CURZIO CIPRIANI

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CURZIO CIPRIANI
CURZIO CIPRIANI
I MINERALI DALLA SUPERSTIZIONE ALLA MEDICINA
Introduzione
Si può dire che la medicina nasca dall’istinto di conservazione della vita e dall’aspirazione al
benessere: ciò è vero anche per gli animali e lo è stato fin dalla preistoria a maggior ragione per gli
uomini che hanno cercato di combattere la malattia ricorrendo a pratiche magiche o a sostanze di
ogni tipo disponibili in natura, animali, vegetali e minerali, o anche semplicemente a forze della
natura come luce e calore. Attraverso millenni di tentativi, gradualmente l’umanità è arrivata, pur
mantenendo ancora isole di magia e di superstizione, a individuare prima una serie di prodotti
naturali a validità terapeutica, poi a creare materiali non esistenti in natura di sicura e provata
efficacia curativa.
Seguendo questo schema evolutivo si possono considerare due linee parallele, anche se di
diversa importanza. Quella maggiore è rappresentata dai materiali vegetali, utilizzati prima
direttamente come erbe o comunque piante, poi con la sintesi dei principi attivi di queste, poi infine
con la produzione di nuovi composti organici di sintesi, completamente artificiali. Una linea
minore, su cui ci soffermeremo, è quella dei minerali, applicati prima direttamente come materiali
naturali, poi indirettamente con la produzione in laboratorio di composti inorganici a partire da
questi, fino quasi alla loro quasi scomparsa dalla pratica farmacologica. La fig. 1 illustra
schematicamente questi diversi percorsi in funzione del tempo.
L’uso diretto dei minerali (litoterapia)
Dalla medicina istintiva dell’uomo preistorico si passa a quella empirica praticata dai
maghi-sacerdoti riuniti spesso in caste e gelosi custodi dei segreti delle loro “arti”, essenzialmente
magiche, solo in parte documentate nell’antichità dai papiri egizi e dalle tavolette assire. E’ quanto
in pratica succede, purtroppo anche oggi, con i cosiddetti guaritori.
I minerali compaiono in prima fila fra gli oggetti che costituiscono i materiali indicati per
guarire dalle malattie, ottenere successi o comunque proteggersi da pericoli o malefici.
Si può distinguere così l’amuleto che è l’espressione dell’incantesimo allo scopo di
allontanare il male e in genere difendersi da questo, quindi un ruolo passivo essenzialmente
personale, al contrario un ruolo attivo è svolto dal talismano che è l’oggetto usato dalla magia per
poter disporre di un potere, appunto, magico in vista di ottenere un determinato risultato nella vita,
in particolare in amore o nel lavoro, ma anche di potenza per una collettività come la verga di
Aronne, il palladio di Enea o, al limite, la fantasiosa lampada di Aladino. Amuleti e talismani sono
entrambe forme di superstizione, cioè una pratica o credenza che sta sopra alla ragione o alla
religione.
Nel caso specifico della medicina si può parlare di virtù mediche che a seconda degli scopi
che si vogliono raggiungere si dividono in positive (farmaci) o negative (veleni), così come per le
pratiche superstiziose si può fare una distinzione fra le virtù magiche, quelle di magia bianca, per
raggiungere un vantaggio personale, e quelle di magia nera, per danneggiare o addirittura uccidere
una persona nemica.
Fatte queste distinzioni di nomenclatura, per restare nel tema del convegno ci occuperemo
solo delle “virtù mediche” e pertanto ci limiteremo inizialmente alla cosiddetta litoterapia, un nome
generico per indicare l’utilizzo non solo di “pietre”, ma anche di minerali a scopi curativi, con una
possibile distinzione fra una litoterapia esterna, di semplice applicazione, ed una interna con
1
introduzione nell’organismo attraverso vie diverse. Si accennerà poi alla chemioterapia in senso
lato, l’uso cioè di composti chimici derivati da sostanze minerali.
La litoterapia nell’antichità
Le “pietre”, considerando in questa dizione i materiali del regno minerale, in particolare
sassolini colorati al pari dei fiori o delle conchiglie, sono sempre state oggetto di raccolta sul terreno
come curiosità, presto trasformate in porta-fortuna. Se i sassolini colorati erano poi particolarmente
belli, duri, rari, resistenti, cioè presentavano le caratteristiche delle “pietre preziose”, allora questi
materiali così splendidi non solo erano, in chi le possedeva, un simbolo di ricchezza e di potenza,
nei confronti di amici e avversari, ma questa stessa potenza avrebbe dovuto manifestarsi anche
contro nemici invisibili da combattere, come le malattie.
Ecco quindi il motivo per il quale le pietre preziose hanno avuto un ruolo fondamentale,
soprattutto come amuleti, nella vita dei potenti che se le potevano permettere. Pietre incastonate in
anelli, in collane, in cavigliere, in bracciali, il più strettamente possibile aderenti al corpo, ma in
subordine anche in cappelli, in cinture, sulle vesti, il tutto con una preordinata prescrizione che
distingueva magari anche la precisa posizione, davanti o dietro, a destra o a sinistra, sopra o sotto.
Per il loro valore queste pietre erano spesso oggetto di regali in occasione di particolari circostanze,
come fidanzamenti, matrimoni, nascite.
Oggi tendiamo, giustamente, a sorridere di questi oggetti e soprattutto di queste particolari
sistemazioni, ma chi non ha donato un rametto di corallo da mettere al collo di un neonato al suo
battesimo o un anello di brillanti, da mettere sull’anulare sinistro, come pegno di fidanzamento ?
Sono usanze che perpetuano le antiche superstizioni, magari con la solita battuta: non è vero, ma
che male c’è, non si sa mai.
Nel passato, forse anche per dare una qualche giustificazione all’applicazione delle pietre
preziose come strumento di terapia o comunque di magia, si cercarono corrispondenza fra questi
materiali e alcune categorie, come la mitologia greca o la simbologia cristiana (apostoli, evangelisti,
doti di Cristo), ma soprattutto con l’astrologia, collegando le pietre ai pianeti o alle costellazioni (lo
zodiaco con giorni e mesi dell’anno) o anche con gli elementi costitutivi della Terra secondo
Aristotele. Un esempio riportato da Benvenuto Cellini riguarda proprio quest’ultimo caso:
Acqua - diamante ; Fuoco - rubino ; Aria - zaffiro ; Terra - smeraldo
Ecco una rapida scorsa ad alcune indicazioni, fra le tante, che si possono trovare in testi
antichi sulle indicazioni terapeutiche e comportamentali di qualche materiale, oltre ai loro simboli:
Il diamante rende innocui i veleni, scaccia la paura, riaccende l’amore coniugale, scopre
l’adulterio, annulla l’effetto della calamita, è simbolo della Chiesa di Cristo, ma è anche un potente
veleno, come dimostra la morte del Paracelso e l’attentato proprio al Cellini, ma Biringuccio
commenta:
“Non veneno ma per contusione de lo stomaco, dal qual mai a ch’il piglia, per la sua gravezza la
natura staccar nol può e così corrompendolo il fora: che quasi il medesimo farebbe il vetro macinato”.
Il rubino protegge dai veleni e dalla peste, reprime la lussuria, se portato a sinistra, calma la
collera, blocca l’ebollizione dell’acqua, simboleggia la gloria e S. Giacomo maggiore.
Lo zaffiro è utile nelle malattie degli occhi, contiene i desideri sessuali (e perciò è
consigliato a frati e suore), in polvere è indicato contro la dissenteria, simboleggia S. Paolo e la
magnanimità.
Lo smeraldo è anch’esso utile contro la dissenteria e la peste, posto al dito, o al collo, blocca
l’epilessia, sul ventre ritarda il parto, su una coscia invece l’affretta, migliora la vista (Nerone lo
usava come occhialino), è simbolo di speranza e di S. Giovanni apostolo.
L’acquamarina viene usata nelle malattie degli occhi, dove veniva versata in polvere
finissima, e posta al dito mantiene la concordia fra i coniugi, simboleggia la carità e S. Tommaso.
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Il topazio, bevuto nel vino, combatte la malinconia e tenuto sul braccio sinistro trattiene la
follia, è simbolo di affabilità e di S. Giacomo minore.
La giada se poggiata su un fianco combatte le malattie dei reni.
L’ametista vince l’ubriachezza e simbolo di umiltà e di S. Mattia.
La calamita (magnetite) lega fratelli e amanti e toglie il dolore se poggiata sulla testa.
Da notare che in due casi (giada e ametista) il nome attuale trae la sua origine proprio dalle
asserite proprietà (lo spagnolo pedra de ijada cioè pietra del fianco e dal greco a-metistos non
ubriaco) e che non è da escludere la derivazione del tedesco Brille (occhiale) dal berillo.
La giada riveste un interesse particolare. Pietra semipreziosa, per le sue caratteristiche
particolari di bellezza e tenacità, è stata per millenni alla basa di credenze anche con risvolti
sanitari. La tradizione, ripresa dall’Haüy, vuole che la pietra indicata da Mosè nella Bibbia come
coltello per circoncidere ogni bambino maschi ebreo fosse di giada, così come una serie di amuleti
suggeriti, meglio se incisi con forme di animali fantasiosi, già nell’antico Egitto, come dal Faraone
Nechepso (VII sec. a.C.), ma anche dal famoso medico Galeno (II d. C.), sempre come prevenzione
e rimedio contro il mal di stomaco, campo di azione allargato ai parti difficili dal poeta francese
Marbodo (XI sec.) e ai tumori dal viaggiatore inglese Mandeville (XIV sec.). Un netto
cambiamento si verifica dopo la scoperta dell’America, a metà Cinquecento, quando gli Spagnoli
trasmettono all’Europa, fra l’altro, anche la superstizione degli Indios riguardo i portenti di questa
pietra come rimedio contro i disturbi renali imponendone anche il nome: l’azteco Tlayotic è tradotto
in piedra della hijada, cioè del fianco e questo diventerà in inglese e francese jade e solo in tedesco
si avrà la traduzione letterale Nierenstein, mentre nessuna derivazione si ebbe dal classico nome
cinese Yu. Naturalmente l’azione sarebbe stata proficua solo se fossero state seguite le istruzioni
per l’uso, non più solo amuleti da portare appoggiati sul tronco o con collane o anelli, ma un vero e
proprio uso esterno con la pietra ben bagnata con la saliva e strusciata accuratamente sulla parte
dolente. Come nome mineralogico si abbandona, già nel Seicento, il primitivo nome di jaspis,
diaspro, e si passa a lapis nephriticus, che sarà poi volgarizzato dal Buffon a metà Settecento in
jade e nel secolo successivo ripartito fra l’anfibolo nefrite e il pirosseno giadeite.
La litoterapia attuale
Con l’andare dei secoli di pari passo all’evoluzione delle pratiche mediche, si andavano
evolvendo anche quelle magiche che tentavano di agganciare le loro prescrizioni, per lo più
astrologiche, a una qualche forma di sistematicità sul corpo umano. Un esempio è dato dalla
seguente serie di corrispondenze fra parti del corpo, dalla testa ai piedi, con le dodici costellazioni
dello zodiaco, con i pianeti tolemaici (che essendo solo sette sono stati recentemente integrati con i
nuovi pianeti scoperti negli ultimi secoli, oltre a due ripetizioni) e infine con le pietre preziose:
Ariete
Toro
Gemelli
Cancro
Leone
Vergine
Bilancia
Scorpione
Sagittario
Capricorno
Acquario
Pesci
testa
collo e gola
braccia e polmoni
stomaco
cuore e spina dorsale
intestino
reni
organi sessuali
cosce e fegato
ginocchia e ossa
caviglie
piedi
Marte
Venere
Mercurio
Luna
Sole
Mercurio
Venere
Plutone
Giove
Saturno
Urano
Nettuno
rubino
smeraldo
agata
perla
diamante
opale
tormalina
corallo
zaffiro
granati
ossidiana
acquamarina
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Senza voler commentare ulteriormente non tanto le idee del passato quanto i sostenitori delle
idee del presente, di cui purtroppo sono pieni giornali e televisioni con apposite rubriche, sembra
lecito sottolineare le differenze fra queste impostazioni magiche e le pur discutibili teorie (e anche
pratiche) indiane sui centri di energia chakra e cinesi sull’agopuntura. E questo soprattutto quando
in un recente libro di Maria Rosaria Omaggio (1996) in proposito si legge che gli anelli vanno posti
non a caso in un dito o nell’altro, ma secondo un preciso indirizzo legato alla parte del corpo che
richiede un sostegno o allo stato d’animo che si vuole fortificare, secondo il seguente schema:
Pollice
Indice
Medio
Anulare
Mignolo
Venere
Giove
Saturno
Sole
Mercurio
volontà
direzione
equilibrio
sensi
pace
polmone
intestino
sangue
linfa
intestino
Ma le gemme non vanno solo appoggiate su una parte del corpo, ma possono essere usate
anche per via interna. La gemma, individuata come la più indicata, va prima accuratamente lavata
con acqua fredda, conservata in uno scrigno di legno e “ricaricata” ponendola sotto una piramide
quadrata o un dodecaedro pentagonale per qualche giorno. Poi si deve seguire tutto un rituale per la
preparazione della soluzione medicinale: si deve usare una ciotola di vetro o di quarzo (forse silice
fusa) dove porre in acqua distillata il cristallo prescelto (che deve essere privo di imperfezioni),
questo va esposto al sole o alla luna per qualche minuto alle prime ore del mattino con l’operatore
in perfetto relax, si deve tenere a bagno per 15 giorni nella ciotola coperta da una lastra di vetro,
aggiungere qualche goccia di alcol come antisettico (ecco il tocco scientifico), aspirare con una
pipetta il liquido da riporre in flaconcini di vetro scuro per una buona conservazione e, al bisogno,
tramite un contagocce, versare 4-7 gocce sotto la lingua lontano dai pasti. Considerata la solubilità
delle pietre preziose siamo di fronte ad una omeopatia all’ennesima potenza (o meglio diluizione).
Ma c’è chi è andato oltre alla pura magia abbinata all’astrologia con tentativi di basare sulle
attuali conoscenze in campo anatomico e fisiologico le possibili azioni terapeutiche mediante
minerali come Michael Gienger (1995).
Innanzi tutto va precisato che in senso lato si può intendere litoterapia anche come utilizzo
non esclusivamente di pietre più o meno preziose, ma in generale di “minerali”, intesi non solo in
senso scientifico come i componenti omogenei di corpi geologici, ma in senso più ampio come
fonte di elementi “inorganici”, essenzialmente metallici. D’altra parte è ben noto che la mineralogia
è in sostanza coincidente con l’aspetto naturale della chimica inorganica, tanto che questa è detta
dai francesi “chimie minérale”.
In tal modo è possibile individuare una litoterapia “scientifica” che cerca di dare
un’applicazione farmacologica a molti minerali che possano produrre un’azione terapeutica sia
diretta con un effetto chimico, per combattere una patologia, sia indiretta mediante un effetto
placebo, agendo per via psicologica.
Nel primo campo è evidente la possibilità di agire non solo nell’ancora poco esplorato
settore degli oligoelementi (si pensi ai metalli coordinanti negli enzimi), ma nelle ben note presenze
di elementi “non organici” fra i costituenti del corpo umano o in accertati effetti terapeutici di questi
elementi in particolari patologie, ad esempio Ca, P e F nelle ossa, P nelle cellule, Fe
nell’emoglobina, l’azione accertata di Bi come astringente, di Co come emopoietico, del Li per la
pressione arteriosa e per i nervi, del Na ancora sulla pressione, dello S per la dermatosi e simili.
Nel secondo ambito, quello psicologico, l’effetto potrà ottenersi basandosi sull’aspetto
esterno dei minerali e, in particolare, sul più immediato di questi, il colore che costituirà la
caratteristica immediata della possibile azione terapeutica, tutto l’opposto del vecchio detto degli
alchimisti nella determinazione di un minerale ne nimis crede colori, proprio per la possibilità dei
minerali di presentarsi sotto colori diversi.
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Una prima semplice suddivisione dei colori alla base della cromoterapia, cioè la possibilità
di agire sul pensiero e le emozioni che a loro volta possano influenzare i processi metabolici è
quella basata sulla posizione nello spettro visibile:
Colori caldi ( rosso – arancio – giallo )
Colori freddi ( verde – blu – viola )
Questa forma di terapia, che colpisce il nostro inconscio tanto che l’ambiente o un vestito
può darci una sensazione di benessere o, al contrario, di malessere fino ad arrivare ad una vera e
propria somatizzazione, può realizzarsi anche con i minerali, in particolare grazie ai loro colori.
Ecco quanto viene presentato come possibile azione terapeutica del colore dei minerali:
Minerali neri – così come assorbono totalmente la luce, possono anche eliminare i disturbi
da eccesso di energia riducendo il dolore, distendendo l’organismo, infondendo sicurezza
Minerali rossi – molto stimolanti sull’attività cardiaca e circolatoria, favoriscono la crescita
e la volontà
Minerali gialli – infondono ottimismo dando un senso di sicurezza e regolando la digestione
Minerali verdi – armonizzano la mente e il corpo, soprattutto il fegato, e aumentano lo
spirito di iniziativa
Minerali blu – regolano l’attività renale favorendo la distensione e l’equilibrio interno
Minerali viola – stimolano l’attività cerebrale e respiratoria, favoriscono la memoria e
inducono la distensione
Minerali bianchi – non avendo assorbimento selettivo della luce, favoriscono la conoscenza
interiore e portano al perfezionismo.
L’azione terapeutica, se mai ci possa essere, è ovviamente ad effetto placebo, ma i
sostenitori, in considerazione del vasto campo delle radiazioni elettromagnetiche, non escludono
che, così come si è certi dell’ assorbimento di una porzione di queste da parte dei minerali, ci possa
essere anche emissioni di altre, note o ancora sconosciute oggi, ma che potrebbero essere
individuate nel futuro. Ma, comunque, viene detto che l’azione terapeutica, proprio per la sua
soggettività, è di tipo intuitivo e, pertanto, ogni persona dovrebbe porsi davanti a un tavolo sul quale
sia disposta una serie di minerali e procedere alla scelta di uno di questi in quattro modi diversi:
1) scegliere quello che piace di più: la selezione visiva è data dalla coscienza – la psiche
2) scegliere il più attraente al tatto: l’impulso automatico dà la pietra del corpo
3) scegliere sulle proprietà dichiarate: è la pietra della ragione, dell’intelletto
4) scegliere sul numero d’ordine pensato: è la pietra dello spirito, del presentimento
E’ evidente che tutta questa teoria, pur ammantata da un barlume di scientificità, rispetto
agli oroscopi e alla terapia basata sull’astrologia, non se ne discosta poi tanto, lasciando
completamente il campo al caso, alla superstizione e alla suggestione.
L’evoluzione storica
Un primo riferimento, come rappresentante dell’antichità, può essere trovato in Plinio (fig.
2) il quale dedica non poco spazio ai possibili “rimedi per la salute…. che si trovano in tutti e tre i
regni della natura”, lo fa nella sua “Naturalis Historia” nei volumi dedicati a piante e animali
parlando espressamente di “Medicina e farmacologia” (voll. 28 - 32), ma anche trattando dei
minerali cui associa la storia dell’arte, proprio con questo titolo “Mineralogia e Storia
dell’arte”(voll. 33 - 37). E’ evidente che l’applicazione pratica dei minerali (e delle rocce) è vista
soprattutto in funzione dell’arte, con i minerali usati direttamente come pigmenti e indirettamente
per i metalli per le statue, al pari delle rocce. Solo in subordine parla di possibili usi dei minerali
come medicamenti alternando applicazioni logiche, come qualcuna di quelle del sale, ad altre
assolutamente fantasiose, come quella dell’oro, nonostante che dichiari la necessità di aborrire dai
trucchi e dai sortilegi dei maghi.
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Molto moderna è la sua affermazione, dettata però dalla convinzione della inadeguatezza dei
rimedi conosciuti, relativa all’inutilità di quello che oggi viene definito l’accanimento terapeutico.
Infatti non ritiene che la vita vada prolungata ad ogni costo ma che sia giusto utilizzare per la nostra
sopravvivenza tutto ciò che la natura può offrire perché “è la natura che ha creato l’uomo”.
E’ significativo che l’autore, a più riprese, condanni la magia e i suoi seguaci con la duplice
motivazione sia pratica, nel senso che non funziona, sia morale, in quanto è delittuosa perché
imbroglia le persone. D’altra parte dov’è il confine fra la magia così condannata e le varie dicerie
sull’uso di amuleti riportate dall’autore?
Una difficoltà nel comprendere il testo di questo autore sta nel significato da dare ad alcuni
nomi, alcuni sono scomparsi come misy e sory, altri hanno cambiato appunto il significato, cosa che
del resto era avvenuto già all’epoca di Plinio. Ne è testimone un suo passo relativo al “minio” che
veniva confuso col cinabro e con altre sostanze rosse: il cinabro è un nome indiano che indicava il
“sangue di drago”, una pianta resinosa rossa che si pensava derivare dall’unione del sangue di
serpente con quello di un elefante morente che lo ha schiacciato. Oggi, dice Plinio, il cinabro,
minerale rosso, si usa come colorante, ma in antico con quel nome si indicava una medicina, da qui
l’errore dei medici (per Ercole!, impreca l’autore) che scambiano i due prodotti usando il minerale
che, invece, essendo un veleno può essere usato per trattamenti esterni, ponendolo sul ventre per
arrestare le emorragie.
Qualche indicazione proviene dai libri concernenti i minerali, gli ultimi del trattato. Nel libro
XXXIV si parla di metalli. L’oro, probabilmente per il suo pregio, deve avere anche proprietà
curative e magiche. Così viene applicato per rendere meno nocivi i malefici a feriti e bambini, ma la
sua cenere,ottenuta per arrostimento con sale e misy (che sembrerebbe essere calcopirite), poteva
essere usata in sospensione acquosa per guarire le eruzioni cutanee e le emorroidi, mescolata con
pomice triturata guariva le ulcere e spalmata sull’ombelico, come decotto col miele, rilassava
l’intestino.
Dopo l’oro, sempre nel libro XXXIV, si può accennare al rame del quale sono utili alcuni
minerali come la “cadmia”, indicata per guarire le cicatrici, il “verderame” in soluzione per colliri e
antiulcere, il sory (probabilmente pirite decomposta) indicato come astringente e nei disturbi
genitali. Del ferro è ricordata la ruggine che cicatrizza e blocca le emorragie, il piombo da usarsi
con cautela per guarire le cicatrici, ma anche sfruttato come amuleto da disporre ai fianchi per
garantire la castità, e infine i classici solfuri di As la “sandaraca”, cioè il realgar, che schiarisce la
voce e blocca la tosse, mentre l’orpimento, oltre che agente depilatorio, è efficace contro i polipi, in
particolare dopo arrostimento [ossia dopo la trasformazione in As2O3].
Fra le “terre”, argomento del libro XXXV, interessanti dal punto di vista medico sono gli
accenni all’uso, che è arrivato fino ai giorni nostri, dello zolfo per impiastri e dermatiti e dell’allume
come astringente, mentre il caolino, oggi al più presente come eccipiente in qualche compressa,
veniva indicato come collirio.
Nel libro XXXVI, dedicato alle pietre, soprattutto al marmo e di conseguenza alla scultura,
pochi sono i riferimenti ai medicamenti. La pomice, triturata finissima, non solo è usata dalle donne
per lisciare la pelle, ma è utile anche nei dentifrici e come essiccante nelle ulcere degli occhi e nelle
piaghe dei genitali. La calce, presentata in pomata miscelata al grasso, cicatrizza le ferite e cura le
lussazioni, di uso interno è invece la cenere che, sotto forma di liscivia in soluzione acquosa,
guarisce i disturbi addominali. L’ematite, chiaramente a causa del colore e del relativo nome,
veniva proposta per bloccare le mestruazioni. Singolare è l’uso del fuoco, unico rimedio per le
epidemie, in particolare per quelle attribuite alle eclissi.
L’ultimo libro, il XXXVII, tratta delle pietre preziose, ornamento in particolare delle
matrone romane. Va segnalata un’altra lunga requisitoria contro i Magi che, soprattutto con le
gemme, compiono una “vergognosa impostura” verso le persone vantandone prodigi in generale e
rimedi specifici contro varie malattie e incantesimi. A tal proposito viene rimarcato con sdegno la
diceria dell’uso dell’ametista come rimedio contro l’ebbrezza, definita “un’orribile menzogna”.
Nonostante queste reprimenda, Plinio, sia pure inframezzando il discorso con “si dice”, “si pensa”,
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parla di un’efficace azione dell’ambra per le affezioni urinarie, dal contesto sembra trattarsi della
prostata, mediante ingerimento di minuscole particelle, ma anche con apposizione esterna come
“amuleto”(!). La stessa ambra, miscelata con miele e acqua di rose (“dice Callistrato” – forse un
medico famoso dell’epoca) è indicata per le malattie dell’orecchio, ma anche col solo miele per
quelle dello stomaco. Anche l’agata risulta utile, è indicata infatti per le punture di ragni e
scorpioni, senza peraltro specificare le modalità di applicazione.
Trattando degli animali, i particolare degli animali acquatici, nel libro XXXI, Plinio parla
dell’acqua nella quale essi vivono dedicandole larghissimo spazio, non solo perché è indispensabile
alla vita di tutti gli organismi viventi. Sono riportate le caratteristiche di cui deve godere una buona
acqua potabile e anche un lunghissimo elenco delle acque minerali curative, ognuna con le sue
peculiarità, ma ricordando anche alcune virtù terapeutiche, vere o presunte. Le presentavano
soprattutto le acque termali, spesso anche molto saline, indicate molto spesso per l’apparato
digerente in genere e come purgative in particolare. Ma nell’elenco lunghissimo di sorgenti, calde e
fredde, l’autore inserisce per molte di esse anche alcune dicerie, come rendere i sensi o più acuti o
più ottusi oltre a predisporre al canto o a divenire insensibili all’amore e, ancora, una certa acqua
rende sterili le donne e folli gli uomini, un’altra favorisce un immediato concepimento, mentre
un’altra blocca il feto e impedisce gli aborti. D’altra parte altre notizie rivelano situazioni reali,
come una fonte indiana che alimenta le lucerne [ossia emette petrolio] o quella arabica che respinge
qualsiasi peso vi venga gettato [potrebbe essere l’acqua densa del Mar Morto].
Le acque termali, in particolare, sono indicate, a seconda della loro natura, per la cura dei
nervi, delle paralisi o della debolezza fisica, ma anche delle articolazioni usandone anche il fango
che, però, non deve mai seccarsi addosso.
Anche l’acqua di mare può essere utile direttamente, oltre per l’azione purgativa,
scaldandola per lenire i dolori ai tendini e per meglio cementare le ossa e, solo fredda, per le
contusioni. Molto raccomandata era la thalassomeli (preparata da acqua di mare, acqua dolce e
miele in parti uguali) come purgante gradevole ed efficace. Ma l’azione può essere anche indiretta,
legata cioè al mare: raccomandati sono i viaggi per mare, ad esempio verso l’Egitto perché molto
lungo, soprattutto per i tisici [il riferimento doveva essere all’aria pulita], ma anche per curare
malattie della testa, degli occhi, del petto e dello stomaco mediante il vomito provocato dal moto
ondoso. A beneficio di coloro che non abitavano lungo le coste, Plinio presenta la possibilità di
preparare un’acqua di mare “artificiale”, sciogliendo in acqua del sale in dosi opportune, così come,
al contrario, suggerisce ai marinai di ottenere in navigazione acqua dolce legando pelli di pecora
attorno alle barche recuperando poi l’acqua di condensa della notte.
Dall’acqua al sale, subito dopo averne descritto le varie possibili produzioni in saline
artificiali o naturali, si passa alle possibili utilizzazioni mediche. Sia con uso esterno, per
applicazione, sia per uso interno, in soluzione, il sale, definito astringente, essiccante, legante,
mordente, ustionante, riducente e purgativo veniva indicato per ben quarantadue disturbi più o
meno gravi. Dopo il sale comune, il nostro cloruro, si accenna al “fior di sale”, riferibile al
carbonato sodico e al “nitro”, i nitrati sodico o potassico, chiarendone le località e le modalità di
raccolta in piccoli bacini evaporitici, e dandone le applicazioni terapeutiche non troppo dissimili da
quelli in precedenza riportate per il sale.
Coevo di Plinio è Celso, Aulo Cornelio Celso, uno scrittore enciclopedico di cui ci è
pervenuto il De re medicina, un riassunto delle conoscenze mediche dell’epoca, detto l’Ippocrate
latino perché fedele trascrittore delle idee del celebre medico greco del V secolo a.C.
In pieno Rinascimento appare una strana ma interessante figura di medico alchimista
svizzero, Teofrasto von Hohenheim (1493-1541) si definì Paracelso (fig. 3) a significare che era
“oltre Celso” in quanto portatore di una nuova medicina che superava quella antica, ma non solo
quella riassunta da Celso, ma anche quella prospettata nel III secolo da Galeno e quella rielaborata
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dagli arabi Avicenna nell’VIII e Averroè nel XII secolo, i libri dei quali furono fatti da lui bruciare
pubblicamente.
In effetti la sua medicina, che segnò l’inizio della cosiddetta iatrochimica, si rifaceva in
qualche modo direttamente ad Ippocrate con la pratica diretta sul malato, ma ne rifiutava la teoria
dei quattro umori (i liquidi dell’organismo), ripresa peraltro anche da Galeno, che indicava nella
rottura del loro equilibrio l’insorgenza della malattia. La pratica nelle miniere del Tirolo lo indusse
a formulare una teoria completamente diversa, le malattie si sarebbero originate dall’alterazione dei
tre componenti chimici presenti in tutta la natura e nell’uomo: il “sale”, caratterizzato da
immutabilità e resistenza al fuoco, rappresentante dello stato solido e presente nel “corpo”, il
mercurio, base di tutti i metalli, esempio dello stato liquido e figurante lo “spirito” , lo zolfo,
classico materiale combustibile e quindi tipico dello stato gassoso e immaginato nell’”anima”. In
contrapposizione con Galeno che vedeva nei vegetali i principi terapeutici, Paracelso li trascura
rivolgendosi invece ai minerali, ognuno dei quali avrebbe contenuto, in particolari proporzioni, i tre
componenti base, affermando
Scopo della chimica non sta nel preparare l’oro, ma le medicine
Ma, in particolare a proposito di queste sostiene che
Ciò che dà carattere di farmaco o di veleno è la dose
L’azione di un farmaco è quella di ristabilire l’equilibrio fra i tre componenti base di qualsiasi
sostanza, anche il corpo umano che può essere definito come un vero e proprio sistema chimico. Da
qui l’applicazione del mercurio contro la gotta e la malattia del momento “il mal francese”,
ribattezzato, proprio in quegli anni, sifilide dal Fracastoro che ne attribuì la causa a “semi di
contagio”.
La iatrochimica, in qualche modo nata anche in contrapposizione alla iatromeccanica,
rimase in auge anche nel secolo successivo e decadde nel Settecento,nonostante due tentativi di
rilancio, in realtà anomali, quello dell’austriaco Franz Mesmer (1734-1815) che riteneva di poter
guarire molte malattie con l’influsso generato dalla magnetite e quello del tedesco Samuel
Hahnemann (1755-1843), il fondatore dell’omeopatia, che utilizzava con diluizioni fortissime non
solo principi vegetali ma anche sostanze minerali, sostenendo che l’equilibrio della salute poteva
essere ristabilito anche con dosi minime di preparati anche fortemente tossici a dosi più elevate.
Una teoria che in questi ultimi anni sta riguadagnando credibilità.
Il passaggio dalla iatrochimica, evoluzione benefica dell’alchimia, alla vera chimica avviene
a cavallo fra il Sette- e l’Ottocento, come quello dal latino, lingua universale degli studiosi, alle
lingue volgari.
Uno degli ultimi trattati latini, tradotto dall’originale francese, “ex gallica lingua”, è quello
di Stefano Francesco Geoffroy, medico parigino, pubblicato a Venezia nel 1756 (fig. 4). Il primo
tomo è dedicato ai “fossili” e ai “vegetali esotici” ed il secondo ai “vegetali indigeni”. Fra i fossili,
sono così chiamati gli stessi materiali della iatrochimica e ai quali è riservato circa un quarto
dell’opera, il solo elenco dei capitoli può rendere l’idea di quali fossero i medicamenti utilizzati:
De Aquis – De Terris (Argillis,Margis, Bolis, Cretis) – De Lapidibus – De Talco – De Aetite – De
Bezoarico Fossilis – De Glossopetris – De Unicorni Fossili – De Lapislazzuli – De Lapide Armeni
– De Crystallo – De Salibus (cibario). Come esempio specifico si può prendere l’argento, di cui si
dice “ma non ci risulta vera questa virtù” che gli Arabi l’usassero per rinvigorire il cervello.
Vengono invece dati per utili alcuni composti dei quali sono fornite le ricette per la preparazione. I
più importanti preparati sono i “cristalli lunari” (va ricordato che la luna è il simbolo alchemico
dell’argento e la mezzaluna lo rappresenta graficamente) e la “pietra infernale”, entrambi costituiti
dal nitrato d’argento, ottenuto sciogliendo il metallo in acido nitrico e facendo poi cristallizzare più
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volte il sale ottenuto. I cristalli lunari, raccomandati per la paralisi e l’idropisia, oltre che come
purgante, dovevano essere pestati finemente per essere impastati in mollica di pane a formare le
cosiddette “pillole di Boyle” (dal nome dello scienziato inglese celebre per la legge dei gas). Il
nitrato in cristalli relativamente grossi, ottenuti in lingottiera, costituiva invece la pietra infernale
che andava preservata dall’umidità e serviva come energico caustico per l’eliminazione della
macerazione della carne.
La situazione della farmacologia minerale, e più propriamente inorganica, alla metà del XX
secolo è illustrata da un testo di un farmacologo danese, Knud Möller, nella sua traduzione tedesca
del 1947.
Rarissimi sono già i riferimenti a minerali in quanto tali, come il talco nella terapia di
assorbimento dei farmaci, composti del B come il borace e l’acido borico (non certamente il
sassolino) quali disinfettanti, zolfo in pomate dermatologiche, alcune acque minerali come diuretici
o lassativi e salgemma soprattutto per le soluzioni fisiologiche. In tutti gli altri casi di composti
inorganici, questi sono il prodotto di trattamenti chimici a partire da minerali, anche se riproducono
la composizione del minerale di partenza: come esempi si possono citare il carbonato di Ca usato
come antiacido o quello di Mg come lassativo, le forme colloidali di silice, idrossido ferrico o di Al
utilizzati come eccipienti o il solfato di Ba come mezzo di contrasto nelle radiografie.
Molti elementi, soprattutto alcuni metalli pesanti, che nei secoli precedenti erano stati
largamente usati nonostante fosse nota la loro tossicità, figurano o completamente abbandonati o
ristretti moltissimo nell’uso o comunque contenuti solo in composti metalloorganici. L’esempio
tipico è l’As presente a carica tre negli arsenobenzoli (tipo salvarsan) per la sifilide e a carica cinque
negli arsoni per la dissenteria, ma si può ricordare anche il Hg rimasto solo col calomelano(cloruro
mercuroso) come antielmintico e disinfettante urinario, mentre il sublimato corrosivo (cloruro
mercurico) è quasi scomparso e limitato in soluzione diluitissima come disinfettante o l’Sb presente
nel tartaro emetico appena riesumato per il trattamento endovena della leishmaniosi..
In attesa di preparati organici di pronta e più sicura azione, si ricorre ancora a materiali
inorganici: il campo dei lassativi è dominato dal Mg sotto forma di magnesia usta (o addirittura
bisurata), di solfato (il sale inglese, epsomite) o il già ricordato carbonato, o dal Na come solfato o
fosfato; in cardiologia si ricorre al nitrito di Na, capostipite dei nitroderivati come la
trinitroglicerina; fra i disinfettanti molto utilizzati il permanganato e il clorato o il perclorato di K,
forti ossidanti, al pari dell’ipoclorito. Si ricorre ancora al Bi col nitrato basico, detto magistero,
classico per la diarrea, ma tentato anche per la sifilide, si ricorda la vecchia proposta del Koch
dell’uso endovena di Au, come cloroaurato per la TBC, dell’azione corrosiva dell’Ag, come nitrato,
e del Cu, come solfato, o del Cr, come ossido, mentre per lo Zn era attivo l’utilizzo di soluzioni del
cloruro o del solfato come astringenti e si continua a somministrare Fe, come sciroppo al solfato o
al cloruro, per combattere l’anemia.
Una scorsa sull’uso di alcuni elementi consente di trovare il Li come solubilizzante
dell’acido urico, in attesa delle applicazioni in campo depressivo, l’NH4, come cloruro, per
migliorare la diuresi, insieme al cloruro di Ca, il cui fosfato veniva usato contro la tachicardia,
mentre si accennava ancora alla vecchia applicazione dell’ipofosfito sodico come rimedio per la
tubercolosi; per gli alogenuri alcalini, il F era già suggerito come anticarie, il Br come sedativo, lo I
come espettorante ma anche come mezzo di contrasto in radiologia.
Molti passi avanti erano stati fatti nella prima metà del Novecento, ma non si era ancora
arrivati alla rivoluzione che si è realizzata nella seconda metà del secolo. La chimica farmaceutica
inorganica, anche se passata in second’ordine rispetto all’organica, ha ancora un suo ruolo come
dimostra la suddivisione del corso universitario di chimica farmaceutica biennale in un’annualità
per ciascuna, inorganica e organica. Rimangono nel gergo farmaceutico ancora definizioni che si
rifanno all’alchimia, come chiamare “marziali” i preparati a base di Fe e “saturnini” quelli a Pb,
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ormai ristretti all’”acqua vegeto-minerale” che chiarisce la composizione della soluzione di acetato
di Pb come blando antisettico.
Che cosa rimane all’alba del nuovo millennio dei minerali e addirittura dei composti
inorganici nella farmacologia attuale?
L’età avanzata con relativi disturbi mi costringono ad assumere non pochi farmaci ogni
giorno, così che su questi ho potuto fare una ministatistica. La lettura della composizione delle
pastiglie non ha riservato sorprese, i principi attivi sono tutti preparati sintetici organici, solo fra gli
eccipienti ho potuto trovare un minerale, il talco, e qualche composto inorganico di composizione
analoga a minerali come il biossido di Ti , l’Al idrato, l’ossido di Fe rosso, la silice precipitata
corrispondenti rispettivamente a rutilo, gibbsite, ematite e quarzo (o gel ?), oltre a uno strano ossido
di Fe giallo, non meglio identificato. Molto frequenti invece i sali organici, come stearati, fumarati,
laurilsolfati.
Un settore dove invece la chimica inorganica, se non i minerali, è presente in forze è quello
degli integratori in relazione alla riconosciuta importanza dei microelementi come costituenti di
enzimi (figg. 5 – 6) o regolatori di processi cellulari. La composizione di uno di questi preparati,
accanto a qualche sostanza organica e vitamine, una delle quali, la B12 (fig. 7) però è a Co (grande
rivincita della cristallografia!), mostra un lungo elenco di composti inorganici: fosfato di Ca, ossido
di Mg, solfato ferroso, solfato di Mn monoidrato, solfato di Cu anidro, molibdato di Na, solfato di
Zn. La confusione regna sovrana con la parola “minerale”, usata quasi sempre a sproposito,
confondendo il sostantivo con l’aggettivo e considerando minerale ogni elemento che non sia quelli
classici della chimica organica: C, H, O, N. Così è un minerale lo Zn (l’ultimo costituente a partire
dall’A della pubblicità !), l’acqua termale contiene molti minerali ed altre facezie simili.
Ma se la chimica inorganica, e la mineralogia in particolare, sono in fase nettamente calante
nella farmacologia, queste scienze, in quanto base delle scienze dei materiali, si prendono una
rivincita come base indispensabile nel settore della chirurgia, soprattutto ortopedica e odontoiatrica.
Nel convegno odierno diverse sono le relazioni che trattano dell’uso di materiale inorganico per
trapianti ed impianti ed a queste rimando per competenza. Una crescente importanza sta prendendo
poi una scienza figlia della mineralogia, la geochimica, che attraverso uno dei suoi principali scopi,
la distribuzione degli elementi, reca grandi contributi alla risoluzione di problemi epidemiologici di
malattie sociali non di rado ponendole in relazione alla composizione del substrato del territorio e
alle relative acque sorgive avendo sempre più di vista della fondamentale importanza che molti
elementi metallici, anche in minime tracce, hanno in quanto presenti come coordinanti di complessi
spesso indispensabili per la vita.
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