INDICE

Transcript

INDICE
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 1-2
INDICE
Editoriale
Editorial
M. Prearo ……..…………………………………………………………….
ITTIOPATOLOGIA
Pubblicazione quadrimestrale
Rivista ufficiale della
Società Italiana di Patologia Ittica
Direttore responsabile:
Prof.ssa Maria Letizia Fioravanti
Responsabile scientifico:
Dott. Marino Prearo
c/o Laboratorio Specialistico di
Ittiopatologia, Istituto Zooprofilattico
Sperimentale del Piemonte, Liguria e
Valle d’Aosta
Via Bologna, 148
10154 Torino
Tel.: 011-2686251
Fax: 011-2474458
E-mail: [email protected]
Comitato scientifico:
Prof.ssa Maria Letizia Fioravanti
Prof. Francesco Quaglio
Prof. Pietro Giorgio Tiscar
Segreteria S.I.P.I.:
Dott. Marino Prearo
Istituto Zooprofilattico Sperimentale
del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta
Via Bologna, 148 – 10154 Torino
Tel.: 011-2686251
Fax: 011-2474458
E-mail: [email protected]
Autorizzazione:
Tribunale di Udine n° 10 del 27 marzo
1990
3
pag.
5
PREMIO TESI “S.I.P.I. 2011”
Indagine sulle problematiche sanitarie di Haliotis
tuberculata in allevamento con focus particolare sulle
infestazioni da policheti perforanti
Survey on health problems of cultured Haliotis tuberculata
with a particular focus on infestations by bring polychaetes
E.A.V. Burioli, M.L. Fioravanti, O. Mordenti, S. Huchette ……..…………
PREMIO TESI “S.I.P.I. 2011”
Aggiornamento sulla diffusione della plerocercosi da
Diphyllobothrium latum in pesci lacustri dell’Italia
settentrionale e rischi per il consumatore
Update on diffusion of Diphyllobothrium latum
plerocercosis in lake fish from Northern Italy and risks for
the consumer
S. Bianchini, A. Gustinelli, M Caffara, M. Prearo, M.L. Fioravanti …….…
PREMIO TESI “S.I.P.I. 2011”
Effetto di diete integrate con carvacrolo sulla risposta
immunitaria aspecifica e sulla resistenza a Listonella
anguillarum del branzino (Dicentrarchus labrax)
Effect of carvacrol supplemented diets on aspecific immune
response and resistance to Listonella anguillarum of
European sea bass (Dicentrarchus labrax)
D. Assante, C. Bulfon, D. Volpatti ……………………………...…….……
pag. 19
pag. 33
PREMIO TESI “S.I.P.I. 2011”
Indagine sulla parassitofauna di anguille selvatiche e
d’allevamento
Survey on parasitofauna of wild and farmed eels
M. Leone, A. Gustinelli, M.L. Fioravanti ..………………………………...
pag. 51
Validazione di una multiplex PCR per l’identificazione
di Vibrio alginolyticus e Vibrio parahaemolyticus e
applicazione allo screening di isolati ittici
Validation of a multiplex PCR for Vibrio alginolyticus and
Vibrio parahaemolyticus identification and use for the
screening of fish isolates
Codice ISSN:
ISSN 2281-8189
F. Zuccon, S. Colussi, S. Bertuzzi, L. Serracca, T. Scanzio, M. Prearo,
P.L. Acutis ………………………………………………………………...
Volume 9, Numero 1-2
SEMINARIO “GARRA DAY”
Risultati di prove di riproduzione artificiale di Garra
rufa
Results of artificial reproduction trials of Garra rufa
Foto di copertina:
Prostomio di Spionidae.
Foto da Burioli et al., 2012.
pag.
G. Bastone, A. Di Biase, O. Mordenti ..………………………………...
1
pag. 63
pag. 73
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 1-2
Referees:
Abete Maria Cesarina
Agnetti Francesco
Beraldo Paola
Bossù Teresa
Bovo Giuseppe
Bozzetta Elena
Caffara Monica
Ciulli Sara
Colorni Angelo
D’Amelio Stefano
Di Guardo Giovanni
Dörr Ambrosius Josef Martin
Elia Antonia Concetta
Figueras Antonio
Fioravanti Maria Letizia
Florio Daniela
Galeotti Marco
Galuppi Roberta
Ghittino Claudio
Guandalini Emilio
Gustinelli Andrea
Manfrin Amedeo
Marcer Federica
Marino Giovanna
Mattiucci Simonetta
Merella Paolo
Mutinelli Franco
Prearo Marino
Quaglio Francesco
Regoli Francesco
Romalde Jesus Lopez
Rubini Silva
Salati Fulvio
Scapigliati Giuseppe
Tampieri Maria Paola
Tiscar Pietro Giorgio
Volpatti Donatella
Zaghini Anna
Zanoni Renato Giulio
2
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 3-4
Editoriale
Editorial
Marino Prearo
Responsabile Scientifico della Rivista ITTIOPATOLOGIA
______________________________
Cari Soci,
ce l’abbiamo fatta! È finalmente nata la rivista on-line. Il parto è stato lungo, faticoso,
travagliato, oserei dire distocico, ma ci siamo riusciti.
…. con il consueto ritardo, ma esce!
Come forse avrete potuto osservare, la Società Italiana di Patologia Ittica cambia look
per venire incontro a tutte le esigenze dei soci e soprattutto per tenere il passo con i
tempi moderni (Monti & Spending review docet …); anche il sito ha cambiato veste
grafica e nel breve termine ci saranno ancora dei miglioramenti per cercare di far
sopravvivere in questi tempi oscuri e tempestosi la nostra Società scientifica e la nostra
Rivista; uso sempre il termine “nostra” perché ritengo che questa associazione e il suo
organo editoriale siano una cosa comune che tutti noi dovremmo far sopravvivere e
crescere nel tempo.
Il Consiglio Direttivo attualmente in carica, il Direttore Responsabile della rivista e il
sottoscritto abbiamo cercato in tutti i modi di rendere la società e la rivista
ITTIOPATOLOGIA maggiormente fruibile ai nostri soci, incappando in numerose
peripezie e difficoltà che hanno spesso minato la buona volontà, la pazienza e la
perseveranza di chi ci lavora del tutto gratuitamente. Nonostante tutto ci siamo riusciti e
con una punta di orgoglio voglio ringraziare il Presidente, Claudio Ghittino ed il Vice
Presidente, Paola Beraldo, assieme a tutto il Consiglio Direttivo, per l’impulso e il
sostegno ricevuto e il Direttore Responsabile, Maria Letizia Fioravanti, che ha
infaticabilmente appoggiato, coordinato e profuso energie perché questo progetto
potesse nascere. Ora, utilizzando una frase ampiamente usufruita dal sottoscritto nei
passati editoriali che però esplicita esattamente il mio pensiero, ma soprattutto le mie
aspettative e le mie speranze, tocca a voi far crescere e vivere nel migliore dei modi la
S.I.P.I. e ITTIOPATOLOGIA. Forse il sogno dei decani della Società, quando hanno fatto
nascere questa rivista, ora si può realmente avverare.
Tornando ai cambiamenti, mi sembra opportuno in questo frangente parlare delle
novità relative alla rivista on-line; la veste grafica resta pressappoco identica alla
precedente (si è pensato di aumentare il carattere per una maggiore fruibilità a video);
verranno però implementate le tipologie di lavori pubblicati, cercando di venire incontro
maggiormente alle esigenze dei soci e di chi può fruire della Rivista; oltre che i lavori
scientifici e le comunicazioni brevi che subiranno il consueto processo di peer review, le
3
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 3-4
monografie, le tesi premiate e le note tecniche, si è pensato di inserire anche delle
schede tecniche e casi clinici che vorrete sottoporre all’attenzione dei soci, con modalità
ancora da individuare.
Nel giro di pochi mesi saranno accessibili in rete tutti gli articoli pubblicati nella
Rivista ITTIOPATOLOGIA, oltre che quelli nel vecchio Bollettino; resterà visionabile
solamente dai soci in regola con il pagamento delle quote societarie, l’ultimo anno della
Rivista, a cui si potrà accedere solamente mediante apposita password, con un
meccanismo che vi verrà sottoposto a breve dalla Segreteria della Società.
Pertanto, questo numero che mi accingo a pubblicare rappresenta il primo passo verso
questo totale rinnovamento, che nel giro di pochi mesi si compirà producendo, spero, un
miglioramento del prodotto, una sua maggiore espansione, una maggiore regolarità e
una riduzione dei costi di gestione, di pubblicazione e di spedizione dell’ormai obsoleto
formato cartaceo.
Il Responsabile Scientifico
di ITTIOPATOLOGIA
Marino Prearo
4
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18
PREMIO TESI “S.I.P.I. 2011”
Indagine sulle problematiche sanitarie di Haliotis tuberculata
in allevamento con focus particolare sulle infestazioni da
policheti perforanti #
Survey on health problems of cultured Haliotis tuberculata with
a particular focus on infestations by boring polychaetes #
Erika Astrid Virginie Burioli 1*, Maria Letizia Fioravanti 2,
Oliviero Mordenti 2, Sylvain Huchette 3
1
Corso di Laurea in Acquacoltura ed Ittiopatologia, Facoltà di Medicina Veterinaria, Alma Mater Studiorum
Università di Bologna; 2 Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Alma Mater Studiorum Università di
Bologna; 3 France Haliotis SCEA, Lilia Kérazan, 29880 Plouguerneau, France.
_______________________________
RIASSUNTO – Recentemente l’allevamento del mollusco gasteropode Haliotis tuberculata, abalone europeo, è stato
intrapreso in Irlanda ed in Francia. In generale, le acque fredde proteggono questo mollusco dall’insorgenza di
malattie batteriche e parassitarie, ma la colonizzazione della conchiglia da parte di policheti perforanti rappresenta un
importante problema in grado di causare una riduzione del valore commerciale e degli indici di crescita. Nel corso di
questo studio, condotto in Bretagna su animali allevati con differenti tecniche, si è dimostrato che l’età ed il sistema
d’allevamento sono importanti fattori che influenzano l’intensità della infestazione. I policheti raccolti dagli abaloni
appartenevano a due diverse famiglie: Spionidae, come già descritto in precedenti studi (Clavier, 1992) e Sabellidae,
qui riportata per la prima volta nell’abalone europeo. Gli studi morfologici hanno indicato che i policheti Spionidae
appartenevano a diverse specie dei generi Polydora/Boccardia. Sebbene non sia stato possibile condurre mediante
osservazione morfologica l’identificazione tassonomica dei Sabellidae a livello di genere e specie, almeno due
distinte specie erano presenti. La prevalenza e l’intensità dei Sabellidi era molto bassa, ma un solo esemplare era in
grado di causare lesioni della conchiglia molto gravi. I risultati di questo studio hanno mostrato come la prevalenza
sia positivamente correlata all’età dell’ospite e come il sistema d’allevamento possa influenzare fortemente l’intensità
d’infestazione dei policheti perforanti: molto bassa negli allevamenti a terra, dove l’acqua viene filtrata e le procedure
igieniche vengono applicate routinariamente alle vasche e più elevata in maricoltura, in particolare se condotta in
policoltura ed in aree a basso ricambio idrico, con crescita rallentata e performance produttive ridotte.
SUMMARY – In recent years, shellfish farming of Haliotis tuberculata, the European abalone, has started in Ireland
and France. In general, cold waters protect the gastropod from bacterial and parasitic diseases but the shell
colonization by boring polychaetes is an important problem causing a reduction of marketability and growth rate.
During this study conducted in Brittany on animals reared with different culture techniques we showed that age and
farming methods are determinant factors that influence the intensity of infestation. The polychaetes collected from
abalone shells belonged to two different families: Spionidae, as referred in previous works (Clavier, 1992) and
Sabellidae, reported for the first time in European abalone. Morphological studies indicated that Spionidae
polychaetes belonged to different species of the genera Polydora/Boccardia. The taxonomic identification of
Sabellidae at genus/species level was not reached by morphological exam, but at least two distinct species seemed to
be present. Prevalence and intensity of infestation by Sabellidae were low but a single specimen was able to cause
very heavy lesions of the shell. The results of this study showed that prevalence is positively linked to host age and
that the farming system can strongly influence the infection intensity of boring polychaetes: very low in in-land farms,
where water is filtered and hygienic procedures are routinely applied to tanks, and higher in mariculture, in
particular in polyculture and areas with a low water turnover, with slow growth and performance indexes reduction.
#
Sintesi della tesi: "Haliotis tuberculata: allevamento e problematiche sanitarie”.
Key words: Haliotis tuberculata; Farming methods; Boring polychaetes; Spionidae; Sabellidae.
_______________________________
* Corresponding author: c/o Corso di Laurea in Acquacoltura ed Ittiopatologia, Facoltà di Medicina Veterinaria,
Alma Mater Studiorum Università di Bologna; E-mail: [email protected].
5
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18
INTRODUZIONE
Per contrastare la forte pressione di pesca sugli stock selvatici, il Giappone è stato il
pioniere dell’acquacoltura dell’abalone ed oggi la produzione mondiale ammonta a circa
40.000 tonnellate, provenienti per il 95% da attività d’acquacoltura e principalmente da
allevamenti intensivi siti in Cina.
Sebbene l’abalone fosse considerato in passato un alimento di lusso, negli ultimi anni
sono nati diversi allevamenti anche in Europa, principalmente in Francia ed Irlanda
dove viene prodotta la specie europea, Haliotis tuberculata.
Uno dei principali problemi nell’allevamento degli abaloni è rappresentato dalle
infestazioni da policheti perforanti che non causano una mortalità diretta, ma
interferiscono con la crescita, facilitano la predazione e danneggiano fortemente il
valore commerciale del prodotto.
Per questi motivi, la società France Haliotis di Plouguerneau (Francia), in Bretagna
nord occidentale, ha promosso un’indagine volta a determinare se l’età degli abaloni e la
tipologia ed il sito d’allevamento rappresentino fattori in grado di influenzare la
prevalenza e l’intensità d’infestazione dei policheti. Nel corso di questa indagine si è
voluto inoltre studiare l’appartenenza tassonomica degli esemplari di policheti
riscontrati e condurre esami istopatologici al fine di effettuare osservazioni più generali
sullo stato sanitario degli abaloni allevati.
Haliotis tuberculata
Haliotis tuberculata (Linnaeus, 1758) è presente esclusivamente in Europa e Nord
Africa su tutti i tratti di litorale roccioso da 0 a -30 m. Questi gasteropodi presentano
caratteri molto primitivi, la conchiglia è poco spiralizzata con l’ultima spira molto
ampia, dotata di 3 - 9 pori respiratori ed un ipostraco madreperlaceo molto spesso; gli
esemplari più grandi possono raggiungere 135,5 mm. Il piede è molto sviluppato in
quanto rappresenta fino al 40% del peso totale dell’animale e costituisce la parte edibile.
E’ un animale gonocorico. La maturità sessuale viene raggiunta tra i 3 ed i 5 anni d’età.
In Bretagna, il periodo di deposizione si estende da giugno ad agosto.
La crescita è molto lenta, in media 2,5 cm/anno, e varia da un individuo all’altro,
continuando per tutta la vita dell’animale che può durare oltre 10 anni, ma rallentando
notevolmente dopo i 6 anni d’età. La temperatura è un fattore importante per la crescita,
con optimum intorno a 18°C (McBride & Conte, 2001).
Allevamento di Haliotis tuberculata
Nel 2008 la produzione europea di abaloni, rappresentata esclusivamente dalla specie
Haliotis tuberculata, ammontava a 70 tonnellate, di cui 25 tonnellate provenienti da
attività d’acquacoltura. Attualmente le imprese europee che gestiscono tutto il ciclo di
produzione sono quattro. L’ingrasso può essere eseguito in maricoltura o in allevamenti
a terra. In maricoltura, i giovanili di circa un anno provenienti da nursery a terra sono
allevati in strutture in mare per un ciclo d’ingrasso che dura da tre a quattro anni.
In Bretagna (Francia) coesistono tre tecniche d’ingrasso. La società France Haliotis,
che ha incoraggiato questa indagine, utilizza gabbie in plastica di 0,5 m³ supportate da
filari. Le gabbie si trovano a 3-11 metri dalla superficie a seconda della marea e del
coefficiente idrodinamico. All’interno, gli abaloni sono stabulati in coppette usate in
6
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18
genere per la captazione delle larve di ostriche e la densità è abbastanza ridotta, in
media 10-15 kg/m³. Le gabbie sono rifornite di alghe fresche ogni due settimane. Nelle
concessioni, il forte idrodinamismo dovuto alle maree ed alle correnti garantisce sempre
un’acqua di buona qualità.
Un’altra tecnica consiste nell’utilizzare, per la fase d’ingrasso in mare, delle sacche di
rete plastificata con maglie da 0,8 cm ponendo gli abaloni in policoltura con ostriche e
Littorina littorea a bassa densità di allevamento. Le sacche, all’interno delle quali sono
disposte coppette identiche a quelle usate nelle gabbie, sono disposte su speciali tavole
poste a 0,5 m dal fondale. L’alimentazione anche in questo caso è costituita da
macroalghe fresche. Le concessioni si trovano in una zona riparata dalle correnti e sotto
una colonna d’acqua di 0-6 metri.
Infine, l’allevamento a terra permette un management più regolare delle condizioni
d’allevamento e una somministrazione più facile del cibo: nella zona in studio si tratta
di piccole unità di produzione, con densità d’allevamento media (21 kg/m³) ed
alimentazione artificiale.
Malattie di Haliotis tuberculata
Anche se le acque relativamente fredde del Nord Atlantico limitano l’insorgenza di
malattie, gli abaloni possono essere colpiti da diversi agenti patogeni. Alcune malattie
degli aliotidi sono incluse nella lista della World Organisation for Animal Health (OIE):
infezioni da Perkinsus olseni, da Xenohaliotis californiensis e da Herpesvirus. Nessuno
di questi agenti rientra nella lista di malattie inserita nella legislazione comunitaria
(Direttiva 2006/88/CE).
In H. tuberculata gli episodi di mortalità in allevamento sono stati attribuiti quasi
sempre a Vibrio harveyi (sin. V. carchariae) (Nicolas et al., 2002). I sintomi della
vibriosi (Blister Disease) sono rappresentati principalmente dalla presenza di macchie
chiare a livello degli organi e, soprattutto, di pustole bianche sul piede. Possono anche
essere presenti dei rigonfiamenti a livello del pericardio e l’emolinfa assume un colore
giallo-marrone. La mortalità può raggiungere il 60% del lotto colpito. Gli episodi
avvengono in genere tra settembre ed ottobre. V. harveyi rappresenta il patogeno più
temibile nell’acquacoltura di H. tuberculata.
La Withering Syndrome-Rickettsia Like Procaryote (WS-RLP) (Balsiero et al., 2006) è
causata da una Rickettsia, Candidatus Xenohaliotis californiensis. La malattia si
manifesta con atrofia del tessuto muscolare, seguita dalla morte dell’animale colpito. A
livello istologico si osserva l’inclusione del patogeno nelle cellule epiteliali, che
assumono una forma ovoidale di 17 x 55 μm. L’infezione si localizza principalmente
nella parte posteriore dell’esofago, nella ghiandola digestiva e nell’intestino.
Sono state inoltre descritte diverse malattie parassitarie sostenute da protozoi in abaloni,
ma nella specie H. tuberculata solo Haplosporidium montforti è stato rinvenuto in
diversi tessuti ed organi: connettivo, branchie, ghiandola digestiva e muscolo (Ford et
al., 2001; Balsiero et al., 2006). Alcune infestazioni da metacercarie di trematodi digenei
sono state inoltre descritte in H. tuberculata (Marino et al., 2005).
La conchiglia degli abaloni è spesso colonizzata da epibionti, ma in caso di presenza
di policheti perforanti e di infestazioni molto intense, lo stato sanitario e la crescita
dell’ospite possono essere compromessi. L’epibionte diventa allora un parassita. I
policheti sono vermi anellidi diffusi quasi esclusivamente in ambiente marino. Alcune
7
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18
specie sedentarie ricavano una galleria nei substrati calcarei (e quindi anche nelle
conchiglie dei molluschi) e si nutrono di particelle organiche in sospensione nell’acqua.
Sono state descritte diverse famiglie di policheti perforanti quali spionidi, terebellidi e
sabellidi. I caratteri tassonomici più evidenti per determinare la famiglia di appartenenza
sono rappresentati da: presenza di un paio di tentacoli scanalati e primi metameri dotati
di un paio di branchie - per gli spionidi; presenza di diversi tentacoli - per i terebellidi;
presenza di un “ventaglio” molto ramificato - per i sabellidi. I parapodi sono modificati:
il notopodio è atrofizzato e le setole ventrali formano degli uncini. I caratteri
tassonomici principali utilizzati per determinare il genere negli spionidi sono: la forma
delle setole e degli uncini, la forma della caruncola del protostomio, il numero delle
branchie, la forma del pigidio. Per i sabellidi, oltre ai caratteri appena elencati, si
considera anche la forma dei radioli.
MATERIALI E METODI
Campionamento
Nel mese di settembre 2010 sono stati condotti diversi campionamenti di soggetti di
Haliotis tuberculata nelle gabbie di maricoltura di France Haliotis (FH) (Plouguerneau,
Francia) al fine di rilevare i dati di prevalenza, intensità d’infestazione ed entità delle
lesioni causate da policheti perforanti in relazione all’età degli esemplari. Sono stati
prelevati in totale 53 esemplari appartenenti a 5 diversi cicli produttivi, dalla
generazione del 2005 a quella del 2009 (Tabella 1). Le gabbie da sottoporre al prelievo
sono state individuate in funzione dell’età e della densità degli animali contenuti,
sempre di almeno 10 kg/m³. Il campionamento è stato eseguito usando una
randomizzazione sistematica, con 1 individuo prelevato ogni 10. Per evitare che fattori
ambientali quali le correnti potessero influenzare il risultato, si è preferito selezionare
gabbie situate nella stessa area delle concessioni. Nello stesso periodo, per verificare se
esiste una correlazione tra tipo di allevamento e prevalenza/intensità d’infestazione,
sono stati raccolti campioni di individui della stessa età (nati nel 2006) da tre aziende
alioticole della zona caratterizzate da tipologie di allevamento diverse. Inoltre è stato
esaminato un campione di 8 abaloni selvatici con dimensioni >9 cm per i quali però non
è stato possibile determinare con esattezza l’età (Tabella 2).
N. Id. lotto
N. Id.
gabbia
Anno di
nascita
degli
individui
N. individui
campionati
Densità di
animali in
gabbia
F1
38
2008
13
10 kg/m³
F2
34
2007
8
10 kg/m³
F3
35
2006
8
10 kg/m³
F4
28
2005
12
10 kg/m³
F5
53
2009
12
10 kg/m³
Tabella 1 – Campionamento di abaloni dalle gabbie
di maricoltura.
Table 1 – Samplings of abalones from cages.
N. Id.
lotto
Luogo di
campionamento
Tipologia di
allevamento
N.
individui
campionati
G1-2
Ile de Groix
A terra
15
F3
Aber Wrac’h
Maricoltura/gabbie
8
A1
Aber Wrac’h
Maricoltura/sacche
retate in policoltura con ostriche
10
S1
Baia di Roscoff
Selvatici
8
Tabella 2 – Campionamento di abaloni da
diversi sistemi d’allevamento.
Table 2 – Samplings of abalones from different
farming systems.
8
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18
Nell’azienda in policoltura situata a tre km da FH sono stati prelevati anche 6
esemplari di Crassostrea gigas per poter paragonare l’epifauna presente nei soggetti di
questa specie con quella osservata in Haliotis. Durante il trasporto gli individui sono
stati mantenuti in acqua marina, posti in contenitori isotermici muniti di aeratore ed
esaminati entro le 24 ore successive.
Esami di laboratorio
Ogni individuo è stato privato della conchiglia e le parti molli del gasteropode sono
state poste in formalina tamponata al 10% dopo un’attenta osservazione volta a rilevare
la presenza di eventuali anomalie morfologiche e alterazioni patologiche. La conchiglia
veniva immersa in acqua marina ed immediatamente osservata allo stereomicroscopio.
I policheti, grazie ai loro tentacoli molto mobili, risultano facilmente rilevabili e per
ogni conchiglia ne è stato rilevato il numero, con due conte successive, e la famiglia di
appartenenza, determinabile dal tipo di appendici del capo, annotando la zona della
conchiglia colpita.
Il calcolo dei valori di prevalenza (N° animali parassitati/N° animali esaminati),
intensità d’infestazione (N° parassiti per ospite) ed intensità d’infestazione media (N°
totale parassiti/N° soggetti parassitati) è stato effettuato secondo le indicazioni di Bush
et al. (1997).
Ogni conchiglia è stata poi asciugata, marcata e fotografata per evidenziare le lesioni
macroscopiche ed alcune sono state sottoposte ad esame radiografico presso l’ex
Dipartimento Clinico Veterinario (ora Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie)
della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Bologna. Per poter isolare e
fissare i policheti ai fini di una loro successiva identificazione si è dovuto ricorrere
talvolta alla frantumazione della conchiglia. Gli esemplari di policheti vivi ed integri
sono stati fotografati ed in seguito fissati in alcool etilico 70%. In laboratorio sono stati
poi studiati alcuni caratteri tassonomici mediante osservazione di uncini, pigidio,
tentacoli, branchie e prostomio, previa chiarificazione in alcool glicerinato (1:1).
I risultati ottenuti sono stati sottoposti ad elaborazione statistica, ponendo particolare
attenzione alle prevalenze ed alle intensità di infestazione in relazione a sito di
prelievo/allevamento, età, sesso e taglia dell’ospite. Non sono stati inclusi
nell’elaborazione statistica gli 8 soggetti selvatici in quanto non era possibile
individuarne l’età esatta e non risultavano essere rappresentativi delle problematiche
derivanti dalle infestazioni da policheti nell’allevamento dell’abalone. Non sono stati
considerati anche 5 soggetti dell’allevamento a terra provenienti dall’Irlanda e con
pregressi problemi di mineralizzazione della conchiglia estranei alla parassitosi.
L’elaborazione statistica dei dati è stata condotta mediante analisi della varianza
(ANOVA), test del χ2, McNemar e test di Mann-Whitney; le valutazioni statistiche sono
state effettuate mediante l’utilizzo del programma statistico per PC SPSS13.0, mentre
per quanto concerne la significatività dei risultati ottenuti è stato assunto quale limite il
valore di probabilità a due code pari a 0,05 (P≤ 0,05).
9
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18
RISULTATI
In base alla rilevazione dei valori d’intensità d’infestazione nei lotti di abaloni di
diversa età (da 1 a 5 anni) prelevati presso la maricoltura di FH, si osserva un
incremento progressivo dell’intensità d’infestazione media nell’arco dei primi 4 anni ed
una leggera flessione nei soggetti di 5 anni di età (Grafico 1).
Grafico 1 – Intensità d'infestazione media di policheti perforanti in relazione all'età degli abaloni prelevati
presso France Haliotis.
Graphic 1 – Mean infection intensity of boring polychaetes with reference to age of Haliotis tuberculata from
France Haliotis.
L’elaborazione statistica ha evidenziato una prevalenza e un’intensità media
significativamente maggiori nei soggetti di taglie >20 grammi e 43 mm, con una buona
corrispondenza con l’andamento dei valori in base all’età, mentre non ha rilevato
differenze significative per quanto concerne il sesso.
L’indagine svolta invece nei diversi allevamenti è stata condotta su un totale di 91
soggetti. In Tabella 3 sono riportati i dati relativi alle percentuali di positività per
policheti evidenziate negli abaloni esaminati in relazione alla provenienza, con
indicazione dei valori di prevalenza relativi alla famiglia di appartenenza dei policheti
reperiti. Ai fini dell’elaborazione statistica, come già specificato in Materiali e Metodi,
non sono stati presi in considerazione 5 soggetti provenienti dall’estero e caratterizzati
da gravi problemi pregressi di demineralizzazione e gli 8 soggetti selvatici esaminati.
10
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18
Tipologia
sistema di
produzione
Numero
soggetti
Positivi x
policheti
%
Positivi x
Spionidi
%
Positivi x
Sabellidi
%
Coinfezione
%
A terra
20*
15
75
15
75
0
0
0
0
53
27
50,9
27
50,9
0
0
0
0
10
10
100
10
100
8
80
8
80
8*
91
8
60
100
65,9
8
56
100
61,5
4
16
50
17,6
4
12
50
13,1
FH
Maricoltura
in gabbie
Maricoltura
in sacche in
policoltura
Selvatici
Totale
Tabella 3 – Prevalenze di policheti Spionidi e Sabellidi rilevate negli abaloni esaminati in relazione a sistema
d’allevamento (* non includi nell’analisi statistica).
Table 3 – Prevalence of Spionid and Sabellid Polychaetes in Haliotis tuberculata with reference to farming system
(* not included in statistical analysis).
Per poter meglio valutare l’influenza del sistema d’allevamento sull’entità
dell’infestazione da policheti perforanti, sono stati posti in comparazione solo i valori di
intensità d’infestazione rilevati nei soggetti di pari età (generazione 2006) allevati nei
diversi sistemi produttivi, evidenziando valori di intensità media significativamente più
alti (p<0,001) nei soggetti allevati in policoltura (Grafico 2). Come già specificato, non
sono stati considerati i soggetti selvatici, non rappresentativi della realtà d’allevamento
e di età non determinabile. Segnaliamo tuttavia che gli esemplari selvatici campionati,
con dimensioni superiori a 9 cm, avevano presumibilmente un’età maggiore rispetto
agli individui allevati considerati nell’indagine e presentavano un valore d’intensità
d’infestazione media pari a 50 policheti, con forti differenze individuali.
Il rilevamento della posizione delle singole gallerie su ogni conchiglia parassitata ha
evidenziato come la zona tra columella e pori respiratori e la zona dell’apice siano
quelle più colpite dai policheti, probabilmente perché in queste aree lo spessore della
conchiglia è maggiore. In linea generale la zona del margine destro e l’area centrale
vengono coinvolte solo con il progressivo estendersi dell’infestazione a tutta la
conchiglia.
Come si deduce dai dati riportati in tabella 3, i Sabellidi sono stati riscontrati solo in
soggetti allevati in policoltura ed in abaloni selvatici, mentre non sono mai stati
osservati nei soggetti allevati a terra o in gabbia, dove è stata riscontrata sempre la sola
presenza di policheti Spionidi. Si osserva comunque come nei soggetti selvatici ed in
quelli allevati in policoltura l’intensità d’infestazione media di policheti sabellidi sia
sempre bassa, rispettivamente di 1,7 e 2,7 e con valori massimi di 3 e 5 policheti/ospite.
Le osservazioni condotte a livello della conchiglia nelle 6 ostriche hanno permesso di
rilevare solo la presenza di policheti spionidi.
11
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18
Grafico 2 – Intensità d’infestazione media di policheti in abaloni della stessa generazione (4 anni)
provenienti da diversi sistemi di allevamento.
Graphic 2 – Mean infection intensity of boring polychaetes in Haliotis tuberculata of same age (4 years)
coming from different farming systems.
A livello macroscopico non sono state riscontrate lesioni o alterazioni a carico delle
parti molli. Tuttavia, in un esemplare proveniente dalla policoltura che presentava una
forte intensità d’infestazione da policheti e una conchiglia molto danneggiata, sono state
ritrovate nel mantello tre perle di forma irregolare di circa 2 mm.
Le gallerie dei policheti sono ben visibili all’interno della conchiglia: quelle degli
spionidi hanno una forma a U o intricata, quelle dei sabellidi sono spesso situate nella
zona della columella ed in genere sono dritte. I pori respiratori presentano spesso delle
deformazioni che possono condurre alla formazione di una singola fessura lungo tutta la
conchiglia, lasciando vulnerabili gli organi della cavità palleale. In casi estremi, la
conchiglia è talmente fragile e porosa da frantumarsi. Quando il polichete perfora
accidentalmente la parete interna della conchiglia, il gasteropode deposita uno strato di
conchiolina marrone per riparare velocemente la lesione (Fleury et al., 2008). In
seguito, dopo qualche mese si forma uno strato calcareo che può raggiungere uno
spessore importante modificando notevolmente la forma della conchiglia. Anche se la
prevalenza di sabellidi è risultata essere molto bassa, va evidenziato come un singolo
esemplare sembri essere in grado di causare lesioni molto importanti. Nel caso
documentato (Figura 1) un esemplare di sabellide, lungo circa 4 cm, aveva perforato la
conchiglia e sulla superficie interna si era depositato un importante strato di conchiolina
fino alla formazione di una cavità piena di sedimenti maleodoranti, comunemente
chiamata “mud blister”.
Sulla parte esterna della conchiglia si potevano osservare talvolta piccolissimi fori,
molto più evidenti all’interno della conchiglia e di colore giallo, che potevano essere
attribuibili alla presenza di un porifero perforante riferibile al genere Cliona.
La forma delle gallerie causate dai policheti perforanti risulta ben visibile nelle
immagini ottenute dalle radiografie (Figura 2). Ne possiamo distinguere di diverse
12
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18
forme: alcune sono molto intricate, altre hanno una forma ad U caratteristica, secondo
McDiarmid et al. (2004), di Polydora/Boccardia. Le lesioni dovute a Cliona sp. si
presentano come dei piccoli fori nella conchiglia, collegati uno all’altro.
B
A
Figura 1 – Deposito di conchiolina (A) e formazione di blister (B) con perforazione dovuta
ad un singolo esemplare di polichete sabellide.
Figure 1 – Conchiolin deposit (A) and blister formation (B) with shell perforation due to a single
sabellid polychaetes.
A
B
C
D
Figura 2 – Immagini radiografiche che schematizzano l’evoluzione delle lesioni causate da policheti
perforanti nell’abalone (da individuo integro, A, a completa distruzione della conchiglia, D).
Figure 2 – Radiographic images which show the development of lesions caused by boring polychaetes in
abalone (from intact specimen, A, to shell destruction, D).
L’osservazione dei caratteri morfologici dei policheti perforanti riscontrati negli
abaloni esaminati ha permesso di riferirli alle famiglie Spionidae e Sabellidae. Per
quanto concerne gli spionidi, le caratteristiche rilevate a livello di prostomio (Figura
3A), pigidio (Figura 3C) e, soprattutto, l’assetto delle chete presenti nel 5° segmento
(Figura 3B), ha permesso di farli riferire al genere Polydora grazie anche al supporto
13
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18
fornito dal dr. Massimo Ponti del Dipartimento di Ecologia Ambientale di Ravenna,
esperto di macrobenthos e policheti.
Non è stato invece possibile condurre una classificazione più precisa dei sabellidi, che
richiedono un’elevata competenza per un’identificazione su base morfologica. Sono
stati raffigurati rispettivamente il caratteristico prostomio dotato di radiole (Figura 3F),
il pigidio (Figura 3G) ed il 5° segmento (Figura 3D). Le indagini molecolari eseguite in
seguito dalla Dott.ssa Martina Merighi hanno confermato, nel caso della famiglia
Spionidae, l’appartenenza al genere Polydora (syn. Boccardiella) all’interno del quale
sono, con elevata probabilità presenti 6 specie distinte, evidenziabili dai valori di
divergenza variabili da 1,2% a 2,6% e nella famiglia Sabellidae si sospetta la presenza
di due specie distinte, ma l’assenza di sequenze disponibili non ha permesso di
determinare il genere di appartenenza.
L’esame istologico non ha evidenziato quadri patologici di rilievo. Tuttavia un
esemplare di 4 anni proveniente dalla maricoltura presentava un ascesso a livello del
muscolo del piede con una forte infiltrazione emocitaria ed un rammollimento del
tessuto circostante molto simile a quelle descritte nella Blister Disease riferibile ad
infezioni da Vibrio spp. Lo stesso individuo presentava nel rene una congestione
emocitaria con essudato eosinofilo ed un’importante necrosi dei tubuli renali con
sospetta presenza di batteri. In alcuni esemplari selvatici erano presenti aree di
degenerazione delle fibre muscolare e del tessuto connettivo, senza infiltrazione
emocitaria, ma con la sospetta presenza di cocchi. Nel tessuto muscolare e nel mantello
di alcuni individui provenienti da maricoltura e policoltura erano presenti zone
otticamente vuote, non ben delimitate, all’interno delle quali si osservano colonie miste
di batteri filamentosi e bacilli.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Dal nostro studio risulta che la prevalenza di infestazione da policheti è estremamente
elevata (fino al 100%) negli individui di più di tre anni d’età.
Gli esemplari con conchiglia inferiore ai 43 mm non sembrano essere colpiti dalla
parassitosi. Lo studio effettuato sulle cinque generazioni della maricoltura ha stabilito
una relazione positiva tra età degli abaloni ed intensità d’infestazione, come è già stato
osservato in H. rubra (McDiarmid et al., 2004) e in H. tuberculata (Clavier, 1992).
Il risultato osservato nella generazione 2005, ovvero un’intensità d’infestazione media
inferiore rispetto al 2006 potrebbe essere spiegato dal fatto che questo lotto rappresenta le
rimanenze di vendita, ovvero gli individui con crescita lenta che presentavano in media una
dimensione della conchiglia inferiore a gli individui del 2006.
Osservazioni dirette delle lesioni e radioscopie hanno evidenziato come la colonizzazione
della conchiglia inizi dalle zone più spesse (apice e columella) per poi diffondersi a tutta la
superficie in caso di forte infestazione. Questo porta a presupporre che sia necessario un certo
spessore della conchiglia per fornire un habitat idoneo al polichete. Le conchiglie che
presentano una struttura intrinseca irregolare sembrano essere maggiormente colpite. In casi
di forte infestazione è da supporre che la crescita sia rallentata nel tentativo di riparare le
lesioni.
14
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18
A
B
C
F
D
E
G
Figura 3 - A) prostomio di Spionidae; B) pigidio di Spionidae; C) uncini del 5° segmento di Spionidae; D) uncini e
chete del 5° segmento di Sabellidae; E) prostomio di Sabellidae con radioli; F) esemplare in toto di Sabellidae;
G) pigidio di Sabellidae.
Figure 3 – A) prostomium of Spionidae; B) pygidium of Spionidae; C) hooks of 5° segment from Spionidae; D) hooks
and chaetes of 5° segment from Sabellidae; E) prostomium of Sabellidae with radioli; F) Sabellid specimen in toto;
G) pygidium of Sabellidae.
15
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18
Le radiografie hanno inoltre permesso di osservare come il porifero Cliona sp. non sia un
problema da sottovalutare. Nonostante le lesioni siano poco visibili dall’esterno, il porifero
perforante si sviluppa nello spessore della conchiglia, rendendola fragile. Si nota inoltre come
gli abaloni colpiti da Cliona sp. o ricoperti da cirripedi presentino infestazioni da policheti
molto più blande, fatto che potrebbe essere spiegabile da meccanismi di competizione per lo
spazio.
I risultati ottenuti hanno dimostrato come la tipologia di allevamento influenzi
fortemente l’intensità d’infestazione da policheti perforanti: molto bassa nel caso degli
allevamenti a terra, dove l’acqua è filtrata ed il fondo delle vasche accuratamente pulito,
maggiore in maricoltura, ma con valori più elevati in policoltura, compromettendo la
crescita degli abaloni.
Le sacche della policoltura, formate da una rete a maglie strette, si riempiono
velocemente di detriti impedendo una buona circolazione dell’acqua e sono disposte
molto vicine al fondale, in una zona a bassa profondità con scarso flusso idrodinamico.
In effetti, le gabbie della maricoltura permettono un migliore ricambio idrico e sono
disposte in una zona di corrente dove il fondale sabbioso è privo di detriti.
Dagli ultimi studi di Sato-Okoshi et al. (2008) risulta che quando il giovane polichete
esce nell’ambiente esterno possiede già i due palpi alimentari e cinque segmenti.
Sembra capace di nuotare solo per un breve periodo e si fissa quindi al supporto più
vicino che incontra. Considerando questo comportamento, sembra ovvio che un riciclo
dell’acqua limitato, un basso profilo idrodinamico, la vicinanza del fondale e
l’accumulo di sedimenti e materiale organico possano favorire la parassitosi da
policheti. Non si sa molto invece della riproduzione e del ciclo larvale dei sabellidi
perforanti.
L’identificazione tassonomica dei policheti campionati su base morfologica risulta in
linea con lavori precedenti (Clavier, 1992), che hanno descritto nell’abalone spionidi
appartenenti al genere Polydora/Boccardia.
Durante la nostra indagine sono stati rinvenuti inoltre alcuni sabellidi perforanti. Nessun
appartenente a questa famiglia era stato fino ad ora descritto in abaloni nel continente europeo
e gli esemplari rinvenuti appaiono morfologicamente diversi dalle specie descritte in H. discus
hannai (Aviles et al., 2007) ed in H. rufescens (Moore, 2007).
La prevalenza e l’intensità di infestazione dei policheti sabellidi si sono attestati
intorno a valori molto bassi, ma da un punto di vista sanitario questa problematica è da
tenere in debita considerazione in quanto la presenza di un singolo individuo può
provocare lesioni molto più importanti rispetto a quelle causate dagli spionidi anche
perché gli individui possono raggiungere, secondo osservazioni effettuate su un
soggetto selvatico, dimensioni ragguardevoli (>4 cm). L’assenza di sabellidi nelle
ostriche campionate fa presupporre che la parassitosi osservata negli abaloni in
policoltura non sia correlabile alla convivenza con le ostriche, ma bensì alla tecnica e/o
al sito di allevamento.
Poiché le tecniche di allevamento a terra sembrano influenzare negativamente le
proprietà organolettiche dell’abalone, la maricoltura in gabbia potrebbe rappresentare un
idoneo sistema di produzione alternativo, ma in tal caso i problemi sanitari causati dai
policheti perforanti andranno tenuti in opportuna considerazione.
16
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18
RINGRAZIAMENTI
L’indagine è stata effettuata grazie alla collaborazione della società France Haliotis ed
è stata inserita all’interno del progetto SUDEVAB. Si ringraziano il Prof. Francesco
Quaglio dell’Università di Padova, il Prof. Fabio Marino dell’Università di Messina e
l’ex-Dipartimento Clinico Veterinario della Facoltà di Medicina Veterinaria di Ozzano
Emilia (BO). Si ringrazia inoltre il dr. Massimo Ponti del Dipartimento di Ecologia
Ambientale di Ravenna per il supporto offerto nell’identificazione dei policheti.
BIBLIOGRAFIA
Aviles F., Rozbaczylo N., Herve M. & Godoy M. (2007). First report of polychaetes from the genus
Oriopsis (Polychaeta: Sabellidae) associated with the Japanese abalone Haliotis discus hannai and other
native molluscs in Chile. J. Shellfish Res., 26, 3: 863-867.
Balsiero P., Aranguren R., Gestal C., Novoa B. & Figueras A. (2006). Candidatus Xenohaliotis
californiensis and Haplosporidium montforti associated with mortalities of abalone H. tuberculata
cultured in Europe. Aquaculture, 258: 63-72.
Bush A.O., Lafferty K.D., Lotz J.M. & Shostak A.W. (1997). Parasitology meets ecology on its own
terms: Margolis et al. revisited. J. Parasitol., 83: 575-583.
Clavier J. (1992). Infestation of Haliotis tuberculata shells by Cliona celata and Polydora species. In:
Shepherd S.A., Tegner M.J., Guzman del Proo S.A. (Eds), Abalone of the world: biology, fisheries and
culture, Proceedings of the 1st International Symposium on Abalone. Fishing News Books, Cambridge,
MA, La Paz, Baja California Sur, Mexico, September 21-25 1989: 16-20.
Fleury C., Marin F., Marie B., Luquet G., Thomas J., Josse C., Serpentini A. & Lebel J.M. (2008). Shell
repair process in the green ormer H. tuberculata: a histological and microstructural study. Tissue and
Cell, 40, 3: 207-218.
Ford S.E., Xu Z. & Debrosse G. (2001). Use of particle filtration and UV irradiation to prevent infection
by Haplosporidium nelsoni and Perkinsus marinus in hatchery-reared larval and juvenile oysters.
Aquaculture, 94: 37-49.
Marino F., Bambir S., Lanteri G., Rapisarda G. & Macrì B. (2005). Contributo alla conoscenza di alcune
patologie dell’abalone in allevamento sperimentale. Ittiopatologia, 3: 217-222.
McBride S. & Conte F.S. (2001). California abalone aquaculture. Bulletin of University of California,
Davis. Department of Animal Science, 6: 96-104.
McDiarmid H., Day R. & Wilson R. (2004). The ecology of polychaetes that infest abalone shells in
Victoria, Australia. J. Shellfish Res., 23, 4: 1179-1188.
Moore J.D., Robbins J.C.I., Grosholz T.T. & Edwin D. (2007). The introduced sabellid Terebrasabella
heterouncinata in California: transmission, methods of control and survey. J. Shellfish Res., 26, 3: 869876.
Nicolas J.L., Basuyaux O., Mazurie J. & Thebault A. (2002). Vibrio carchariae, a pathogen of the abalone
H. tuberculata. Dis. Aquat. Org., 50: 35-43.
17
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18
Sato-Okoshi W., Okoshi K. & Shaw J. (2008). Polydorid species (Polychaeta: Spionidae) in southwestern Australian waters with special reference to Polydora uncinata and Boccardia knoxi. J. Marine
Biological Association of the United Kingdom, 88, 3: 491-501.
Tesi 1a classificata al Premio “SIPI 2011”
18
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32
PREMIO TESI “S.I.P.I. 2011”
Aggiornamento sulla diffusione della plerocercosi da
Diphyllobothrium latum in pesci lacustri dell’Italia
settentrionale e rischi per il consumatore
Update on diffusion of Diphyllobothrium latum plerocercosis in
lake fish from Northern Italy and risks for the consumer
Stefania Bianchini 1, Andrea Gustinelli 2, Monica Caffara 2,
Marino Prearo 3, Maria Letizia Fioravanti 2*
1
Corso di Laurea Magistrale in Sicurezza e Qualità dei Prodotti di Origine Animale, Facoltà di Medicina
Veterinaria; 2 Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Ozzano Emilia (BO); 3 Istituto Zooprofilattico
Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino.
______________________________
RIASSUNTO - Nei distretti lacustri sub-alpini svizzeri, francesi ed italiani si è assistito di recente ad una
recrudescenza delle zoonosi parassitarie legate al consumo di prodotti ittici d’acqua dolce crudi o poco cotti, come ad
esempio la Difillobotriasi sostenuta dal cestode Diphyllobothrium latum. Scopo di questa ricerca è stato quello di
definire l’attuale diffusione della plerocercosi nelle specie ittiche dei laghi di Como, Iseo e Garda, al fine di ottenere
un aggiornamento epidemiologico e colmare la carenza di dati in merito alla diffusione di questa zoonosi nei bacini
lacustri in esame. In particolare si è prestata particolare attenzione alla specie Perca fluviatilis, in quanto principale
ospite intermedio d’elezione per D. latum in Italia. Inoltre sono stati presi in considerazione alcuni esemplari di
specie ittiche considerate ospiti paratenici, quali luccio e bottatrice e pesci appartenenti a specie potenzialmente
coinvolte nel ciclo biologico del parassita (i.e. coregone) e/o di notevole importanza commerciale nelle realtà lacustri
prese in esame (i.e. agone). In totale sono stati esaminati 514 soggetti, 203 provenienti dal lago di Como, 141 dal lago
di Iseo, 170 dal lago di Garda. I risultati di questa indagine parassitologica hanno permesso di individuare la presenza
di larve plerocercoidi di D. latum rispettivamente nel 30,8% e nel 15,7% dei persici prelevati nel lago di Como e
d’Iseo, mentre quelli del lago di Garda sono risultati negativi. La presenza del parassita è stata inoltre evidenziata nel
66,6% dei lucci e nel 38,5% delle bottatrici provenienti dal lago di Como, mentre tutte le altre specie sono risultate
negative. Tali risultati indicano quindi una diffusa presenza della plerocercosi da D. latum nelle popolazioni ittiche
del lago di Como e, in misura minore, nei persici del lago d’Iseo, evidenziando la necessità di applicare idonee
procedure di profilassi e controllo per evitare la trasmissione del parassita all’uomo in seguito al consumo di questi
prodotti ittici sotto forma di preparazioni culinarie non idonee a garantire l’inattivazione delle larve plerocercoidi.
SUMMARY - A resurgence of parasitic zoonoses associated with the consumption of raw or undercooked freshwater
fish, such as the Diphyllobothriasis due to the cestode Diphyllobothrium latum, has recently been observed in Swiss,
French and Italian sub-alpine lake districts. The purpose of this research was to define the current diffusion of D.
latum plerocercosis in fish populations from Como, Iseo and Garda lakes in order to update and complete the
epidemiological data on this zoonotic parasitosis in these lacustrine environments. Main attention was given to the
species Perca fluviatilis, considered the second intermediate host of choice for D. latum in Italy. Pike (Esox lucius)
and burbot (Lota lota) were also taken into consideration as paratenic hosts, and whitefish (Coregonus spp.) and
shad (Alosa fallax lacustris) were also examined as commercially important fish species potentially involved in the
biological cycle of the parasite. A total of 514 subjects were examined, 203 from Como Lake, 141 from Iseo Lake and
170 from Garda Lake. The results of this parasitological survey have allowed us to identify the presence of D. latum
plerocercoid larvae in 30.8% and 15.7% of perch sampled in Como Lake and Iseo Lake respectively, while the perch
from Garda Lake were negative. The presence of the parasite was also highlighted in 66.6% of the pike and in 38.5%
of burbot from Como Lake, while all the other species were negative. The results of this survey, therefore, showed a
widespread presence of D. latum plerocercoid larvae in fish populations of Como Lake and, to a lesser extent, in
perch from Iseo Lake, pointing out the need to apply appropriate hygienic procedures and control plans aimed at
preventing the transmission of the parasite to humans by consumption of these fish as culinary preparations not
suitable to guarantee the inactivation of plerocercoid larvae.
Key words: Diphyllobothrium latum; Plerocercoid larvae; Italian sub-alpine Lakes; Northern Italy.
______________________________
* Corresponding Author: c/o Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Alma Mater Studiorum Università di
Bologna, Via Tolara di sopra, 50 - Ozzano Emilia (BO); Tel.: 051-2097068; Fax: 051-2097039; E-mail:
[email protected].
19
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32
INTRODUZIONE
Le zoonosi parassitarie di origine ittica in generale e quelle legate agli ambienti
dulciacquicoli in particolare, sono state associate nel passato a paesi economicamente
sottosviluppati o in via di sviluppo, ma recentemente l’espansione del mercato
globale, il miglioramento delle vie di trasporto commerciali e l’aumento dei flussi
migratori ha ampliato enormemente i limiti geografici delle aree a rischio (Chai et
al., 2005). Questi fattori, associati ad altri quali i recenti cambiamenti delle abitudini
alimentari, la gestione degli animali acquatici e dei prodotti derivati, le scarse
condizioni igienico-sanitarie o la carente educazione sanitaria applicata
all’alimentazione, hanno portato la comunità internazionale a valutare attentamente
l’impatto sanitario e socio-economico di queste problematiche, particolarmente
evidente in Asia (Orlandi et al., 2002; WHO, 1995; 2004), ma progressivamente
sempre più importante a livello globale.
Nei paesi occidentalizzati, dove l’interesse del mondo medico e scientifico si era
concentrato negli ultimi anni soprattutto su problematiche sanitarie derivanti da
parassitosi di pesci marini, quali ad esempio l’anisakiasi, l’attenzione si sta
allargando ad alcune parassitosi di animali acquatici d’acqua dolce che possono
presentare un risvolto zoonosico e risultare quindi di notevole importanza in sanità
pubblica.
In Italia in particolare si è assistito di recente ad una recrudescenza di zoonosi
parassitarie di origine ittica legate ad ambienti dulciacquicoli che si credevano
pressoché scomparse dal territorio nazionale, come ad esempio la difillobotriasi
sostenuta dal cestode Diphyllobothrium latum.
Questo fenomeno ha posto in evidenza come anche nel nostro paese persistano le
condizioni utili al mantenimento del ciclo biologico di questo parassita.
La Difillobotriasi o plerocercosi da Diphyllobothrium latum (Cestoda:
Pseudophyllidea) ha rappresentato in passato nel nostro paese un’importante zoonosi
di origine ittica diffusa nei distretti lacustri settentrionali riconducibile al consumo di
pesci di lago, affumicati a freddo o insufficientemente cotti, parassitati dalle larve
plerocercoidi del parassita. La rilevanza di questa parassitosi portò al suo inserimento
nel Regolamento di Polizia Veterinaria del 1954 come malattia dei pesci soggetta a
denuncia. L’applicazione di piani di controllo e profilassi, basati essenzialmente su
sistemi di canalizzazione fognaria e depurazione delle acque reflue, volti ad impedire
l’introduzione nelle acque libere delle uova del parassita eliminate con le feci
dall’ospite definitivo (primariamente l’uomo), ha permesso di ridurre notevolmente
la diffusione di questa parassitosi, senza però raggiungere una sua eradicazione dal
territorio nazionale.
Negli ultimi anni si è registrato un nuovo aumento dell’incidenza di casi umani di
Difillobotriasi nelle aree dei laghi subalpini tra Italia, Svizzera e Francia, indicando
come sussista la presenza di alcuni fattori che permettono una permanenza attiva del
parassita in questi ambienti lacustri (Dupuoy-Camet & Peduzzi, 2004).
Scopo di questa ricerca è stato quello di definire l’attuale diffusione della
plerocercosi da D. latum nelle specie ittiche dei laghi di Como, Iseo e Garda al fine
di ottenere un aggiornamento epidemiologico ed individuare i possibili rischi per il
consumatore.
20
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32
MATERIALI E METODI
Nel periodo compreso tra settembre 2010 e febbraio 2011 sono state condotte
indagini parassitologiche volte alla ricerca di larve plerocercoidi di Diphyllobothrium
latum in specie ittiche dei laghi sub-alpini di Como, Iseo e Garda (Figura 1).
Oliveto Lario
Lago di
Como
Lago di
Iseo
Costa Volpino
(BG)
Lago di
Garda
Garda
(VR)
Figura 1 - Sistemi lacustri sottoposti a campionamento (in rosso le località di campionamento).
Figure 1 - Lakes under study (sampling sites in red).
Si è prestata particolare attenzione alla specie Perca fluviatilis, in quanto
storicamente più coinvolta nel determinismo di casi umani in qualità di secondo
ospite intermedio d’elezione per D. latum in Italia. Inoltre sono stati presi in
considerazione alcuni esemplari di specie ittiche comunemente considerate ospiti
paratenici o di trasporto, quali luccio (Esox lucius) e bottatrice (Lota lota) e pesci
appartenenti a specie potenzialmente coinvolte nel ciclo biologico del parassita
(coregone – Coregonus spp. – e persico sole –
Lepomis gibbosus) e/o di notevole importanza
commerciale nelle realtà lacustri prese in esame
(agone – Alosa fallax lacustris).
In totale sono stati esaminati 514 soggetti, 203 dal
lago di Como, 141 dal lago di Iseo, 170 dal lago di
Garda, come riportato nel dettaglio in Tabella 1.
I campioni venivano prelevati presso pescatori
professionali al momento dello sbarco e subito
trasportati in laboratorio all’interno di contenitori
refrigerati. In laboratorio ogni pesce veniva pesato,
misurato e sottoposto ad esame parassitologico
completo secondo procedure standard. Per la ricerca
delle larve plerocercoidi di D. latum si procedeva ad
21
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32
attento esame visivo della cavità addominale e delle masse muscolari, che venivano
sfilettate ed esaminate direttamente o mediante transilluminatore.
Specie Ittica
Persico reale (Perca fluviatilis)
Luccio (Esox lucius)
Bottatrice (Lota lota)
Coregone (Coregonus spp.)
Agone (Alosa fallax lacustris)
Persico sole (Lepomis gibbosus)
Totale
Lago di
Como
120
9
13
18
18
25
203
Lago di
Iseo
121
20
141
Lago di
Garda
154
4
2
10
170
Totale
395
13
15
28
38
25
514
Tabella 1 – Specie ittiche e numero di soggetti esaminati dai laghi di Como, Iseo e Garda.
Table 1 – Fish species and number of fish examined in Como, Iseo and Garda Lakes.
I parassiti rinvenuti venivano isolati dai tessuti dell’ospite mediante aghi da
dissezione, contati e quindi fissati in alcool 70° per la successiva identificazione.
Tutte le osservazioni venivano annotate su una scheda appositamente preparata,
registrando la sede di rinvenimento di ogni larva (muscolo destro, muscolo sinistro,
cavità viscerale).
I valori di prevalenza ed intensità d’infestazione sono stati calcolati in base a
quanto riportato da Bush et al. (1997).
L’identificazione di specie delle larve plerocercoidi su base morfologica è stata
condotta utilizzando la chiave d’identificazione proposta da Andersen & Gibson
(1989), in quanto unico strumento tassonomico valido per l’identificazione delle
larve plerocercoidi delle specie europee dulciacquicole del genere Diphyllobothrium.
RISULTATI
I risultati di questa indagine parassitologica hanno permesso di individuare la
presenza di larve plerocercoidi di cestodi Pseudophyllidea rispettivamente nel 30,8%
e nel 15,7% dei persici prelevati nel lago di Como e d’Iseo, soprattutto in sede
muscolare (Figura 2), mentre quelli del lago di Garda sono risultati negativi.
La presenza del parassita è stata inoltre evidenziata nel 66,6% dei lucci e nel 38,3%
delle bottatrici, prevalentemente a livello delle sierose viscerali (Figura 3),
provenienti dal lago di Como, mentre tutte le altre specie sono risultate negative.
Tutte le larve plerocercoidi reperite sono state identificate su base morfologica
come Diphyllobothrium latum.
22
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32
Figura 2 – Larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum (freccia) localizzate in diversi settori del muscolo
laterale di pesce persico (Perca fluviatilis).
Figure 2 – Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae (arrow) localized in different sectors of lateral muscle in
European perch (Perca fluviatilis).
Figura 3 – Larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum (freccia) localizzate a livello di sierosa peritoneale
(a sinistra) e fegato (a destra) di un luccio (Esox lucius).
Figure 3 – Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae (arrow) localized on peritoneum (left) and liver (right)
in pike (Esox lucius).
In Tabella 2 vengono riportati i risultati degli esami parassitologici condotti per la
ricerca di larve plerocercoidi di D. latum nei pesci campionati presso il lago di
Como, con i relativi valori di prevalenza ed intensità d’infestazione.
23
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32
Lago di Como
Specie ittica
Perca fluviatilis
Esox lucius
Lota lota
Coregonus spp.
Alosa fallax lacustris
Lepomis gibbosus
Totale
N°
esaminati
N°
positivi
Prevalenza
(%)
120
9
13
18
18
25
203
37
6
5
0
0
0
48
30,8
66,6
38,5
23,6
Intensità
d’infestazione
Min. Mass. Media
1
4
2
2
53
13,3
1
43
9,4
-
Tabella 2 – Valori di prevalenza ed intensità d'infestazione di larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum
nelle specie ittiche del lago di Como.
Table 2 – Prevalence and intensity values of Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae in fish species
from Como Lake.
Nella tabella seguente (Tabella 3) viene riportato il numero di larve plerocercoidi
di D. latum reperite nel muscolo laterale sinistro, nel muscolo laterale destro e nella
cavità viscerale, con indicazione dei valori di intensità media e range (minimomassimo) rilevati per ogni specie ittica risultata positiva per D. latum.
Lago di Como
N° di larve plerocercoidi Intensità d’infestazione
Specie ittica
N° positivi
msx mdx cv Tot. Min. Mass. Media
Perca fluviatilis
37
36
26
13
75
1
4
2,1
Esox lucius
6
3
10
67
80
2
53
13,3
Lota lota
5
0
1
46
47
1
43
9,4
Tabella 3 – Valori di intensità d'infestazione di larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum e loro
localizzazione in specie ittiche del lago di Como (mdx=muscolo laterale destro; msx=muscolo laterale sinistro;
cv=cavità viscerale).
Table 3 – Infection intensity values of Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae with reference to localization
in fish species from Como Lake (mdx=right lateral muscle; msx=left lateral muscle; cv=visceral cavity).
Nelle tabelle sottostanti vengono riportati i valori di intensità d’infestazione media
e range (minimo-massimo) a livello di muscolo sinistro, muscolo destro e cavità
viscerale.
24
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32
Lago di Como
Intensità d’infestazione muscolo sx
Specie ittica
N° esaminati N° positivi
Min.
Mass.
Media
Perca fluviatilis
120
18
1
3
1,44
Esox lucius
9
1
3
3
3
Lota lota
13
0
0
0
Tabella 4 – Valori di intensità d’infestazione delle larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum isolate dal
muscolo sinistro di specie ittiche del lago di Como.
Table 4 – Infection intensity values of Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae isolated from in fish species
from left lateral muscle in fish species from Como Lake.
Lago di Como
Intensità d’infestazione muscolo dx
Specie ittica
N° esaminati N° positivi
Min.
Mass.
Media
Perca fluviatilis
120
23
1
4
1,52
Esox lucius
9
2
2
8
5
Lota lota
13
1
1
1
1
Tabella 5 – Valori di intensità d'infestazione delle larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum isolate dal
muscolo destro di specie ittiche del lago di Como.
Table 5 – Infection intensity values of Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae isolated from right lateral
muscle in fish species from Como Lake.
Lago di Como
Specie ittica
Perca fluviatilis
Esox lucius
Lota lota
N° esaminati N° positivi
120
9
13
8
6
4
Intensità d’infestazione visceri
Min.
Mass.
Media
1
3
1,62
1
42
11,16
1
43
11,5
Tabella 6 – Valori di intensità d'infestazione delle larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum isolate dalla
cavità viscerale di specie ittiche del lago di Como.
Table 6 – Infection intensity values of Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae isolated from visceral cavity
in fish species from Como Lake.
Nella Figura 4 vengono schematizzati i valori di intensità media delle larve
plerocercoidi di D. latum nei pesci persico del lago di Como in base alla loro
localizzazione.
25
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32
CV
Figura 4 – Rappresentazione grafica dei valori di intensità media delle larve plerocercoidi di
Diphyllobothrium latum nei pesci persico del lago di Como in base alla localizzazione.
Figure 4 – Scheme of intensity values of Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae in European perch
from Como Lake with regard to localization.
Per quanto riguarda il Lago d’Iseo, di seguito vengono riportati in Tabella 7 i valori
di prevalenza ed intensità d’infestazione delle larve plerocercoidi di D. latum
riscontrati nei pesci esaminati.
Lago di Iseo
Specie ittica
Perca fluviatilis
Alosa fallax lacustris
N°
esaminati
N°
positivi
Prevalenza
(%)
121
20
19
0
15,7
-
Intensità
d’infestazione
Min. Mass. Media
1
3
1,57
-
Tabella 7 – Valori di prevalenza ed intensità d'infestazione di larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum
nelle specie ittiche del lago di Iseo.
Table 7 – Prevalence and intensity values of Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae in fish species
from Iseo Lake.
26
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32
Nella tabella sottostante (Tabella 8) vengono indicati il numero di larve
plerocercoidi isolate dal muscolo laterale sinistro e dal muscolo laterale destro dei
persici positivi provenienti dal lago d’Iseo, con indicazione dei valori di intensità
media e range (minimo-massimo).
Lago di Iseo
N° di larve plerocercoidi Intensità d’infestazione
Specie ittica
N° positivi
mdx
msx
cv
Min. Mass. Media
Perca fluviatilis
19
14
16
0
1
3
1,57
Tabella 8 - Valori di intensità d'infestazione di larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum e loro
localizzazione in specie ittiche del lago di Iseo (mdx=muscolo laterale destro; msx=muscolo laterale
sinistro; cv=cavità viscerale).
Table 8 – Infection intensity values of Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae with reference to localization
in fish species from Iseo Lake (mdx=right lateral muscle; msx=left lateral muscle; cv=visceral cavity).
In tabella 9 vengono riportati i valori di intensità d’infestazione di larve
plerocercoidi di D. latum a livello di muscolo laterale sinistro e muscolo laterale
destro.
Specie ittica
N°
positivi
Perca fluviatilis
19
Lago di Iseo
Intensità d’infestazione
muscolo sx
Min
Max
Media
1
3
1,6
Intensità d’infestazione
muscolo dx
Min.
Mass.
Media
1
3
1,55
Tabella 9 – Valori di intensità d'infestazione delle larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum isolate dal
muscolo laterale sinistro e destro in pesci persico del lago di Iseo.
Table 9 – Infection intensity values of Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae isolated from left and right
lateral muscle of European perch from Iseo Lake.
Nella Figura 5 vengono schematizzati i valori di intensità media delle larve
plerocercoidi di D. latum nei pesci persico del lago di Iseo in base alla loro
localizzazione.
27
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32
Figura 5 – Rappresentazione grafica dei valori di intensità media delle larve plerocercoidi di
Diphyllobothrium latum nei pesci persico del lago di Iseo in base alla localizzazione.
Figure 5 – Scheme of intensity values of Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae in European perch
from Iseo Lake with regard to localization.
Per quanto riguarda il Lago di Garda, nettamente contrastanti sono stati i risultati
derivanti dalle analisi effettuate rispetto ai campioni provenienti dai Laghi di Como e
Iseo: tutti i 170 pesci esaminati, 154 persici, 4 lucci, 2 bottatrici e 10 coregoni sono
risultati negativi all’esame parassitologico per larve plerocercoidi di D. latum.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
I risultati di questa indagine parassitologica hanno permesso di individuare la
presenza di larve plerocercoidi di D. latum rispettivamente nel 30,8% e nel 15,7%
dei persici provenienti dal lago di Como e d’Iseo, mentre quelli del lago di Garda
sono risultati negativi.
Andando a comparare i valori di positività per larve plerocercoidi di D. latum
rilevati nel pesce persico nel corso delle indagini effettuate in passato con quelli
ottenuti nel corso di questa ricerca va sottolineato innanzitutto come negli ultimi
decenni si siano svolte numerose attività di monitoraggio volte a definire la
diffusione della plerocercosi ittica da D. latum nel Lago di Como, mentre risultano
essere molto scarsi i dati relativi agli altri due bacini lacustri presi in considerazione
in questa indagine. Le uniche indagini condotte su pesci persico del lago di Garda e
d’Iseo risalgono infatti ai primi anni ‘70 (Borroni & Grimaldi, 1973), ad eccezione di
un esiguo numero di persici (37) del lago d’Iseo analizzati nel 2005 da Gustinelli
(2008) e risultati negativi per la presenza di D. latum, come riportato in Tabella 10.
28
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32
I valori di intensità d’infestazione media, di poco superiori a 1,5, sono risultati
lievemente superiori rispetto a quelli riportati da Borroni & Grimaldi (1974) in pesci
persico del lago Maggiore.
Riferimenti bibliografici
Parona (1887)
Scolari (1955)
Borroni & Grimaldi (1973)
Gustinelli (2008)
Wicht et al. (2009)
Presente ricerca (2010-11)
Prevalenza media (%)
Lago di
Lago
Lago di
Como
d’Iseo
Garda
10,9
0
25
0
0
16
25
0,4
29,8
0
30
30,8
15,7
0
Tabella 10 – Dati sulla prevalenza della plerocercosi da Diphyllobothrium latum in persici provenienti
dai laghi di Como, Iseo e Garda (1887-2010).
Tab
Table 10 – Data on prevalence of Diphyllobothrium latum plerocercosis in European perch from Como,
Iseo and Garda Lakes (1887-2010).
La presenza del parassita è stata inoltre evidenziata nel 66,6% dei lucci e nel 38,5%
delle bottatrici provenienti dal lago di Como, mentre tutte le altre specie sono
risultate negative.
Appare interessante il reperto di larve plerocercoidi di D. latum a livello muscolare
anche in due lucci ed in una bottatrice, specie ittiche in cui in genere il parassita si
localizza in sede viscerale.
I risultati delle indagini oggetto della presente tesi indicano quindi una diffusa
presenza della plerocercosi da D. latum nelle popolazioni ittiche del lago di Como e,
in misura minore, nei persici del lago d’Iseo, evidenziando la necessità di applicare
idonee procedure di profilassi e controllo per evitare la trasmissione del parassita
all’uomo in seguito al consumo di questi prodotti ittici sotto forma di preparazioni
culinarie non idonee a garantire l’inattivazione delle larve plerocercoidi.
Uno dei punti critici che in letteratura è considerato determinante nel condizionare
il mantenimento di uno stato di endemia della parassitosi è sicuramente il mancato
controllo degli scarichi fognari afferenti al lago o ai fiumi immissari per mezzo di
depuratori funzionanti. Ne è esempio paradigmatico la Finlandia, che fino agli anni
’50 presentava un’incidenza della difillobotriasi umana superiore al 20% dell’intera
popolazione, con valori del 100% nelle popolazioni residenti nelle zone orientali, e
che attraverso la sistematica canalizzazione degli scarichi urbani ed il trattamento dei
reflui fognari raggiunse dopo vent’anni rispettivamente valori del 2 e del 10% nelle
suddette popolazioni (Dick et al., 2001).
29
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32
Attualmente in questo paese, così come in Svezia, vengono riportati circa 20 casi di
difillobotriasi umana per anno (Lavikainen, 2010).
In Italia la difillobotriasi da Diphyllobothrium latum è stata ritenuta in passato la
zoonosi parassitaria di origine ittica di maggiore importanza sul territorio nazionale,
tanto da essere inserita nel Regolamento di Polizia Veterinaria del 1954 quale
malattia dei pesci soggetta a denuncia. Dopo alcuni decenni di segnalazioni
sporadiche, nell’ultimo decennio si è assistito, in alcuni distretti lacustri sub-alpini di
Italia (Lago Maggiore, Iseo e Como), Svizzera e Francia, ad una recrudescenza delle
infestazioni umane (Schiavo, 1997) con un numero di casi sicuramente sottostimato a
causa dell’aspecificità dei sintomi (Dupuoy-Camet & Peduzzi, 2004).
Nonostante l’applicazione di piani di controllo e profilassi, basati essenzialmente
su sistemi di canalizzazione e depurazione degli scarichi fognari volti ad impedire
l’introduzione nelle acque libere delle uova del parassita eliminate con le feci
dall’ospite definitivo, abbia permesso di ridurre la diffusione di questa parassitosi,
non si è mai giunti ad una sua completa eradicazione dal territorio nazionale, come
dimostrato dai casi umani individuati nei distretti del lago di Como e d’Iseo negli
ultimi anni (Vaiani et al., 2006). D’altronde i dati raccolti da Legambiente nel 2010
(www.legambiente.it) indicherebbero proprio in questi bacini lacustri gravi carenze
negli impianti di canalizzazione e depurazione fognaria, con condizioni di elevato
inquinamento microbiologico.
Poiché la trasmissione della parassitosi dal pesce all’uomo è sempre legata alla via
alimentare ed in particolare al consumo di prodotti ittici crudi o poco cotti, si può
inoltre affermare che, oltre all’effettuazione di idonei esami ispettivi sui pesci,
l’educazione sanitaria applicata alle consuetudini alimentari riveste un ruolo molto
importante nella prevenzione di questa zoonosi parassitaria di origine ittica. A tal
proposito va evidenziato come, anche se l’introduzione di pratiche culinarie esotiche
abbia favorito notevolmente in questi ultimi anni il consumo di pesce crudo, in Italia
alcuni prodotti tipici locali siano rappresentati da preparazioni a crudo a base di
pesce lacustre come ad esempio il carpaccio di pesce persico e di lavarello.
Per quanto concerne il pesce persico proveniente dalle aree a rischio sarebbero
quindi da evitare tutte quelle pratiche che prevedono il consumo di pesce crudo, poco
cotto, marinato o affumicato a freddo, tenendo presente che le larve plerocercoidi
sono rapidamente devitalizzate a temperature >56°C (cinque minuti) e a -10°C (8-72
ore a seconda dello spessore del filetto) (Morishita et al., 1973; Peduzzi & BoucherRondoni, 2001).
In conclusione, alla luce dei nostri risultati e di quanto riportato dalla European
Food Safety Authority (EFSA) nella “Scientific Opinion on risk assessment of
parasites in fishery products” del 2010, dove si ribadisce come tutte le specie ittiche
selvatiche debbano essere considerate potenzialmente a rischio di trasmissione di
parassiti zoonotici soprattutto se i prodotti da esse derivati vengono consumati crudi
o praticamente crudi, appare necessario ampliare le indagini epidemiologiche sulla
presenza/diffusione di parassiti ittici zoonotici in tutti gli areali di pesca
dulciacquicoli, al fine di approfondire le conoscenze sull’epidemiologia di D. latum
nelle popolazioni ittiche lacustri nazionali ed i fattori che ne permettono la
permanenza e la trasmissione all’uomo.
30
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32
RINGRAZIAMENTI
Le attività di ricerca di questa tesi sono state condotte nell’ambito del progetto
PRIN08 “Elminti di interesse zoonosico in specie ittiche dulciacquicole nazionali”
finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
BIBLIOGRAFIA
Andersen K.I. & Gibson D.I. (1989). A key to three species of larval Diphyllobothrium Cobbold, 1858
(Cestoda Pseudophyllidea) occurring in European and North America freshwater fish. System.
Parasitol., 13: 3.
Borroni I. & Grimaldi E. (1973). Frequenza dell’infestione muscolare da larve plerocercoidi di
Diphyllobothrium latum (Cestoda Pseudophyllidea) nel pesce persico (Perca fluviatilis) dei laghi
italiani (anni 1968-1970). Riv. Parassitologia, 34, 1: 45-54.
Borroni I. & Grimaldi E. (1974). Ecologia dell’infestione da larve plerocercoidi di Diphyllobothrium
latum (Cestoda Pseudophyllidea) a carico delle specie ittiche del lago Maggiore. Riv. Parassitologia,
35, 4: 129-144.
Bush A.O., Lafferty K.D., Lotz J.M. & Shostak A.W. (1997). Parasitology meets ecology on its own
terms: Margolis et al. revisited. J. Parasitol., 83: 575-583.
Chai J.Y., Murrel K.D. & Lymbery A.J. (2005). Fish-borne parasitic zoonoses: Status and issues. Int.
J. Parasitol., 35: 1233-1254.
Dick T.A., Nelson P.A. & Choudhury A. (2001). Diphyllobothriasis: update on human cases, foci,
patterns and sources of human infections and future considerations. Southeast Asian J. Tropical Med.
Public Health, 32: 59-76.
Dupuoy-Camet J. & Peduzzi R. (2004). Current situation of human Diphyllobothriasis in Europe.
Biologi Italiani, 9: 15-19.
EFSA Panel on Biological Hazards (BIOHAZ) (2010). Scientific Opinion on risk assessment of
parasites in fishery products. EFSA Journal, 8, 4: 1543. [91 pp.]. doi:10.2903/j.efsa.2010.1543.
Gustinelli A. (2008). Elminti di interesse zoonosico in specie ittiche dulciacquicole nazionali. Tesi di
Dottorato di ricerca in Epidemiologia e Controllo delle Zoonosi, XX ciclo, Alma Mater Studiorum
Università di Bologna.
Lavikainen A. (2010). Human medical view on zoonotic parasites. Acta Veterinaria Scandinavica, 52
(Suppl. 1): S4.
Morishita K., Komiya Y. & Matsubayashi H. (1973). Progress of medical parasitology in Japan. Ed.
Meguro Parasitological Museum, Tokyo, Japan. 5: 129-144.
Orlandi P.A., Chu D.M.T., Bier J.W. & Jackson G.J. (2002). Parasites and the food supply. Food
Technology, 56, 4: 72-80.
Parona C. (1887). Intorno la genesi del Botriocephalus latus (Bremse) e la sua frequenza in
Lombardia. Archivi delle Scienze Mediche, 11: 41-95.
31
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32
Peduzzi R. & Boucher-Rodoni R. (2001). Resurgence of human bothriocephalosis (Diphyllobothrium
latum) in the subalpine lake region. J. Limnology, 60, 1: 41-44.
Schiavo A. (1997). Recrudescenza della plerocercosi in rapporto anche alle nuove abitudini
alimentari. Il Pesce, 14, 1: 90.
Scolari C. (1955). Ricerche sulla frequenza della plerocercosi da Diphyllobothrium latum nei pesci dei
laghi dell’Italia settentrionale e sulla incidenza della infestione nelle diverse specie ittiche recettive.
Clinica Veterinaria, 78: 210-214.
Vaiani R., Terramocci R., Crotti D., Gustinelli A., Invernizzi S., Fioravanti M.L. & Pampiglione S.
(2006). Diphyllobothriasis in Como Lake, Northern Italy: an update. Parassitologia, 48: 297.
Wicht B., Gustinelli A., Fioravanti M.L., Invernizzi S. & Peduzzi R. (2009). Prevalence of the broad
tapeworm Diphyllobothrium latum in perch (Perca fluviatilis) and analysis of abiotic factors
influencing its occurrence in Lake Lario (Como, Italy). Bull. Eur. Ass. Fish Pathol., 29, 2: 58-65.
World Health Organization (1995). Control of foodborne trematode infections. WHO Tech. Rep. Ser.,
No. 849: 1-157.
World Health Organization (2004). Report of Joint WHO/FAO workshop on food-borne trematode
infections in Asia, Ha Noi, Vietnam, 26–28, November, 2002. WHO, WPRO: 1-58.
Tesi 2a classificata al Premio “SIPI 2011”
32
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49
PREMIO TESI “S.I.P.I. 2011”
Effetto di diete integrate con carvacrolo
sulla risposta immunitaria aspecifica e sulla resistenza a
Listonella anguillarum del branzino (Dicentrarchus labrax) #
Effect of carvacrol supplemented diets on
aspecific immune response and resistance to Listonella
anguillarum of European sea bass (Dicentrarchus labrax) #
Dario Assante1*, Chiara Bulfon2, Donatella Volpatti2
1
Corso di Laurea triennale in Biotecnologie Medico-Veterinarie, Università degli Studi di Udine;
2
Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Università degli Studi di Udine.
______________________________
RIASSUNTO - In acquacoltura, negli ultimi anni, è aumentato l’interesse per lo sviluppo di strategie alternative ai
farmaci tradizionali per il controllo delle malattie, viste le severe disposizioni legislative che limitano l’impiego di
antibiotici e altri chemioterapici spesso associato alla selezione di ceppi batterici antibiotico-resistenti e all'accumulo
di residui potenzialmente pericolosi per l'ambiente e per il consumatore. In particolare l’attenzione dei ricercatori si è
concentrata sull’impiego di sostanze naturali in grado di potenziare la risposta immunitaria e la resistenza alle
malattie delle specie ittiche allevate. Tra queste, i fito-additivi ottenuti da piante medicinali sembrano rappresentare
un’alternativa ottimale ai farmaci in quanto dotati di proprietà antibatteriche ed immunostimolanti, facilmente
reperibili in commercio, poco costosi e biocompatibili. Tra le diverse biomolecole disponibili, il carvacrolo (2-metil5-(1-metil)-fenolo), componente principale (70-80%) degli oli essenziali di origano e timo (famiglia Labiatae),
rappresenta un candidato interessante. Pertanto, lo scopo della tesi è stato quello di valutare l'effetto di diete integrate
con basse concentrazioni di carvacrolo (0,025 e 0,05%) su risposta immunitaria aspecifica (proteine,
immunoglobuline, lisozima nel siero, fagocitosi, "burst ossidativo", contenuto di mieloperossidasi e pinocitosi dei
leucociti) e resistenza a Listonella anguillarum del branzino (Dicentrarchus labrax), specie marina importante per
l'acquacoltura mediterranea, al fine di ipotizzare un suo impiego come immunostimolante e antibatterico naturale in
acquacoltura.
SUMMARY – Due to the strict laws limiting the use of antibiotics and other chemotherapeutic agents, which are
often associated with the selection of antibiotic resistant strains and the accumulation of residues potentially
dangerous to the environment and the consumer, the interest on alternative strategies for the diseases control in
aquaculture is increasing. In particular the attention of researchers is focusing on the use of natural substances that
can enhance the immune response and disease resistance of farmed fish species. The phyto-additives derived from
medicinal plants seem to represent a promising alternative to drugs, since they display antibacterial and
immunostimulant properties, are easily marketable, inexpensive and biocompatible. Among several biomolecules,
carvacrol (2-methyl-5-(1-methyl)-phenol), the main component (70-80%) of the essential oils of oregano and thyme
(Labiatae family), is an interesting candidate. Therefore, the aim of the present thesis was to evaluate the effect of
diets supplemented with low concentrations of carvacrol (0.025% and 0.05%) on non-specific immune response
(proteins, immunoglobulins, lysozyme in serum, phagocytosis, "oxidative burst", content of myeloperoxidase and
pinocytosis of leukocytes) and resistance to Listonella anguillarum of European sea bass (Dicentrarchus labrax), a
marine species important for the Mediterranean fish farming. This in order to propose its use as immunostimulant
and/or natural antibacterial agent in aquaculture.
#
Sintesi della tesi: "Il carvacrolo come fitoterapico nel branzino (D. labrax): valutazione dell'attività antibatterica e immunomodulante mediante prove in vitro e in vivo".
Key words: European sea bass; Dicentrarchus labrax; Phyto-additives; Carvacrol; Immune response; Disease
resistance; Listonella anguillarum.
_____________________________
* Corresponding Author: c/o DIAL, Università degli Studi di Udine, via Sondrio 2 - 33100 Udine. Tel.: 0432558173; Fax: 0432-558199; E-mail: [email protected].
33
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49
INTRODUZIONE
L’acquacoltura mondiale ha vissuto nel corso degli anni un crescente sviluppo in
termini produttivi, ma anche sotto l’aspetto qualitativo e di sicurezza del prodotto.
Tuttavia, condizioni di allevamento intensivo e stress rendono i pesci altamente
suscettibili alle malattie infettive, che rappresentano il problema più grave per questo
settore, causando pesanti perdite economiche. L'utilizzo di disinfettanti e antibiotici nel
controllo delle malattie viene oggi largamente criticato perché è spesso molto costoso,
porta alla selezione di ceppi batterici antibiotico-resistenti e all'accumulo di residui
pericolosi per l'ambientale e per la salute pubblica (FAO/WHO/OIE, 2006). In tale
contesto, la ricerca è orientata verso l'utilizzo di prodotti naturali come alternativa ai
farmaci di sintesi e come promotori della crescita. In particolare, di recente è aumentato
l'interesse verso l'impiego, anche in acquacoltura, di fito-additivi ottenuti da piante
medicinali (Jeney et al., 2009; Harikrishnan et al., 2011). Essi sono dotati di proprietà
antimicrobiche ed immunostimolanti, sono facilmente disponibili in commercio, poco
costosi e biocompatibili (Mohamad & Abasali, 2010). Tra biomolecole disponibili, il
carvacrolo (2-metil-5-(1-metil)-fenolo), componente principale (70-80%) degli oli
essenziali di origano e timo (famiglia Labiatae) (Burt, 2004; De Vincenzi et al., 2004),
rappresenta un candidato interessante. Tale composto chimico è registrato legalmente
come additivo alimentare dal Consiglio d'Europa (2000), dalla FAO/OMS (2001) e
dalla U.S. Food and Drug Administration (2010). Di recente l'aggiunta nella dieta di oli
essenziali di origano ricchi in carvacrolo (CRINA Poultry and Pigs) è stata proposta
per migliorare le performance di crescita e la salute negli animali d'allevamento (Baser,
2008). Gli oli essenziali contenenti carvacrolo esplicano un'azione biostatica e/o biocida
contro molti batteri, lieviti e funghi e di conseguenza trovano impiego come conservanti
alimentari (Burt, 2004; Zhou et al., 2007). L'azione inibente del carvacrolo verso i
batteri è simile a quella di altri composti fenolici e avviene tramite danneggiamento e
conseguente aumento della permeabilità a protoni e ioni potassio della membrana,
perdita del pool intracellulare di ATP e perturbazione del potenziale d'azione (Helander
et al., 1998; Ultee et al., 2002). Inoltre, come altri composti fenolici, esso presenta una
vasta gamma di attività biologiche: inibisce il rilascio di specie reattive dell'ossigeno e
dell'azoto, riduce l'aggregazione piastrinica, agisce come anti-infiammatorio inibendo
COX-1 e COX-2, è un agente anti-mutageno e anti-tumorale (Baser, 2008). Le
informazioni riguardanti il suo ruolo come immunostimolante sono invece, piuttosto
controverse. Esperimenti condotti nel suino evidenziano che il carvacrolo,
somministrato per via alimentare, promuove la proliferazione di cellule CD4+, CD8+ e
MHC-II+ (Walter & Bilkei, 2004), mentre altri autori hanno osservato che i leucociti
circolanti di maiale sono apparentemente insensibili al trattamento con carvacrolo
(Nofrarias et al., 2006; Bimczock et al., 2008).
Fino ad ora la somministrazione di carvacrolo nelle specie ittiche risulta scarsamente
documentata. Diete contenenti 0,05% di carvacrolo somministrate per 8 settimane in
pescegatto (Ictalurus punctatus) hanno promosso la crescita dei pesci e l'attività degli
enzimi plasmatici antiossidanti superossido dismutasi e catalasi, nonché la resistenza ad
un challenge con Aeromonas hydrophila (Zheng et al., 2009). Tilapie alimentate per 2
settimane con una dieta integrata con carvacrolo (0,02%) hanno mostrato una minor
mortalità rispetto ai controlli dopo infezione con Edwardsiella tarda
34
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49
(Rattanachaikunsopon & Phumkhachorn, 2010). Questi risultati preliminari fanno
pensare che il carvacrolo potrebbe essere impiegato come additivo alimentare in
mangimi per pesci, allo scopo di promuoverne la crescita e la resistenza alle malattie.
Tuttavia, risultano necessari ulteriori approfondimenti per comprendere il suo ruolo
come antiossidante e immunostimolante nelle specie ittiche.
Lo scopo della tesi è stato quello di valutare l'effetto di diete integrate con basse
concentrazioni di carvacrolo (0,025 e 0,05%) su risposta immunitaria e resistenza a
Listonella anguillarum del branzino (Dicentrarchus labrax), specie marina importante
per l'acquacoltura mediterranea ed europea.
MATERIALI E METODI
Pesci e condizioni di allevamento
Giovanili di branzino (Dicentrarchus labrax) acquistati da una avannotteria
commerciale (Agroittica Toscana S.p.A., Piombino, LI) sono stati mantenuti presso
l'acquario sperimentale del Dipartimento di Scienze Animali (DIAN) dell'Università
degli Studi di Udine. La taglia dei soggetti all’inizio dell’esperimento era 69,2 ± 0,22
grammi. La stabulazione è avvenuta in vasche di vetroresina rettangolari (capienza 0,5
m3), alimentate con acqua di mare a ricircolo (salinità 27,6 mg/l, ossigeno 6 mg/l,
temperatura media 20°C, pH 7,3). I soggetti destinati alla sperimentazione non avevano
subito precedentemente nessun trattamento profilattico e/o chemioterapico.
Disegno sperimentale
Due gruppi di branzini (N=70) sono stati alimentati per 9 settimane con una dieta
pellettata, formulata con componenti di origine biologica dalla sezione di Acquacoltura
del Dipartimento di Scienze Animali (Università di Udine) ed integrata con due diverse
dosi di carvacrolo (5-isopropil-2-metiletilfenolo, Sigma Aldrich, cod. 282197): 0,025%
e 0,05%. Tali livelli sono stati scelti in base a precedenti esperimenti condotti in
pescegatto (Zheng et al., 2009), tilapia (Rattanachaikunsopon & Phumkhachorn, 2010)
e orata (Malvisi, risultati non pubblicati). Si è stimato che al termine della prova di
alimentazione la quantità totale di carvacrolo ingerito dai pesci sarebbe stata comunque
inferiore alla DL50 del composto nella cavia (810 mg/kg, Sigma-Aldrich safety sheet).
Dopo l’integrazione le diete sono state pellettate e conservate a 4°C fino al momento
della somministrazione. Un gruppo di controllo (CTR, N=70) è stato alimentato con la
medesima dieta priva di carvacrolo. I branzini sono stati alimentati due volte al giorno
ad libitum.
Prelievo di sangue e rene anteriore
I branzini sono stati sottoposti a prelievo di sangue periferico e rene anteriore dopo 1,
4 e 8 settimane dall'inizio della somministrazione. Dieci soggetti per ciascun gruppo
sono stati anestetizzati con benzocaina (Sigma Aldrich, 0,03 g/l), e sottoposti a prelievo
ematico dalla vena caudale. Il siero è stato ottenuto mediante coagulazione del sangue a
4°C per 4 ore e centrifugazione a 1500xg per 15 minuti. Cinque soggetti per gruppo
sono stati soppressi mediante overdose di anestetico per il prelievo del rene anteriore.
Ad ogni campionamento l’organo è stato prelevato in sterilità e mantenuto in soluzione
35
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49
salina bilanciata di Hank (HBSS, Sigma-Aldrich) in ghiaccio fino al momento della
purificazione dei leucociti.
Proteine e immunoglobuline totali nel siero
Il contenuto di proteine totali è stato determinato con metodo di Bradford (Bradford,
1976). Diluizioni seriali dei campioni di siero (40 μl), preparate in micropiastra da 96
pozzetti, sono state mescolate con 200 μl di reattivo Bradford (Sigma-Aldrich). É stata
misurata l’assorbanza a 595 nm mediante lettura allo spettrofotometro (TECAN
Sunrise). Concentrazioni note di albumina di siero bovino (BSA, Sigma) sono state
utilizzate come standard.
Le immunoglobuline (Ig) sono state separate dalle altre proteine sieriche mediante
precipitazione con polietilenglicole (Siwicki & Anderson, 1993). Cinquanta µl di siero
sono stati mescolati con un volume equivalente di PEG (Sigma-Aldrich, PM 10.000
kDa) al 12% in acqua bidistillata (ddH2O). Dopo incubazione per 2 ore a temperatura
ambiente (RT), i campioni sono stati centrifugati a 5000xg per 15 minuti, al fine di
precipitare le immunoglobuline complessate con Poly(ethylene glycol) (PEG). Il
surnatante è stato raccolto e sottoposto a dosaggio proteico. La concentrazione delle Ig
totali è stata calcolata sottraendo il contenuto di proteine del surnatante da quello delle
proteine totali dei campioni.
Attività del lisozima nel siero
L'attività del lisozima nel siero è stato misurata utilizzando un metodo turbidimetrico
descritto da Parry et al. (1965), basato sulla lisi del batterio sensibile, Gram+,
Micrococcus lysodeikticus. Il batterio liofilizzato (Sigma) è stato risospeso (0,2 mg/ml)
in tampone sodio fosfato 0,067 M (Sigma-Aldrich) pH 6,3 e 200 μl della sospensione
sono stati mescolati in micropiastra con 10 μl di siero. Pozzetti senza batterio sono stati
usati come controllo negativo mentre diluizioni crescenti di lisozima sono state
utilizzate per la curva standard. La riduzione di assorbanza (torbidità) a 540 nm è stata
misurata con lettore TECAN Sunrise ad intervalli di 10 minuti durante l'incubazione di
1 ora a RT. Una diminuzione di assorbanza di 0,001/min corrisponde ad una Unità di
attività di lisozima/ml.
Purificazione di leucociti da rene anteriore
La purificazione dei leucociti da rene anteriore è stata effettuata secondo la metodica
descritta da Galeotti et al. (1996). Tutte le fasi sono state eseguite mantenendo i
campioni di tessuto o di cellule in ghiaccio e in Hanks' Balanced Salt solution (HBSS)
opportunamente addizionato di NaCl per renderlo isosmotico per il branzino (360
mOsm/kg). Dopo pressatura del rene in HBSS, il surnatante è stato raccolto in provetta
conica e lasciato sedimentare in ghiaccio per 10 minuti, al fine di eliminare i frammenti
grossolani. La sospensione è stata centrifugata a 200xg per 10 minuti a 4°C e le cellule,
raccolte e risospese in HBSS, sono state stratificate su gradiente di Histopaque (Sigma)
a densità 1119 e 1077. I leucociti sono stati separati mediante centrifugazione a 480xg
per 25 minuti a 4°C, contati mediante camera di Thoma e risospesi in HBSS alla
concentrazione di 1x107 cellule/ml.
Attività di fagocitosi
36
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49
L’attività di fagocitosi dei leucociti è stata determinata spettrofotometricamente
seguendo la metodica elaborata da Seeley et al. (1990) ed opportunamente modificata.
Duecentocinquanta µl di sospensione leucocitaria (1x107 cellule/ml in HBSS) sono stati
mescolati con 500 µl di lievito Saccaromyces cerevisiae colorato con rosso Congo (2
x108 cellule/ml in HBSS) e incubati a RT per 1 ora e 30 minuti. Quindi è stato aggiunto
1 ml di HBSS ghiacciato e 1 ml di Histopaque® 1119 è stato iniettato con pipette
Pasteur sul fondo della provetta. I campioni sono stati centrifugati a 800xg per 5 minuti
per separare i leucociti dal lievito non fagocitato. I leucociti sono stati lavati con HBSS
e incubati overnight a 37°C con 200 μl di Tripsina EDTA 10x (Sigma-Aldrich).
L’assorbanza di ciascun campione è stata misurata allo spettrofotometro (Tecan
Sunrise) a 510 nm, usando Tripsina-EDTA 10x come bianco.
Attività di burst ossidativo
La produzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS) è stata misurata mediante saggio
di chemiluminescenza in micropiastra con luminolo (5-ammino-1,2,3,4tetraidroftalazin-1,4-dione 37%, Sigma), utilizzando il forbolo 12-miristato 13-acetato
(PMA, Sigma) come sostanza stimolante. La metodica adottata è stata ricavata da
Coteur et al. (2002) e parzialmente modificata. In micropiastra da 96 pozzetti con fondo
nero (NUNC) sono stati mescolati 100 μl di PMA (20 μg/ml) in HBSS, 50 μl/pozzetto
di luminolo 2 mM in HBSS e 50 μl/pozzetto di leucociti alla concentrazione di 1x107
cellule/ml. Ogni campione è stato valutato in duplicato in presenza e in assenza di
PMA. La luminescenza sviluppata è stata misurata durante 60 minuti di incubazione ad
intervalli di 5 minuti, alla temperatura costante di 25°C (integration time = 0,5 sec;
photomultiplier gain = 180, Tecan). Ogni lettura eseguita sui leucociti stimolati con
PMA è stata decurtata della lettura corrispondente, relativa allo stesso campione di
cellule non stimolate. La produzione di ROS è stata valutata in termini di risposta
cumulativa (RLU/107 cellule/ml), intesa come somma delle singole letture effettuate nel
corso dei 60 minuti di incubazione.
Contenuto di perossidasi
Il contenuto totale di perossidasi dei leucociti è stato misurato con una metodica
descritta da Salinas et al. (2008) per l’orata e adattata al branzino. Ottocentosettanta μl
di sospensione di leucociti (1x106 cellule/ml) sono stati incubati per 5 minuti con 30 μl
di cetyltrimethylammonium bromide (cTAB, Sigma) 0,06% in HBSS. I campioni sono
stati centrifugati a 400xg per 10 minuti, quindi 150 μl di surnatante sono stati mescolati
in piastra da 96 pozzetti con 25 μl di 3,3’,5,5’-tetramethylbenzidine hydrochloride
(TMB, Sigma) 10 mM e 25 μl di H2O2 5 mM. Dopo 60 secondi la reazione è stata
bloccata con 50 μl di H2SO4 2M. La densità ottica è stata letta a 450 nm mediante
spettrofotometro (Tecan Sunrise).
Attività di pinocitosi
L’attività di pinocitosi dei leucociti è stata determinata secondo la metodica descritta
da Mathews et al. (1990), adattata da Skouras et al. (2003) e parzialmente modificata.
Ogni campione di leucociti è stato valutato in duplicato come segue: in una piastra da
96 pozzetti 100 µl/pozzetto di sospensione cellulare contenente 1x107 cellule sono stati
incubati con 75 µl/pozzetto di Rosso neutro (23 mg/l in HBSS) per 2 ore e mezza a
37
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49
temperatura ambiente. Il colorante non incorporato dalle cellule è stato eliminato
mediante due lavaggi con PBS e centrifugazione della piastra a 300xg per 5 minuti. La
piastra è stata quindi lasciata asciugare all’aria e i leucociti adesi al fondo dei pozzetti
sono stati lisati aggiungendo 100 µl/pozzetto di alcool-acido (3% HCl e 97% etanolo) e
100 µl/pozzetto di PBS. L’assorbanza è stata misurata mediante lettore
spettrofotometrico (TECAN Sunrise) a 492 nm.
Infezione sperimentale con Listonella (Vibrio) anguillarum
Al termine del periodo di somministrazione del carvacrolo sono state condotte due
infezioni sperimentali, utilizzando un ceppo virulento di Listonella (Vibrio) anguillarum
sierotipo O1 (Dr. Manfrin, IZSVe), suscettibile in vitro al carvacrolo (prove preliminari
condotte dagli autori). I batteri sono stati coltivati in TSB (bioMérieux) addizionato con
1,5% di NaCl a 23 ± 2°C fino al raggiungimento della fase logaritmica di crescita,
quindi lavati e risospesi in PBS. La concentrazione batterica è stata determinata
mediante stima spettrofotometrica della densità ottica a 610 nm, e il numero effettivo di
UFC/ml è stato confermato mediante conta su terreno solido TSA (bioMérieux). Le dosi
utilizzate nelle prove di infezione sono state scelte dopo aver definito la dose letale 50
(DL50) e la dose letale 70 (DL70) nel corso di prove preliminari (European
Pharmacopoeia, 2001). Nel primo esperimento, è stata utilizzata una sospensione
batterica di 2x106 ufc/ml, mentre nel secondo esperimento una sospensione di 6x106
ufc/ml. Branzini di ciascun gruppo sperimentale (N=25) sono stati anestetizzati con
benzocaina (0,03 grammi/litro) e sottoposti ad iniezione intraperitoneale (200
μl/soggetto) con la sospensione batterica a concentrazione nota. La mortalità è stata
registrata per 15 giorni ed espressa come mortalità cumulativa percentuale (Nordmo,
1997). I soggetti morti sono stati sottoposti ad esame anatomopatologico ed analisi
microbiologiche per confermare la diagnosi di vibriosi. La protezione conferita dal
carvacrolo è stata espressa come percentuale relativa di sopravvivenza (Amend, 1981;
European Pharmacopoeia, 2001) secondo un approccio abitualmente proposto per la
valutazione dell'efficacia dei vaccini:
RPS = [1- (% mortalità pesci trattati/% mortalità gruppo controllo)] x 100.
Elaborazione dei dati ed analisi statistica
I risultati relativi ai parametri immunitari sono stati elaborati statisticamente mediante
test ANOVA ad una via (per i parametri umorali P<0,01, per i parametri cellulari
P<0,05) e le differenze tra le medie dei gruppi sperimentali sono state comparate con il
test di Duncan. I risultati delle prove di challenge sono stati analizzati mediante test
esatto di Fisher (P<0,01). Tutti i dati sono stati elaborati utilizzando il programma
SPSS17 considerando come variabile il livello di carvacrolo nella dieta.
RISULTATI
Proteine e immunoglobuline totali nel siero
38
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49
La concentrazione media delle proteine sieriche dei soggetti di controllo è risultata
compresa tra 28 mg/ml e 46 mg/ml, valori che rientrano nell’intervallo fisiologico
suggerito dalla letteratura per le specie ittiche. Dopo 1 settimana di alimentazione con il
carvacrolo, i pesci alimentati con la dieta allo 0,025% di carvacrolo hanno mostrato un
livello di proteine e immunoglobuline totali nel siero significativamente più elevato
(P<0,01) rispetto agli altri gruppi sperimentali. L'alimentazione con carvacrolo ha
determinato una loro progressiva diminuzione rispetto ai livelli rilevati nel gruppo di
controllo nel corso delle 7 settimane successive di sperimentazione: una diminuzione
significativa (P<0,01) è stata osservata nei branzini alimentati con la dieta allo 0,05%
dopo 4 e 8 settimane e nei branzini alimentati con la dieta allo 0,025% dopo 8 settimane
(Figura 1a; 1b).
Attività del lisozima nel siero
L'attività del lisozima nei pesci di controllo ha assunto valori tra 550 U/ml e 586 U/ml
nel corso della prova (Figura 1c). I soggetti alimentati con la dieta con 0,05%
carvacrolo hanno mostrato una diminuzione significativa dell'attività del lisozima dopo
4 settimane di alimentazione (P<0,01), mentre nei pesci alimentati con la dieta allo
0,025% una diminuzione significativa dell'attività del lisozima è stata osservata dopo 8
settimane (P<0,01).
Attività di fagocitosi
Entrambe le dosi di carvacrolo hanno indotto un aumento dell'attività di fagocitosi dei
leucociti dopo 8 settimane, tuttavia le differenze osservate tra i gruppi sperimentali non
sono risultate significative a causa della elevata variabilità individuale (P>0,05) (Figura
2a).
Attività di "burst ossidativo"
L'attività di "burst ossidativo" dei leucociti è risultata significativamente inferiore
(P<0,05) nei branzini alimentati con la dieta allo 0,05% di carvacrolo dopo 1 settimana
di prova rispetto a quella rilevata nei pesci alimentati con la dieta di controllo CTR e la
dieta allo 0,025% di carvacrolo. Dopo 4 e 8 settimane di alimentazione non sono state
riscontrate, invece, differenze statistiche (P>0,05) tra i gruppi sperimentali (Figura 2b).
Contenuto di perossidasi
L'inclusione del carvacrolo nella dieta non ha influenzato significativamente il
contenuto di perossidasi dei leucociti (P>0,05) (dati non mostrati).
39
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49
total proteins (mg/mL)
60,0
a
a
50,0
a
40,0
b
c
b
b
30,0
b
a
a
20,0
10,0
0,0
1 week
4 weeks
control
8 weeks
0.025% carvacrol
0.05% carvacrol
b
total immunoglobulins (mg/mL)
40,0
a
35,0
30,0
a
25,0
20,0
a
a
b
b
b
b
15,0
c
10,0
5,0
0,0
1 week
4 weeks
control
0.025% carvacrol
700,0
lysozyme activity (U/mL)
a
a
600,0
8 weeks
0.05% carvacrol
c
a
a
a
b
a
a
b
500,0
400,0
300,0
200,0
100,0
0,0
1 week
control
4 weeks
0.025% carvacrol
40
8 weeks
0.05% carvacrol
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49
Figura 1 - Effetto del carvacrolo somministrato con la dieta su proteine totali del siero (mg/mL) (a), immunoglobuline
totali del siero (mg/mL) (b), attività del lisozima nel siero (U/mL) (c) dopo 1, 4 e 8 settimane di alimentazione con le
diete sperimentali. Le barre verticali indicano i valori medi + la deviazione standard (n=10). Le differenze statistiche
tra i gruppi entro ciascun campionamento sono indicate con lettere diverse (P<0,01).
Figure 1 - Effect of the dietary carvacrol level on serum total proteins (mg/mL) (a), serum total immunoglobulins
(mg/mL) (b), serum lysozyme activity (U/mL) (c) after 1, 4 and 8 weeks of feeding the test diets. Vertical bars indicate
average values + standard deviation (n=10). Statistical differences among groups within each sampling time are
indicated with different letters (P<0.01).
Attività di pinocitosi
La somministrazione del carvacrolo ha indotto un aumento dell'attività di pinocitosi in
gruppi di pesci alimentati con il livello 0,05% rispetto agli altri gruppi, dopo 4 settimane
(P<0,05). Nessuna differenza significativa è stata rilevata tra i gruppi dopo 8 settimane
di alimentazione (P>0,05) (Figura 2c).
Infezione sperimentale con Listonella (Vibrio) anguillarum
La somministrazione orale di carvacrolo ha conferito ai branzini una significativa
protezione nei confronti di L. anguillarum O1, riducendo la severità della malattia e la
mortalità conseguente all’infezione. L'andamento della mortalità registrata nel corso
delle due prove di infezione (prima prova con dose infettante 2x106 UFC/ml, 200
µl/soggetto; seconda prova con dose infettante 6x106 UFC/ml, 200 µl/soggetto) è
risultato simile, ma la dose batterica alta ha determinato, come atteso, una mortalità
cumulativa maggiore sia nei pesci di controllo che in quelli alimentati con il carvacrolo
e un anticipo nell’inizio della mortalità, rispetto alla dose batterica minore (Figura 3).
Nella prima prova di infezione la mortalità è iniziata 2 giorni dopo l’infezione nel
gruppo di controllo, dopo 3 giorni nei soggetti alimentati con carvacrolo 0,025% e dopo
4 giorni nei soggetti alimentati con carvacrolo 0,05%. Nei pesci alimentati con
carvacrolo 0,025% la mortalità cumulativa è risultata significativamente minore
(P<0,01) rispetto a quella dei controlli a partire dal 3° giorno fino alla fine della
sperimentazione (controllo = da 27% a 36%; carvacrolo 0,025% = da 0% a 9%). La
mortalità cumulativa dei branzini alimentati con carvacrolo 0,05% è risultata
significativamente minore (P<0,01) rispetto a quella dei controlli non trattati al terzo
giorno post infezione (controllo = 27%; carvacrolo 0,05% = 8%), mentre nei giorni
successivi e al termine della prova tale differenza non è risultata statisticamente
importante (P>0,05) (controllo = 36%; carvacrolo 0,05% = 25%).
L'alimentazione con la percentuale bassa di carvacrolo ha garantito una RPS pari a
75% mentre l'alimentazione con la percentuale maggiore una RPS del 31%.
41
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49
a
phagocytosis (O.D. at 510 nm)
0,20
0,18
0,16
0,14
0,12
0,10
0,08
0,06
0,04
0,02
0,00
1 week
4 weeks
control
8 weeks
0.025% carvacrol
0.05% carvacrol
b
respiratory burst (RLU)
60000
50000
40000
a
a
30000
b
20000
10000
0
1 week
control
4 weeks
8 weeks
0.025% carvacrol
0.05% carvacrol
c
pinocytosis (O.D. at 492 nm)
0,05
a
ab
0,04
b
0,03
0,02
0,01
0,00
1 week
control
4 weeks
0.025% carvacrol
42
8 weeks
0.05% carvacrol
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49
Figura 2 – Effetto del carvacrolo somministrato con la dieta su fagocitosi (D.O. a 510 nm) (a), burst ossidativo (RLU,
risposta cumulativa 1 ora) (b), pinocitosi (D.O. a 492 nm) (c) dopo 1, 4 e 8 settimane di alimentazione con le diete
sperimentali. Le barre verticali indicano i valori medi + la deviazione standard (n=5). Le differenze statistiche tra i
gruppi entro ciascun campionamento sono indicate con lettere diverse (P<0,05).
Figure 2 – Effect of the dietary carvacrol level on HK leukocytes phagocytosis (O.D. at 510 nm) (a), respiratory
burst (RLU, 1 h cumulative response) (b), pinocytosis (O.D. at 492 nm) (c) after 1, 4 and 8 weeks of feeding the test
diets. Vertical bars indicate average values + standard deviation (n=5). Statistical differences among groups within
each sampling time are indicated with different letters (P<0.05).
cumulative mortality %
control
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
0
1
2
0.025% carvacrol
0.05% carvacrol
a
* * * * * * * * *
*
*
*
*
3
4
5
6
7
8
9 10 11 12 13 14 15
days post infection
cumulative mortality %
control
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
0.05% carvacrol
0.025% carvacrol
* *
b
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9 10 11 12 13 14 15
days post infection
Figura 3 – Mortalità cumulativa in seguito ad infezione sperimentale intraperitoneale con Listonella anguillarum.
Dose 2x106 ufc/mL (200 µL/soggetto) (n=25) (a); Dose 6x106 ufc/mL (200 µL/soggetto) (n=25) (b). *Differenze
significative rispetto al controllo (P<0,01).
Figure 3 – Cumulative mortality due to intraperitoneal infection with Listonella anguillarum. Dose 2x106 CFU/mL
(200 µL/fish) (n=25) (a); Dose 6x106 CFU/mL (200 µL/fish) (n=25) (b). *Significant differences compared to control
group (P<0.01).
43
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49
Nella seconda prova di infezione la mortalità è stata registrata a partire dal 2° giorno
post infezione in tutti i gruppi sperimentali. La mortalità cumulativa dei branzini
alimentati con carvacrolo 0,025% è risultata significativamente minore (P<0,01) rispetto
a quella dei controlli al 3° e 4° giorno post infezione, mentre successivamente le
differenze osservate non erano statisticamente significative (P>0,05). I pesci trattati con
carvacrolo 0,05% hanno mostrato una mortalità inferiore rispetto al gruppo di controllo,
ma le differenze rilevate non erano significative (P>0,05).
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
In acquacoltura, negli ultimi anni, è aumentato l’interesse verso lo sviluppo di
strategie alternative ai farmaci tradizionali per il controllo delle malattie, viste le severe
disposizioni legislative che limitano l’impiego di antibiotici e altri chemioterapici,
spesso associato alla selezione di ceppi batterici antibiotico-resistenti e all'accumulo di
residui potenzialmente pericolosi per l'ambiente e per il consumatore. In particolare
l’interesse dei ricercatori si è concentrato sull’impiego di sostanze naturali in grado di
potenziare la risposta immunitaria e la resistenza alle malattie delle specie ittiche
allevate. Tra queste, le piante sembrano rappresentare una alternativa ottimale ai
farmaci in quanto contengono diversi principi attivi (alcaloidi, flavonoidi, pigmenti,
composti fenolici, terpenoidi, steroidi) dotati di proprietà antibatteriche ed
immunostimolanti e allo stesso tempo risultano facilmente reperibili in commercio,
poco costose e biocompatibili (Mohamad & Abasali, 2010). In letteratura, sono
numerosi gli studi dedicati alla valutazione delle proprietà antimicrobiche ed
immunomodulanti di prodotti derivati dalle piante (estratti, oli essenziali, parti di pianta,
ecc.) o composti bioattivi purificati dalle piante, nelle specie ittiche, nell'ottica di un
loro possibile utilizzo in acquacoltura (Jeney et al., 2009; Harikrishnan et al., 2011). In
tale contesto, la ricerca condotta nell'ambito della tesi ha avuto lo scopo di indagare
l'effetto del carvacrolo, un composto fenolico contenuto negli oli essenziali di alcune
piante aromatiche delle famiglie Labiatae, sulla risposta immunitaria e sulla resistenza
nei confronti di Listonella anguillarum del branzino (Dicentrarchus labrax), al fine di
ipotizzare un suo impiego (o quello delle piante officinali che lo contengono) come
immunostimolante e antibatterico naturale in acquacoltura.
A tal fine il carvacrolo è stato integrato in una dieta biologica a due diverse dosi
(0,025% e 0,05%) e somministrato in giovanili di branzino per 9 settimane. Dopo 1, 4 e
8 settimane di alimentazione, i branzini sono stati sottoposti a prelievo di sangue e rene
anteriore al fine di studiare alcuni parametri di immunità aspecifica: proteine,
immunoglobuline e lisozima nel siero, fagocitosi, "burst ossidativo", contenuto di
mieloperossidasi (MPO) e pinocitosi dei leucociti.
Le proteine del siero includono diversi elementi umorali dell’immunità aspecifica,
come immunoglobuline, albumine, transferrina, agglutinine, precipitine, lisozima e un
loro aumento è solitamente associato ad un potenziamento della risposta immunitaria
(Magnadóttir, 2006). Entrambe le diete contenenti carvacrolo hanno determinato una
diminuzione delle proteine e delle immunoglobuline totali rispetto al gruppo di
controllo. Tale variazione è risultata significativa dopo 4 settimane di alimentazione nei
soggetti alimentati con la dose alta di carvacrolo (0,05%) e dopo 8 settimane nei pesci
44
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49
alimentati con la dose bassa (0,025%). Soltani et al. (2010) non hanno osservato alcuna
variazione nel livello di tali parametri in carpe (Cyprinus carpio) alimentate per 8
settimane con Zataria multiflora (Labiatae), pianta medicinale contenente carvacrolo.
Nel nostro caso il livello proteico nel siero dei gruppi trattati potrebbe essere stato
influenzato da un cambiamento dell’assorbimento della mucosa intestinale, che viene
alterato dal contatto con il carvacrolo alimentare, come dimostrato nel suino (Michiels
et al., 2008; 2010). Tuttavia la diminuzione delle proteine circolanti da noi osservata
non ha influenzato la crescita dei branzini e gli indici zootecnici valutati nel corso della
prova non sono risultati diversi tra i branzini alimentati con il carvacrolo e quelli di
controllo (dati non mostrati).
Il lisozima è un importante componente del sistema immunitario umorale aspecifico
dei pesci, presente nel sangue, nel muco, in diversi organi e sintetizzato da monociti e
neutrofili. Esso causa la lisi dei batteri, induce l’attivazione del sistema del
complemento e favorisce la fagocitosi fungendo da opsonina (Magnadóttir, 2006;
Saurabh & Sahoo, 2008). La sua attività nel siero è diminuita a seguito della
somministrazione del carvacrolo, risultando significativamente più bassa dopo 4
settimane nei branzini alimentati con carvacrolo 0,05% e dopo 8 settimane nel gruppo
di branzini alimentati con carvacrolo 0,025%. Il carvacrolo potrebbe interferire con la
secrezione o l’attività del lisozima, in particolare in tempi brevi se viene somministrato
a dosi alte e in tempi più lunghi se la sua concentrazione nella dieta è minore. Una
diminuzione dell’attività del lisozima, seppur non significativa, è stata riscontrata anche
in pescegatto (Ictalurus punctatus) al termine di una prova sperimentale simile alla
presente, in cui i soggetti sono stati alimentati per 8 settimane con una dieta integrata da
0,05% di carvacrolo (Zheng et al., 2009). La somministrazione di Zataria multiflora in
carpa non ha avuto, invece, alcun effetto sulla funzionalità del lisozima (Soltani et al.,
2010), mentre in sarago pizzuto (Diplodus puntazzo) l’uso dell’origano (Origanum
minitiflorum), un’altra pianta aromatica della famiglia delle Labiatae ricca di
carvacrolo, nel trattamento di Myxobolus sp. ha determinato un aumento dell’attività di
questo enzima nel siero (Karagouni et al., 2005).
La fagocitosi è il più importante meccanismo cellulare del sistema immunitario nonspecifico dei teleostei e insieme con i componenti umorali costituisce la prima linea di
difesa contro gli agenti patogeni. I fagociti (monociti/macrofagi e neutrofili) inglobano i
microrganismi e li uccidono mediante degranulazione, attivazione metabolica e rilascio
di specie reattive dell'ossigeno e dell'azoto ad azione microbicida (Neumann et al.,
2001). Durante l’attività di “burst ossidativo” i neutrofili inoltre rilasciano perossidasi
(MPO), enzimi contenuti nei granuli azurofili, che contribuiscono alla loro azione
antimicrobica (Rodriguez et al., 2003). Il carvacrolo ha indotto un aumento, seppur non
significativo, dell'attività di fagocitosi dei leucociti purificati da rene anteriore rispetto
ai controlli. In letteratura non sono disponibili informazioni in merito all’effetto di
questo composto sui fagociti dei pesci o dei mammiferi. Tuttavia Karagouni et al.
(2005) non hanno osservato variazioni nel numero di cellula fagocitarie e nella loro
attività di fagocitosi in sarago pizzuto infestato da Myxobolus sp. e trattato con origano,
ricco in carvacrolo. In questa tesi l’attività di “burst ossidativo” dei leucociti è stata
quantificata dopo stimolazione con PMA mediante chemiluminescenza con luminolo,
che consente di misurare la quantità intracellulare ed extracellulare di specie tossiche
dell’ossigeno, come l’anione superossido (O2-), il perossido di idrogeno (H2O2), il
45
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49
radicale idrossido (OH) (Coteur et al., 2002). In generale la produzione di ROS nei
branzini alimentati con il carvacrolo è risultata inferiore a quella dei soggetti di
controllo, suggerendo un suo probabile effetto antiossidante. Tale riscontro è in accordo
con quanto dimostrato da altri autori per un altro composto fenolico, il resveratrolo,
contenuto nelle radici di Veratrum grandiflorium e in altre piante, quali uva, frutti di
bosco e arachidi. In vitro esso causa una significativa diminuzione della produzione di
ROS da parte dei leucociti renali di rombo (Psetta maxima) stimolati con PMA, a livelli
paragonabili a quelli misurati in presenza di acido ascorbico (sostanza antiossidante di
riferimento), analogamente a quanto accade nei mammiferi. Viene ipotizzato che il
resveratrolo penetri nelle cellule inibendo la produzione di ROS oppure che funga da
“scavenger” per limitare lo stress ossidativo (Castro et al., 2008). I nostri risultati sono
poi in accordo con quelli osservati in pescegatto (Ictalurus punctatus) alimentato con la
stessa dose (0,05%) di carvacrolo per 8 settimane. Nei soggetti trattati è stato misurato
un leggero aumento nel plasma dell’attività della superossido dismutasi e della catalasi,
due enzimi che intervengono nei meccanismi antiossidanti delle cellule (Zheng et al.,
2009). Inoltre, anche il contenuto di MPO dei leucociti, la cui attività è strettamente
correlata con la produzione di ROS, è diminuito nel corso della prova in entrambi i
gruppi di branzini alimentati con il carvacrolo (dati non mostrati). Una inibizione delle
MPO intracellulari ed extracellulari è stata dimostrata anche da Castro et al. (2008)
dopo stimolazione in vitro dei leucociti di rombo con resveratrolo.
La pinocitosi è un meccanismo mediante il quale goccioline di liquido vengono
incorporate da una cellula e tale processo è essenziale per la funzionalità dei macrofagi,
in quanto consente l'assorbimento e la degradazione di macromolecole, ma può anche
avere un ruolo nella captazione e nella processazione degli antigeni (Weeks et al.,
1987). Nei branzini alimentati con il carvacrolo è stato rilevato un aumento dell’attività
di pinocitosi dei leucociti, evidente soprattutto nei soggetti alimentati con la dose più
alta dopo 4 settimane.
Al termine della prova di alimentazione con il carvacrolo sono state effettuate due
infezioni sperimentali utilizzando un ceppo virulento di L. anguillarum sierotipo O1
(dosi 2x106 ufc/ml e 6x106 ufc/ml). La mortalità cumulativa dei branzini alimentati con
il carvacrolo è risultata minore rispetto a quella dei controlli non trattati al termine di
entrambe le prove, tuttavia le differenze osservate tra i soggetti trattati e i controlli sono
risultate significative solo al termine del primo challenge. I valori di RPS ottenuti sono
stati pari a 75% nei branzini alimentati con 0,025% di carvacrolo e pari a 31% nei
branzini alimentati con 0,05% di carvacrolo. A titolo comparativo possiamo considerare
quanto riportato da Yiagnisis et al. (2009), secondo cui branzini alimentati per 100
giorni con una dieta integrata con olio essenziale di origano (Origanum vulgare) sono
risultati più resistenti ad un'infezione sperimentale con L. anguillarum (6x106 ufc/ml),
con una RPS del 34%.
In sintesi, diete integrate con percentuali di carvacrolo pari a 0,025% e 0,050% non
sono in grado di stimolare efficacemente le risposte immunitarie aspecifiche del
branzino, ma sembrano indurre una maggiore resistenza nei confronti delle infezioni
causate da L. anguillarum. La protezione conferita dal carvacrolo potrebbe dipendere da
un suo “bio-accumulo” in fase di pre-challenge e dalla sua conseguente azione
antibatterica in vivo, piuttosto che dall’intervento di una efficace risposta immunitaria.
Prove in vitro, non contemplate in questa parte della tesi, hanno dimostrato infatti una
46
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49
diretta azione antibatterica del carvacrolo nei confronti di questo patogeno. Tuttavia,
ulteriori indagini sono necessarie per definire il meccanismo d'azione di questo
composto chimico e per chiarire se dosi più elevate sono associate ad effetti collaterali
e/o tossicità.
BIBLIOGRAFIA
Amend D.F. (1981). Potency testing of fish vaccines. International Symposium on Fish Biologics:
Serodiagnosis and Vaccines. Dev. Biol. Stand., 49: 447-454.
Baser K.H.C. (2008). Biological and pharmacological activities of carvacrol and carvacrol bearing
essential oils. Curr. Pharm. Des., 14: 3106-3119.
Bimczock D., Rau H., Sewekow E., Janczyk P., Souffrant W.B. & Rothkotter H.J. (2008). Influence of
carvacrol on proliferation and survival of pocine lymphocytes and intestinal epithelial cells in vitro.
Toxicol. in vitro, 22: 652-658.
Bradford M.M. (1976). A rapid and sensitive method for the quantification of microgram quantities of
protein utilizing the principle of protein-dye binding. Anal. Biochem., 72: 248-254.
Burt S. (2004). Essential oils: their antibacterial properties and potential application in foods – a review.
Int. J. Food Microbiol., 94: 223-253.
Castro R., Lamas J., Morais P., Sanmartin M.L., Orallo F. & Leiro J. (2008) Resveratrol modulated innate
and inflammatory responses in fish leucocytes. Vet. Immunol. Immunopathol., 126: 9-19.
Coteur G., Warnau M., Jangoux M. & Dubois P. (2002). Reactive oxygen species (ROS) production by
amoebocytes of Asterias rubens (Echinoderma). Fish Shellfish Immunol., 12: 187-200.
De Vincenzi M., Stammati A., De Vincenzi A. & Silano M. (2004). Constituents of aromatic plants:
carvacrol. Fitoterapia, 75: 801-804.
European Pharmacopoeia (2001). Vibriosis vaccine (inactivated) for salmonids. Supplement 2001: 15851586.
Galeotti M., Volpatti D., D’Angelo L. & Rusvai M. (1996). Application of in vitro lymphocyte
stimulation test to investigate the immunoreactivity of sea bass (Dicentrarchus labrax). Bull. Eur. Ass.
Fish Path., 16: 23-26.
Harikrishnan R., Balasundaram C. & Heo M.S. (2011). Impact of plant products on innate and adaptive
immune system of cultured finfish and shellfish. Aquaculture, 317: 1-15.
Helander I.M., Alakomi H.L., Latva-Kala K., Mattila-Sandholm T., Pol I., Smid E.J., Gorris L.G.M. &
von Wright A. (1998). Characterization of the action of selected essential oil components on Gramnegative bacteria. J. Agr. Food Chem., 46: 3590-3595.
Jeney G., Yin G., Ardó L. & Jeney Z. (2009). The use of immunostimulating herbs in fish. An overview
of research. Fish Physiol. Biochem., 35: 669-676.
Karagouni E., Athanassopoulou F., Lytra A., Komis C. & Dotsika E. (2005). Antiparasitic and
immunomodulatory effect of innovative treatments against Myxobolus sp. infection in Diplodus puntazzo.
Vet. Parasitol., 134: 215-228.
47
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49
Magnadóttir B. (2006). Innate immunity of fish (overview). Fish Shellfish Immunol., 20: 137-151.
Mathews E.S., Warinner J.E. & Weeks B.A. (1990). Assay of immune function in fish macrophages:
techniques used as indicators of environmental stress. In: Stolen J.S., Fletcher D.P., Anderson D.P.,
Robertson B.S., van Muiswinkel W.B. (Eds). Techniques in fish immunology. SOS Publications, Fair
Haven, N.J., USA: 155-163.
Michiels J., Missotten J., Dierick N., Fremaut D., Maene P. & De Smet S. (2008). In vitro degradation and
in vivo passage kinetics of carvacrol, thymol, eugenol and trans-cinnamaldehyde along the
gastrointestinal tract of piglets. J. Sci. Food Agr., 88: 2371-2381.
Michiels J., Missotten J., Van Hoorick A., Ovyn A., Fremaut D., De Smet S. & Dierick N. (2010). Effects
of dose and formulation of carvacrol and thymol on bacteria and some functional traits of the gut in
piglets after weaning. Arch. Anim. Nutr., 64: 136-154.
Mohamad S. & Abasali H. (2010). Effect of plant extracts supplemented diets on immunity and resistance
to Aeromonas hydrophila in common carp (Cyprinus carpio). Agricultural J., 5: 119-127.
Neumann N.F., Stafford J.L., Barreda D., Ainsworth A.J. & Belosevic M. (2001). Antimicrobial
mechanisms of fish phagocytes and their role in host defense. Dev. Comp. Immunol., 25: 807-825.
Nofrarias M., Manzanilla E.G., Pujol J., Gilbert X., Majo N., Segales J. & Gasa J. (2006). Effects of
spray-dried porcine plasma and plant extracts on intestinal morphology and on leukocyte cell subsets of
weaned pigs. J. Anim. Sci., 84: 2735-2742.
Nordmo R. (1997). Strengths and weakness of different challenge methods. In: Fish Vaccinology.
Gudding, Lillehaugh, Midtlyng, Brown eds. Dev. Biol. Stand. Basel, Karger, 90: 303-309.
Parry R.M., Chandan R.C. & Shahani R.M. (1965). A rapid sensitive assay of muramidase. P. Soc. Exp.
Biol. Med., 119: 382-386.
Rattanachaikunsopon P. & Phumkhachorn P. (2010). Assessment of synergistic efficacy of carvacrol and
cymene against Edwardsiella tarda in vitro and in Tilapia (Oreochromis niloticus). African J. Microbiol.
Res., 4: 420-425.
Rodriguez A., Esteban M.A. & Meseguer J. (2003). Phagocytosis and peroxide release by sea bream
(Sparus aurata L.) leucocytes in response to yeast cells. Anat. Rec., 272: 415-423.
Salinas I., Abelli L., Bertoni F., Picchietti S., Roque A., Furones D., Cuesta A., Mesenguer J. & Esteban
M.A. (2008). Monospecies and multispecies probiotic formulations produce different systemic and local
immmunostimulatory effects in gilthead seabream (Sparus aurata L.). Fish Shellfish Immunol., 25: 114123.
Saurabh S. & Sahoo P.K. (2008). Lysozyme: an important defence molecule of fish innate immune
system. Aquat. Res., 39: 223-239.
Seeley K.R., Gillespie P.D. & Weeks B.A. (1990). A simple technique for the rapid spectrophotometric
determination of phagocytosis by fish macrophages. Mar. Environ. Res., 30: 123-128.
Siwicki A.K. & Anderson D.P. (1993). Potential killing activity of neutrophils and macrophages,
lysozyme activity in serum and organs and total immunoglobulin level in serum. In: Non-specific defense
mechanisms assay in fish. II: 105-112.
48
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49
Skouras A., Broeg K., Dizer H., von Westernhagen H., Hansen P.D. & Steinhagen D. (2003). The use of
innate immune responses as biomarkers in a programme of integrated biological effects monitoring on
flounder (Platichthys flesus) from the southern North Sea. Helgoland Marine Res., 57: 190-198.
Soltani M., Sheikhzadeh N., Ebrahimzadeh-Mousavi H.A. & Zargar A. (2010). Effects of Zataria
multiflora essential oil on innate immune responses of common carp (Cyprinus carpio). J. Fish. Aquat.
Sci., 5: 191-199.
Ultee A., Bennik M.H.J. & Moezelaar R. (2002). The phenolic hydroxyl group of carvacrol is essential
for action against the foodborne pathogen Bacillus cereus. Appl. Environ. Microbiol., 68: 1561-1568.
Walter B.M. & Bilkei G. (2004). Immunostimulatory effect of dietary oregano etheric oils on
lymphocytes from growth-retarded, low-weight growing-finishing pigs and productivity. Tijdschrift Voor
Diergeneeskunde, 129: 178-181.
Weeks B.A., Keisler A.S., Warinner J.E. & Mathews E.S. (1987). Preliminary evaluation of macrophage
pinocytosis as a technique to monitor fish health. Mar. Environ. Res., 12: 205-213.
Yiagnisis M., Alexis M.N., Bitchava K., Govaris A. & Athanassopoulou F. (2009). Effect of dietary
oregano essential oil supplementation on combined infections by pathogenic bacteria-parasites (Sea lice
and Copepods) in European sea bass Dicentrarchus labrax L. Proceedings of the 14th EAFP International
Conference, “Diseases of Fish and Shellfish”, Prague, Czech Republic, 14-19 September, O-123: 139.
Zheng Z.I., Tan J.Y.W., Liu H.Y., Zhou X.H., Xiang X. & Wang K.Y. (2009). Evaluation of oregano
essential oil (Origanum heracleoticum L.) on growth, antioxidant effect and resistance against Aeromonas
hydrophila in channel catfish (Ictalurus punctatus). Aquaculture, 292: 214-218.
Zhou F., Ji B.-P., Zhang H., Jiang H., Yang Z., Li J., Li J. & Yan W. (2007). The antibacterial effect of
cinnamaldehyde, thymol, carvacrol and their combinations against the food borne pathogen Salmonella
typhimurium. J. Food Safety, 27: 124-133.
Tesi 3a classificata ex-aequo al Premio “SIPI 2011”
49
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 50
50
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 51-62
PREMIO TESI “S.I.P.I. 2011”
Indagine sulla parassitofauna di anguille selvatiche
e d'allevamento
Survey on parasitofauna of wild and farmed eels
Massimiliano Leone 1, Andrea Gustinelli 2, Maria Letizia Fioravanti 2*
1
Corso di Laurea in Sicurezza e Qualità dei Prodotti di Origine Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria, Alma
Mater Studiorum Università di Bologna, Ozzano Emilia (BO); 2 Dipartimento di Scienze Mediche veterinarie, Alma
Mater Studiorum Università di Bologna, Ozzano Emilia (BO)
______________________________
RIASSUNTO – L’anguilla (Anguilla anguilla), che è considerata una delle specie più importanti per la pesca e per
l’acquacoltura a livello mondiale, negli ultimi decenni ha subito una forte riduzione degli stock naturali sia a causa di
fattori biologici sia a seguito dell’impatto antropico determinato dalle eccessive pressioni di pesca e dal progressivo
degrado degli ambienti naturali. Oltre a ciò, bisogna annoverare le problematiche di natura parassitologica, indicate
come possibili concause della progressiva diminuzione degli stock naturali di anguilla. Questa indagine
parassitologica, condotta tra ottobre 2010 e marzo 2011, ha avuto lo scopo di studiare la parassitofauna di anguille
selvatiche e d’allevamento in Italia, con particolare attenzione al reperto di parassiti d’importanza produttiva e
sanitaria, anche in relazione a possibili risvolti zoonosici. Sono state esaminate 49 anguille provenienti da un
allevamento intensivo situato nella provincia di Ferrara, 8 anguille selvatiche pescate in una valle da pesca della
provincia di Gorizia ed un esemplare pescato nel Lago di Garda (Verona). Tutti gli esemplari sono stati sottoposti ad
esame parassitologico completo, che ha permesso di evidenziare la presenza di almeno una specie parassitaria nel
94,8% delle anguille esaminate. In particolare, tutte le anguille selvatiche esaminate sono risultate parassitate, mentre
nelle 49 anguille d’allevamento si è osservata una percentuale di positività pari al 93,9%. Sono stati reperiti i seguenti
parassiti: protozoi ciliati (Trichodina sp.) e flagellati (Cryptobia sp.), myxozoa (Myxidium giardi e Myxobolus sp.),
elminti monogenei (Pseudodactylogyrus sp. e Gyrodactylus sp.), digenei (Bucephalus anguillae, Deropristis inflata e
Brachyphallus sp.), nematodi (Anguillicoloides crassus e larve di Contracaecum sp.), acantocefali allo stadio larvale
e crostacei copepodi (Ergasilus sp.). I risultati di questa indagine hanno mostrato notevoli differenze di ordine
qualitativo e quantitativo nella composizione della parassitofauna in anguille allevate selvatiche.
SUMMARY – The European eel (Anguilla anguilla) is considered globally one of the most important species for
fishery and aquaculture. In recent decades eels have undergone a substantial reduction in natural stocks, either due
to biological factors and because the human impact determined by excessive fishing pressure and progressive
degradation of natural environments. In addition, parasitological problems may be mentioned among the possible
contributory causes of progressive decline of natural stocks of Anguilla anguilla. This parasitological survey,
conducted between October 2010 and March 2011, was aimed to study the parasitofauna of wild and farmed eels in
Italy, with particular attention to the parasites that may have a negative impact on productive indexes and health,
including potential zoonotic agents. Forty-nine eels from an intensive farm located in the province of Ferrara, 8 wild
eels caught in a lagoon located in Gorizia province and one eel caught in Garda Lake (Verona) were examined. All
specimens were subjected to parasitological examination which showed the presence of at least one parasite species
in 94.8% of the eels examined, in particular 93.9% of the farmed eels and all the wild eels. The following parasites
were found: ciliates (Trichodina sp.) flagellates (Cryptobia sp.), myxozoans (Myxidium giardi and Myxobolus sp.),
monogeneans (Pseudodactylogyrus sp. and Gyrodactylus sp.), digeneans (Bucephalus anguillae, Deropristis inflata e
Brachyphallus sp.), nematodes (Anguillicoloides crassus and larval stages of Contracaecum sp.), larval stages of
acanthocephalans and copepod crustaceans (Ergasilus sp.). The results of this survey have shown substantial
qualitative and quantitative differences between the composition of parasitofauna in farmed and wild eels.
Key words: Eel; Anguilla anguilla, Parasitofauna; Italy; Anguillicoloides crassus, Myxidium giardi, Contracaecum
sp.
______________________________
* Corresponding Author: c/o Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Alma Mater Studiorum Università di
Bologna, Via Tolara di sopra, 50 - Ozzano Emilia (BO); Tel.: 051-2097068; Fax: 051-2097039; E-mail:
[email protected]
51
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 51-62
INTRODUZIONE
In Italia, così come in altri paesi europei, l’anguilla europea (Anguilla anguilla) ha
sempre rappresentato una delle specie più importanti per la pesca e per l’acquacoltura.
Considerando il complesso ciclo biologico e le difficoltà tecniche che ancora non
consentono di effettuare la riproduzione dell’anguille in cattività, gli stadi giovanili da
destinare all’allevamento ed al ripopolamento sono sempre stati catturati in natura.
Negli ultimi decenni si è registrata una drastica riduzione degli stock naturali che ha
condotto la Commissione Europea ad emanare, nel 2007, il Regolamento (CE) n.
1100/2007 che ha istituito misure per la ricostituzione dello stock di anguilla europea.
Parallelamente, il CITES (Convention on International Trade in Endangered Species)
nel 2007 ha proposto ed ottenuto l’inserimento – avvenuto nel marzo 2009 dell’anguilla europea nell’allegato II e nel 2008 questa specie è stata inserita nella
IUCN Red List of Threatened Species come “critically endangered”.
La forte riduzione degli stock naturali di anguilla europea registrata negli ultimi
decenni è stata ascritta a numerosi fattori, fra cui in particolare l’impatto antropico
determinato dalle eccessive pressioni di pesca e dal progressivo degrado degli ambienti
naturali. Oltre a ciò, le problematiche di natura parassitologica sono state indicate quali
possibili concause della progressiva diminuzione degli stock naturali di questa specie
ittica.
L’importanza degli agenti parassitari può essere ben rappresentata dall’introduzione e
dalla diffusione del nematode Anguillicoloides crassus nelle popolazioni europee nella
seconda metà degli anni ‘80. Questo parassita ematofago, introdotto in Europa dai Paesi
Asiatici e diffusosi nella maggior parte degli stati europei grazie alla
commercializzazione di stadi giovanili di anguilla a scopo d’allevamento, si è diffuso a
macchia d’olio anche nelle popolazioni allevate e selvatiche di anguille italiane, con
gravi ripercussioni sulle condizioni di benessere e rendimento produttivo. Inoltre,
localizzandosi a livello della vescica natatoria, questo parassita è stato imputato di
causarne alterazioni funzionali così gravi da mettere a rischio la capacità migratoria
delle anguille massivamente parassitate.
Dopo un’intensa produzione scientifica di lavori inerenti la fauna parassitaria delle
anguille selvatiche ed allevate in Italia, fiorita alla fine degli anni ’80 e nella prima metà
degli anni ’90, nell’ultimo decennio le ricerche su tale argomento sono state piuttosto
scarse, ad eccezione dei lavori di Di Cave et al. (2001) e di Culurgioni et al. (2010),
entrambi condotti sulla parassitofauna di anguille selvatiche.
Si è quindi condotta un’indagine parassitologica allo scopo di studiare la
parassitofauna di anguille d’allevamento e selvatiche per poterne definire la
composizione in termini qualitativi e quantitativi ed effettuare considerazioni di
carattere produttivo e sanitario, anche in relazione al potenziale zoonosico di alcuni
agenti parassitari.
MATERIALI E METODI
L’indagine è stata condotta tra ottobre 2010 e marzo 2011 ed ha previsto la
conduzione di 10 campionamenti per un totale di 58 soggetti. In particolare sono state
esaminate 49 anguille provenienti da un allevamento intensivo sito nella provincia di
52
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 51-62
Ferrara, 8 anguille selvatiche pescate in una valle da pesca della provincia di Gorizia ed
un esemplare pescato nel Lago di Garda (Verona) (Tabella 1).
Campione
Data
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Ottobre 2010
Novembre 2010
Novembre 2010
Novembre 2010
Dicembre 2010
Febbraio 2011
Febbraio 2011
Febbraio 2011
Febbraio 2011
Marzo 2011
Legenda: A=adulto; R=ragano
Sito di campionamento
Allevamento Ferrara
Allevamento Ferrara
Allevamento Ferrara
Allevamento Ferrara
Valle da pesca (GO)
Allevamento Ferrara
Allevamento Ferrara
Lago di Garda (VR)
Valle da pesca (GO)
Allevamento Ferrara
TOTALE
Stadio di
crescita
A
A
A
A
A
R
A
A
A
A
N. soggetti
esaminati
2
4
12
3
5
12
12
1
3
4
58
Tabella 1 – Dati relativi a mese e sito di campionamento, stadio di crescita e numero di soggetti esaminati.
Table 1 – Month and sampling site, stage of growth and number of specimens examined.
Tutti i soggetti sono stati sottoposti ad esame parassitologico completo secondo
procedure standard.
Per ogni parassita reperito si registrava la localizzazione ed il numero, al fine di poter
calcolare l’intensità d’infestazione (Bush et al., 1997).
L’identificazione dei protozoi e dei Myxozoa veniva condotta mediante osservazione
diretta dei preparati microscopici e consultazione di chiavi tassonomiche specifiche
(Bykhovskaya-Pavlovskaya et al., 1964; Lom & Dykova, 1992).
Gli elminti venivano invece isolati, puliti in soluzione fisiologica, fissati in alcool
70% e successivamente chiarificati in lattofenolo o glicerina per lo studio delle
caratteristiche morfologiche. Per l’identificazione degli elminti sono stati utilizzati
manuali tassonomici di riferimento (Moravec, 1994; Hoffmann, 1999; Gibson et al.,
2002; Jones et al., 2005; Bray et al., 2008) e lavori scientifici specifici.
RISULTATI E DISCUSSIONE
I risultati degli esami parassitologici hanno permesso di evidenziare differenze nella
composizione della parassitofauna delle anguille selvatiche ed allevate sia in termini
qualitativi che quantitativi.
53
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 51-62
Il 94,8% (55/58) dei soggetti esaminati ha mostrato la presenza di almeno una specie
parassitaria, in particolare il 100% delle anguille selvatiche esaminate (9/9) ed il 93,9%
delle anguille di allevamento (46/49).
L’indagine ha permesso di reperire numerosi taxa parassitari: protozoi ciliati
(Trichodina sp.) e flagellati (Cryptobia sp.), myxozoa (Myxidium giardi e Myxobolus
sp.), elminti monogenei (Pseudodactylogyrus sp. e Gyrodactylus sp.), digenei
(Bucephalus anguillae, Deropristis inflata e Brachyphallus sp.), nematodi
(Contracaecum spp. allo stadio larvale e Anguillicoloides crassus), acantocefali allo
stadio larvale e crostacei copepodi (Ergasilus sp.).
Nella Tabella 2 e nei Grafici 1, 2 e 3 vengono riportati nel dettaglio i risultati delle
analisi parassitologiche condotte su anguille selvatiche e d’allevamento.
Anguille selvatiche (N = 9)
Anguille allevate (N = 49)
Parassiti
N. Positivi Prevalenza (%) N. Positivi Prevalenza (%)
Trichodina sp.
1
11,1
7
14,3
Cryptobia sp.
5
10,2
Myxidium giardi
3
33,3
37
75,5
Myxobolus sp.
7
14,3
Pseudodactylogyrus sp.
1
11,1
18
36,7
Gyrodactylus sp.
3
6,1
Bucephalus anguillae
8
88,8
Deropristis inflata
2
22,2
Brachyphallus sp.
1
11,1
Anguillicoloides crassus
37
75,5
Contracaecum sp. (larve)
3
33,3
Acantocefali (larve)
5
55,5
Ergasilus sp.
1
11,1
Tabella 2 – Percentuali di positività per parassiti osservate nelle anguille selvatiche ed allevate.
Table 2 – Percentages of positivity for parasites in wild and farmed eels.
54
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 51-62
Grafico 1 – Percentuali di positività per parassiti riscontrate in anguille selvatiche e d’allevamento.
Graphic 1 – Percentage of positivity for parasites in wild and farmed eels.
3
2
Grafici 2 e 3 – Percentuali di positività per parassiti riscontrate in anguille d’allevamento (2) e selvatiche (3).
Graphics 2 and 3 – Percentage of positivity for parasites in farmed (2) and wild (3) eels.
La presenza di trematodi digenei è stata riscontrata solo nelle anguille selvatiche,
pressoché in tutti i soggetti esaminati provenienti da ambienti vallivi. Sono stati reperiti
55
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 51-62
digenei appartenenti alle specie Bucephalus anguillae (Bucephalidae) (88,8%) e, in
minor misura, alla specie Deropristis inflata (Deropristidae) (22,3%) ed al genere
Brachyphallus (Hemiuridae) (11,1%).
La specie Bucephalus anguillae risulta già descritta in anguille delle valli di
Comacchio e del Mar Adriatico settentrionale (Dezfuli et al., 2009) e, recentemente, in
Sardegna (Culurgioni et al., 2010). B. anguillae è un parassita specialista che da adulto
vive nell’intestino delle anguille presenti in ambienti marini e salmastri (Gargouri-Ben
Abdallah & Maamouri, 2002). Precedentemente è stata segnalata in Italia la specie B.
polymorphus in anguille provenienti dagli stessi areali (Di Cave et al., 2001) e da
lagune costiere tirreniche (Kennedy et al., 1997).
Il digeneo Deropristis inflata è stato descritto ampiamente fin dalla seconda metà
dell’800 in Italia in anguille selvatiche pescate nelle province di Padova e Trieste
(Molin, 1861; Stossich, 1885). Nel ‘900 è stato poi segnalato in diversi ambienti
acquatici nazionali: in Sardegna (Mola, 1928; Culurgioni et al., 2010), in valli
dell’Emilia-Romagna (Canestri Trotti et al., 1990), nelle Valli di Comacchio (Dezfuli et
al., 1992) ed in lagune del Tirreno e dell’Adriatico (Paggi et al., 1988; Kennedy et al.,
1997; Berilli et al., 2000; Di Cave et al., 2001).
Per quanto concerne i digenei del genere Brachyphallus reperiti in questa indagine, va
innanzitutto specificato che non risultano a tutt’oggi descrizioni di questi parassiti in
anguille presenti sul territorio nazionale. Da un punto di vista morfologico gli esemplari
reperiti presentavano forti similitudini con la specie B. crenatus, descritta nell’anguilla
in Germania (Palm et al., 1999), in Danimarca (Køie, 1988) e nel mar Baltico
(Sulgostowska, 1993). Si tratta di un parassita non specifico dell’anguilla, ma segnalato
in diverse specie di teleostei, la cui ampia diffusione sarebbe da correlare alla
distribuzione del gasteropode Retusa obtusa, che ne rappresenta il primo ospite
intermedio (Køie, 1991).
Fra i parassiti riscontrati esclusivamente nelle anguille selvatiche vanno poi
annoverati i nematodi Anisakidae del genere Contracaecum, che include specie che
riconoscono quali ospiti definitivi pinnipedi e uccelli ittiofagi. L’osservazione
morfologica degli stadi larvali dei nematodi anisakidi reperiti non ha permesso di
giungere ad una loro identificazione a livello di specie, anche se alcuni caratteri
morfologici potrebbero farli riferire a Contracaecum rudolphii, specie descritta da
Mattiucci et al. (2007) e Dezfuli et al. (2009) in anguille di sistemi lagunari salmastri in
Italia.
Inoltre solo in anguille selvatiche sono state riscontrate larve cistacante di
acantocefali. Culurgioni et al. (2010) hanno ipotizzato che alcune larve cistacante di
acantocefali da loro reperite in anguille della laguna di Cagliari, seppure di difficile
identificazione a livello di specie, possano essere riferite alla specie Telosentis exiguus,
di comune riscontro in teleostei lagunari allo stadio adulto e larvale.
Gli altri parassiti riscontrati nelle anguille selvatiche sono rappresentati da singoli
reperti del ciliato Trichodina sp., del monogeneo Pseudodactylogyrus sp. e del
crostaceo copepode Ergasilus sp., nonché dal myxozoo Myxidium giardi trovato sempre
a basse intensità d’infezione.
In relazione a Myxidium giardi, va posto in evidenza come si tratti di un parassita
myxozoa estremamente diffuso nelle anguille selvatiche e d’acquacoltura presenti in
ambienti dulciacquicoli e salmastri. Infezioni massive possono causare gravi episodi di
56
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 51-62
mortalità in assenza di sintomi specifici, mentre in presenza di infezioni croniche sono
state descritte cachessia e letargia, con peggioramento degli indici di crescita
(Kristmundsson & Helgason, 2007).
La presenza di questo parassita è stata comunque osservata con maggiori valori di
prevalenza e di intensità d’infezione nelle anguille allevate. In particolare, in alcuni
soggetti allevati si è rilevata la presenza di oltre 10 cisti/arco branchiale, mentre in
quelli selvatici le cisti erano sempre in quantità minori di 2 cisti/arco.
Fra i reperti parassitari di maggiore rilevanza nelle anguille d’allevamento, oltre al
sopracitato M. giardi va senz’altro citato il nematode Anguillicoloides crassus, reperito
nel 75,5% dei soggetti esaminati.
L’ospite originario di questo parassita sembra essere Anguilla japonica (Kennedy &
Fitch, 1990) e le ipotesi emesse sulla sua comparsa nel contesto europeo la attribuiscono
alle importazioni sia di A. japonica (Lefebvre et al., 2002) sia di A. anguilla (Scholz,
1999). La prima segnalazione italiana risale al 1987 (Canestri Trotti, 1987). Nella
vescica natatoria, organo elettivo di localizzazione, questo parassita può provocare
infiammazione, emorragie, grave fibrosi e rottura della parete (Würzt & Tarashecwski,
2000).
Nel caso di massive infestazioni la funzionalità della vescica natatoria può essere
seriamente compromessa (Kennedy, 2007) e si possono registrare negli animali
parassitati segni clinici quali letargia, lieve anemia e maggiore suscettibilità a stress di
diversa natura.
Il ciclo biologico di questo parassita è indiretto e la sua realizzazione è legata
soprattutto ad ambienti dulciacquicoli o a bassa salinità dove sono presenti gli ospiti
intermedi e paratenici idonei allo sviluppo del parassita (Kennedy et al., 1997). Studi
recenti hanno dimostrato definitivamente l’importanza della salinità quale fattore
limitante per la diffusione di A. crassus (Jakob et al., 2009).
È apparso inoltre interessante il reperto di una percentuale di positività piuttosto elevata
(36,7%) del monogeneo Pseudodactylogyrus sp. nelle anguille d’allevamento.
Questo parassita branchiale è ritenuto una delle cause più comuni di problemi sanitari
negli allevamenti intensivi di anguilla, soprattutto se a ricircolo (Kennedy, 2007), a
causa del ciclo diretto del parassita che si riproduce per oviparità. Nella presente ricerca
i rischi sanitari correlati alla presenza di Pseudodactylogyrus sp. non è stato ritenuto
rilevante alla luce delle basse intensità d’infestazione rilevate (1-2 parassiti/arco
branchiale).
Parimenti anche il ciliato Trichodina sp., riscontrato a livello di branchie e cute nel
14,3% dei soggetti esaminati, ha presentato sempre valori d’intensità molto bassi.
57
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 51-62
B
A
D
C
E
F
G
H
I
Figura 1 - A: spore di Myxidium giardi; B: Trichodina sp.; C: Brachyphallus sp.; D: Bucephalus anguillae;
E: Deropristis inflata; F: vescica natatoria di anguilla parassitata da Anguillicoloides crassus; G: due esemplari adulti
di Anguillicoloides crassus; H: porzione anteriore di larva di terzo stadio di Contracaecum sp.; I: larva cistacanta di
acantocefalo incistata.
Figure 1 - A: spores of Myxidium giardi; B: Trichodina sp.; C: Brachyphallus sp.; D: Bucephalus anguillae; E:
Deropristis inflata; F: swim bladder of eel parasitised by Anguillicoloides crassus; G: two adult specimens of
Anguillicoloides crassus; H: anterior part of Contracaecum sp. third stage larva; I: encysted acanthocephalan
cystacanth larva.
58
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 51-62
Diversamente il flagellato Cryptobia sp., riferibile presumibilmente alla specie
C. branchialis, è stato evidenziato nelle branchie del 55,5% dei soggetti allevati, spesso
con elevate intensità d’infezione. Questo protozoo viene considerato un
ectocommensale opportunista, ma in caso di massive infezioni, come da noi evidenziato
in alcuni soggetti di piccola taglia, è in grado di determinare lesioni branchiali di rilievo
(Lom & Dykova, 1992).
Fra gli altri reperti parassitari riscontrati nelle anguille d’allevamento vanno infine
citati il myxozoo Myxobolus sp. (14,3%) ed il monogeneo Gyrodactylus sp. (6,1%).
Myxobolus sp. è un parassita a ciclo indiretto che prevede diverse specie di oligocheti
quali ospiti intermedi/alternati e che quindi, parimenti a M. giardi, risulta diffuso in tutti
quegli ambienti acquatici in cui questi invertebrati sono presenti.
Gyrodactylus sp. è invece un monogeneo a ciclo diretto che si riproduce per viviparità
e che trova nelle condizioni stesse dell’allevamento intensivo (elevate densità di
biomassa, ecc.) i fattori condizionanti la sua trasmissione e diffusione.
Gli esemplari reperiti sembrano essere riferibili alla specie G. anguillae, già descritto
in passato in Italia nello stesso ospite (Di Cave et al., 2001).
La specie Anguilla anguilla era considerata l’ospite originario di questo parassita, ma
successivamente alcuni studi condotti in Australia su popolazioni di anguille
appartenenti alle specie A. australis e A. reinhardtii hanno fatto ipotizzare che possa
trattarsi di un parassita di origine australiana introdotto accidentalmente nelle
popolazioni europee (Ernst et al., 2000). Nonostante la presenza di questo monogeneo
non sia stata evidenziata con valori di intensità d’infestazione importanti, si deve tenere
presente che la girodattilosi può rappresentare una possibile causa di ridotta
alimentazione e/o anoressia, con conseguenti effetti negativi sugli indici produttivi degli
animali colpiti.
CONCLUSIONI
In base ai risultati di questo studio, la composizione della parassitofauna delle anguille
allevate e di quelle selvatiche ha mostrato notevoli differenze di ordine qualitativo e
quantitativo. Seppur vada tenuto in considerazione il numero ridotto di animali selvatici
esaminati (9 soggetti), appare evidente come in questa categoria i parassiti predominanti
siano rappresentati dal digeneo Bucephalus anguillae e da stadi larvali di acantocefali e
di nematodi del genere Contracaecum, assenti invece nelle anguille d’allevamento. Dati
che risultano in linea con i risultati ottenuti nel corso di recenti indagini parassitologiche
condotte da Culurgioni et al. (2010).
Diversamente, nelle anguille allevate le specie dominanti sono rappresentate dal
nematode Anguillicoloides crassus e dal myxozoo Myxidium giardi, nonostante la
presenza di numerosi parassiti a ciclo diretto (Trichodina sp., Cryptobia sp.,
Pseudodactylogyrus sp. e Gyrodactylus sp.) debba essere considerata un potenziale
rischio sanitario qualora l’intensità d’infezione dovesse presentare valori elevati.
In Italia la mancanza di presidi terapeutici antiparassitari autorizzati per l’acquacoltura
rappresenta un ostacolo per quanto concerne il controllo delle parassitosi, evidenziando
l’importanza di agire in termini preventivi mediante l’applicazione routinaria di buone
procedure igienico-sanitarie e gestionali di allevamento.
59
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 51-62
Riguardo il riscontro di parassiti potenzialmente zoonotici nelle anguille esaminate, va
posta in evidenza la presenza di larve di terzo stadio del nematode anisakide
Contracaecum sp. in tre soggetti selvatici. Sebbene gli ospiti definitivi idonei di questo
parassita negli ambienti dulciacquicoli siano rappresentati da uccelli ittiofagi
(soprattutto cormorani per C. rudolphii), il potenziale zoonosico di alcune specie
Contracaecum (C. multipapillatum) è stato dimostrato mediante prove sperimentali
condotte su conigli (Barros et al., 2004). La localizzazione viscerale delle larve e le
modalità di consumo dell’anguilla nel nostro Paese rendono comunque trascurabile il
rischio zoonotico di questi parassiti.
In conclusione, di particolare interesse da un punto di vista sanitario nelle anguille
d’allevamento appaiono l’anguillicolosi e le parassitosi sostenute da agenti a ciclo
diretto quali i protozoi ciliati e flagellati ed i monogenei. A tal proposito bisogna
considerare che numerosi fattori biotici e abiotici possono favorire l’insorgenza di vere
e proprie malattie parassitarie in grado di causare importanti perdite produttive e, in
taluni casi, episodi di mortalità.
In relazione all’anguillicolosi, che prevede l’intervento di crostacei copepodi e di
pesci rispettivamente quali ospiti intermedi e paratenici nel ciclo biologico del parassita,
solo interventi rivolti all’introduzione di animali indenni ed all’eliminazione/riduzione
di questi organismi nell’acqua di alimentazione e d’allevamento potrebbe risultare
efficace nel controllo della parassitosi. Questi interventi risultano però di difficile
applicazione nelle realtà produttive nazionali, che non prevedono in genere il
trattamento delle acque superficiali in entrata. Diversamente, negli allevamenti
alimentati con acqua di pozzo e negli impianti a ricircolo non sussistono le condizioni
idonee alla realizzazione del ciclo biologico del parassita ed alla sua trasmissione.
Per quanto concerne gli elminti a ciclo indiretto riscontrati nelle anguille selvatiche, la
diffusa presenza, negli ecosistemi naturali, di organismi invertebrati e vertebrati che
possono fungere da ospiti intermedi, paratenici o definitivi nel loro ciclo biologico
giustifica ampiamente i valori elevati di prevalenza riscontrati in questa ricerca.
BIBLIOGRAFIA
Barros L.A., Tortelly R., Pinto R.M. & Gomes D.C. (2004). Effects of experimental infections with larvae
of Eustrongylides ignotus Jäegerskiold, 1909 and Contracaecum multipapillatum (Drasche, 1882) Baylis,
1920 in rabbits. Arq. Bras. Med. Vet. Zootec., 56, 3: 325-332.
Berilli F., Di Cave D., De Liberato C., Kennedy C.R. & Orecchia P. (2000). Comparison of richness and
diversity of parasite communities among eels from Tyrrhenian and Adriatic lagoons. Parassitologia, 42,
(Suppl. 1): 161.
Bray R.A., Gibson D. & Jones A. (2008). Keys to the Trematoda. CAB International and Natural History
Museum, London.
Bush A.O., Lafferty K.D., Lotz J.M. & Shostak A.W. (1997). Parasitology meets ecology on its own
terms: Margolis et al. revisited. J. Parasitol., 83: 575-583.
Bykhovskaya-Pavlovskaya I.E., Gusev A.V., Dubinina M.N., Izyumova N.A., Sokolovskaya I.L., Shtein
G.A., Shulman S.S. & Epshtein V.M. (1964). Key to parasites of freshwater fish of the USSR.
(Translated from Russian). Izdatel’stvı Akademi Nauk SSSR. Moscow-Leningrad.
60
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 51-62
Canestri-Trotti G. (1987). Occurrence of the nematode Anguillicola crassus Kuwahara, Niimi & Itagaki,
1974 in eels from the PO delta, Italy. Bull. Eur. Ass. Fish Pathol., 7: 109-111.
Canestri Trotti G., Cappellaro H., Corradini L., Fioravanti M.L. & Restani R. (1990). Osservazioni
parassitologiche in Anguilla anguilla in Italia. Atti della Società Italiana delle Scienze Veterinarie, 44:
1229-1233.
Culurgioni J., De Murtas R. & Figus V. (2010). Helmint Parasites of European eel Anguilla anguilla L.
from St. Gilla Lagoon (Sardinia, South Western Mediterranean). Ittiopatologia, 7, 2.3: 97-106.
Dezfuli B.S., Fioravanti M.L., Onestini S. & Rossi B. (1992). Deropristis inflata (Platyhelminthes:
Digenea) parasite of Anguilla anguilla (l.): morphology of parasite and intestinal pathology of host.
Parassitologia, 34, (Suppl. 1): 205-206.
Dezfuli B.S., Szekely C., Giovinazzo G., Hills K. & Giari L. (2009). Inflammatory response to parasitic
helminths in the digestive tract of Anguilla anguilla (L.). Aquaculture, 296: 1-6.
Di Cave D., Berilli F., De Liberato C., Orecchia P. & Kennedy C.R. (2001). Helminth communities in
eels Anguilla anguilla from Adriatic coastal lagoons in Italy. J. Helminthol., 75: 7-13.
Ernst I., Fletcher A. & Hayward C. (2000). Gyrodactylus anguillae (Monogenea: Gyrodactylidae) from
anguillid eels (Anguilla australis and Anguilla reinhardtii) in Australia: a native or an exotic? J.
Parasitol., 86, 5: 1152-1156.
Gargouri-BenAbdallah L. & Maamouri F. (2002). Cycle évolutif de Bucephalus anguillae Špakulova,
Macko, Berrilli & Dezfuli, 2002 (Digenea, Bucephalidae) parasite de Anguilla anguilla (L.). System.
Parasitol., 53: 207-217.
Gibson D.I., Jones A. & Bray R.A. (2002). Keys to the Trematoda, Vol. 1. CAB International and
Natural History Museum, London.
Hoffman G.L. (1999). Parasites of North American freshwater fishes. Ithaca, N.Y. Comstock Pub.
Associates.
Jakob E., Hanel R., Klimpel S. & Zumholz K. (2009). Salinity dependence of parasite infestation in the
European eel Anguilla anguilla in northern Germany. International Council for the Exploration of the
Sea, 66, 2: 358-366.
Jones A., Bray R.A. & Gibson D.I. (2005). Keys to the Trematoda. Vol. 2. CAB International and
Natural History Museum, London.
Kennedy CR. (2007). The pathogenic helminth parasites of eels. J. Fish Dis., 30: 319-334.
Kennedy C.R., Di Cave D., Berilli F. & Orecchia P. (1997). Composition and structure of helminth
communities in eels Anguilla anguilla from Italian coastal lagoons. J. Helminthol., 71: 35-40.
Kennedy C.R. & Fitch D.J. (1990). Colonization, larval survival and epidemiology of the nematode
Anguillicola crassus, parasitic in the eel, Anguilla anguilla, in Britain. J. Fish Biol., 36: 117-131.
Køie M. (1988). Parasites in European eel Anguilla anguilla (L.) from Danish freshwater, brackish and
marine localities. Ophelia, 29: 93-118.
Køie M. (1991). Swimbladder nematodes (Anguillicola spp.) and gill monogeneans (Pseudodactylogyrus
spp.) parasitic on European eel (Anguilla anguilla). J. Cons. Int. Explor. Mer., 47: 391-398.
61
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 51-62
Kristmundsson A. & Helgason S. (2007). Parasite communities of eels Anguilla anguilla in freshwater
and marine habitats in Iceland in comparison with other parasite communities of eels in Europe. Folia
Parasitologica, 54: 141-153.
Lefebvre F., Contournet P. & Crivelli A.J. (2002). The health state of the eel swimbladder as a measure of
parasite pressure by Anguillicola crassus. Parasitology, 124: 457-463.
Lom J. & Dyková I. (1992). Protozoan parasites of fishes. Elsevier Science Publishers B.V., Amsterdam:
1-315.
Mattiucci S., Paoletti M., Damiano S. & Nascetti G. (2007). Molecular detection of sibling species in
anisakid nematodes. Parassitologia, 49, 3: 147.
Mola P. (1928). Vermi parassiti dell’ittiofauna italiana. Bollettino della Pesca Piscicoltura e
Idrobiologia, 4, 4: 2-46.
Molin R. (1861). Prodomus faunae helminthologicae Venetae adjectis disquisitionibus anatomics et
critics. Denkscrift. K. k. Akad. Wiss. Wien, 19, 2: 189-338.
Moravec F. (1994). Parasitic Nematodes of freshwater fishes of Europe. Kluwer Academic.
Paggi L., Orecchia P., Catalini N. & Di Cave D. (1988). Elmintofauna di specie ittiche eurialine di
interesse commerciale della laguna di Sabaudia (Latina–Italia). Parassitologia, 30, (Suppl. 1): 126-127.
Palm H.W., Klimpel S. & Bucher C. (1999). Check list of metazoan fish parasites of German coastal
waters. Berichte aus dem Institut fur Meereskunde an der Christain-Alberechts-Universitat, Kiel.
Regolamento (CE) n. 1100/2007 del Consiglio del 18 settembre 2007 che istituisce misure per la
ricostituzione dello stock di anguilla europea. Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea L 248 del
22.9.2007.
Scholz T. (1999). Parasites in cultured and feral fish. Vet. Parasitol., 84: 317-335.
Stossich M. (1885). Brani di elmintologia tergestina, II serie. Boll. Soc. Adriat., vol. IX, cit. da Parona C.
(1894). L’elmintologia italiani da’ suoi primi tempi all’anno 1890. Tipografia del Regio Istituto sordomuti, Genova, 733 pp.
Sulgostowska T. (1993). Parasites of eel, Anguilla anguilla (L.) from south-east Baltic Sea (Poland). Acta
Parasitologica, 38, 2: 82-84.
Würtz J. & Taraschewski H. (2000). Histopathological changes in the swimbladder wall of the European
eel Anguilla anguilla due to infections with Anguillicola crassus. Dis. Aquat. Org., 39: 121- 134.
Tesi 3a classificata ex-aequo al Premio “SIPI 2011”
62
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 63-71
Validazione di una multiplex PCR per l’identificazione
di Vibrio alginolyticus e Vibrio parahaemolyticus e
applicazione allo screening di isolati ittici
Validation of a multiplex PCR for Vibrio alginolyticus and
Vibrio parahaemolyticus identification and use for the screening
of fish isolates
Fabio Zuccon*, Silvia Colussi, Simone Bertuzzi, Laura Serracca1,
Tommaso Scanzio, Marino Prearo, Pier Luigi Acutis
1
Istituto Zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 - 10154 Torino.
Istituto Zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Sezione di La Spezia, Via degli Stagnoni, 96 - 19100
La Spezia.
______________________________
RIASSUNTO - L’identificazione delle specie appartenenti al genere Vibrio con le metodiche tradizionali non risulta
sempre di facile esecuzione, in particolar modo per l’ampia variabilità biochimica che caratterizza i ceppi ambientali.
L’utilizzo di metodi molecolari può pertanto rappresentare un valido aiuto nell’identificazione dei patogeni ittici. A
tale scopo è stata sviluppata e validata una PCR multiplex basata sull’amplificazione del gene della collagenasi di
Vibrio alginolyticus e il gene della emolisina termolabile (tl) di Vibrio parahaemolyticus. Questa PCR è risultata
molto sensibile e specifica e rappresenta un metodo rapido e discriminante per questi due patogeni; applicata allo
screening di isolati ittici in parallelo alle metodiche tradizionali, ha consentito di individuare un livello di
concordanza medio tra i due approcci. L’applicazione della PCR multiplex ha consentito inoltre di rilevare
coinfezioni, erroneamente classificate con le metodiche tradizionali, per il prevalere di un singolo ceppo.
SUMMARY - The detection of Vibrio genus species, using standard microbiological methods, is not always easy to
make and sometimes leads to wrong interpretation, manly because of the great biochemical variability of the
environmental strains. The use of molecular methods may thus be a precise tool for identification of these pathogens.
To overcome ambiguous results a multiplex PCR based on the amplification of the collagenase gene for Vibrio
alginolyticus and of the thermolabile hemolysin (tl) gene for Vibrio parahaemolyticus was developed and validated.
This PCR resulted extremely sensitive and specific and could represent an efficient method for simultaneous detection
of these two pathogens. Moreover the new multiplex PCR was used to compare molecular tool based identification of
Vibrio alginolyticus and Vibrio parahaemolyticus versus conventional standard microbiological methods and for
screening of fish pathogen isolates; a medium rate of agreement between the two approaches was found. Multiplex
PCR allowed also the detection of coinfections otherwise unrecognized by the traditional techniques.
Key words: Vibrio alginolyticus; Vibrio parahaemolyticus; PCR multiplex; Validation.
______________________________
* Corresponding Author: c/o Istituto Zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle D’Aosta, Via Bologna, 148 –
10154 Torino. Tel.: 011-2686367; Fax: 011-2686322; E-mail: [email protected].
63
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 63-71
INTRODUZIONE
Il genere Vibrio comprende batteri Gram negativi estremamente diffusi negli
ecosistemi acquatici. La principale caratteristica di questo genere è la capacità di
provocare nell’uomo gravi intossicazioni alimentari dovute al consumo di pesci e
molluschi crudi o poco cotti: tra di essi un ruolo di primaria importanza quale agente
patogeno spetta a Vibrio cholerae, agente eziologico del colera. Tra i patogeni minori si
possono annoverare: Vibrio parahaemolyticus, causa occasionale di gastroenteriti
dovute all'ingestione di molluschi o crostacei crudi e contaminati (Yeung & Boor,
2004), Vibrio alginolyticus e Vibrio vulnificus, rari agenti infettivi di ferite cutanee o di
sepsi in soggetti immunocompromessi (Coleman et al., 1996; Aubert et al., 2001).
I germi appartenenti al genere Vibrio sono da considerarsi anche tra le principali cause
di mortalità nella fauna ittica, sia d’allevamento che di cattura. Numerosi episodi di
mortalità sono stati descritti in natura a partire dagli anni ’70 (Umbreit & Tripp, 1975),
con gravi perdite sul patrimonio ittico soprattutto in estuari, baie o golfi relativamente
protetti. In acquacoltura episodi gravi di vibriosi si verificano ogni anno soprattutto in
maricoltura, ma alcune di queste specie batteriche sono in grado di causare episodi
morbosi di grave entità anche in impianti con specie ittiche dulciacquicole (Prearo et al.,
2002; Cozzi & Ciccaglioni, 2005).
La classificazione delle Vibrionaceae risulta essere in continua evoluzione; al
momento, in tale famiglia sono compresi numerosi generi, tra i quali quelli che
rivestono maggiore interesse per la patologia ittica sono Vibrio, Listonella e
Photobacterium (Samuelsen et al., 2006; Stephen et al., 2006) di cui vengono
riconosciute numerosissime specie, tutte isolate da ambiente acquatico (Buller, 2004).
Nonostante i vibrioni non abbiano particolari esigenze nutrizionali e crescano bene nei
terreni di coltura comunemente utilizzati, l’identificazione delle varie specie non risulta
sempre di facile esecuzione con le tecniche fenotipiche tradizionali, in particolar modo
per l’ampia variabilità biochimica dei ceppi ambientali.
Lo sviluppo di metodi di biologia molecolare, quali la PCR, ha indubbiamente
favorito la corretta caratterizzazione dei ceppi: diverse metodiche di PCR sono state
infatti messe a punto per l’identificazione delle svariate specie appartenenti al genere
Vibrio (Bej et al. 1999; Kim et al., 1999; Di Pinto et al., 2005).
Nel caso specifico di V. parahaemolyticus e V. alginolyticus i metodi biochimici in
micrometodo, quali le gallerie API, si sono rivelati talvolta poco attendibili
determinando una classificazione di specie errata. Queste due specie presentano inoltre
un’elevata similarità genetica del gene che codifica per rRNA 16S, superiore al 99%,
(Kita-Tsukamoto et al., 1993; Ruimy et al., 1994) che rende inutilizzabile questa
tecnica, comunemente applicata nell’identificazione delle specie batteriche.
Nel presente lavoro viene messa a punto e validata una multiplex PCR per
l’identificazione delle due specie suddette e ne viene successivamente descritto
l’utilizzo su isolati ittici allo scopo di verificare l’attendibilità della caratterizzazione
fenotipica degli isolati nonché la caratterizzazione degli stessi in caso di non
assegnazione di specie.
64
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 63-71
MATERIALI E METODI
Per validare la PCR multiplex sono stati utilizzati 15 ceppi certificati DSMZ
(Deutsche Sammlung von Mikroorganismen und Zellkulturen) e un ceppo certificato
ATCC (American Type Culture Collection) appartenenti al genere Vibrio e al genere
Aeromonas (Tabella 1) e 44 ceppi di campo (14 V. parahaemolyticus, 15
V.
alginolyticus e 15 V. anguillarum).
Vibrio parahaemolyticus
Vibrio alginolyticus
Vibrio anguillarum
Aeromonas allosaccharophila
Aeromonas veronii
Aeromonas ichthiosmia
Aeromonas salmonicida
Aeromonas trota
Aeromonas hydrophila hydrophila
Aeromonas caviae
Aeromonas encheleia
Aeromonas media
Aeromonas hydrophila anaerogenes
Aeromonas bestiarium
Aeromonas enteropatogenes
DSMZ 1027
DSMZ 2171
ATCC 43305
DSMZ 11576
DSMZ 7386
DSMZ 6393
DSMZ 12609
DSMZ 7312
DSMZ 30187
DSMZ 7323
DSMZ 11577
DSMZ 4881
DSMZ 30188
DSMZ 13956
DSMZ 6394
Tabella 1 - Elenco dei ceppi batterici certificati ATCC e DSMZ.
Table 1 – List of certified ATCC e DSMZ bacteria strains.
Vibrio anguillarum ed Aeromonas spp. sono stati inseriti quali controlli negativi; in
particolare germi appartenenti al genere Aeromonas talvolta vengono erroneamente
classificati dal punto di vista fenotipico per la somiglianza al genere Vibrio che li
caratterizza.
I ceppi sono stati coltivati in agar nutritivo (Difco) addizionato al 2% di NaCl. Gli
isolati di campo sono stati identificati biochimicamente mediante gallerie API 20E e
20NE (bioMérieux); sono stati sottoposti a valutazione della sensibilità all’agente
vibriostatico O129 10 µg e 100 µg ed è stata verificata la loro capacità agglutinante con
siero monovalente per V. anguillarum (Bionor Laboratories).
Il DNA è stato estratto mediante tecnica freeze-boiling che prevede incubazioni di 10
minuti alternate a 100°C e –80°C con centrifugazione finale a 13000 rpm per 3 minuti e
prelievo del surnatante. Ciascun campione estratto è stato quantificato mediante lettura
spettrofotometrica a 260 nm e ne è stata valutata la purezza con il calcolo della ratio
(OD260/OD280).
Prima dell’allestimento della multiplex PCR i ceppi sono stati testati con simplex
PCR specifiche per la specie in esame: i ceppi di V. parahaemolyticus sono stati
caratterizzati mediante PCR singola per il gene tl (termolisina termolabile) secondo i
65
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 63-71
protocolli riportati da Bej et al. (1999); i ceppi di Vibrio alginolyticus sono stati definiti
geneticamente mediante amplificazione del gene della collagenasi (Di Pinto et al.,
2005); i ceppi di V. anguillarum sono stati caratterizzati mediante amplificazione del
gene rpoN (Gonzalez et al., 2004).
La reazione di PCR multiplex è stata allestita e validata con l’utilizzo contemporaneo
dei primer specifici per i geni tl e collagenasi che permettono di identificare
rispettivamente V. parahaemolyticus e V. alginolyticus. Le condizioni di PCR sono state
ottimizzate per permettere l’amplificazione dei rispettivi target.
Sequenza dei primer
5’-aaa gcg gat tat gca gaa gca ctg-3’
5’-gct act ttc tag cat ttt ctc tgc-3’
5’-cga gta cag tca ctt gaa agc c-3’
5’-cac aac aga act cgc gtt acc-3’
Target
Emolisina
termolabile (tl)
Collagenasi
Riferimento bibliografico
Bej et al., 1999
Di Pinto et al., 2005
Tabella 2 - Sequenze dei primer utilizzati per la PCR multiplex e PCR simplex dei geni
per l’emolisina termolabile (tl) e la collagenasi.
Table 2 - Sequences of the primers used in multiplex PCR and simplex PCR amplifying
the thermolabile hemolysin (tl) and collagenase genes.
La miscela di reazione, condotta su un volume di reazione pari a 50 µl, era così
composta: Platinum® qPCR Supermix-UDG (Invitrogen), primer 300 nM riportati
(Tabella 2) e circa 150 ng di DNA batterico. La PCR multiplex prevedeva il seguente
profilo termico: 50°C per 2 minuti e 95°C per 2 minuti seguiti da 25 cicli 94°C per 30
secondi, 57°C per 30 secondi, 72°C per 60 secondi e un’estensione a 72°C di 5 minuti.
La rivelazione dei prodotti di PCR, è stata fatta tramite corsa elettroforetica a 80V per
un’ora, su gel di agarosio al 3% con aggiunta di Sybr Safe (Invitrogen). È stato
utilizzato il marcatore di peso molecolare AmpliSize Molecular Ruler (50-2000 pb
Ladder, BIO-RAD).
L’elaborazione delle immagini è stata effettuata mediante Gel
Doc (BIO-RAD).
La PCR multiplex è stata successivamente applicata a 68 ceppi isolati da prodotti
ittici caratterizzati fenotipicamente come V. parahaemolyticus (n=21),
V. alginolyticus (n=47); sono stati inoltre inclusi 23 ceppi caratterizzati come Vibrio
spp. Quali controlli positivi e negativi sono stati utilizzati i ceppi di riferimento DSMZ.
L’analisi dei dati è stata effettuata mediante l’utilizzo del programma informatico
STATA SE 10.
RISULTATI
Come mostrato in Figura 1 (pozzetti 1-15), la PCR multiplex ha correttamente
amplificato un prodotto di 450bp, relativo al gene tl sia nei ceppi di riferimento che
negli isolati ittici caratterizzati biochimicamente come V. parahaemolyticus e ha
evidenziato una banda di 737bp (Figura 3: pozzetti 1-16) del gene collagenasi in quelli
caratterizzati come V. alginolyticus. I campioni non appartenenti alle due specie in
66
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 63-71
esame quali V. anguillarum (Figura 1: pozzetti 16-19 e Figura 2: pozzetti 1-12) e
differenti specie del genere Aeromonas (Figura 4: pozzetti 1-12) non hanno mostrato,
come atteso, alcun prodotto di amplificazione.
La PCR multiplex applicata per l’identificazione di V. parahaemolyticus e V.
alginolyticus si è rivelata di semplice e rapido utilizzo, consentendo un’identificazione
certa del patogeno: la sensibilità e la specificità sono infatti risultate del 100%, calcolate
ad un livello di confidenza del 95%, con limiti inferiori del 86,3% e 85,0%
rispettivamente.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 M 16 17 18 19
450 pb
Figura 1 – PCR multiplex applicata a campioni di Vibrio parahaemolyticus e Vibrio anguillarum. Risulta evidente la
banda amplificata di 450 paia di basi del gene della emolisina termolabile (tl) di Vibrio parahaemolyticus, pozzetti 114, pozzetto 15 Vibrio parahaemolyticus DSMZ 1027, nessun amplificato del Vibrio anguillarum, pozzetti 16-19, M
marker molecolare.
Figure 1 – Multiplex PCR applied to Vibrio parahaemolyticus and Vibrio anguillarum strains. The 450 base pairs
amplified band codifying the thermolabile hemolysin (tl ) of Vibrio parahaemolyticus was detected, lanes 1-14, lane
15 Vibrio parahaemolyticus DSMZ 1027, no amplification of Vibrio anguillarum, lanes 16-19, M molecular weight
ladder.
1
2 3 4 5
6 7 8 9 10 11 12 13 M
Figura 2 - PCR multiplex applicata a campioni di Vibrio anguillarum. Risulta evidente l’assenza di banda, pozzetti 112, M marker molecolare.
Figure 2 - Multiplex PCR applied to Vibrio anguillarum strains. No amplification band, lanes 1-12, M molecular
weight ladder.
67
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 63-71
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 1314 1516 M
737 pb
Figura 3 – PCR multiplex applicata a campioni di Vibrio alginolyticus risulta evidente la banda amplificata di 737
paia di basi, pozzetti 1-15, pozzetto 16 Vibrio alginolyticus DSMZ 2171, M marker molecolare.
Figure 3 – Multiplex PCR applied to Vibrio alginolyticus strains. The 737 base pairs amplicon coded by the
collagenase gene was detected, lanes 1-15,lane 16 Vibrio alginolyticus DSMZ 2171, M molecular weight ladder.
1 2 3 4
5 6 7 8
9 10 11 12 M
Figura 4 – PCR multiplex applicata su ceppi di Aeromonas spp. DSMZ. Risulta evidente l’assenza di banda, pozzetti
1-12, M marker molecolare.
Figure 4 – Multiplex PCR applied to Aeromonas spp. DSMZ strains. No amplification band, lanes 1-12, M molecular
weight ladder.
La PCR multiplex ha confermato l’identificazione biochimica di V. parahaemolyticus
su 14 isolati (58,3%) e di V. alginolyticus su 46 isolati (86,8%). Sette campioni
classificati biochimicamente come V. parahaemolyticus sono risultati, secondo l’analisi
molecolare V. alginolyticus; un campione di V. alginolyticus è risultato V.
parahaemolyticus in disaccordo con i metodi classici; inoltre la PCR di un campione
fenotipicamente V. alginolyticus, ha evidenziato entrambe le bande specifiche di 450 e
737bp, indicando la presenza di co-infezione da V. parahaemolyticus e V. alginolyticus
(Figura 5).
68
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 63-71
L’analisi molecolare dei 23 ceppi di Vibrio spp. ha dato i risultati seguenti: 6
V. alginolyticus (26%), 1 coinfezione (Figura 5) e 16 assenze di banda specifica per
V. parahaemolyticus o V. alginolyticus.
Sulla base del calcolo della concordanza complessiva tra metodi biochimici e metodi
molecolari è stato ottenuto un valore medio di k = 0,5698 (I.C. 95% = 0,3644 -0,7752)
secondo Altman.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
La scelta di mettere a punto una PCR multiplex che consentisse di individuare
facilmente V. parahaemolyticus e V. alginolyticus è stata motivata sia dall’importanza
patologica da essi rappresentata in acquacoltura, sia dal fatto che essi sono tra le specie
più frequentemente isolate da materiale ittico repertato nel nostro territorio di
competenza.
1
2
3
M
4
5
6
737 pb
450 pb
Figura 5 – Rivelazione della coinfezione di Vibrio alginolyticus e Vibrio parahaemolyticus in prodotti ittici mediante
PCR multiplex. Pozzetto 1 controllo PCR, pozzetti 2 e 3 isolati di campo, pozzetto 4 Vibrio alginolyticus DMSZ
2171, pozzetto 5 Vibrio parahaemolyticus DSMZ 1027, pozzetto 6 controllo di estrazione, M marker molecolare.
Figure 5 – Detection of Vibrio alginolyticus and Vibrio parahaemolyticus co-infection in fish products by multiplex
PCR. Lane 1 blank PCR, lane 2-3 isolated strains, lane 4 Vibrio alginolyticus DMSZ 2171, lane 5 Vibrio
parahaemolyticus DSMZ 1027, lane 6 extraction blank, M molecular weight ladder.
PCR simplex erano già state descritte per queste due specie (Bej et al., 1999); inoltre
una PCR multiplex per l’identificazione di V. parahaemolyticus, V. alginolyticus e V.
cholerae, basata sull’amplificazione del gene della collagenasi era stata descritta da Di
Pinto et al. (2005); tuttavia la specificità di questa metodica è stata valutata in un
numero esiguo di campioni e nel nostro caso non ha fornito i risultati attesi per
l’identificazione di V. parahaemolyticus (dati non riportati). Pertanto si è optato per lo
sviluppo di un differente sistema di PCR sempre in multiplex poiché la possibilità di
69
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 63-71
allestire in un’unica reazione il saggio per l’identificazione di due patogeni diversi ha
consentito un minor dispendio economico rispetto alla conduzione di due differenti
PCR simplex.
La comparazione dei metodi svolta nel presente lavoro ha messo in evidenza un
livello di concordanza medio tra metodi molecolari e metodi biochimici per
l’identificazione delle due specie di Vibrio in esame.
La caratterizzazione molecolare ha mostrato una capacità di identificazione superiore
ai metodi biochimici, riuscendo ad attribuire la specie in isolati precedentemente non
classificati con i metodi tradizionali. La PCR multiplex, applicata a isolati ittici, ha
consentito di rilevare in due casi una coinfezione evidenziando ulteriormente
l’inefficacia delle tecniche biochimiche che in tali condizioni conducono invece
all’identificazione di un unico patogeno per il prevalere del fenotipo di una specie su
quella coinfettante.
L’accuratezza e la rapidità rendono pertanto la descritta PCR multiplex uno strumento
estremamente efficace a supporto delle tecniche diagnostiche tradizionali.
RINGRAZIAMENTI
Il presente lavoro è stato eseguito con fondi di Ricerca Corrente del Ministero della
Salute.
BIBLIOGRAFIA
Aubert G., Carricajo A., Vermesch R., Paul G. & Fournier J.M. (2001). Isolation of Vibrio strains in
French coastal waters and infection with Vibrio cholerae non-O1/non-O139. La Presse Médicale, 30, 13:
631-633.
Bej A.K., Patterson D.P., Brasher C.W., Vickery M.C.L., Jones D.D. & Kaysner C.A. (1999). Detection
of total and hemolysin-producing Vibrio parahaemolyticus in shellfish using multiplex PCR
amplification of tl, tdh and trh. J. Microbiol. Methods, 36: 215-225.
Buller N.B. (2004). Bacteria from fish and other aquatic animals: a practical identification manual. CABI
Publishing, Cambridge, MA, USA.
Coleman S.S., Melanson D.M., Biosca E.G. & Oliver J.D. (1996). Detection of Vibrio vulnificus biotypes
1 and 2 in eels and oysters by PCR amplification. Appl. Environ. Microbiol., 62, 4: 1378-1382.
Cozzi L. & Ciccaglioni G. (2005). Vibrioni patogeni veicolati dai prodotti della pesca. In: Rapporti
ISTISAN 05/24: 90-96.
Di Pinto A., Ciccarese G., Tantillo G., Catalano D. & Forte V.T. (2005). A collagenase targeted multiplex
PCR assay for identification of V. alginolyticus, V. cholerae and V. parahaemolyticus.
J. Food
Prot., 68, 1: 150-153.
Gonzalez S.F., Krug M.J., Nielsen M.E., Santos Y. & Call D.R. (2004). Simultaneous detection of marine
fish pathogens by using multiplex PCR and a DNA microarray. J. Clin. Microbiol., 42, 4: 1414-1419.
Kim Y.B., Okuda J., Matsumoto C., Takahashi N., Hashimoto S. & Nishibuchi M. (1999). Identification
of Vibrio parahaemolyticus strains at the species level by PCR targeted to the toxR gene. J. Clin.
70
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 63-71
Microbiol., 37: 1173-1177.
Kita-Tsukamoto K., Oyaizu H., Nanba K. & Shimidu U. (1993). Phylogenetic relationships of marine
bacteria, mainly members of the family Vibrionacea, determined on the basis of 16S rRNA sequences.
Int. J. System. Bacteriol., 43: 8-19.
Prearo M., Agnetti F., Cabra S., Rela E., Panzieri C., Locatelli L., Fariano L. & Ghittino C. (2002).
Segnalazione di vibriosi in trote fario d’allevamento. Boll. Soc. It. Patol. Ittica, 33: 10-17.
Ruimy R., Breittmayer V., Elbaze P., Lafay B., Boussemart O., Gauthier M. & Christine R. (1994).
Phylogenetic analysis and assessment of the genera Vibrio, Photobacterium, Aeromonas, and
Plesiomonas deduced from small-subunit rRNA sequences. Int. J. System. Bacteriol., 44: 416-426.
Samuelsen O.B., Nerland A.H., Jørgensen T., Schrøder M.B., Svåsand T. & Bergh O. (2006). Viral and
bacterial diseases of Atlantic cod Gadus morhua, their prophylaxis and treatment: a review. Dis. Aquat.
Org., 71, 3: 239-254.
Stephens F.J., Raidal S.R., Buller N. & Jones B. (2006). Infection with Photobacterium damselae
subspecies damselae and Vibrio harveyi in snapper, Pagrus auratus with bloat. Aust. Vet. J., 84, 5: 173177.
Umbreit T.H. & Tripp M.R. (1975). Characterization of the factors responsible for death of fish infected
with Vibrio anguillarum. Can. J. Microbiol., 21, 8: 1272-1274.
Yeung P.S. & Boor K.J. (2004). Epidemiology, pathogenesis, and prevention of foodborne Vibrio
parahaemolyticus infections. Foodborne Pathog. Dis., 1, 2: 74-88.
71
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 72
72
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87
SEMINARIO “GARRA DAY”
PER L’UTILIZZO CONSAPEVOLE DI GARRA RUFA (DOCTOR FISH) IN ITTIOTERAPIA E NEI CENTRI ESTETICI
TORINO, 30 MARZO 2012 – CESENATICO (FC), 20 APRILE 2012
Risultati di prove di riproduzione artificiale
di Garra rufa
Results of artificial reproduction trials
of Garra rufa
Giuseppe Bastone*, Andrea Di Biase, Oliviero Mordenti
Corso di Laurea in Acquacoltura e Igiene delle Produzioni Ittiche, Cesenatico (FC)
______________________________
RIASSUNTO - Una popolazione di Garra rufa proveniente dalla regione del Kangal in Turchia è stata indagata al
fine di identificare i principali parametri biologici, morfologici e riproduttivi della specie. Tale studio si pone
l’obiettivo di costituire uno stock di adulti da mantenere e riprodurre in cattività per una sua moltiplicazione su
grande scala al fine di fornire sul territorio nazionale, e non solo, pesci esclusivamente appartenenti alla specie in
questione da utilizzare nei trattamenti a scopo medico ed estetico.
SUMMARY - A Garra rufa population from the region of Kangal in Turkey has been investigated in order to identify
the main biological, morphological and reproductive parameters of the species. This study aims at establishing a
stock of adults to maintain and reproduce in captivity for its multiplication on a large scale in order to provide the
national territory, and beyond, only with fish of the species, to be used in medical and aesthetic treatments.
Key words: Garra rufa; Doctor Fish; Artificial reproduction.
______________________________
* Corresponding Author: c/o Università Alma Mater Studiorum di Bologna, Corso di Laurea in Acquacoltura e Igiene
delle Produzioni Ittiche, via Doria, 5 - Cesenatico (FC); E-mail: [email protected]
73
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87
FINALITA’ DELLA RICERCA
Il crescente interesse verso i Doctor Fish e la pratica dell’ittioterapia spinge i
distributori europei ad acquistare questi pesci principalmente dai paesi asiatici. Tuttavia,
molto spesso alcune specie, come il “Chin-Chin” (Tilapia sp.), vengono spacciate e
quindi vendute come Garra rufa. Questi pesci non svolgono la stessa azione curativa e
possono risultare addirittura dannosi per la salute umana. A livello scientifico, inoltre,
esistono scarse informazioni sulla biologia (Akpinar & Aksoylar, 1988; Yalcin-Ozdilek
& Ekmekci, 2006) e in particolar modo sulla riproduzione di questa specie mantenuta in
ambiente controllato (Sundarabarathy et al., 2005).
A tal proposito una popolazione di Garra rufa proveniente dalla regione del Kangal in
Turchia è stata indagata al fine di identificare i principali parametri biologici,
morfologici e riproduttivi della specie.
Tale studio si pone l’obiettivo di costituire uno stock di adulti da mantenere e
riprodurre in cattività per una sua moltiplicazione su grande scala. La standardizzazione
di tale tecnica permetterà, inoltre, di fornire sul territorio nazionale e non solo, pesci
esclusivamente appartenenti alla specie in questione da utilizzare nei trattamenti a scopo
medico ed estetico.
MATERIALI E METODI
La prova ha preso avvio nell’ottobre 2009 con l’acquisto di 200 giovanili di Garra
rufa provenienti dalla Turchia. Dopo averne accertato lo stato generale di salute, gli
esemplari sono stati sottoposti a un test di caratterizzazione genetico-molecolare
mediante moderne tecniche (loci microsatelliti e AFLP già disponibili in letteratura)
previo campionamento di tessuti che non pregiudicano la sopravvivenza dell’animale
(microcampionatura della pinna dorsale o caudale). Gli individui sono stati genotipizzati
al fine di confermare l’effettiva appartenenza alla specie oggetto di studio (Ergene
Gözükara & Cavas, 2004).
I pesci sono stati, in seguito, introdotti in un impianto a ricircolo presente all’interno
della serra ittiologica del Corso di Laurea in Acquacoltura e Igiene delle Produzioni
Ittiche di Cesenatico (FC). Dopo un periodo di ambientamento si è dato inizio al
programma alimentare che ha portato i pesci al raggiungimento della fase adulta e della
maturità sessuale in circa 8 mesi.
Scelta dei riproduttori
Una volta raggiunta la fase adulta, i soggetti di taglia maggiore sono stati raccolti per
le prove di riproduzione. Dopo essere stati anestetizzati con un bagno in fenossietanolo
(0,1 cc/l di acqua) si è proceduto al sessaggio dei soggetti.
Le femmine si distinguevano per la papilla genitale arrossata e per la conformazione
addominale più arrotondata (Figura 1), dovuta alla maggiore voluminosità delle ovaie
rispetto ai testicoli, mentre i maschi si distinguevano per una conformazione più
slanciata del corpo. Questo metodo di selezione è stato necessario in quanto i pesci,
anche se sessualmente maturi, non presentano dimorfismo sessuale.
74
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87
Dagli stock di riproduttori raccolti sono stati scartati i soggetti che non presentavano
caratteristiche idonee alla riproduzione: sono state eliminate le femmine che non
presentavano addome rigonfio e morbido mentre, per i maschi, la selezione è avvenuta
sulla base del grado di maturità dei gameti trattenendo solamente i soggetti che
risultavano “fluenti” (emissione di liquido seminale) in seguito a pressione addominale.
Nel corso della verifica sono stati selezionati per la prova un totale di 154 pesci (56
soggetti di sesso femminile e 98 pesci di sesso maschile).
Figura 1 – Femmina con evidente conformazione addominale arrotondata.
Figure 1 - Female of Garra rufa with obvious rounded shape of abdomen.
75
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87
I riproduttori, prima della riproduzione, sono stati mantenuti suddivisi per sesso per 3
settimane e stabulati in due vasche della capacità di 200 litri ciascuna funzionante a
ciclo chiuso e dotata di sistema di filtraggio meccanico-biologico, di aerazione e di
regolazione della temperatura dell’acqua (Figura 2).
Condizionamento ambientale
Durata: 3 settimane
Temperatura: 27±1°C
Fotoperiodo: 14 h luce/10 h buio
Maschi
Femmine
Tesi G-NF
Tesi G-N2F
Tesi G-AN
Tesi G-A
Figura 2 – Schema del programma riproduttivo adottato su Garra rufa.
Figure 2 - Scheme of the reproductive program adopted about Garra rufa.
76
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87
Determinazione dei parametri biometrici
Ai pesci utilizzati per la sperimentazione è stato rilevato il parametro peso (Figura 3)
utilizzando una bilancia elettronica specifica per animali vivi con grado di precisione ±
0,01 g e la lunghezza totale mediante calibro digitale (Figura 4).
Figura 3 - Pesatura di un adulto di Garra rufa.
Figure 3 - Weighing of a Garra rufa adult.
Figura 4 - Misurazione della lunghezza di un adulto di Garra rufa.
Figure 4 - Measurement of the length of an adult of Garra rufa.
77
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87
Dal parametro peso e lunghezza è stato, inoltre, determinato l’indice di Condizione K,
espresso dalla formula:
3
Indice Condizione K = W100/LT
dove: W = peso in grammi
LT = lunghezza totale in centimetri
Tale rapporto varia a seconda della specie ittica considerata, in quanto pesci di forma
più slanciata hanno valori più bassi ma, in ogni caso, evidenzia in modo efficace la
condizione corporea del pesce esaminato e quindi il suo stato nutrizionale.
Il fattore di condizione risulta dunque influenzato da innumerevoli situazioni
ambientali e, soprattutto trofiche; esso esprime quantitativamente lo stato di maggiore o
minore benessere degli individui in relazione alla loro corposità.
Asportazione delle gonadi
Otto soggetti (4 maschi e 4 femmine) sono stati sacrificati con un bagno in overdose
di fenossietanolo (0,5 cc/l di acqua) e sottoposti a biopsia ovarica
(Figura 5) per la
determinazione dell’Indice Gonado-Somatico (IGS) iniziale (100 x
Figura 5 – Soggetto di sesso femminile (sopra) e maschile (sotto) con gonadi in buono stato di maturazione.
Figure 5 – Female subject (above) and male (below) with gonads in a good state of maturation.
78
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87
peso gonade/peso totale soggetto) (Frenkel & Goren, 1997) e l’individuazione dello
stato di maturazione gonadica attraverso l’osservazione con microscopio binoculare di
campioni di tessuto ovocitario.
Il livello di maturazione è stato determinato utilizzando le indicazioni di Frenkel &
Goren (1997):
- Stadio 1: vescicola germinale in posizione centrale (oogonia)
- Stadio 2: inizio migrazione della vescicola germinale (primary oocytes)
- Stadio 3: termine migrazione vescicola germinale (secondary oocytes)
- Stadio 4: vescicola germinale in posizione periferica (mature ova).
Nell’occasione sono stati inoltre determinati:
• peso medio delle gonadi;
• numero medio di oociti/g di gonade;
• numero medio di oociti/femmina.
Predisposizione delle tesi sperimentali
Al fine di ottenere la deposizione dei gameti, tutti i soggetti sono stati portati ad un
regime ambientale che prevedeva un fotoperiodo lungo (14 ore di luce/10 ore di buio) e
una temperatura dell’acqua di 27 ± 1°C; tali condizioni sono state mantenute per tutta la
durata della prova.
Per la sperimentazione sono state eseguite quattro metodiche riproduttive ciascuna
replicata in doppio (Figura 2):
- la prima (Tesi G-NF) prevedeva il mantenimento di 28 maschi e 14 femmine
(sex ratio 2:1) equamente suddivisi in 2 acquari della capacità di 150 litri
caratterizzati da fondo costituito da ciottoli di fiume (2-6 cm di diametro). I
pesci sono stati mantenuti per 48 ore nelle medesime vasche, in attesa della
riproduzione naturale, dopodiché gli animali sono stati rimossi dagli acquari;
- la seconda (Tesi G-N2F) prevedeva il mantenimento di 28 maschi e 14
femmine (sex ratio 2:1) equamente suddivisi in 2 acquari della capacità di 150
litri caratterizzati da fondo in rete metallica rialzato di 15 cm sul quale erano
posizionati ciottoli di fiume. Anche in questo caso i pesci sono stati mantenuti in
acquario per 48 ore in attesa della riproduzione naturale, dopodiché gli animali
sono stati rimossi.
L’utilizzo del doppio fondo aveva lo scopo di favorire il passaggio e di
conseguenza l’allontanamento delle uova appena deposte dai riproduttori;
- la terza (Tesi G-AN) prevedeva il mantenimento di 28 maschi e 14 femmine
(sex ratio 2:1) equamente suddivisi in 2 acquari della capacità di 150 litri
caratterizzati da fondo costituito da ciottoli di fiume. Prima della loro
immissione in vasca le femmine sono state sottoposte ad induzione ormonale
mediante trattamento con ipofisi di carpa, mantenute per 24 ore nelle medesime
vasche in attesa della riproduzione naturale, dopodiché gli animali sono stati
rimossi;
- la quarta (Tesi G-A) prevedeva il mantenimento di 14 maschi e 14 femmine
(sex ratio 1:1) mantenuti separati in 2 acquari della capacità di 150 litri
caratterizzati da assenza di fondo. Prima della loro immissione in vasca le
femmine sono state sottoposte ad induzione ormonale mediante trattamento con
ipofisi di carpa. Al termine del periodo di latenza gli animali sono stati
79
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87
sottoposti alla pratica della riproduzione artificiale mediante tecnica “a secco”
(Billard, 1995).
Le ipofisi utilizzate presentavano un peso variabile di 2-7 mg ciascuna, erano
disidratate in acetone e conservate in ambiente secco. L'estratto ipofisario per l'iniezione
è stato preparato immettendo la quantità di ipofisi prestabilita in un piccolo
omogenizzatore congiuntamente a soluzione fisiologica (Figura 6).
La sospensione così ottenuta, qualora non iniettata immediatamente, può essere
conservata in frigorifero a 4°C per molte ore (Rothbard, 1981).
La sospensione così ottenuta, qualora non iniettata immediatamente, può essere
conservata in frigorifero a 4°C per molte ore (Rothbard, 1981).
Figura 6 – Preparazione dell’estratto ipofisario.
Figure 6 - Preparation of the extract of pituitary.
80
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87
Figura 7 - Bagno in acqua contenente fenossietanolo.
Figure 7 - Water bath containing phenoxyethanol.
Figura 8 - Iniezione con estratto ipofisario.
Figure 8 - Injected with pituitary extract.
81
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87
I dosaggi ormonali utilizzati sono stati pari a 5 µg/g peso vivo; per le iniezioni sono
state utilizzate siringhe da 1 cc, utilizzate solitamente in campo umano per la
somministrazione di insulina. Al fine di ridurre l'effetto stressante di questi trattamenti, i
riproduttori, prima di essere iniettati, sono stati sottoposti ad un bagno in acqua
contenente fenossietanolo (Figura 7) alla dose di 0,1 cc/l di acqua (Myszkowski et al.,
2003).
L'iniezione è stata praticata sulla porzione superiore del muscolo dorsale nell'area
immediatamente posteriore alla pinna dorsale (Figura 8).
Lo stato di torpore dovuto all'anestesia si è risolto rapidamente una volta liberati i
pesci nelle vasche da cui erano stati prelevati e nelle quali sono rimasti fino al momento
della spremitura (Figura 9).
Figura 9 – Fase di spremitura.
Figure 9 - Squeezing phase of the Garra rufa female.
In occasione della fase di riproduzione artificiale a secco sono stati determinati i
seguenti parametri:
- periodo di latenza (ore);
- numero di femmine che hanno deposto;
- quantitativo totale di uova ottenute (g);
82
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87
- quantitativo di uova/femmina (g);
- numero medio di uova in 1 g di peso;
- numero di uova/femmina;
- diametro medio delle uova (mm);
- durata dello sviluppo embrionale (gradi/giorno).
RISULTATI E DISCUSSIONE
I parametri biometrici evidenziano un maggiore sviluppo dei soggetti di sesso
femminile rispetto a soggetti maschili di pari età: per le femmine, infatti, i valori
registrati sono risultati 7,23 ± 1,61 g di peso medio e 79,1 ± 5,8 mm di lunghezza totale
mentre, per i maschi i valori registrati sono stati rispettivamente di 4,89 ± 1,06 g e 73,4
± 5,4 mm (Tabella 1).
Il fattore di Condizione K è risultato pienamente favorevole al parametro peso in
entrambe i sessi. I maschi, tuttavia, hanno presentato valori inferiori rispetto alle
femmine grazie alla conformazione maggiormente slanciata che favorisce il parametro
lunghezza (Tabella 1).
L’IGS delle femmine è risultato pari a 13,53±2,63 e 5,19±0,60 nei maschi (Tabella 1).
Questi valori evidenziando il buono stato di maturazione gonadica dei soggetti
esaminati di entrambe i sessi e risultano pienamente in linea con una popolazione
ciprinicola in periodo riproduttivo (Billard, 1995).
Peso medio (g)
Lunghezza media (mm)
Indice K
IGS
Maschi ♂
4,89±1,06
73,4±5,4
1,22±0,11
5,19±0,60
Femmine ♀
7,23±1,61
79,1±5,8
1,44±0,13
13,53±2,63
Tabella 1 – Valori medi e deviazione standard di peso, lunghezza, indice K e Indice gonado-somatico (IGS)
soggetti in sperimentazione.
Table 1 - Mean values and standard deviation of weight, length, index K and gonad-somatic index (IGS)
subjects being tested.
nei
in
L’osservazione al microscopio dei campioni di tessuto gonadico ha messo in evidenza
in tutti i soggetti la presenza di 3 stadi di maturazione ovarica (Figura 10). Sono stati
individuati oociti primari (II), oociti secondari (III) ed è stata registrata la presenza di
oociti maturi (IV), indice di una buona attività gametogenetica da parte delle femmine
grazie ad un idoneo programma di condizionamento ambientale adottato per la
sperimentazione.
83
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87
La presenza contemporanea di più stadi ovocitari fa inoltre rientrare Garra rufa nelle
specie a maturazione “asincrona”. Questa caratteristica solitamente garantisce periodi di
riproduzione lunghi che possono protrarsi anche per parecchi mesi ed è tipica di altre
specie che vivono ambienti residuali e “difficili” come Aphanius fasciatus (Mordenti et
al., 2007).
Figura 10 – Immagini al microscopio di oociti con diversi stadi di maturazione.
Figure 10 - Microscope images of oocytes with different stages of maturation.
Il numero medio di oociti per grammo di gonade è risultato di 960 ± 59 (Tabella 2)
che corrisponde ad una potenzialità produttiva di circa 1.000 uova/femmina (941 ± 58),
valore che risulta, in proporzione, notevolmente superiore con quanto osservato da
Billard (1995) in ciprinidi termofili di origine asiatica (carpa testa grossa ed argento),
mentre risulta inferiore rispetto a femmine di Tilapia zillii (1350 uova) della medesima
taglia (El-Sayed & Moharram, 2007).
IGS
Stadio di maturazione
Peso medio gonade (g)
N° medio oociti/g gonade
N° medio oociti/femmina
13,53±2,63
II-IV
0,98±0,25
960±59
941±58
Tabella 2 – Valori medi e deviazione standard del peso delle gonadi, dello stadio di maturazione, del numero di oociti
per grammo di gonade e per femmina.
Table 2 – Mean values and standard deviation of the weight of the gonads, of their stage of maturation, the number
of oocytes per gram of gonad and for female.
84
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87
Per quanto riguarda la riproduzione, la tesi G-NF ha fatto registrare una produzione di
larve pari a 7 e 19 soggetti, la tesi G-N2F ha portato alla produzione di 141 e 116 larve,
mentre nelle tesi G-AN il numero di pesci ottenuto è stato di 16 e 6. Solamente la tesi
G-A, che prevedeva la riproduzione artificiale a secco, non ha portato alla produzione di
larve.
In termini numerici, i risultati migliori, quindi, si sono ottenuti adottando la
riproduzione naturale su doppio fondo (G-N2F) mentre non sono state registrate
differenze tra le tesi G-NF e G-AN.
La maggiore fecondità in G-N2F, può essere giustificata dall’impossibilità da parte
dei riproduttori di poter cibarsi delle uova deposte. In questo caso, infatti, le uova
appena emesse e fecondate raggiungevano istantaneamente il fondo dell’acquario
rimanendo separate dai riproduttori. Durante la sperimentazione, inoltre, è stata
verificata da parte degli operatori la forte voracità dei riproduttori G-NF e G-AN nei
confronti delle uova appena emesse.
Questo forte cannibalismo può, infine, aver mascherato l’effetto dell’induzione
ormonale e l’eventuale differenza di produttività tra le femmine non trattate (G-NF) e
quelle trattate con ipofisi di carpa (G-AN).
Per quanto riguarda la tesi G-A, i risultati del tutto negativi in termini di numero di
larve ottenute non oscurano le numerosi informazioni di carattere biologico ottenute
adottando la riproduzione artificiale.
L’assenza di larve, infatti, non è derivata dal mancato ottenimento delle uova, ma
esclusivamente dalla difficoltà che è stata registrata in occasione della fase di
fecondazione.
Il numero di femmine che hanno raggiunto l’ovulazione mediante spremitura manuale
è risultato di 12 su 14 (85,7%), garantendo una produzione totale di 11,3 g di uova.
Peso medio femmine
Periodo di latenza (h)
Femmine che hanno deposto
Totale g uova
g uova/femmina
N° uova/g
N° uova/femmina
Diametro uova (mm)
Durata sviluppo embrionale
(gradi/giorno)
7,53±1,81
da 9 a 12
12 su 14 (85,7%)
11,3±1,12
0,94±0,09
607±89
571±84
1,05±0,1
46±9
Tabella 3 – Quadro generale della deposizione delle femmine trattate.
Table 3 – Overview of the deposition of the females treated.
85
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87
In termini numerici il quantitativo di uova ottenuto da ciascuna femmina è risultato di
571 ± 84 (Tabella 3), valore che corrisponde a circa il 60% del potenziale produttivo
della specie.
Il diametro delle uova è risultato molto elevato rispetto alla dimensione degli animali
(1,05 ± 0,1 mm).
Dall’analisi al microscopio si è potuto, inoltre, constatare la completa assenza di
mucoproteina colloidale e/o di filamenti adesivi sul guscio, aspetto che solitamente
caratterizza la maggior parte delle uova di ciprinidi.
Attraverso l’osservazione delle uova presenti sotto il doppio fondo (Tesi G-N2F) è
stato possibile, infine, risalire alla durata dello sviluppo embrionale (46 ± 9
gradi/giorno).
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
La sperimentazione ha dimostrato che gli aspetti riproduttivi del Garra rufa possono
essere controllati in ambiente artificiale. La specie ha evidenziato, infatti, una perfetta
capacità di adattamento alla cattività, dote indispensabile per un processo produttivo di
tipo acquacolturale ed una positiva risposta al programma di condizionamento
ambientale adottato che ha portato all’emissione spontanea dei gameti di una buona
parte dei pesci trattati.
La sperimentazione ha, inoltre, evidenziato come il forte cannibalismo degli animali
nei confronti delle uova emesse rischia di compromettere il risultato in termini di
numero di larve prodotte.
L’utilizzo della tecnica di riproduzione artificiale a secco, infine, ha messo in luce sia
la sensibilità della specie al trattamento ormonale adottato, sia l’elevato potenziale
riproduttivo degli animali, ma altresì, ha dimostrato l’inadeguatezza di tale metodica
nella fase di fecondazione delle uova. A tal proposito è utile evidenziare una certa
difficoltà nella manipolazione di soggetti di taglia ridotta soprattutto in fase di raccolta
dei gameti maschili.
BIBLIOGRAFIA
Akpinar M.A. & Aksoylar M.Y. (1988). Effects of temperature, dietary fatty acids and starvation on the
fatty acid composition of Garra rufa (Heckel, 1843). Doga TU Biyol. Dergisi (Ankara), 12: 1-8.
Billard R. (1995). Les carpes: biologie et élevage. INRA ed., Paris.
El-Sayed H.K.A. & Moharram S.G. (2007). Reproductive biology of Tilapia zillii (Gerv, 1848) from Abu
Qir Bay, Egypt. Egypt. J. Aquat. Res., 3: 379-394.
Ergene Gözükara S. & Cavas T. (2004). A karyological analysis of Garra rufa (Heckel, 1843) (Pisces,
Cyprinidae) from Eastern Mediterranean River Basin in Turkey. Turk. J. Vet. Anim. Sci., 28: 497-500.
Frenkel V. & Goren M. (1997). Some environmental factors affecting the reproduction of Aphanius
dispar (Rüppell, 1828). Hydrobiol., 347: 197-207.
86
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87
Mordenti O., Scaravelli D., Trentini M., Zaccaroni A. & Gamberoni M. (2007). Prove di riproduzione
artificiale di Aphanius fasciatus mediante condizionamento ecofisiologico ed induzione ormonale. Atti
XXXVIII SIBM, S. Margherita Ligure, Italy: 124-125.
Myszkowski L., Kaminsky R. & Wolnicki J. (2003). Response of juvenile tench Tinca tinca (L.) to the
anaesthetic 2-phenoxyethanol. J. Appl. Ichthyol., 19: 142-145.
Rothbard S. (1981). Induced reproduction in cultivated cyprinids – the common carp and the group of
Chinese carps: 1. The technique of induction, spawning and hatching. Isr. J. Aquaculture-Bamidgeh, 33:
103-121.
Sundarabarathy T.V., Edirisinghe U. & Dematawewa C.M.B. (2005). Breeding and larval rearing of
threatened, endemic fish stonesucker, Garra ceylonensis (Bleeker). Aquaculture Res., 36: 196-201.
Yalcin-Ozdilek S. & Ekmekci F. (2006). Preliminary data on the diet of Garra rufa (Cyprinidae) in the
Asi basin (Orontes), Turkey. Cybium, 30, 2: 177-186.
87
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 88
88
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 89-90
Elenco dei soci sostenitori
della Società Italiana di Patologia Ittica:
Az. Agr. Canali Cavour di Fariano Lucio
Centallo (CN)
Azienda Agricola Rio Fontane di Fuselli Marco & C.
Istrana (TV)
Azienda Ittica “Il Padule” di Fornaciari Argo
Castiglione della Pescaia (GR)
Troticoltura Foglio Angelo s.s.
Storo (TN)
89
ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 89-90
Elenco degli sponsor della
Società Italiana di Patologia Ittica:
Associazione Piscicoltori
Italiani (A.P.I.)
Verona
Biomar Group Italia
Monastier di Treviso (TV)
EuroFishmarket
Castel Maggiore (BO)
Fatro S.p.A.
Ozzano Emilia (BO)
La Casetta in Canada
Settimo Torinese (TO)
Lamar Udine S.n.c.
Remanzacco (UD)
Skretting Italia
Hendrix S.p.A.
Mozzecane (VR)
Veronesi S.p.A.
Verona
Università degli Studi di Udine
Istituto Zooprofilattico Sperimentale
del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta
Torino
90