La Cecchina ossia La buona figliola

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La Cecchina ossia La buona figliola
La Cecchina ossia La buona figliola
Opera giocosa in tre atti di Carlo Goldoni
Musica di Niccolò Piccinni
PERSONAGGI
Cecchina
Il Marchese della Conchiglia
La Marchesa
Mengotto
Sandrina
Il Cavaliere Armidoro
Paoluccia
Tagliaferro
Maestro concertatore e Direttore d’orchestra
Stefano Montanari
Orchestra del Bergamo Musica Festival
Regia Francesco Bellotto
Regista assistente Luigi Barilone
Scene Massimo Checchetto
Costumi Carlos Tieppo
Luci Renato Lecchi
Nuova Produzione Bergamo Musica Festival Gaetano Donizetti
Allestimento Fondazione Teatro La Fenice
FONDAZIONE DONIZETTI
C.F. 95056160161 P.IVA 03329820165
Piazza Cavour, 15 – 24121 Bergamo (I)
tel 035.244483 – fax 035.4160685 – e-mail [email protected]
Trama dell’opera
La Cecchina ossia la buona figliola
di Niccolò Piccinni (1728-1800)
libretto di Carlo Goldoni, dal romanzo Pamela, or Virtue Rewarded di Samuel Richardson
Atto primo. In un «giardino delizioso». Cecchina, che lamenta il suo stato di trovatella, è costretta
a rifiutare le profferte amorose del rozzo contadino Mengotto. In verità la ragazza è innamorata del
marchese della Conchiglia, ma sia il carattere sia la diversa collocazione sociale le impediscono di
rivelare questa segreta passione. Incautamente, il marchese fa sapere alla cameriera Sandrina di
corrispondere l’amore di Cecchina: per invidia la ragazza ne informa il cavaliere Armidoro, l’altero
e aristocratico spasimante della marchesa Lucinda, che si dimostra immediatamente preoccupato
per questo attentato alla nobiltà del sangue. Solleva dunque la questione conversando con la
marchesa, che, incitata dall’invidiosa Paolina (“Che superbia maledetta”), convoca Cecchina per
licenziarla. L’ira della marchesa (“Furie di donna irata”) e la disperazione di Cecchina (“Una povera
ragazza”) conducono al finale primo (“Vò cercando e non ritrovo”), con cui si chiude l’atto.
Atto secondo. Mentre il marchese cerca invano Cecchina, questa è condotta via da una scorta di
uomini armati. Il corteo è però assalito da Mengotto con l’aiuto di alcuni cacciatori: Cecchina,
liberata, viene presa in consegna dal marchese, mentre il povero Mengotto finisce per incontrare
un soldato tedesco, Tagliaferro, giunto in Italia per rintracciare una ragazza. Intanto le due serve
invidiose riferiscono l’accaduto alla marchesa Lucinda e al cavaliere Armidoro (“Per il buco della
chiave”), con conseguente turbamento della marchesa, ma anche di Cecchina. Lo scioglimento
della vicenda si sta però avvicinando: il marchese incontra infatti a sua volta Tagliaferro, che gli
narra di come il suo signore, un barone tedesco, abbia abbandonato molti anni prima una figlia in
tenera età in Italia, durante una campagna militare. Dalle notizie ricevute è chiaro che si tratta di
Cecchina, rivelatasi dunque nobile: nulla può più opporsi alle sue nozze col marchese. I due
uomini si recano senza indugi a cercare la ragazza, che si è addormentata, stanca per le tante
peripezie, in un «recinto di pergolati e piante fruttifere» (“Vieni, il mio seno”), sognando la figura a
lei ignota del padre. Durante una breve assenza del marchese, le solite serve cattive fingono di
aver trovato Cecchina abbracciata a Tagliaferro: inutilmente però, visto che il marchese sa bene
come stanno le cose.
Atto terzo. Si comincia con un’ulteriore calunnia di Paolina, che si è precipitata dalla marchesa
Lucinda e dal suo spasimante. La delazione viene però interrotta dall’arrivo del marchese, che
annunzia le proprie future nozze con una baronessa tedesca, per la gioia del cavaliere Armidoro,
finalmente rasserenato. Sandrina torna all’attacco, ma ormai invano: il marchese rivela infatti a
Cecchina la sua vera identità, annunciandole la fine dei suoi tormenti (“La baronessa amabile”). La
notizia viene diffusa tra lo stupore dei protagonisti, e le nozze vengono finalmente celebrate,
mentre Cecchina perdona benignamente le sue detrattrici (finale terzo, “Porgetemi la destra”).
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Note di regia
Nel 2007 ho messo in scena per la prima volta Cecchina o sia La buona figliola di Goldoni
nella musicazione di Niccolò Piccinni. Lo spettacolo nasceva come progetto didattico del
Teatro La Fenice di Venezia per le celebrazioni del terzo centenario dalla nascita del
grande drammaturgo. In quell’occasione, studiando il testo e le sue principali fonti (il
romanzo di Richardson e la commedia dello stesso Goldoni), mi sono reso conto che il
Settecento degl’intrighi, dei travestimenti, delle scaltrezze e degl’ingegni illuministi -così
fortemente presenti in tanti altri libretti del genio veneziano- nell’opera era assente. Di più:
nel riversamento da Richardson a Goldoni Pamela diviene Cecchina, e col cambiar nome
muta pure il proprio stato sociale. Per lo scrittore inglese la giovane giardiniera era
un’umile trovatella senz’arte né parte che sposava un nobilissimo signore. In Goldoni
invece il Marchese s’innamora della serva Cecchina ma prima di decidere di prenderla in
moglie scopre che Cecchina è Mariandel, una baronessa.
Il portato politico e sociale della trama di Richardson sembra dunque esser stato
ricondotto dall’autore italiano ad un classico espediente di equivoci. Lo scandaloso
disordine sociale del romanzo inglese torna ad essere un rassicurante ordine di coppie
operistiche. Nel libretto la gerarchia piramidale viene infatti recuperata attraverso un
quadruplo abbinamento di casta: i due nobili Cavaliere e Marchese (cantanti seri); fra i due
nobili Marchese e Cecchina (cantanti di mezzo carattere); fra i due camerieri Mengotto e
Sandrina (cantanti di carattere buffo); fra i due servi Tagliaferro e Paoluccia (cantanti di
carattere buffo caricato).
Quel che sembrerebbe uscire dalla sfera razionale rientra però attraverso la sfera
emotiva: il trattamento sentimentale di Cecchina, assecondato dalla splendida
musicazione di Piccinni, assume un’enfasi così marcata e patetica da consegnarci un
ritratto vibrante, moderno, credibile e complesso della protagonista. Insomma, senza
dichiararlo, Goldoni rende credibile l’innamoramento del Marchese per l’umile Cecchina
ricorrendo alla straordinaria potenza e seduttività del sentimentalismo della giovane. In
questo senso, che poi Cecchina sia effettivamente nobile è – tutto sommato – un dettaglio:
rassicurante forse per la censura del 1760, ma de facto poco influente sul processo di
educazione sentimentale del facoltoso padrone di casa.
Credo sia questo il motivo profondo che portò l’opera, in breve tempo, ad essere fra
le più eseguite ed amate nei teatri di tutta Europa.
Per questa ragione ho deciso di enfatizzare il nucleo psicologico della trama
portandolo in un contesto visivo a noi più immediato: volevo denunciarne la novità
separandola dalla contingenza di quell’epoca. Ho lavorato sul soggetto per utilizzare i
riferimenti figurativi, gestuali e caratteriali che ne evidenziassero il carattere universale, in
qualche modo atemporale.
Il mondo al quale ho pensato è quello – all’incirca – degli anni Venti del Novecento.
Il perché è presto detto: è l’ultima epoca a noi nota in cui gli ordinamenti sociali rispondono
ancora agli stessi meccanismi utilizzati da Goldoni. A Londra, come a Parigi, a Berlino o
nel Nuovo Mondo, in quegli anni i Signori vivevano circondati dalle loro piccole corti
formate da servi e servette. Medesime le categorie dei rapporti: matrimoni che servivano a
conservare e proteggere il censo, coercizione dei sottoposti, formalità esasperate,
abbigliamento per appartenenza sociale, industriosità dei lavoranti, ecc. Per fare un
esempio, progettavo una rete d’interrelazioni da commedia simile a quella descritta in
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Gosford Park di Robert Altman. Tra le due guerre l’ordinamento del mondo occidentale
cambierà irreversibilmente: la marmellata sociale voluta dai totalitarismi e dai capitalismi
(marmellata che sopravvive ancor oggi ad essi) rende per noi impossibile una lettura della
trama nel senso preciso voluto da Richardson e Goldoni. Viceversa, citare l’epigonìa – a
noi familiare – di quel mondo ci aiuta a riconoscerne i meccanismi profondi. Se ben
pensiamo, lo spettatore del 2011 già ha visto quel milieu attraverso la cinematografia: il
mondo di Charlie Chaplin, di Buster Keaton o Harold Lloyd appartiene precisamente alla
nostra cultura narrativa e pure si riferisce ad una società che molto ha da spartire col
Settecento Larmoyant della Cecchina. In somma, immaginando una giardiniera mi è
venuta in mente la fioraia innamorata in Luci della città; pensando ad una orfanella
riconosciuta come nobile e ricca non ho potuto evitare di ricordarmi de Il monello; ridendo
della stupenda caratterizzazione del tedesco maccheronico di Tagliaferro il pensiero è
arrivato alla tragicommedia de Il grande dittatore.
Ma Chaplin è stato semplicemente l’inizio. Ho sepolto queste suggestioni sotto il
progetto di regìa, perché volevo si trattasse di una tinta piuttosto che di un percorso
narrativo: troppo prepotente e didascalico attuare un rispecchiamento automatico
pellicola/scena di modelli cinematografici così precisi; troppo forti e noti quei film per
sperare che -in qualche modo resuscitati nel boccascena- non strangolassero l’eleganza e
l’originalità dell’opera di Goldoni/Piccinni. La tinta dei film prodotti da Hal Roach è
esattamente ciò su cui ho chiesto di lavorare al geniale scenografo Massimo Checchetto
che ha messo in campo un impianto monocromatico allusivo delle pellicole mute di
quell’epoca, così come i costumi di Carlos Tieppo. Il quartiere d’una metropoli è il set in cui
abbiamo calato la commedia, con i simboli del suo potere: le armi, le auto, la tecnologia
positivista, lo skyline. La giardiniera diventa fioraia. Il Marchese scopre la poesia e
conosce l’amore attraverso l’ottica di una macchina da presa. Il suo percorso racconta la
creazione di un sogno cinematografico che diventa vita reale.
Francesco Bellotto
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