162
Dal 1955, la Central Water Power Commission(CWPC) identificò 16 siti per il progetto
e nel 1956 propose la diga da 50 metri. Nel 1959 la CWPC, presentò il progetto al
Governo di Bombay, nasceva così il sogno della Sardar Sarovar158, che in seguito subì
radicali cambiamenti concernenti i suoi scopi.159
Questa sindrome continuò e diventò più forte in Gujarat con Mr Bhailalbhai Patel o
Bhaikaka160, il quale evidenziò la necessità di deviare le acque della Narmada. Tutto ciò
ebbe un forte impatto sul movimento indipendentista del Gujarat degli anni ‘50,
provocando comportamenti di rivendicazione da parte dell’elite di potere. Nella metà
degli anni ‘70, l’astuto politico Chimanbhai Patel, fece del progetto della Narmada un
mezzo per sopravvivere politicamente. Dopo essere stato forzato alle dimissioni dal
primo ministro Indira Gandhi, Chimanbhai si proclamò “figlio dei contadini”
viaggiando in ogni angolo del Gujarat con la bandiera del progetto della Narmada e
sostenendo che il progetto della Narmada sarebbe diventato la questione principale del
futuro161.
Che relazione aveva questo sogno con la realtà? Con i suoi 1.312 km di lunghezza, solo
160 km della Narmada scorrevano nel Gujarat. Solo il 5% della raccolta del fiume stava
nello stato, gli adivasi e i contadini sulle sponde erano quelli che avevano più diritti, ma
ciò non andò in questo modo e da sogno si trasformò in incubo.
Un incubo non solo per il progetto e tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate, ma
anche per la lotta tra i tre stati che si andava delineando per spartirsi le acque del fiume.
Il processo di riorganizzazione statale degli anni ’50, subito dopo l’indipendenza,
aumentò il numero delle dispute. Il risultato fu the Inter-Sate Water Disputes Act del
1956162, che autorizzava il Governo ad assegnare la questione sulla disputa a un
tribunale, la cui decisione avrebbe obbligato in tutto le parti contestanti. La
giurisdizione di questo tribunale fu relegata alla sola questione della disputa delle acque.
Accordata dal governo del Gujarat la prima indagine sul potenziale sviluppo
dell’energia e delle acque iniziò nel 1947, dando priorità alle indagini nei siti di Baruch,
Tawa, Bargi e Punasa.
157
Sangvai Sanjay, op.cit, pag. 11
La SSP è la diga più grande del progetto assieme alla Narmada Sagar Project. (NSP)
159
Sangvai Sanjay, op. cit.,pag.12
160
Ex ingegnere nella diga di Sukkur ( adesso in Pakista) che successivamente divenne un rispettato
insegnate. Ibidem
161
Ibidem
162
Ibidem
158
60
La Planning Commission approvò il progetto d’irrigazione nel sito di Baroch, nel 1960
con un’altezza di circa 50 metri per irrigare 9.97 ettari di terra. Nel secondo stadio la
diga venne sollevata a 90 metri e infine a 100.
Dopo molti sforzi, l’Unione del governativa nominò il Comitato sullo Sviluppo delle
Risorse dell’Acque della Narmada163 sotto la presidenza del Dr.A.N. Kholsa, primo
governatore dell’Orissa. Nel 1965 la commissione propose una diga al di sopra dei 152
metri vicino a Navagam, nel distretto di Baruch, nel Gujarat, assegnando 14 milioni di
acri al Mahadya Pradesh e 10 milioni circa al Gujarat.
Il Governo del Madhya Pradesh contestò subito la decisione e si oppose alle
rivendicazioni del Gujarat sulle acque della Narmada, chiarendo che il fiume prima di
tutto apparteneva al M.P. e che il Gujarat reclamava più di quanto gli spettasse. Accusò
anche il Ministero della Risorsa delle acque, Dr K.L. Rao, di essere di parte con il
Gujarat e rifiutò di partecipare a qualsiasi discussione in cui fosse presente il Dr. Rao.
Non volle portare la questione in tribunale e chiese chiarimento diretto tra Gujarat,
Maharashtra e Mahadya Pradesh.164
Il 24 novembre 1967, la legislatura statale, unanimemente, passò una risoluzione non
ufficiale sostenendo che:
“Il Madhya Pradesh non è pronta a sacrificare un solo ettaro del suo terreno per l’irrigazione nel
bacino della Narmada e nessuna risoluzione della disputa sull’acqua della Narmada dovrebbe
essere cercata in questa posizione… Il Madhya Pradesh, non vorrebbe come ogni altro stato
occuparsi di un progetto che affliggerebbe gli interessi della sua gente sommergendo qualsiasi
parte del suo territorio.”165
Nel dicembre del 1967 i membri del Parlamento scrissero una lettera al Primo Ministro
definendo le richieste del Gujarat irragionevoli e non nell’interesse dell’economia
nazionale e degli sforzi per lo sviluppo.
Sia il Madhya Pradesh che lo stato del Maharashtra, insistettero affinché la diga di
Navagam (adesso SSP) fosse dell’altezza di 60 metri opponendosi alle volontà del
comitato Khosla che proponeva un’altezza di 150 metri.
Dopo il rifiuto da parte del M.P. sulle proposte della commissione Kholsa, iniziarono
una serie di incontri tra i vari Stati. Nel luglio del 1968, il governo del Gujarat espose
una formale denuncia all’interno dell’Atto per le Dispute dell’Acqua del 1956.
Fu così che il Governo Indiano decise, nel novembre del 1969, di istituire il Tribunale
per la disputa delle acque della Narmada (NWDT).
Il Gujarat continuava a chiedere una grossa quantità di acqua sostenendo che le sue aree
erano quelle a rischio di siccità perché lontane dalla valle del Kutch, per rafforzare la
sua posizione fece subentrare nella disputa lo stato del Rajastan.
Il M.P. inizialmente non ripresentò alle udienze per poi successivamente entrare in
gioco proponendo una distribuzione dell’acqua di 24.08 MAf per se stessa e 4.44 per il
Gujarat. Il Gujarat propose invece 6.00 MAF166 contro 22.72 MAf per il suo stato. Di
conseguenza, il M.P. sostenne che l’altezza della SSP dovesse essere di 60 metri,
mentre il Gujarat chiedeva un altezza di 160 metri.
L’NWDT inizialmente rigettò l’inclusione del Rajastan, per poi accettarlo nel 1974 e
quindi opporsi alle proposte del M.P. Un lotta estenuante conclusasi solo dopo dieci
163
L’obbiettivo del NWRDC chiamata anche commissione Kholsa, era quello di creare, con la
consultazione dei tre stati, un piano principale per l’ottimizzazione e lo sviluppo delle risorse delle acque
della Narmada. Wood R. John, The Politics of Water Resource Development in India, the Narmada Dams
Controvesy, SAGE Publications, New Delhi, 2007, pag. 97
164
Sangvai Sanjay,op. cit., pag.13
165
Ivi, pag. 14
166
Maf= Milioni di acri per metro cubo, è l’unità di misura per misurare il volume dell’acqua.
61
anni, quando nel 1979 l’NWDT emise la sua sentenza. Al Madhya Pradesh venne dato
18.25 MAF di acqua al Gujarat 9 MAF, al Rajastan 0.50 MAF e al Maharashtra 0.25
MAF della Narmada. L’NWDT annunciò l’altezza delle due proposte fatte nel piano di
sviluppo della valle della Narmada. Queste erano la Saradar Sarovar Project (SSP) di
138 metri e la Narmada Sagar Project (NSP), successivamente rinominata Indira Sagar,
di 260 metri dal livello del mare167.
Venne stipulato che la diga Indira Sagar sarebbe stata costruita principalmente per
rilasciare l’acqua alla Sardar Sarovar e che i benefici della SSP dipendevano dalla NSP.
L’NWDT sosteneva che l’altezza pattuita per la Sardar Sarovar sarebbe stata sufficiente
per l’irrigazione del Gujarat e del Rajastan. In realtà la diga venne successivamente
innalzata a 138 metri per compensare la perdita di energia elettrica in M.P. e
Maharashtra. Era chiaro che il tribunale stava favorendo il Gujarat non rispettando le
norme per la divisione dell’acqua.
Le lotte di cavilli tra i due stati proseguirono fino al 1969, paralizzando di fatto i
progetti, fino a quando il governo centrale, in base al potere conferitogli dall’articolo
262 della costituzione del 1950, decise la creazione di un tribunale per le dispute sulle
acque della Narmada.
Il tribunale commissionò indagini che durarono nove anni, in cui nulla mutò lungo il
corso del fiume. Il rapporto finale sul Narmada Valley Project, reso pubblico nel
dicembre del 1979, approvò le controverse opere previste sul medio e basso corso del
fiume, riuscendo alla fine a trovare un nuovo accordo tra i governi degli stati interessati,
cui ora si era aggiunto anche il Rajasthan.
La nuova versione del Narmada Valley Project (NVP) è costituito da due progetti
distinti ma in relazione tra loro:
• il Sardar Sarovar Project (SSP), al confine fra i tre stati rivieraschi;
• il Narmada Sagar Complex (NSC), più a monte, completamente nel territorio del
Madhya Pradesh.
Il primo prevede una diga principale, altre 29 grandi dighe e 135 sbarramenti di medie
dimensioni. Il complesso dovrebbe portare alla nascita dell’imponente recevoir di
Sardar Sarovar, ampliamento di quello creato dalla vecchia diga di Navagam, le cui
acque saranno interamente destinate all’irrigazione dei distretti occidentali del Gujarat e
di Barmer, in Rajasthan.
Altri tre recevoir, rispettivamente Punasa, Omkareshwar e Maheshwar, sono stati già
realizzati nell’ambito del NSC sul fiume prima che esso entri nel Gujarat, e servono
essenzialmente ad irrigare il Madhya Pradesh occidentale.
Approvando il progetto, il tribunale adottò specifiche raccomandazioni circa il
programma di Reinsediamento e Reinserimento (R&R). Definendo “sfollato” (“oustee”)
non solo chi era proprietario di un terreno in prossimità dell’area che sarebbe stata
sommersa, ma anche tutti coloro che semplicemente vivevano nelle zona soggetta
all’inondazione, compresi i braccianti ed i contadini senza terra, gli artigiani ed i
pescatori, per la prima volta un organo governativo chiamato a dare un giudizio su una
simile controversia allargava il diritto ad ottenere compensazione a tutti coloro che
erano in effetti danneggiati dal sistema di dighe.
3.2.2 L’opposizione popolare e la nascita dell’ NBA
Durante le deliberazioni del tribunale, verso la metà degli anni ‘70, una protesta su larga
scala si creava nell’area del Nimad.
167
Wood R. John, The Politics of Water Resource Development in India, the Narmada Dams Controvesy,
SAGE Publications, New Delhi, 2007, pag. 99
62
Nasceva il “ Nimad-Bachao-Narmada Bachao Samiti” (Salva Nimad - Salva il comitato
Narmada). I capi ben informati del gruppo, Mr. Mangilal Vyas e altri iniziarono a
diffondere la notizia di ciò che stava accadendo nella Valle, opponendosi alle
rivendicazioni del Gujarat di irrigare l’area del Kutch con le acque della Narmada. Ino
Il Samiti fu il primo a presentare un memorandum al Primo Ministro Indira Gandhi.
Il tribunale iniziò la procedura molto tardi e in modo incostante, non visitò mai le terre
sommerse, non considerò mai gli sfollati tribali dati dalla diga e non considerarono mai
gli aspetti ambientali ed ecologici della valle. Non determinò mai nemmeno la quantità
di acqua disponibile nella Narmada, ma accettò come dato l’accordo tra Gujarat e
Madhya Pradesh circa la disponibilità di acqua168. Il solo scopo del tribunale era quello
di distribuire l’acqua del fiume tra gli stati contendenti.
Con l’Inizio della costruzione della diga e le prime immersioni delle terre fertili, si
scatenò l’agitazione nelle valli. Il Nimad Bachao Andolan, iniziò una manifestazione di
protesta a Badwani, tutti i ponti di Rajghat Kalghat e Mortakka vennero bloccati.
Il Governo del M.P. si espose dichiarando che avrebbe cercato di ridurre l’altezza della
diga e che era pronta a ricompensare la perdita di elettricità che avrebbe avuto il
Gujarat. Il 28 agosto oltre 5.000 persone dalla valle dimostrarono a Bhopal169.
Nel 1983 un gruppo di attivisti ricercatori di un’organizzazione con sede a Delhi
“Kalpavriksha”, attraversarono la valle della Narmada per poi e pubblicare un resoconto
sul progetto delle grandi dighe. Vennero portati così alla luce i costi umani e ambientali
che il Narmada Project stava creando. In Gujarat alcuni attivisti, compreso Bhanubhai
Adhvaryu, sollevarono il problema circa i diritti delle popolazioni tribali e alcuni degli
stessi burocrati coinvolti nel negoziato per il prestito della Banca Mondiale, iniziarono a
mostrare dubbi sui risultati del progetto.
Fonte (autore), Pipri, Novembre 2007
168
Nell’agosto del 1981 Arjun Singh divenne il primo ministro del Congresso, l’amministrazione del
M.P. accettò la sentenza dell’NWDT sulle dighe come parte della strategia politica dell’India, e assieme
al primo ministro de Gujarat pattuirono un’ accordo confidenziale in base al quale entrambi gli stati si
sarebbero impegnati nel mitigare gli stenti delle persone sfollate, lasciavano aperta la possibilità di
rivedere l’altezza della diga nel caso il problema della riabilitazione diventasse insostenibile.
169
Sangvai Sanjay, The River and Life, people’s struggle in the Narmada Valley, Earthcare Books,
Mumbai Calcutta, 2002 pag.50
63
Nel 1986, in Ahmedabad, una organizzazione non governativa (ONG), preparava un
seminario sulla sopravvivenza. Tra gli organizzatori c’era Medha Patkar, che lavorava
già con i gruppi tribali nei distretti di Sabarkantha, Dangs e Banaskantha dal 1983-84 e
che sarebbe poi diventata il principale esponente dell’ NBA.
Al seminario, si presentò anche una certa Vashuda Dhagamwar che con l’intendo di
avvalorarsi del problema degli sfollati, volle essere portata nei villaggi per costatare di
persona il problema dello sfollamento.Medha Patkar l’accompagnò nel villaggio Akrani
in Maharshtra dove constatò di persona come il governo fosse indifferente
nell’informare e coinvolgere gli adivasi sulle decisioni riguardanti il loro futuro.
Iniziò così la saga di Medha Patkar per la Valle della Narmada.
Nel 1985 i tribali di alcuni villaggi dell’area colpita di Akkalkua e Akrani, iniziarono a
organizzarsi per opporsi. Nonostante non fossero informati sull’estensione dell’area che
sarebbe stata sommersa e su cosa ne sarebbe stato delle loro vita, sapevano benissimo
che una diga sarebbe stata costruita e che dovevano andarsene. Le minacce degli
ufficiali erano molto esplicite: “Se non ve ne andate adesso, come l’acqua sale, dovrete
correre come topi”170. Nessuno chiese un parere agli abitanti o li informò esattamente di
ciò che stava accadendo, fu Medha Patkar con altri attivisti che iniziarono a diffondere
l’informazione e a organizzare gli abitanti in gruppi di protesta.
L’ NBA, Narmada Bachao Andolan, letteralmente Movimento per la salvezza della
Narmada, nasce dall’unione di due organizzazioni costituitesi rispettivamente negli anni
1986-1987. La Narmada Ghati Navniram Samiti, con sede e Dhule in Maharashtra e il
Narmada Ghati Navnirman Samiti con sede a Barwani nel Madhya Pradesh.
La forza dell’NBA risiede nell’organizzazione degli abitanti del villaggio e
nell’appoggio avuto da oltre 150 ONG dell’India. In Maharashtra dove gli sfollati erano
tutti adivasi, venne creato un comitato in ciascun villaggio il quale mandava due
rappresentati al Karbhar Samiti (comitato di lavoro) una volta al mese.
Fonte(Roolpa), nei pressi di Badwani, Ottobre 2007
Il primo segno di unione nella protesta da parte degli abitanti dei tre stati, si ebbe con la
manifestazione del gennaio 1988 in Kevadia. Una manifestazione di portata nazionale
con persone provenienti da Dhule Ahmedabad, Baroda, Indore e Mumbai.
170
Sangvai Sanjay, op. cit.,pag. 39
64
L’NBA chiede che le persone possano partecipare al processo decisionale della diga,
possano conoscere quale sarà il loro futuro ed esprimere le loro opinioni.
Il 16 febbraio 1986, Narmada Dharangrasta Samiti NDS, venne costituita. Samiti non
trattò il problema dello sfollamento come qualcosa di già accettato, ma chiedevano il
diritto a conoscere e partecipare nel processo decisionale sul loro sfollamento, sulla
valutazione della loro vita e delle loro risorse la questione dell’abbandono delle loro
terre divenne il fulcro centrale.
Dal 1989 l’opposizione verso la diga e gli sfollati si era cristallizzata in due punti del
programma: primo, la non cooperazione con tutti i lavori collegati alla costruzione della
diga nei villaggi; secondo, la determinazione di non andar via dalla loro terra e villaggi,
simbolizzata dallo slogan : “Affogheremo ma non ci sposteremo”171 In uno dei maggiori
incontri dell’ NBA, il 5-6 maggio del 1989, venne creato un piano d’azione dettagliato a
livello nazionale, in questo incontro Baba Amte172 prese parte all’opposizione della SSP
andando a vivere lungo il fiume Narmada. L’Andolan marciò contro lo sviluppo
distruttivo ad Harsud mobilitando oltre 50 mila persone da 300 organizzazioni
provenienti da tutta l’India e il loro slogan fu : “ vogliamo lo sviluppo non la
distruzione”173.
L’NBA lanciò subito manifestazioni, satyagraha174, scioperi della fame, e
parallelamente cercò di guadagnarsi un appoggio internazionale, trovando terreno fertile
tra i sostenitori del nascente movimento per la riforma della Banca Mondiale, principale
finanziatrice del progetto.
I primi viaggi negli Stati Uniti di Medha Patkar sono del 1987 e del 1989. I suoi discorsi
pubblici furono così convincenti che alcuni autorevoli giornali la intervistarono ed
addirittura un gruppo di senatori democratici scrisse una petizione alla Banca Mondiale
perché interrompesse i finanziamenti.
3.2.3 MoEf, Report Morse e ritiro della Banca Mondiale
La Banca Mondiale mostrò il suo interesse per il Narmada Projects sin dal lontano
1978, inviando delle missioni con il compito di sondare il terreno per finanziare un
eventuale prestito. Nel 1980 “i missionari” della Banca Mondiale iniziarono ad
avvicinarsi ad alcune ONG dello Stato del Gujarat, facendo cedere che solo la presenza
della Banca Mondiale avrebbe garantito meglio la riabilitazione.
Iniziò così a finanziare il dipartimento per l’irrigazione del Gujarat, con 10 mila dollari,
per studiare il progetto. Già dalle prime analisi, si constatò che i costi economici della
NSP erano più alti dei suoi benefici.
171
Ivi, pag.52
Baba Amte (nato nel 1914 e morto il 9 febbraio 2008): attIvista e figura di spicco dei movimenti
ecologisti della valle della Narmada. Condusse con grande coraggio il satyagraha del 1942 in
Maharashtra contro il raj britannico, ottenendo riconoscimenti dallo stesso Gandhi. Dopo l’indipendenza
dell’India lasciò la carriera di avvocato per dedicare la vita intera alla difesa degli oppressi, in particolare
degli adivasi Gond. Nel 1949 fondò un’ associazione, la Maharogi Sewa Samiti, per la riabilitazione delle
persone affette dalla lebbra. A partire dagli anni ’70 condusse diverse proteste nei confronti delle Grandi
Dighe, in particolare quelle di Bhopalpatnam and Inchampalli, nel Bastar, un’area abitata dalle
popolazioni Gond. http://www.indiatogether.org/2008/feb/hrt-amte.htm
173
Sangvai Sanjay, The River and Life, people’s struggle in the Narmada Valley, Earthcare Books,
Mumbai Calcutta, 2002 pag.54
174
Letteralmente significa “forza vitale” è il termine coniato da Ghandi per indicare la disobbedienza
cIvile, attraverso proteste pacifiche, marce e digiuni. Oggi viene comunemente applicato a ogni
movimento che affronta il suo antagonista, in genere lo Stato, con metod non violenti. Chapple Key
Christopher and Tucker Mary Evelyn, Hinduism and Ecology, The Intersection of Earth, Sky, and Water,
Oxford University Press, New Delhi, 2001, pag. 524
172
65
Nel frattempo il governo centrale creò, nel 1980 un nuovo organo; il Ministero
dell’Ambiente e delle Foreste (MoEF). Nel 1983 questo ministero formulò le linee
guida per il progetto di sviluppo della valle e nel 1986 dichiarava che gli studi per gli
impatti ambientali dei due progetti non erano ancora stati completati e che avrebbero
richiesto ancora altri due o tre anni. Il Ministero chiedeva così:
1. la revisione dei parametri stabiliti per un’eventuale valutazione e modificazine
dell’altezza della diga e
2. la preparazione di piani dettagliati per la riabilitazione, per i bacini di accoglienza,
il rimboschimento e l’eventuale area di commando175.
Il fatto che gli studi per la costruzione delle dighe non fossero pronti, allarmò il Gujarat
tanto da fare pressione sul primo ministro Rajiv Gandhi, per avere nel 1987
autorizzazione da parte del MoEf , per la costruzione di entrambe le dighe.
Sebbene nel 1980 l’autorizzazione da parte del MoEF non esistesse ancora, la banca
Mondiale iniziò a elargire il suo primo prestito di 450 mila dollari.
L’autorizzazione estorta al MoEf nel 1987, sottolineava che occorreva compiere altri
studi entro il 1989, su otto punti principali:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
reinsediamento e riabilitazione
trattamento delle aree di bacino
trattamento delle aree di commando
flora e fauna
capacità di carico
rimboschimento
sismicità
impatto dal punto di vista della salute176
Nonostante le avvertenze, lo sfratto per la costruzione della SSP, da parte dei governi
del Gujarat e del Maharashtra era già iniziato nel 1980-83.
Nel 1990 l’eco delle conferenze di Medha Patkar giunse in Giappone, dove la sezione
locale degli Amici della terra organizzò una campagna tanto intensa da costringere il
governo giapponese a ritirare i finanziamenti stanziati per il progetto.
Il giorno di Natale del 1990 un gruppo di manifestanti dell’ NBA cercò di raggiungere il
sito della diga, ma venne fermato dalla polizia. Ne seguì un’aspra lotta con decine di
arresti e feriti. Alcuni membri dell’ NBA inscenarono uno sciopero della fame che durò
22 giorni attirando un gran numero di giornalisti nella valle.
Questi fatti e le pressioni delle organizzazioni ambientaliste costrinsero la Banca
Mondiale ad aprire un’inchiesta la Commission for the Indipendent Review affidata a
Bradford Morse, in precedenza a capo del Programma per lo Sviluppo delle Nazioni
Unite (UNDP), e al vice presidente Thomas Berger.
I lavori iniziarono con i monsoni del 1991, i membri incontrarono ministri e burocrati,
organizzazioni non governative che lavoravano nella zona, andarono di villaggio in
villaggio, da un sito di insediamento all’altro, visitando quelli buoni e quelli pessimi,
quelli temporanei e quelli permanenti. Parlarono con centinaia di persone, fecero
ricognizioni delle zone da sommergere e delle aree di comando, cioè quelle irrigate dai
canali. Esaminarono il progetto sotto ogni punto di vista per arrivare nel giugno del
1992 ala storica Revisione indipendente conosciuta come Rapporto Morse.
Il monito contenuto nelle 357 pagine della Revisione Indipendente è inequivocabile e
del tutto inaspettato:
175
Sangvai Sanjay, The River and Life, people’s struggle in the Narmada Valley, Earthcare Books,
Mumbai Calcutta, 2002 pag. 21
176
Sangvai Sanjay, op.cit, 24-25
66
pensiamo che i Sardar Sarovar Projects, così come sono, siano imperfetti, che il reinsediamento
e il reinserimento degli sfollati non sia più possibile date le circostanze e che l’impatto
ambientale del progetto non sia stato preso nella dovuta considerazione o studiato con i mezzi
adatti. Crediamo inoltre che la Banca condivida con il mutuatario la responsabilità della
situazione che si è verificata…. Appare chiaro come imperativi tecnici ed economici abbiano
indotto il progetto a trascurare del tutto gli interessi umani e ambientali…L’India e gli stati
coinvolti…hanno speso grandi quantità di denaro. Nessuno vuole che tale denaro vada perduto.
Ma il nostro avvertimento è questo: procedere senza una piena consapevolezza dei costumi
umani e ambientali potrebbe condurre a perdite ancora maggiori…. In conclusione, pensiamo
che la condotta più saggia, per la Banca, sarebbe quella di ritirarsi dal progetto e
riconsiderarlo da capo….177
Questo resoconto fu il caposaldo dello sviluppo futuro. Ma anche dopo la pubblicazione
la Banca Mondiale era riluttante nel fare marcia indietro e mandò un altro team sotto il
comando della signora Pamela Cox per investigare ulteriormente sulle raccomandazioni
del Comitato Morse. Fece ciò che il rapporto Morse aveva sconsigliato, e tentò di indire
una sorta di rimedio per salvare il progetto. Su suggerimento di questo comitato la
Banca chiese al Governo Indiano di soddisfare alcune minime basilari condizioni. Ma il
Governo non poteva fare nemmeno quel poco. La SSP diventava ormai una grossa
responsabilità per la Banca, e il 10 marzo del 1993 la Banca si ritirò.
L’euforia del ritiro della Banca non durò a lungo, il Governo del Gujarat dichiarò che si
sarebbe procurato da solo i 200 milioni di $ che servivano per completare l’opera. Il
ritiro della Banca fu un primo passo ma l’ NBA chiedeva che anche il governo Indiano
facesse la sua analisi dettagliata del piano, cosa che confece mai e anzi riprese a sfollare
e sommergere nuovamente i villaggi.
3.2.4 Satyagrha e creazione dell’ennesimo comitato
Il villaggio di Manibeli, nel Maharashtra, centro nevralgico della resistenza, fu messo
un’ altra volta sotto assedio. Centinai di abitanti dei villaggi parteciparono a un
satyagraha in occasione del monsone. Nel 1993 le famiglie di Manibeli rimasero nel
loro villaggio mentre l’acqua saliva, si legarono a pali di legno e si rifiutarono di
andarsene, alla fine i poliziotti li sciolsero con la forza e li trascinarono via. L’ NBA
dichiarò che se il progetto non veniva rivisto, un gruppo di attivisti si sarebbe gettato nel
bacino. Il 5 agosto il Governo costituì un altro comitato, Five Member Group (FMG),
per la revisione dei Sardar Sarovar Projects.
Il rapporto dell’FMG venne presentato l’anno successivo e rafforzava ciò che veniva
scritto nella Revisione Indipendente, niente cambiò. Nel febbraio 1994 il Governo del
Gujarat chiuse permanentemente le paratoie della diga.
Con il monsone del 1994, l’acqua del bacino si riversò dall’altra parte della diga, 65
mila metri cubi di cemento armato e 35 mila di roccia furono strappati via da un bacino
formando un grosso cratere, ma solo nel 1995 i giornali iniziarono a parlarne178.
All’inizio del 1995 dal momento che il reinserimento della popolazione si era mostrato
inadeguato, la Corte suprema decretò che i lavori della diga venissero sospesi. La diga
aveva raggiunto gli 80 metri di altezza sopra il livello del mare.
Nel frattempo iniziarono i lavori della Narmada Sagar e della diga a Maheshwar.
L’attenzione si spostò nel Maheshwar nella valle del Nimad, ma anche se i lavori si
erano fermati, si continuava ad abbattere gli alberi delle foreste e a radere al suolo i
villaggi.
177
178
cit…Roy Arundhaty, Guerra è Pace, Ugo Guanda Editore, Parma, 2002, pag. 91
Roy Arundhaty, Guerra è Pace, Ugo Guanda Editore, Parma, 2002, pag. 93
67
I Governi del Madhya Pradesh e del Mharashtra continuarono a ignorare gli sfollati,
mentre il Gujarat si vantava di avere la migliore politica di reinserimento. Ma di fatto lo
stato del Gujarat non è mai riuscito a reinserire gli abitanti dei suoi 19 villaggi oggi
sparpagliati in 175 siti di riabilitazione.
3.2.5 Gli sfollati
Il progetto della diga Sardar Sarovar è quello che ha creato il maggior numero di
sfollati, anche se ancora oggi non conosciamo un numero preciso. Ognuno ha sempre
dato numeri diversi. L’NWDT sosteneva che le famiglie sfollate erano 6.147 mila
(39.700 persone), il Gujarat affermava fossero6.700 famiglie, la commissione della
Banca Mondiale del 1987 faceva un totale i 12 mila famigli e successivamente 27.000.
Dal 1994, i governi stimavano che almeno 41.500 famiglie, da 245 villaggi sarebbero
state affette solo dall’inondazione del bacino, sino ad arrivare all’ultima stima del 2001
di circa 43.000 famiglie identificate dal governo come Paps, Project Affected
Persons.179
Le persone non colpite dal bacino ma dai canali di irrigazione, circa 170.000 non sono
considerate PAPs.
Il problema degli sfollati emerse chiaramente alla fine degli anni ’80 sull’alto corso del
fiume, presso Jabalpur, in Madhya Pradesh. Alle famiglie tribali che dovettero
abbandonare le proprie terre a causa della costruzione della diga di Bargi180, venne
inizialmente promesso un indennizzo pari alla proprietà requisita. Successivamente il
governo corresse le promesse, garantendo un compenso di soli due ettari per famiglia.
Ma la maggior parte degli sfollati ricevette solo piccoli terreni edificabili su cui
costruire le proprie case. I motivi della mancata realizzazione delle aspettative degli
sfollati di Bargi è da ricercare principalmente nell’impossibilità di provvedere adeguati
siti di reinserimento a causa della presenza nell’area di comando della diga di alcune tra
le più grandi foreste protette del paese.
La maggior parte dei nuovi villaggi sarebbe stata prossima alle rive del recevoir, ma, a
causa di calcoli errati, nella stagione dei monsoni del 1990 molti di essi si allagarono e
vennero, di conseguenza, dichiarati inabitabili. Il governo del Madhya Pradesh si trovò
decisamente impreparato a gestire la situazione e gran parte degli sfollati rimase
abbandonata al suo destino.
I vari tentativi di dialogo tra le persone dei villaggi e il governo si sono fino ad ora
mostrati vani. Ancora ad oggi non esiste una politica di reisendiamento comune ad
entrambi gli stati.
La storia del reinsediamento continua a essere una storia di indifferenza e promesse non
mantenute. Alcuni hanno avuto la terra, altri no. C’è chi ha avuto una terra pietrosa e in
coltivabile e chi satura d’acqua, altri ancora sono stati sbattuti fuori dai proprietari della
terra che l’avevano venduta al governo senza essere pagati. Alcuni degli insediati, sono
stati picchiati e cacciati via dai loro ospiti, in alcuni casi gli sfollati provenienti da due
diversi progetti sono stati alloggiati nella stessa terra.
Esiste poi un’altra categoria di sfollati, quella la cui terra è stata acquistata dal governo
per poi essere utilizzata come terra per il reinsediamento.
In numerosi siti dati in sostituzione alle terre sommerse la gente si ritrova a vivere
ammassata in baracche di lamiera, alcune sono state collocate nel letto asciutto di un
fiume, che durante il monsone si trasforma in un torrente in piena.
179
Sangvai Sanjay, The River and Life, people’s struggle in the Narmada Valley, Earthcare Books,
Mumbai Calcutta, 2002 pag. 125
180
La prima del progetto a esser stata completata nel 1989. Ivi, pag. 28
68
Da Manibeli si sono trasferiti 40 nuclei familiari in un sito di reinserimento. Il primo
anno sono morti 38 bambini181.
Famiglie che prima avevano la foresta dalla quale ricavavano tutto l’occorrente per
vivere: cibo, combustibile, foraggio, corda, tabacco, gomma, polvere dentifricia, erbe
medicinali, oggetti per la casa; ora guadagnano tra le 10-20 rupie al giorno, con le quali
devono sfamare e mantenere la famiglia. Prima avevano un fiume adesso hanno una
pompa a mano per l’acqua. Chi è vittima del reinsediamento deve imparare di nuovo
ogni cosa, le piccole come le grandi: dai bisogni corporali a comprare un biglietto
dell’autobus, all’imparare una nuova lingua a capire l’uso del denaro. Devono imparare
a compilare rimostranze scritte e presentarle ai vari comitati per i reclami.
Se il reinsediamento negli stati di Madhya Pradesh e Maharashtra è stato
sostanzialmente un fallimento la situazione non sembra essere molto migliore lungo il
corso inferiore della Narmada, in Gujarat.
Dal punto di vista normativo, il programma predisposto dal governo del Gujarat su
indicazione del Narmada Water Disputes Tribunal si presenta come uno tra i più
avanzati del mondo; per quanto riguarda l’attuazione pratica, invece, ha dato origine a
molte controversie, in un intrecciarsi di apprezzamenti e di critiche.
Il reinsediamento degli sfollati della diga di Sardar Sarovar può essere diviso in tre fasi. Una
prima fase iniziò nel 1961 dopo il completamento della diga di Navagam. Gli abitanti di 11
villaggi furono trasferiti nella colonia governativa di Kevadia e ad essi vennero versati
compensi in denaro per acquistare terre nei pressi del luogo; altri abitanti della valle vennero
costretti a spostarsi nel biennio 1984-1985, in seguito all’annuncio di ripresa dei lavori per la
creazione di una diga più alta; infine un progetto ancora in fase di sviluppo, che
dovrebbe alzare la Grande Diga da 59 a 140 metri, porterà alla creazione di un enorme
recevoir, costringendo gran parte delle 40.000 persone abitanti nel tratto della valle a
monte ad abbandonare le proprie case. Nel caso del Sardar Sarovar Project il problema
di irreperibilità delle terre per i nuovi insediamenti si è rivelato meno insormontabile. Il
governo di Gandhinagar ha privilegiato la ”land for land compensation”182, pur
mantenendo la facoltà di optare per risarcimenti in denaro. I tentativi di spostare interi
villaggi sono stati perseguiti nel limite del possibile, soprattutto nella terza fase del
progetto.
Il risultato è stato però deludente. La popolazione dei 19 villaggi sgomberati in Gujarat
è stata spostata in ben 175 villaggi dello stato, con il risultato di distruggere legami di
parentela e di comunità fondamentali nell’India rurale e di sommare ai danni economici
subiti dagli sfollati, anche gravi danni psicologici.
Il governo del Gujarat ha esplorato altre vie di reinsediamento, comprese le possibilità
di impiego nello sviluppo del progetto stesso e facilitazioni per cambiare occupazione e
divenire camionisti o negozianti, senza però impegnarsi a fondo nella realizzazione di
queste iniziative. Nonostante nelle regioni tribali non si perpetuino le differenze di
casta, queste hanno comunque creato tensioni sociali nelle comunità di villaggio del
Nimad. Le caste basse, soprattutto quella degli intoccabili, costituita da lavoratori della
terra, hanno poca interazione. Anche se le relazioni non sono inimicali come nel
Maharshtra e nel nord dell’India l’insicurezza e l’alienazione verso gli altri abitanti del
villaggio rimane. Tra le prime iniziative dell’Andolan c’è stata proprio quella di iniziare
un processo di dialogo tra questi due mondi.
181
Roy Arundhaty , La fine delle illusioni, Guanda Editore, Parma, 1999, pag.60
Forma di risarcimento introdotta in India negli anni ’50, al fine di supplire alle carenze dei risarcimenti
monetari. In linea teorica avrebbe dovuto garantire ai proprietari di appezzamenti di terreno sfollati una
pari quantità di terra. La legislazione varia però tra stato e stato e nei fatti molto raramente questa formula
è stata completamente rispettata.
182
69
La vita il lavoro e la sicurezza socio economica di queste caste di basso livello sono
quelle più colpite. Durante le battaglie contro la diga il governo ha cercato di dividere le
comunità portando alcuni degli sfollati delle caste riconosciute, in Gujarat. Ma molti di
loro sono successivamente ritornati nel Nimad. La comunità di villaggio con tutte le sue
imperfezioni, offre ancora sicurezza e sostentamento non ancora disponibili nei siti di
reinsediamento.
3.2.6 Dighe e condizione femminile nella valle della Narmada
Il 20 maggio del 1998 circa 200 adivasi impegnati nell’occupazione simbolica del
cantiere della diga di Maheshwar, lungo il medio corso del fiume, vennero arrestati
dalle forze dell’ordine183. Tra questi circa tre quarti erano donne. La massiccia presenza
di donne nei movimenti di opposizione nei confronti delle Grandi Dighe è una dato
costante e significativo.
La partecipazione femminile a manifestazioni di protesta come satyagraha e scioperi
della fame ha una lunga storia in terra indiana. Già durante la campagna di
disobbedienza civile nella primavera del 1930, sotto la guida della moglie di Gandhi,
Kasturbai, molte donne satyagrahin si distinsero per determinazione e coraggio, finendo
per andare a riempire i reparti femminili delle prigioni del raj britannico. Questa
presenza costituì un precedente per certi aspetti unico nella storia del paese, che non
aveva mai visto movimenti femminili di massa.
Nel caso dei movimenti nella valle della Narmada, la partecipazione femminile è
addirittura maggioritaria. Le donne delle area adivasi e nella società conservativa del
Nimad, sono state in prima linea nella lotta contro la diga. Loro contestano e discutono
con gli ufficiali di polizia, conducono le manifestazioni e gli incontri. Donne tribali
come Kamalajiji che io ho personalmente incontrato, hanno militato villaggi, hanno
parlato in luoghi urbani e semi urbani sono andate in carcere affrontando le aggressioni
da parte della polizia.
Rukmi kaki e Kamla Didi hanno preso il ruolo di leadership e sono attive anche in
nuove aree della valle. Le donne dell’Andolan hanno festeggiato il giorno della donna e
hanno anche tenuto un workshop sulle donne e lo sviluppo nel marzo del 1995, ma
devono ancora essere fatti molti passi avanti sull’emancipazione delle donne.
Occorre soffermarsi brevemente sulle cause di tale novità.
Innanzitutto la realizzazione di grandi opere pubbliche lungo il corso del fiume, pur
comportando conseguenze per tutta la popolazione della valle, influisce maggiormente
nei confronti delle categorie più deboli della società, tra cui le donne.
Le differenze di genere sono state spesso un elemento trascurato nel considerare
l’impatto delle Grandi Dighe. La divisione dei compiti tra uomini e donne è infatti una
delle dinamiche basilari attraverso cui una comunità si organizza, spezzare l’equilibrio
influisce sui rapporti tra i sessi.
Secondo B.G. Verghese184 la realizzazione di dighe aiuterebbe le donne facendo loro
risparmiare i tempi e i disagi della stagione secca che le costringe ad andare alla ricerca
di acqua. E’ quasi sempre, infatti, compito della donna andare a piedi al pozzo o a
specchi d’acqua, spesso situati a chilometri di distanza dai villaggi. I nuovi progetti
idrici, portando l’acqua in numerosi villaggi, consentirebbe alle donne di impiegare il
tempo in altre attività, più redditizie e meno faticose.
183
Sangvai Sanjay, The River and Life, people’s struggle in the Narmada Valley, Earthcare Books,
Mumbai Calcutta, 2002 pag.145
184
Verghese B.G., Winning the Future, Konark Publishers PVT LTD, New Delhi, 1994, pag. 138
70
Questo è certamente vero se prendiamo in considerazione i distretti di Kutch e
Saurashtra, ma non nella valle fluviale.
Se limitiamo la nostra analisi allo spostamento della popolazione, è evidente come le
donne siano state ovunque più danneggiate degli uomini. Le mogli dei contadini sono
state sistematicamente escluse da qualsiasi forma di indennizzo e non sono mai state
consultate dalle autorità. Il Narmada Valley Project venne da più parti lodato per avere
ammesso a godere del beneficio dell’indennizzo i figli maggiorenni dei contadini
(diritto che era stato quasi sempre negato in precedenza), ma nessuno si preoccupò del
fatto che le figlie femmine non furono, nemmeno prese in considerazione.
Un altro fattore non trascurabile è la perdita di quei terreni “liberi” usati per attività
svolte principalmente dalla comunità femminile, cancellarlo comporta una rottura del
complesso equilibrio di divisione del lavoro e delle responsabilità della società adivasi.
Se gli uomini possono riuscire ad ottenere un nuovo pezzo di terra, convertendosi in
braccianti agricoli, le donne invece perdono il loro status.
Viene introdotta così la dimensione più grave tra gli effetti dello spostamento della
popolazione sulla condizione femminile lungo la Narmada: quella psicologica. A
determinarla sono non solo il fattore divisione del lavoro, ma anche il fattore al
matrimonio, il distacco dall’ambiente familiare, e l’inserimento in un contesto sociale
che può rivelarsi profondamente diverso.
Infatti, quando il reinsediamento sposta gli abitanti di un villaggio in luoghi diversi e
lontani tra loro, per le donne diviene estremamente difficile trovare marito. I nuovi
vicini, quasi sempre appartenenti a gruppi linguistici diversi e consci dell’alterità dei
nuovi venuti, si sono dimostrati sempre restii ad unirsi in matrimonio con donne
adivasi. Queste donne subiscono quindi tutte le conseguenze che derivano loro
dall’impossibilità di sposarsi in una realtà come quella indiana che attribuisce enorme
importanza al matrimonio.
Secondo uno studio condotto da E. G. Thukral, la separazione dai parenti e spesso, dai
figli rappresenta per le donne una grave fonte di preoccupazione e disorientamento.
A ciò si aggiunge il fatto che le donne adivasi e dalit godono, di maggiore libertà e
trasferendosi sono costrette ad adattarsi a una realtà a loro ostile dove la donna viene
relegata solo all’ambito domestico.
Particolarmente grave è poi la situazione delle donne sfollate costrette a trasferirsi nelle
città, soprattutto Jabalpur e Vadodara. In alcuni casi la difficoltà di adattamento si è
accompagnata a sopraffazioni e violenze, e vi sono stati casi di suicidio.
Un aspetto positivo è invece da rilevarsi nell’aumento dell’alfabetizzazione tra le
bambine adivasi trasferite nelle nuove colonie di reinsediamento, se si considera che
solitamente il tasso di analfabetismo nei villaggi supera il 90%.
Ma gli svantaggi sono sempre maggiori dei benefici e il fatto che le donne siano le
prime a esserne colpite in parte spiega la grade partecipazione femminile all’oposizione
delle grandi dighe e in particolare al Narmada Bachao Andolan.
3.2.7 Dall’intensa lotta 1990-1994 alla sentenza della Corte Suprema
Gli scontri si intensificarono nel 1990 –1994. Il 6 marzo 1990, oltre 10 mila persone
bloccarono l’autostrada Bombay-Agra a Khalghat in Madhya Pradesh per 28 ore.
Il primo villaggio in Maharashtra sarebbe stato sommerso con l’arrivo dei monsoni nel
1990, centinaia di tribali iniziarono il dharna dal 28 marzo in poi, il 5 aprile il governo
del Maharshtra dichiarò che nemmeno un villaggio sarebbe stato sommerso sino a
quando gli sfollati non sarebbero stati reinsediati come da accordo. Il digiuno si fermò.
71
Il 6 aprile del 1990, le persone che protestavano a Badwani vennero brutalmente
picchiate dalla polizia per poi essere imprigionate. Nel maggio dello stesso anno la
polizia cercò di intimidire gli abitanti tribali, distruggendo i loro poderi e rubando il loro
grano la reazione fu una lunga marcia nella valle Sangharsha Yatra, nel mese di
dicembre. Il primo ministro del Gujarat Chimambhai Patel, dipinse la marcia come
un’aggressione contro il Gujarat e spinse il popolo a una reazione di contro protesta.
Dopo nove anni di lotta nei campi, nel maggio 1994, l’Andolan presentò alla Corte
Suprema una petizione per la revisione del progetto dal punto di vista sia della
costruzione della diga che dei diritti umani e quindi degli sfollati.
La Corte nel dicembre ordinò all’FMG di rendere pubblico il prospetto, facendo riaprire
il caso della Sardar Sarovar. La costruzione della diga venne fermata nel gennaio 1995
per via dell’insistenza da parte dei governatori del M.P., e del digiuno portato avanti a
Bhopal nel dicembre 1994. La Corte Suprema sospese i lavori nel maggio 1995 per poi
emettere il suo definitivo verdetto il 18 ottobre del 2000, dove autorizzava la ripresa dei
lavori della diga.
La principale ingiunzione del verdetto di maggioranza del giudice B.N. Kirpal e A.S.
Anand, fu che la costruzione della diga Sardar Sarovar avrebbe potuto essere completata
il più sollecitamente possibile, dando ai costruttori carta bianca nello sfollare la gente
della valle.
La corte basò le sue conclusioni sul materiale pubblicitario dei costruttori della diga e
sul governo del Gujarat, i quali erano i difensori del caso. Inoltre dichiarò che la SSP
era necessaria per risolvere il problema dell’acqua in Gujarat., giustificò tutte le grandi
dighe costruite in India, sostenendo che non avevano creato nessun problema
ambientale, che c’era stato un perfetto reinsedamento per ogni diga.
Il Gujarat celebrò la vittoria e il primo ministro Patel affermò che si trattava di una botta
di vita per il BJP. Il 31 ottobre i lavori ripresero. Lo stesso giorno l’ NBA sosteneva
chiaramente che la maggior parte del decreto era illogico, contro la gente e anti
costituzionale185. A seguito della sentenza, ci fu una grande dimostrazione di protesta ,
oltre 3.500 persone vennero arrestate a Badwani. Alcuni sostenitori dell’NBA e giovani
delle comunità indiane all’estero protestarono in città come Londra, San Francisco e
Città del Capo.
Le argomentazioni messe in circolazione dall’ NBA non vennero minimamente prese in
considerazione e menzionate nella sentenza della Corte. Il rapporto della Commissione
Morse venne dimesso perché non accettato dal Governo Indiano e anche le dichiarazioni
del MoEF o un’eventuale autorizzazione ambientale non vennero prese in
considerazione. Se inizialmente il MoEF aveva dichiarato che prima di riempire i bacini
occorreva prima riabilitare le persone, il Giudice Kirpal rispose dicendo: “completare
prima che si riempia il bacino significa che la riallocazione sarebbe avvenuta pari
passo”. Ma come può un temine esplicito come completare prima affiancarsi a di pari
passo?186
Quando l’NBA chiese l’istituzione di un’agenzia indipendente per monitorare il
reinserimento degli sfollati, la Corte rispose :
“Non è possibile accettare che L’Autorità di Controllo della Narmada, venga vista come
un’autorità indipendente. Chiaramente alcuni dei membri sono ufficiali governativi ma a parte
l’Unione Indiana, gli altri Stati vengono rappresentati in questa autorità. Il progetto sta
venendo intrapreso dal Governo e dalle stessa autorità governative viene portato avanti”187.
185
Sangvai Sanjay, The River and Life, people’s struggle in the Narmada Valley, Earthcare Books,
Mumbai Calcutta, 2002 pag. 84
186
Sangvai Sanjay, op. cit., pag. 83
187
Ibidem
72
3.2.8 Dal 2000 a oggi la lotta continua
Le persone della valle della Narmada reagirono in modo determinante, dopo la protesta
di Badwani nell’ottobre del 2000, le persone portarono avanti dharna a Bhopal.
Dal 7 al 15 novembre fu organizzata “La lunga marcia per la giustizia” organizzata per
esporre la sentenza e per favorire i diritti delle classe soppresse. A Delhi la gente attaccò
il Ministero delle Risorse dell’Acqua e chiese un confronto con il comitato dell’NCA
sui falsi resoconti del reinsediamento e delle condizioni ambientali.
Una delegazione incontrò il presidente indiano Mr.K.R. Narayanan il quale sembrò
mostrare grande considerazione per diritti repressi delle classi tribali. Nel suo discorso
alla nazione alla vigilia del giorno della Repubblica, il 25 gennaio del 2001, fu anche
molto diretto pronunciandosi apertamente sulla la protezione dei diritti tribali nei
progetti di sviluppo, e sulle nuove politiche nell’era della globalizzazione e dei capitali
multinazionali.188
Sempre nel gennaio 2001 circa 100 tribali del Maharashtra iniziarono uno sciopero e il
Ministro annunciò la formazione di due comitati, uno per controllare lo stato di
riabilitazione e l’altro per revisionare i benefici della diga per lo stato.
Dal 4 al 10 aprile durante il parikrama la gente reiterò la loro decisione di opporsi alla
diga e alla dislocazione, opposizione rafforzata dal resoconto della Commissione
Mondiale per le dighe, WCD, che si mostrò una tagliente critica alla sentenza della
Corte Suprema. 189
La Corte Suprema facilitò lo sviluppo del nazionalismo della liberalizzazione,
privatizzazione e globalizzazione. Tutti aspetti che hanno finito per cancellare gli spazi
fondamentali per i diritti umani.
In questo sfondo aumentò il carico di disprezzo verso Prashant Bhushan, Aundhaty
Roy, Medha Patkar, per le loro azioni durante le manifestazioni di protesta fuori dalla
Corte. Nel gennaio 2002 i giudici Patnaik e Sethi accusarono Roy dandole una
simbolica punizione, un giorno di prigione e 2000 Rs di multa.
Il risultato della Corte Suprema fu che nel 2001 circa 3.500 famiglie tribali da circa 70
80 villaggi vennero condannate ad affrontare l’emergenza monsone.
Il Comitato di Revisione dell’NCA decise nell’agosto del 2001 di sollevare l’altezza
della diga oltre i 100 metri. La reazione fu prima quella di un attacco a Bhopal nella
casa del vice commissariato del Madhya Pradesh, successivamente per il 50esimo
incontro per R&R dell’NCA a Bhopal, ci fu la proposta di un emendamento per la
sentenza dell’NWDT per facilitare la ricompensa in denaro piuttosto che terra per terra.
La lotta ormai va avanti da anni. L’8 marzo del 2006 l’autorità di controllo della
Narmada ha approvato un aumento dell’altezza della diga da 110,64 metri a 121,92.
Due giorni dopo il ministro Soz emise una dichiarazione in cui sosteneva che la
decisione era prematura e si mostrava preoccupato per la riabilitazione delle persone del
M.P., che sarebbero state sfollate dall’innalzamento delle acque. Medha Patkar inizò
uno sciopero sino a quando il primo ministro Manmohan Singh decise di inviare tre
delegati per accertarsi dello stato di riabilitazione.
188
Sangvai Sanjay, The River and Life, people’s struggle in the Narmada Valley, Earthcare Books,
Mumbai Calcutta, 2002 pag. 87
189
Il resoncoto pubblicato nel 2000 a Londra vendicava i problemi portati avanti dalla gente affetta dalle
grandi dighe nell’ultimo mezzo secolo. Affermando che le grandi dighe sono pianificate sostenute e
giustificate senza il rispetto dei diritti umani. Richiedeva una nuova struttura per le decisioni sull’acqua e
l’energia e raccomandava il consenso delle comunità prima dell’intraprendere un grande progetto nel
futuro. Elencò, l’uguaglianza la sostenibilità, la partecipazione alle decisioni e all’efficienza come criteri
di valutazione di qualsiasi progetto.
73
Il loro resoconto del 9 aprile, come sempre, era che le persone non erano ancora state
reinseriate.
4 luglio del 2007 l’ NBA inizia un’azione di occupazione delle terre che coinvolge
decine di migliaia di sfollati a Badwani, in un sito di terre demaniali destinate alla
sperimentazione di sementi. 25 luglio 2007: un’azione di repressione porta all’arresto di
oltre 200 attivisti, tra cui Medha Patkar che viene rilasciata il 7 di agosto190.
190
Centro di Documentazione Conflitti ambientali, http://www.cdca.it/spip.php?article654
74
Sit-in dell’ NBA a Indore di fronte alla sede Narmada Control Authority, 13 novembre 2007
3.2.9 Il miraggio dei benefici
Glorificata come la linea della vita del Gujarat, la diga venne progettata per provvedere
all’irrigazione, all’acqua potabile, all’elettricità attraverso il controllo delle inondazioni.
Questi sogni erano racchiusi nei libri di testo di scuola e attraverso i media, nella psiche
degli abitanti del Gujarat. La diga divenne il punto centrale della gloria e dell’Identità
del Gujarat. Ma tutto questo era realtà?
a) Il sogno dell’irrigazione e della gestione dell’acqua:
Secondo un’analisi dettagliata la maggiore divisione dei canali d’acqua scorrerebbe
verso zone già ricche di acqua come il corridoio che va da Vapi a Ahmedabad.
Solo l’1,6%del totale coltivabile dell’area del Kutch e il 9.2% del totale coltivabile
dell’area del Saurashtra probabilmente riusciranno a vedere i canali nel 2025191.Il
progetto venne già cancellato da 4-5 anni prima dell’interruzione dei il lavori della diga
del 1995. Oltre il 90% dell’area del Saurashtra , il 98% del Kutch e l’80% del nord
Gujarat non ricaveranno benefici dalla SSP192.
La fascia tribale a est e nord del Gujarat , con il 41% e 38% della popolazione in
povertà, riceveranno solo il 6% dei benefici del progetto193 Solo il 7.7% dei villaggi del
Kutch beneficeranno della SSp contro il 131,5% di quelli del Gujarat. Il distretto di
Ahmmedabad è un 1/5 dell’area del Kutch , ma riceverà molta più acqua di
quest’ultimo.
Il reclamo circa i benefici deve essere visto in base al contesto politico. Secondo i
politici del Gujarat l’acqua della SSP sarebbe servita soprattutto per l’irrigazione di
larghe piantagioni di canna da zucchero che richiedono un uso intensivo di acqua. Di
conseguenza, l’acqua della diga non andrà sotto l’area di commando di Mahi, togliendo
acqua alla zona del Kutch, del Surashtra e del nord Gujarat.
191
Sangvai Sanjay, The River and Life, people’s struggle in the Narmada Valley, Earthcare Books,
Mumbai Calcutta, 2002 pag. 111
192
Ibidem
193
Ivi, pag.113
75
Inoltre proprio nella zona del fertile corridoio si sono avuti negli ultimi anni, grossi
investimenti con la costruzione di industrie petrolchimiche che richiedono grosse
quantità d’acqua; ragion per cui la SSNNL aveva creato un piano per vendere l’acqua
della Narmada a queste industrie e alla municipalità di Ahmedabad. Le fattorie di canna
da zucchero e il boom delle industre urbane divoreranno qualsiasi piccola spartizione di
acqua destinate per le città a rischio di siccità.
Per quanto riguarda la quantità di acqua disponibile non ci sono dati certi. L’unico
elemento basilare è la supposizione dell’ NWDT194, poi diventata il nocciolo del
contenzioso. Secondo il Governo del M.P. sostiene che l’attuale raccolta d’acqua basata
su una serie di dati del flusso del fiume raccolti in 43 anni, è di 22 MAF195. I costruttori
della diga sostenevano che il 60% sarebbe stata disponibile per l’irrigazione e il 75%
per acqua potabile. Ma la capacità in India e in particolare nel Gujarat è sempre stata
sotto il 45%.
Nel resoconto della Banca Mondiale del 1995, la banca si dichiarava preoccupata,
perché la disponibilità d’acqua era molto meno di quella stimata e che circa il 30%
sarebbe dovuta cadere dall’area di comando.
La disponibilità di acqua nei bacini è legata anche al tasso di sedimentazione e
salinizzazione.Secondo degli studi parziali, più della metà delle aree di comando della
SSP (55%) è tendente a questi due fenomeni196.
b) Acqua potabile o mercato dell’acqua?
Le autorità della diga per guadagnare legittimità sulla grande opera si aggrapparono alla
promessa dell’acqua potabile. Affermavano che la diga avrebbe fornito acqua per 135
città e 8.215 villaggi. Dietro la proposta di dividere l’acqua con le industrie, la SSNNL
ha proposto la vendita dei canali d’acqua al prezzo di 10-15 rupie per 100 litri. Le
grandi case industriali, con necessità di grosse quantità d’acqua, sono in avvicinamento
alla valle del Nigam. L’acqua lottizzata per le aree rurali è la metà di quella per le zone
urbane, ma ancora più nascosto c’è un altro scandalo: non ci sono piani di allocazione e
di responsabilità con la SSNNL per provvedere all’acqua potabile. I costi per la gestione
dell’acqua potabile non fanno parte dei costi della diga, il Nigam deve solo rendere
disponibile l’acqua nei canali. Il resto delle responsabilità spetta al Gujarat Water Supplì
e Sewerage Board, che non ha soldi, infrastrutture e idea di come attuare un piano del
genere.
Nel marzo del 2001 il Governo del Gujarat pompò l’acqua dalla diga di 90 metri ai
canali, sostenendo che fosse una vittoria, ma l’acqua venne fornita a metropolitane
come Baroda e Ahmedabad.
Un altro sogno che continua a essere rimandato cancellato e ripreso da governo a
governo è quello della creazione delle condutture d’acqua.
c) Elettricità, a che costo e per chi?
La tanto pubblicizzata capacità di generare energia elettrica pari a 1.450 Megawatt, è
solo la capacità dell’installazione, mentre la media stabile dalla SSP sarà, come sostiene
il governo, di 425 Megawatt nella prima fase, riducendosi di soli 50 MW nel terzo
stadio, nello sviluppo dell’intero sistema idrico197. La generazione di energia sarà
194
L’NWDT sosteneva che il fiume Narmada aveva una capacità d’acqua pari 27.24 MAF al 75%
ripetibile. Sangvai Sanjay , op. cit., pag.115
195
Sangvai Sanjay, The River and Life, people’s struggle in the Narmada Valley, Earthcare Books,
Mumbai Calcutta, 2002, pag. 116
196
La zona di comando per l’irrigazione è stata dIvisa in 13 zone agro climatiche delle quali solo il 20% è
sopravvissuta ai parametri indicati da degli studi ancora da ultimare. Ivi, pag.117
197
Sangvai Sanjay, The River and Life, people’s struggle in the Narmada Valley, Earthcare Books,
Mumbai Calcutta, 2002, pag. 121
76
massima solo nei primi anni, quando i canali non saranno completamente costruiti,
quando l’acqua verrà utilizzata anche per l’irrigazione, la creazione di energia andrà
diminuendo.
Le stime sulla creazione dell’energia, sono precedenti all’interruzione della costruzione
della diga avvenuta nel 1995, di conseguenza oggi questi dati sono irrilevanti. Nel 2001
nonostante la diga non fosse finita e non era ancora stata effettuata la diversione delle
acque, il governo del Gujarat aveva iniziato a pompare l’acqua.
Inoltre, se la portata d’acqua del fiume è stata rivalutata, come mostra il governo del
M.P., passando da 28 MAF precedentemente calcolati a 22 MAF, se ne deduce che la
quantità d’energia sarà sicuramente minore.
Secondo, se il Narmada Sagar Project, non è completato, i benefici dell’energia
andranno a diminuire. Terzo, i fondi sono scarsi e non tutta l’energia può essere venduta
dal momento che una parte serve al funzionamento della stessa diga. Infine, lo stato del
Madhya Pradesh , il maggiore beneficiario di elettricità aveva , proposto una riduzione
dell’altezza della diga rinunciando a una parte della sua energia, ma tale proposta non
venne mai vagliata dalla Corte Suprema.
Da qua alla fine dei lavori la fonte dell’energia, il letto del fiume, andrà
progressivamente diminuendo, si saranno così spesi soldi e vite umane per una misera
quantità di energia. Alla fine la vera motivazione sulla creazione di energia elettrica da
parte della SSP è che sin da principio fu studiata per le nascenti città urbane per la
vendita a livello nazionale e internazionale.
Breve cronologia:
1969 Viene creato il tribunale per le dispute della Narmada
1979 Il tribunale annuncia la sentenza con le clausole per i R&R, l’acqua e la
distribuzione
dell’energia elettrica. La Banca Mondiale stanzia 10 milioni di dollari in prestito per la
valutazione del progetto.
1985 Prima dimostrazione contro la costruzione della diga
1987 Il centro amministrativo libera il progetto
1990 La Banca Mondiale liquida 1200 core per il progetto, il Giappone sospende i fondi per le
turbine
1992 Il comitato Morse viene istituito per la Banca mondiale e il suo ritiro dalla costruzione
della Sardar Sarovar Project
1994 M.P. chiede la riduzione dell’altezza della diga. L’NBA archivia il caso contro la SSP.
Luglio-Settembre: aumenta l’inondazione
1995 I lavori della diga si fermano per via del fallimento sul reisendiamento degli sfollati. La
Banca Mondiale accetta il resoconto Morse. Inizia l’udienza finale dell’ NBA e la Corte rifiuta
di concedere il permesso per iniziare la costruzione.
1997 Caso indirizzato alla magistratura costituzionale. La Corte sospende la costruzione della
diga fino a maggio 1997
77
2000 I sei anni di sospensione della diga vengono aboliti. La costruzione della diga rinizia tra
forti proteste
2005 Sentenza finale della Corte, faccia a faccia sulla condizione R&R. Si stabilisce la
differenza tra famiglie affette dalla diga temporaneamente e permanentemente. Rinforzamento
delle clausole della sentenza del tribunale sul problema della terra per la riabilitazione
2006 Aumento della diga con conseguenti manifestazioni di protesta
2007 L’NBA inizia un’azione di occupazione delle terre che coinvolge decine di migliaia di
sfollati a Badwani, in un sito di terre demaniali destinate alla sperimentazione di sementi.198
Quarto Capitolo
Le Soluzioni, Diritti, Globalizzazione e Cooperazione Internazionale
4.1 Soluzioni Eco-Sostenibili
4.1.1 Ecologia e tradizione induista
I cambiamenti ecologici che avvennero in India durante il periodo industriale erano in
larga parte la conseguenza di ciò che avveniva in Europa. Le scoperte tecnologiche
resero possibile vendere una serie di oggetti per beni ricavandone profitti. Il legno che
prima dell’era industriale veniva usato principalmente per bisogni domestici, veniva
adesso trasformato in fogli o bruciato come combustibile per i trasporti. Quando i
rifornimenti di questa materia prima finirono, i colonizzatori europei cercarono al di
fuori fonti di sostituzione. Per mezzo dell’Indian Forest Acts del 1865-1878, il governo
coloniale britannico, ottenne il monopolio di alcune aree dichiarandole “foreste chiuse”.
Le persone non avevano più accesso a quei beni un tempo accessibili a tutti.
Molte foreste vennero rimpiazzate, ma anche in questo caso, ciò avveniva soprattutto a
scopi commerciali, cambiando specie di alberi e di conseguenza provocando
l’estinzione di alcune specie. Questo cambiamento dell’ecosistema ha finito pian piano
per marginalizzare le popolazioni tribali, soprattutto le donne.
Ciò che si è registrato nel caso della valle della Narmada, non è stato un caso unico e
isolato, in tutte le aree de territorio indiano colpite da degrado ambientale e dalla
privatizzazione, la donna stata sicuramente la più colpita. Non solo per raccogliere
l’acqua furono costrette a spostarsi per lunghe distanze, ma le donne anziane e i bambini
non erano più in grado di aiutare nelle faccende di casa. La donna di casa si trovava così
costretta a lavorare di più rispetto al passato, togliendo del tempo alla preparazione del
cibo. Veniva inoltre provata di tutte quelle erbe che servivano come medicinali199
198
Padmaparna Ghosh and S V Suresh Babu, 907 km from Parliament, Dow to Earth, 15 may, 2006
Inoltre i centri sanitari sono stati costruiti lontano dai villaggi e spesso sono aperti solo in determinati
giorni dell’anno.
199
78
Anche le donne incinta lavorano sino al giorno prima del parto, la conseguenza è il
deterioramento sia del loro stato nutrizionale che della salute più di quello dell’ uomo.
4.1.2 Secolarizzazione ecologica
L’uso dell’energia industriale in Europa è stato il responsabile della deforestazione e
dello sfruttamento ambientale in India su larga scala. Le nuove tecnologie che
arrivarono in India nel XIX secolo portarono con sé nuove nozioni, idee scientifiche e
razionali del Rinascimento. Il risultato fu che l’India sperimentò trasformazioni sociali e
culturali più estensive e irreversibili.
La potenza di queste idee era che furono presentate come idee universali nella secolare
struttura della lingua inglese. Vennero assimilate dalle più affluenti e ben educate
sezioni della società indiana, soprattutto nel nord, e fu soprattutto da questi scaglioni
che vennero stabilite le più importanti riforme religiose, sociali e politiche.
La risposta del XIX secolo alla secolarizzazione è stata di tre tipi. Ci furono quelli che
rigettarono del tutto la loro tradizionale visione del mondo. Altri adattarono il loro
patrimonio culturale adottando qualcuna delle nuove idee. Il terzo gruppo tentò di
mostrare che i pensieri indiani contenevano tutti gli elementi necessari per arrivare alle
condizioni occidentali, ma queste dovevano essere in parte riviste.
Queste tre categorie possono essere considerate di pari passo a particolari gruppi di
pensatori religiosi. Colui che meglio si adattò alle tradizioni religiose è rappresentato
dalla missione Ramakrishna e dal suo maggiore esponente Vivekananda200. Sri
Ramakrishna201, rimase fedele ai metodi di meditazione induista come l’ hatha yoha e il
tantra. La base del suo pensiero era un interpretazione delle Upanishads, basandosi su
un’etica egualitaria dove le divisioni di razza, religione, casata e sesso, non avevano
significato. Secondo Vivekananda la scienza è lo studio delle variazioni che sono state
manifestate da Brahman e dal momento che Brhaman è fondamentalmente unico, tutti i
rami della scienza e della vera conoscenza devono essenzialmente convergere.
Nonostante la scienza fosse responsabile di molti interrogativi sui valori tradizionali,
questa veniva usata da vari riformatori per riadattare le loro credenze. Il darwinismo202
che mal visto nell’Inghilterra Vittoriana, venne invece accettato dagli induisti senza
nessuna difficoltà, dal momento che per loro gli esseri umani e gli animali venivano
considerati molto più vicini gli uni agli altri.203 Non è difficile capire perché gli indiani
dell’epoca reagirono differentemente rispetto agli europei, dal momento che per essi la
reincarnazione e la tendenza di Dio ad assumere forme animali davano tale credenza per
scontata.
200
Narendranáth Dutta (1863-1902),questo era il suo vero nome, fu uno dei maggiori filosofi dei Vedanta,
colui che portò lo yoga in America e in Inghilterra. Gosling David L., Religion and Ecology in India and
Southeast Asia, Routledge, London,N.Y. 2001, pag. 38
201
Nato nel 1836 era uno dei maggiori fedeli dal quale poi prese nome il movimento. Gosling David L.,
op. cit.,pag. 38
202
Per la prima volta nella storia della biologia veniva esposta con assoluto rigore scientifico, suffragata
da solidi elementi e testimonianze, una teoria evolutiva che soppiantava l'assunto secondo cui ogni specie
sarebbe il risultato di un atto autonomo della creazione dIvina. Secondo la teoria evoluzionistica di
Darwin è l'ambiente che, subendo mutamenti, opera una selezione naturale graduale sulla grande
variabilità che ogni carattere presenta nelle singole specie, scegliendo così le forme di volta in volta più
adatte a lasciare una progenie in grado di sopravvivere più facilmente e le favorisce quindi rispetto alle
altre.
203
Non si trovarono articoli o citazioni sulla questione del darvinismo nemmeno nei due più importanti
quotidiani dell’epoca. Il Tattvabodhini Patrika, un mensile fondato da Debendranath Tagore, conteneva
una colonna di temi scientifici. Dal 1843 al 1880 non ci furono discussioni sul libro scritto da Darwin
“L’origine delle Specie” sino al 1873.Gosling David L., op. cit., pag. 41
79
Chandra Bose, ricercatore in scienze naturali e biologiche, mostrò come i pensieri
filosofici indiani possono essere portati a sostenere i più avanzati problemi della scienza
occidentale e nel 1917 scriveva :
Nella della mia indagine, sono stato inconsciamente portato ai margini delle regioni della fisica
e della fisiologia ed è stato stupefacente vedere che le linee di confine sparivano ed emergevano
punti di contatto tra i regni del vivere e del non vivere….una reazione universale sembra
portare assieme metallo, piante e animali sotto una legge comune204
Secondo Bose, gli scienziati dovrebbero imparare a evocare, ascoltare e guardare,
piuttosto che provare ed analizzare a distanza, rifiutava quella che era la scienza europea
da lui definita come in sensitiva.
4.1.3 Etica Gandhiana
Le idee gandhiane sono spesso la base di ispirazione per i movimenti ambientalisti
moderni, ne è la prova l’importanza data alla visione di Gandhi205,“Sulla Terra c’è
abbastanza per soddisfare i bisogni di tutti, ma non per soddisfare l’ingordigia di
pochi.” al Forum Mondiale del 1992.
Gandhi, analizzò le forme di pensiero di Vivekanenda del karma-yoga per indirizzare i
problemi sociali e politici verso un contesto spirituale. Reinterpretò il termine
ahisma,che per i gianisti significa non violenza verso tutti gli esseri viventi, in pensieri
parole e azioni, dandogli un valore meno stretto e sostenendo che qualche volta sia le
mosche che gli essere umani potevano essere uccisi.Gli diede anche una connotazione
positiva, come quella di cancellare la rabbia, la malizia la gelosia e tutto ciò che si
oppone alla via dell’amore. Lontano dall’essere un concetto passivo, Gandhi descrive
aihmsa come forza dell’anima.
Il suo pensiero venne influenzato anche dal cristianesimo, con il quale entrò in contatto
durante i suoi studi a Londra e dalla lettura della Bahagavadgita.
Gandhi credeva che le opportunità per le iniziative personali vengono massimizzate con
il panchayat, che consiste nella cooperazione volontaria tra i membri di uno stesso
villaggio attraverso l’agricoltura:
“In questa struttura fatta di numero villaggi….la vita non sarà una piramide con un apice
sostenuto da un fondo. Ma sarà un cerchio oceanico il cui centro sarà l’individuo…la più
lontana circonferenza non eserciterà il potere per schiacciare il cerchio centrale, ma darà forza
a tutti quelli che stanno all’interno i quali prenderanno la loro forza dal cerchio”206
Questi villaggi sotto forma di repubbliche possono condurre una migliore relazione tra
gli esseri umani e l’ambiente.
Nel 1906, il Governo del Traansval, introdusse la legge per la registrazione degli asiati,
con l’intendo di fermare l’immigrazione indiana in Sud Africa. Gandhi si oppose a
questa legge e venne incarcerato. Fu qui che parlò per la prima volta di satyagraha, che
letteralmente significa afferrare la verità. Egli sosteneva che dal momento che la verità
arriva a far parte della vita di ciascuno, l’abilità nel ricercarla deve essere dedicata al
204
Gosling David L., op. cit., pag. 43
Mohandas Karamchand detto il Mahatma, “grande anima”( 1869-1948). Membro di una setta visnuita,
fautore della dottrina giainica della non violenza, si impegnò sin dal 1894 in difesa delle minoranze. In
India guidò campagne di disobbedienza( sathyagraha) alle leggi britanniche. Fu il principale artefice
dell’indipendenza indiana (15-08-1947), nel clima di scontro fra induisti e musulmani fu ucciso da un
fanatico indù.
206
Gosling David L., op. cit., pag. 47
205
80
benessere del mondo intero. Il satyagraha, diventa così il veicolo per ahimsa, lo scopo
per il quale tutto viene abbracciato:
“Per riuscire a vedere faccia a faccia lo Spirito della verità universale e onnipresente, bisogna
riuscire ad amare la più modesta creatura quanto noi stessi”207
In accordo con il suo concetto di sarvodaya( per il benessere di tutti), gandhi credeva
che solo una organizzazione federale basata sull’autogoverno delle comunità locali era
democratica, e usò il termine swaraj, per indicare la vera democrazia. Swadeshi denota
il provenire dalla propria comunità in senso totale, includendo il senso di riallacciare le
relazioni con il mondo naturale.
Con queste idee, Gandhi cambiò la visione antropocentrica occidentale, secondo la
quale l’uomo si arroga il potere di dominare il mondo naturale, rimpiazzandola con una
visione cosmocentrica basta sul reciproco arricchimento culturale tra l’umanità e la
natura.
4.1.4 Politiche ambientali per ristrutturare la società indiana
Dai primi anni settanta in poi, sotto la guida di Indira Gadhi seguendo la sua
entusiastica partecipazione alla Conferenza di Stoccolma sull’ambiente, l’India venne
sempre più coinvolta nelle politiche globali ambientali e giocò un ruolo fondamentale
nel “Vertice della Terra”di Rio de Janeiro del 1992. Nonostante tutto il piano delle
Nazioni Unite, il quale fu creato dalle nazioni industrializzate occidentali, fallì
nell’indirizzarsi a problemi come: la deforestazione, la carenza di acqua potabile e il
consumo delle risorse naturali.
Nessuno dei partiti politici esistenti all’epoca nel paese apparve interessato ad affrontare
questi problemi direttamente.
Due programmi hanno cercato di ristrutturare la società indiana puntando sulla
riduzione della povertà e il corretto utilizzo della natura. Il primo è quello di Madhav
Gadgil e Ramachandra Guha208, il secondo è quello affrontato da Jean Drèze e Amartya
Sen209, collegato all’economia ma se applicato su larga scala fornirebbe un corretto
quadro per la risoluzione dei maggiori problemi.Entrambi gli autori danno un
importante contributo al dibatto sull’ambiente e lo sviluppo, focalizzando: Il primo
sull’ambiente, il secondo sullo sviluppo.
Ghadgil e Guha si concentrano sulle contraddizioni tra l’India basata sugli ideali della
cultura e della tradizione e la dura realtà che molte persone devono affrontare:
“Alzandoci la mattina, speriamo di essere dimenticati dalla Terra Madre perché ci
camminiamo sopra……”
“O Terra, consorte di Vishui, il Signore della creazione, con montagne nel tuo petto, e oceani
per vestito, dimenticami perché cammino su di te”
Non solo non diamo importanza al fatto che camminiamo sulla terra, ma a mala pena
tolleriamo i disastri come quello di Bhopal. L’ India ha dato alla luce Gautama Buddha, in un
207
Ibidem
Il primo è un affermato biologo, i secondo uno storico, nonché giornalista per il maggiore quotidiano
indiano The Hindu.
209
Entrambi economisti, il primo di origine belga, il secondo indiano che vinse il Premio Nobel per
l’economia nel 1998.
208
81
bosco sacro di salici piangenti dedicato alla divinità Lumini, Buddha ha ricevuto la luce sotto
un albero di ficus e predicò la dottrina della compassione verso tutte le creature della terra.
Oggi stiamo tagliano gli alberi di banano e di ficus protetti da secoli, per cuocere mattoni che
serviranno a costruire le nostre città e per incassare mango da spedire al Medio Oriente210.
Gli indiani rispettano Gandhi come se fosse il padre della nazione, ma negli ultimi anni
non si è visto altro un uso sbagliato del potere che ha leso soprattutto la gente dei
villaggi, quella tanto difesa da Gandhi.
Questi autori attribuiscono le difficoltà del sistema indiano a sei cause:
1) Le naturali risorse dalle quali la gente dipende stanno diventando sempre più
circoscritte. Per esempio, le foreste naturali dalle quali le comunità traggono i bisogni di
base vengono vendute sulla base del valore commerciale delle piantagioni di eucalipto e
acacia.
2) La maggior parte delle persone ha poco accesso alle risorse, create dall’uomo, del
settore dei servizi industriali Questo perché il lavoro in questo settore è cresciuto molto
lentamente rispetto alla popolazione e perché l’educazione ha fallito nel fornire nozioni
alla gente per lavori qualificati.
3) Il monopolio di stato ha creato capitale umano in modo inefficiente e senza la
responsabilità pubblica. Le risorse naturali sono state sovvenzionate e i costi ambientali
del capitale naturale sono stati scaricati ai poveri.
4) I ricchi, in contrasto con il potere politico, stanno stabilendo una sempre più forte
presa sul capitale naturale. Per esempio, i rifugiati dalla diga della Narmada stanno
venendo sfollati contro la loro volontà e senza appropriati piani di reisediamento.
5) Le persone che sono escluse dal capitale umano e dall’educazione non hanno
incentivi per investire in qualità di prole e quindi produrne un gran numero.
6) La pesante dipendenza dalle importazioni tecnologiche e dai prodotti petroliferi,
fanno aumentare le esportazione per poter mettersi alla pari con gli altri paesi, ma tutto
ciò sta producendo una dispersione su larga scala che affligge soprattutto il capitale
naturale, per esempio ferro e manganese che ostruiscono gli estuari minerali, un
sovrapescaggio nel mare e una sovra pastorizia per produrre pelle da esportare211.
Gli autori procedono poi associando a questi problemi tre particolari filosofie di
pensiero politico. Quella gandhiana, quella marxista e quella neoliberale.
Secondo la visione gandhiana i problemi ambientali sono causati soprattutto
dall’ingordigia materialistica. La visione marxista sostiene che il degrado ambientale è
il risultato dello sfruttamento capitalista sia della natura che della gente. Non vedono
problemi nell’aumento dell’utilizzo della natura, perché utilizzata dallo Stato per
soddisfare i bisogni umani. La scienza viene così incoraggiata come mezzo per
promuovere questo fine.La visione liberal-capitalista, invece si asproccia ai problemi
ambientali considerando la loro riduzione attraverso l’uso pulito di tecnologie che
promuovono l’efficiente conversione delle risorse naturali in capitale umano.
Ciascuna di queste tre filosofia ha dei punti di forza e debolezza. Il gandhismo conta su
sul volontario contenimento, il quale è improbabile interessi la maggioranza delle
persone senza forti elementi di interesse personale o ossessione. Il marxismo nell’est
Europa e nella precedente Unione Sovietica aveva prodotto un’ immenso e inefficiente
apparato di stato sia dal punto di vista economico che ambientale, il capitalismo
liberale, attraverso scrutini più efficienti e aperti, è improbabile che porti a livello di
210
Gosling David L., Religion and Ecology in India and Southeast Asia, Routledge, London, N.Y. 2001,
pag. 127
211
Ibidem
82
responsabilizzazione che permettano alle persone comuni di guardare i loro interessi
naturali.
Gadgil e Guha sostengono che queste sei cause alla base del problema della
degradazione ambientale, possono essere rimosse attraverso misure basate su
componenti di ciascuna delle tre filosofie, ne identificano in particolare nove:
1. L’India deve praticare una forma di democrazia partecipativa, dove i campi politici
e i burocrati sono responsabili verso il popolo. Ciò implicherebbe la partecipazione
di gruppi e assemblee di villaggio.
2. La gente locale dovrebbe avere più peso nei processi di controllo, pianificando
l’esercizio dell’utilizzo delle risorse naturali. Dovrebbero essere incoraggiati a usare
le loro tradizionali conoscenze212.
3. La gente locale dovrebbe beneficiare dei profitti realizzati dall’utilizzazione di
risorse naturali come legname, granito,carbone e petrolio, che dovrebbero essere
valutati a un prezzo realistico. Questo incoraggerebbe sensati metodi di estrazione
ed efficienti usi delle risorse. Qualisiasi degradazione ambientale dovrebbe avere un
suo prezzo, imposto da un’agenzia responsabile, e i soldi dovrebbero essere
utilizzati per la promozione della consapevolezza ambientale nelle scuole e
università.
4. I punti 1 e 3 possono essere raggiunti solo in una società più equa. In una società a
predominanza agricola dove è necessaria una riforma.
5. L’esperienza dell’ Europa dell’est suggerisce che lo stato sociale è inefficiente. Il
cambiamento attraverso le imprese private in India deve continuare, i sussidi statali
dovrebbero essere rimossi e il meccanismo dei prezzi dovrebbe essere promosso
incoraggiando politiche amichevoli dell’ambiente.
6. La scala delle imprese economiche, oggi costituita soprattutto da macro progetti,
dovrebbe essere equipaggiata da processi partecipativi a livello decisionale. Piccolo
non è necessariamente bello, ma con il senno di poi alcune delle grandi dighe
indiane potrebbero essere rimpiazzate da un grande numero di progetti intermedi.
7. La comunicazione tecnologica potrebbe essere usata per migliorare lo scopo della
partecipazione popolare nel monitorare l’ambiente. Per esempio, le immagini
satellitari possono essere rese facilmente accessibili ai comuni cittadini aggiornando
le informazioni sulla copertura forestale o il deposito di limo nei letti dei fiumi. I
movimenti ambientali popolari come il Kerala Shastra Parishad213 dovrebbero essere
incoraggiati.
8. La domanda umana di risorse naturali è aumentata, risultato dato dall’aumento della
popolazione e di conseguenza dal consumo pro capite. Il cambiamento delle
famiglie piccole si verificherà quando un più equo processo di sviluppo investirà più
persone nell’ambito delle industrie moderne, dei servizi e dell’agricoltura. I ricchi
devono accettare un freno nei loro livelli di consumo.
9. Gli alti costi esistenti in India, una mediocre qualità dell’economia, con la sua
fiducia nelle importazioni di petrolio e armamenti militari, più il conseguente
prestito del debito estero, devono essere rimpiazzati da nuove strategie per
l’agricoltura e l’industria richiedendo bassi livelli di energia in entrata e un
212
La gente della collina di Manipur hanno deciso tra di loro di non sradicare i germogli di bamboo dalle
loro foreste perché ne avevano bisogno per costruire le loro case.
213
E’ una ONG, istituita nel 1962 da un gruppo di scrittori e attIvisti per la scienza, con l'obiettivo di
diffondere la scienza e la letteratura in malayalam "Scienza per la rivoluzione sociale” è lo slogan.
http://www.kssp.org/
83
miglioramento nelle relazioni internazionali che contribuiscono a ridurre le spese
militari214.
Coerente con la loro visione di sviluppo, Jean Drèze e Amartya Sen sostengono la tesi
per una ampia e partecipativa interpretazione dello sviluppo economico che prende in
considerazione la necessità di espandere le opportunità sociali. Drèze e Sen riconoscono
che quando esistono già le opportunità sociali, l’allargamento dei mercati non può far
altro che contribuire ad accrescere queste ultime, ma riconoscono anche che molte
persone vengono escluse dai benefici per carenza di alfabetizzazione ed educazione,
possibilità si avere cure mediche, sicurezza sociale, parità femminile, diritti di terra e
democrazia locale215.
Permesso che l’India abbia fatto grandi progressi in alcune aree, ce ne sono altre che
non sono nemmeno state toccate dal progresso, questo è vero soprattutto per quanto
concerne l’educazione elementare. I paesi che hanno superato l’India economicamente
hanno perseguito differenti politiche, oscillando dai mercati ad orientamento
capitalistico (Corea del Sud, Taiwan, Tailandia) a quelli di stile comunista (Cuba,
Vietnam e Cina) e socialista (Sri Lanka, Jamaica, Costa Rica) e una varietà di sistemi
economici misti.
Secondo questi due studiosi non è corretto attribuire i fallimenti dell’India all’aumento
della popolazione, sottolineano invece che la pressione della popolazione sull’ambiente,
e la qualità della vita delle donne sono molto più seri che non gli effetti nella crescita
economica.216
Essi danno cinque ragioni del perché l’educazione e la salute sono componenti vitali per
la della libertà umana:
1. L’educazione e la buona salute sono intrinsecamente importanti e l’opportunità di
averle accresce l’effettiva libertà personale.
2. L’educazione e la salute possono facilitare molte cose come la possibilità di
possedere un lavoro.
3. L’alfabetizzazione e l’ educazione possono promuovere pubbliche discussioni dei
bisogni sociali e incoraggiare le richieste collettive che possono a turno espandere le
facilitazioni pubbliche.
4. Il processo scolastico può incoraggiare importanti benefici ausiliari come la
riduzione del lavoro minorile e l’ampliamento degli orizzonti sociali, soprattutto per
le ragazze.
5. Alfabetizzazione e buona educazione vanno a favore dei gruppi svantaggiati
aumentandone la capacità di organizzativa e politica nel resistere all’oppressione.217
Nonostante i recenti successi circa l’utilizzo degli indiani per la tecnologia sui software
dei computer, continua a esserci una grande quantità di poveri e di persone analfabete.
I due studiosi fanno il paragone con il Sud Corea e la Cina, economie che sono riuscite
ad allargare il mercato dei beni, senza la necessità di qualifiche universitarie, ma
214
Gosling David L., op. cit., pag.129-130
“Con circa la metà delle persone analfabete, di cui circa due terzi sono donne la trasformazione
economica dell’india non è un facile obbiettivo….. il successo delle “Tigri Asiatiche”, e recentemente
della Cina, è basato su un maggiore livello di istruzione rispetto a quello presente in India.” Ivi, pag. 131
215
216
Ivi, pag.132
Il Guardiano del Gange, Newton, uno scienziato per amico, n.3, 3 marzo 2007, pag. 109, Verr Bhadra
Mishra (Mahant Ji), Il Guardiano del Gange, Newton, uno scienziato per amico, n.3, 3 marzo 2007,
pag.114
217
84
semplicemente attraverso l’educazione di base che permette alla gente di seguire precise
linee guida e standard di qualità.
“…Potrebbe essere meno affascinante fare semplici coltelli da tasca o sveglie piuttosto
che creare uno stato basato sui software per i computer, ma il primo da ai cinesi poveri
la risorsa di un reddito che gli ultimi non danno”218
4.1.5 Il guardiano del Gange
Uno scienziato induista si è dedicato a un’impresa impossibile, pulire le acque del fiume
più popolato del pianeta, ma anche il più sacro. Religione scienza collaborano grazie a
Veer Bhadra Mishra219, inserito dalla rivista “In Time” tra i sette eroi del pianeta.
In un intervista apparsa sulla rivista Newton dice:
“Per me e alcune migliaia di praticanti induisti che vivono a Varanasi, avere il darshan del
fiume, cioè guardarlo con devozione e assorbirne la divinità, toccarne le acque e immergersi in
esso, è diventata una parte irrinunciabile della vita. I praticanti induisti mantengono vivo il
culto per la Madre Gange”.
La cultura di questa fedele minoranza sparirà a causa degli scarichi da uso domestico e
industriale. A inquinare il fiume sono circa 116 città, situate sui 2700 km di sponde,
dall’Himalaya all’Oceano220.Quest’uomo, grazie al lavoro della campagna per il Gange
pulito della Fondazione Sankat Mochan, utilizzando scienza e tecnologia relativamente
semplici, sta cercando di impedire che anche solo una goccia di acqua inquinata si
riversi nelle acque sacre del Gange. Un compito molto difficile dal momento che in
India le masse popolari non hanno nessuna consapevolezza scientifica
dell’inquinamento, e le autorità sono spesso vittime della propria mentalità ristretta e dei
propri pregiudizi.
“Le persone comuni in India non credono che il Gange sia sporco e inquinato, ma quando
viene loro mostrato il luogo in cui gli scarichi si riversano nel fiume, questi si indignano”.221
L’amore e il rispetto che il popolo ha per il Gange possono sicuramente aiutare la
campagna portata avanti da Mishra.
Con l’aiuto di esperti di indiani e stranieri hanno studiato un progetto che basandosi
sulla forza di gravità, e non sull’energia elettrica che è scarsa e intermittente, intercetta
le fonti responsabili del 95% dell’inquinamento e le dirotta verso un sistema di quattro
bacini di raccolta per il trattamento delle acque di scarico. Il primo bacino serve a
realizzare la completa fermentazione anaerobica della materia organica, eliminando
quasi del tutto il fango. Il secondo espone le alghe ai potenti raggi solari, per produrre
gradi quantità di ossigeno, di cui hanno bisogno i batteri aerobici, quando le acqua
assimilano gli agenti chimici inquinanti. Il terzo bacino crea le condizioni di calma
affinché le acque possano depositarsi. Il quarto è un bacino di maturazione in cui
l’acqua di scarico è mantenuta per un lungo lasso di tempo sufficiente a uccidere i
batteri fecali. Questo sistema è stato sperimentato con successo in altre parti del mondo.
C’è poi un 5% di inquinamento dato a cosiddette fonti non puntuali, di cui sono
responsabili le comunità che usano il fiume direttamente. Per questo la gente deve
essere motivata a prendersi cura del fiume. Questa è la parte spirituale del lavoro della
218
Ivi, pag.133
Laureato in ingegneria idraulica, insegna all’università di Benares (Varanasi). Oltre a essere scienziato
è anche religioso, il Mahant (sacerdote di uno dei principali templi di Benares. Verr Bhadra Mishra
(Mahant Ji), op. cit., pag. 109
219
221
Ivi, pag.118
85
società: coinvolgere chi si bagna regolarmente nel fiume e chi vi lava i panni, barcaioli e
tutti gli altri abitanti dei villaggi, donne, bambini, religiosi.
“Quando sono diventato professore all’università di Benares, ho cominciato a indignarmi per il
peggioramento delle condizioni del Gange. Così fede, impegno scienza e tecnologia, sono
arrivati e a coesistere nella mia vita…. Fede e impegno da una parte scienza e tecnologia
dall’altra, cono come le due rive parallele del flusso della mia esistenza. Non si incontrano ma
assieme fanno si che il flusso della vita continui e possa rendermi felice e pienamente
realizzato.”222
4.1.6 Alternative alla Sardar Sarovar
J.Wood nel suo libro Politics of Water Resource Development in India identifica tre
alternative ai grandi progetti come quello Sardar Sarovar: 1)la ripresa dei tradizionali
sistemi di raccolta dell’acqua, 2) le nuove tecniche e i nuovi programmi nella gestione
3) nuovi approcci sulla gestione delle acque adottati attraverso gli antichi progetti di
irrigazione223.
Per ogni alternativa seleziona tre criteri: l’efficacia, l’equità e la sostenibilità.
Il criterio dell’efficacia cerca di determinare se i programmi alternativi o tecnologici
distribuiscono l’acqua gli utenti in modo efficiente e in affidabile, minimizzando i costi
e massimizzando i benefici. L’equità si basa sul problema della distribuzione. Quali
villaggi ne devono beneficiare? Chi? è discriminatorio verso una parte della
popolazione ?
Infine la sostenibilità che punta sul lungo raggio di viabilità del programma, non solo
se è applicabile dal punto di vista ecologico ma anche se può essere portato avanti
localmente e quindi non deve dipendere da iniziative esterne, come appoggio finanziario
o amministrativo.
Per quanto riguarda la prima alternativa: il risveglio dei tradizionali sistemi di raccolta
dell’acqua, è stata una delle prime emerse dai movimenti di protezione ambientale che
si sono cimentati nell’investigare e documentare la grande varietà delle tradizioni
indigene sulle pratiche di gestione dell’acqua nel subcontinente. Una parte del lavoro è
stata principalmente di tipo archeologico, andando a ricercare i sistemi idrici risalenti ai
tempi della dinastia pre-Harappa. Si è scoperto che molti dei sistemi tradizionali
esistono ancora oggi anche se abbandonati a se stessi e la loro rinascita potrebbe essere
la giusta soluzione al problema idrico indiano.
Un particolare studio fatto dal CSE, Centre for Science and Environment, a Delhi, ha
portato alla luce un catalogo con centinaia di sistemi tradizionali riscoperti in 15 regioni
dell’India, dai kund224 del deserto del Rajastan, ai khul225 dell Himacal Pradesh, i
phad226 del Maharashtra, e gli ery o vecchi sistemi di riserva dell’Andra Pradesh,
Karnakata e Tamil Nadu. Per vari motivi, legati all’impoverimento dell’India rurale e
all’abbandono delle tradizionali istituzioni dell’acqua in favore di quelle su larga scala
gestiti dallo stato britannico, molte delle strutture indigene vennero trascurate.
222
Verr Bhadra Mishra , op. cit., pag.119
Wood R. John, The Politics of Water Resource Development in India, the Narmada Dams Controvesy,
SAGE Publications, New Delhi, 2007, pag.196
224
Serbatoi sotterranei che immagazzinano l’acqua, e che durante i monsoni fuoriesce dai bacini
artificiali. Wood R. John , pag. 197
225
Diversi canali che portano l’acqua dei ruscelli di montagna per l’irrigazione dei campi terrazzati. Ivi
Ibidem
226
Gestione agricola di sistemi di irrigazione basata su sbarramenti di deviazione. Ibidem
223
86
Esempi di tradizionali sistemi di raccolta dell’acqua si trovano in Gujarat, i virdas (bassi
pozzi scavati in basse depressioni nelle zone desertiche del Kutch),come i vav (pozzi a
gradino) e talav (serbatoi).
Nel Bihar meridionale, vengono utilizzati per l’irrigazione delle risaie gli ahar e i pyne.
I primi vengono costruiti sui rivoli di deflusso per raccogliere l’acqua, mentre i secondo
sono usati per catturare l’acqua dei fiumi che scorrono da nord a sud del paese. Secondo
V. Shiva, l’efficacia di questi sistemi è notevole, durante le grandi siccità della fine
dell’ottocento, il distretto di Gaya riuscì a sopravvivere grazie ai suoi sistemi, il resto
del Bihar, dove questi sistemi non erano in uso, fu colpito da carestia.227
Questi sistemi possono realmente essere un’opzione per il futuro? Il loro valore in base
ai criteri elencati da Wood sembrano limitati. Inoltre non esiste ancora una vera e
propria proposta politica. Possono passare il test dell’equità e della sostenibilità
nonostante l’ultimo diventi problematico. Guardando l’efficacia, sembra che essi
sopravvivano solo dove la moderna tecnologia non arrivi o non è sostenibile e da questo
punto di vista sono un’alternativa da essere preservata. Ciò che incoraggia è che alcuni
dei principi della tecnologia indigena, possono essere trovati nelle moderne tecniche che
vengono applicate alla gestione delle risorse d’acqua nei tempi contemporanei.
4.1.7Nuove tecniche e nuovi programmi.
Fornendo l’esistente flusso di superficie in base ai termine della sentenza dell’ NWDT,
buona parte delle fattorie nella regione del Surashtra, Kach e nord Gujart, non hanno
speranze di utilizzare l’irrigazione di base del fiume Narmada e delle altre risorse del
fiume. Le esistenti falde acquifere che servivano da scorta stanno venendo svuotate a
ritmi allarmanti. Ci si riferisce ai distretti aridi del Gujarat che hanno precipitazioni
minime annuali che si aggirano attorno ai 400-300 mm annui228. A parte i bacini che
vengono riservati per la raccolta delle acque della Narmada, il territorio si presenta
paludoso e desertico. Nell’ultimo secolo buona parte delle coste periferiche del Gujarat
hanno sofferto di un aumento della salinità e il maggiore sfruttamento delle falde
acquifere ha permesso un ingresso sotterraneo di acqua di mare. Questo ha avuto
disastrosi effetti nell’agricoltura locale e ha permesso un difficile accesso all’acqua
potabile.
La lotta contro la siccità in queste regioni è sempre stato un problema, ma negli ultimi
anni ci sono stati dei progressi grazie all’aiuto fornito dalle agenzie governative, ONG,
comunità locali e singoli individui, i quali hanno permesso di conservare e
massimizzare l’uso dell’acqua presente nelle falde e quella raccolta con le
precipitazioni. I nuovi progetti alternativi si basano sulla raccolta dell’acqua durante il
periodo monsonico, che verrà utilizzata per ricaricare le falde acquifere che negli ultimi
anni sono state seriamente esaurite con l’aumento dei pozzi e condutture sotterranea per
l’irrigazione. Inerenti a questi progetti c’è la determinazione di aumentare la
consapevolezza della comunità circa la partecipazione e la soluzione dei problemi di
gestione.
Dal 2003 ci sono stati due maggiori schemi a livello nazionale, il Watershed
Development Project for Rainfed Areas (NWDPRA) e i Watershed Development
Project (WDP)229. Nel 2003, questi e altri programmi correlati sono stati uniti sotto
“Haryali” (verdeggianti) linee guida. Prima, i programmi del governo centrale
affrontavano la siccità dando ai villaggi, cibo in cambio di lavoro.
Tutti questi programmi avevano origini politiche e sono stati criticati per i loro scarsi
risultati, solitamente attribuiti a spreco di soldi, lavori incompleti o cancellati, e
227
V. Shiva, Le guerre dell’Acqua, Feltrinelli, Milano, 2006, pag. 125
Wood R. John, op. cit., pag. 199
229
Wood R. John, op. cit., pag. 200
228
87
insignificante partecipazione nel processo decisionale delle persone che ne avrebbero
dovuto beneficiare.
Nel caso dell’NWDPRA e del WDP si sono concentrati in un approccio integrato che
promovendo la conservazione del suolo, dell’acqua e della vegetazione attraverso una
serie di tecniche economiche, e sforzi sociali e amministrativi di sviluppo. La
partecipazione locale e a livello di costruzione da parte del villaggio è spesso stata usata
attraverso le ONG che hanno fornito non solo competenze ingegneristiche ma anche
sociali. Il compito era quello di convincere tutti i membri del villaggio, dei potenziali
benefici che possono derivarne da un’azione comunitaria in contrapposizione a quella
individuale.
Ciò che ci si chiede in questi progetti è quanto sia vera la partecipazione popolare nella
creazione e progettazione di questi progetti. Da vari studi è emerso che i progressi sono
avvenuti più per quanto riguarda il criterio dell’efficacia rispetto agli altri due.
Per quanto riguarda l’efficacia è chiaro che in molti dei villaggi dove sono stati
introdotti nuovi programmi, gli agricoltori individuali hanno risposto alle nuove
opportunità attuando dei cambiamenti gestionali. Le strutture che hanno costruito e
stanno mantenendo si sono dimostrate in grado di ricaricare le falde e hanno consentito
di coltivare un secondo raccolto affiancato a quello tradizionale mantenuto con l’acqua
dei monsoni. La salinità è stata ridotta se non eliminata, l’acqua potabile è più
facilmente reperibile e ci sono notevoli progressi ambientali, come un miglioramento
della biomassa e una minore degradazione del suolo. Un’altro fattore che può spiegare
l’efficacia, è l’abilità e la volontà dei contadini delle zone aride, di pagare una quota dei
progetti.
Per quanto riguarda l’equità è chiaro che la gestione dell’acqua sta cambiando la
gerarchia di villaggio basata sulle classi, il sesso e le caste. Le ONG sono inamovibili
nell’insistere che la partecipazione di tutti i gruppi di villaggio è fondamentale affinché
il progetto vada avanti. Molto spesso vengono fatti dei compromessi per rappresentare i
gruppi emarginati ma i benefici del progetto vanno a coloro che hanno potere. Essendo
infatti la gestione dell’acqua di grande interesse per i proprietari terrieri, questi sono i
più veloci nel prendere vantaggi dalle nuove opportunità.
Comunque ci sono vari fattori che sembrano promuovere l’equità oltre alla propaganda
delle ONG. Uno è, che il lavoro dello sviluppo di un sistema di gestione dell’acqua
partendo dalla catena montuosa procede verso il basso togliendo quindi la priorità ai
grandi allevatori di deviare l’acqua per i loro usi. Secondo se le grandi fattorie possono
beneficiarne del progetto nei primi anni, gli attivisti ONG discutono che questo può
essere un prezzo che vale la pena pagare perché permette ai piccoli produttori agricoli di
ottenere i loro meriti negli anni a venire quando il progetto sarà ultimato. Il terzo fattore
è che la creazione di un raccolto in più, aggiunge al reddito dei lavoratori della terra
anche il terreno. Infine se questi nuovi progetti riescono, le risorse di proprietà comune,
come i terreni per la pastorizia possono migliorare.
Per quanto riguarda la sostenibilità, questi progetti hanno il difetto di poter diventare
troppo dipendenti dalle iniziative delle ONG e dai soldi del governo.
Fino a oggi, solo il 27% delle terre del Gujarat è irrigata da progetti di irrigazione
completati230. Molti di questi si trovano nel distretto centrale e meridionale del Gujarat,
zone che hanno sempre avuto grosse quantità d’acqua per via delle abbondanti
precipitazioni. Tuttavia, l’abbondanza di acqua creata con la costruzione delle dighe
subito dopo l’indipendenza ha provocato dei cambiamenti. Il più grande cambiamento è
quello del trasferimento dell’iniziativa e della responsabilità per la gestione dell’acqua,
oltre a una maggiore divisione dei costi a scapito degli agricoltori.
230
Wood R. John, op.cit, pag. 205
88
L’enfasi sulla gestione locale deriva dalla franca constatazione, non solo in Gujarat ma
anche a Delhi e in tutta l’India, che il sistema di irrigazione portato avanti dal governo
ha fallito. Le critiche mosse a quest’ultimo sono soprattutto da parte degli agricoltori
che si lamentano della inefficiente irrigazione dovuto sia a un disinteresse da parte dei
responsabili sia a una cattiva gestione, dal momento che l’acqua è spesso non
disponibile quando i raccolti ne necessitano. La seconda protesta è che, se ci sono
agricoltori che prendono l’acqua, sono quelli probabilmente che si trovano
all’imboccatura del sistema di canalizzazione, quelli più vicini al principale sbocco,
mentre coloro situati nella parte finale beneficiano di nessuna o poca acqua. La terza
osservazione è quella della corruzione. I coltivatori devono quasi sempre pagare
bustarelle per avere l’acqua per tempo. Complessivamente, la disciplina richiesta per
una giusta allocazione di acqua è carente. C’è anche una quarta osservazione da fare,
mossa però dal governo e dalle agenzie per la gestione statale come la Planning
Commission di New Delhi; le tasse sull’acqua sono così basse che non coprono i costi di
gestione dell’acqua, tanto meno i costi per i nuovi progetti.
Un esempio di ritorno di gestione ai coltivatori, è quello attuato in Gujarat dove nel
1995 venne introdotto il PIM, Participatory Irrigation Management, che affidava le
responsabilità di gestione dell’irrigazione all’amministrazione centrale mentre il restante
del mantenimento del progetto veniva affidato ai Water Uses Associations, dove più del
50% era costituito da coltivatori. I proprietari dei canali e della distribuzione dell’acqua
avrebbero continuato a investire nel governo e a provvedere una guida tecnica e
assistenza finanziaria, ma i nuovi WUAs avrebbero rilevato operazioni di
mantenimento. Le ONG sarebbero state intergate a livello di villaggio organizzando e
motivando i coltivatori. Il PIM è diventato realtà in 13 distretti del Gujarat e i villaggi
adesso coinvolti sono laboratori per coltivatori, ufficiali del governo e attivisti di varie
ONG.231
Ma perché si è dovuti arrivare a creare dei programmi statali per far partecipare gli
agricoltori quando una volta i sistemi di irrigazione erano gestiti da varie organizzazioni
interne ai villaggi? Nell’ India prebritannica, in regioni come il Maharashtra, i sistemi di
irrigazione erano responsabilità di comitati per l’acqua che si occupavano della
manutenzione delle dighe e della pulizia dei canali. Nell’Andra Pradesh, i sistemi di
gestione erano governati in gran parte da giovani, che fornivano il lavoro fisico più
faticoso, e lo stesso avveniva nel Bihar232.
Come appena analizzato, nella società moderna e in paesi come l’India, si lotta
soprattutto per poter partecipare sulle scelte da parte dei potenti di decisioni che ci
riguardano molto da vicino. In particolare si lotta affinché avvenga la partecipazione di
quella fetta di popolazione danneggiata, che tutt’ora continua a essere
sottorappresentata.
La simbolica consultazione alla quale gli organismi di finanziamento come la Banca
Mondiale ricorrono occasionalmente è una procedura priva di significato, in quanto si
dà per scontato che l’agenzia di sviluppo, una volta ascoltati educatamente gli
oppositori, si ritenga libera di andare per la sua strada.
231
Wood R. John, op. cit., pag. 206
I goam infatti venivano gestiti collettivamente, gli abitanti dei villaggi erano responsabili della
spartizione dell’acqua nella loro comunità, il sistema di parabandi regolava la distribuzione tra i villaggi
dell’acqua proveniente da una fonte comune. Nei casi che comportavano lavori impegnatIvi, i diritti di
ciascun villaggio venivano registrati ufficialmente. Negli altri casi la regolamentazione si rifaceva alle
consuetudini e i conflitti risolti in base alle procedure locali. V. Shiva, Le guerre dell’Acqua, Feltrinelli,
Milano, 2006, pag. 128
232
89
Un termine nato negli anni novanta è quello di stakeholders, i cosiddetti portatori di
interessi. La partecipazione di questi soggetti viene definita come:
“un processo che coinvolge i portatori di interessi nel risolvere le problematiche nel
processo decisionale e utilizza il supporto degli stakeholders per prendere una migliore
decisione”233
Questa definizione mette in luce che la partecipazione degli stakeholders è un processo
costituito da una serie di azioni, impatti e risultati e non una sola attività. Chiarisce
come lo scopo ultimo della partecipazione degli stakeholders è unavdecisione migliore,
nata da una maggiore informazione e avente carattere d sostenibilità.
Fondamentalmente, la partecipazione dei portatori di interessi riconosce il ruolo del
governo nel processo decisionale e cerca di chiarire i ruoli che gli stakeholders possono
attuare per contribuire a una migliore decisione.
I valori alla base della International Association for Public Partecipation (IAP2) sono
sette e rappresentano gli standard minimi essenziali per un processo giusto ed etico.
•
•
•
•
•
•
•
Gli stakeholders hanno la possibilità di farsi sentire sulle decisioni che vanno a
intaccare la loro vita.
Il contributo degli stakeholders influenza genuinamente le decisioni
Le decisioni sostenibili sono raggiunte incontrando le esigenze di tutti i
partecipanti, inclusi coloro che prendono le decisioni.
Il coinvolgimento dei potenziali affetti viene trovato e facilitato.
I partecipanti sono coinvolti sul processo intero.
Gli stakeholders vengono forniti con le informazioni di cui hanno bisogno
cosicché possano partecipare in modo significativo.
Gli stakeholders sono informati su come le loro scelte influenzino la decisione
come risultato della loro partecipazione al processo234.
4.2 Diritti, Globalizzazione e Cooperazione
4.2.1 La Banca Mondiale, il WTO e il controllo delle grandi aziende sull’acqua
Le grandi opere idrauliche nella maggioranza dei casi, avvantaggiano i potenti e
impoveriscono i più deboli. Anche se il progetto viene finanziato da fondi pubblici a
beneficiarne sono sempre le società di costruzione, le industrie e le aziende agricole
commerciali. Ciò a cui si assiste nella società odierna è sempre un maggiore intervento
statale nella politica dell’acqua, con sovvertimento del controllo della comunità locale
sulle risorse idriche. Le politiche imposte dalla Banca Mondiale e le norme di
liberalizzazione del commercio elaborate dalla World Trade Organization (WTO)
stanno diffondendo la cultura dello Stato azienda.
La Banca Mondiale235 ha sfruttato la scarsità d’acqua mondiale per trasformarla in
un’opportunità commerciale per le imprese. E’ attualmente impegnata con 20 miliardi di
233
UNEP, DDP Secretariat, A Compendium of relevant practices for Improved decision-making on Dams
and their Alternatives, Kenya, pag. 34
234
UNEP, DDP Secretariat, A Compendium of relevant practices for Improved decision-making on Dams
and their Alternatives, Kenya, pag. 34
235
La Banca Mondiale nasce nel 1944 con gli accordi di Bretton Woods e l’obbiettivo di ricostruire
l’Europa dopo la II Guerra Mondiale. Oggi finanzia lo sviluppo attraverso politiche di aggiustamento
strutturale, riduzione della povertà e riduzione del debito estero. E’ il principale braccio operativo per la
realizzazione del Millennium Development Goals, con obbiettIvi di riduzione della povertà, protezione
ambientale e accesso ai servizi sanitari ed educatIvi. Ravenhill J., Global Political Economy, Oxford
University Press, 2006
90
dollari in progetti idrici, di questi 4,8 riguardano impianti urbani e di purificazione, 1,7
sono destinati a progetti rurali, 4,5 a opere di irrigazione, 1,7 alla produzione di
elettricità e 3 miliardi per la produzione di progetti ambientali legati all’acqua.236 L’Asia
meridionale riceve il 20% dei prestiti della Banca mondiale per opere idrauliche.
La Banca vede nel mercato dell’acqua una stima di circa 100 miliardi di dollari.237Tutti
ormai sanno che la risorsa acqua sta diventando più lucrosa del petrolio. Grandi
corporation come la Monsanto, stanno entrando in questo mercato spalleggiate dalla
Banca Mondiale che ne favorisce la privatizzazione. La Monsanto si è alleata con
l’International Finance Corporation ( Ifc) della Banca Mondiale e prevede che
quest’ultima contribuirà con il capitale d’investimento e con le competenze sul territorio
a far accrescere il suo dominio238. L’agenda progetta così di creare meccanismi non
tradizionali, mirati all’istituzione di relazioni con i governi locali e le Ong e tramite altri
strumenti come il microcredito239.
Monsanto ha anche in progetto una joint venture con Eureka Forbes/Tata, un’azienda
che opera nel settore della purificazione, saltando così le controversie locali e
aggiudicandosi così il controllo gestionale sulle operazioni locali. La stessa azienda si è
lanciata nel settore dell’acquicoltura in Asia per espandere le proprie competenze
alimentari, giustificando il suo ingresso con lo sviluppo sostenibile che sappiamo bene
non esserlo dal momento che La Corte Suprema dell’India ha vietato l’allevamento
industriale dei gamberetti proprio per le conseguenze catastrofiche che apportava
Privatizzazione.
I progetti di privatizzazione finanziati dalla Banca Mondiale e da altri istituti vengono di
solito denominati “partnership pubblico-privato”240. La dicitura la dice lunga sia per ciò
che suggerisce sia per ciò che nasconde. Come fa notare Vanda Shiva, implica
partecipazione pubblica, democrazia e affidabilità. Ma mette in ombra il fatto che gli
accordi di parternership tra pubblico e privato fanno sì che i fondi pubblici vengano
messi a disposizione per la privatizzazione dei beni pubblici. I contratti di gestione
possono essere contratti di servizio a breve termine o di durata più lunga come gli
accordi globali di acquisto d’ acqua, pagata dell’ente pubblico. Un po’ come nei
contratti di acquisto per la privatizzazione e l’energia.
Le partership pubblico-privato si sono moltiplicate essendo uno strumento efficace per
attirare capitale privato e contenere l’occupazione nel settore pubblico. Attualmente le
collaborazioni tra pubblico e privato ricevono milioni di dollari in aiuti. Denaro che per
le aziende private che si contendono un contratto appare come sovvenzione, in India le
collaborazioni di questo genere per i servizi idrici sono trenta e tendono a rimpiazzare il
servizio pubblico.241
L’erosione del diritto all’acqua ormai è un fenomeno globale. Dai primi anni novanta,
incoraggiati dalla Banca Mondiale sono sorti programmi i privatizzazione che colpisce
sia il diritto della gente a utilizzare l’acqua , ma anche i mezzi di sostentamento e il
diritto al lavoro di coloro che operano nella municipalità e nei sistemi idrici e igienici
locali. I sistemi pubblici per una concessione idrica utilizzano in media cinque o dieci
dipendenti mentre le aziende private ne impiegano due o tre. Le argomentazioni a
favore della privatizzazione si basano per lo più sulle scadenti prestazioni delle strutture
del settore pubblico, senza però prendere mai in considerazione il fatto che i risultati
236
www. worldbank.org.
Barlow Maude, Blue Gold, Earthscan, London, 2002, pag. 15
238
Monsanto calcola che il valore dell’acqua ammonti a miliardi. Nel 2000 l’approvvigionamento di
acqua sicura avrebbe raggiunto 300 milioni di dollari in India e Messico. Questa è la cifra spesa da ONG
per progetti di sviluppo idrico e per fornitura di acqua a livello di governo locale.
239
Shiva Vandana, Le Guerre dell’Acqua, cit., pag. 97
240
Ibidem
241
Ivi, pag. 98
237
91
insoddisfacenti non siano dati dal personale in eccesso, bensì dall’inaffidabilità delle
strutture. Non ci sono in realtà prove che garantiscano che le aziende private siano più
affidabili, in realtà è quasi sempre il contrario dal momento che l’industria privata non
ha alle spalle un tanti successi. Nonostante la sua impopolarità presso i residenti locali
di tutto il mondo, la corsa alla privatizzazione dell’acqua è proseguita imperterrita.
Molti paesi aventi grossi debiti, oggi sono costretti a privatizzare.
Sia la Banca Mondiale che il Fondo Monetario Internazionale242 inseriscono la
deregulation dell’acqua tra le condizioni di prestito.Tra i quaranta finanziamenti forniti
dall’FMI nel 2000 tramite l’Ifc, 12 imponevano la privatizzazione totale o parziale della
fornitura d’acqua e insistevano sull’introduzione di direttive per favorire “il pieno
recupero dei costi” ed eliminare i sussidi.
Ma oltre a questi due colossi internazionali, ce ne sono degli altri, come il WTO e il
GATs. Il General Agreement on Trade and Tariffs (GATT) fu creato accanto alla Banca
Mondiale e al Fondo Monetario per gestire l’economia globale del dopoguerra. Il Gatt
ha continuato ad esistere mantenendo la sua forma sino al 1995 quando, in seguito alle
intese dell’Uruguay Round, fu istituito il WTO243.
Prima del 1993 il GATT si occupava solo dello scambio di beni attraverso le frontiere
nazionali ma con l’Uruguay Round, furono allargati i confini del commercio e il potere
del GATT aggiungendo norme che vanno al di là delle merci e degli scambi
internazionali. Vennero introdotte regole sulla proprietà intellettuale, l’agricoltura e gli
investimenti, con il Gats anche i servizi vengono fatti rientrare nel commercio.
Se la Banca Mondiale promuove la privatizzazione dell’acqua, il WTO persegue la
stessa privatizzazione servendosi delle norme di libero scambio introdotte nel Gats.
Promovendo il libero commercio, il WTO cerca di far passare il GATs, come un trattato
“dal basso”, citando la libertà dei paesi di liberalizzare il commercio e deregolamentare
diversi settori. In realtà il GATs non rispetta i processi democratici nazionali,
impedendo ai governi di usare risorse e temi culturali nei negoziati con il WTO e
opponendosi verso quei paesi aventi una politica opposta a quella del libero mercato. In
India nel 1996 venne instaurato il Provision of the Panchayatas Act, riconoscendo così
le comunità locali e tribali come autorità in che questioni di cultura, risorse e risoluzione
di conflitti.244Le comunità dei villaggi (gram sabha) si vedevano riconosciute come
organismi comunitari e avevano la prerogativa di respingere piani e programmi di
sviluppo. L’importanza del controllo sulle risorse comunitarie era riconosciuto come
necessità economica ma anche come criterio di identità culturale. Il Wto ha ignorato la
Costituzione Indiana, ha ribaltato il decentramento democratico al quale aspiravano
diverse comunità locali e ha contestato misure varate dai governi locali, centrali,
regionali ed enti non governativi. Le sue regole sono state formulate da grandi aziende
senza che ci fosse la partecipazione di ONG, governi locali e nazionali.
Nel 2001 il WTO ha presentato una difesa nei confronti del Gats sostenendo che non
viola il diritto all’acqua, alla salute o all’istruzione perché esclude gli esercizi forniti
dall’autorità governativa e inoltre il GATs non obbliga nessun paese a deregolare i servi
o ad aprire i proprio mercato. Ma analizzando meglio la dichiarazione del WTO si
percepisce una diversa realtà. Esclude infatti i servizi forniti nell’esercizio dell’autorità
242
Il Fondo Monetario Internazionale nasce, come la Banca Mondiale, con la Conerenza di Bretton
Woods e oggi conta più di 184 membri. Le sue funzioni sono quelle di vigilare il sistema finanziario
internazionale, fornire assistenza finanziaria e tecnica. Ravenhill J., Global Political Economy, Oxford
University Press, 2006
243
Il GATT sarebbe dovuto diventare l’International Trade Organization nel 1948 ma gli Stati Uniti ne
bloccarono la trasformazione perché le regole commerciali avrebbero favorito il sud. 243 Shiva Vandana,
Le Guerre dell’Acquacit., pag. 101
244
Ivi, pag. 102
92
governativa. Il GATs specifica che questi servizi non devono essere forniti su base
commerciale né in concorrenza con uno o più fornitori di servizi. A cosa si intende per
base commerciale ? a questo punto anche la riscossione di imposte o canoni da parte di
un governo può essere interpretata come un’attività commerciale e altri servizi
essenziali potrebbero entrare nel libero commercio.
La norma sul National Treatment proibisce ai governi di discriminare tra fornitori di
servizi locali ed esteri,vieta inoltre ai governi di far si che le industrie straniere possano
coinvolgere la popolazione locale, non possono inoltre porre limiti ai fornitori di servizi,
al valore delle transazioni e delle attività di servizio, al numero delle operazioni e alla
quantità di servizi forniti.
Sull’agenda del Gats ci sono i servizi ambientali, nei quali rientrano le opere fognarie,
lo smaltimento dei rifiuti, i servizi igienici, la depurazione dei gas di scarico, la
protezione della natura e chiaramente c’è anche l’acqua. La Centralità dell’acqua ha
richiamato non solo il WTO ma anche la Comunità Europea che sotto la dicitura servizi
idrici, ha inoltre la raccolta, depurazione e distribuzione dell’acqua, facendo intendere il
prelievo di masse d’acqua e l’estrazione dalle falde acquifere. Nel 2001 all’incontro del
WTO tenutosi a Doha, gli Stati Uniti hanno introdotto il commercio dell’acqua nella
Dichiarazione ministeriale. La sezione su commercio e ambiente parla della riduzione o
eliminazione delle barriere tariffarie e non tariffarie sui beni e servizi ambientali, in
poche parole commercio libero dell’acqua.
Il WTO definisce il GATs il primo accordo multilaterale sugli investimenti, un trattato
di libero commercio simile al North American Free Trade Agreement (Nafta). Grazie al
Nafta, la società statunitense è riuscita a estorcere soldi al governo messicano attraverso
la società per il trattamento dei rifiuti245.
Il diritto di commerciare concesso alle grandi imprese come il Nafta o il GATs viene
applicato ai casi di proprietà e controllo dell’acqua da parte delle aziende, afermando
che le acque, sia naturali che artificiali, sono beni commerciabili. Tutta l’acqua viene
trattata come una merce e vi si applicano tutte le norma dell’accordo che governano lo
scambio di merci.
4.2.2 I Giganti dell’Acqua e la Privatizzazione del mercato
L’acqua come abbiamo detto è diventata il petrolio blu e di conseguenza un grande
affare per molte multinazionali. Le industrie principali sono le francesi Vivendi
Environment246 e Suez Lyonnaise des Eaux i cui imperi comprendono circa 120 paesi.
Altri giganti sono l’azienda spagnola Aguas de Barcelona eh domina l’America Latina,
e la britannica Thames Water, Biwater e United Utilities.
La privatizzazione dei servizi idrici non è altro che il primo passo per la privatizzazione
dell’acqua. In alcuni paesi come il Messico, l’acqua potabile è così scarsa che i bambini
devono Coca-Cola e Pepsi. Molte aziende, come appunto la Coca Cola, sanno che
l’acqua è l’unica cosa capace di spegnere la sete, e cambiano rotta buttandosi nel
business dell’acqua in bottiglia. In India la linea di acque della Coca-Cola di chiama
245
L’impianto di eliminazione dei rifiuti tossici della società Metalclad nello stato centrale i San Luis
Potos era stato chiuso dalle autorità locali perché non garantiva la sicurezza dal punto di vista ambientale.
Ma il Nafta ha permesso alle aziende di chiedere al tribunale di imporre il pagamento di un indennizzo al
governo del paese la cui legislazione “espropria” futuri profitti dell’azienda. Metalclad si è appellato a
governo messicano impugnando questa norma e ha vinto. Shiva Vandana, op.cit, pag. 104
246
Vivendi Environment si occupa di acqua trattamento dei rifiuti energia e trasporti, ha inoltre una jointventure al 50% con una società della Repubblica Ceca, la Ctse d è previsto un fatturato netto di
200milioni di euro, una sussidiaria di Vivendi, la Onyx possiede la Waste Management Inc. Vivendi
svolge servizi di smaltimento in diversi paesi, tra cui Hong Kong e Brasile.
93
Kinley, ma è presente anche la Pepsi, la Terrier, la Evian, Naya, Poland Spring, Clearly
Canadian, Purely Alaskan.
Gli effetti della diffusione dell’acqua minerale vanno al di là dei prezzi esorbitanti e
della qualità dell’acqua, l’industria dell’imbottigliamento provoca infatti un grosso
deperimento ambientale. In India il maggiore produttore di acqua in bottiglia, Parle
Bisleri, copre il 60% del mercato e si sta espandendo sempre più. Attualmente l’acqua
in bottiglia rappresenta più del 14% dell’industria delle bibite analcoliche. Bisleri, Pepsi
e Coca-Cola non sono le uniche nel mercato indiano, anche Britannia Industries e Nestlè
spingono i loro prodotti. Britannia produce l’acqua Evian che costa quasi il doppio del
minimo salariale locale. Più di 500 famiglie ricche in India spendono tra i 20 e 209
dollari al mese in acqua Evian247. Altre piccole aziende indiane sono entrate nel mercato
e attualmente rappresentano il 17% del mercato. Queste sono Ganga, Oasis, Dewdrops,
Minscot, Florida Acqua Cool e Himalayan.
Il mercato indiano dell’acqua confezionata è stimata intorno ai 104,4 miliardi di dollari,
con una crescita annua tra il 50 e 70%. In altre parole la produzione di acqua in bottiglia
è destinata a raddoppiare ogni due anni. Tra il 1192 e il 2000 le vendite sono passate da
95 milioni di litri a 932 milioni di litri.248
Non c’è più il diritto di tutti per placare la propria sete , è un diritto che ormai tocca
esclusivamente i ricchi. Lo stesso presidente indiano lamenta questa situazione:
“L’elite ingurgita bottiglie di acqua minerale, mentre i poveri devono arrangiarsi con una
manciata di acqua fangosa”.249
La vocazione della privatizzazione in relazione all’acqua è parte della filosofia
dell’economia. Per quanto riguarda i beni industriali, sapone, acciaio, fertilizzanti,
macchinari che non vengono prodotti dall’economia dello Stato, andrebbero lasciati al
gioco delle forze di mercato (soggette alla regolamentazione), nel caso in cui tali
prodotti venissero prodotti da aziende di proprietà dello stato dovrebbe subentrarne la
privatizzazione. Per analogia la stessa cosa dovrebbe accadere con l’acqua, ma in questo
caso ci sono alcune difficoltà.
Primo, nel caso di consumatori o beni industriali, se il prezzo è troppo alto, o se la
scorta fallisce per ragioni commerciali, noi per un po’ possiamo farne a meno e cercare
dei sostituti, ma non possiamo stare senza acqua e non ci sono sostituti di quest’ultima.
Non possiamo ridurre i nostri consumi di acqua sotto un certo livello. Mentre il prezzo
dell’acqua deve basarsi ovviamente su certe considerazioni250, a nessuno dovrebbero
essere negati questi bisogni di base soprattutto perché nessuno se li potrebbe permettere
a pressi elevati.
Secondo, sapone, acciaio e fertilizzanti possono essere lasciati al mercato, non c’è
obbligo da parte dello stato a provvedere questi beni. Tuttavia, se l’acqua è un bisogno
di base e perciò un diritto di base, lo stato ha la responsabilità di assicurare che a
nessuno venga negato. Anche se la scorte è affidata a un’agenzia privata, la
responsabilità dello stato non sparisce: in caso di fallimento da parte dell’agenzia
privata, la responsabilità tornerà allo stato.
Terzo, l’acqua è una risorsa scarsa e vitale della comunità, è una risorsa finita. Deve
essere protetta dall’inquinamento, dalla contaminazione, dall’esaurimento e conservata
per le generazioni future.
247
Shiva Vandana, Le Guerre dell’Acqua, cit., pag. 109
Ivi, pag.110
249
Discorso del presidente della repubblica Narayan del 1999. Ibidem
250
Per esempio, deve sostenere le scorte, scoraggiare l’uso inefficiente e promuovere l’economia e la
conservazione. Iyer R. Ramaswamy, Towards Water Wisdom, SAGE Publications, New Delhi, 2007, pag.
137
248
94
Ne consegue che l’argomento della privatizzazione non può essere immediatamente
trasferito dal consumatore o dai beni industriali all’acqua. Mantenendo questo a mente,
consideriamo cosa può significare la privatizzazione dell’acqua. Significa il
trasferimento o il dare in appalto la fornitura d’acqua nelle aree urbane o rurali dalla
municipalità locale o altri enti e agenzie allo stato o a un’azienda privata.
Alternativamente, la privatizzazione può significare l’affidamento dello “sviluppo della
risorsa acqua” WRD, Water Resource Development Project a un corpo privato, o
l’autorizzazione di questo corpo per finanziare il progetto WRD, costruire dighe, bacini,
sistemi di canalizzazione etc…, su un fiume o installare impianti ed equipaggiamento
per l’estrazione dell’acqua da un fiume,dal letto di un fiume, da un lago o una fonte
acquifera.. questo potrebbe coinvolgere una serie di domande sul controllo delle fonti
naturali, come la conservazione della fonte e la sostenibilità, equità, giustizia sociale e
così via. Si potrebbe dire semplicisticamente che privatizzare il servizio è accettabile ma
non lo è privatizzare la fonte in sé251. Ma questa distinzione è difficile da mantenere.
La privatizzazione del servizio di riserva d’acqua può condurre prima o poi all’acquisto
del controllo della fonte. Anche se non è formalmente data, la proprietà della fonte
dell’acqua, può costituire una forma di potere difficilmente annullabile, creando così
una serie di complicazioni. Ci sono difficoltà anche con la privatizzazione dei servizi
sulla fornitura d’acqua. Il primo motivo della corporazione privata è il profitto.La
responsabilità della gestione è prima di tutto dell’azionista, non del consumatore o della
comunità. Se le considerazioni sulla gestione del profitto entrano in conflitto con altre
considerazioni, il profitto prevarrà. Ciò non significa che i ruolo dominante debba essere
per forza quello dello stato, ma semplicemente che l’alternativa allo stato non è
necessariamente il settore privato.
Il diritto all’acqua non è la stessa cosa dei diritti d’acqua. L’ultimo termine si riferisce
generalmente all’uso dei diritti nel contesto economico dell’acqua, come l’irrigazione e
l’utilizzo industriale.Quando la WB o alcuni dei nostri economisti parla di titoli o diritti,
stanno parlando di diritti di proprietà. Possiamo fare così diverse affermazioni:
1. E’ problematico che il diritto alla vita possa essere convertito in un diritto di
proprietà commerciale.
2. I diritti economici di alcuni non devono ledere i diritti fondamentali di altri.
3. Il principio della totale ripresa dei costi è applicabile agli usi economici ma non
all’acqua come supporto basilare per la vita.
4. Dobbiamo essere molto cauti nell’introdurre motivazioni commerciali nella sfera
della sostanza per la vita.
5. Lasciando a parte ideologiche considerazioni, la privatizzazione dei servizi
dell’acqua, se necessaria, non dovrebbe condurre alla privatizzazione delle fonti
stesse.252
La prima di queste affermazioni necessita di una breve elaborazione. Tenendo conto
della riserva d’acqua, possiamo dire che i cittadini hanno il diritto in questo frangente
ma che tipo di diritto? Assumendo ipoteticamente che un individuo ha diritto a una
quantità di 100 litri al giorno, e una famiglia di cinque membri a 500 litri al giorno, può
un individuo o una famiglia essere autorizzata a vendere il proprio diritto a qualcun’
altro? Se il diritto all’acqua è parte del diritto alla vita, come può questo esser visto
come un diritto di proprietà e quindi commerciabile? Questa asserzione sembra non
avere risposta.
I diritti dell’acqua di un contadino, o quelli industriali per uso industriale, diritti di
proprietà, possono diventare commerciabili? I bisogni dell’acqua per scopi d’irrigazione
possono essere definiti in riferimento all’area in questione o alle coltivazioni da attuare
251
252
Iyer R. Ramaswamy, op. cit., pag. 141
Iyer R. Ramaswamy, op.cit, pag. 143
95
o per entrambi i fattori. In casi di scarsità l’acqua può essere allocata sia dallo stato che
ad altre agenzie, responsabili dell’irrigazione. Il punto importante è che l’acqua venga in
ogni caso fornita per l’irrigazione.
Viene qualche volta sostenuto che i mercati dell’acqua sono la risposta ai conflitti dell’
acqua che nascono tra coloro che ne usufruiscono e le unità politico amministrative.
Anche in India questa preposizione viene spesso esortata. In seminari e discussioni
qualcuno ha sollevato tale argomentazione sostenendo che se i mercati dell’acqua
prevarrebbero, lo stato dell’Orissa sarebbe stato preparato a un tantum d’ acqua di
Mahanadi, il conflitto tra Karnakata e Tamil Nadu sulle acque del fiume Cauvery si
sarebbe potuto attenuare, e sia gli industriali che gli agricoltori avrebbero potuto trovare
una via d’uscita al loro conflitto.
Il principioogenerale è stato che gli stati ripari bassi, hanno certi diritti e quelli alti
hanno degli obblighi verso i primi. Questo fu racchiuso nelle regole di Helsinki per poi
continuare nelle regole della Convenzione delle Nazioni Unite del 1997. Tale principio
è presente anche nell’Indus Waters Treaty del 1960, tra India e Pakistan e il Trattato del
Gange del 1996 tra India e Bangladesh. Affermando i poche parole, che gli stati ripari
alti possono vendere l’ acqua ai bassi. A parte il negare i diritti degli stati ripari bassi
introduce una motivazione commerciale, facendo capire che gli stati ripari alti possano
utilizzare la risorsa nella maniera più smodata253.In realtà stati ripari alti e bassi,
dovrebbero dividersi le acque attraverso accordi, trattati , conciliazioni e mediazioni e
non vendendo e acquistando contratti.
Il mercato dell’acqua tende a nascere soprattutto nel caso dell’estrazione dell’acqua
dalle falde acquifere. Nella legge indiana, solo coloro che sono possessori della terra
hanno il diritto sulle falde acquifere, le comunità, i tribali che hanno usato queste risorse
naturali per secoli possono non avere questi diritti.
Questa posizione legale, può però portare a iniquità di diverso genere: un ricco
contadino può installare pozzi per l’estrazione nella sua terra andando a creare danni al
vicino, può estrarre l’acqua privandone coloro che ne posseggono di meno, anche se
questa proviene da una comune fonte acquifera, e può prosciugare la fonte estraendo
troppa acqua. Se il diritto sulle falde acquifere venisse scisso da quello sul diritto della
terra e quindi le falde acquifere fossero viste come i fiumi e i laghi, la situazione
cambierebbe. Ma tutto ciò non è conosciuto dalla popolazione povera o tribale. Ecco
perché le ONG lottano affinché ci sia comunicazione e informazione.
4.2.3 Mobilitazione sociale internazionale
L’NBA è stata attivamente coinvolta nel creare the National Alliance of People’s
Movements (NAPM254). Nel 1992, vari movimenti e unioni da diverse parti dell’India
iniziarono un processo di alleanze che si basava su tre principali assi:
• opporsi ai prevalenti disegni di sviluppo ed evolvere pere perseguire gli alternativi
modi di sviluppo;
• opporsi a ogni genere di fondamentalismo, comunalismo e sciovinismo politico;
• opporsi alle nuove politiche economiche della globalzzazione, liberalizzazione e
privatizzazione.
253
Gli stati ripari alti possono vendere l’acqua a quelli più bassi solo dopo aver acquistato il controllo
delle acque attraverso le strutture: in altre parole gli stati riparo alti prima fermeranno la discesa elle
acque verso quelli più bassi, e poi venderanno l’acqua . L’inaccettabilità della proposizione è ovvia e non
occorre venga elaborata. Iyre Y. Ramaswamy, op. cit., pag. 145
254
Sangvai Sanjay, The River and Life, people’s struggle in the Narmada Valley, Earthcare Books,
Mumbai Calcutta, 2002 pag. 149
96
L’alleanza iniziò e sostenne varie lotte. Il NAPAM ha appoggiato anche il caso
Narmada in vari modi. Centinaia di attivisti e organizzazioni hanno partecipato alla
battaglia e hanno diffuso il messaggio.
Nello stesso periodo una serie di indiani residenti in America e in altri paesi divennero
parte del movimento, questi gruppi progressisti formarono i “Friends of Narmada”
portando programmi di supporto e campagne per gli Andolan. Gruppi tutt’ora coinvolti
in politiche progressive, come opporsi alle corporazioni di potere, come la Banca
Mondiale, o confermando le cause sociali e ambientali in India e in altri paesi.
Lo stesso spirito ha portato l’Andolan a essere membro fondatore in the People’s
Global Actio (PGA) contro la World Trade Organization e “free trade” sin dal suo inizio
nel 1996. Il PGA è stato un movimento collettivo di gruppi in Europa, America, Africa,
Asia e pacifico condividendo le aspirazioni democratiche, autonome e egualitarie delle
persone nei loro paesi. Il PGA è contro qualsiasi forma di sfruttamento nazionale o
globale. Si oppone al dominio del capitalismo rappresentato dalla Banca Mondiale e dal
WTO e alle colonizzazioni interne attraverso le grandi dighe, come anche qualsiasi
forma di dominio basata su classe, casta, razza e sesso. Crede nelle politiche di massa
basate sul confronto255.
La lotta contro la Banca mondiale, dal 1987 e il suo forzato ritiro il 1993 è stato storico
per la Narmada Valley e per le persone indiane. E’ stato un cambiamento ideologico e
strategico nelle politiche alternative e un diretto cambiamento per il multilaterale
colonialismo che la Banca rappresenta e simbolizza.
Molto prima dell’annuncio della Politica della Nuova Economia (NEP) nel 1991, del
governo di Narsimha Rao, l’ Andolan aveva espresso la sua opinione, sostenendo che le
politiche prevalentemente di sviluppo erano incentivate dall’economia globale e dalle
forze politiche. Il NEP non era altro che il culmine della politica di sviluppo adottata
dopo l’Indipendenza.Il governo indiano come anche la Banca Mondiale ne sono stati
responsabili per la distruzione del terzo mondo. Sin dal 1987 l’ NBA ha fatto conoscere
le violazioni della Banca e quindi portandola sulla sfera internazionale.
L’Andolan non ha mai ricevuto aiuti finanziari dall’estero ma ha tessuto una nuova
politica di solidarietà attorno al mondo. Le organizzazioni di giustizia sociale e
ambientale all’estero hanno fatto pressione sui loro rappresentanti locali per distoglierli
nel fornire appoggio alla Banca Mondiale.
Il ritiro della Banca ha avuto un forte impatto in altre prospettive di aiuto finanziario per
altri progetti. La lotta contro le grandi dighe adesso ha assunto una proporzione globale.
La prima Conferenza Internazionale Contro le grandi dighe si è tenuta a Curtiba, in
Brasile, nel marzo 1997. La Commissione mondiale sulle dighe che si riunì nel 1998 fu
un tentativo di unione dei costruttori delle dighe, delle organizzazioni popolari e degli
esperti, per compiere uno studio e porre delle revisioni sui progetti delle grandi dighe
come veicolo di sviluppo.
4.2.4 L’Acqua in rete
In tutti questi movimenti, hanno svolto un ruolo importante la comunicazione e i media.
I media sono stati un potere già di per se e allo stesso tempo ha fatto sì che i problemi e
i processi della lotta popolare raggiungessero il mondo esterno. Tutto ciò non solo
rompe l’isolamento dei movimenti di resistenza, ma lavora anche come freno del potere
repressivo dello stato e degli interessi acquisiti. I detentori del potere hanno nelle loro
255
NBA e NAPM hanno partecipato alla Carovana intercontinentale in Europa contro il WTO nel giugno
e novembre 1999, con la marcia a Seattle, e poi a Praga nel settembre del 2000. Ibidem
97
mani tutte le armi per legittimare e propagandare le loro politiche, i loro paradigmi e
progetti, l‘NBA ha cercato di ostacolarli anche attraverso i media. Spesse volte gli stessi
giornalisti si sono trovati ad affrontare situazioni spiacevoli non potendo mettere in luce
la realtà dei fatti. Ma c’è anche da dire che alcuni giornalisti consci del problema,
nonostante le difficoltà di viaggio e di alloggio, al di fuori della loro professionalità
etica, sono andati nei villaggi della valle e hanno sostenuto attivamente il gruppo.
Nel nuovo contesto tecnologico l’americana Friends of Narmada ha creato un web-site
www.narmada.org, che funge come fonte di informazioni, di supporto e mobilitazione
per differenti sezioni. Eminenti scrittori, artisti e letterati hanno contribuito a supportare
il movimento attraverso libri, discorsi, incontri campagne e partecipazione diretta come
il caso di Arundhaty Roy, che nel 1999 scrisse una forte accusa della diga nel libro “Per
il Bene Comune” e ha sostenuto e partecipato alla “ manifestazione per la valle”.
Spiegando il problema dell’Andolan al mondo e ai villaggi, ha affrontato per ben due
volte il carico di disprezzo da parte della Corte Suprema. Un numero esponenziale di
artisti, attori e pittori dalle piccole città alle metropoli come Calcutta, Baroda, Delhi e
Mumbai sono usciti fuori in supporto della lotta in vari modi.
4.2.5 I Social Forum
La parola latina forum designava, durante l’Impero romano, spazi pubblici aperti,
destinati a riunioni civiche e cerimonie religiose e militari. Incorporatosi
successivamente in quasi tutte le lingue (con il plurale fori, anche questo molto usato), il
termine è passato a indicare grandi incontri per discutere temi specifici.
I forum sociali hanno una caratteristica comune, il carattere deliberativo, quelli nati
all’inizio di questo secolo, lottano contro la globalizzazione e il neoliberismo, come il
primo Forum Sociale mondiale svoltosi nel 2001 a Porto Alegre in Brasile.
Questo termine non è stato definito in modo aleatorio o casuale dagli organizzatori del
Forum di Porto Alegre. La sua scelta è stata un’azione politica, in contrapposizione al
Forum economico mondiale che da più di 30 anni si tiene nella città svizzera di
Davos256. Nel trionfalismo dei difensori del neoliberismo e della logica del mercato, il
Forum di Davos è diventato il principale strumento di comunicazione di quello che i
critici hanno cominciato a definire il “pensiero unico”257. L’informazione dei grandi
mezzi di comunicazione di massa ha fatto sì che il mondo sapesse ciò che si stava
pensando o pianificando dall’alto delle piramidi del potere economico e politico. Dopo
alcuni anni dalla caduta del Muro di Berlino la protesta ha iniziato a manifestarsi con
proteste come quella del G7 nel 1994.
In quest’ottica, i Forum sociali svolgerebbero una funzione specifica , ma allo stesso
tempo limitata: quella di essere uno strumento per moltiplicare le azioni fornendo una
maggiore coordinazione tra le organizzazioni. Il tutto partendo dal principio che chi
cambierà il mondo sarà la società e non i Forum, i quali non potrebbero costituire un
nuovo movimento. Anche se il forum sociale può essere definito come una
convenzione, nessuno può impedirne la sua manifestazione, tant’è che oggi aumentano
sempre più.
256
In questo forum vi si riuniscono le più alte sfere del sistema di potere dominante nel mondo (grandi
imprenditori, dirigenti politici e intellettuali ) per fare affari e discutere di temi di loro interesse, legati
all’espansione e al consolidamento del capitalismo. Questo spazio, ha conquistato una posizione centrale
dopo la caduta del muro di Berlino, quando si è cominciato a sostenere che il mercato avrebbe assicurato
il progresso dell’umanità e risolto tutti i problemi.
257
Espressione attribuita al giornalista Ignacio Ramonet in un editoriale di “Le Monde Diplomatique” del
1995 sulla proposta della moneta unica europea. http://www.transform.it/forum-sociale-mondiale/view
98
Tra questi quello che, per l’argomento trattato n questa sede, interessa più di tutti è il
Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile (Johannesburg, 2002), il Terzo Forum
Mondiale sull’Acqua (Kyoto, 2003), il Forum Universale delle Culture (Barcellona,
2004) e il World Social Forum svoltosi a Mumbai nel 2004.
In quest’ultimo sono state descritte le strategie per espandere l’attivismo a livello
globale e cercare di costruire dei social forum a livello nazionale come già accaduto in
Brasile, New York, Ghana e Firenze. Una delle aree di lavoro su cui si ci si è preposti di
lavorare è una maggiore partecipazione con i governi per proteggere l’acqua investendo
in quelli che sono i sistemi pubblici.
Il Contratto mondiale sull'Acqua258, ha portato attraverso i vari forum alle proposte del
Manifesto per un Contratto mondiale, redatto da Riccardo Putrella, che si basa su
quattro idee chiave:
1. fonte insostituibile di vita, l'acqua deve essere considerata un bene comune
patrimoniale dell'umanità e degli altri organismi viventi
2. l'accesso all'acqua, potabile in particolare, é un diritto umano e sociale
imprescrittibile che deve essere garantito a tutti gli esseri umani indipendentemente
dalla razza, l'età, il sesso, la classe, il reddito, la nazionalità, la religione, la
disponibilità locale d'acqua dolce
3. la copertura finanziaria dei costi necessari per garantire l'accesso effettivo di tutti gli
essere umani all'acqua, nella quantità e qualità sufficienti alla vita, deve essere a
carico della collettività, secondo le regole da ella fissate, normalmente via la
fiscalità ed altre fonti di reddito pubblico. Lo stesso vale per la gestione dei servizi
d'acqua (pompaggio, distribuzione e trattamento)
4. la gestione della proprietà e dei servizi é una questione di democrazia. Essa é
fondamentalmente un affare dei cittadini e non (solo) dei distributori e dei
consumatori.259
Diverse di queste proposte, in particolare quelle contenute nelle dichiarazioni durante i
Forum di Caracas e di Bamako, sono state accolte e inserite nella Dichiarazione finale
dei Movimenti di Città del Messico.
Il Contratto dell'acqua continuerà a ricercare la collaborazione di alcune istituzioni,
come ad esempio i Parlamenti e gli eletti locali, rispetto a una nuova politica dell'acqua
attraverso il sostegno e la richiesta, accolta dallo stesso Parlamento Europeo, per la
creazione di una nuova Agenzia mondiale dell'acqua.
Questo nuovo soggetto, secondo alcuni, dovrebbe essere collegato al mondo della
società civile e alle istituzioni parlamentari ed essere in grado di progettare un
cambiamento nei contenuti della politica del governo delle risorse idriche.
In questa prospettiva l' Assemblea Mondiale dei cittadini ed eletti per l'acqua, che si è
svolta a Bruxelles nel marzo del 2007, costituisce una prima occasione per costruire la
progettualità coinvolgendo i cittadini.
Di fondo al centro della soluzione per l’inquinamento che propone il mercato c’è il
presupposto che esiste una disponibilità illimitata di acqua. Il fatto che i mercati, per
ridurre l’inquinamento, agevolino la deviazione dell’acqua in un’altra area non fa altro
che aumentarne la scarsità in un’altra ancora.
Dalle comunità in lotta contro l’inquinamento industriale è nata la proposta per la
Dichiarazione dei diritti ambientali, che comprende il diritto a un’attività industriale
pulita, alla sicurezza contro l’esposizione a sostanze tossiche, alla prevenzione,
all’informazione, alla partecipazione, alla protezione e ai vincoli, agli indennizzi e agli
258
Il "Contratto Mondiale dell'Acqua" costituisce la proposta centrale del "Manifesto dell'Acqua". Il
manifesto é stato redatto nel settembre 1998 da un Comitato Internazionale.
259
http://www.contrattoacqua.it/public/journal/
99
interventi di pulizia. Questi sono i diritti basilari per una democrazia dell’acqua, dove il
diritto ad avere acqua pulita sia garantito a tutti i cittadini.
Vandana Shiva elenca i nove principi che stanno alla base della democrazia
dell’acqua260:
1. L’acqua è un dono della natura. E nostro dovere nei confronti della natura usare questo
dono secondo le nostre esigenze di sostentamento, mantenerlo pulito e in quantità adeguata.
Le deviazioni che creano regioni aride o allagate volano il principio della democrazia
ecologica.
2. L’acqua è essenziale alla vita. Tutte le specie e tutti gli ecosistemi hanno diritto alla loro
quota di acqua sul pianeta.
3. La vita è interconnessa mediante l’acqua. L’acqua connette gli esseri umani e ogni parte del
pianeta al suo ciclo.le nostre azioni non devono provocare danni ad altre specie e ad altre
persone.
4. L’acqua deve essere gratuita per le esigenze di sostentamento. Poiché la natura si concede
l’uso gratuito dell’acqua, comprarla e venderla per ricavarne il profitto viola il nostro insito
diritto al dono della natura e sottrae ai poveri i loro diritti umani.
5. L’acqua è limitata ed è soggetta ad esaurimento. L’acqua è limitata e può esaurirsi se usata
in maniera non sostenibile. Nell’uso non sostenibile rientra il prelevarne dall’ecosistema più
di quanto la natura possa rifonderne e il consumare più della propria legittima quota, dati i
diritti degli altri a una giusta parte.
6. L’acqua deve essere conservata.
7. L’acqua è un bene comune. Non è un’invenzione umana. On può essere confinata e non ha
confini. E’ per natura un bene comune. Non può essere posseduta come proprietà privata e
venduta come merce.
8. Nessuno ha il diritto di distruggerla.nessuno ha il diritto di impiegare in eccesso, abusare,
sprecare o inquinare i sistemi di circolazione dell’acqua. I permessi di inquinamento
commerciabili violano il principio dell’uso equo sostenibile.
9. L’acqua non è sostituibile .E’ per sua natura diversa da qualsiasi altra risorsa. Non può
essere trattata come merce.
La democrazia non è semplicemente un rituale elettorale ma il potere delle persone di
forgiare il proprio destino, determinare in che modo le loro risorse naturali debbano
essere possedute e utilizzate, come la loro sete vada placata, come il loro cibo vada
prodotto e distribuito, quali sistemi sanitari e di istruzione debbano avere261.
Come disse una volta Ghandi “La Terra ha abbastanza per la necessità di tutti, ma non
per l’avidità di pochi”. L’acqua ci connette tutti e da essa possiamo imparare il
cammino della pace e della libertà.
260
261
V. Shiva, op. cit., pag. 49-50
Shiva Vandana, Le Guerre dell’Acqua, cit., pag. 15
100
Quinto Capitolo
La sacralità dell’Acqua
A chi appartiene l’acqua? E’ proprietà privata o bene pubblico? Quali diritti hanno o
dovrebbero avere le persone? Quali sono i diritti dello stato? Quali quelli delle imprese
e degli interessi commerciali?
Oggi ci troviamo davanti a una crisi planetaria che minaccia di aggravarsi nei prossimi
decenni. Nuove iniziative ridefiniscono i diritti sull’acqua, l’economia globalizzata sta
cambiando la definizione di acqua da bene pubblico a proprietà privata, una merce che
si può estrarre e commerciare liberamente. L’ordine economico globale chiede la
rimozione di tutti i vincoli e le normative sull’uso dell’acqua e l’istituzione di un
mercato di questo bene. Coloro che sostengono il libero commercio sono coloro che
vedono come alternativa alla proprietà statale la proprietà privata.
Ma l’acqua più di qualsiasi altra risorsa, deve rimanere un bene pubblico e necessita di
una gestione comune.
Testi antichi come le Istitutiones di Giustiniano indicano che l’acqua e altre fonti
naturali sono beni pubblici: “ per legge di natura questi elementi sono comuni a tutta
l’umanità: l’aria, l’acqua dolce, il mare, e quindi le sponde del mare”262. In paesi come
l’India lo spazio, l’aria l’acqua e l’energia sono tradizionalmente considerati esterni ai
rapporti di proprietà. Nelle tradizioni islamiche la Sharia, che originariamente
connotava il “cammino verso l’acqua”, fornisce la base fondamentale per il diritto
all’acqua. Gli stessi Stati Uniti hanno avuto molti sostenitori dell’acqua come bene
comune. “L’acqua è un elemento mobile itinerante, e deve pertanto continuare a essere
un bene comune per legge di natura”, scriveva William Blackstone, “così che io ossa
averne solo una proprietà di carattere temporaneo, transitorio, usufruttuario.”263
Le nuove tecnologie stanno soppiantando i sistemi di autogestione, le strutture
democratiche di controllo da parte delle popolazioni si deteriorano e il loro ruolo nella
conservazione si riduce. Con la globalizzazione e la privatizzazione delle risorse idriche
si rafforza il tentativo di soppiantare la proprietà collettiva con quella delle grandi
aziende.
Il fatto che la radice del termine urdu, abadi, che significa insediamento umano, sia ab,
acqua, riflette lo sviluppo degli insediamenti umani e civiltà lungo i corsi d’acqua. La
dottrina del diritto ripario, il diritto naturale all’uso dell’acqua da parte degli abitanti che
fanno capo per il sostentamento a un determinato sistema idrico, soprattutto un sistema
fluviale, nasce anch’essa da questo concetto di ab.
I diritti all’acqua non nascono con lo stato, ma scaturiscono da un determinato contesto
ecologico dell’esistenza umana. In quanto diritti naturali, quelli sull’acqua sono diritti di
usufrutto, l’acqua può essere utilizzata ma non posseduta. Gli esseri umani hanno diritto
alla vita e alle risorse, perciò anche all’acqua. Il suo essere indispensabile alla vita è il
motivo per cui, secondo le leggi consuetudinarie, il diritto ad accedervi è stato accettato
come un fatto naturale e sociale.
I diritti ripari su cui si basano i concetti di diritto usufruttuario, esistono da sempre,
come per esempio in India il canale sul Kaveri presso il fiume Ullar risale a mille anni
fa ed è ritenuto la più antica struttura idraulica di controllo del flusso di uno dei fiumi
indiani. Nel Maharashtra le strutture di conservazione erano note con il nome di
bandhara. Anche i sistemi ahar e pyne di Bhiar, rappresentano l’evoluzione di un
concetto ripario.
262
263
Shiva Vandana, op. cit., pag. 33
Ivi, pag. 34
101
Nel nuovo millennio, l’importanza dell’acqua come risorsa scarsa è emersa come mai
prima. La rapida espansione internazionale e le iniziative nazionali sull’acqua, incluso il
costituirsi del Forum Mondiale sull’acqua, riflette una crescente ricognizione che
amministrare, terra e biomassa, sta portando a un cambiamento critico per il futuro della
crescita economica e della sostenibilità ecologica.
Se vivere è un diritto sacro lo è anche quello di avere a disposizione l’acqua. Sacralità
dell’acqua intesa come qualcosa a cui noi diamo un valore. Come ho analizzato nel
primo capitolo, sacro è tutto ciò che a cui noi diamo un valore. Valore termine che viene
dal latino valere e significa “ essere, forte, valido” Nelle comunità in cui l’acqua è sacra
il suo ruolo si fonda sul ruolo e la funzione di forza vitale per animali, piante e
ambiente. La mercificazione riduce il suo valore esclusivamente a quello commerciale.
L’idea di assegnare valori di mercato a tutte le risorse come soluzioni per risolvere e
crisi ecologiche è un po’ come offrire la malattia come cura. Oggi ogni valore è
sinonimo di valore commerciale, mentre la portata spirituale, ecologica, culturale e
sociale delle risorse viene cancellata.
La crisi idrica come dice V. Shiva scaturisce dalla spaccatura creatasi
nell’identificazione del valore con il processo monetario. A volte le risorse hanno un
valore altissimo pur non avendo prezzo. Per garantire la protezione di risorse vitali è
necessario il recupero del sacro e del concetto di bene comune, fenomeno che pian
piano riacquista il suo valore soprattutto in paesi come l’India. Perché lo Stato in fondo
non può costringere i devoti a venerare il mercato dell’acqua.
Sono proprio i miti le leggende, la devozione e la cultura della celebrazione a
permetterci di salvare e spartire l’acqua.
Pensare la storia dell’acqua significa avere senso e memoria di come l’umanità abbia
saputo rapportarsi al bene suo più prezioso, considerarlo, rispettarlo. Un nuovo
sentimento dell’acqua, che oggi appare necessario, non può che ripartire da qui: dalla
necessità di ricordare che noi siamo anche luogo, corpo e acqua, che navighiamo in un
più vasto mondo di responsabilità e solidarietà condivise, e che resteremo tali fino a
quando sapremo garantire a tutti gli altri le nostre stesse responsabilità.
Forse non ci sono déi e demoni che, come nella mitologia indiana lottavano per avere la
brocca con l’acqua primordiale, ma ci siamo noi esseri umani, responsabili che l’acqua
di quella brocca, l’acqua della vita, venga salvaguardata e mantenuta sacra.
102
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