“Ho vissuto una vita d`albergo, aiutando un po` mio padre ma non mi

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“Ho vissuto una vita d`albergo, aiutando un po` mio padre ma non mi
BRUNO MUNARI
UN BADIESE D’ADOZIONE
“Ho vissuto una vita d’albergo, aiutando un po’ mio padre ma non mi piaceva perché era una vita
senza riposo. Se non ti danno il cambio devi andare a letto alle due di notte, quando l’ultimo cliente
è rientrato, e alzarti alle cinque per andare a fare le provviste. Mia madre aveva inventato una
definizione, diceva che bisognava dormire in fretta.”
Così Bruno Munari descrive un momento della sua giovinezza trascorso nella nostra ridente
cittadina.
Bruno Munari infatti, pur essendo nato a Milano da Pia ed Enrico Munari nel 1907, all’età di sei
anni si trovava già a Badia in quanto i genitori vi si trasferirono per adattare la ex residenza di
campagna dei duchi d’Este, il c.d. Palazzotto degli Estensi, ad albergo.
Il piccolo Munari conosce subito la vita di sacrificio aiutando i genitori nella gestione dell’albergo,
ma per fortuna la vita di campagna gli consente di coltivare amicizie e divertirsi con gli amici sul
fiume Adige. Con loro impara a dipingere e si diverte fin da subito a sperimentare, a scoprire la
natura ad imitarla e modificarla. “Fin da ragazzo sono stato uno sperimentatore, anche quando mi
costruivo i giocattoli o li costruivo per i miei amici, usando canne di bambù o altri materiali poveri.
Sono sempre stato curioso di vedere cosa si poteva fare con una cosa, oltre a quello che si fa
normalmente.” A diciotto anni, torna a Milano dove comincia a lavorare come grafico dando inizio
alla sua parabola artistica. Munari non ha con sé bagagli di studi regolari ma una enorme riserva di
suggestioni naturali, che animano sempre tutta la sua produzione; non si possono, infatti,
dimenticare gli anni passati nella nostra terra polesana, accanto il fiume che sempre scorre, accanto
alla piazza del mercato con i grandi lenzuoli su cui venivano rovesciati i bachi da seta in vendita,
accanto al mulino, grande macchina utile e “inutile” al tempo stesso….
Ed è proprio con tanta ansia di scoprire il mondo che Bruno Munari a Milano continua con i suoi
esperimenti artistici fino a quando, nel 1926, entra in contatto con i futuristi come Marinetti, Balla,
Depèro, partecipando con loro a varie mostre nazionali e internazionali.
Qui la sua attività artistica spazia dalla pittura al collage, dalla grafica al design e alle opere
polimateriche.
Nel 1930 inventa le “macchine inutili”, che rappresentano la sua libera interpretazione del
movimento con infinite composizioni dettate dal caso. Alle “macchine inutili” seguono i “libri
illeggibili”, le “pitture negativo-positivo”, le “sculture da viaggio” e tante altre curiose invenzioni,
ottenute mediante l’esplorazione di mille canali, nell’arco di una vita fatta di inesorabile ricerca
creativa che si concluderà con la morte nel 1998.
In questa occasione è mia intenzione descrivere il Munari “pedagogista”, quello che nel 1945
incomincia a rivolgere la sua attenzione al mondo dell’infanzia, scrivendo una serie di libri per
bambini, originariamente pensati per il figlio Alberto ma poi tradotti in tutto il mondo.
Dal 1970 l’interesse per il settore educativo monopolizza la sua attività, Munari contribuisce al
rinnovamento teorico e pratico dell’insegnamento artistico e, nel 1977, realizza il primo Laboratorio
per l’Infanzia alla Pinacoteca di Brera ideando un metodo didattico per l’educazione alla
comunicazione visiva dal titolo “Giocare con l’arte”.
In questi laboratori, che si sono poi diffusi in molti altri paesi, i bambini giocando imparano a fare,
a comunicare con gli altri, utilizzando il disegno, i colori e tante altre cose.
All’esperienza di Brera, un anno dopo, segue quella di Faenza dove nel 1978 su preciso desiderio
dell’allora direttore del Museo Internazionale delle Ceramiche G.C. Bojani, Munari crea un
linguaggio che, attraverso la manipolazione dell’argilla e la sperimentazione di varie tecniche, aiuta
bambini e ragazzi a comprendere un museo estremamente specialistico come quello di Faenza.
Egli decide che al Laboratorio non si fa ceramica tradizionale, con i suoi oggetti esteticamente belli
e utili, ma si utilizzano le tecniche artigianali per creare cose nuove, per ovviare così allo stereotipo
“del bel vasetto” che spingerebbe i bambini a ripetere e copiare modelli già visti e a mettersi in
competizione. Ma qual è la metodologia munariana? Ogni bambino essendo diverso per fantasia,
manualità e capacità di apprendimento, deve essere messo nelle condizioni di poter esprimere la
propria creatività autonomamente in piena libertà. Al laboratorio munariano non devono esistere
gelosie e invidie, perché nessuno è migliore di un altro. Il risultato non è ovvio, anzi l’opera è più
bella se incompleta e in continuo divenire, l’importante nel gioco è sperimentare applicando
correttamente i procedimenti. Ma soprattutto si deve sviluppare uno spirito critico che aiuti il
bambino ad autovalutarsi, e a fargli capire dove ha sbagliato per poi distruggere e rifare il suo gioco
senza timore di essere criticato.
Gli adulti non devono dare giudizi di valore né dare tante spiegazioni, basta fare esempi su quello
che si deve fare e poi lasciare che i bambini si avviino alla sperimentazione, solo in questo modo
essi possono realmente vivere un’esperienza formativa che gli rimanga impressa per tutta la vita.
Ed è proprio in comunione con questa ideologia che tre anni fa il Museo Civico A.E. Baruffaldi di
Badia Polesine ha deciso di progettare e proporre alle scuole un laboratorio sulla ceramica
utilizzando la metodologia munariana. Munari, infatti, ha accettato che le sue idee potessero essere
trasferite ad altri senza mai aver paura di perdere la sua identità.
Il museo ha quindi proposto al mondo della scuola il laboratorio “Giochiamo con la terra” con
l’intento preciso di offrire agli alunni del paese un momento originale e creativo che li avvicina al
museo e alle sue collezioni ma soprattutto per rendere onore a questo importante personaggio che
ha lasciato il segno nel nostro paese tanto da essere, nel 1972, eletto cittadino illustre per
“l’arditezza delle sue produzioni”, per “l’inesausta fantasia” ma soprattutto per il suo insegnamento.
La creatività è un elemento essenziale in tutti i campi di attività, non solo nell’arte. Il metodo
munariano vuole andare oltre la ceramica e diventare un impegno civile che apre la mente e fornisce
agli adulti di domani l’elasticità che consente di accettare e rispettare i punti di vista diversi.
In fondo le regole del piccolo gioco svolto in laboratorio diventano una forma di educazione al
grande gioco della vita perché libertà per se stessi significa rispetto per gli altri.
Marta Zocchi