Transazioni, parcelle variabili

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Transazioni, parcelle variabili
DIR ITTO & SOCIETÀ
Lunedì 22 Aprile 2013
VII
La Cassazione spinge verso il basso gli onorari; il dm parametri invece li eleva
Transazioni, parcelle variabili
L’indeterminatezza dovuta a due posizioni contrastanti
DI
Pagina a cura
ANTONIO CICCIA
P
endolo dei compensi degli avvocati a
seguito di accordo
bonario. Si abbassa il valore dello scaglione
che serve per determinare
il compenso, anche se l’esito conciliativo può portare
a un aumento.
L’altalena degli onorari è
sospinta verso il basso da
una sentenza della Corte
di cassazione (sentenza n.
3660 del 14 febbraio 2013)
e contemporaneamente verso l’alto dal decreto sui parametri per la liquidazione
giudiziale dei compensi (dm
140/2012).
Secondo la sentenza della Cassazione, in una lite
conclusasi con transazione,
non c’è un vincitore e non
c’è un perdente: ci sono due
parti sullo stesso piano che
si sono fatte reciproche concessioni. Conseguentemente nella determinazione
degli onorari dell’avvocato
la determinazione del valore della causa va compiuta
conteggiando alla somma
effettivamente corrisposta,
e non a quella originariamente richiesta.
Le somme indicate nelle
citazioni e nei ricorsi sono
superate dalle successive
transazioni e non possono
costituire il parametro di riferimento circa la determinazione del valore del giudizio. Per la cassazione si
deve ritenere più razionale
e congruo tenere conto della
diversa somma accettata in
sede di transazione.
Stessa regola è stata dettata dalla Cassazione in
un caso analogo: in tema
di liquidazione degli onorari professionali a favore
dell’avvocato, il principio
generale secondo cui il valore della causa si determina
in base alle norme del codice di procedura civile avendo riguardo all’oggetto della domanda considerato al
momento iniziale della lite,
trova un limite alla sua applicabilità nei casi in cui, ai
momento dell’instaurazione
del giudizio, non sia possibile indicare la quantificazione; ad esempio nelle controversie per risarcimento
danni, per le quali, il più
delle volte, la domanda di
condanna è formulata con
riserva di quantificazione
in corso di giudizio.
Se si deve prendere a
riferimento il valore della
transazione finale, e non
quello più alto della domanda iniziale, è evidente che
la liquidazione giudiziale
dei compensi subisce una
decurtazione.
Quindi il livello degli onorari va verso il basso.
Quasi a compensare, va,
però, sottolineato che, ai
sensi del decreto ministeriale 140/2012, «quando
l’affare si conclude con una
conciliazione, il compenso è
aumentato fino al 40% rispetto a quello altrimenti
liquidabile». Quindi seppure nel scaglione relativo a
un valore ridotto, il compenso può essere liquidato dal
giudice computando l’incremento fino al 40%.
Il valore percentuale è un
valore massimo e quindi potrebbe anche essere contenuto nei minimi termini.
Naturalmente le regole che
si stanno illustrando riguardano i casi in cui l’onorario
non sia stato predeterminato
nel contratto tra avvocato e
cliente.
La regola, nei rapporti reciproci, infatti è quella del
libero mercato. A questo proposito è meglio che il legale e
il proprio assistito prevedano nel contratto di incarico
professionale una apposita
clausola.
Seguendo le indicazioni del
Consiglio nazionale forense,
si può pensare a una clausola come la seguente: «In
caso di accordo transattivo,
oltre al compenso per l’attività effettivamente svolta, si
concorda una somma pari a
euro ...»
Anche per questo aspetto, l’abbandono del sistema
tariffario affida al mercato
e, quindi, alle parti di negoziare il compenso.
D’altro canto c’è una ragione che incentiva il professionista a stendere il
contratto vincolante per il
cliente: il contratto stipulato e accettato e, quindi,
la clausola sui compensi in
caso di transazione è vincolante anche per il magistrato.
L’articolo 1 del decreto
140/2012 prevede, infatti,
che l’organo giurisdizionale
che deve liquidare il compenso dei professionisti applica i parametri, ma solo
in difetto di accordo tra le
parti in ordine allo stesso
compenso. Questo significa
che il giudice deve valutare
innanzitutto se sia stato stipulato un contratto valido
tra le parti; in questo caso
deve applicare il contratto e
non può passare alla applicazione dei parametri.
L’interesse del professionista a bloccare la discrezionalità giudiziale nella determinazione del compenso
è molto alto.
Si noti, infatti, che i parametri stabiliti dal decreto
140/2012 innanzitutto non
sono vincolanti nemmeno
per il giudice, che può discostarsene nei casi concreti; in secondo luogo i parametri sono fissati con una
forbice molto ampia tra il
valore più basso e il valore
del maggiore incremento.
Le cose non cambiano con
la legge di riforma della
professione forense (legge
247/2012) che stabilisce la
regola per cui il compenso
spettante al professionista è
pattuito di regola per iscritto all’atto del conferimento
dell’incarico professionale e
che la pattuizione dei compensi è libera.
Solo nel caso in cui il compenso non sia stato determinato dalle parti in forma
scritta si applicheranno i parametri che dovranno essere
fissati nel decreto emanato
dal ministro della giustizia, su proposta del Consiglio nazionale forense, ogni
due anni. Si ricorda, infine,
un’altra regola prevista dalla legge di riforma forense in
caso di accordo tra i litiganti: quando una controversia
oggetto di procedimento giudiziale o arbitrale viene definita mediante accordi presi
in qualsiasi forma, le parti
sono solidalmente tenute al
pagamento dei compensi e
dei rimborsi delle spese a
tutti gli avvocati costituiti
che hanno prestato la loro
attività professionale negli
ultimi tre anni e che risultino ancora creditori, salvo
espressa rinuncia al beneficio della solidarietà.
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LO HA STABILITO LA SUPREMA CORTE
Se l’avvocato sbaglia niente compenso
L’attività conta e deve garantire una chance di vittoria al cliente
A
vvocato pagato se garantisce
almeno una chance di vittoria; non ha diritto al compenso se ha svolto attività che
si rivelano a posteriori inutili per il
cliente.
Con una sentenza rivoluzionaria
e preoccupante per le toghe, la cassazione stravolge l’impostazione
tradizionale per cui l’obbligazione
professionale dell’avvocato non è
un’obbligazione di risultato: in altre
parole l’avvocato ha diritto ai suoi
onorari anche se non può garantire
un esito favorevole all’attività svolta
in favore del cliente. Ma la Cassazione
(sentenza della terza sezione civile, n.
4781 del 26 febbraio 2013) comincia
a ribaltare il filone tradizionale e in
un caso specifico non ha computato a
favore del legale il valore dell’attività
compiuta, considerato che la stessa si
è dimostrata inutile agli interessi del
cliente.
La conseguenza che si profila è che
il criterio dell’utilità del cliente o almeno la chance di utilità per il cliente
possa diventare un criterio discriminante il diritto al compenso, trasformando l’obbligazione dell’avvocato in
una obbligazione di risultato.
Ma vediamo di analizzare la pronuncia, che può destare un certo allarme per i professionisti.
Nel caso specifico, i parenti di un
uomo che ha perso la vita in un sinistro stradale hanno deciso di far causa al responsabile dell’incidente e alla
sua assicurazione. Per questo motivo,
si sono rivolti ad un avvocato il quale,
dopo aver instaurato il processo, ha
lasciato che questo venisse dichiarato
estinto, per non aver notificato l’atto
di citazione anche alla compagnia assicurativa, come pure avrebbe dovuto fare. Ma non solo. L’avvocato si è
pure dimenticato di proporre appello
contro la decisione che ha dichiarato
l’estinzione.
Ne è derivata una lite, questa volta iniziata dai clienti contro gli eredi
dell’ormai defunto avvocato per ottenere il risarcimento dei danni patiti
a seguito degli errori commessi dal
professionista.
Il tribunale civile ha dato ragione ai primi, condannando gli eredi
dell’avvocato a risarcire i danni per
negligenza professionale. Secondo il
giudice, peraltro, gli errori commessi
dal legale erano stati tali da escludere in radice ogni diritto al compenso
per l’attività effettiva prestata, posto
che questa non aveva prodotto nessun
effetto utile per i clienti.
Nel giudizio di appello, pur essendo
confermata la responsabilità professionale del legale, la decisione è stata
riformata.
Secondo i giudici di secondo grado,
infatti, l’unica colpa dell’avvocato
sarebbe stata quella di non aver impugnato la decisione con la quale era
stato dichiarato estinto il processo.
Al contrario, doveva essere salvata
tutta l’attività eseguita fi no a quel
momento: di conseguenza, si è detto
che al legale (o meglio, a suoi eredi)
spettava comunque il compenso per il
mandato eseguito fino alla pronuncia
di estinzione del processo, da portare
in detrazione rispetto all’ammontare
del risarcimento dovuto per la mancata impugnazione.
L’ultima parola sulla vicenda è quella della corte di cassazione, cui si sono
rivolti i clienti del locale per ottenere
il ribaltamento della decisione della
Corte d’appello e la conferma di quella
del tribunale.
Ai giudici romani è stata evidenziata l’erroneità della sentenza contestata nella parte in cui in essa non si
teneva conto del fatto che i clienti del
legale non avevano ricevuto nessun
vantaggio dall’attività prestata dal
secondo. L’aver dimenticato di notificare l’atto introduttivo del processo
alla compagnia assicuratrice, infatti,
aveva comportato la radicale inutilità
del processo, tanto che questo si era
concluso con un nulla di fatto. Da qui
la richiesta di escludere l’obbligo di
corrispondere agli eredi del defunto
avvocato qualsiasi somma a titolo di
compenso.
La Corte di cassazione, nel pronunciarsi sulla questione, ha accolto
il ricorso presentato dai clienti escludendo il diritto al compenso.
Nel dettaglio, gli ermellini hanno affermato che la mancata impugnazione
della decisione con la quale era stata
dichiarata l’estinzione della causa assunta in rappresentanza dei clienti,
aveva reso, di fatto, inutile l’intero
mandato conferito al professionista.
Peraltro, si è precisato, l’errore del
legale risultava tale sia se l’obbligazione professionale fosse intesa come
obbligazioni di risultato - quello di ottenere il risarcimento del danno per
la perdita del familiare a seguito del
sinistro stradale - sia come obbligazioni di mezzi, dovendosi rimproverare
al professionista anche l’assenza della
dovuta diligenza nell’adempiere il suo
incarico.
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