INFORMAZIONE - Studi Filosofici

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INFORMAZIONE - Studi Filosofici
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Filosofici
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Uno strumento per orientarsi nella molteplicità delle proposte
e dei temi che animano il pensiero contemporaneo
e per affrontare consapevolmente
i problemi della cultura e della società
nel n. 7
Croce (e Gentile): perchè?
Ermeneutica del mondo tecnico
Nagel: uguaglianza e parzialità
Saggezza e follia
Una presenza incorporea
La mano e lo sprone
Ricordo di Alberto Caracciolo
L’angelo fondatore
La grammatica dell’esperienza
Conoscenza metafisica
Benjamin storicista?
Le allieve di Freud:
psicologia al femminile
Umanesimo e nazismo:
il “caso Heidegger”
Althusser: autobiografia
in cerca di una firma
Il Dio dei filosofi
Del diritto e della politica
Filosofia sovietica:
tradizioni e tendenze
Nietzsche contra Rousseau
Fenomenologia francese
in traduzione tedesca
Scienza e filosofia
Ripensare la modernità
Le regolarità e la ragione
Epistemologia e ontologia in Locke
Austin: teoria degli atti linguistici
Dialettica materialistica
e metafisica speculativa
Rivalutazione di Frege
La corrispondenza Freud-Ferenczi
Montaigne oggi
Fenomenologia dello Spirito:
nuova traduzione francese
Schelling:filosofia della mitologia
Magia, mistica e cabbala:
l’ebraismo nella cultura tedesca
Althusser: ermeneutica e psicanalisi
Filosofia e narrazione
Croce: dalla politica all’etica
Storicismo scientifico
Verità e grazia in Malebranche
Ragione e storia
Critica della teleologia
Letteratura e filosofia dello spirito
Heidegger e Adorno
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Gentili lettori,
conveniente giustificazione storica. In ciò solo consiste la dignità e l’ufficio civile della filosofia e della
storiografia, perché, quanto all’azione e alla vita
pratica, questa deve aiutarsi e si aiuta da sé nella
cerchia che è sua, distrigandosi con genialità volitiva
dalle difficoltà in cui si è impigliata, sollevandosi per
propria virtù dalle bassure in cui è caduta; sebbene
certamente ciò non possa fare se, come diceva Mefistofele, ‘disprezza ragione e scienza, suprema forza dell’uomo’, e si dà in preda agli inganni dello
spirito di menzogna: se si dà a innalzare a verità
filosofica le proprie immagini e illusioni e i propri
deliri.
Senza dubbio, vi sono tempi nei quali tra la filosofia
e la vita pratica, sociale e politica si osserva una sorta
di rispondenza, come accade tra razionalismo illuministico e riformismo nel settecento, tra storicismo
idealistico e liberalismo nella prima metà dell’ottocento: tempi singolarmente felici nei quali un medesimo fervore morale genera quasi gemelli i modi
della filosofia e i modi della vita. Ma ce ne sono altri,
travagliati e dolorosi, nei quali il pensatore sta solitario o con poca compagnia, perché la vita sociale ha
smarrito il suo equilibrio, e inclina tutta da un lato, o
che sia premuta da angustie nelle quali penosamente
si dibatte o che sia soverchiata dal rigoglio di nuove
forze fisiologiche, nascenti dal suo fondo. Guai al
filosofo se egli, per isfuggire la solitudine, o per altri
assai meno nobili sentimenti, si piega e adegua la sua
filosofia alla «filosofia dei tempi», o in qualche
modo la seconda! Ché, per contrario, allora tanto più
stretto e urgente è il dover suo di rammentare agli
uomini mercé dei concetti speculativi e dei giudizi
storici quella che è la vera e compiuta umanità; tanto
più egli deve essere allora rigido verso gli altri e
«Il pensatore sa molto bene che ogni cosa, anche verso sé stesso, perché «se il sale si fa insipido chi
quelle che come uomo pratico egli aborre e combat- potrà mai salarlo?». Il suo regno è ben di questo
te, e deve aborrire e combattere, ha la sua ragione ed mondo, ma non già dell’istante che passa.
otterrà un giorno, da lui o da chi verrà dopo di lui, la
nel saggio di apertura di questo numero, Girolamo
Cotroneo traccia un preciso resoconto critico della
ricezione di questi ultimi anni dell’opera e del pensiero di Benedetto Croce, a partire, possiamo ammetterlo, da quell’evento editoriale che fu, nel 1989,
l’avvio da parte della casa editrice Adelphi della
riedizione di alcune opere di Croce, sotto la direzione di Giuseppe Galasso. Alla luce di questo evento,
Cotroneo ripercorre le tappe che hanno segnato
fino ad oggi la rilettura e l’interpretazione della
filosofia di Croce, senza rinunciare, in alcuni contesti di discorso, a significativi sguardi retrospettivi.
L’analisi circostanziata e meditata della variegata
letteratura critica su Croce apparsa in questi anni,
che non ha mancato peraltro di portare all’evidenza
parti nascoste o poco note dell’opera di questo
autore, permette a Cotroneo di concludere il suo
saggio richiamando quello che potremmo dire, riprendendo il suo giudizio, il carattere emergente di
questo “ritorno” di Croce: il riconoscimento di un
“pensiero civile”. Ed è proprio in virtù di questo
carattere che vorrei citare qui l’Edizione Nazionale
dell’opera di Benedetto Croce, avviata già nel 1981,
con Decreto del Presidente della Repubblica, presso la casa editrice Bibliopolis di Napoli. Tra i primi
volumi pubblicati, che tuttavia iniziano ad apparire
solo nel 1991, figura una raccolta di saggi dello
stesso Croce, intitolata: Il carattere della filosofia
moderna (1940), oggi riedita a cura di Massimo
Mastrogregori, ove Croce, alla fine, nell’ultimo
capitolo, fa comparire Due postille, di cui una con il
titolo: “Filosofia moderna e filosofia dei tempi”. Di
questo breve scritto vorremmo proporre, all’insegna del “civile” nel pensiero, le parole che seguono:
SOMMARIO
5 SAGGIO
35 PROSPETTIVE DI RICERCA
5 Croce (e Gentile): perché?
35 Epistemologia e ontologia in Locke
35 Austin: teoria degli atti linguistici
11 CONFERENZA
36 Dialettica materialistica e metafisica speculativa
11 Ermeneutica del mondo tecnico
36 Rivalutazione di Frege
37 Heidegger e Adorno.
15 SCHEDA
38 La corrispondenza Freud-Ferenczi
15 L'Università di Ginevra
38 Montaigne oggi
39 Fenomenologia dello Spirito: nuova traduzione francese
17 AUTORI E IDEE
39 Schelling: filosofia della mitologia
17 Nagel: uguaglianza e parzialità
17 Saggezza e follia
42 NOTIZIARIO
18 Una presenza incorporea
18 La mano e lo sprone
45 CONVEGNI E SEMINARI
19 Ricordo di Alberto Caracciolo
45 Magia, mistica e cabbala: l’ebraismo nella cultura tedesca
20 L’angelo fondatore
45 Althusser: ermeneutica e psicanalisi
22 La grammatica dell’esperienza
46 Filosofia e narrazione
23 Conoscenza metafisica
47 Croce: dalla politica all’etica
23 Benjamin storicista?
48 Storicismo scientifico
49 Verità e grazia in Malebranche
25 TENDENZE E DIBATTITI
50 Ragione e storia
25 Le allieve di Freud: per una psicologia al femminile
51 Critica della teleologia
26 Umanesimo e nazismo: il “caso Heidegger”
52 Letteratura e filosofia dello spirito
27 Althusser: autobiografia in cerca di una firma
28 Il Dio dei filosofi
54 CALENDARIO
28 Del diritto e della politica
29 Filosofia sovietica: tradizioni e tendenze
56 DIDATTICA
30 Nietzsche contra Rousseau
56 Manuali di filosofia per i licei
31 Fenomenologia francese in traduzione tedesca
56 Convegni
32 Scienza e filosofia
32 Ripensare la modernità
60 RASSEGNA DELLE RIVISTE
33 Le regolarità e la ragione
67 NOVITA' IN LIBRERIA
SAGGIO
Benedetto Croce (Mario Nunes Vais)
SAGGIO
Nell’ottobre dello scorso anno, su un giovane, ma già tre bisognava attendere il 1982 per vedere pubblicata,
accreditato, periodico culturale, “La Rivista dei libri”, presso quello che era stato l’editore di Croce, un’opera
appariva - preceduta da una discreta pubblicità - una sul pensiero di lui, quella, peraltro discutibile e comunlunga recensione di Umberto Eco all’Estetica come que dagli intenti non certo “laudativi”, di Paolo D’Angescienza dell’espressione e linguistica generale, la prima lo sull’estetica del filosofo napoletano; soltanto l’anno
delle opere “sistematiche” di Benedetto Croce, apparsa, successivo veniva pubblicata finalmente un’opera procome è noto, nel 1904, e ripubblicata nel 1990, nel veniente dall’area, per così dire, “crociana”: Benedetto
quadro dell’edizione Adelphi, curata da Giuseppe Galas- Croce. Trent’anni dopo, volume curato da Antonino
so, di alcune opere di Croce, iniziata nel 1989 con quel Bruno, che raccoglieva gli atti di un convegno tenuto
piccolo capolavoro letterario che è il Contributo alla l’anno prima a Catania, la sola manifestazione di rilievo
realizzata in occasione del trentennale della morte di
critica di me stesso.
Il fatto che a uno dei più prestigiosi intellettuali italiani Croce.
fosse stato richiesto - o che egli stesso avesse deciso di Ma non è forse il caso di insistere su questo tema, di
farlo: la cosa non cambia molto - di occuparsi di un testo riaprire vecchie polemiche. Il problema da cui abbiamo
al quale non aveva certo prestato fino ad allora molta preso le mosse è infatti un altro: la “ripresa” o il “ritorno”,
attenzione (lo dimostrava la recensione stessa, costruita il “recupero”, del pensiero crociano nella nostra cultura.
Ripresa, ritorno e recupero
più sull’acuta intelligenza
testimoniati in primo luogo
del suo autore, che non su
dalla ristampa dei suoi testi
una evidente dimestichezza
(che costituisce il fatto vee consuetudine con l’intero
ramente nuovo), e da divercorpus delle opere crociane
se pubblicazioni monograe con la non poca letteratura
fiche, intorno alle quali tutcritica intorno ad esso); quetavia una precisazione ci
sto fatto, dicevamo, comunsembra necessaria. Le più
que lo si voglia giudicare,
importanti e interessanti tra
indica da solo l’attenzione
queste (la data da cui qui
che la cultura italiana di queprendiamo le mosse è il
sti nostri anni dimostra ver1988, si vedrà poi perché)
so Benedetto Croce. Un pendi Girolamo Cotroneo
sono opera di studiosi che
satore di cui, all’interno di
non hanno certo atteso la
certe aree culturali (non cer“ripresa” del pensiero croto “minoritarie”), fino a poco
ciano per discuterlo: basti
tempo addietro si parlava
pensare al volume di Gensoltanto per irriderlo o per
naro Sasso, Per invigilare
“liquidarlo”, mentre presso
me stesso, apparso per Il
altre veniva semplicemente
Mulino nel 1989, a quello
ignorato. Tutto ciò, comunque, non significa che il pensiero crociano non circolas- di Giuseppe Galasso, Croce e lo spirito del suo tempo,
se, e anche con una certa efficacia, nel nostro paese. pubblicato per Il Saggiatore nel 1990 o a quello di
Anche se, come rilevava Francesco Compagna, nel 1967, Antonino Bruno, L’ultimo Croce e i nuovi problemi,
su un numero speciale della rivista “L’Opinione” dal edito anch’esso nel 1989 da Franco Angeli; e ancora il
titolo: Benedetto Croce. Una verifica, in occasione del volume di Giovanni Spadolini, che riuniva scritti sparsi
venticinquesimo anniversario della morte di Croce, in nell’arco di quarant’anni, Il debito con Croce, apparso
quel periodo in Italia si poteva, e forse si doveva, parlare nel 1990 presso Le Monnier. Autori tutti che nella storia
di “Croce come samizdat”, dato che il suo pensiero - delle interpretazioni crociane avevano da tempo un posto
come quello dei “dissidenti” sovietici - circolava quasi di di riguardo. Naturalmente non sono mancate le opere
nascosto, attraverso opere pubblicate soltanto presso degli autori “nuovi”, o quasi, come quella di Paolo
piccoli editori: ricordiamo il ricco e complesso volume Bonetti, L’etica di Benedetto Croce, apparsa nel 1991
di Gennaro Sasso, Benedetto Croce. La ricerca della per Laterza, e quella, stampata nel 1989 da un’editore
dialettica, del 1975, e le bellissime lettere di Croce a fiorentino, Ponte alle Grazie, di Michele Maggi, La
Vittorio Enzo Alfieri, pubblicate nel 1976, la cui circo- filosofia di Benedetto Croce, che forse più di tutte le altre
lazione era stata di gran lunga inferiore ai loro meriti, si poneva il problema di quale, oggi, poteva essere presso
proprio perché comparse non presso i grandi editori il lettore colto, l’immagine di Croce.
nazionali, ma il primo da Morano a Napoli e le seconde Accanto a queste pubblicazioni, e ad altre di cui diremo
presso una misteriosa e praticamente irraggiungibile in seguito, molte manifestazioni culturali, tra cui ricorSicilia Nuova Editrice di Milazzo, in provincia di Mes- diamo quella del novembre 1990, a Napoli, presso l’Istisina. Del resto basti pensare che Laterza (Laterza!), nel tuto Suor Orsola Benincasa, nel corso della quale una
1965, lasciava passare una sprezzante considerazione su nutrita schiera di studiosi di diversa provenienza ha
Croce di Franco Ferrarotti nella prima pagina della discusso i temi proposti dall’ultimo libro di Galasso, e la
monografia Max Weber e il destino della ragione, men- fondazione a Pescara, presediuto da Raffaele Colapietra,
Croce (e Gentile):
SAGGIO
di un Istituto Nazionale di Studi Crociani, il quale ha già
avviato la pubblicazione di un bollettino bibliografico
piuttosto interessante, mentre si annunziano - e varrà
forse la pena parlarne a cose fatte - diverse iniziative per
questo 1992, quarantennale della morte di Croce.
Per strano che possa sembrare, da tutto questo riteniamo
di dover escludere l’edizione nazionale delle opere di
Benedetto Croce, di cui l’editrice napoletana Bibliopolis
ha pubblicato - per la verità in maniera molto discreta nel corso del 1991 i primi due volumi: il Carteggio
Croce-Vossler 1899-1949, a cura di Emanuele Cutinelli
Rèndina, e Il carattere della filosofia moderna, a cura di
Massimo Mastrogregori, rispettivamente ottavo e decimo nel piano complessivo dell’edizione nazionale, preparato con grande cura e intelligenza da Mario Scotti;
questo perché il decreto istitutivo, firmato dall’allora
Presidente della Repubblica Sandro Pertini, risale al 14
agosto 1981, in epoca, quindi, in cui il revival crociano,
come qualcuno con malcelata ironia lo ha definito, non
era neppure lontanamente prevedibile.
Veniamo allora alla situazione odierna, che ha preso
l’avvio nel 1988, quando si ebbe notizia che le edizioni
Adelphi avrebbero ripubblicato un certo numero di opere
di Benedetto Croce (in particolare opere di carattere più
storico-letterario che filosofico in senso forte: scelta su
cui ci sarebbe pure qualcosa da dire o da ridire). Notizia
a cui fece seguito un ampio dibattito sviluppatosi soprattutto (ma non soltanto) sulle pagine di un autorevole
quotidiano di Roma, “la Repubblica” - intorno all’opportunità o meno di realizzare questa operazione culturale,
accolta, scriveva nel 1989 Norberto Bobbio, «più con
curiosità e attesa (imprevedibile) dei risultati che con
vera convinzione».
Nel corso di quel dibattito la maggior parte degli studiosi
intervenuti - molti dei quali autorevolissimi - espresse
sull’argomento un giudizio in larga misura positivo
(talora, non sempre opportunamente, ispirato al canone
metodologico della pietas dovuta agli “antichi”, teorizzato dallo stesso Croce). Soltanto Massimo Cacciari provocando la reazione irritata di Norberto Bobbio, che
si dichiarava comunque compiaciuto che lo studioso
veneziano fosse rimasto solo - dichiarò che sarebbe
allora stato molto meglio ripubblicare le opere di Giovanni Gentile: cosa del resto in parte accaduta nel trascorso 1991, quando Garzanti ha pubblicato, a cura di
Eugenio Garin, alcune delle principali opere “filosofiche” (l’aggettivo richiede una sottolineatura, così come
richiedeva di essere sottolineato il fatto che di Croce si
pubblicassero soprattutto le opere “storico-letterarie) del
pensatore siciliano, al quale peraltro, nell’ottobre del
1990, era stato dedicato, a Castelvetrano, suo paese
natale, un grosso e interessante Convegno, organizzato
da un noto studioso palermitano, Nunzio Incardona.
Ricordiamo questo perché il discorso su Croce continua,
nonostante sia stato ampiamente dimostrato che il suo
pensiero, nemmeno nei suoi momenti originari, presenta
affinità sensibili con quello di Gentile, a svilupparsi
sempre evocando l’attualismo gentiliano. Lo prova il
fatto che i due grossi convegni organizzati nel 1991 -
l’uno a Siracusa in primavera, l’altro a Orvieto in autunno - dall’Istituto Gramsci, una istituzione che - in conformità ai suoi fini, del resto - non aveva certo finora
contribuito alla conoscenza del pensiero di Croce e meno
che mai di quello di Gentile, riguardavano il pensiero di
entrambi i due massimi pensatori del Novecento italiano.
Naturalmente non senza una ragione. Nel 1979, Lucio
Colletti, nel suo celebre Tramonto dell’ideologia, parlando della cultura italiana, già da allora post-marxista,
osservava che la nostra vicenda ideologica che dapprima
si era sviluppata sotto il segno «di un marxismo rimodellato in chiave utopistica ed escatologica», appariva allora «sostenuta e corroborata dal pensiero teologico di
Heidegger», il quale, “per generale riconoscimento”, è
esso stesso “un escatologismo storico”: «Siamo dunque
passati - concludeva Colletti - da una escatologia all’altra. O, come direbbe un cronista sportivo, la prima ha
‘tirato la volata’ alla seconda».
In questo contesto non è affatto difficile comprendere le
ragioni dell’interesse della cultura ex o post-marxista
verso Giovanni Gentile, nel cui pensiero, ha scritto
Eugenio Garin, escludendo implicitamente quello di
Croce, «la cultura italiana sperimentò in forme proprie e
originali la crisi profonda del pensiero europeo fra Ottocento e Novecento». Intorno alla metà degli anni Settanta, nel saggio Gentile e Gramsci, che doveva poi costituire la parte più cospicua del suo notissimo Il suicidio
della rivoluzione, apparso per Rusconi nel 1978, Augusto Del Noce, suscitando non poche polemiche, non
aveva avanzato soltanto la tesi secondo cui Gramsci nel
suo lavoro di “ritraduzione storicizzante” - sarebbe a dire
nel corso del suo tentativo di risalire da Croce a Marx non aveva incontrato Marx, «ma invece Gentile, pur
credendo di incontrare Marx»; aveva anche sostenuto
che Gentile, portando all’estremo «la filosofia del primato del divenire», aveva stabilito «il rapporto di necessità
che intercorre tra la coerenza rigorosa della filosofia del
divenire, e la più radicale negazione della metafisica».
Per questa ragione, aggiungeva Del Noce, si può senz’altro sostenere che «la visione heideggeriana della storia
della filosofia [...] coincide singolarmente con quella
proposta da Gentile, ma con segno rovesciato: è, cioè,
letta come processo verso il nichilismo». In questo
senso, proseguiva, sarebbe «possibile dire che la filosofia di Heidegger è la verità della filosofia di Gentile,
quella verità di cui Gentile non si accorse; o che la
filosofia di Gentile è la conferma ante litteram della
diagnosi di Heidegger»: ed è appunto questo, concludeva, «che le conferisce la sua eccezionale importanza
attuale; è attraverso il suo studio che possiamo renderci
conto della profondità della crisi del pensiero teologicometafisico e delle sue radici».
Ove si tenga presente quanto il pensiero di Heidegger sia
penetrato nella nostra cultura (soprattutto nell’area postmarxista, o post-moderna), l’interesse verso Gentile non
potrà certo essere giudicato inspiegabile. Al limite è
l’interesse verso Croce che potrebbe apparire inspiegabile, in quanto, per paradossale che possa sembrare, il
suo pensiero appare in larga misura “estraneo” a una
cultura filosofica come la nostra, egemonizzata nell’ul-
SAGGIO
timo periodo dalla filosofia cattolica, dall’attualismo
gentiliano e dal marxismo, sarebbe a dire da filosofie
“totalizzanti”, certamente più vicine che non quella di
Croce alla nostra tradizione.
Riparleremo di questo. In ogni modo, il rapporto Gentile-Heidegger doveva essere rilanciato, oltre dieci anni
dopo il saggio di Del Noce (nel corso dei quali la
conventio ad excludendum nei confronti di Gentile continuava ad essere operante; una conventio, occorre dirlo,
che non si ebbe mai, o almeno non in maniera radicale
come per Gentile, nei confronti di Croce); doveva essere
rilanciato, dicevamo, da Salvatore Natoli, con il suo
fortunato volumetto del 1989, Giovanni Gentile filosofo
europeo, pubblicato per la Bollati Boringhieri, dove,
accanto alla tesi secondo cui non basta «ricollocare
Gentile nel quadro della filosofia europea: bisogna, al
contrario, cominciare a leggere la filosofia europea alla
luce dell’attualismo gentiliano o percepirne comunque
la sintonia»; dove accanto a questa tesi, dunque, se ne
incontra una molto più “suggestiva”: quella secondo cui
«in Gentile si trovano evidenti anticipazioni di Heidegger e non solo del primo, ma anche del cosiddetto
secondo Heidegger». Il che consentirebbe, secondo Natoli, di «rompere la formula ‘neoidealismo italiano’ e
portare alla luce nessi significativi e illuminanti finora
lasciati impliciti»; perché leggere Gentile non in relazione all’hegelismo o alla tradizione “italiana”, bensì «in
relazione a Husserl, a Heidegger e viceversa, significa
liberare uno spazio nuovo di riflessione e di discorso»
(cosa impossibile a farsi con Croce, nel quale risulta
“pressochè assente” ciò che, ad esempio, Husserl pensava e che “con altro lessico” era “oggetto di riflessione di
Gentile”).
Ma nel libro di Natoli vi è, almeno nei nostri fini, anche
dell’altro, su cui conviene - per ragioni che diremo dopo
- soffermarsi, riportando la pagina in cui, nel corso del
riesame del rapporto tra Gentile e Gramsci, viene chiamato in causa Croce. Dice dunque Natoli che tra Gentile
e Gramsci non esistono differenze «nella diagnosi della
fase storica caratterizzata dal disfacimento del ceto liberale europeo e dall’impotenza diversamente motivata
dalle socialdemocrazie»; si trattava di una crisi radicale,
la quale «richiedeva un’esposizione che fosse radicale
come la crisi stessa». Ora, prosegue Natoli, mentre
Gentile e Gramsci ebbero percezione di questo, «Croce
ben comprese l’ampiezza della crisi, ma non ne fu
all’altezza sino in fondo»; e così come disconobbe il
marxismo come “filosofia della storia”, disconoscendone di conseguenza l’epocalità, allo stesso modo non
comprese «la dimensione innovativa ed eversiva del
fascismo, e diversamente da Gramsci non ne [sentì]
l’inimicizia, ma ne [soffrì] il fastidio proprio perché non
ne [intese] il pericolo». Soltanto «a cose fatte [egemonizzò], e con incommensurabile merito, l’antifascismo»,
senza tuttavia comprendere fino in fondo che «la questione era di ben altra portata».
Senza indugiare - in quanto non necessario al nostro
scopo - sugli ulteriori argomenti, non certo privi di
interesse, di Natoli, ci sembra necessario sottolineare che
tutto ciò sarebbe accaduto non tanto perché Croce era un
pensatore politico meno acuto e sensibile ai “segni dei
tempi” di Gentile, ma perché era meno “filosofo”, per
così dire, di lui: non avrebbe avuto, cioè, la dimensione
teoretica, la profondità speculativa di Gentile, per cui il
suo pensiero non era “epocale”, e finiva con l’approdare
più che a una filosofia in senso forte, a una sorta di
“saggezza”, talora persino distaccata, “olimpica”, come
si è malamente detto. Qui il discorso - che ovviamente
non riguarda più soltanto Salvatore Natoli - si farebbe
piuttosto lungo. Si tratta comunque di una tesi fortemente contrastata dagli studiosi di ispirazione crociana, tra i
quali, in tempi vicinissimi, Giancarlo Lunati che in un
saggio del 1990, Croce etico-politico (apparso in un
volume, edito da Rusconi con il titolo: il ritorno di Croce
nella cultura italiana, di cui, assieme a Lunati, sono
coautori Raffaello Franchini e Fulvio Tessitore) ha proposto - in polemica, appunto, con la “tradizione oramai
pluridecennale” secondo cui «Croce fu meno filosofo di
Gentile» - alcune considerazioni volte a dimostrare che
Croce era «un filosofo vero, e soprattutto moderno, e [...]
Gentile [...] un epigono di una scuola filosofica al tramonto»; e ancora «che Croce come filosofo sia tuttora
attuale per la positività di molte sue proposte e che
Gentile, di contro, sia fuori da ogni contributo utilizzabile e che, anzi, abbia in sé un potenziale negativo, qualora
fosse inopinatamente utilizzato».
Non è certo il luogo, né il caso, di indicare gli argomenti
portati da Lunati a sostegno della sua tesi: in quello stesso
volume, tuttavia, il saggio di Raffaello Franchini, Il
significato della filosofia di Croce, dovrebbe sciogliere
più di un un dubbio sulla profondità teoretica dell’autore
della Logica come scienza del concetto puro; e altri ne
scioglie , se per filosofia non si intende semplicemente
un discorso sull’essere, il nulla e il divenire, il recente
volume di Giuseppe Gembillo, Croce e il problema del
metodo, pubblicato a Napoli da Flavio Pagano nel 1991,
dove il problema “filosofico” del rapporto tra Croce e le
scienze viene ripensato alla luce dell’epistemologia contemporanea.
Non è questo tuttavia l’argomento di fondo della nostra
nota: esso consiste invece nel tentativo di comprendere
le ragioni dell’opzione, diciamo così, “gentiliana” della
cultura italiana post-marxista e anche di certa cultura
cattolica (del resto la prima rivalutazione, in tempi recenti, della grandezza teoretica di Gentile - gli scritti di
Antimo Negri, in particolare i due volumi pubblicati con
il titolo Giovanni Gentile per la Nuova Italia nel 1975,
rappresentano una “continuazione”, non una “ripresa” o
una “rivalutazione” - è venuta proprio da uno studioso
cattolico, Augusto Del Noce, sia nel già ricordato Gentile e Gramsci, che nel postumo Giovanni Gentile, apparso, per il Mulino nel 1990, a un anno dalla morte del suo
autore). Basterà, a conferma di questo, ricordare una
recente considerazione avanzata da un allievo di Del
Noce, Rocco Buttiglione, il quale - in un volume dedicato proprio all’opera del suo maestro, Augusto Del Noce.
Biografia di un pensiero, apparso lo scorso anno per le
edizioni Piemme - ha scritto che «la chiave della debolezza crociana è [...] l’abolizione dell’uno, che è come
dire l’immanentismo, cioè il pensiero di una divinità
SAGGIO
priva di consistenza oggettiva. Se si reintroduce questo
momento», prosegue l'autore, «diventa possibile realizzare l’intenzione fondamentale di Croce, salvandola
dalla sconfitta cui essa è altrimenti destinata di fronte
all’emergere dei totalitarismi ed in primo luogo davanti
alla filosofia di Gentile».
L’errore di Croce, dunque, sarebbe stato quello di cancellare l’uno dai trascendentali (anche se poi, tardivamente, aveva tentato di riformulare il problema individuando nella “categoria” della vitalità, la sola , l’unica
origine della dialettica); ma in tal modo, aggiunge Buttiglione, «abolendo l’unità e sostanzialità divina, Croce
pone, senza volerlo, le premesse per l’abolizione anche
dell’unità e sostanzialità del soggetto umano», cosicché
una eventuale «prosecuzione di Croce implica [...] l’abbandono di uno dei lati del suo pensiero».
Ma quale lato? Certamente quello della “filosofia della
distinzione”, a favore di una filosofia di tipo “monistico”: che è poi la vera, l’ultima radice della differenza tra
Croce e Gentile. Differenza sottolineata, con un’opzione
a favore di Croce, addirittura, per quanto la cosa possa
apparire strana, da Gramsci, il quale ha scritto che
«l’idealismo attuale fa coincidere verbalmente ideologia
e filosofia», cosa «che rappresenta una degradazione
della filosofia tradizionale rispetto all’altezza cui l’aveva portata il Croce con la così detta dialettica dei
“distinti”».Va da sé che Gramsci aveva qualcosa da
ridire anche sulla “dialettica dei distinti”; ma questo non
è, almeno qui, molto importante. Ciò che invece risulta
importante, è il fatto che le filosofie di Croce e Gentile,
lungi dall’essere “assimilabili”, identificabili sotto la
medesima etichetta, si proponevano come due diverse
visioni del mondo (e della storia e della politica e dell’etica); e non è scritto in nessun luogo che il concetto
“monistico” di unità (da cui sono nate tutte le ideologie
totalitarie) sia teoricamente più profondo e complesso di
quello di distinzione (su cui si fondano le ideologie
liberali), se non per il fatto che il primo (intendendo con
esso il carattere costitutivo delle grandi filosofie idealistiche, del “rovesciamento” marxiano, delle filosofie
dell’essere e del divenire) si presenta in maniera (non
soltanto verbalmente) ambigua, equivoca, e quindi idonea al pensiero “totale” (che talora - come nel caso di
Croce e Gentile - può anche sconfiggere il pensiero
pluralistico, il pensiero che si autolimita).
Ne viene che la cultura cattolica e quella post (o, meglio,
ex) marxista, fondate entrambe su un “monismo assoluto” (che rigetta non soltanto la “distinzione” crociana,
ma tutte le filosofie analitiche, che ignora, o disprezza, la
svolta linguistica: si pensi a ciò che Adorno diceva di
Wittgenstein), non potevano non preferire Gentile a
Croce; quel Gentile che, secondo un duro e forse anche
ingiusto giudizio di Norberto Bobbio, espresso nel 1986,
nell’edizione einaudiana del suo Profilo ideologico del
Novecento italiano, incarnerebbe l’ideologia italiana,
cioè «un certo spiritualismo di maniera, ora speculativo,
ora soltanto retorico e pedagogico, che scomunica dovunque appaiano, positivismo, empirismo, materialismo, utilitarismo, come filosofie volgari, anguste, mercantili, impure».
Tutt’altra - anche se lontana di molto dalle filosofie
indicate da Bobbio - la posizione di Croce, presso il quale
il rifiuto del pensiero “totalitario” si manifesta in diverse
occasioni. Fra queste, ad esempio, la “liquidazione”, da
lui operata ben prima di Popper, di quell’aspetto fondamentale del pensiero “totalitario” rappresentato dalle
“filosofie della storia” (indicate assai impropriamente da
Popper con il nome di “storicismo”). Nel 1917, data della
prima edizione italiana di Teoria e storia della storiografia, Croce, mentre denunziava la unholy alliance, per
dirla con Popper, tra “determinismo storico” e “filosofia
della storia”, dove il primo, indicato come la concezione
“immanente” del reale, consente di «adoprare il cemento
della causalità», e la seconda, indicata come la concezione “trascendente”, usa la «bacchetta magica della finalità», e dove ognuna nascerebbe in contrasto con l’altra;
dopo questa premessa, dunque, Croce attribuiva alle
filosofie della storia un carattere “poetico” (e quindi, in
forza o a causa di ciò, inadeguato a qualsiasi tipo di
spiegazione o comprensione della storia). Scriveva infatti che quel carattere, appunto, “poetico”, appare «in
tutte le ‘filosofie della storia’: sia in quelle antiche, che
rappresentavano gli accadimenti storici come lotte tra gli
dèi di singoli popoli o di singole genti [...], sia in quelle
moderne e modernissime che s’ispirano ai vari nazionalismi ed etnicismi [...], o che rappresentano il corso
storico come la corsa verso il regno della Libertà, o come
il passaggio dall’Eden del comunismo primitivo, attraverso il Medioevo della schiavitù, della servitù e del
salariato, verso il comunismo restaurato, non più inconsapevole, ma consapevole, non più edenico ma umano».
Si vede qui come Croce, che nel 1896, nel corso della
discussione sul marxismo con Antonio Labriola, aveva
negato che quella di Marx fosse una filosofia della storia,
nel 1917 la considerava già come come tale, attribuendo
implicitamente anche ad essa un carattere “poetico”. Ma
di quali lacrime e di quale sangue avrebbero presto
grondato quelle “poetiche” filosofie della storia, Croce
non poteva nella prima metà degli anni Dieci - la rivoluzione d’ottobre, il fascismo e, soprattutto, il nazismo
erano ancora lontani - neppure immaginarlo. Tuttavia,
allorché la storia reale, in atto, gli mostrò le drammatiche
conseguenze di quelli che una volta per lui erano stati
soltanto pensieri di “candidi” o “torbidi” sognatori, il suo
giudizio doveva decisamente mutare. Così, quando nel
1938, in una delle sue opere più note, La storia come
pensiero e come azione, riprese questo argomento, sostituì l’espressione “carattere poetico” con “carattere mitologico”, e indicò nella filosofia della storia «un caso
particolare di falsa posizione teorica».
Alla luce degli avvenimenti che viviamo, e di quelli
meno recenti, ma pur sempre a noi contemporanei, si
comprende quanto Croce avesse letto correttamente la
storia contemporanea, caratterizzata da quel fenomeno
tipico ed esclusivo della “contemporaneità” che è il
totalitarismo, di cui le “mitologiche” filosofie della storia, quale che fosse il loro segno, sono state il fondamento
ideale. Di conseguenza il totalitarismo è un fenomeno
che esige - proprio perché a differenza della “tirannide”
nasce legittimamente o abusivamente da una “filosofia”
SAGGIO
- una interpretazione transpolitica (per usare il termine
con cui Renzo De Felice definì l’interpretazione del
fascismo di Augusto del Noce), una interpretazione,
cioè, per usare le parole dello stesso Del Noce, che
privilegia «come l’essenziale il momento filosofico; o
che è attenta al parallelismo tra filosofia e politica come
tratto nuovo che la specifica».
Sarebbe erroneo, però, nonostante a una interpretazione
non economicistica, né panpoliticistica, né obiettivistica, abbia aperto la strada proprio Croce con la sua
storiografia etico-politica, attribuire al filosofo napoletano la paternità dell’interpretazione transpolitica della
storia. O, se proprio lo si vuole, avendo Croce - secondo
la nota osservazione di Gramsci - assunto (forse non
proprio “placidamente”) come storia «il momento dell’espansione culturale», allora occorre tenere presente
almeno un problema non del tutto secondario.
Di fronte al fenomeno totalitario Croce assunse, come è
noto, un atteggiamento “distaccato”, di riprovazione più
che opposizione: o meglio - cosa che provocò il distacco
da lui di molti giovani intellettuali - di opposizione
“morale” più che “politica”. Ha scritto Fulvio Tessitore
in un saggio dal titolo: Sulla storiografia di Benedetto
Croce - che si legge nel già ricordato Il ritorno di Croce
nella cultura italiana - che «già negli scritti del 18921894 [...] Croce aveva definito la sua storiografia ‘storia
morale’», e che, pur se nel 1924 la «mai intermessa»
riflessione sulla storia «confluì nella definizione di storia
“etico-politica”», tuttavia il “momento etico” finiva progressivamente con il prevalere «su quello politico», per
lo meno a partire dal 1929, dalla Storia dell’età barocca,
il libro, cioè, dove, sempre a dire di Tessitore, «la vita
politica era stata deliberatamente messa da canto a vantaggio della vita morale e culturale».
Che le cose stiano così - che non soltanto nel Croce
storico, ma anche nel Croce “uomo” il momento etico,
dettato soprattutto dalla sofferenza per quanto vedeva
accadere intorno a lui sia in Italia che in tutta Europa,
sarebbe stato, a partire dall’avvento del fascismo, prevalente su ogni altro - non ci sembra possano esservi dubbi.
Lo prova ad esempio la polemica con Gentile (ricostruita
con molta finezza da Jader Jacobelli nel volume del
1989, Croce e Gentile dal sodalizio al dramma, pubblicato da Rizzoli), dove - in particolare nelle repliche e
controrepliche pubbliche immediatamente seguite alla
rottura privata del 24 ottobre 1924 - al tono ironico,
sprezzante talora, di Gentile fa da contrappeso quello
dolente, amareggiato, di Croce. E lo prova ancora un
breve saggio del 1931, dal titolo Apoliticismo, dove si
leggono queste parole: «La società non lascia di raccomandare e rammentare ai suoi poeti, ai suoi filosofi e
storici di guardarsi dalle passioni e dalle tendenze della
politica. La verità universale, la pura umanità non si
ottiene, infatti, nelle opere loro se non col superare le
particolari passioni e tendenze, quali sono per eminenza
quelle che si raccolgono sotto il nome di “politica”. [...]
E un’altra raccomandazione o esortazione la società
rivolge ai cultori del bello e del vero, che è di astenersi,
in quanto persone pratiche, dal partecipare alla politica,
o, per lo meno, dal pretendere in essa a una parte
importante e dirigente».
Questo “ripiegamento”, questo passaggio dalla politica
all’etica, non si trasforma mai però in moralismo. Semmai lo si potrebbe chiamare con Paolo Bonetti - che
tuttavia tende a “sottodimensionare” (non senza qualche
valido argomento e esibizione di testi) il privilegio
crociano dell’etica - “disincanto politico”. Del resto nel
già ricordato Apoliticismo, Croce scriveva che quella
«esortazione e raccomandazione» ai filosofi, storici e
poeti, a non occuparsi di politica, non intendeva «inculcare l’apoliticismo, ma, come si dovrebbe dire, il simpoliticismo, l’interessamento per la politica [...] non per far
della politicante e cattiva poesia, filosofia e storiografia,
[...] ma unicamente per convertire l’energia di quel
sentimento in pura poesia, filosofia e storiografia».
Ma di là di tutto questo, il “ripiegamento” di Croce verso
i valori etici, che assumono presso di lui, in un particolare
momento della storia d’Europa, il significato di valori
della cultura, lo allineava alla “migliore parte” del pensiero “liberale” - o “conservatore” se si preferisce: ma
impegnarsi a “conservare” la libertà e la sua “anima
morale” non è certo disdicevole - del Novecento, da
Thomas Mann (il cui carteggio con Croce è apparso lo
scorso anno a Napoli, presso Flavio Pagano, con il titolo
Croce-Mann. Lettere 1930-1936, a cura di Emanuele
Cutinelli Rèndina e Rosario Diana e con la prefazione di
Ernesto Paolozzi) a Johann Huizinga, a José Ortega y
Gasset a Edmund Husserl, anch’essi impegnati nella
battaglia culturale (quella politica era già perduta) contro
il frenetico attivismo, la volgarità, la rozzezza culturale
di cui si alimentavano i fascismi europei, contro i quali
- ma pronto all’occasione ad accordarsi con essi - si
ergeva un altro e non meno minaccioso totalitarismo.
La scelta etica di Croce ha dunque le sue fondate motivazioni. Norberto Bobbio, alla tesi di Jacobelli secondo
cui nello scontro tra Croce e Gentile non vi furono «un
vincitore e un vinto, ma entrambi forse furono perdenti»,
ha replicato che «quale dei due filosofi, il difensore dello
stato etico o lo storico della religione della libertà, abbia
vinto e quale abbia perso», non può essere messo in
dubbio; e che, almeno in questo caso, «la sentenza data
dal tribunale della storia» non dovrebbe «essere sottoposta alla prova d’appello». Sul piano della “grande storia”,
dei suoi tempi lunghi, della sua pazienza, le cose stanno
certamente così. Ma sul piano della “storia vissuta”
qualche differenza esiste. Gentile fu certamente “sconfitto”, ma una volta sola, e, per lui, definitiva. Croce
invece fu “sconfitto” due volte, e ambedue le volte visse
la sua sconfitta: la prima volta nel 1924 con la vittoria del
fascismo (da cui nacquero alcuni saggi di altissimo
valore morale, come ad esempio, L’ombra del mistero o
lo stupendo Principio, ideale, teoria: a proposito della
teoria filosofica della libertà); la seconda nel 1945,
quando non una società e una cultura liberali, ma quel
marxismo di cui aveva raccontato nel 1937 la vita e la
morte, ricomparve in forze a minacciare la libertà appena
riconquistata (e di questo momento doloroso sono espressione saggi come La fine della civiltà, L’anticristo che è
in noi, Il peccato originale, dove l’amarezza provocata
dalla nuova sconfitta traspare da ogni riga, in ogni
parola).
Forse proprio il suo destino di “vinto”, accompagnato da
CONFERENZA
Otto Pöggeler
CONFERENZA
Dell’opera critica e di pensiero di Otto
Pöggeler colpisce in particolare la molteplicità di contributi ad alto livello in
due campi così diversi come sono quelli
che riguardano la filosofia di Hegel e
Heidegger. Poiché a Heidegger e all’ermeneutica arriveremo tra breve, dato che
questo è il tema appunto della conferenza che ascolteremo, grazie all’opera organizzativa del Goethe Institut e dell’Università degli Studi di Milano, vorrei aprire questo incontro accennando
brevemente a qualche aspetto del Pöggeler studioso di Hegel, e anzitutto direttore dello Hegel Archiv di Bochum, da
cui provengono i volumi dell’edizione
critica di Hegel, che oramai sono diventati fondamentali per la ricerca.
Nel 1955 Pöggeler esordiva con un libro
intitolato: Hegel und die Kritik der Romantik (Hegel e la critica del romanticismo), in cui venivano ricostruite, con grande ricchezza di documentazione, tutte le figure
romantiche toccate direttamente o indirettamente da Hegel. É
un peccato che questo libro non
sia stato più ristampato e non
sia tradotto in italiano, perché
è una fonte di lavoro preziosissima. Disponibile è invece
un’altro testo fondamentale
dell’opera critico-interpretativa di Pöggeler, L’idea di una
fenomenologia dello spirito,
tradotto a Napoli da Guida. Al
topos degli studi hegeliani di
contrapporre il metodo al sistema, Pöggeler oppone qui la concezione della fenomenologia
come un’idea: un’idea che è un
qualcosa di molto diverso sia
da un metodo, che da un sistema; qualcosa che Pöggeler nelle opere successive chiamerà un “cammino”. Un’interpretazione questa molto
interessante, perché mostra come ad un
certo punto la filosofia di Hegel prenda
una struttura fortemente teleologica, che
spiega anche il distacco delle opere sistematiche dalla fenomenologia. Tra gli
studi più recenti di Pöggeler bisogna poi
menzionare un altro libro bellissimo, che
si legge con molto piacere, Il problema
dell’arte da Hegel a Heidegger, del 1984.
Il filo che lega questa trattazione da
Hegel a Heidegger in realtà non porta
tanto a Heidegger quanto a Celan, che è
uno degli altri pezzi forti degli studi e
degli interessi di Pöggeler: Paul Celan
come “possibilità di una poesia” dopo
Auschwitz.
Per quanto riguarda Heidegger, fin dal
1963 abbiamo di Pöggeler un libro che è
rimasto fondamentale, Der Denkweg
Martin Heideggers (Il cammino di pensiero di Martin Heidegger), proprio in
questi giorni pubblicato in italiano dal-
l’editore Guida di Napoli. Questo libro è
tra l’altro molto importante, poiché reca
in appendice alla terza edizione anche
una sorta di autobiografia filosofica di
Pöggeler.
Su Heidegger e la politica Pöggeler scriveva già nel 1972, quando ancora il tema
non era approdato sulle pagine dei giornali e non aveva quella risonanza pubblicistica che ha oggi; anche qui Pöggeler mostra una estrema misura, poiché
non scagiona Heidegger, scavando un
solco fra la sua filosofia e la sua attività
politica, ma neanche demonizza l’una in
nome dell’altra. Per Pöggeler bisogna
piuttosto cercare di capire come e perché
la filosofia di Heidegger abbia in qualche modo reso impossibile una comprensione del problema. Preziosissimo è
poi lo studio: Heudegger und die hermeneutishe Philosophie (Heidegger e la fi-
ler mette in luce, a mio parere, quale è la
funzione di Hölderlin dopo Kierkegaard
e Nietzsche. É un punto estremamente
importante questo, e i Beiträge sono
l’opera che giustifica tutto questo. Con
un gioco di parole sarei tentato di dire, a
questo proposito, che Hölderlin è per
Heidegger ciò che Celan è per Pöggeler.
Si tratta cioè di poeti che hanno saputo
impostare il problema della poesia nella
sua funzione di rinnovamento non solo
della filosofia, ma della vita intera dell’uomo. É chiaro che in questo senso, e
non in un senso puramente estetico, l’opera di Celan occupa una parte cospicua
nel lavoro di Pöggeler, basti solo citare
Spur des Wortes (La traccia della parola), un libro dove il discorso abbraccia
Derrida e il postmoderno americano. Qui
Pöggeler si chiede: perché, in fondo,
Heidegger e Celan non potevano capirsi? Perché Heidegger pensa a
partire da Eraclito e dalla tragedia greca, Celan dai poeti
della rivoluzione russa e della mistica ebraica. Heidegger
si illude, si fa prendere dalla
nostalgia per un qualcosa di
originario come la celebre
“quadratura” di cielo e terra,
divini e mortali, Celan invece
non cade in questi cammini
seducenti, ma che poi non portano comunque a soluzione.
Questo continuo contrappunto tra l’opera di Heidegger e
l’opera di Celan rispecchia il
fatto che l’estetica, per quanto sia saldamente costituita
con un suo statuto disciplinare, ha un peso, nel mondo contemporaneo, che va ben oltre
questo statuto: poche altre
volte, nei secoli, l’arte ha avuto una tale funzione veritativa, positiva o
negativa, deformante che sia, una funzione filosofica come certo Hegel non
pensava più che potesse avere.
Prima di lasciare la parola a Otto Pöggeler, vorrei accennare, per concludere, ad
un autore che purtroppo in Italia non è
conosciuto, ma che è stato il mestro di
Pöggeler, e cioè Oskar Becker. Becker
fu un matematico di grande vaglia; fu il
matematico su cui Husserl aveva riposto
le speranze di uno sviluppo della fenomenologia verso la matematica. Ebbene,
Oskar Becker teorizza, contro Heidegger, la necessità che accanto al Dasein si
contempli il Dawesen: Dasein e Dawesen sono come uno spettro, attraverso il
quale un medesimo raggio di luce si
riflette, pur restando in realtà il medesimo raggio di luce; solo che quel raggio
di luce ha tutte e due le componenti. Ma
allora, se c’è questa paraontologia, non
si potrà più dire che il sapere matematico
è derivato, che è una restrizione regiona-
Ermeneutica
del
mondo tecnico
di Otto Pöggeler
con una presentazione
di Valerio Verra
a cura di Massimo Mezzanzanica
losofia ermeneutica) del 1983, anche
perché apre la strada a quello che sarà il
tema di questa conferenza. In ultima
analisi, i due cammini che secondo Pöggeler Heidegger non ha saputo percorrere sono proprio il cammino della politica
e il cammino dei fondamenti della matematica e dei fondamenti della fisica, e a
questo proposito Pöggeler ci porrà senza
dubbio delle questioni interessanti sul
rapporto fra Heidegger e Heisenberg.
É apparso di recente un nuovissimo libro
di Pöggeler, Neuewege mit Heidegger
(Nuovi cammini con Heidegger): Wege
non Werke; l’opera di Heidegger non è
costituita da opere concluse, ma da “cammini”, alcuni ricchi di sviluppi, alcuni
che si sono interrotti, alcuni che si sono
per così dire avvitati su se stessi e alcuni
che ci sfidano a vedere se si possono
ancora proseguire. Ebbene in questo libro, ma anche in un bel saggio che si
trova nella raccolta Destruktion und Augenblick (Distruzione e attimo), Pögge-
CONFERENZA
le di un sapere interpretativo. La possibilità di un confronto
sullo stesso piano tra sapere ermeneutico e sapere scientifico,
alla luce del pensiero di Heidegger, è appunto ciò che ci
propone Pöggeler nella sua conferenza.
1. Nessuno dubiterà del fatto che il nostro mondo
attuale, con le sue occasioni favorevoli e con i suoi
rischi, porta l’impronta della tecnica. Poichè in tutto il
mondo si parla di una filosofia “ermeneutica”, si pone
la domanda se tale ermeneutica sia in grado di intendere, cioè di comprendere e interpretare, ciò che nel
nostro mondo è la tecnica con le sue possibilità e i suoi
limiti. Non proviene la tendenza ermeneutica prevalentemente dalle tradizioni di lingua tedesca? L’antica
ars interpretandi è fissata in un termine tecnico che
deriva dalla lingua greca. Il titolo di una disciplina
ausiliaria della teologia e della giurisprudenza può
offrire la denominazione per la riflessione filosofica,
in un paese che, per via della divisione confessionale
e di una formazione dello stato avvenuta in ritardo, era
vincolato a questioni religiose e al desiderio di un’unità culturale. Anche le questioni metafisiche vengono
oggi mantenute, ma consegnate alla rettifica della
costante riproblematizzazione o addirittura alla relativizzazione. Da vent’anni a questa parte la parola
“ermeneutica” appare anche in America come una
parola magico-filosofica. Non bisogna forse chiedersi
a questo proposito se gli Stati Uniti d’America, in una
crisi della loro comprensione di sé, non soggiacevano
allo spirito di coloro che furono da essi vinti in una
crociata politica? Allan Bloom parla, nel suo libro:
The Closing of the American Mind, di un chiudere gli
occhi che si abbandona a ottusi pregiudizi: con Nietzsche l’arte viene posta al di sopra della verità; con Max
Weber la propria tradizione costituzionale e la propria
economia vengono relativizzate alla stregua di pregiudizi religiosi; Freud e Heidegger aiutano l’irrazionale
nella sua irruzione. Ad ogni movimento contrastante
con la propria tradizione pragmatica e analitica viene
dato il titolo di “ermeneutica”. In questo modo viene
presentata da Stanley Rosen, nel suo libro Hermeneutics as Politics, la critica francese del logos di Derrida
e Foucault.
Ciò che sorprende è il fatto che la tradizione pragmatistica e analitica ha spontaneamente tramandato se
stessa nel modo di un autoscioglimento nelle tendenze
ermeneutiche. Nel 1979 Richard Rorty, nel suo libro
Philosophy and the Mirror of Nature, ha aperto le
tradizioni analitiche a quelle ermeneutiche. Dieci anni
più tardi il suo libro Contingency, Irony and Solidarity
prende le mosse dal fatto che la conoscenza si costituisce linguisticamente, che ad un certo momento il
linguaggio cerca di costruire in maniera contingente
una nicchia all’interno di un’evoluzione. Ha dunque il
filosofo ancora un vantaggio rispetto al poeta, per il
quale ne va di ciò che è nuovo ed originale? In ogni
caso, le affermazioni metafisiche possono essere trattate ormai solo ironicamente. Tuttavia, di fronte alla
libertà che concediamo all’ambito privato, l’ambito
pubblico richiede una certa obbligatorietà e solidarietà. Qui gioco ironico e critica non sono sufficienti.
Questa contrapposizione di privato e pubblico fa uso
di una distinzione che si è sviluppata storicamente e
che, ad esempio, sta alla base della cultura americana.
Non dovrebbero anzitutto venire stabiliti diritto e
limiti di una tale distinzione, soprattutto in una riflessione filosofica, prima di sottomettere ad essa le forme del filosofare? Nella scuola di Wilhelm Dilthey
non si cercava solo una logica ermeneutica, ma anche
di connettere filosofia e pedagogia. Wilhelm Flitner
ha così assegnato alla pedagogia un carattere ermeneutico o ermeneutico-pragmatico, in quanto essa
deve ricondurre a norme ciò che è individualizzato e
ciò che è storico. Joachim Ritter si è ricollegato negli
anni cinquanta a questa tradizione e ha sottoposto a
verifica ermeneutica alcune distinzioni decisive della
nostra cultura: per noi è vincolante che il mito conduca da una parte alla filosofia e dall’altra alla poesia,
che, dopo l’analisi di Hegel, la società civile si emancipi dall’ambito dello stato. Le tendenze ermeneutiche, che derivano da Heidegger e che vengono sviluppate da Hans-Georg Gadamer, tendono secondo Ritter
a seguire l’origine perduta e a voler rievocare la
differenziazione sviluppatasi storicamente. La filosofia ermeneutica segue figure opposte del processo
ermeneutico, tuttavia le tensioni nel principio ermeneutico non sono divenute feconde, ad esempio per la
discussione in America.
2. Quando Edmund Husserl, durante la prima guerra
mondiale, andò a Friburgo, si era separato dalla maggior parte dei suoi compagni di Gottinga: egli esigeva
ora per la filosofia fenomenologica un io trascendentale in quanto istanza che assicurasse la verità e la
certezza. Egli aveva però di fronte dal 1919 il suo
nuovo assistente, il giovane Privatdozent Heidegger:
se si vuole parlare di un “io trascendentale”, questo
dovrebbe essere inteso alla stregua di un io fattuale
(faktisches) e storico (historisches). L’io trascendentale, nel quale solo la costituzione dell’essere dell’ente riceve la sua garanzia ultima, risiede, in quanto
possibilità, proprio in un ente determinato, nell’uomo
finito e storico (geschichtlich). Così la fenomenologia
trascendentale diventa una faccenda storica (geschichtlich), che spontaneamente richiede un costante
rinnovamento e una costante rettifica. Per questo Heidegger può intendere la fenomenologia come ermeneutica.
La teologia protestante, che a quel tempo cercava
nuove vie proprio nell’esegesi, aveva più o meno
abbandonato l’antica disciplina dell’ermeneutica; ma
poiché Heidegger aveva studiato teologia nella facoltà cattolica, che a quel tempo seguiva zoppicando ciò
che era storicamente nuovo, egli aveva potuto ancora
seguire presso uno dei suoi insegnanti un corso sull’ermeneutica, ed aveva poi ritrovato questo tema in
Schleiermacher e in Dilthey. Nella riduzione a metodo
effettuata da Schleiermacher e Dilthey egli poteva
però vedere solo un misconoscimento di ciò che l’ermeneutica era originariamente. Questo egli lo cercava
nella disputa sul logos della filosofia quale era stata
condotta da Aristotele con il suo maestro Platone. Allo
stesso tempo, egli intendeva Aristotele, il maestro
CONFERENZA
dell’Occidente, a partire dalla critica con la quale
Lutero si era rivolto contro la tradizione della teologia
metafisica, avendo forse con ciò scoperto la situazione reale dell’uomo. Alle “cose stesse”, così come le
cercava la fenomenologia, conduceva in ogni caso
solo la via che passava per la storia, in cui tali “cose”
venivano coperte e di nuovo messe allo scoperto, e
forse in generale solo costruite.
Alla fine dell’introduttivo par. 7 di Essere e tempo
Heidegger illustra il logos della filosofia, e in particolare della fenomenologia, come ermeneutico. Allo
stesso tempo il comprendere e la metodologia delle
“scienze storiche” vengono assunti, nel loro contrasto
con lo spiegare, come qualcosa di molteplicemente derivato; del comprendere e dell’interpretazione, e con ciò
dell’ermeneutica, si parla proprio con riguardo all’essere, che si mostra o si “manifesta” in maniera molteplice
nell’esserci come “fenomeno”. La fenomenologia in
quanto ermeneutica tratta in senso ontologico-fondamentale la costituzione dell'ontologia (Ontologiebildung)
in generale, e non in senso ontologico-regionale dell’uomo, che comprende se stesso anche e anzitutto in quanto
storico. Che cosa può essere l’ermeneutica ai diversi
livelli? in che modo il comprendere, ad un livello derivato, si distingue dallo spiegare? Tutto ciò avrebbe dovuto
venire sviluppato in quella terza parte di Essere e tempo
che non è mai apparsa. Le parti disponibili di Essere e
tempo mostrano tuttavia chiaramente che il richiamo
all’ermeneutica allontana altri modi filosofici di procedere. Il principio ermeneutico attesta se stesso attraverso
l’ambito di discorso relativo al “comprendere” e all’”interpretare”. Invece che della “ragione” si tratta qui
della “parola”; solo eccezionalmente viene fatto riferimento alla tradizionale distinzione tra concetto, giudizio,
deduzione. La dialettica speculativa viene liquidata come
un impiccio che già in Platone è foriero d’inganni. Il
termine “argomentazione” compare più o meno cinque
volte, ma in senso peggiorativo; di contro si parla trecentosessanta volte - anzitutto in riferimento al filosofare - di
“interpretazione”, “interpretare” e “interpretativo”. Ci si
appropria dell’ analitica in quanto caratterizzazione dell’ermeneutica dell’esserci, come se in tutto il mondo non
si fosse sviluppato un filosofare analitico in alternativa al
filosofare dialettico e al filosofare che d’allora in poi si
chiamerà ermeneutico.
In quanto Essere e tempo segue una tendenza ermeneutica unilaterale, della matematica si dice che essa è più
limitata ma non più rigorosa della storia (Historie). E’ più
limitata, in quanto prescinde dai tratti caratteristici, concreti e storici, del nostro essere-nel-mondo. Quando
Heidegger, ancora nel senso delle idee neo-kantiane,
presenta la fisica e la storia come scienze-modello, egli
intende la fisica come l’astrazione di una “de-mondanizzazione” (Entweltlichung). La fisica spiega un processo
come la caduta libera idealizzandolo e ignorando, ad
esempio, l’esistenza della forza d’attrito. Così essa può
iniziare un esperimento con formule matematiche e domandare se queste formule spiegano un processo, padroneggiando anche ripetizioni future, e se in tal modo
“interpretano” il processo. In modo del tutto diverso si
realizza il comprendere. Esso è legato alla cosa che va
compresa da un relazione vitale, positiva o negativa - è
legato ad esempio alle tendenze della Rivoluzione francese o all’annuncio di Gesù come il Cristo. A partire da
questa relazione vitale il comprendere guadagna una
anticipazione che deve poi venire corretta nell’interpretazione e precisata in una verifica costantemente rinnovata. A questo suo essere inserito nella storia (Geschichte)
che si sviluppa, il comprendere non può sfuggire. HansGeorg Gadamer, in Verità e metodo, ha ricollegato le
riflessioni di Heidegger con una riflessione sulle operazioni specifiche delle scienze dello spirito. L’ermeneutica torna ad essere un’ermeneutica filosofica in quanto
essa sostiene che il comprendere è qualcosa di universale,
e di conseguenza può vedere nello spiegare solo un
fenomeno marginale derivato. In Verità e metodo (almeno nelle prime due sezioni) ci sembra di incontrare un
aristotelico, che relativizza la generalità dell’idea rispetto alla situazione concreta e all’attimo. Tuttavia, più
recentemente, il VII volume delle sue Opere ha mostrato
che Gadamer intende se stesso come platonico. Egli
insiste solo sul fatto che l’idea non può essere concepita
solo a partire da modelli di tipo matematico; anche le
virtù hanno ad esempio le loro idee, che possono però
essere intese solo in modo aporetico. Resta la questione
se tale ermeneutica non spinga tuttavia ai margini lo
spiegare tramite la matematica, e la tecnica ad essa legata,
e se con ciò essa sia ancora in grado di capire adeguatamente il nostro mondo che porta l’impronta della tecnica.
3. Se fenomenologia e filosofia vengono intese come
ermeneutica, questa ermeneutica si trova allora al di
sopra del contrasto tra spiegare e comprendere. Per
Heidegger essa è un ermeneutica che indica in modo
formale. Ciò che viene indicato formalmente è se vogliamo per esempio spiegare oppure comprendere. Nel lavoro filosofico un’indicazione formale deve chiarire anticipatamente in quale sfera ci muoviamo: si tratta della
cattedra che mi sta di fronte, dove al fidato “che cosa”
(Was) si aggiunge la realizzazione a caso in un “che”
(Daß), o si tratta di un altro uomo? Se questo uomo non
funziona esattamente come un impiegato dietro a uno
sportello di banca, è solo nel “che” dell’attimo messo in
risalto che può aprirsi il suo “che cosa” o la sua essenza
(Wesen). Se si tratta del comprendere bisogna domandare
ulteriormente se cerchiamo la fede o il sapere. Il sapere
può indicare in modo formale che all’uomo appartiene
l’apertura al senso. Tuttavia deve essere lasciata alla fede
la decisione relativa al fatto che possiamo o non possiamo
seguire una rivelazione. L’ermeneutica che indica in
modo formale, che conduce alle suddette distinzioni,
deve cogliere se stessa; resta tuttavia abbandonato il
carattere autoriflessivo della storia che si muove in avanti. L’ermeneutica appartiene all’uomo fattuale (faktisch)
e storico (geschichtlich), che è un ente determinato tra
altri enti. Heidegger accoglie la domanda di Scheler circa
la posizione dell’uomo nel cosmo, una domanda che
connette antropologia e metafisica. Heidegger deve sì
respingere la metafisica scheleriana della causa bipolare
del mondo in quanto mera reazione contro il retaggio
della metafisica; ma egli riconosce che l’ontologia fondamentale, con il suo domandare circa il perché, è legata
CONFERENZA
all’uomo e che con ciò le spetta una prospettiva metafisica. In che modo l’uomo deve presupporre in generale la
vita per il suo esserci e lasciarsi rinviare, nel proprio
mondo, alla terra inesauribile? In che modo egli si delimita, in quanto mortale, rispetto alla potenza superiore
del “divino”? Nietzsche e il nietzscheanismo hanno mostrato che questo insieme di terra e mondo, di mortali e
divini ha una propria storia. Il corso su Metaphysische
Anfangsgründe der Logik dell’estate 1928, che si riferisce in modo così insistente all’ultima filosofia di Scheler,
fissa già anche il fatto che la tecnica ha fatto irruzione
come una “bestia” scatenata nella connessione di mondo
e terra, mortale e divino. Tuttavia, ancora nella tarda
alternativa heideggeriana tra l’impianto della tecnica e la
quadratura dell’originario essere-nel-mondo, non è chiaro quale sia la logica filosofica che segue questo antagonismo. Il modo in cui, ad esempio, il Giappone ha ripreso
e sviluppato la tecnica, ci pone di fronte alla domanda se
la tecnica si collega a costanti dell’essere-nel-mondo o se
è una tendenza storica che ha avuto origine nell’ambiente
culturale europeo-mediterraneo e si è poi estesa a livello
planetario. La discussione condotta da Heidegger con il
fisico Werner Heisenberg nel convegno del 1953 a Monaco su “Le arti nell’epoca della tecnica”, può mostrare
come tali questioni restino irrisolte nell’ermeneutica così
come si è sviluppata sino ad oggi. Heidegger è d’accordo
con Heisenberg circa il fatto che non possa più darsi una
filosofia della natura che, come faceva quella di Aristotele, partendo dalla natura di una cosa, ne determini il
luogo nella totalità del mondo. Da Galilei in poi ci si
limita a spiegare e a dominare tramite una legge processi
naturali singoli ed isolati. In questa spiegazione ci si serve
della matematica in quanto modalità più sicura del sapere; così Max Planck può chiamare “reale” ciò che può
essere misurato. La teoria dei quanti di Heisenberg può
intendere la causalità ormai solo in senso statistico; l’idea
di una cosa in sé, nell’ambito atomico, viene rifiutata a
favore di modalità d’accesso differenziate ai corpuscoli
o alle onde, tuttavia il principio di indeterminazione fa sì
che i processi siano nuovamente misurabili e con ciò
dominabili. In tale dominare l’uomo incontra solo se
stesso. Ma ciò significa per Heidegger: egli non incontra
la propria essenza, che è quella di lasciar giungere in
un’apertura, in quanto esserci, l’essere dell’ente differenziato. La rappresentazione (Vorstellen) dell’ente attraverso idee è diventata, nell’impianto (Gestell) della tecnica, un disporre (Stellen) universale; tale predisporre
sottomette a se stesso anche l’uomo disponente in quanto
mero materiale umano. Per Heidegger non è casuale,
bensì necessario, che la fisica, in quanto tecnica atomica,
cada negli intrecci bellici e industriali del nostro secolo.
Heidegger può attendersi solo da un’arte radicata in
maniera cultuale, che mostri ciò che è salvifico e salutare
per l’abitare sulla terra, quello che Aristotele cercava
ancora filosoficamente: l’incontro con le cose a partire
dalla loro “natura”.
Heisenberg sa dalla sua esperienza che la fisica atomica
deve la sua nascita anche a scopi bellici. Ciononostante
essa può ritirarsi, secondo la sua concezione, nella teoria
e riconoscere aspetti di ciò che ci si mostra in quanto
realtà. Il conoscere è rivolto dunque a idee e strutture e
deve esigere per le sue teorie semplicità e simmetria.
Così Heisenberg ha affermato, in uno sguardo biografico
retrospettivo, di avere avuto, nella scoperta della formula
decisiva nel 1925 a Helgoland, il senso «di guardare
attraverso la superficie dei fenomeni atomici ad un
terreno profondo di grande bellezza interiore». Secondo
la concezione platonico-neoplatonica la bellezza conduce dal sensibile alle idee e può così cogliere il cosmo
come dotato di forma. Le strutture che vengono presagite
restano tuttavia parziali. L’aspetto metodico della ricerca non risiede nel legame del principio cartesiano con
l’hegeliano sapere di sé dell’assoluto o addirittura con la
nietzscheana volontà di potenza (come sostiene Heidegger); esso conduce piuttosto ad un controllo autocritico
dei limiti del cogliere. L’affermazione di Heidegger per
cui secondo Heisenberg l’uomo incontrerebbe solo se
stesso, travisa ciò che Heisenberg osserva circa l’inasprimento della nostra situazione attuale: il fatto che noi, ad
esempio, non abbiamo più come rivali le bestie feroci. La
radicalizzazione problematica di Heidegger altera solo il
punto di vista che le scoperte e le tecniche moderne
possano disturbare l’equilibrio dell’essere-nel-mondo e
che a lunga scadenza si debba trovare una compensazione. Il giardiniere di Chuang Tse individuava già nel
pozzo a carrucola, la cui natura pre-tecnica poteva solo
venire lodata da Heidegger, una macchina che alla lunga
induce in chi la utilizza un cuore da macchina. L’attività
contadina, a cui Heidegger si richiama, è ad esempio
intervenuta in maniera massiccia nella natura attraverso
il dissodamento. Anche l’arte è un effetto scambievole
tra l’uomo e la realtà. Ma essa oggi non può più essere
radicata in modo culturale o addirittura essere l’opera di
un popolo. L’uomo, che anche dalla luna guarda indietro
alla terra, cerca strutture astratte, e così l’arte moderna
deve inclinare a nuove astrazioni. Nella sua lettera per
l’ottantesimo compleanno di Heidegger, Heisenberg formulava in fondo una tagliente risposta di rifiuto: Heidegger misconosce la tradizione della filosofia così come le
operazioni specifiche della scienza e dell’arte moderna,
quando vuole superare o vincere l’orientamento del
pensiero verso le idee. Nelle scritture figurate della
scienza della natura e dell’arte l’interpretazione della
realtà in base alle idee trova una nuova intensità e
profondità. Heidegger ha cercato di rispondere a questa
critica al suo principio “ermeneutico”. Così mi scriveva
il 29 gennaio 1960: «So molto bene che, per chiarire il
pensiero altro, ho allontanato la domanda positiva circa
l’idea e ho anche determinato solo negativamente ciò che
è matematico... Il termine ‘im-pianto’ può essere purtroppo facilmente frainteso, come anche ‘la cura’. Se si
pensa l’im-pianto positivamente come la non ancora
conosciuta pre-apparenza (Vor-schein) attuale degli eventi, allora si apre una via al compito di un pensiero positivo
dell’‘idea’ e della ‘natura’ a partire dall’evento. Solo
che, la problematica è totalmente diversa da quella della
destituzione della natura dall’assoluto in Hegel».
Heidegger fa poi riferimento all’invio da parte di Heisenberg, per Natale, delle sue conferenze su Fisica e filosofia. Qui Heisenberg mostra nuovamente che nell’autunno 1926 a Copenhagen non si voleva più chiedere quale
schema matematico descriva una situazione sperimentale, ma piuttosto se «nella natura si verifichino in generale
solo quelle situazioni sperimentali che possono venire
AUTORI E IDEE
AUTORI E IDEE
Nagel: uguaglianza e parzialità
Nel suo nuovo libro, Equality and
partiality (Uguaglianza e parzialità, Oxford University Press, Oxford
1991), Thomas Nagel cerca di analizzare il problema centrale della teoria
politica, nell’intento di definire quali
caratteristiche devono possedere le
istituzioni economiche, politiche e sociali per poter essere accettate e sostenute a buon diritto dall’umanità
intera. Ciò che distingue l’analisi di
Nagel da quella di altri pensatori che si
sono interessati a questo problema
come Nozick, Rawls o Barry, non è
tanto il fatto che anch’egli sia consapevole che a tutt’oggi non esiste una
soluzione accettabile e a tutti nota di
questo problema, quanto la sua presunzione nel credere che comunque
esso possa essere risolto.
Equality and partiality è il primo lavoro
sistematico di Thomas Nagel, incentrato
sulla filosofia politica. I suoi precedenti
lavori (The possibility of altruism, 1970;
Mortal questions, 1979; The view from
nowhere, 1986) hanno già evidenziato come
egli consideri i classici problemi metafisici
riguardanti l’identità umana, la razionalità
e la posizione che occupa l’esperienza soggettiva in un universo oggettivo, come questioni intimamente connesse al dibattito sui
motivi che conducono l’essere umano all’aggregazione con i propri simili. Questo
nuovo studio possiede tuttavia una forza
che gli altri suoi lavori non hanno, in quanto
Nagel riesce qui ad avvicinarsi più di altri
interpreti al vero nodo fondamentale della
teoria politica. In Equality and partiality
egli riesce infatti a combinare un risoluto
realismo psicologico con un rispetto profondo per quella concezione secondo cui la
realtà delle persone che ci circonda non è da
ricercare esternamente, ma internamente a
ciascun individuo. Nessun altro filosofo
contemporaneo ha proposto una tale interpretazione del problema.
Come Platone, Nagel ritiene che i problemi
politici devono essere risolti all’interno
dell’anima individuale, se li si vuole risolvere completamente. Quest’impostazione
del problema riguarda sostanzialmente la
relazione di un individuo con se stesso e
con gli altri. Per Nagel si tratta della relazione tra due punti di vista differenti, ma
coesistenti in ogni essere umano non patologico. Uno decisamente personale, e l’altro più impersonale. La concezione dominante nella moderna filosofia politica liberale coincide con la piena accettazione
dell’esistenza e della legittimazione del
punto di vista pienamente personale, e nel
collocare le affermazioni di impersonalità
decisamente al di fuori dell’individuo agente, affermando che solo l’oggettività esterna a ciascuno di noi è necessaria e sufficiente per far sì che vengano accettate, sia
da un punto di vista morale che politico,
posizioni che altrimenti rischierebbero di
non essere prese in considerazione da nessuno.
L’intuizione di Nagel risiede invece proprio nell’aver individuato, almeno in parte,
questa inefficacia politica nella mancanza
di considerazione nei confronti della morale personale che si trova all’interno del
punto di vista della morale impersonale, e
nella riluttanza a indirizzare le affermazioni morali direttamente al cittadino, le cui
scelte politiche determinano propriamente
l’ordine e la distribuzione degli eventi esistenziali all’interno di una democrazia.
La soluzione del problema della legittimità
politica è esposta, per Nagel, a due enormi
problemi: uno pratico, l’altro teorico. Il
primo riguarda l’opacità e l’instabilità della relazione tra affermazioni impersonali e
personali di un essere umano. Il secondo
riguarda l’evidente impossibilità di fornire
un riordinamento del mondo economico
attraverso una giustificazione impersonale, ma accettabile personalmente. Ciò che
è interessante negli argomenti che Nagel
usa per analizzare il primo punto è il suo
tentativo di risolvere il problema dell’armonia psichica personale parallelamente a
quello di designare legittime istituzioni
sociali, politiche ed economiche, e di rifiutare contemporaneamente di imporre un
ordine esterno al sistema: un progetto platonico, fondato però su di una epistemologia scettica e radicato in un mondo altrettanto scettico.
Nagel stesso non riesce ad immaginarsi la
soluzione di un tale problema, né ha la
presunzione di poterla proporre, anche se
insiste sul fatto che il suo approccio è
l’unico coerente e adeguato, pur andando
incontro palesemente a due limitazioni. La
prima si può far risalire all’influsso kantiano ed è dovuta al fatto che Nagel si affida
eccessivamente alla razionalità degli argomenti che propone, e che in se stessi dovrebbero garantire ed essere sufficienti per
sostenere la forza psichica dell’impersonale: egli non si accorge che un tale progetto di tipo platonico non può appoggiarsi
solo ad una concezione teorica. La seconda
limitazione deriva dalla sua considerazione della povertà come «accadere della sfortuna», che non mette in evidenza, né tantomeno spiega, i processi causali che stanno
alla base di questo fenomeno e da cui
dipendono virtualmente le modalità di vita
di ciascun essere umano. Nagel riesce comunque a fornire una illuminante spiegazione del perché l’ineguaglianza economica sia stata così poco intaccata dalla moderna fioritura della filosofia politica liberale. Fino a quando non si riuscirà a immaginare come il mondo economico possa
servire i bisogni umani in maniera meno
parziale, ogni approccio al problema della
legittimità politica potrà fare a meno di
accettare, implicitamente o esplicitamente, l’ipotesi che la formulazione e la ricerca
di un modus vivendi valido per tutti gli
esseri umani va oltre la nostra possibilità di
fornire per esso una giustificazione imparziale. Di questo Nagel sembra essere ben
consapevole. V.R.
Saggezza e follia
Un testo breve, 128 pagine in uno stile
limpido, conciso, senza note critiche.
Non sembra che ve ne sia bisogno in
questo insolito “pamphlet” di Clément
Rosset: Principes de Sagesse et
de Folie (Principi di Saggezza e di
Follia, Minuit, Parigi 1992), che si presenta nello stesso tempo come una
rigorosa riflessione ispirata a Parmenide, che nei Frammenti pone la verità
ontologica secondo cui è necessario
che l’Essere sia e il Non Essere non sia,
«e di conseguenza è necessario anche
pensare e affermare questo».
Tautologia originaria, questa, con la quale
si è misurata l’intera filosofia occidentale
AUTORI E IDEE
a partire da Platone, che compie il cosiddetto “parricidio” nei confronti di Parmenide
e impone una metafisica per eccellenza
antirealistica. Questa imponente tradizione, animata secondo Clément Rosset da
una volontà di non sapere e di esorcizzare
la realtà fisica, sarebbe caratterizzata da
due parallele strategie intellettuali, che sono
altrettante maniere di «tergiversare con la
verità di Parmenide». La prima sostituisce
alla presenza della realtà un altrove, uno
spostamento che fa sì che «l’Essere è, ma
anche il Non Essere è»; la seconda è la
strategia dello sdoppiamento, che proclama che «l’Essere certamente è, ma è doppio. Possiede una plasticità tale che, essendo l’Essere che è, può altrettanto bene
essere completamente diverso».
L’autore gratifica coi titoli di “follia” e di
“mascalzonaggine intellettuale” queste
costruzioni ontologiche, che stanno alla
base dell’architettura culturale della nostra
tradizione. È invece con gli strumenti di
una conoscenza che vede nella “realtà vera”
di ciò che esiste un motivo di piacere e non
di rifiuto, che Rosset procede nella “gaia
scienza” di smascherare i devoti del Non
Essere e i cultori dell’illusione. Se esiste un
problema filosofico, sostiene Rosset, questo problema è quello della realtà; per reggere l’evidenza della verità parmenidea
non c’è bisogno di dimostrazioni, né di
strutture ontologiche, ma di analizzare le
esperienze del reale a partire dalla «percezione affettiva» dell’esistenza. Questa può
esprimersi attraverso sentimenti di esultanza, di sorpresa o di nausea, esperienze
esistenziali che si situano tutte nel punto
d’incontro tra la realtà e il sensibile umano.
È perciò tra i non filosofi, tra gli scrittori
che Rosset va a cercare le testimonianze di
questo sentire: «Tra tutti gli scrittori noti,
Aristofane è tra quelli che meglio sono
riusciti a evocare questo giubileo, che consiste nel sentirsi esistere, nel sentire esistere le cose attorno a sé, e che dunque costituisce una sorta di pura degustazione dell’esistenza».
Nella varia casistica delle esperienze affettive del reale, le pagine meglio riuscite del
libro di Rosset sono dedicate all’allegria.
Sentimento spesso immotivato, o immotivabile, che resta tuttavia indifferente alla
refutazione, l’allegria coltiva rapporti ironici, ma amichevoli con il pensiero razionale; in essa, afferma Rosset, «tutto resta
pensato e tutto cessa di pensare». Questa
leggerezza vitale che si fa beffe di ogni
seriosità, e che, pur essendo “totalizzante”
s’impone per contagio e non per costrizione, appare tanto nella forma quanto nel
contenuto dell’opera di Rosset come lievito di una filosofia che vuole essere innanzittutto arte di vivere. E.N.
Una presenza incorporea
Tre sono gli argomenti con cui i dualisti affrontano il rapporto mente-corpo
umano: 1) o la mente è materiale, o è
immateriale; 2) la mente non è materiale; perciò 3) la mente è immateriale.
Dimostrare la seconda di queste premesse è lo scopo principale dei dualisti, anche se la prima premessa non
può certo reggersi senza un supporto
argomentativo. Lo studio di John Foster, The immaterial self: a
defence of the cartesian dualist conception of the mind (Il
sé immateriale: una difesa della concezione cartesiana dualistica della
mente, Routledge, London 1991), cerca appunto di dimostrare la coerenza
dell’affermazione secondo cui la mente è immateriale.
Sono possibili due strategie per mostrare
che la concezione materialistica della mente è errata; una si fonda sul fatto che per
ogni descrizione materialista i dualisti possono fornire obiezioni non facilmente confutabili; l’altra si propone di dividere le
teorie materialiste in tipi logici, confutando ciascun tipo separatamente. Unendo
queste due strategie, John Foster ci pone
di fronte ad un’utile discussione sulle versioni correnti di materialismo. La sua argomentazione si basa sull’opinione secondo
cui non è sufficiente mostrare i vari problemi che incontrano le “attuali” argomentazioni materialistiche, poiché se si vuole
affermare positivamente il dualismo, si
devono considerare tutte le “possibili” teorie materialistiche, fornendo argomenti
generali contro di esse.
Con questo obiettivo, Foster distingue tra
coloro che affermano la non esistenza della
mente e coloro che identificano la mente
con il cervello. I primi sostengono che ogni
cosa è materia, che la scienza arriverà in
futuro a scoprire che la mente non esiste e
che i fenomeni che ora vengono descritti
come mentali sono in realtà determinati
solo da una complessa attività neurale. A
questi Foster obietta che non esiste un
modo per regolamentare il procedere scientifico e arrivare a scoprire che l’odierna
concezione della mente è errata. Coloro
che invece identificano la mente con il
cervello vengono raggruppati da Foster in
ulteriori sotto-categorie, cui egli contrappone argomenti differenti, che comunque
sottolineano tutti il carattere esperienziale
degli stati mentali, in opposizione al materialismo che considera questi stati costituiti
solo da stati cerebrali, senza peraltro chiarire la relazione tra ciò che è costituito e ciò
che si costituisce, come ad esempio nella
complessa attività neurale che costituisce
l’esperienza del vedere il colore rosso.
Anche se attualmente nessuna teoria materialistica può spiegare un simile passaggio,
Foster ammette tuttavia che l’incertezza
circa il corso futuro della scienza impedisce ai dualisti di rigettare fermamente il
materialismo. V.R.
La mano e lo sprone
Non diminuisce l’interesse per l’opera
di Jacques Derrida, di cui sono stati
recentemente tradotti alcuni studi su
Heidegger, raccolti in La mano di
Heidegger (a cura di Maurizio Ferraris, traduzione di Giovanni Scibilia e
Gaetano Chiurazzi, Laterza, Roma-Bari
1991) e il testo dell’intervento a un
convegno su Nietzsche, Sproni. Gli
stili di Nietzsche (a cura e con un
saggio di Stefano Agosti, traduzione
di Giovanni Cacciavillani, Adelphi, Milano 1991).
Esercizio decostruttivo di un aforisma nietzscheano sulla donna e sulla verità, Sproni è
un esempio del procedere dell’indagine di
Jacques Derrida, anzi del suo stile, che,
come dice lo stesso pensatore francese, sta
alla scrittura come l’uomo sta alla donna.
Proprio la differenza di sesso (Geschlecht,
che è anche l’oggetto di uno dei saggi
compresi in La mano di Heidegger) è uno
dei grandi “rimossi”, a parere di Derrida,
della storia della filosofia. Storia della filosofia che è storia delle verità, e, come tale,
storia di un errore: l’errore di non saper
essere, nel senso di non saper tenere ferma
quella differenza e la distanza che ne consegue, che è il luogo d’origine della trascendenza all’interno della quale si colloca
anche il problema del senso o della verità
dell’essere. Ed ecco allora anche la resa dei
conti con Heidegger: la “questione dell’essere” non è capace, cioè non è sufficientemente “capiente”, nei confronti del problema della verità, in quanto si trova in esso
inscritta. Il quesito ontologico non è all’altezza del problema della differenza sessuale, e della dinamica di “propriazione” che
ne scaturisce, in quanto presuppone l’una e
l’altra, si pone al loro interno.
I tre saggi brevi raccolti in La mano di
Heidegger riprendono la posizione di Derrida nei confronti dell’idea heideggeriana
di oltrepassamento della metafisica. Idea
che per Derrida è la quintessenza della
metafisica, così come lo è il porre la questione dell’essere e quella dell’autenticità.
Dietro queste idee il pensatore francese,
ben più che un residuo di antropocentrismo, intravede una vera e propria posizione esistenzialista. Come si connette qui
questo discorso con quello sulla “mano di
Heidegger”? In Heidegger proprio la mano
definisce in modo decisivo il rapporto tra la
condizione della Zuhandenheit (essere a
portata di mano) e quella della Vorhandenheit (essere presente). Nella prima condizione si fa chiaro che ogni oggetto è
“segno”, e nel proprio carattere di strumento rimanda a un altro da sé. Nella seconda
l’oggetto è invece un “dato”, nella sua
“semplice-presenza”.
Ecco dunque, dice Derrida, in che senso il
pensiero di Heidegger è un “pensiero della
mano”; di qui il predominio che acquisisce
AUTORI E IDEE
in Heidegger la scrittura, operazione propriamente umana, attraverso cui sola può
porsi la questione dell’essere come Anwesen, come non presenza, e della “differenza
ontologica”. Un motivo, questo, che si accompagna a quello pure heideggeriano della voce, dell’essere, cioè del logocentrismo. La “mano” di Heidegger, la mano
come organo della differenza fra l’uomo e
l’animale, fra il Dasein e gli altri enti, non
vale più però come la concreta normalità
della prassi sensibile: non ci sono le “mani”
che afferrano, colpiscono, accarezzano, ma
“la” mano, incarnazione del logos che vive
e si manifesta in una struttura “originaria”,
quella scrittura che sa oltrepassare la “lettera morta”, contro cui già Platone si scagliava - fa osservare Maurizio Ferraris
nel saggio introduttivo - per andare allo
“spirito vivente” che palpita in essa. Il mito
dell’oltrepassamento, dell’autenticità, quello dello “stare vicino” alla dimensione dell’origine e “essere per la morte” fanno
dunque di Heidegger, secondo Derrida,
ancora un metafisico e un umanista. Per il
filosofo francese occorre però considerare,
accanto alla “mano di Heidegger”, anche
l’”orecchio di Heidegger”, cui è dedicato
l’ultimo dei tre saggi raccolti in questo
volume. È il tema dell’ascolto della voce,
cioè dell’apertura all’altro, che fa passare
la riflessione heideggeriana dalla tonalità
solipsistica dell’esistenza nell’“essere per
la morte” a una prospettiva dialogica; una
prospettiva quest’ultima, per Derrida, più
autenticamente ermeneutica, poiché implica un riconoscimento della differenza in
quanto “prendersi cura” della differenza.
F.C.
Ricordo di Alberto Caracciolo
Esempio di vita e maestro di pensiero:
con queste parole Giovanni Moretto ci
presenta Alberto Caracciolo nella biografia filosofica a lui dedicata, Filosofia umana. Itinerario di Alberto Caracciolo (Morcelliana, Brescia 1992). Dedicato alla figura e all’opera di Caracciolo è anche il quaderno monografico della rivista “Humanitas”, dal titolo: Filosofia-Religione-Poesia. In ricordo di
Alberto Caracciolo, a cura di Domenico Venturelli, con interventi, oltre che di Venturelli e Moretto, di Xavier Tillette, Pietro Prini, Roberto Celada Ballanti, Sergio Givone, Roberto
Garaventa, Franco Camera. I tre volumi sono stati presentati il 27 aprile
1992, in una giornata di studio dal
titolo: Filosofia umana, organizzata dal
Dipartimento di filosofia dell’Università degli Studi di Genova, a cui hanno
partecipato, fra gli altri, Lorenzo Arruga, Cesare Galimberti, Gianni Vattimo, Carlo Sini.
Perché definire “umana” la filosofia di
Alberto Caracciolo? Secondo Giovanni
Moretto, che da allievo considera Caracciolo maestro di filosofia in quanto maestro
di vita, perché l’uomo era il vero centro
d’interesse della filosofia di Caracciolo.
Significativo per Moretto è l’accento che
questi poneva sulla sua identità di insegnante, prima ancora che su quella di ricercatore. Fin dagli anni giovanili, che Moretto giudica decisivi riguardo al nucleo centrale dell’elaborazione filosofica di Caracciolo, per il filosofo veronese la conoscenza delle tematiche filosofiche era finalizzata alla loro trasmissione, e l’ideale della
“filosofia” era quello della formazione di
una personalità morale: il filosofo doveva
anzitutto essere uomo retto, e il suo fine è la
«formazione di uomini retti». Nella ricostruzione di Moretto, la “traduzione” filosofica di questo assunto consiste nell’affermazione di Caracciolo della natura metafisica della conoscenza: la metafisica non è
una parte della conoscenza, ma il suo carattere costitutivo, al quale va aggiunto quello
teleologico. Qui il riferimento è Kant e vale
come affermazione della natura etica del
filosofare, mediata attraverso quella della
sua natura metafisica. Alla luce di questa
natura etica della ricerca filosofica, il giudizio teleologico nasce a seguito del riconoscimento dell’insufficienza autofondativa del sapere scientifico, cioè del sapere
teoretico delineato nella Critica della ragion pura.
La dignità tutta particolare che Caracciolo
riconosce all’uomo, la sua specificità, fanno sì che di esso venga rifiutata la riduzione
a “oggetto”; viene così esclusa in linea di
principio la possibilità che l’uomo, alla
stregua degli altri enti, possa essere considerato oggetto di una scienza particolare,
l’antropologia. Per questa stessa via viene
anche escluso che la centralità dell’uomo
all’interno del complesso degli enti intramondani possa essere interpretata, in senso
antropocentrico, come primato dell’uomo
rispetto a enti che si pongono sul suo stesso
piano. Quella che Caracciolo rifiuta è, insomma, una “riduzione” della centralità
dell’uomo a puro antropocentrismo.
Muovendo da questi presupposti, l’itinerario di pensiero di Caracciolo non poteva
non incontrarsi con la riflessione di Martin
Heidegger, la cui ricezione, sottolinea Roberto Garaventa, viene mediata in Caracciolo dalla meditazione sul Nulla leopardiano e avviene sulla base di precise esigenze personali e filosofiche di Caracciolo, derivanti dalla sua formazione cristiana
e liberale, e peraltro estranee, nella loro
essenza, al filosofo tedesco. Dal punto di
vista filosofico Pietro Prini rileva come
queste esigenze si siano espresse nel differenziarsi del “Nulla religioso”, tematizzato
da Caracciolo, dal nulla come “assenza di
senso” di ascendenza nietzscheana e, poi,
heideggeriana.
L’esperienza religiosa è, senza dubbio, il
movente decisivo della ricerca di Caracciolo; e la “sostanza religiosa della libertà”
è l’elemento centrale del rapporto con quello
che Moretto ribadisce essere, oltre a Karl
Jaspers, l’altro autore determinante nella
formazione filosofica del filosofo veronese, Benedetto Croce. Proprio questi due
filosofi incarnerebbero, secondo Xavier
Tillette, i due aspetti complementari della
personalità intellettuale di Caracciolo, la
critica filosofica e la coscienza del fondo
tragico dell’esistenza. Nella polemica antimetafisica, condotta da Croce con gli strumenti dello storicismo assoluto, mancano,
secondo Caracciolo, «gli elementi primi e
fondamentali per fondare filosoficamente
la libertà»; essa emerge dal nulla «nel naufragio di tutte le costruzioni ed oggettive
istituzioni» e si caratterizza come “religiosa”. “Libertà del singolo” in senso kierkegaardiano, dunque; quel singolo essere
umano, osserva Roberto Celada Ballanti,
che nella sua irriducibilità alle investigazioni di qualsivoglia sistema filosofico si
comprende in senso primario nell’Augenblick, nella dimensione del rapporto non
concettualizzabile con il trascendente e
definisce la sua essenza -la libertà, appunto
- in modo affatto differente da quella del
sistema stoico, come anche da quella del
sistema crociano, attualistico o hegeliano.
Di fatto è il rapporto tra verità e poesia, la
“verità nel dominio del poetico”, come
recita il titolo di un’opera di Caracciolo,
che riassume, secondo Sergio Givone, l’itinerario che conduce Caracciolo da Croce a
Heidegger: dove la bellezza rappresenta
non solo l’esorcismo della verità, il velo di
Maia che copre il fondo tragico dell’esistenza, ma la dimensione in cui questa
verità traluce in modo originario.
Profondamente umana è dunque in Caracciolo la cognizione, metafisica e religiosa,
della finitezza e della trascendenza. Prendendo spunto dalla connessione tra nichilismo, religione ed eticità, Franco Venturelli fa notare come in Caracciolo la dimensione religiosa non si esaurisca sul piano
della vita etica; connaturata alla prima è,
infatti, l’esperienza di una Realtà, il Bene,
percepita come “assoluta positività”, e ciò
la differenzia dalla nozione di “sacro”, puro
spazio trascendentale aperto alla ricezione
di Dio (o degli dei). F.C.
Alberto Caracciolo è scomparso il 4 ottobre
1990 a Genova. La sua morte improvvisa, che
poneva il suo sigillo su un’opera del pensiero di
altissima qualità, concludeva l’esistenza di un
filosofo che come pochi ha vissuto la sostanza
platonica del filosofare come “cura della morte”. Quasi presentendone l’arrivo, Caracciolo,
che fino all’ultimo ha goduto di un’invidiabile
freschezza di pensiero, di cui con la generosità
di sempre rendeva partecipi amici e scolari,
negli ultimi anni si era affrettato a pubblicare in
rapida successione i suoi scritti più recenti, così
che di inedito è rimasto soltanto un breve saggio,
pure esso del resto rifinito e pronto per la stampa.
A riguardarla nella sua integralità, sull’orizzonte di una morte che le è stata davvero francescanamente “sorella”, in quanto le ha conferito un
profilo di autentica compiutezza, l’opera filosofica di Alberto Caracciolo ci si presenta come
AUTORI E IDEE
un’opera che non può essere definita altrimenti
che come “bella”. La critica che si è troppo poco
confrontata con gli interrogativi, in verità spesso
scomodi, sollevati da questo pensatore schivo,
quasi umbratile, tutto dedito alle fatiche del
pensiero e pago soltanto delle intime gioie riservate a un magistero “da anima ad anima”, si è
però accorta della rara bellezza della sua opera.
Non a caso infatti, nelle recensioni di questo o
quel saggio caraccioliano, s’incontra la definizione “bellissimo” o addirittura “stupendo”. È
ovvio che una simile caratterizzazione non intende caricarsi di nessuna accezione estetizzante, ché troppo severo e meditato era il concetto
di arte-poiesis che Caracciolo ha divulgato dalla
sua prima cattedra genovese di estetica e dai suoi
numerosi e notevoli saggi dedicati a questa
disciplina filosofica (Scritti di estetica del 1949;
Arte e pensiero nelle loro istanze metafisiche del
1953; Arte e linguaggio del 1970, fino all’ammiratissimo La verità nel dominio del poetico
del 1986). L’opera di Caracciolo è bella perché,
come un’opera d’arte, è l’espressione plasticamente viva di un pensiero dominato da una
segreta ispirata intenzionalità, che, fattasi prodigiosamente chiara fin dai suoi primissimi esordi
gli è venuta sempre più conferendo un carattere
di inconfondibile sinfonicità - come s’addice
all’opera di un pensatore di razza, che per essere
tale è votato a pensare, con infinite e sempre
nuove variazioni, un unico e medesimo grande
pensiero, a somiglianza del sole della dossografia eraclitea che, pur nella sua immutabile identità, ogni giorno celebra il miracolo di un’inesausta novità. Ad assicurare a una tale opera
questo suo carattere di bellezza hanno provveduto un linguaggio sempre memore dei domini
del poetico e del musicale e un pensiero che, in
quanto respirante nello spazio della pensosità
interrogante, da nulla era alieno come dai dogmatismi e dai tesseramenti ideologici delle idee.
Sì, Caracciolo aveva ben motivo di renderci
questa testimonianza al termine del suo cammino nel pensiero: «Una cosa chi scrive sa come
certa, per quanto natura l’ha portato a sentire e
critica riflessione a pensare: di non essersi mai
potuto riconoscere e di non essere disposto a
riconoscersi sotto un ismo, comunque esso suoni». In effetti, neppure l’ismo di esistenzialismo,
che pure per tante ragioni potrebbe sembrare il
più idoneo, è in grado di denotare compiutamente quel cammino, i cui evidenti tratti esistenziali,
più che all’influenza dei dioscuri della filosofia
dell’esistenza, Jaspers e Heidegger, incontrati
soltanto nel corso degli anni Cinquanta e fatti
peraltro oggetto di indagini fondamentali (Studi
jaspersiani del 1958 e Studi heideggeriani del
1989), devono essere fatti risalire a personalissime esperienze della giovinezza, in primis all’incontro con l’opera di Benedetto Croce, studiata criticamente soprattutto al fine di fare
chiarezza dentro il magma vivente del proprio
pensiero. In questo senso si può dire che il libro
crociano del 1948 (L’estetica di B. Croce nel suo
svolgimento e nei suoi limiti) era destinato a
diventare, con le successive edizioni del 1958 e
del 1988 (l’anno del congedo dall’insegnamento universitario) e con il nuovo titolo sintomatico: L’estetica e la religione di B. Croce, il
Lebenswerk di Caracciolo.
Con il pensiero crociano Caracciolo, che era
nato a S.Pietro di Morubbio il 22 gennaio 1918,
si era incontrato fin dai tempi del liceo “Scipione
Maffei” di Verona, traendone energie liberatrici
atte a fronteggiare il clima diseducativo dell’imperante fascismo. È per più versi significativo
che la bibliografia caraccioliana si apra con tre
titoli di carattere etico-politico: Il fascismo. La
radice del suo errore e l’intima necessità del suo
disfacimento (del 1944, come terzo dei quaderni
de “Il ribelle”), la biografia di Teresio Olivelli,
martire della resistenza e già compagno di Caracciolo al Collegio universitario Ghislieri di
Pavia, del 1947 e, in questo stesso anno, la
raccolta, proposta da Caracciolo, di una serie di
Autobiografie di giovani del tempo fascista.
Qui, in questi scritti dominati da un’altissima
passione civile, vanno ricercate le radici più
vere del successivo pensiero e dell’intero magistero di Alberto Caracciolo.
Le stazioni di questo magistero, dopo gli studi
universitari a Pavia, conclusi nel 1940 con una
tesi sull’estetica del Settecento, lo porteranno a
insegnare materie letterarie nei licei di Pavia,
Lodi, Brescia e Genova. In quest’ultima città,
nel 1951, dopo la libera docenza in estetica,
Caracciolo assumerà per incarico l’insegnamento
di questa materia nella facoltà di Lettere e Filosofia. Nel 1962, come professore straordinario,
passava sulla cattedra di filosofia della religione, che nel 1968 lasciava per succedere a M. F.
Sciacca sulla cattedra di filosofia teoretica.
Filosofia, estetica e religione: nei titoli delle tre
cattedre ricoperte da Caracciolo nei trentasettte
anni d’insegnamento universitario si raccolgono anche gli interessi centrali che ne hanno
guidato l’originale ricerca scientifica, confluita
in una serie di volumi, che qui possiamo soltanto
elencare: Etica e trascendenza (1950); La persona e il tempo (1955); La religione come struttura e come modo autonomo della coscienza
(1965); Religione ed eticità (1971); Karl Löwith
(1974); Pensiero contemporaneo e nichilismo
(1976); Nichilismo ed etica (1983); Nulla religioso e imperativo dell’eterno. Studi di etica
e di poetica (1990). Dell’operosità scientifica di Caracciolo restano prezioso documento
anche le finissime traduzioni dal tedesco di
testi di E. Tröltsch (L’assolutezza del cristianesimo, 1968), M. Heidegger (In cammino
verso il linguaggio, 1973) e W. F. Otto
(Theophania, 1983), oltre all’organizzazione di importanti seminari, come quello in
collaborazione con il Teatro Stabile di Genova su Problemi del linguaggio teatrale (197273) e quello in collaborazione con il Teatro
Comunale dell’Opera di Genova su Musica e
filosofia (1971-72). Come organizzatore di
cultura Caracciolo ha dato il meglio delle sue
energie nei tre colloqui internazionali di filosofia della religione, da lui diretti e patrocinati dalla Thyssen-Stiftung, che ebbero luogo a S. Margherita Ligure nel novembre 1978
e nel maggio 1980 e 1981, e nei quali vennero
discussi tre temi tipicamente caraccioliani:
“L’assenza di Dio nella cultura contemporanea”; “Anima bella e moi haissable”; “La
sofferenza fenomenicamente inutile”.
Per la centralità di quest’ultimo tema (la
sofferenza apparentemente inutile) nel tessuto vivente del suo pensiero e per il phatos
con cui lo svolse in quel memorabile convegno, Caracciolo è stato definito da un critico
francese le philosophe du sanglot, una definizione che serba in sé il ricordo di un verso
baudelairiano caro a Caracciolo: «Ardent sanglot qui roule d’âge en âge/ Et vient mourir
au bord de votre éternité». Sulle rive dell’eternità, ricercata come senso ultimo del
suo inquieto e insonne interrogare, è alla fine
approdata la meditazione di Alberto Caracciolo, il cui ultimo libro, pubblicato tre mesi
prima della morte, reca non a caso il titolo
eloquente Nulla religioso e imperativo dell’eterno. In questo titolo resta fissata la parola estrema, più alta, che il cammino nel pensiero del filosofo Alberto Caracciolo era destinato a dire nella storia della filosofia. Proprio perché, prima di concludere la sua operosa giornata terrena, gli è riuscito di pronunciare quella parola, chi gli ha voluto bene può
trovare conforto nel pensiero che la sua è
stata davvero, anche in questo senso, un’esistenza “compiuta”. G.M.
L’angelo fondatore
Il pensiero contemporaneo si è spesso
soffermato sul legame che intercorre
tra speculazione metafisica e “Tecnica”. Il carattere totalizzante di quest’ultima, con la sua pretesa di legiferare oltre se stessa in uno slancio insieme “violento” e “imperialistico”, è
il tema dell’ultima opera di Emanuele
Severino, Oltre il linguaggio
(Adelphi, Milano 1992). A questa tematica si richiama anche la nuova edizione ampliata del testo di Massimo
Cacciari, L’angelo necessario (Adelphi, Milano 1992). Muovendosi su scenari tra loro distanti, entrambi i pensatori segnalano l’esigenza di ricollocare la ragione calcolante entro i propri
limiti, e ne cercano una fondazione.
Se si potessero riassumere in una battuta gli
ultimi sviluppi di pensiero che Emanuele
Severino ci presenta nel suo Oltre il linguaggio, si potrebbe dire che non si può
rimarginare una ferita con lo stesso ferro
che l’ha prodotta. Partendo dall’analisi delle
stesse manifestazioni epocali messe a fuoco da Heidegger, Severino rimprovera in
un certo senso al filosofo di Messkirch una
mancanza di radicalità, un permanere all’interno delle stesse prospettive di pensiero di cui egli aveva contribuito a individuare i limiti. “Nessun Dio ci può salvare” è qui
il caso di dire, contraddicendo la nota sentenza heideggeriana. La nozione di Dio
come valore assoluto al di là del divenire
comporta infatti l’ammissione della realtà
stessa del divenire, comune alle prospettive, greca, ebraica e cristiana, che a parere di
Severino ha posto il pensiero filosofico in
una situazione di stallo, da cui esso dovrebbe poter essere salvato. La “Tecnica”, cioè
la ragione calcolante dell’uomo occidentale, erede legittima del pensare metafisico
instauratosi con Platone e Aristotele, non
può tuttavia rimediare ai danni che essa
stessa ha prodotto, perché questi non sono
sue conseguenze accidentali, effetti indesiderati, bensì fenomeni insiti e consustanziali ai suoi stessi presupposti.
Proprio all’esame di questa consustanzialità, al legame che intercorre fra l’“originario”
e le forme della civiltà occidentale, in particolare il linguaggio, è ampiamente dedicata l’analisi delle prime due parti di Oltre
il linguaggio. Qui il procedere calcolante e
scientifico tenta di esorcizzare, nella propria dimensione “progettante”, cioè organizzatrice e “specialistica”, il nulla e la
violenza della volontà “imperialistica” del
soggetto; ma invano, a parere di Severino,
poiché è il pensiero calcolante stesso a
istituire questo nulla e questa violenza. Il
passo decisivo verso l’abisso consiste, secondo Severino, nell’abbandono della questione dell’essere nella sua forma origina-
AUTORI E IDEE
Paol Klee, Angelo smemorato, 1939
AUTORI E IDEE
ria puramente tetica, a favore di prospettive
che prevedono l’accesso all’essere attraverso il pensiero e il linguaggio, attraverso,
cioè, il divenire.
Già Parmenide, osserva Severino, “conosce” il divenire, nel senso che per primo lo
istituisce, e istituisce con esso il nulla.
Apparentemente il filosofo presocratico
nega il nulla e il divenire, ponendoli come
illusori; eppure, proprio per poter pensare,
cioè per poter istituire il pensiero, per primo li chiama alla luce. La verità dell’episteme, il suo “destino”, nel momento in cui
essa tende a configurarsi come espressione
dell’”incontrovertibile”, di ciò che sussiste
al di là del divenire, è in realtà esattamente
il contrario, il contrario di ciò che appare.
L’episteme, aggiunge Severino, non è consapevole del fatto che la pretesa prevaricatrice del divenire sia il nulla; essa consiste
al contrario in un atto di fede nella realtà del
divenire stesso, insito nel suo stesso proposito di dominarlo.
Proprio in questo atto di fede, che implica,
come suo correlato, l’affermazione dell’«inesistenza di ogni immutabile e di ogni
verità definitiva al di sopra del divenire»,
riposa, per Severino, la riduzione del pensiero a linguaggio, quella “svolta linguistica” in base alla quale, coerentemente con le
proprie premesse, viene negata l’esistenza
di una “cosa”, separata dal linguaggio (e
dal pensiero), che la denoti. Sull’affermazione dell’inesistenza di un “incontrovertibile” che si sottragga al divenire, e non su
un presunto “nesso necessario”, riposa
l’identificazione di essere e pensiero e,
successivamente, con l’ulteriore slittamento
della questione ontologica, di essere e linguaggio. L’imporsi della prospettiva ermeneutica, in modo conseguente rispetto alle
premesse, deriva dal riconoscimento che il
carattere linguistico dell’essere non può
concludere a un carattere assoluto del linguaggio stesso, poiché quest’ultimo consiste invece in una pluralità di linguaggi
storicamente determinati e in un multiversum di interpretazioni. Ma se la fede nell’esistenza del divenire è il fondamento per quanto inadeguato - della prospettiva
ermeneutica, vana sarà allora la pretesa di
esorcizzare, attraverso quest’ultima - così
“democratica”, così “tollerante” con tutto
il suo essere “aperta al dialogo” - la “violenza” e l’”imperialismo” delle tradizionali spiegazioni sistematiche dell’essere, attraverso le quali, nella storia della metafisica, si è espressa la “volontà di potenza”
soggettivistica. A quella e a queste è infatti
comune la medesima violenza, che è poi un
problema di credenza non sufficientemente fondata: la fede nel divenire.
Se la riflessione di Severino si colloca nel
contesto delle indagini sulla questione del
fondamento del pensiero, questo è pure
l’orizzonte cui appartengono le ricerche di
Massimo Cacciari. Con la nuova edizione
(la prima risale al 1986) de L’angelo necessario, ampliata con l’aggiunta di un’appendice, Paralipomena all’Angelo, Cacciari intende ribadire la “necessità filosofi-
ca” della propria riflessione “teologica”, in
connessione con l’esigenza di una fondazione del sapere filosofico che non faccia
riferimento alla nozione di fondamento; un
intento fondativo, quello di Cacciari, estraneo e in radicale opposizione con qualsiasi
“logica del fondamento”.
L’esigenza che qui si esprime è quella di
una riflessione teologico-filosofica che sappia essere riflessione sull’originario, sull’”inizio” della filosofia. Per raggiungere
questo obiettivo, essa deve fuggire il pericolo di “nominare” questo presupposto,
determinarlo come fondamento, cioè come
premessa di un sistema deduttivo “rigoroso”, quale può essere il sapere scientifico.
Il “rigore” di cui si pregia quest’ultimo non
lo rende meno in-fondato, perché in esso si
dà già e sempre per scontato l’ente su cui si
riflette, anziché porne la questione. Il fondamento di questa riflessione radicale, teologica o filosofica che sia, è per essa indicibile, in quanto non è suo oggetto, ma suo
presupposto; tuttavia essa deve continuare
a sforzarsi di dire questo fondamento. Siamo, come si vede, nell’orizzonte di pensiero cui appartiene la più recente e maggiore
opera di Cacciari, Dell’inizio (1990): la
“teologia necessaria” consiste nell’esigenza di un’interrogazione sulla ragione calcolante, per riflettere sulla fondazione dell’essenza dell’uomo che traluce dai suoi
atti “decisivi”, cioè la libertà. Cacciari,
nella nuova edizione de L’angelo necessario, sottolinea l’esigenza di questa interrogazione, anche in riferimento al suo eclissarsi nella storia della speculazione occidentale. questa interrogazione è invece più
viva, sostiene Cacciari, nell’occasionalismo di certa tradizione islamica, non solo
in confronto all’aristotelismo e all’averroismo, ma anche alle forme meno radicali
dell’occasionalismo occamista e alla mistica occidentale, che non sanno cogliere
nella sua pienezza l’idea della possibilità di
una libertà affatto «estranea a ogni legge, a
ogni razionalità teologica o metafisica».
F.C.
La grammatica dell’esperienza
Quando, nell’inverno dello scorso
anno, Jean-Marc Ferry pubblica, in due
volumi, nella collana “Passages”, Les
puissances de l’expérience (I
poteri dell’esperienza, Cerf, Parigi
1991), quest’opera, nonostante il progetto ambizioso, non suscita grande
dibattito: “dare ragione del nesso fra i
registri differenziati del discorso e le
diverse forme d’identità e di comprensione del mondo” e il lavoro estremamente documentato. È stato Paul Ricoeur a richiamare l’attenzione, nella
primavera del 1992, su questo libro,
definendolo «una delle opere più importanti recentemente pubblicate nel
campo della filosofia sociale e politica,
della filosofia ‘tout court’».
L’ipotesi del libro di Jean-Marc Ferry è
che la grammatica, e in particolare i pronomi personali, corrispondano a quell’ «architettura del mondo della vita», attraverso
cui lo spirito umano ha organizzato i dispositivi e le disposizioni della nostra appartenenza all’esperienza di altri come noi (le
persone) e di altri non come noi (le cose).
Ferry formula così l’espressione partage
grammatical du monde (divisione grammaticale del mondo), i cui termini, Io, Tu,
Egli coprono tutto lo spazio possibile dell’esperienza, sia del mondo anonimo, sia
del mondo che per noi deve avere un nome
di persona. La grammatica ha cristallizzato
nelle sue formule questa divisione dell’esperienza vissuta lungo il corso di una
«storia pragmatica dello spirito umano».
Una storia dell’esperienza, precisa Ferry,
che ha la sua “potenza” più alta nel discorso
in quanto, al contempo, «agire riflessivo e
potere di tematizzazione dell’esperienza».
I gradi preliminari sono certo il sentire e
l’agire; ma solo il discorso offre la chiave
dell’intelligibilità dell’esperienza, ossia «la
piena competenza riflessiva». Tuttavia il
discorso non è unico, conosce anch’esso
una sua processualità, una sua “genesi pragmatica”, incarnandosi in registri diversi:
narrativo, interpretativo, argomentativo,
ricostruttivo. In quest’ultimo, l’identità trova la sua “posizione” riflessiva e autoriflessiva: fornisce le buone ragioni delle
azioni e delle parole ed è in grado di
riconoscere i contesti culturali e storici
in cui gli argomenti prendono la forza
delle convinzioni.
Così si conclude il primo tomo, dal titolo: Le sujet et le verbe (Il soggetto e il
verbo), mentre il secondo abbandona il
campo pragmatico-trascendentale e cerca di ritrovare la grammatica e i diversi
registri del discorso nella politica, nel
sociale, nel campo morale, considerati
tutti, come si dice nel titolo, ordini del
riconoscimento. Ferry, infatti, ritiene che
il problema morale dell’epoca moderna
sia il riconoscimento; in primo luogo il
riconoscimento degli individui, poi anche quello delle nazioni e delle tradizioni. La morale del riconoscimento sarebbe la versione aggiornata di quella kantiana del rispetto.
Paul Ricoeur ha riconosciuto la fecondità di questo approccio, che sapientemente cerca un punto di contatto tra
fenomenologia, agire comunicativo, pensiero utopico. Allievo di Habermas, Ferry cerca quantomeno di “riabilitare” la
sfera del sensibile, sebbene su un piano
inferiore. D’altronde, con estrema finezza, Ricoeur ne sottolinea anche la mancanza di “elasticità”. In primo luogo,
Ferry considera del tutto negativamente
il discorso narrativo-ermeneutico, ma è
costretto, nel suo discorso “utopico”, a
richiamarsi alle tradizioni narrative. Inoltre Ferry si muove su più piani, fenomenologico, argomentativo, pragmatico,
senza mai veramente determinare su
quale livello e con quali strumenti voglia
posizionarsi. Proprio la nozione di riconoscimento, che figura al centro del-
AUTORI E IDEE
l’analisi di Ferry, andrebbe rivisitata,
per Ricoeur tenendo conto dell’identità
narrativa e dell’attività ermeneutica.
F.M.Z.
Conoscenza metafisica
L’esigenza di cercare nell’interrogazione filosofica una fondazione per la
ricerca scientifica è la motivazione di
fondo del saggio di Georges Kalinowski, L’impossibile metafisica (a cura e con prefazione di Gianfranco Ferrari, Marietti, Genova 1991).
La figura di Martin Heidegger, scelta
da Kalinowski come uno dei principali
obiettivi polemici, emerge tuttavia, nel
corso della trattazione, come un interlocutore decisivo.
Contro ogni tentativo di oltrepassamento
della metafisica, che voglia più o meno
presentarsi come una sua fondazione, è
orientato lo studio di Georges Kalinowski.
A dispetto del titolo, questo saggio vuole
essere proprio un’apologia del valore cognitivo della metafisica, condotta dal punto di vista di una prospettiva tomista. Così
si sviluppa, nella prima parte del testo, la
confutazione di Hume attraverso un esame
della sua posizione, nonché di quella di
Kant, cui fa seguito una critica del neopositivismo, del marxismo e di Heidegger.
Nella seconda parte viene delineato “l’abbozzo di una metafisica” come sistema
cognitivo, che si configura come una “epistemologia metafisica”. L’ “abbozzo di sistema” di Kalinowski si snoda attraverso
un’analisi degli enti esperienziali, condotta
mediante categorie aristotelico-tomiste, e
si completa nell’indagine relativa al loro
fondamento (Dio).
L’obiettivo del filosofo polacco è pervenire a una concezione dell’ontologia che, al
contempo, possa dare ragione della relazione gnoseologica, nonché fornire alcune
regole essenziali riguardanti il carattere
della metafisica, che è sistematica «come
ogni altra scienza». Il carattere provocatorio di questo testo, come rileva Gianfranco Ferrari nella sua Prefazione, risiede
principalmente in due aspetti; anzitutto,
nella confutazione di una negazione, quella
dell’impossibilità di una metafisica come
conoscenza effettiva, con la costruzione di
una “metafisica-sapere”. In secondo luogo, la riflessione di Kalinowski non è ascrivibile sic et simpliciter alla “corrente” neotomista, anche se ne utilizza parecchi strumenti concettuali. La sua apologia del valore cognitivo della metafisica, con la costruzione di una metafisica come sistema
scientifico, che pure rifiuta qualsiasi idea
di fondazione concepita come oltrepassamento della metafisica, condivide con la
speculazione di Heidegger più di un presupposto. Anzitutto quello relativo a una
contiguità, che finisce per diventare continuità, fra scienza e metafisica: se l’una e
l’altra, osserva Kalinowski, consistono per
Heidegger nello studio dell’ente - e proprio
per questo, perché non si occupa dell’essere dell’ente, la metafisica, a parere di Heidegger, è da condannare - non c’è dubbio
che la metafisica sia in qualche modo rapportabile alle scienze, avendo anch’essa un
suo “oggetto”, specifico quanto si vuole,
ma pur sempre tale, l’essere. In secondo
luogo, per entrambi i pensatori il discorso
della filosofia, proprio in forza di questo
oggetto, sta in un rapporto fondativo rispetto al discorso delle scienze, che si occupa
dell’ente: per Heidegger, come per Kalinowski, la “filosofia prima”, che si occupa
dell’essere, riguarda con ciò la conoscenza
dell’«ente in quanto ente», nonché la «parte più nobile dell’ente» e «l’ente nella sua
totalità».
Ma il percorso del filosofo polacco si allontana poi dal terreno su cui si muove Heidegger, quando si tratta di valutare la riuscita del tentativo heideggeriano di fondazione della metafisica. In questo senso, la
posizione di Kalinowski risulta ben definita dal suo giudizio su Heidegger, secondo
cui questi avrebbe potuto risparmiarsi la
propria critica della metafisica, se si fosse
con maggior attenzione confrontato con
quella di Tommaso, la cui metafisica, alla
quale si sente vicino lo stesso Kalinowski,
«corrisponde in effetti alle migliori intuizioni e desideri di Heidegger». F.C.
Benjamin storicista?
È dedicato ad un commento alle celebri Tesi benjaminiane sul concetto di
storia lo studio di Ralf Konersmann
Erstarrte Unruhe. Walter Benjamins Begriff der Geschichte
(Inquietudine irrigidita. Il concetto di
storia di Walter Benjamin, Fischer,
Frankfurt a. M. 1991). Attraverso una
puntuale analisi storico-filologica del
testo, Konersmann evidenzia criticamente alcuni elementi che avvicinano
la concezione benjaminiana della storia a quella dello storicismo.
Le Tesi di Walter Benjamin sul concetto
di storia si sviluppano attorno a un paradosso fondamentale: quello di voler connettere marxismo e teologia, sviluppando un
concetto materialistico di storia e utilizzando allo stesso tempo, in maniera non metaforica, il concetto di “redenzione” come
una categoria centrale dell’interpretazione
della storia. Benjamin si dichiarava consapevole del carattere “necessario” di tale
paradosso e contrapponeva all’osservazione critica di Max Horkheimer, secondo cui
una tale concezione della storia avrebbe
dovuto, di necessità, ammettere la credenza nel giudizio universale, l’idea che la
storiografia non sia semplicemente una
scienza, ma una modalità della memoria
che ha la forza di trasformare il passato. Se
non possiamo scrivere la storia mediante
concetti di carattere teologico, è altrettanto
vero per Benjamin che nel ricordo si produce un’esperienza in cui non è possibile
pensare la storia in modo ateologico. Di
fatto Benjamin si richiama al concettochiave di “esperienza” (Erfahrung) per legittimare il carattere aporetico del proprio
concetto di storia e per riguadagnare alla
filosofia quei territori del trascendente che
Kant aveva confinato nella sfera del noumeno e dell’inconoscibile.
Partendo dalla constatazione che questo
tentativo filosofico ha le sue radici nell’esperienza storica, comune a Benjamin e
ad altri intellettuali della sua generazione,
dell’ascesa dei fascismi in Europa, Ralf
Konersmann interpreta la teoria benjaminiana della storia come un tentativo radicale di render conto filosoficamente di questa
esperienza. Intenzione esplicita di Benjamin era infatti di sviluppare una teoria della
storia che permettesse, in una situazione di
emergenza politica, di far fronte al fascismo.
È con questo obiettivo che le Tesi si distanziano propriamente dalla concezione storicistica della storia. Per Benjamin il compito dello storico non è quello di conoscere il
passato (secondo la formula di Ranke) così
«come esso è stato», ma piuttosto quello di
impadronirsi di un ricordo che balugina nel
momento del pericolo. Ciò che caratterizza
la conoscenza storica diventa allora, più
che la pretesa di un’impossibile neutralità
scientifica, il suo svilupparsi a partire da
una necessità del presente che impone allo
storico di prendere partito. In questo concetto di storia, che ha il suo fulcro nel
presente, Konersmann individua un tentativo “disperato” - Benjamin non si faceva
illusioni circa la portata pratica del proprio
pensiero - di connettere teoria e prassi e di
intendere (e praticare) la conoscenza storica come azione politica. Attraverso un’analisi puntuale delle metafore utilizzate nelle
Tesi, Konersmann mostra inoltre l’esistenza di un legame tra l’accentuazione del
momento del presente nella conoscenza
storica e la metafora benjaminiana della
realtà come “testo”: «Il predicato della
leggibilità pone la realtà in rapporto con il
momento della sua lettura, dunque con il
punto temporale in cui essa diventa decifrabile». Da questo punto di vista la metafora del leggere rinvierebbe in Benjamin
tanto alla fuggevolezza di questo momento, quanto al carattere interpretativo della
conoscenza storica. Ma, ad onta del distacco programmatico di tali concezioni dalle
posizioni storicistiche, Konersmann individua - ed è forse questo l’aspetto più
nuovo del suo studio - alcuni punti di contatto tra Benjamin e lo storicismo: la contrapposizione di entrambi alla filosofia della storia speculativa di Hegel; il comune
mettere in gioco l’individualità delle epoche storiche contro le ideologie del progresso e le filosofie evoluzionistiche; la
svolta “criptoteologica” per cui tanto Benjamin quanto lo storicismo metterebbero in
relazione la storia terrena con un punto di
vista trascendente. M.M.
TENDENZE E DIBATTITI
Lou Andreas-Salomé
TENDENZE E DIBATTITI
TENDENZE E DIBATTITI
Le allieve di Freud:
per una psicologia al femminile
Marie-Christine Hamon, psicanalista e
docente all’Università di Parigi, nel suo
recente Pourquoi les femmes aiment-elles les hommes? Et non
plutôt pas leur mère (Perché le
donne amano gli uomini? E non piuttosto la loro madre, Seuil, Parigi 1992),
ricostruisce i termini del dibattito sulla
psicologia femminile sollevato dalle
allieve di Freud: Hélène Deutsch, Karen Horney, Mélanie Klein, Ruth Mack
Brunswick, Jeanne Lampl de Groot,
non tralasciando, fra l’altro, di toccare
il significativo contrasto fra Freud e
Abraham. Contemporaneamente viene pubblicato in Francia lo studio di
Paul Roazen, Hélène Deutsch, une
vie de psychanalyste (Hélène Deutsch, una vita da psicanalista, trad.
dall’inglese di Pierre-Emmanuel Dauzat, P.U.F, Parigi 1992), dedicato alla
teorica per antonomasia della sessualità femminile, reputata la “preferita”
di Freud, in verità profondamente ferita dalla decisione del “Professore” di
interrompere bruscamente l’analisi
ingaggiata con lei da solo un anno. A
queste interpretazioni fa riscontro, in
area tedesca, con una maggiore attenzione per il significato della psicoanalisi nella storia della cultura occidentale, lo studio di Manfred Pohlen e Margarethe Bautz-Holzherr, Eine andere
Aufklärung. Das Freudsche Subjekt in der Analyse (Un altro
illuminismo. Il soggetto freudiano nell’analisi, Suhrkamp, Francoforte 1991),
che affronta della concezione freudiana della soggettività e della realtà in
rapporto a un punto di vista “maschile” sul mondo.
Contrariamente a quanto di primo acchito
si potrebbe sostenere, Sigmund Freud dedicò un interesse costante agli enigmi della
psicologia femminile, sollecitato, e a volte
“infastidito”, dalle riflessioni delle sue stesse
allieve. Fino al 1923 Freud sottolinea con
forza il ruolo svolto nel processo d’identità
femminile dal Penisneid (invidia del pene)
e dal complesso di castrazione. Nel ’23
Freud è però colto da una serie di ripensa-
menti e ritorna sui propri passi. Una breve
ma intensa stagione di dibattiti e di scambio reciproco di esperienze con analiste
donne riattiva le sue riflessioni sul tema e
nel 1931-32 arriva ad ammettere che all’origine dell’identità femminile non c’è
l’invidia del pene, bensì la relazione d’amore con la madre.
«Diventando donne, le bambine cambiano
sesso e oggetto d’amore»: per quanto banale, l’osservazione costituisce un nodo
inestricabile di interrogativi sull’identità
psicologica femminile. L’“Edipo” che
Freud interpretava in un primo momento
come angoscia di castrazione nel bambino,
e come complesso di castrazione nella bambina, viene rimesso in discussione dalle
allieve di Freud a partire da certi illuminanti rilievi di Karl Abraham. Pur continuando
a riconoscersi nell’impostazione del maestro, le allieve “rivisitano” ciò che il “Professore” intende con castrazione della madre e primato del fallo; tanto più rifiutano
l’invidia del pene nella bambina e il tempo
dell’identificazione col padre, necessario
per Freud per passare dalla virilità alla
femminilità, mettendo invece in primo piano l’originario legame affettivo con la
madre e riformulando di conseguenza le
nozioni di castrazione e di complesso di
Edipo.
Particolare importanza viene conferita al
momento pre-edipico dell’infanzia, quando la madre rappresenta, per entrambi i
sessi, il primo oggetto d’amore e di soddisfazione, ma anche una presenza onnipotente e divorante. È in particolare Mélanie
Klein a sottolineare l’ambiguità emotiva
dei bambini verso la madre e il ruolo della
privazione e dell’abbandono provocato
dallo svezzamento. Successivamente Ruth
Mack Brunswick traduce le riflessione della
Klein sull’identificazione primitiva con la
madre non più in termini di sadismo orale
e di divorazione immaginaria, bensì restituisce ai meccanismi freudiani dell’introiezione la loro dimensione simbolica. In questo modo la castrazione viene interpretata
come passaggio preliminare e obbligato
all’Edipo, alla figura maschile. È la delusione inferta dall’oggetto amato, dalla
madre omnipotente, che promuove una
particolare attenzione per il padre, detentore di qualcosa per cui egli raccoglie i favori
della madre: l’invidia del pene non è tanto
la conseguenza della scoperta della differenza dei sessi, quanto il mezzo per soddisfare il primo oggetto d’amore. D’altra
parte, il riconoscimento della madre come
“castrata” pone ora un limite alla sua “divorante” omnipotenza, mettendo fine al
vissuto della bambina (ma anche del bambino) di non essere in grado di soddisfare le
attese di questo “Altro” che è la madre.
Senza castrazione della madre, non vi sarebbe dunque alcun Edipo, e di conseguenza nessun “virage” verso il padre.
Se il libro della Hamon ha avuto un’accoglienza favorevole da parte della comunità
psicanalitica e dei giornali, la biografia di
Hélène Deutsch ad opera di Paul Roazen,
già autore di La saga freudienne (La saga
freudiana, 1986), ha riscontrato un notevole interesse: la Deutsch è stata il referente psicanalitico centrale di Simone de Beauvoir in Le deuxième Sexe (Il secondo
Sesso, 1949) e la sua autobiografia è stata
pubblicata in Francia nel 1986. la biografia
di Roazen rende ragione del successo in
America della Deutsch, che dal ’34 si dedicò con fervore alla formazione degli analisti, alla vulgata freudiana e alla difesa delle
sue teorie sulla femminilità, attaccate dal
movimento femminista come “fallocentriche”.
Hélène Deutsch entrò nella società psicanalitica di Vienna nel 1919: donna estremamente attiva, anche politicamente, affettivamente inquieta (traumatizzata da un
tentativo di stupro da parte di un fratello,
poi da una relazione giovanile con un uomo
più anziano e sposato, che si concluse con
una forte depressione), entrò in analisi con
Freud solo per un anno, dovendo il “maestro” interrompere la cura per mancanza di
tempo. Un’interruzione che pesò molto
alla Deutsch, la quale, pur riprendendo
l’analisi a Berlino con Abraham. La Deutsch, preoccupata dell’opinione di Freud,
colpevolizzata nei confronti del marito e
del figlio, irrigidita nella nostalgia per il
suo amore giovanile, resterà per sempre in
uno stato “sospeso” di depressione e di
“blocco”.
In questo contesto di ripresa della discussione psicanalitica in Francia segnaliamo
infine due altri testi di notevole interesse:
La bisexualité psychique di Christian
David (La bisessualità psichica, Payot,
Parigi 1992), che prende in esame l’ambi-
TENDENZE E DIBATTITI
valenza sessuale dell’inconscio, e JeanMartin Charcot et l’hysterie di Wanda
Bannour (Jean-Martin Charcot e l’isteria,
Métailié, Parigi 1992), che traccia un ritratto della personalità di questo medico a
partire dai suoi studi sull’isteria.
Da un punto di vista diverso, più attento
alla posizione e al significato della concezione freudiana della soggettività nella storia della cultura e della filosofia occidentali, anche lo studio di Manfred Pohlen e
Margarethe Bautz-Holzerr pone il problema del legame di Freud con una concezione
“maschile” della realtà. I due psicoanalisti,
docenti all’università di Marburgo, rimproverano ai successori di Freud di avere
travisato il significato originario della psicoanalisi freudiana, sviluppando una concezione della scienza, della soggettività e
della realtà che separa rigorosamente il
pensiero dal corpo.
Tra le diverse analisi etimologiche offerte
nel loro studio da Pohlen e Bautz-Holzerr,
figura quella del termine “materia”. Derivante dal latino mater, madre, la materia
rappresenta l’elemento femminile del nostro mondo, il grembo materno da cui nasce
tutto ciò che è corporeo. Ora - e questa è la
chiave interpretativa in base a cui viene
determinato il significato dell’opera di
Freud - la storia della cultura occidentale si
presenta come la sconfitta progressiva del
“femminile”. Il pensiero, liberatosi del corpo, recide le sue radici nella realtà fisica e
materiale, mentre la scienza moderna rende muta e inespressiva la materia. In questo
processo, iniziato già con i miti dell’antichità greca (come mostrerebbe la figura di
Minerva, che, nata dalla testa di Zeus, rinuncia alla sua femminilità), è il principio
cartesiano “penso, dunque sono” che segna
il momento della definitiva separazione del
pensiero dal corpo e che dà alla scienza
moderna il suo orientamento decisivo.
A questa tendenza si opporrebbe invece il
metodo della psicoanalisi freudiana: Psiche, l’anima, è femminile e lo psicoanalista, nella sua attività terapeutica, presta
ascolto al corpo e ne interpreta i sintomi
come “parole” che non possono essere articolate dal linguaggio dell’intelletto. Tuttavia anche Freud, nonostante questa attenzione per l’elemento “femminile” e materiale, avrebbe considerato il mondo da una
prospettiva unilateralmente “maschile”:
non a caso Edipo è la figura che esprime in
maniera esemplare l’immagine freudiana
dell’umano, così come il conflitto tra padre
e figlio è per Freud il conflitto psichico
fondamentale. Per Pohlen e Bautz-Holzherr, è proprio a partire da questi presupposti che nel movimento psicoanalitico si
sviluppano scissioni come quelle di Adler
e Jung, che pure non mutano l’orizzonte
fondamentalmente “maschile” della psicoanalisi. F.M.Z./M.M.
Umanesimo e nazismo:
il “caso Heidegger”
La tesi dell’opuscolo di Jean Luc Nancy e di Philippe Lacoue-Labarthe, Il
mito nazi (a cura di Carlo Angelino,
Il Melangolo, Genova 1992) nega decisamente l’estraneità dei presupposti
teorici del nazismo nei confronti del
pensiero politico occidentale. Su questa base, sostenendo la non accidentalità delle scelte politiche di Heidegger, Philippe Lacoue-Labarthe, in La
finzione del politico (a cura di
Giovanni Scibilia, Il Melangolo, Genova 1991), rifiuta la semplice “riduzione
biografica” del problema dei rapporti
tra il filosofo e il nazismo. I motivi, in
riferimento ai quali si sviluppa l’analisi
di Lacoue-Labarthe sono da un lato la
nozione di “umanesimo” e il ruolo che
essa svolge in Heidegger, dall’altro il
radicarsi del pensiero politico occidentale in un mito estetico.
Secondo Jean Luc Nancy e Philippe Lacoue-Labarthe, lungi dall’essere un fenomeno estrinseco all’essenza della cultura
occidentale, il nazismo ne incarna determinate tendenze e si riallaccia a temi presenti
in essa fin dall’antichità. La prospettiva
privilegiata da Nancy e Lacoue-Labarthe è
quella estetico-mitologica: l’elemento di
continuità fra il nazismo e la tradizione
culturale occidentale consiste nel ridurre il
pensiero politico a mitografia, e l’atto politico a gesto simbolico. La dimensione conoscitiva si rovescia dunque in quella estetica, la riflessione nella retorica, il concetto
nell’evocazione; rovesciamento la cui necessità è radicata nei presupposti stessi del
pensiero politico occidentale. Il “caso Heidegger” è in tal senso esemplare: il pensiero politico di Heidegger non è né un accidente estrinseco alla sua filosofia, riconducibile a motivi di carattere esclusivamente
biografico, né un errore interno alla sua
concezione filosofica, bensì mostra una
piena dignità filosofica ed è «di un’assoluta
coerenza con il suo pensiero».
I presupposti dell’analisi di Lacoue-Labarthe sono in larga misura debitori all’impostazione heideggeriana, anche se l’interprete rifiuta però l’etichetta di “heideggeriano”, adducendo semplicemente il fatto
che i problemi messi in luce da Heidegger
sono quelli della filosofia in quanto tale.
L’”assoluta coerenza” in Heidegger tra presupposti filosofici e posizione politica è
confermata dal radicarsi di quest’ultima
nell’analitica del Dasein, mentre la continuità fra la posizione politica e le concrete
manifestazioni storiche, che essa tenta di
giustificare teoricamente, si esplica in una
sorta di “nazionalismo estetico” che esprime a livello intellettuale la realtà storica di
ciò che stava accadendo. Lo “scandalo”,
per Lacoue-Labarthe, non risiede nell’adesione di Heidegger a una determinata configurazione storico-ideologica, ma nell’impotenza della tradizione filosofica, che è
poi quella platonica, alla quale Heidegger
appartiene come esponente e, nel contempo, come suo critico, di giudicare una siffatta realtà politica. Lo scandalo in cui
incorre Heidegger è allora un problema
filosofico.
La categoria attraverso cui Lacoue-Labarthe riconduce Heidegger da una parte alla
tradizione platonica, e dall’altra al nazionalsocialismo, è quella di “nazional-estetismo”, in cui si esprimerebbe il progetto
nazista di fare della vita politica un’“opera
d’arte totale” (Gesamtkunstwerk), mediante un “trionfo della volontà” soggettiva.
Un’idea, questa, già di Platone, che voleva
tener fuori gli artisti dalla città ideale non
solo perché la loro opera poteva essere
perniciosa per l’anima dei cittadini, ma
perché essa era, nel suo fondamento, inutile: la capacità mimetica del politico nei
confronti del modello ideale è superiore a
quella dell’artista e ne rende perciò inutile
l’opera, in quanto lo stato ideale è esso
stesso la vera opera d’arte. Questa abilità
mimetica del soggetto non si mostra però
come tale, ma come realizzazione dell’essenza della verità dell’essere che si manifesta. In questo modo il progetto, sommamente “umanistico” e antropocentrico, di
costruzione della città ideale viene trasfigurato in una manifestazione epocale dell’Essere.
In questo consiste dunque, a parere di Lacoue-Labarthe, la dignità filosofica delle
posizioni politiche di Heidegger, posizioni
che appaiono ora non tanto come applicazione coerente dei suoi presupposti filosofici, ma, più direttamente, come luogo di
confine della filosofia heideggeriana, sospesa fra la critica della tradizione umanista, cioè della metafisica, e il suo appartenervi nella sua manifestazione più estrema.
Bisogna tuttavia prender atto che, riguardo
all’ipotesi di un “umanesimo nazista”, quale viene prospettata da interpreti come Lacoue-Labarthe e Jacques Derrida, i pareri
sono tutt’altro che unanimi. È il caso in tal
senso di richiamare qui la posizione di
Domenico Losurdo, autore di La comunità,
la morte, l’Occidente. Heidegger e l’ideologia della guerra (Bollati-Boringhieri,
Torino 1991), che considera tale nozione
una contraddizione in termini. Riprendendo l’espressione di Alfred Bäumler, Losurdo vede nel “nominalismo antropologico”
l’eredità di Edmund Burke che, a suo parere, è il vero padre spirituale dell’ideologia
reazionaria nelle sue varie sfumature. Per
Losurdo Auschwitz è «il risultato della
progressiva distruzione del concetto universale di uomo» e l’autore arriva persino
a rimproverare a Theodor Wiesengrund
Adorno una posizione “ultra-nominalista”,
che quest’ultimo avrebbe in comune con
Heidegger. L’antiumanesimo sarebbe dunque il fondo ultimo della filosofia heideggeriana, e il fattore determinante delle sue
prese di posizione politiche. F.C.
TENDENZE E DIBATTITI
Louis Althusser nel 1978
Althusser: autobiografia
in cerca di una firma
A due anni di distanza dalla morte di
Louis Althusser escono nelle librerie
francesi due significativi profili biografici di questo «filosofo austero e
omicida demente», come è stato definito. Il primo, documentato, lucido e
generoso, è opera di Yann MoulierBoutang ed è costituito dal primo volume, La formation du mythe.
1918-56, di un’ampio lavoro ricostruttivo: Louis Althusser. Une biographie (Grasset, Parigi 1992). Il secondo contributo biografico sul filosofo è opera dello stesso Althusser:
un’auto-analisi, potenzialmente infinita, tesa a cogliere i momenti e i
luoghi in cui la follia e il folle dolore
hanno “preso” corpo irrimediabilmente nell’omicidio della moglie. Tentativo soprattutto di uscire dal “nonnome”, dal “non-luogo” del non sapere e del non intendere, con lo scopo
dichiarato di lavorare all’interno del
proprio bagaglio di fantasmi, colpe,
ricordi, per ritrovare in qualche modo
la “firma” di sé sul corpo dei propri
atti, quantunque scellerati.
Quando Louis Althusser strangolò sua
moglie fu trasportato subito all’ospedale
Saint-Anne e, riconosciuto in stato di “con-
fusione mentale”, di “delirio onirico”, non
fu processato, bensì, secondo l’articolo 64
del codice penale, beneficiò dal febbraio
1981 dello statuto di non-luogo, che comportava lo stato di irresponsabilità civile,
alterazione psichica, tutela, privazione del
diritto di firmare qualunque cosa a suo
nome. La follia è anche la perdita del nome
e della responsabilità di dirsi e riconoscersi
come autore dei propri atti. L’autobiografia è allora il tentativo di recuperare un
nome proprio, per quanto residuale, fatto di
non-luoghi, di cancellazione delle tracce,
di erosione del sé.
In questa sua autobiografia, pubblicata
postuma, Althusser cerca di capire come la
costellazione dei suoi vissuti abbia potuto
“prendere” una certa forma. C’è una matrice strutturale e remota su cui si incistano gli
errori e i fantasmi di tuttta una vita: Althusser rintraccia in tal senso nella propria vita
il nodo strutturale di ripetizione e di aleatorio. Da un lato si depositano sul fondo
psichico del filosofo una costellazione precisa di vissuti che si ripetono, creano circoli
viziosi, intrecciano un destino di non essere e d’impotenza; dall’altro, gli eventi s’incarnano in situazioni aleatorie, si fissano in
momenti che solo nell’après coup assumono una loro intelligibilità. Ma quest’aleatorio ha i caratteri della beffa tragica: è un
destino inutile, inassumibile, l’attimo in
cui si gioca una vita, come avviene appunto
nel delirio omicida.
Autobiografia dunque che cerca di dare un
nome a quest’aleatorio, riconoscendosi un
nome, una firma. Il modello letterario è
composito: certamente Rousseau, ma anche il Moi, Pierre Rivière, autoritratto di un
parricida del XIX secolo pubblicato da M.
Foucault, e Les mots di J. P. Sartre. La
novità è che si tratta della prima autobiografia di un filosofo omicida e di un uomo
che è passato, prima del crimine, per diverse psicanalisi. È un autoritratto impietoso,
l’espiazione tardiva di un uomo che pare
essere sempre arrivato in ritardo agli «appuntamenti con se stesso». Althusser si
dipinge infatti come un uomo vigliacco,
capace di sedurre professori e amici, spinto
da un profondo desiderio di essere amato,
autore di scelte prese fra impotenza e delirio, incapace di cogliere le motivazioni
profonde del proprio agire. Una delle chiavi di questa intricata vicenda sarebbe nascosa nella nascita stessa di Althusser: la
madre si sposò con il fratello del suo primo
amore, Louis Althusser, morto in guerra, e
volle chiamare con lo stesso nome il figlio
in ricordo del suo antico e unico amore. Per
questo Althusser confessa di essersi sempre sentito abitato e usurpato da un altro,
amato in nome di un altro, al posto di un
altro. E sempre attraverso un terzo anonimo il filosofo cerca di darsi un nome: «Ho
cercato di ricostruire il mio crimine come
fosse accaduto a un altro, a un terzo».
La notevole eco nella stampa francese ri-
TENDENZE E DIBATTITI
scossa da quest’autobiografia può essere
spiegata come curiosità morbosa, desiderio di comprendere chi l’uomo chi il filosofo, chi l’opera autobiografica. Nella sua
ricostruzione biografica, Yann MoulierBoutang sottolinea in particolare nella vicenda di Althusser le rotture di un percorso
intellettuale “modello”, lineare e “austero”. Un’alternarsi di impegni universitari,
scolastici e politici, svolti con austerità e
rigore, e di crisi depressive, angosce endemiche, fantasmi ripetitivi. L’«avvenire dura
a lungo» - quest’espressione di De Gaulle
è rovesciata da Althusser: non si tratta tanto
della costruzione di un progetto nel tempo
e del consolidarsi di un risultato duraturo,
quanto dello sviluppo aleatorio, ma irrimediabile, di una storia a partire da un inizio
tutto sbagliato. F.M.Z.
Il Dio dei filosofi
Pensare Dio è uno dei compiti che la
filosofia si è da sempre posta, e il suo
rapporto col “pensiero di Dio” della
teologia è uno dei motivi portanti del
suo sviluppo. La seconda parte dell’opera di Wilhelm Weischedel, Il
dio dei filosofi (traduzione di
Letterio Mauro, Il Melangolo, Genova
1991), ripercorre la tappe della riflessione teologica dei filosofi dall’idealismo tedesco a Heidegger. La questione del rapporto tra il pensiero filosofico e quello teologico è invece al centro
del volume collettivo: Dio e la filosofia (a cura di Daniele Goldoni,
Guerini e associati, Milano 1991), che
raccoglie gli interventi, fra gli altri, di
Italo Mancini, Ugo Perone, Mario Ruggenini, Vincenzo Vitiello al convegno
omonimo, organizzato a Venezia nel
1988 dal Circolo Koìnos. A una medesima tematica è dedicata l’opera di
Wohlfart Pannenberg, L’idea di Dio
e il rinnovamento della filosofia
(Bibliopolis, Napoli 1991), che
raccoglie una serie di lezioni, tenute
da Pannenberg a Napoli, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici.
Nell’indagine di Wilhelm Weischedel,
dedicata alla riflessione filosofica sulla
nozione di Dio dall’idealismo a Heidegger,
appare una sorta di cesura. Fino all’annuncio nietzscheano della “morte di Dio”, la
questione si configura nei termini della
possibilità, ora perseguita, ora rifiutata, di
dimostrare l’esistenza di Dio. Dopo, è l’avvento del nichilismo a collocare il problema in una nuova luce, tanto nell’ambito
filosofico, quanto in quello teologico. A
partire dall’“assenza” di Dio, posizione
alla quale sarebbe pervenuta la filosofia,
molti teologi sentono l’esigenza di separare i destini della propria disciplina da quelli
della filosofia. Fra questi non vi è certamente Wohlfart Pannenberg, che vede
nella filosofia non solo una sorta di “punto
di partenza” per la speculazione teologica,
ma uno strumento critico indispensabile
per quest’ultima. Come diviene chiaro nella critica heideggeriana del’onto-teo-logia,
la “morte di Dio” è problema schiettamente
filosofico, prima ancora che teologico.
In tal senso l’espressione “logica della fede”,
con cui si apre il contributo di Italo Mancini al volume Dio e la filosofia, riguarda
perciò un discorso filosofico sulla questione della fede e non ha la valenza di un’esperienza di fede, che si dà invece da sé la
propria “logica”, un linguaggio a essa adeguato. Per Mario Ruggenini questa seconda ipotesi non può incontrare il piano filosofico, su cui si pone invece la questione
dell’essenza di Dio come un sottrarsi al
paradigma del senso; esperienza, questa,
che non solo è tipicamente filosofica, ma è
originariamente filosofica. “Paradosso
della filosofia” è infatti il suo essere, allo
stesso tempo, esperienza di un mistero e
pensiero, cioè fabulazione, glossa ed ermeneutica di questo stesso mistero; l’esperienza filosofica è esperienza del divino
come assenza, spiegazione dell’inspiegabilità dell’Essere.
La negazione di Dio e la negazione della
verità sono dunque i parametri, reciprocamente coimplicantisi, che fungono da
confini definitori del “moderno”: un territorio però inabitabile, argomenta Ugo
Perone, qualora si decida di permanere
in esso recidendo il nesso esistente tra la
questione di Dio e della verità, tra fede e
ragione. È precisamente questa l’operazione intrapresa tanto da coloro che cercano una conciliazione tra i due termini,
con la sussunzione di uno nell’altro,
quanto da coloro che ne rimuovono uno
in modo esplicito. Il “pensiero della differenza”, che lega invece inscindibilmente l’uno e l’altro polo della relazione, è invece la strada indicata da Perone:
la filosofia, interpretando “nuclei di verità” fuori di essa, senza produrli, si
dirige alla religione come luogo privilegiato.
Heidegger domanda come venga Dio alla
filosofia. Per Vincenzo Vitiello in questa
domanda si cela un’affermazione, quella
relativa alla consustanzialità della questione di Dio e di quella dell’Essere; consustanzialità che si esprime proprio nel provenire della domanda non dalla fede, ma da
un’esigenza intrinseca alla filosofia stessa.
È dunque evidente come, in questa prospettiva, ciò che cade è proprio il nesso con
l’esperienza di fede propria della religione:
il Dio dei filosofi non è quello dei fedeli;
non è, sostiene Vitiello, un Dio che risponde, ma un Dio che interroga, e la sua domanda è relativa all’essere dell’ente finito.
Eppure è proprio a questa domanda che,
secondo Wohlfart Pannenberg, la teologia,
con l’ausilio “correttivo” della strumentazione filosofica, è orientata a rispondere.
Se tuttavia la teologia, osserva Pannenberg, può effettivamente impegnarsi a sostenere la questione filosofica del problema della metafisica, la questione dell’esse-
re, ci si dovrà legittimamente chiedere quanto una teologia siffatta non sia cresciuta sul
terreno della metafisica, quanto, in ultima
analisi, i presupposti metafisici dei suoi
“strumenti” filosofici non siano il terreno
più proprio da cui questa teologia non può
uscire, identificandosi inesorabilmente con
essi e, proprio per questo, rimanendo altrettanto inesorabilmente lontana da altre esperienze, come quella specifica della religione: la fede. F.C.
Del diritto e della politica
Trova spazio nel dibattito sul rinnovamento delle categorie di filosofia politica una nuova attenzione per i temi
del diritto. Ne sono testimonianza
l’uscita in Francia di tre testi che si
situano sul crinale tra pensiero giuridico, riflessione antropologica e filosofia del diritto: Aux confins du
Droit di Norbert Rouland (Ai confini
del Diritto, Odile Jacob, Parigi 1992),
La Force du Droit (La Forza del
Diritto, Esprit, Parigi 1992), una panoramica del dibattito contemporaneo a
cura di Pierre Bouretz, e Philosophie
du Droit di Alain Renault e Lukas
Sosoe (Filosofia del Diritto, PUF, Parigi 1992).
Se è il concetto di democrazia a portare in
sé la nozione di diritto come elemento di
regolazione dei rapporti tra individui e istituzioni, è del resto proprio la modernità
democratica, con la sua complessità e le
sue esigenze, a costituire una sfida per il
diritto. Da qui l’esigenza di una ridefinizione della teoria giuridica che, in colloquio
con l’etica e l’antropologia, giunga a stabilire una relazione critica con i valori della
modernità. È quanto fa Norbert Rouland
nel suo: Aux confins du Droit, una veloce
ma precisa ricognizione delle culture e
della storia, fino alle “sorgenti del diritto”.
La posizione dell’autore è netta nell’affermare che, se il diritto va oltre le formulazioni e le pratiche dei giuristi e non è un
prodotto della pura teoria, prendendo anzi
le forme delle differenti culture in cui si
sviluppa, rimane tuttavia comune e fondamentale l’esigenza di pacificare i rapporti
sociali, di contenere la violenza e di istituzionalizzare e regolare il ciclo della vendetta. Il riconoscimento del pluralismo giuridico è una delle conquiste, a cui la modernità è giunta attraverso alcuni passaggi
fondamentali. Li si può riassumere schematicamente nel divenire storico del rapporto tra diritto e scrittura, che sottrae la
legge alla consuetudine, ai legami comunitari e religiosi, e apre il campo delle interpretazioni in direzione di una concezione
positiva e tecnica del diritto; infine nell’avvento dello Stato moderno, che impone «il
monopolio statale del diritto» come unico
criterio di regolazione del conflitto. A questo esito Rouland oppone una diversifica-
TENDENZE E DIBATTITI
zione degli ordini giuridici e il ricorso a
«tecniche dell’ordine negoziato» che si situino sul terreno non istituzionalizzato dei
rapporti interumani, delle relazioni con il
proprio corpo e con gli «oggetti biologici».
Su queste basi si può, secondo Rouland,
ridurre la pretesa assolutistica dell’etnocentrismo giuridico per inaugurare una «ricerca transculturale dei diritti dell’uomo».
Resta tuttavia la domanda se il relativismo
giuridico ed il riconoscimento del diritto
alla differenza non siano progetti incompiuti e privilegi inesportabili di una determinata civiltà.
Il quadro di riferimento della raccolta di
saggi: La Force du Droit, a cura di Pierre
Bouretz, è quello di una «modernità affrancata da qualsiasi tradizione», dove l’urgenza di un rinnovato sistema giuridico
misura nientemeno che la capacità «di fissare i nuovi contorni dell’umano per la
società». In questa impegnativa prospettiva l’autore procede alla ricognizione delle
scuole di pensiero giuridiche contemporanee: dalla teoria dell’interpretazione di
Kelsen, alla considerazione del diritto come
sistema autonomo (Luhmann), o come parte del sistema della comunicazione e del
linguaggio (Habermas). Una particolare
attenzione è rivolta alla “teoria della giustizia” di Rawls, che assume il diritto nella
prospettiva dell’equità e non della semplice uguaglianza formale, chiamando in causa un principio di giustizia che rimane
fondamentalmente extragiuridico e tuttavia accessibile alla ragione calcolante. È
infatti la ricerca dell’interesse individuale
e comune, con il corredo di scelte e di
decisioni che l’accompagna, che consente
di stabilire la nozione di giusto. In materia
di libertà personale e di diritti individuali,
ciò significa che «ciascuno deve avere un
eguale diritto al sistema più esteso di libertà
fondamentali eguali per tutti».
È su questa base, dove il diritto individuale
è temperato dal riconoscimento del diritto
degli altri, che si può ora trovare uno spazio
culturale e legislativo per la correzione
delle ineguaglianze sociali. La riflessione
di Alain Renaut e di Lukas Sosoe assume
come punto di partenza la necessità sociale
di un «reinvestimento dei valori giuridici».
Un bisogno di diritto, questo, che è intimamente legato tanto alle regole di funzionamento di una società complessa, quanto
alla necessità di norme per l’individuo,
ormai disancorato dai valori etici della tradizione e posto davanti all’ «angoscioso
problema del limite e del fondamento del
limite». Secondo Renaut e Sosoe le attuali
teorizzazioni filosofiche del giuridico, sia
dal punto positivistico, sia storicistico, dimostrano la stessa incapacità di risposta
circa le condizioni di possibilità «di un
diritto irriducibile al fatto, ovvero di un
diritto conforme a ciò che si deve pur
continuare a considerare la sua essenza».
Una posizione “criticista”, questa adottata
dai due autori, che conduce inevitabilmente al problema di una fondazione umanistica del diritto, dove il soggetto viene rappre-
sentato come coscienza e volontà, in una
prospettiva universalistica che tuttavia non
giunge a confrontarsi con la riflessione
filosofica contemporanea, in cui l’idea di
soggetto risulta dispersa o negata. Ancor
più che con l’antiumanesimo filosofico, a
partire dal quale non è data alcuna fondazione positiva del concetto di diritto, i due
autori si confrontano con le obiezioni provenienti da dottrine che sostengono un “antimodernismo giuridico” e che vedono nella dissoluzione relativistica del diritto il
portato storico e concettuale dell’Umanesimo stesso. Particolarmente dettagliate
sono in tal senso le analisi dedicate a L.
Strauss, M. Villey e Heidegger; in quest’ultimo, la posizione antimodernistica nei
riguardi del diritto raggiunge la sua forma
più pura e “iperbolica” nel momento in cui
la decostruzione della metafisica della soggettività rende impossibile qualsiasi fondazione universale del diritto e, ricusando
la nozione stessa di valore, svaluta radicalmente l’opposizione tra totalitarismo e stato di diritto.
Solo le dottrine antimodernistiche, a giudizio degli autori, sono in grado di affrontare
la dissoluzione positivistica e storicistica
del diritto; il cammino verso la fondazione
di un criticismo giuridico viene ricondotto
nel solco del pensiero di Kant e di Fichte,
uniti nel rifiuto dello storicismo e fautori di
una concezione non naturalista e non individualista del diritto naturale. La critica
dell’idea di natura umana, presente in questi due filosofi, evita di cadere negli impasses del giusnaturalismo classico e nel positivismo e pone una distinzione tra la morale
e il diritto; distinzione legata al radicamento del diritto naturale nell’intersoggettività. La critica kantiana e fichtiana della
metafisica del diritto naturale costituirebbe
così lo “zoccolo” teorico di una «critica
moderna» alla «moderna negazione del
diritto», aprendo la possibilità di una «ricomposizione del soggetto di diritto». E.N.
Filosofia sovietica:
tradizioni e tendenze
In un suo recente viaggio in quella che
allora si chiamava ancora Unione Sovietica, Vittorio Hösle constatava la
presenza di un grande interesse per la
filosofia. La ricerca di nuove forme di
orientamento nella realtà che sta assillando la cultura sovietica sarebbe
motivata da una parte dalla crisi del
marxismo e dall’altra dalla crisi dello
Stato. Nel suo Consciousness and
revolution in soviet philosophy: from the bolsheviks to
Evald Ilyenkov (Coscienza e rivoluzione nella filosofia sovietica: dal bolscevismo a Evald Ilyenkov, University
Press, Oxford 1991) David Bakhurst
cerca di delineare una storia della tradizione filosofica sovietica attraverso
la vita e il pensiero di Evald Ilyenkov,
un autore che secondo Bakhurst è riuscito a rendere nuovamente stimolante il marxismo dopo la soppressione
della cultura filosofica ad opera di Stalin. Il marxismo critico proposto da
Ilyenkov non solo sembra in grado di
fornire un’interpretazione particolarmente profonda di quel socialismo
russo, che potrebbe aver fornito la
base al fenomeno della perestroika,
ma anche di ipotizzare una relazione
con i filosofi di tradizione anglo-americana che condividono l’ostilità di
Ilyenkov verso il dualismo soggettooggetto.
Quattro sono le tendenze fondamentali della filosofia russa che Vittorio Hösle individuava: 1. Il marxismo-leninismo, attestato
su posizioni difensive, considerato da un
numero molto basso di filosofi come la
filosofia “definitiva”; 2. Il gruppo d’intellettuali che fa riferimento a Gorbaciov, a
cui appartengono filosofi di fama, che conformemente alla tradizione marxista mantengono buoni rapporti con la dimensione
della politica. A questo gruppo appartiene
I. Frolov, redattore-capo della “Pravda” e
membro del Politburo, autore di opere sui
problemi etici dell’età della tecnica; e inoltre Lektorski, curatore di “Voprosy Filosofij”, la più importante rivista specialistica
di filosofia. Le sue ricerche vanno nel senso di un collegamento tra la teoria marxista
della conoscenza e nuove posizioni, in particolare quelle di matrice analitica. Alla
cerchia di Frolow va aggiunto anche W.
Stepin, autore di opere dedicate a problemi
di filosofia della scienza, che nel 1968
aveva protestato contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia e venne perciò
estromesso dal partito. Negli ultimi anni
Stepin è stato chiamato a dirigere l’Istituto
di filosofia dell’Unione Sovietica, dove ha
sostenuto posizioni favorevoli alla perestroijka; 3. Un gruppo che cerca di collegarsi alla filosofia occidentale, politicamente vicino alle posizioni di Eltsin. Secondo alcuni degli intellettuali appartenenti a questo gruppo non sarebbe possibile
introdurre in tempi brevi una democrazia di
tipo occidentale nell’entità politica sorta
dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Ad essi appartiene E. Soloviev, che nelle
sue ricerche di storia delle idee ha mostrato
che la storia russa non ha conosciuto né
Rinascimento, né Riforma, sostenendo l’importanza di un inserimento dei concetti e
dei valori di fondo della cultura protestante
nella cultura russa. Importanti contributi
per lo scambio fra tradizione russo-sovietica e europeo-occidentale sono stati offerti
da N. Motroscilova, a cui si devono l’organizzazione dei soggiorni a Mosca di filosofi come Habermas e Derrida, così come la
traduzione di diversi scritti di questi pensatori; 4. Quest’ultima corrente rifiuta tanto il
marxismo quanto la democrazia di tipo
europeo-occidentale, e cerca la propria identità nelle antiche tradizioni della cultura
russa.
TENDENZE E DIBATTITI
Jean-Jacques Rousseau e Friedrich Nietzsche
La ricostruzione della storia della filosofia
sovietica proposta invece da David
Bakhurst attraverso il punto di vista del
pensiero di Evald Ilyenkov, prende avvio
dal dibattito, risalente al 1920, tra coloro
che affermavano che la filosofia sovietica
si sarebbe dovuta occupare di un materialismo rielaborato a partire dalla dialettica
hegeliana, e coloro che difendevano invece
il positivismo scientifico; ciò che veniva
chiamato in causa era il ruolo stesso della
filosofia. In quest’opera di ricostruzione,
una fonte altrettanto importante dello stesso periodo è quella che fa riferimento alla
psicologia “socio-storica” di Lev Vygotsky,
la cui teoria della produzione sociale della
coscienza anticipa parecchie posizioni successive di Ilyenkov. Per quanto invece riguarda il contributo e l’influenza di Lenin
nello sviluppo della filosfia sovietica,
Bakhurst afferma che il pensiero leniniano
ha fornito non solo la base per l’esistenza di
un pensatore come Ilyenkov, ma ha anche
reso possibile sia l’empirismo scientifico
moderno che il filisteismo sovietico in generale.
La seconda metà dell’opera di Bakhurst è
dedicata a Ilyenkov stesso, la cui filolofia è
strettamente legata con i primi lavori di
Marx e specialmente con il pensiero di
Hegel. I temi principali che vengono presi
in considerazione sono quelli della dialettica, dell’ideale e del soggetto, socialmente
costituito, senza tralasciare il background
filosofico di riferimento. Il cuore della filosofia di Ilyenkov è il concetto di ideale, che
egli espone nei primi anni Sessanta. Qui
l’ideale è considerato presente nella realtà
oggettiva, in quanto il mondo reale si idealizza e acquista significato attraverso l’attività umana, orientata verso l’oggetto. Le
nostre forme di pensiero appartengono perciò alla realtà stessa; conseguentemente un
essere pensante è colui che può volgersi
verso una condizione idealizzata. Analogamente in Vygotsky, secondo il quale la
coscienza e la mente non sono innati, ma
sono creazioni del sociale, e il soggetto e
l’oggetto agiscono l’uno sull’altro in un
mondo la cui principale attività è l’idealizzazione attraverso l’attività umana.
Sorge tuttavia la domanda circa l’esistenza
anteriore del mondo rispetto all’attività
umana di orientamento verso l’oggetto.
Non meno problematica è anche l’affermazione che interpreta i valori morali in analogia con il manufatto. Per Ilyenkov l’importante attività umana dell’idealizzazione
giustifica per analogia sia i valori oggettivi
ideali, che includono la morale, sia la produzione da parte di un essere umano di un
manufatto, che in virtù dell’opera umana
racchiude in sé un momento idealizzato.
M.M./V.R.
Nietzsche contra Rousseau
Negli ultimi vent’anni si è assistito, in
campo anglo-americano, ad una rinascita d’interesse per il pensiero politico all’interno della tradizione analitica, pur mantenendosi una decisa rilut-
tanza verso i problemi centrali del dibattito politico non appartenenti alla
tradizione liberale democratica. Solo
recentemente questo interesse si è
rivolto al pensiero e alla figura di Nietzsche. Ne è un’ulteriore conferma lo
studio di Keith Ansell-Pearson, Nietzsche contra Rousseau: a study
of Nietzsche’s moral and political thought (Nietzsche contra
Rousseau: uno studio sulla morale e
sul pensiero politico di Nietzsche,
University Press, Cambridge 1991).
A partire dal 1980 sono stati tradotti in
inglese molti saggi sul pensiero nietzscheano di autori francesi e tedeschi: i quattro
volumi, a cura di David F. Krell, del monumentale studio di Heidegger su Nietzsche
(1979-1982), Nietzsche and philosophy di
Deleuze (1983), Schopenhauer and Nietzsche di Simmel (1986), la raccolta di brani
scelti di autori come Blondel, Derrida, Klossowski, Kofman ed altri apparsi in The new
Nietzsche (1986), a cura di David B. Allison. Certo è che questa periodica rinascita
dell’interesse verso il pensiero nietzscheano non può non essere messa in relazione
con il collasso degli Stati socialisti nell’Europa Orientale, verso i quali Nietzsche provava un ben noto disprezzo.
L’interpretazione di Nietzsche che Keith Ansell-Pearson presenta nel suo
Nietzsche contra Rousseau differisce
tuttavia da altre già proposte, in quanto
non considera centrale nel pensiero nietzscheano la celebrazione anarchica del-
TENDENZE E DIBATTITI
l’assenza di tutte le identità istituite,
bensì mostra Nietzsche come un pensatore che propone una posizione di mediazione tra una concezione anarchica di
potere ed una autoritaria. Da questo punto di vista Ansell-Pearson rifiuta l’interpretazione tradizionale che vede Nietzsche e Rousseau contrapposti nel loro
pensiero. In tal senso Nietzsche avrebbe
erroneamente identificato la concezione
di Rousseau con il pensiero del risentimento come quel pensiero che ha tolto
valore alla forza vitale, caratterizzata da
un’originaria libera attività spontanea,
da una potenza illimitata. Se si considera
accuratamente questo aspetto, osserva
Ansell-Pearson, ci si accorge che non
solo emerge un Rousseau più sottile nelle sue analisi, ma riusciamo anche meglio a chiarire la dimensione politica
della filosofia di Nietzsche. Ansell-Pearson accetta la tradizione post-kantiana
e quella post-hegeliana, secondo cui la
modernità politica non può che essere
compresa in virtù di una struttura che dia
spazio alle antinomie: autonomia individuale-autorità, vita privata-condizione
di cittadino, naturale-sociale. In tal senso Rousseau sarebbe il primo ad articolare e drammatizzare queste antiniomie,
che a dispetto degli sforzi di Hegel non
sono ancora state risolte. È appunto all’interno di questa prospettiva che secondo Ansell-Pearson i parado ssi
nietzscheani possono essere valutati appieno.
In questa differente interpretazione del
pensiero di Rousseau non troviamo una
difesa incondizionata dell’ugualitarismo,
ma il riconoscimento della necessità della
leadership nella forma di una aristocrazia elettiva; né troviamo una caratterizzazione di Rousseau come romantico
rivoluzionario, che si appella ad un ritorno all’innocenza naturale, bensì ci troviamo di fronte a un Rousseau che insiste, come anche Nietzsche, sul fatto che
ciò che noi chiamiamo umanità non è
altro che il prodotto di un processo storico. D’altra parte, fa notare Ansell-Pearson, l’accentuazione che Nietzsche
propone del pensiero di Rousseau ha le
sue radici nel rifiuto critico di Voltaire.
Si tratta allora di mettere a confronto
questi due filosofi in relazione alla risposta politica e antipolitica che essi
propongono di fronte ai mali della civilizzazione. La tensione esistente tra
Rousseau e Nietzsche non deve pertanto
essere usata per porli l’uno di contro
all’altro, ma deve invece produrre
un’adeguata dupplice lettura. La descrizione che attraverso la figura di Zarathustra Nietzsche propone dell’etica individuale è di fatto incompatibile con la sua
concezione politica elitaria, basata sulla
forza. In realtà è Rousseau, e non Nietzsche, che riesce a stabilire lo spazio
politico in cui gli individui possono costantemente controllare e dominare se
stessi. In definitiva bisogna riconoscere
che il più grosso risultato che Ansell-
Pearson riesce a conseguire con il suo
volume è quello di aver evidenziato in
maniera originale come il pensiero morale e politico di Nietzsche prenda forma
in funzione alla posizione dei filosofi
che lo hanno preceduto. V.R.
Fenomenologia francese
in traduzione tedesca
Due recenti traduzioni sembrano indicare in Germania un interesse per alcuni sviluppi del pensiero filosofico
francese di matrice fenomenologica.
Si tratta di una nuova traduzione, in
edizione storico-critica, di quello che
divenne un “libro di culto” dell’esistenzialismo, L’essere e il nulla
di Jean-Paul Sartre, che appare con il
titolo: Das Sein und das Nichts.
Versuch einer phänomenologischen Ontologie (L’essere e il nulla.
Saggio di un’ontologia fenomenologica”, a cura di Traugott König e Hans
Schöneberg, Rowohlt, Reinbek 1991)
e della prima traduzione di un saggio
recente di Emmanuel Lévinas, Hors
sujet, tradotto con il titolo: Außer
sich. Meditationen über Religion und Philosophie (Fuori di sé.
Meditazioni sulla religione e sulla filosofia, a cura di Frank Miething, Hanser, München 1991).
Nata in Germania con Edmund Husserl e
sviluppata, con esiti differenziati di autonomia rispetto alla riflessione del maestro,
da pensatori come Martin Heidegger, Max
Scheler, E. Fink, la fenomenologia ha avuto un’ampia diffusione nella cultura francese degli anni ’30 e ’40 con opere come La
trascendenza dell’ego (1936-37), L’immaginario (1940) e L’essere e il nulla (1943)
di Jean-Paul Sartre, La teoria dell’intuizione nella fenomenologia di Husserl (1930),
Dall’esistenza all’esistente (1947), e Scoprendo l’esistenza con Husserl e Heidegger (1949) di Emmanuel Lévinas, La struttura del comportamento (1942), Fenomenologia della percezione (1945) e Senso e
non-senso (1948) di Maurice Merleau-Ponty. Nelle opere dei filosofi francesi di formazione e orientamento fenomenologico,
si facevano valere, in accordo col senso
non-dogmatico e non-scolastico della filosofia husserliana, nuovi temi e nuove prospettive, che portavano il metodo fenomenologico ad aprirsi a nuovi ambiti di indagine, mettendolo in confronto critico con
gli sviluppi heideggeriani della fenomenologia. In un’opera come Totalità e infinito
(1961) di Lévinas, questa tendenza diventa
aperta presa di distanza da alcuni aspetti
non marginali della filosofia di Husserl, e
in particolare dalle sue analisi della costituzione dell’“altro” nelle Meditazioni cartesiane.
Il tema dell’altro, e quello ad esso legato
della soggettività in cui e per cui l’altro si
costituisce - che giunge alla filosofia fran-
cese attraverso la traduzione di Lévinas
delle Meditazioni cartesiane - ha una particolare rilevanza anche in L’essere e il nulla
di Sartre. Di quest’opera esce ora in Germania una nuova traduzione, opportunamente dotata di un glossario, di un apparato
storico-critico e di una postfazione di Traugott König, utili a rendere esplicito l’ambito di riferimenti della terminologia sartriana, che spazia dalle Meditazioni cartesiane
a Essere e tempo di Heidegger a termini
della dialettica hegeliana. Sono noti i tratti
attraverso cui quest’opera sartriana si distanzia dalla lettera dei testi husserliani: la
concezione dell’essere della coscienza
come “per sé” e “libertà” nullificante, contrapposta alla solidità ed opacità dell’”in
sé” delle cose o dell’Essere tout court; il
tema dell’angoscia della scelta di fronte
alla molteplicità dei possibili ed al sentimento di una responsabilità assoluta; i
temi dello “scacco” e della “malafede”,
esito del tentativo della coscienza di sottrarsi alla propria responsabilità, giustificando i propri comportamenti in base ai
valori consacrati dai ruoli e dalle gerarchie
sociali. Attraverso la descrizione dell’infelicità della coscienza nei suoi vani tentativi di colmare la mancanza che la caratterizza adeguandosi al modo d’essere dell’in
sé, Sartre piegava così il metodo fenomenologico ad un’impostazione di carattere
ontologico; e sviluppando l’analisi delle
modalità del rapporto della coscienza con
l’altro (un rapporto che fin dall’esperienza
dello “sguardo” si configura negativamente, come riduzione del per sé ad oggetto)
colorava la fenomenologia di tonalità di
carattere morale.
Un’accentuazione in senso etico della fenomenologia si ha anche in Lévinas, in cui
però l’influsso di Husserl si sovrappone a
quello di figure di pensiero della tradizione teologica ebraica, e in cui la discussione
con Heidegger, implicita in tante categorie
della filosofia di Sartre, diventa decisa
avversione ad un pensiero che tenterebbe
di costringere l’irriducibile alterità ed esteriorità dell’altro all’interno della totalità
dell’essere. I saggi raccolti in Hors sujet,
un’opera di cui non esiste ancora una traduzione italiana, sono intesi da Lévinas
come un omaggio a pensatori che, in modo
diverso, sono stati importanti per lo sviluppo della sua riflessione. Accanto a saggi dedicati a fenomenologi come Edmund
Husserl, Martin Heidegger, Hermann Leo
van Breda e Alphonse De Waelhens, a
filosofi francesi come Vladimir Jankélévitch e Jean Wahl, cui Lévinas fu vicino
nelle discussioni al Collège de France degli anni post-bellici, troviamo qui gli
“omaggi”, non formali ma condotti nella
prospettiva di una discussione critica, a
pensatori del “dialogo” di matrice cristiana, come Gabriel Marcel, ed ebraica, come
Martin Buber e Franz Rosenzweig. Il carattere paradossale e confinante con la
teologia negativa della concezione dell’altro di Lévinas appare, in particolare, nei
saggi dedicati a Buber, a cui Lévinas rimprovera di intendere il rapporto con l’altro
TENDENZE E DIBATTITI
come una relazione di comunicazione e di
scambio tra termini uguali. Per Lévinas
tale relazione - originariamente “etica”, in
quanto mette il soggetto di fronte ad
un’”esteriorità” irriducibile alla dimensione dell’identità, richiamandolo così alla
propria responsabilità - è invece una relazione “asimmetrica” e, per così dire, sbilanciata dal lato dell’altro: nel volto del
quale baluginano, per Lévinas, le tracce
della trascendenza e dell’alterità divine.
M.M.
Scienza e filosofia
Il problema del metodo, fondamentale nella ricerca filosofica, come in quella scientifica, per analizzare e spiegare
una disciplina teorica, diviene essenziale quando si vuole ricercare le radici
della scienza moderna, dato che ciò
presuppone un contatto con culture
scientifiche differenti dalla nostra, a
cui non si possono applicare, generalizzando, i nostri principi di metodo.
Questo problema viene affrontato da
Geoffrey Lloyd per quanto riguarda
l’antica scienza greca in Methods and
problems in Greek science (Metodi e problemi nella scienza greca, University Press, Cambridge 1991). George Gheverghese Joseph in The crest
of peacock: non-european roots
of mathematics (La coda del pavone:
le radici non europee della matematica, Tauris, London 1991) cerca invece
di dimostrare come le radici della nostra cultura siano riscontrabili non solo,
come vuole la tradizione eurocentrista, all’interno della cultura greca, ma
anche nel pensiero matematico orientale. Robert N. Proctor in Value-free
science?: Purity and power in
modern knowledge (Scienza libera?
Purezza e potere nella conoscenza
moderna, Harvard University Press,
Washington 1991) vuole invece prendere coscienza del significato che possiedono oggi i termini di libertà e neutralità, proclamati dalla scienza, rispetto a quello che possedevano nel XVII
secolo. Contro le posizioni che appiattiscono la filosofia sulla scienza, si è
alzata in questo secolo un’acuta critica, che ha preso di mira lo scientismo
filosofico, considerato una misera infatuazione della filosofia per la scienza; a questo proposito si segnala infine il libro di Tom Sorell, Scientism:
philosophy and the infatuation
with science (Scientismo: filosofia e
infatuazione per la scienza, Routledge, London 1991).
Lo scopo centrale di Methods and problems in Greek science, volume che raccoglie 18 dei più importanti scritti di Geoffrey Lloyd, è quello di mettere in rilievo
l’inadeguatezza di valutazioni superficiali
e generalizzanti, che applicano il principio
di semplicità all’antico pensiero scientifico greco. È comune infatti l’affermazione
secondo cui gli “scienziati” dell’antica
Grecia sarebbero da considerarsi dei dogmatici poco scientifici, poiché non riscontravano le loro teorie con il ricorso all’esperienza e all’osservazione. Ma parlare
di scienza greca significa avere a che fare
con un gran numero di progetti scientifici,
che vanno dalla cosmologia, all’astronomia e meteorologia attraverso l’ottica e
l’idrostatica, alla medicina e zoologia; il
modo dell’osservazione scientifica in relazione alla teoria varia in tal senso considerevolmente rispetto alla scienza considerata, e nello stesso modo varia la tecnologia
a disposizione delle varie discipline. Inoltre il modo in cui i Greci si appellavano
all’osservazione scientifica riflette differenti e spesso complessi atteggiamenti nel
considerare la relazione tra teoria e dati.
In base a queste considerazioni Lloyd fa
notare che il rischio cui si va incontro,
quando si tenta di comprendere la cultura
greca, è quello di non considerare le altre
culture dello stesso periodo o allo stesso
stadio di sviluppo, che offrono un importante verifica delle nostre interpretazioni.
Altra forma di assunzione erronea è considerare la nostra prospettiva culturale come
unico esito possibile dello sviluppo che
lega il pensiero filosofico e scientifico greco al nostro odierno, dimenticando invece
che esso è il prodotto di contingenze storiche.
Facendo propria l’ammissione del fatto
che le radici della nostra cultura non si
trovano solo in quella greca, avendo questa
risentito fortemente dell’influenza della
cultura egiziana e di quella mesopotamica,
George Gheverghese Joseph, nel suo libro The crest of peacock, si propone di
fornire un completo ed esauriente studio
delle matematiche extra-europee. In particolare a tutt’oggi si trascura ancora la radice africana dell’aritmetica egiziana, mentre si sottovaluta la matematica cinese e si
ignora completamente il pensiero matematico ed i risultati tecnologici indiani. È
evidente ormai, osserva Gheverghese Joseph, come alcuni dei risultati raggiunti
dalla matematica moderna siano stati anticipati dal pensiero matematico indiano.
Di tutt’altra impostazione è invece lo studio di Robert N. Proctor, Value-free science?: Purity and power in modern knowledge, che intende affrontare il problema
dell’uso della conoscenza scientifica. Sebbene l’autore insista ripetutamente che la
nostra comprensione della scienza deve
essere condizionata dalla consapevolezza
politica, dall’impegno morale e dal miglioramento delle condizioni umane, quest’opera appare come uno studio competente di
storia delle idee. Il concetto di libertà e di
neutralità della scienza è un prodotto della
storia. In tal senso Proctor fa notare come
differenti progetti scientifici, spesso opposti e incompatibili fra loro, si siano ugualmente serviti del concetto di libertà della
scienza. Da questo punto di vista vengono
esaminati sia il contrasto che nasce tra
argomenti riguardanti fatti scientifici e affermazioni puramente morali, che non esprimono altro che opinioni e preferenze, sia il
contrasto tra semplici questioni scientifiche e questioni fondamentali legate alla
morale e ai valori. Interessante è anche la
chiara dimostrazione di come il concetto di
neutralità possa significare cose differenti,
in relazione al contesto considerato, e come
ciò che è implicito in questa nozione vari a
seconda della funzione sociale degli argomenti particolari a cui essa si rivolge.
L’analisi storica presente nel libro è divisa
in tre parti. La prima considera il XVII
secolo, la rivoluzione scientifica, la meccanizzazione del disegno del mondo, il declino della tecnologia e la rigida differenziazione di fatti e valori. Nella seconda parte
viene analizzato il sorgere dell’ideale della
scienza pura in Germania nel XVIII secolo
e i dibattiti fra gli studiosi sulla possibilità
e desiderabilità della libertà per la scienza.
La parte finale del libro considera le recenti
controversie, riguardanti le affermazioni di
positivismo come presupposto per l’acquisizione del valore della libertà della conoscenza. Attraverso questa analisi storica lo
studio di Proctor fornisce anche una descrizione sociologica dell’incidenza dell’ideologia della neutralità, come base per una
cooperazione tra ambiti differenti e sostanzialmente in disaccordo tra loro. Secondo
Proctor invece, nell’odierna situazione è
importante che la ricerca scientifica e la
conoscenza prodotta vengano valutate da
posizioni di rigido impegno morale. Egli
tuttavia non giustifica una morale specifica, né fornisce un tipo di conoscenza con
cui giudicare la conoscenza scientifica.
Alla critica dello scientismo come esagerazione dei risultati raggiunti dalla scienza,
sottovalutazione di altri ambiti di conoscenza, applicazione illimitata dei metodi
della scienza è rivolto infine il lavoro di
Tom Sorell, Scientism: philosophy and the
infatuation with science. Per Sorell lo scientismo è per definizione scorretto, ma non
sempre dannoso. Ciò che invece appare
realmente dannoso è lo scientismo in filosofia. In questo secolo lo scientismo filosofico ha significato in particolare ridurre la
filosofia alla filosofia della scienza. Questa
concezione ristretta della filosofia è propria del positivismo logico, che pur essendo stato attaccato e confutato, ha favorito
l’idea che la filosofia possa per molti versi
coincidere con la scienza. Per Sorell questo
procedere del pensiero porta ad ignorare i
legittimi problemi filosofici, invece di cercarne una risposta. Sorell si mostra particolarmente sensibile al ruolo critico della
filosofia nei confronti dello scientismo,
anche perché la filosofia possa fornire una
soluzione. V.R.
Ripensare la modernità
In tempi di dibattito circa la fine
della storia e l’ingresso nell’era del-
TENDENZE E DIBATTITI
la postmodernità, il recente lavoro
di Bruno Latour, Nous n’avons
jamais été modernes (Non siamo
mai stati moderni, La Découverte,
Parigi 1992), può rappresentare un
monito significativo, nonchè una rinnovata proposta di riflessione. Nello spazio di questa riflessione sulla
natura e gli oggetti della modernità
si inscrive anche l’intervista di Latour a Michel Serres: Eclaircissements (Chiarimenti, François Bourin, Parigi 1992), ovvero “guida ragionata” al pensiero del filosofo ginevrino.
La costituzione della modernità porta all’origine il marchio di una divisione netta
tra il dominio del politico e quello della
scienza. I due nomi che firmano questo
progetto sono quelli di Thomas Hobbes e di
Robert Boyle: teorico della legittimità del
potere politico sulla società il primo, del
potere scientifico sulla natura il secondo.
Emblematico l’esempio che Bruno Latour adduce per dimostrare questa «grande
divisione» posta a fondamento della mentalità moderna: si tratta della costruzione
della pompa a vuoto, da parte dello scienziato inglese, un’invenzione di laboratorio
che per essere realizzata dovette addirittura
ottenere il riconoscimento da parte dell’autorità reale; questo imprimatur segnò la
differenziazione dei territori del politico e
dello scientifico, dove al Re spettava l’amministrazione della società e allo scienziato quella della natura.
Da quel momento in poi la storia della
modernità avrebbe dovuto procedere lungo i binari paralleli del progresso della
scienza e di quello della «rappresentazione» politica. La realtà, secondo Latour, si è
invece rivelata molto differente da questa
partizione che mirava a isolare i due ordini.
Basta anche solo citare l’ingegneria genetica, per accorgersi che le frontiere della
ricerca scientifica si affacciano oramai su
panorami complessi, dove hanno luogo
forme composite di natura e cultura: “quasi-oggetti” - li definisce Michel Serres - di
fronte ai quali l’intelletto dà prova di uno
straordinario imbarazzo, convalidando il
fatto che «i moderni rimangono incapaci di
pensare se stessi». A partire da questo rilievo critico, il libro di Latour traccia i primi
passi nella direzione di una rinnovata epistemologia, che sia insieme sociologia delle scienze, nell’intento di definire quegli
ibridi di natura e cultura, che la modernità
ha prodotto, ma che poi ha lasciato irriflessi. Un progetto, questo di Latour, che deve
del resto molto al lavoro di ricerca di Michel Serres. In tal senso la recente pubblicazione della raccolta di interviste e colloqui dello stesso Latour con Serres può
essere considerata una testimonianza della
necessità di Latour di misurarsi con il riconosciuto maestro. Serres viene qui solleci-
tato a rendere ancora più chiaro il suo
discorso, a esplicitare le sue referenze. Eloquente nelle risposte, ma anche nella misuratezza con cui vengono solo sfiorate determinate questioni, il discorso di Serres procede limpido ed efficace nel fissare i contorni di una filosofia che si vuole «non
critica» e intenzionalmente vicina alla tradizione filosofica che descrive. Una forte
preoccupazione etica traspare da queste
pagine, pessimismo sulle sorti di un’epoca
che ha insegnato agli uomini ad amministrare l’esercizio del potere con la produzione di «cadaveri e di supplizi». E.N.
Le regolarità e la ragione
Ciò che più si riscontra nell’attuale
dibattito sul “realismo” e sull’”antirealismo” è la tendenza verso una
meta-teoria del significato, che non
tiene conto dell’idealismo kantiano e
dei risultati della meccanica quantistica, che potrebbero invece contribuire
in maniera incisiva allo sviluppo di
questa discussione. Negli Stati Uniti
la filosofia ha tuttavia prodotto qualche sforzo in più per tentare di avvicinare la teoria fisica, come testimonia
ad esempio la difesa di Hilary Putnam
della logica quantistica. Bas C. Van
Fraassen, con il suo nuovo libro Quantum Mechanics: an empiricist
view (Meccanica quantistica: un punto di vista empirico, Clarendon Press,
Oxford 1991), rappresenta il tentativo
più sofisticato compiuto da un filosofo nel proporre una metafisica della
scienza che possa conciliare le esigenze della teoria con quelle del senso
comune, cercando di dimostrare, come
già Cartesio, che le radici della fisica si
trovano nella metafisica.
La meccanica quantistica mette in dubbio a
livello formale che la realtà sia distinta
dagli espedienti per mezzo dei quali viene
misurata. Coloro che per primi svilupparono questa teoria - Heisenberg, Schrödinger, Bohr e Richenbach - conoscevano bene,
tuttavia, la filosofia kantiana e ciò che Kant
chiamò realismo trascendentale. Perché
allora questa teoria viene trascurata nel
dibattito attuale su realismo e anti-realismo? E che cosa rende l’approccio semantico alla metafisica immune dalla speculazione fisica?
Il libro di Bas C. Van Fraassen affronta
questa discussione attraverso l’analisi di
esperimenti di meccanica quantistica, tesi
a dimostrare o meno la possibile indipendenza del mondo fisico dalla nostra osservazione e misurazione. In particolare Van
Fraassen analizza gli esperimenti di Schrödinger, che voleva dimostrare che i fenomeni quantistici non possono essere confinati nel mondo della micro-fisica, in quanto vanno ad incidere sul regno della natura,
e le ricerche di Einstein, Podolsky e Rosen
che al contrario volevano restaurare la fede
nella indipendenza del mondo fisico. Un
problema questo che non è stato interamente trascurato dai filosofi inglesi: si ricordi il
saggio di Michael Lockwood, Mind, Brain
e the quantum (Mente, cervello e i quanti,
1989), in cui i problemi che sorgono nella
meccanica quantistica venivano messi in
relazione non solo con l’anti-realismo di
Dummett, ma anche con questioni inerenti
alla filosofia della coscienza; ma si ricordi
anche la posizione assunta da Karl Popper
sia in Quantum theory and the schism in
physics (La teoria quantistica e lo scisma in
fisica, 1982), sia in The logic of Scientific
discovery (La logica della scoperta scientifica, 1934), in cui viene difeso un certo
genere di realismo, nonché lo studio di
Richard Healey, Incompleteness, nonlocality and realism (Incompletezza, nonlocalità e realismo, 1987).
Van Fraassen intende ora fornire un’alternativa al realismo scientifico, formulando
una forma di empirismo, capace di considerare distinta l’esigenza dell’informazione da quella per la verità. Lo scopo della
scienza non è quello di cercare il vero in
quanto tale, ma quello di dare una spiegazione adeguata rispetto ai fenomeni osservati, cioè una verità “empirica”. Essa deve
rimanere neutrale rispetto alla verità del
realismo; non può rispondere alla domanda
se esiste una realtà oltre i risultati dell’osservazione. L’enigma che sorge dalla meccanica quantistica nasce all’interno del campo dell’osservabile ed è relativo ai concetti
necessari per fornire una sua descrizione
consistente. In un tale contesto problematico, una discussione come quella sorta tra
Einstein e Heisenberg non può essere assimilata a quella che mette a confronto la
posizione risalente a Kant e quella di Dummett.
Nella sua sofisticata discussione sul determinismo Van Fraassen afferma che il mondo fisico può ospitare fenomeni che non
sono compatibili con le teorie causali tradizionali; che si possono trovare degli spazi
nella fisica in cui esiste un elemento indeterministico; che la teoria dei quanti è cosí
coinvolgente da indurci a credere che le
principali questioni conoscitive che essa
esprime riguardino i termini e le dimostrazioni da essa chiamati in causa. Se la teoria
dei quanti la si considera da questo punto di
vista, essa non vuole fornire la nozione di
causalità in quanto tale, e le leggi che essa
indica appaiono come le migliori possibili
per spiegare questi fenomeni, sempre che
non si voglia andare oltre questi fenomeni
nel tentativo di fornire la descrizione di una
“sottostante struttura” esistente, che non
produce altro che problemi. Secondo Van
Fraassen questa teoria sarebbe consistente:
subentrano contraddizioni solo quando in
maniera ingiustificata si tenta di conciliarla
con il “senso comune”. Ma ciò che alla fine
egli non spiega è proprio il rapporto che
questa teoria ha con il realismo e quale ne
è il progetto di spiegazione scientifica, cosicchè la sua alternativa al realismo scientifico rimane un’ipotesi oscura. V.R.
PROSPETTIVE DI RICERCA
John Locke
PROSPETTIVE DI RICERCA
PROSPETTIVE DI RICERCA
Epistemologia e ontologia
in Locke
L’importante scritto filosofico di John
Locke Saggio sull’intelletto
umano (1690), è oggetto di un grosso
studio in due volumi di Michael Ayers
dal titolo: Locke, volume one: epistemology and volume two: ontology (Locke, volume uno: epistemologia e volume due: ontologia, Routledge, London 1991). Ayers scorge nel
pensiero di Locke potenti e sofisticati
argomenti a favore di una epistemologia e di una ontologia realista capace
di opporsi in maniera costruttiva a
molte ricorrenti affermazioni anti-realistiche. Questa posizione di Ayers fonda le sue radici su una approfondita
analisi del testo di Locke, e sulle problematiche affrontate dai suoi predecessori e contemporanei. Ne risulta
non solo un’acuta analisi dell’argomento lockiano e insieme una critica
delle teorie dell’epoca, ma anche importanti premesse per una ontologia e
una epistemologia realistica in contrasto con quel pensiero contemporaneo
che affonda le sue radici nell’idealismo.
Sovente Locke è stato considerato come un
filosofo che non è riuscito a seguire fino
alle sue ultime conseguenze il proprio pensiero. Se lo avesse fatto, probabilmente
sarebbe giunto alle stesse conseguenze della filosofia di David Hume. Michael Ayers,
nel suo recente studio sul filosofo, rifiuta
totalmente questa posizione. La famosa
adozione, da parte di Locke, del termine
“idea”, che appartiene al cuore della sua
epistemologia, non deve essere considerata, secondo Ayers, solo in relazione ai suoi
predecessori, come Cartesio, Gassendi,
Arnauld ed altri, ma deve essere posta anche a confronto con Aristotele e con l’ultima scolastica, guidata da Francisco Suárez.
Così come l’uso di questo termine in Aristotele può essere compreso solo all’interno della sua metafisica, allo stesso modo si
può comprendere la posizione di Locke
solo se si considera il suo pensiero sulla
natura e sull’origine dell’esperienza come
intimamente connesso con l’adozione delle
forme sostanziali della scolastica.
Non si tratta con questo, osserva Ayers, di
considerare Locke come colui che identifica l’oggetto intenzionale della percezione
con un oggetto reale del mondo. Piuttosto,
le idee lockiane devono essere concepite
come una dimostrazione evidente dell’indipendenza dell’esistenza delle cose. Locke, in tal senso, si dimostrerebbe scettico
non riguardo all’esistenza delle cose, ma
alla loro essenza. Secondo Locke infatti gli
atomi dell’esperienza - le idee semplici sono i segni naturali dell’esistenza di una
struttura causale regolare. Esse ci permettono di avvicinarci al mondo, ma non ci
rivelano la sua essenza. A questo proposito
Ayers fornisce un’analisi molto dettagliata
del pensiero Locke sulla percezione delle
qualità degli oggetti, mettendo in evidenza
come per Locke, a differenza degli idealisti, la conoscenza percettiva sia conoscenza delle relazioni spaziali e causali esistenti tra gli oggetti e noi stessi. Da ciò Ayers
prende spunto per riaffermare, contro
l’odierna epistemologia, il ruolo della coscienza, recuperando la tesi tradizionale
secondo cui la coscienza e l’intenzionalità
intrinseca o primaria procedono di pari
passo- una tesi, questa, che contro una
interpretazione funzionalista della mente
mette in ombra il posto assegnato al linguaggio nell’acquisizione dei concetti.
Nel secondo volume della sua opera Ayers
prende soprattutto in considerazione il concetto di sostanza, e in particolare di sostanza materiale, esaminando il posto che questo concetto occupa nell’ontologia lockiana, la coerenza generale della posizione di
Locke e la forza filosofica di una teoria
realista della sostanza, in rapporto alla discussione sulla natura del meccanicismo e
sulla sua relazione con il razionalismo e
l’empirismo. La sostanza mentale viene
analizzata da Ayers in un secondo momento, ponendola in relazione con la concezione lockiana dell’induzione, della legge
morale e della libertà umana. A proposito
della nozione di identità in Locke, Ayers
coglie l’occasione per riaffermare che la
coscienza di se stessi come oggetti materiali fra altri oggetti compenetra essenzialmente la nostra esperienza sensoriale delle
cose in generale, per cui la categoria di
sostanza materiale non può essere facilmente rifiutata.
Attraverso il pensiero di Locke, Ayers rie-
sce a conferire una base stabile alla sua
proposta realista. Tuttavia l’intento di fornire un’analisi storica e approfondita del
pensiero lockiano spesso si confonde con
la necessità di esporre contemporaneamente la propria posizione filosofica. V.R.
Austin:
teoria degli atti linguistici
Nel campo della filosofia analitica, il
nome di John L. Austin è legato alla
formulazione della cosiddetta “teoria
degli atti linguistici”. Gli “speech acts”
sono appunto il tema di dodici conferenze tenute dal giovane e geniale
docente inglese, originariamente raccolte sotto il titolo How to do Things
with Words, e ora tradotte in Francia
a cura di Gilles Lane, Quand dire,
c’est faire (Quando dire è fare,
Seuil, Parigi 1991).
Affrontando lo studio del linguaggio comune, la tradizione analitica, che ha uno
dei suoi capiscuola in Bertrand Russel,
tende a ricondurlo ad un modello matematico che analizza le varie formulazioni del
discorso secondo i paramentri di vero o
falso, giusto o scorretto. Il linguaggio viene così a ridursi ad una serie di “affermazioni” che disporrebbero o meno di uno
statuto logico, mutuato, come si è detto,
dal modello logico-matematico. La teoria
degli atti linguistici di John L. Austin,
rivelando come nel linguaggio comune
siano presenti enunciati di tipo “imperativo, dichiarativo, interrogativo”, ha provveduto a rovesciare questo ordine di valori.
Il linguaggio di ogni giorno ha una propria
“performatività” che esorbita dalla mera
funzione affermativa e definitoria. È il
caso delle formule giuridiche o religiose
che sanciscono la pubblicità e la legittimità
di un atto, quale il matrimonio o il battesimo. La linguistica, prendendo in esame le
ritualità, le convenzioni ed i moduli espressivi di una determinata cultura, si trova
così a confinare con le scienze sociali e con
la stessa psicologia, dal momento che deve
tener conto anche delle componenti soggettive che informano il discorso: la sincerità del locutore e l’effetto prodotto sul-
PROSPETTIVE DI RICERCA
l’uditore. Una semplice locuzione d’avvertimento, ad esempio, può avere un valore
“perlocutorio”, quando la persona a cui
viene rivolta ne risulta allarmata oltre misura. L’attenzione portata al contesto in cui
avviene la comunicazione discorsiva porta
Austin a concludere che «qualsiasi» atto
linguistico tende a «compiere qualcosa»,
ovvero a «considerare l’affermazione come
una enunciazione prodotta in un contesto
ed essenzialmente produttiva di qualcosa,
non foss’altro che della ‘descrizione’ di
una situazione».
L’impostazione di Austin, che si vuole
modestamente considerare una sottodisciplina della linguistica e che si propone di
studiare «l’impiego del linguaggio nella
comunicazione», diventa bensì l’analisi del
linguaggio comune e delle sue condizioni
di operabilità, inaugurando quella scuola
che, in ambito anglosassone, viene chiamata pragmatica. E.N.
Dialettica materialistica
e metafisica speculativa
Sotto la guida di Hans Heinz Holz è
attivo dal 1980 presso il Dipartimento
di Filosofia della Rijksuniversiteit di
Groningen (Olanda) un gruppo di ricerca sul tema: Storia e trasformazione della metafisica. Tra i
temi trattati nel programma di ricerca
figurano alcune vecchie conoscenze
del cosiddetto materialismo dialettico: la teoria della conoscenza come
“rispecchiamento” dell’essere nel pensiero, il concetto di totalità, la dialettica della natura; ma anche ricerche inedite, come quella sulla possibilità di
una fondazione “metafisico-speculativa” della dialettica intesa in senso
“materialistico”.
Da quando, nel 1979, Hans Heinz Holz
viene chiamato alla cattedra di filosofia
dell’Università di Groningen, presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università, ha
preso avvio un programma di ricerca sul
tema: Storia e trasformazione della metafisica, a cui hanno contribuito anche Detlev
Pätzold, Jos Lensink e Jeroen Bartels.
Alcune delle principali problematiche di
questo programma, che si configura come
un tentativo di recupero di un concetto
“speculativo” di ragione, venivano delineate da Holz, con riferimento a Leibniz,
Hegel e a Josef König (un pensatore attivo
nel nostro secolo a Göttingen e da noi
ancora pressochè sconosciuto), già nella
sua lezione inaugurale sul tema: “Natura e
contenuto delle proposizioni speculative”.
Si può dire che punto di partenza di questo
progetto di ricerca sia la questione dello
statuto della verità filosofica, considerata
indipendentemente dall’ambito di ricerca
delle scienze particolari. La filosofia, così
come è intesa da Holz, costruisce le sue
teorie solo a partire dall’esperienza del
pensiero, ed in questo senso è “speculativa”. Un secondo aspetto caratteristico di
questa concezione della filosofia (e qui si
situa il riferimento a Hegel e a Leibniz) è il
suo carattere sistematico e la sua utilizzazione del concetto dialettico di totalità come
categoria fondante, in quanto ogni “pensato” rinvia ad un orizzonte che lo trascende
e la rappresentazione di un “ente” nel pensiero implica già che venga posto l’insieme
di tutti gli enti; lo sviluppo di ogni concetto
determinato deve condurre dunque, secondo Holz, alla totalità infinita del mondo. In
contrasto con le singole teorie scientifiche,
la dialettica - nucleo fondamentale della
metafisica speculativa che si vorrebbe restaurare - viene così intesa come “metateoria critica”, che ha a che fare con la questione dell’unità del sapere e del suo orizzonte infinito. In quanto l’attività del pensiero viene concepita come speculativa (si
postula cioè che si diano concetti “a priori”), si tratta di vedere in che modo tali
concetti si rapportano alla realtà. È l’antica
questione metafisica del rapporto tra pensiero ed essere, a cui qui viene data risposta
riprendendo la teoria engelsiana e dialettico-materialistica della conoscenza come
“rispecchiamento”.
Alla base del programma di ricerca del
gruppo di Groningen vi è il problema della
possibilità e della configurazione di una
filosofia intesa alla luce delle concezioni
del “materialismo dialettico”, cioè di una
forma del materialismo che si ispira alla
Dialettica della natura di Engels e che
trova tra i suoi antenati la filosofia classica
tedesca (Kant, ma soprattutto Hegel e, nel
caso specifico, anche Leibniz), piegandone però le istanze all’esigenza di fondare
una posizione gnoseologica “realistica”.
Attraverso il riferimento alle tematiche della
Dialettica della natura si vuole da un lato
sottolineare il significato ontologico che si
attribuisce al rapporto di rispecchiamento
stabilito tra pensiero ed essere; dall’altro si
intende far valere la categoria della totalità
(o della “connessione complessiva”) come
costitutiva di una concezione materialistico-dialettica della natura. Un aspetto ulteriore di questa concezione viene poi introdotto attraverso un richiamo a Leibniz, per
il quale le categorie fondamentali della
dialettica della natura vengono sviluppate
come “equivalenti di momenti formali della realtà”.
Un altro tema di rilievo di questo progetto
di ricerca è quello del rapporto tra filosofia
e scienza. Se Engels sviluppava i concetti
della propria concezione della natura in
rapporto alle acquisizioni della scienza ottocentesca (ed in particolare alle teorie
dell’evoluzione), Holz indica l’esigenza di
tener conto, oggi, dei nuovi sviluppi delle
scienze, ed in particolare della teoria della
relatività e della fisica delle particelle elementari. Un altro problema che viene posto
dagli attuali sviluppi delle scienze, e soprattutto dalla loro applicazione tecnologica, è quello della funzione della società
come istanza di mediazione tra sapere e
prassi: una prassi sociale che viene intesa
da Holz come “cardine della filosofia materialistico-dialettica” e che viene considerata come “rapporto naturale”, cioè come
rapporto condizionato dalla natura, che del
resto è parte costitutiva dell’uomo. Una
componente importante della dialettica diventa così l’antropologia, per la costituzione della quale Holz trova alcuni spunti in
Helmut Plessner, che collocava l’antropologia filosofica al confine tra storia naturale inconscia e storia consapevole dell’umanità. M.M.
Rivalutazione di Frege
Il pensiero di Glottlob Frege è stato
per parecchi anni considerato quasi
esclusivamente da un punto di vista
prettamente storico, mentre è stato
poco considerato per quanto riguarda
i risultati che egli si era prefisso, in
quanto ciò che egli aveva cercato di
dimostrare, e cioé che l’aritmetica è
una branca della logica, fu decisamente confutato dalla successiva dimostrazione di Russell dell’inconsistenza
della teoria degli insiemi. Recentemente il pensiero di Frege è stato rivalutato in particolare da Michael Dummett,
che ha posto al centro del dibattito
odierno lo specifico e rivoluzionario
contributo di pensiero di Frege alla
questione del metodo filosofico, alla
logica, alla metafisica, alla filosofia
della mente, alla semantica e alla filosofia del linguaggio. Sulla scia di questa rivalutazione si pone anche il recente studio di Dummett dal titolo:
Frege: philosophy of mathematics (Frege: filosofia della matematica, Duckworth, London 1991).
Verso la fine della sua vita, quando ormai
Frege aveva accettato le implicazioni devastanti delle dimostrazioni di Russell circa l’inconsistenza della teoria degli insiemi, la sua ricerca, salvo poche eccezioni,
iniziava per lo più ad essere considerata da
filosofi e matematici un completo fallimento. È proprio questa opinione che Michael Dummett, nel suo recente studio su
Frege, cerca di confutare se non addirittura
di invertire. Dummett è molto preciso nell’evidenziare gli errori di Frege, ma anche
nel riconoscere il suo debito verso pensatori come Dedekind, Peano, Husserl, Cantor,
Russell e Hilbert, tenendo ben presente i
successivi sviluppi che si sono avuti in
filosofia della matematica, che permettono
a Dummet di considerare sopprattutto i
meriti dell’approccio fregeano nei confronti
delle teorie formaliste, nominaliste, intuizioniste dell’epoca.
Combinando argomenti storici e filosofici,
Dummett passa in rassegna, alla luce dei
testi, molti degli argomenti di cui Frege si
occupò, come ad esempio la natura dei
numeri, la relazione tra logica e aritmetica,
PROSPETTIVE DI RICERCA
Martin Heidegger e Theodor W. Adorno
l’esistenza di oggetti matematici, le questioni riguardanti la necessità, il significato, il riferimento, la dimostrazione, l’identità, l’infinito e così via. Gran parte di
questo studio è dedicata a un’analisi dettagliata del saggio di Frege: Die Grundlagen
der Arithmetik (Fondamenti dell’aritmetica, 1884), e di alcuni passi selezionati di
Grundgesetze der Arithmetik (Leggi fondamentali dell’aritmetica, 1893-1903),
mettendo in evidenza uno degli aspetti più
controversi dell’interpretazione dummettiana. I Grundgesetze espongono senza
dubbio il punto di vista finale e definitivo di
Frege, ma ciò non significa che questa sua
ultima concezione sia la stessa o sia perlomeno in accordo con quella esposta circa
dieci anni prima nei Grundlangen, come
invece cerca di dimostrare Dummett.
Ma al di là di questi specifici problemi
d’interpretazione, il principale pregio dello
studio di Dummett risiede nel contributo
che egli fornisce al dibattito contemporaneo sulla filosofia della matematica, proponendo una valida giustificazione del neofregeanismo, che egli considera tutt’oggi
come la teoria più convincente sulla natura
generale della matematica.
Nonostante le due principali debolezze del
programma originale di Frege, da una parte
la sua acritica assunzione della validità
della logica classica per i problemi riguardanti la quantificazione di entità infinite,
dall’altra la sua fiducia in un metodo capace di giustificare l’esistenza di oggetti matematici, Dummett considera questo programma coerente e capace di chiarire ciò
che è la matematica, stabilendo chiaramente quali siano i suoi oggetti, la sua applicabilità universale, la verità e la capacità di
informazione delle sue asserzioni, la natura della sua necessità, e la possibilità per
noi di possedere una conoscenza a priori
delle sue verità.
Certo è che le considerazioni di Dummett
sono sufficientemente forti e controverse
da rendere questa sua analisi di estrema
importanza per lo sviluppo contemporaneo
del problema dei fondamenti della matematica. V.R.
Heidegger e Adorno.
Muovendo da quello che può essere
considerato il centro teorico del problema del linguaggio e della denominazione, Alexander Garcìa Düttmann, nel
suo studio Das Gedächtnis des
Denkens. Versuch über Heidegger
und Adorno (La memoria del pensiero.
Saggio su Heidegger e Adorno,
Suhrkamp, Francoforte 1991), riesce a
mettere in luce analogie e strutture
comuni a questi due pensatori fondamentali della storia della filosofia tede-
sca di questo secolo.
Agli studi finora disponibili sul problema
del rapporto tra Adorno e Heidegger
Alexander Garcìa Düttmann rimprovera
un eccesso di semplificazione nel contrapporre l’atteggiamento dei due pensatori di
fronte al nazismo. Scegliendo come tema
centrale dell’analisi la questione e il significato del “nome” nell’opera dei due filosofi, Garcìa Düttmann tenta invece di sottrarsi ad una presa di posizione unilaterale e
pregiudiziale, individuando nel denominare un’operazione fondativa del pensiero in
generale, e dunque anche del pensiero politico.
L’indagine di Garcìa Düttmann prende le
mosse da una contrapposizione delle esperienze storico-politiche di Adorno e Heidegger sotto i titoli di “Auschwitz” e “Germania”, che mettono in evidenza rispettivamente la dimensione della “colpa” e quella della “fondazione” (Stiftung). Da questo
punto di vista le due filosofie si trovano
contrapposte in modo apparentemente inconciliabile, e non sembrano in grado di
render conto dell’unicità dell’accadere.
Interpretando, per così dire, Adorno contro
se stesso, Garcìa Düttmann mette in contrasto l’idea adorniana della “colpa” e del
“nome” con una concezione in cui i due
concetti si situano in una diversa costellazione: quella di una universalizzazione
PROSPETTIVE DI RICERCA
necessaria della colpa come impossibilità
di sottrarsi alla connessione della colpa. Da
questo punto di vista la colpa diventa una
sorta di inevitabile ingiustizia che è implicita nell’operazione della denominazione,
che individualizza e distingue ciò che di per
sé non è nominabile e distinguibile e che
sempre precede la denominazione. Ma questa operazione colpevole è allo stesso tempo necessaria, in quanto solo attraverso i
nomi è data “la possibilità del senso, dell’esperienza e del linguaggio” e senza di
essi l’evento resterebbe inespresso. Si spiega così come, per Adorno, la denominazione non sia solo “colpa”, ma rappresenti
anche l’apertura della possibilità della memoria di un evento. Evidenziando poi come
proprio a questa apertura Heidegger conferisca un significato fondamentale in quanto
“fondazione”, Garcìa Düttmann indica in
conclusione che tanto in Heidegger quanto
in Adorno il linguaggio, e con esso l’origine della memoria, possiedono una doppia
struttura, al tempo stesso di “colpa” e di
“fondazione”. M.M.
La corrispondenza
Freud-Ferenczi
È recentemente apparso nelle librerie
francesi il primo volume della corrispondenza fra Sigmund Freud e Sandor Ferenczi Correspondance 19081914 (Calmann-Lévy, Parigi 1992): è
l’opera di un gruppo di traduttori, ricercatori, psicanalisti, legati alla rivista “Le Coq Héron”, fondata nel 1970.
La cura del volume è di Judith Dupont,
per la traduzione, e di André Haynal,
per l’apparato critico. Specialisti e
stampa hanno accolto questo evento
con soddisfazione: la traduzione, l’apparato critico sono eccellenti. In concomitanza con questo evento editoriale, viene pubblicata l’edizione delle
opere complete di Sandor Ferenczi,
Psychanalyse (Psicanalisi, voll. I-IV,
Payot, Parigi 1992) e il suo Journal
critique: janvier-octobre 1932
(Giornale critico: gennaio-ottobre
1932, Payot, Parigi 1992).
Forse questo voluminoso epistolario, come
è stato osservato, non apporta contributi
nuovi o “rivoluzionari” all’esegesi delle
teorie freudiane; tuttavia, grazie anche all’opera dei curatori, Judith Dupont e André Haynal, esso offre due ritratti affascinanti e complessi nell’inchiostro di una
lunga, tormentata corrispondenza. Attraverso le pieghe, gli adombramenti, i non
detti delle lettere, l’intrecciarsi delle risposte possiamo ritrovare la passione, la curiosità e il duro lavoro di due uomini consci di
essere protagonisti di una nuova avventura
del pensiero e della scienza, due figure in
risonanza con i problemi dell’epoca (l’ultima lettera di questo volume, del 28 luglio
1914, testimonia della preoccupazione di
Freud per l’assassinio di Francesco-Ferdinando a Sarajevo). Ferenczi, in particolare,
fin dalla sua esperienza come medico a
Budapest nel 1897 (era nato nel 1873 da
una famiglia di ebrei polacchi emigrati) si
prodigò per una medicina “sociale”: celebre e scandalosa fu la sua difesa dell’omosessualità nel 1906 in un testo coraggioso
presentato all’Associazione medica di Budapest. Egli rifiutava i pregiudizi reazionari della classe dominante che indicavano
negli omosessuali, detti “Uraniani”, un elemento disturbante dell’ordine sociale.
Ferenczi conobbe Freud nel febbraio 1908,
quando il maestro, allora cinquantaduenne, era uno scienziato riconosciuto e un
patriarca attorniato da un folto numero di
allievi. Nel 1907, Ferenczi entrò a far parte
delle “Serate psicologiche del mercoledì”,
veri e propri seminari, i cui protagonisti
(Karl Abraham, Carl Gustav Jung, Ernst
Jonas fra gli altri) discutevano dei loro
risultati “pioneristici”, della cultura del tempo, della loro vita privata: incontri “febbricitanti”, come risulta dall’epistolario, in
cui Freud viene ritratto come un uomo
sempre preoccupato della logica e della
scientificità delle costruzioni teoriche e
Ferenczi, al contrario, uomo più intuitivo,
impulsivo. L’epistolario ci restituisce questa antinomia, ma anche questa “benefica”
complementarietà fra una mente scientifica e rigorosa e un atteggiamento clinico più
preoccupato dei risultati terapeutici che
delle ipotesi scientifiche.
Questa divergenza scandisce i momenti
più importanti del rapporto fra i due scienziati: la scoperta del “controtransfert” e il
dibattito sull’”occultismo”. Ferenczi scopre nel 1908 l’esistenza del “controtransfert”, uno dei tasselli essenziali della situazione analitica teorizzata da Freud due
anni dopo. Il problema si pone nel momento in cui Ferenczi vuole sperimentare gli
effetti del controtransfert su di sé: diviene
così analista della propria amante e poi
della figlia di questa, di cui si innamorerà a
sua volta con effetti disastrosi su tutti. Freud
si inquietò moltissimo e dovette prendere
in analisi la figlia amata dell’amante di
Ferenczi: la storia ha un esito “felice”,
l’equilibrio è ricomposto attraverso l’analisi. In seguito, nel 1912, Sandor entra in
analisi con Freud, sebbene all’inizio il
maestro fosse contario a questa operazione, tanto più che i nodi affettivi sono assai
intricati fra i due scienziati: Freud considera da sempre Ferenczi come un “figlio”. I
rapporti s’invertono nel 1926 quando Ferenczi, ritenendo Freud soggetto a seri disturbi psichici, gli propone di entrare in
analisi con lui.
Per quanto riguarda l’occultismo, Ferenczi
è e rimane sempre affascinato da questo
problema e consulta astrologhi, fattucchiere e zingare, credendo nella trasmissione
telepatica del pensiero. Freud sopporta
questa situazione, finché nel 1913 decide
di dimostrare scientificamente l’esistenza
della telepatia. Ferenczi ne è entusiasta e
scrive a Freud: «Quando verrò a Vienna,
mi presenterò come l’astrologo di corte
degli psicanalisti». F.M.Z.
Montaigne oggi
La nuova edizione italiana dell’opera
di Michel de Montaigne, Saggi (traduzione a cura di Fausta Garavini, voll.III, Adelphi, Milano 1992) ripropone la
questione della collocazione storica
del pensatore francese e, nel contempo, della sua modernità: il presupposto di un soggetto giudicante si rovescia nella conferma dei suoi limiti, nella sua dissoluzione.
Erede e precursore di correnti e spunti
teorici che lo pongono, dal punto di vista
storico, come crocevia del dibattito filosofico e culturale del suo tempo, la meditazione di Michel de Montaigne risulta, per
taluni aspetti, vicina a tematiche contemporanee, almeno quanto lo è a quelle del
Cinquecento. La formazione di Montaigne
è tipicamente umanistica; come larga parte
della cultura della sua epoca, anch’egli è
più debitore nei confronti dei classici della
letteratura latina di quanto non lo sia verso
quelli del pensiero filosofico stricto sensu.
La riflessione di Montaigne si nutre abbondantemente di argomentazioni scettiche;
questo riferimento, a un tempo culturale e
filosofico, nel caso del pensatore francese
assume una duplice valenza, o meglio un
carattere bifronte. Da un lato il suo scetticismo, come fondamento di un nuovo ideale
di saggezza, si pone in evidente relazione
con il pensiero libertino, e con la sua critica
corrosiva di ogni pretesa fondazione razionale della conoscenza del mondo, della
credenza religiosa, dell’agire morale e di
quello politico. La riduzione a opinione,
ipotesi e congettura di ogni verità metafisica, scientifica o morale, è infatti, in Montaigne, l’esito del lavoro di un “libero pensatore” nel senso più ampio del termine, un
erudito che nell’isolamento personale e
sulla scorta delle proprie meditazioni e
letture si trincera nel distacco ironico, se
non freddo, con il quale usi, costumi e
“vanità” umane vengono giudicati. In questo senso, come sostiene Antimo Negri in
un suo recente intervento critico a proposito di questa edizione, il relativismo culturale al quale perviene la meditazione di Montaigne, il riconoscimento della pluralità
divergente e irriducibile dei “punti di vista”, lo collocano in una relazione significativa con l’Illuminismo.
D’altra parte la svalutazione delle pretese di esaustività dello strumento razionale e, in generale, delle potenzialità
conoscitive dell’uomo, lasciano in ultima analisi inviolato il santuario della
credenza religiosa, qualora esso sia affidato alla fede: e se il conservatorismo
politico di Montaigne - che pure potrebbe risultare incrinato dalla sua posizione
più propriamente filosofica - rimanda
all’idea di una “naturalità” dell’esistente nelle sue abitudini, così la rivalutazio-
PROSPETTIVE DI RICERCA
ne della religione richiama una “naturalità” della credenza nell’esistenza di Dio.
Come gli elementi e i motivi scettici, anche
la caratterizzazione che l’io assume nella
riflessione di Montaigne mostra un aspetto
bifronte. Da una parte la sua meditazione
pone prepotentemente in primo piano la
soggettività individuale dell’autore, dove
la centralità dell’ego, anche dal punto di
vista stilistico, è esplicitata da Montaigne
in modo prima inedito, un modo che lo ha
reso una delle figure più significative delle
origini del pensiero moderno per l’affermazione dell’istanza soggettivista, in evidente sintonia con l’impostazione cartesiana. L’insistenza sui limiti dell’io si giustifica proprio dal punto di vista di questo io,
e ha come conseguenza l’affermazione della
relatività dei punti di vista, non solo nel
senso del relativismo culturale, “ideologico”, ma delle stesse esperienze esistenziali
degli individui. D’altra parte, all’individuo
viene in questo modo sottratta la certezza di
un fondamento sostanziale ad esso proprio
e viene risucchiato nel gorgo delle “sue”
esperienze, che non sono più “proprie”.
Quasi paradossalmente, la “contemporaneità” di Montaigne sta proprio in questo
rovesciamento dialettico: l’istanza scettica, che pure si fonda sul presupposto del
punto di vista di un io giudicante, non
perviene a un io che chiude in modo unitario il complesso delle esperienze che lo
costituiscono. Il percorso della riflessione
sembra piuttosto svolgersi nel senso di un
mettersi in gioco di questo stesso io; il
punto di arrivo dissolve quello di partenza.
F.C.
Fenomenologia dello Spirito:
nuova traduzione francese
La traduzione della Fenomenologia
dello spirito di Hegel in lingua
francese, compiuta da Jean Hyppolite
nel 1941, oltre a costituire un evento
per la cultura filosofica d’Oltralpe, è
stata il testo di riferimento per più di
una generazione di intellettuali. Non è
eccessivo affermare che la conoscenza della dialettica e del sistema hegeliano in Francia è passata attraverso la
mediazione di Kojève e di Hyppolite,
del quale è stato tra l’altro recentemente ripubblicato: Figures de la
pensée philosophique (Figure del
pensiero filosofico, PUF, Parigi 1991).
A mezzo secolo di distanza, a cimentarsi nella traduzione del fondamentale testo hegeliano (Phenoménologie
de l’Esprit, Aubier, Parigi 1991) è
un allievo di Hyppolite: Jean-Pierre
Lefebvre.
Germanista di fama, traduttore di Hölderlin, Kant e Marx, Jean-Pierre Lefebvre si
è immerso per cinque anni nell’«etere»
filosofico hegeliano prima di dare alle stampe questo suo lavoro di traduzione, che si
propone di rileggere alcune categorie centrali del filosofo di Jena, rinnovando il
vocabolario dove quello adottato da Hyppolite si dimostrava troppo datato o troppo
tecnicistico, senza del resto temere di far
ricorso ad etimi o formulazioni del francese non più in uso, ma contemporaneo al
periodo che ha visto la stesura della Fenomenologia. L’intenzione è dunque quella
di restituire la «dimensione linguistica» del
testo hegeliano, concepito come introduzione ai corsi universitari. Si trattava in tal
senso di ripristinare il ritmo essenzialmente orale di quest’opera, che ha introdotto il
linguaggio popolare nell’universo filosofico, intrecciando la concretezza con l’astrazione e portando ad altezza di concetto
l’espressione idiomatica.
Testo pensato per l’esposizione, come molti
saggi di Hegel, la Fenomenologia conserva le cadenze, la forza ascensionale e dimostrativa di un pensiero-parlato, essenzialmente conciso, ma con le digressioni, i
rallentamenti e le espansioni tematiche tipiche dell’ordine orale. Sotto questo riguardo, la traduzione di Lefebvre è molto
attenta alle articolazioni semantiche del
testo, alle «spezie retoriche» che rendono
così caratteristico il filosofare hegeliano;
coraggiose, ma motivate le scelte lessicali.
Le differenze con la traduzione di Hyppolite sono spesso rimarchevoli e tali da introdurre delle novità concettuali in espressioni ormai invalse da un punto di vista storico
e culturale. È il caso, tra i molti, della
coppia Herr und Knecht (padrone e servo),
che Hyppolite traduce con maître et esclave (padrone e schiavo), mentre Lefebvre la
riformula nei termini di maître et valet
(padrone e servo), scelta che ripresenta
l’universalità di tale rapporto in una locuzione più vicina al fondo sociale e alla
terminologia ad Hegel contemporanea.
Propedeutica dell’intero sistema, la Fenomenologia può essere letta come il Bildungsroman del Sapere Assoluto dove sono
delineate le tappe del processo di formazione, trasformazione e conquista tanto della
coscienza, quanto del sapere. Riproporla
oggi in una nuova versione, significa rinnovare quel lavoro di appropriazione critica che in ogni traduzione si compie, nel
quadro di riferimento ideale e linguistico
del tempo. Si vuole così ribadire, al di là
delle critiche allo “spirito di sistema”, la
centralità delle categorie hegeliane per la
lettura della nostra epoca. In estrema sintesi - come ha affermato Hyppolite - l’impegno vuole essere quello «di non trattare
Hegel ‘come un cane morto’, ma di ripen-
sarlo e, per utilizzare un’espressione heideggeriana, di ‘ripeterlo’ alla luce del mondo attuale». E.N.
Schelling:
filosofia della mitologia
Concepita da Luigi Pareyson all’inizio
degli anni Settanta e realizzata sotto
la sua direzione, la collana Philosophica varia inedita vel rariora dell’editore Mursia può oggi
annoverare fra i suoi titoli, in prima
edizione mondiale, il volume: La phillosophie de la mythologie de
Schelling (a cura di Luigi Pareyson
e Maurizio Pagano, introduzione di
Maurizio Pagano, Mursia, Milano
1991), contenente la trascrizione in
lingua francese di due corsi di lezioni
tenuti da Wilhelm Friederich Joseph
Schelling a Monaco nel 1835-36 e a
Berlino nel 1845-46, concernenti la filosofia della mitologia. Il testo dei due
corsi fu redatto rispettivamente da
Charles Secrétan e Henri-Frédéric
Amiel, sulla base degli appunti raccolti durante le lezioni. L’importanza di
questa edizione consiste nel fatto di
confermare da una parte l’interpretazione generalmente ammessa di un
evolversi della filosofia schellingiana
della mitologia, ma anche di precisare
dall’altra alcune tappe essenziali di
questa evoluzione, rettificando in tal
modo la tendenza a considerare questa filosofia come un insieme di testi
definitivi.
Di una philosophie en devenir come quella
Wilhelm Friederich Joseph Schelling è all’altezza solo una ricerca storico-critica
che sappia mantenersi a sua volta en devenir. Una ricerca che, inoltre, non abdichi al
suo ruolo “eversivo”, ma sappia scompaginare e rifluidificare, insistendo sulle varianti a scapito dei testi cosiddetti “finiti”,
l’interpretazione consolidata e quindi ritenuta sbrigativamente canonica. Ciò vale
specialmente per la Schelling-Forschung,
che gode oggi senza dubbio di buona salute, ma è da sempre costretta a sopravvivere
in una situazione filologica a dir poco lacunosa. Ciò anzitutto per il quasi totale silenzio editoriale cui Schelling si votò nella
seconda metà della sua vita. Di qui la frammentarietà e provvisorietà della Spätphilosophie, nonché l’enorme rilevanza di qualsiasi nuova Nachschrift che sia in grado di
gettare luce sulla sua filosofia intermedia e
tarda. A ciò si aggiungano, poi, la distruzione durante il secondo conflitto mondiale di uno dei due Nachlässe esistenti (quello monachese), e la conoscenza alquanto
insufficiente dell’estesissimo epistolario,
in parte sicuramente perduto, e comunque
non pubblicato, anche per le parti conservate, in modo del tutto critico né da Plitt, né
da Fuhrmans, i due più autorevoli storiografi schellingiani.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Proprio per ovviare almeno in parte a questa deplorevole condizione della SchellingForschung nacque la collana internazionale “Philosophica varia inedita vel rariora”,
diretta da Luigi Pareyson nell’ambito del
“Centro di studi sul pensiero tedesco”, da
lui stesso fondato presso l’Università di
Torino, ed edita in una veste editoriale
accuratissima prima presso la Bottega
d’Erasmo e oggi presso Mursia (in Germania la collana è distribuita dall’editore
Meiner di Amburgo). In attesa di un’edizione veramente critica e complessiva delle opere di Schelling, avviata solo nel 1976
dalla Bayerische Akademie der Wissenschaften e purtroppo giunta a tutt’oggi appena al quarto volume della prima delle
quattro sezioni previste (che non copre
ancora neppure il periodo della filosofia
della natura degli anni 1797-1799), Pareyson decise, a partire dal 1972, di affidare a
ben noti specialisti la cura di testi schellingiani di primaria importanza.
Ricordiamo in primo luogo la fondamentale raccolta, curata e introdotta dallo stesso
Pareyson, di tutti quegli scritti schellingiani che, perché frammentari o di importanza
apparentemente secondaria o perché anonimi e di incerta attribuzione, furono esclusi, con grave detrimento per gli studiosi, sia
dall’edizione ottocentesca di Cotta che da
quella novecentesca del giubileo curata da
Schröter. Risultato di questa raccolta è un
volume di oltre 700 pagine, Schellingiana
rariora (Bottega d’Erasmo, Torino 1977)
contenente 185 tra scritti e frammenti pubblicati da Schelling stesso o da altri dopo la
sua morte, tutti scrupolosamente annotati e
contestualizzati (data, fonte, storia della
genesi) e di valore certamente non solo
biografico.
Se è vero che Schelling attende ancora un
suo biografo, uno strumento imprescendibile in questa direzione è costituito dai tre
ampi volumi di testimonianze curati da
Xavier Tilliette. Il primo, Schelling im
Spiegel seiner Zeitgenossen (vol.I, Bottega
d’Erasmo, Torino 1974, circa 600 pagine),
presenta quasi 600 tra citazioni, resoconti e
dichiarazioni, principalmente di origine
epistolare o diaristica, di quasi tutti coloro
che, amici o semplici conoscenti, filosofi,
poeti o uomini politici, ebbero occasione di
incontrare Schelling nelle diverse fasi e
sedi della sua attività. Ma, com’è destino di
ogni ricerca di questa natura, ben presto
questa prima raccolta si mostrò incompleta, e allora Tilliette, seguendo il solo criterio possibile, quello pragmatico - ricordiamo qui le sue parole: «bisogna smettere
quando non vale più la pena di proseguire
la caccia» - andò via via integrandola. Con
il secondo e altrettanto imponente volume
(oltre 500 pagine), Schelling im Spiegel
seiner Zeitgenosse. Ergänzungsband. Melchior Meyr über Schelling (vol.II, Bottega
d’Erasmo, Torino 1981), Tilliette offriva
infatti l’esito di ricerche compiute su molti
altri epistolari del tempo. Accanto a questi
nuovi materiali, ancora una volta ordinati
in successione cronologica e annotati, Ti-
liette pubblica inoltre, facendola precedere
da un’utile premessa informativa, una importante e ampia scelta dai diari di un
allievo di Schelling, il poco noto poeta e
filosofo bavarese Melchior Meyr, mettendoci così a disposizione informazioni sugli
ultimi decenni della vita di Schelling (a
partire dal 1830), sulle lezioni e le vicende
pubbliche, ma anche e soprattutto sulla sua
vita quotidiana; si potrebbe quasi dire un
inedito Schelling en pantoufles. Completa
il volume una breve scelta dal diario (18351836) di un altro membro della ristretta
cerchia schellingiana, il poeta Heinrich
Puchta. In un terzo e meno ampio volume
di aggiunta, Schelling im Speigel seiner
Zeithenossen. Zusatzband (vol.III, Mursia,
Milano 1988) Tilliette completa questa
imponente ricerca con 211 nuove testimonianze, ricavate principalmente dai diari
(del periodo 1827-1841) di Schmeller, Roth
e Boisserée.
Ma a Pareyson premeva soprattutto avviare la pubblicazione delle numerosissime
Nachschriften dei corsi di Schelling, dalle
quali si attendeva un vero e proprio rinnovamento radicale dell’attuale redazione
della filosofia positiva. Qui come in altri
casi la filologia, pur contravvenendo all’esplicita intenzione dell’autore (era desiderio di Schelling, infatti, che non si pubblicassero i molti manoscritti delle sue lezioni, tanto meno quelli dei suoi uditori),
commette una felix culpa. E proprio nella
collana pareysoniana apparvero già negli
anni settanta due tra le più importanti Nachschriften allora disponibili: le Stuttgarter Privatvorlesungen, versione indedita
curata, introdotta e annotata da Milkos
Vatö (Bottega d’Erasmo, Torino 1973),
che raccoglie appunti di Georgii risalenti al
1810 e poi rielaborati dal figlio di Schelling
secondo le indicazioni paterne, e la Grundlegung der positiven Philosophie, Münchner Vorlesung WS 1832/33 und SS 1833,
curata e commentata da Horst Fuhrmans
(Bottega d’Erasmo, Torino 1972) ovvero
la cosiddetta “grande introduzione alla filosofia” (circa 500 pagine), ricavata dai
primi due di cinque quaderni di appunti di
J.G.C.F. Helmes ritrovati nel monastero
benedettino di Vaals e qui integrati, nelle
loro parti lacunose, da un’altra Nachschrift
di autore ignoto (J.B.B.D.) del semestre
invernale 1833-34 e da brani già editi nei
Werke. Un secondo volume dell’opera, più
volte annunciato da Fuhrmans e contenente commenti e confronti con altre Nachtschriften, non vide mai la luce.
Le Stuttgarter Privatvorlesungen nella trascrizione di Georgii, importantissime soprattutto per la perdita del manoscritto schellingiano usato dall’editore Cotta e qui pubblicate, proprio per facilitare l’inevitabile
lavoro di collazione, insieme al testo dell’edizione Cotta, ad alcuni estratti del “Calendario di Schelling per l’anno 1810" e ad
alcune lettere a Georgii, costituiscono
l’esordio di quella imponente “eremeneutica del cristianesimo”, in cui molti vedono
il compimento della riflessione schellin-
giana, un momento di transizione in cui il
filosofo cerca di ricollocare, per quanto in
maniera puramente schematica, la nuova
“filosofia della libertà”, sviluppata l’anno
precedente nella Freiheitsschrift, entro la
struttura sistematica ereditata dalla filosofia dell’identità. Nell’amplissima Introduction historiques et philosophique, preposta
ai testi, Vetö mette a fuoco con grande
competenza tutte le dimensioni toccate in
queste lezioni, quella ontologica (ripresa
della dottrina delle potenze, ma in un quadro che prevede una processualità non solo
logica ma storica), quella antropologica
(emersione di un’autentica teosofia basata
sulle tre potenze dell’animo, dello spirito e
dell’anima intesa come elemento impersonale) e quella escatologica (teoria del male
come “disarmonia positiva” di origine non
fisica ma spirituale, e dell’immortalità come
“essentificazione”).
I due corsi monachesi, raccolti nella Grundlegung der positiven Philosophie dopo
una densa introduzione storico-critica in
cui Fuhrmans ricostruisce tutti i corsi del
periodo monachese e berlinese, nonché la
situazione delle relative Nachschriften, testimoniano l’intenzione schellingiana di
erigere, in antitesi a Hegel, ma anche prendendo le distanze dalla propria filosofia
dell’identità, una “filosofia positiva” che,
pur essendo sistema e muovendo dall’assoluto, abbandoni il piano della logica e della
necessità per abbracciare in sé la vita e la
realtà, senza per questo cadere in un cieco
irrazionalismo. Questa dottrina di Dio e
della creazione si articola secondo Schelling in quattro sezioni: dalla contrapposizione di filosofia logica e filosofia storica
si procede a un esame storico dei sistemi
razionalistici moderni (da Cartesio all’idealismo), con la presentazione dell’empirismo filosofico regressivo nel suo carattere
scientifico (emancipato, quindi, dal suo
presunto valore solo propedeutico), per
giungere, infine, alla vera e propria filosofia positiva, vale a dire il passaggio dalla
filosofia ascendens alla filosofia finalmente descendens con l’emancipazione del
concetto della logica.
Nell’ultimo e recente volume della collana, La philosophie de la mythologie de
Schelling (Mursia, Milano 1991), a cura di
Luigi Pareyson e Maurizio Pagano, la
pubblicazione di altre due importanti Nachschriften, redatte in lingua francese da
Charles Secrétan e Henri-Frédéric Amiel e
concernenti rispettivamente due corsi di
lezioni tenuti da Schelling a Monaco nel
1835-36 e a Berlino nel 1845-46, dedicati
alla filosofia della mitologia, apporta un
contributo decisivo al chiarimento dell’ultima fase di pensiero di Schelling, quella
più marcatamente orientata in senso religioso-teosofico, che pone capo alla cosiddetta “filosofia positiva”. Il primo corso
dedicato alla filosofia della mitologia, tenuto da Schelling a Erlangen, risale al 1821;
il tema fu poi ripreso in diversi corsi dopo
il 1827. È però solo a partire dal 1831 che
alla filosofia della mitologia fa seguito la
PROSPETTIVE DI RICERCA
Friederich Wilhelm Joseph Schelling (incisione di A. Schultheis)
PROSPETTIVE DI PROSPETTIVE
RICERCA
DI RICERCA
filosofia della rivelazione, che con la prima
viene a costituire la cosiddetta “filosofia
positiva”. Nella prima Dio si manifesta
come natura necessaria, nella seconda si
qualifica nei termini di un essere personale
e libero.
Significativo è il carattere della nozione di
rivelazione, quale emerge dagli appunti di
Henri-Frédérich Amiel: la rivelazione è il
mezzo, e non il fine, perché il fine è la
fondazione di una “libera religione” che,
quanto alla forma, viene a coincidere con il
libero pensiero e, quanto al contenuto, con
la “ragione nella sua pienezza”, che è Dio.
Ciò comporta che la nozione filosofica di
rivelazione non si sovrapponga a quella
della rivelazione di una particolare religione positiva. La valutazione riduttiva del
pensiero di Schelling, espressa altrove da
Amiel, pare che non abbia influito sulla sua
trascrizione dei corsi. Circa vent’anni dopo
il corso di lezioni monacense, Amiel considerava infatti la speculazione di Charles
Secrétan, accomunandola in ciò a quella di
Schelling, come “un’eredità medievale”,
un tentativo di «fare della filosofia un’ancella della teologia cristiana», mirante a
dedurre dalla teorizzazione filosofica una
particolare religione positiva. La posizione
“comparativistica” e teistico-illuminista di
Amiel in materia di filosofia della religione, che lo porta alla condanna del pensiero
di Schelling per un suo presunto carattere
confessionale, tende a occultare il debito
contratto nei confronti del pensatore tedesco. Come nota nella sua Introduzione
Maurizio Pagano, questa posizione si accompagna a incertezze presenti nello stesso Amiel, sospeso fra relativismo comparativista e primato della fede cristianoprotestante. Tutto ciò, oltre a confermare la
distanza critica fra maestro e allievo, autorizza l’ipotesi, nel caso della trascrizione di
Amiel, di una possibile sovrapposizione di
punti di vista su questioni d’importanza
fondamentale per l’intera meditazione
schellingiana.
Senz’altro più consona alla concezione di
Schelling è la posizione di Charles Secrétan, il cui confronto con il pensatore
tedesco non si limitò all’ascolto delle sue
lezioni. A differenza degli appunti di Amiel,
che si presentano in forma più sintetica, la
trascrizione delle 51 lezioni di Secrétan dà
al testo un andamento maggiormente discorsivo. Mentre nelle lezioni trascritte da
Secrétan viene prima ripresa l’Introduzione alla Filosofia della mitologia, presentata nel 1834, poi analizzate le mitologie
egiziana, indiana e greca, le lezioni monacensi, oggetto delle note di Amiel, abbracciano la filosofia della mitologia nel suo
complesso. Il raffronto tra questi materiali
e le parti corrispondenti dell’edizione Cotta mostra come Schelling nel progredire
della propria ricerca non mutasse sostanzialmente il proprio punto di vista teorico,
ma tendesse a innervarlo in una mole sempre più rilevante e aggiornata di dati storici.
In questo modo risulta confermata quella
linea interpretativa che considera la posi-
zione di Schelling, in merito alla filosofia
della mitologia, a partire da quella espressa
nella sua versione finale, riassuntiva di
quelle precedenti, e cioè nelle lezioni di
Monaco.
Ma l’evoluzione della concezione di Schelling conferma anche la sua convinzione
che la filosofia riposa sempre su fatti. Non
ci si può rifiutare di sottomettersi ad essi;
e il progresso del pensiero consiste appunto nel cercare incessantemente nuovi fatti
per poterne dare una spiegazione, potenziando in questo il meccanismo stesso
della scienza, che rimarrebbe sterile, se
finisse col chiudersi in un argomentare
tautologico, che si nutre esclusivamente di
forme astratte. In questo è racchiuso il
senso profondo della filosofia della mitologia dell’ultimo Schelling, in polemica
da un lato con Kant, dall’altro con Hegel.
Appare inoltre chiara la congruenza di
queste affermazioni con la prospettiva di
“filosofia positiva” di cui fanno parte, quando Schelling distingue, in relazione all’esistenza di qualcosa, tra condizioni negative e condizioni positive: tanto le kantiane forme a priori, quanto il prius assoluto hegeliano si collocano in tal senso dal
“lato negativo”, rispettivamente delle condizioni della conoscenza e di quelle dell’esistenza della realtà. D’altra parte, se
fin dalle lezioni del 1835-36 emerge con
evidenza che è il fondamento fattuale della
filosofia della mitologia a fare di essa una
scienza, solo nelle lezioni del 1845-46
diviene chiaro che ciò che distingue la
filosofia della mitologia dalla mitologia
pura e semplice è la prospettiva organicista, la connessione di una molteplicità di
elementi in un’articolazione organica.
In conclusione, se l’evoluzione della speculazione schellingiana, quale emerge dal
contenuto di queste trascrizioni, non contraddice i propri presupposti, bisogna tuttavia notare come quella parte dell’edizione canonica riguardante la filosofia della
mitologia sia da considerarsi più la sedimentazione stratificata di un pensiero in
divenire, che non il testo di un’opera pronta per la pubblicazione.
È grazie alla collana Philosophica varia
inedita vel rariora se conclusioni di questo genere sono oggi possibili e se conseguentemente la ricerca storiografica italiana si è imposta all’attenzione degli studiosi nella pubblicazione degli inediti
schellingiani. La limitata diffusione di
questa collana è tuttavia dovuta per lo più
al pregiudizio secondo cui la pubblicazione di appunti e testimonianze concernenti
un determinato autore riguarderebbe solo
gli specialisti e i filologi. Invece, essendo
l’ultima filosofia schellingiana un mero
“palinsesto” in via di sistemazione, è ora
che al serio contributo filologico si riconosca la stessa dignità che si è soliti concedere al lavoro interpretativo. Tanto più per
una “filosofia dinamica” come quella schellingiana, aperta come e più di altre ad
infinite interpretazioni proprio per il suo
carattere intimamente metaforico. L’anti-
NOTIZIARIO
E’ stata ufficialmente presentata a
Torino, in occasione del salone del
libro la nuova rivista di filosofia PARADOSSO. La rivista nasce per iniziativa di Massimo Cacciari, Sergio Givone, Carlo Sini, Vincenzo Vitiello,
Margherita Petranzan e si propone di
dar vita ad un lavoro di ricerca filosofica rigoroso, fortemente caratterizzato, ma non accademico, nè settoriale, con l’intento di far dialogare prassi e pensiero non rigidamente collocate o collocabili all’interno di chiusi
ambiti disciplinari. Emblematico
quindi il titolo della rivista che, richiamandosi al duplice significato del
termine “paradosso”, che rimanda in
un senso a “ciò che é lontano dalla
comune opinione”, in un altro a ciò
che é “meraviglioso”, vuole proprio
cogliere l’essenza della filosofia e
dello spirito che anima questa rivista.
Rivolgendosi ad un pubblico non necessariamente “addetto ai lavori”, i
contenuti degli articoli si presentano
con un linguaggio scevro da ogni
forma di retorica di tipo accademico,
eppure carico dell’indispensabile rigore e della scientificità d’approccio,
limpido e diretto.
La rivista é a scadenza quadrimestrale e si articola secondo tre sezioni
fondamentali: “Saggi”, di impostazione monografica,”Scholia”, cioé
glosse filologico-filosofiche a proposito di testi o di singoli passi classici,
“Percorsi”, sezione libera da vincoli
tematici, che raccoglie interviste, inediti, studi filologici, compendi di conferenze e lettere di particolare interesse.
La sezione “Saggi” ha carattere monografico e sviluppa nel corso dell’anno un tema particolarmente rilevante nel dibattito filosofico; la programmazione per il 1992 approfondirà nuclei tematici inerenti alla questione della Natura: “Dialogo sulla
natura”, “Ethos e natura”, “Natura e
Sovranatura”.
L’ARCHIVIO-BLOCH di Ludwigshafen (Germania) ha acquisito 47 lettere inedite indirizzate dal filosofo alla
sua collaboratrice ed allieva Ruth
Römer. I testi costituiscono un’interessante documentazione relativa agli
anni in cui il filosofo fu attivo a Lipsia.
NOTIZIARIO
È deceduto in un incidente stradale
in Cecoslovacchia il filosofo VILÈM FLUSSER. Emigrato nel 1940
dalla Germania in Gran Bretagna e
poi in Brasile, Flusser ha vissuto
negli ultimi anni in Francia. In opere come Ins Universum der technischen Bilder (Nell’universo delle
immagini tecniche) e Die Schrift
(La scrittura) Flusser ha analizzato
la società attuale dal punto di vista
della presenza e dell’influsso delle
tecniche computeristiche, mettendo l’accento sulla difficoltà di distinguere in esse ciò che è fittizio
da ciò che è reale. In una tale società anche la scrittura andrebbe gradatamente perduta a favore del sistema binario attraverso cui avviene l’elaborazione computerizzata
delle informazioni. Ma dall’epoca
del computer e dai suoi sviluppi
tecnologici Flusser si attendeva
anche lo sviluppo di un nuovo tipo
di polis e di una decentralizzazione
del potere politico. Una recensione
dell’ultima opera di Flusser Gesten. Versuch einer Phänomenologie (Gesti. Tentativo di una fenomenologia) è apparsa nel n. 6 di
“Informazione Filosofica”.
HELMUTH KUHN è morto all’età di
92 anni. Nato nel 1899 a Lüben in
Slesia, Kuhn si laurea nel 1923 e
consegue l’abilitazione all’insegnamento universitario nel 1930.
Dopo aver lavorato a Berlino come
Privatdozent, Kuhn emigra nel
1938, sotto la pressione del regime
nazista, negli Stati Uniti, dove insegna prima alla North Carolina
University e successivamente all’Emory University di Atlanta. Nel
1949 ritorna in Germania diventando docente dapprima a Erlangen e poi a Monaco. È tra i fondatori della Philosophische Rundschau e tra i curatori della Zeitschrift für Politik. Dal 1957 al 1962
è stato presidente della Società generale tedesca di filosofia. Tra gli
ambiti principali in cui si è esercitata la sua attività di studioso si
possono indicare la metafisica, la
filosofia greca, la filosofia politica
e l’estetica. Sua opera fondamentale nell’ambito degli studi di filosofia politica è Der Staat (Lo stato), del 1967, in cui si mostra tra
l’altro come ogni stato dipenda da
presupposti di carattere religioso e
spirituale che esso stesso non può
creare.
Si ispira ad alcuni versi del poeta
russo Ossip Mandelstam il titolo di
una nuova rivista semestrale di poesia e filosofia, KAMEN , di cui è ora
in libreria il primo numero. Articolata in sezioni di volta in volta
dedicate ad argomenti di poesia,
filosofia, critica e poetiche, la rivista si propone di presentare, nella
prospettiva di un lavoro di ricerca
e di scelta di valori, testi poetici
originali e traduzioni, riflessioni
sul rapporto tra filosofia e poesia,
contributi critici sull’attività poetica e documentazioni relative alle
poetiche di artisti contemporanei e
non. Nel numero 1 vengono proposti, accanto ad una nuova traduzione poetica del Cantico dei cantici,
dovuta ai biblisti Luigi Commissari e Giuseppe Barbaglio, tre testi
inediti di Carlo Michelstaedter
(Parmenide, Zenone lo stoico, Questione centrale) facenti parte del
“Fondo Michelstaedter” della Biblioteca Civica di Gorizia.
L’ISTITUTO ITALIANO PER GLI
STUDI STORICI bandisce un con-
corso a dodici borse di studio per
l’anno accademico 1992-1993, per
giovani laureati in Università italiane. L’importo di ciascuna borsa
sarà di L. 10.000.000, qualora i
vincitori non risiedano nella provincia di Napoli, e di L. 7.000.000,
se residenti nella provincia di Napoli. Al concorso possono partecipare tutti coloro che siano laureati
in Lettere o in Filosofia, e i laureati
in Giurisprudenza o in Scienze
politiche o in Economia e Commercio o in Architettura che abbiano svolto la tesi in discipline storiche o filosofiche, che non abbiano
superato il trentacinquesimo anno
di età alla data del 1 ottobre 1992 e
che non abbiano ancora usufruito
di borse di studio presso l’Istituto;
sono inoltre esclusi dalla partecipazione al concorso gli ammessi ai
dottorati di ricerca, così come coloro che percepiscano altre borse
di studio o che svolgano altre attività retribuite.
I concorrenti dovranno presentare
alla Direzione dell’Istituto (via Benedetto Croce 12 - 80134 Napoli),
entro il 1 ottobre 1992 (farà fede il
timbro postale), domanda in carta
semplice, includendo le indicazioni della data e del luogo di nascita,
della cittadinanza italiana, della residenza, e la dichiarazione che nulla risulta a carico del candidato
presso il rispettivo Casellario giudiziario.
Per ulteriori chiarimenti i candidati potranno rivolgersi alla Segreteria dell’Istituto tra le ore 9.00 e le
13.00 (tel. 081/5517159-5512390).
Con la nuova collana della Fromman-Holzboog, PHILOSOPHISCHE
CLANDESTINA DER DEUTSCHEN
AUFKLÄRUNG, avviata in collabo-
razione con Ulriche Meyer e curata
da Martin Pott, viene presentata
per la prima volta una raccolta rappresentativa degli scritti filosofici
clandestini dell’illuminismo tedesco. Si apre con ciò la porta a testi
di autori, che nella prima metà dell’epoca illuministica in Germania
vennero condannati in quanto spiriti liberi, atei, o spinozisti e con
ciò divieto di pubblicazione dei
loro scritti, oltre a persecuzioni
personali.
Con la documentazione di questi
scritti viene anche alla luce una
linea della tradizione tedesca finora sepolta, che allarga la nostra
immagine dell’illuminismo e la arricchisce circa i suoi primi avvii
radicali. Gli scritti di Stosch, Lau,
Wagner, Bucher, Wachter ecc., che
oggi nelle biblioteche sono rintracciabili a malapena, offrono un panorama impressionante della molteplicità di temi dell’illuminismo
radicale che, all’interno della ricerca storica, è stato finora appena
preso in considerazione. Per porre
rimedio all’attuale carenza, i singoli volumi sono corredati da introduzioni bio-bibliografiche e appendici con dettagliata documentazione. Nei documenti si tratta
degli atti dei processi proibiti, delle repliche e delle polemiche dei
contemporanei, che raccolgono le
reazioni di uomini noti come Leibniz, Spener, Pufendorf o Thomasius.
La collana si apre con gli scritti di
Theodor Ludwig Lau (1670-1740),
radicale, il più rappresentativo del
gruppo di liberi pensatori tedeschi
dell’inizio del XVIII secolo: Meditationes philosophicae, Theses,
Dubia philosophico-theologica.
Con il volume di Fabio Bazzani,
Unità Identità Differenza. Interpretazione di Schopenhauer, si inaugura la collana FILOSOFIA. TESTI E
STUDI delle edizioni fiorentine Ponte alle Grazie. La collana, diretta
dallo stesso Fabio Bazzani, intende
proporre all’attenzione degli studiosi e dei lettori una serie di volumi che
contribuiscano ad una riconsiderazione complessiva di figure e momenti particolarmente significativi
del pensiero filosofico nel quadro
della cultura della modernità, soprattutto sul versante dell’etica e sul
versante teoretico, con specifico riguardo a quelle interpretazioni che
pongano al centro dello svolgersi
argomentativo la problematica esistenziale-esperienziale.
Sono in preparazione i seguenti volumi: due testi di Kierkegaard, di cui
uno inedito in Italia, nella traduzione di K. Ferlov, riveduta da M. L.
Sulpizi, con il titolo: Per provare se
stesso e Giudica da te; un volume
collettaneo su aspetti generali e particolari della teoresi di Marx e della
successiva elaborazione e ricezione
dal titolo: Continente Marx; una nuova traduzione di L’essenza del cristianesimo di Ludwig Feuerbach,
condotta da F. Bazzani e D. Haibach
sull’edizione del 1849; uno studio di
M. Matteini su MacIntyre dal titolo:
Crisi della cultura etica e prospettive per una rifondazione. MacIntyre
e la morale contemporanea; la traduzione integrale dello studio di
Georg Simmel, Schopenhauer e
Nietzsche, a cura di A. Olivieri.
L’opposizione tra filosofia “analitica” e “continentale”. Ci sono filosofi analitici nel Continente, e i
valori della filosofia analitica sono
(intendono essere) universali. La
FILOSOFIA ANALITICA è caratterizzata dalla finalità della chiarezza, dall’insistenza nelle argomentazioni esplicite e dalla necessità
che ogni punto di vista venga esposto nei rigori di valutazioni e discussioni critiche allo stesso tempo. L’universalità di questi valori è
una delle ragioni dell’attuale ripresa della filosofia analitica in
Europa dopo la lunga interruzione
causata dalla seconda Guerra Mondiale e dall’esilio di molti filosofi
europei nel Nord America. I filosofi analitici si trovano oggi non
solo in paesi dove l’interesse analitico è fiorito senza interruzzioni,
come la Gran Bretagna o la Scandinavia, ma anche in Austria, Belgio,
Cecoslovacchia, Francia, Germania, Gracia, Olanda, Ungheria, Italia, Polonia, Portogallo, Romania,
Russia, Spagna, Svizzera e Iugoslavia.
Al fine di stabilire ulteriori contatti e collaborazioni fra i filosofi analitici del Continente e quelli della
Gran Bretagna, l’European Society
for Analytic Philosophy (ESAP) si
è posta tre obiettivi. In primo luogo organizzare Congressi europei
di filosofia analitica (ECAP) con
frequenza regolare. Questi Congressi permetteranno ai filosofi
analitici europei, qualunque sia la
loro area di interesse, di incontrarsi e di conoscersi. Il primo ECAP
avrà luogo a Aix en Provence (Francia) dal 23 al 26 aprile 1993. Le
sessioni verranno organizzate nei
seguenti settori: Etica, Filosofia
della Mente, Filosofia del Linguaggio. Agli autori viene richiesto di
presentare un ampio schema d’intervento (circa 2000 parole) prima
del 25 giugno 1992. L’accettazione verrà notificata dal 19 novembre 1992. In secondo luogo emettere un bollettino o altri tipi di
pubblicazione di interesse generale: sono in programma un elenco di
filosofi analitici europei e un opuscolo contenente informazioni sugli aspetti istituzionali della filosofia nei vari paesi d’Europa. In
terzo luogo facilitare l’organizzazione di conferenze e di “officine”
(cioè gruppi di lavoro) europei su
specifici argomenti. Le prime conferenze, tenute sotto l’auspicio dell’ESAP, saranno: un simposio su
“Senso e Riferimento”, organizzato da P. Kotátko a Karlovy-Vary,
in Cecoslovacchia, il 7-11 settembre 1992, e un gruppo selezionato
di lavoro sul tema: “Teoria del Significato e Intuizionismo”, organizzato da G. Sundholm a Leiden,
in Olanda, nel settembre 1992.
Per informazioni contattare la filiale ESAP presente in ogni paese,
o un membro della Commissione
Centrale (per l’Italia: ESAP-Roma
o Diego Marconi, ESAP-Torino).
Un gruppo di intellettuali francesi
(tra gli altri Félix Guattari e Jean
Laplanche) ha pubblicamente protestato per la lentezza con cui viene pubblicata l’edizione del Séminaire di JACQUES LACAN. In quasi
CONVEGNI E SEMINARI
Emblemi Torah (Germania XVIII e XIX sec.)
CONVEGNI E SEMINARI
CONVEGNI E SEMINARI
Magia, mistica e cabbala:
l’ebraismo nella cultura tedesca
Si è tenuto dal 9 all’11 dicembre 1991
a Francoforte un convegno sul tema:
Mistica, magia e cabbala nell’ebraismo tedesco, organizzato
dall’Università di Francoforte in collaborazione con il Centro di ricerca Gershom Scholem per lo studio del misticismo ebraico e della cabbala dell’Università ebraica di Gerusalemme. Nel
corso del convegno eminenti studiosi
della cabbala e del pensiero ebraico,
provenienti da Israele, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Germania, hanno
preso in considerazione diversi aspetti della mistica ebreo-tedesca dal XII al
XIX secolo.
Di carattere preminentemente storico-culturale, ma interessante anche per la storia
delle idee e della filosofia, il tema dell’eredità della mistica ebraica nella cultura tedesca, a cui è stato dedicato il convegno di
Francoforte, non ha fatto concessioni alle
mode esoteriche che oggi imperversano da
più parti. Non per questo sono però stati
predominanti i toni dell’erudizione: anche
quando proponevano escursioni nelle lontane e affascinanti lande della mistica medioevale o itinerari nella vita di oscuri rabbini, gli interventi avevano sempre ben
presente l’obiettivo di mettere in luce il
significato del sapere cabbalistico, della
mistica ebraica e della sua storia per la
cultura attuale.
Con il termine “cabbala” (dall’ebraico qabbalah) si indica l’insieme delle dottrine
mistiche ed esoteriche dell’ebraismo, esposte in un grande complesso di scritti pubblicati, di manoscritti e in un vasto insieme di
tradizioni orali. Il convegno di Francoforte
ha inteso indagare l’eredità di questo complesso di tradizioni, seguendone le tracce
nelle vite e nelle opere di esponenti della
storia culturale tedesca, oggi per lo più
dimenticati. Alla vita di Lippmann
Mühlhausen, calligrafo e interprete della
cabbala vissuto nella seconda metà del sec.
XIV, è stato dedicato l’intervento di Israel
Yuvael. Lippmann Mühlhausen esortò le
comunità ebraiche alla corretta scrittura
delle lettere nella forma delle quali, secondo il sapere cabbalistico, si attua la rivela-
zione di Dio, pensato come un’essenza
costituita da dieci campi di forza. Mühlhausen, presso cui le preoccupazioni teologiche si intrecciavano con quelle politicosociali, intendeva anche conferire alla fede
ebraica un fondamento stabile per difenderla dal sospetto che gli ebrei costituissero una setta e che per questo, come altri
eretici, dovessero essere sottoposti all’inquisizione ed alla condanna a morte.
Centrale in diversi interventi è stata l’analisi del tema delle deviazioni dall’ortodossia. Fu il caso, ad esempio, di Nathan
Adler, un rabbino ed erudito vissuto a
Francoforte alla fine del XVIII secolo, che
aveva raccolto attorno a sé un gruppo di
giovani e che aveva introdotto nuovi rituali
di preghiera. Di lui si raccontava che per
mettere alla prova il potere dei suoi amuleti
avesse dato alle fiamme il ghetto ebraico di
Francoforte. Secondo Rachel Elior questa
leggenda mostrerebbe come la comunità
ebraica, spaventata di fronte ad una sorta di
scissione esoterica al proprio interno, avrebbe espulso dalle proprie file un conoscitore
della cabbala di straordinario valore.
Allo scritto: Parole di ammonimento di
Theodor Wechsler, risalente al XIX secolo, è stato dedicato l’intervento di Jakob
Katz, che ha tentato di leggere questo
documento come un precoce ammonimento-profezia riguardo alla tragedia ebraica
negli anni del nazismo. Nel suo scritto
Wechsler, visitato da sogni e visioni divine, avrebbe riconosciuto il nucleo ideologico razzista dell’antisemitismo, predicendo al tempo stesso l’annientamento degli
ebrei - una profezia che secondo Katz non
è stata ascoltata dagli ebrei dell’epoca a
causa di una certa resistenza a divenire
consapevoli della propria situazione di
pericolo.
Con il suo intervento dedicato al pensatore
rinascimentale Pico della Mirandola, Klaus
Reichert ha individuato la presenza di un
influsso della cabbala nella storia culturale
europea e nello sviluppo della coscienza
borghese. In Pico lo studio della cabbala
porterebbe infatti allo sviluppo di istanze
di emancipazione della cultura, della filosofia e della religiosità dal potere ideologico e teologico della chiesa: la cabbala
mostra per Pico come l’individuo abbia la
capacità di riconoscere autonomamente Dio
e l’ordine del mondo e come, nella sua
azione nel mondo, possa confidare nella
libertà del proprio volere.
Nel convegno sono stati anche messi in
luce alcuni influssi indiretti della cabbala
sulla storia culturale tedesca ed in particolare sulla filosofia dell’età romantica: così,
ad esempio, il “nulla assoluto” di Hegel
non sarebbe pensabile senza la cabbala,
alle cui fonti si alimenterebbe del resto
anche l’idea di Schelling, secondo cui Dio
avrebbe creato il mondo ritraendosi. M.M.
Althusser:
ermeneutica e psicanalisi
Nei giorni 5 e 6 febbraio 1992 si è
tenuto all’Università degli Studi di
Milano un convegno sul tema: Louis
Althusser: lettura sintomale
ed ermeneutica psicoanalitica,
che ha rappresentato l’occasione per
affrontare in Italia l’eredità di pensiero del filosofo francese, recentemente
scomparso, alla luce dell’evoluzione
del dibattito filosofico attuale. In particolare, il convegno ha voluto sottolineare la “differenza” di Althusser
rispetto agli indirizzi dominanti della
koinè ermeneutica.
Benché sia Louis Althusser sia l’ermeneutica mettano al centro della loro attenzione l’atto di lettura, l’ermeneutica tende
a considerare il piano della significazione
come “dato” evidente ed originario, mentre la lettura sintomale giudica la costituzione del senso un qualcosa di irriducibile
all’identità del significato, e rimanda alla
“logica” produttiva interna del testo. Il
decentramento dell’analisi testuale dall’ermeneutica del senso all’istanza letterale
dell’organizzazione significante conduce
al cortocircuito tra ermeneutica e psicoanalisi. Questo appunto il nucleo problematico affrontato nel convegno milanese su
Althusser.
I principali punti di riferimento per inquadrare la lettura sintomale di Althusser sono
da un lato Spinoza e Hegel, dall’altro Freud
e Lacan. Se in questo sembra trascurato il
rapporto decisivo col testo di Marx, Althusser stesso ha spiegato che la lettura
sintomale consiste nell’esercizio di un de-
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tour attraverso altri testi della tradizione
filosofica, necessario per definire il proprio
punto di vista. Pertanto comprendere le tesi
di Althusser e la loro elaborazione attraverso Marx consiste nel rimetterle in gioco
ripercorrendo criticamente il detour che le
ha prodotte. È così che una serie considerevole di interventi al convegno hanno mirato a rintracciare le ragioni dell’affinità profonda che lega Althusser a Spinoza. In
particolare Domenico Cosenza ha insistito sulla fondamentale rilevanza del metodo
esegetico di Spinoza, quale è esposto nel
cap. VII del Trattato teologico-politico,
evidenziando come in esso sia in gioco in
modo decisivo il rapporto tra avvenimento
storico e produzione testuale, ciò che costituisce secondo Cosenza il “tratto differenziante” della lettura sintomale rispetto ad
altri esempi di pratiche di lettura. Secondo
questa ipotesi ci sarebbe una causalità immanente che collega contesto storico e genesi del testo.
Vittorio Morfino condivide invece la necessità di specificare e approfondire le componenti materialistiche del rapporto Althusser-Spinoza. Morfino sottolinea la presenza simultanea di tre assi attorno a cui si
costruisce il discorso althusseriano: struttura, storia e politica. Pur accogliendo in sé
il rigore della metodologia strutturalista, la
lettura sintomale non è una analisi formalistica, ma si concepisce come una pratica di
intervento nel reale, necessariamente in
tensione con le rappresentazioni ideologiche della società. In questo contesto appare
chiara la contiguità col discorso spinoziano: la critica della conoscenza immaginaria non può sopprimere l’immaginazione.
Alessandro Pandolfi, infine, ha chiarito
come il lavoro di Althusser su Spinoza sia
servito principalmente a dar rigore alla
dialettica marxista. Ma ha anche confrontato Althusser con la elaborazione di Gilles
Deleuze, riscontrando come quest’ultimo
sia riuscito a liberare Spinoza e il materialismo dalla dialettica stessa, al contrario di
Althusser che ne rimane, invece, irretito.
Di diversa impostazione l’intervento di
Markus Ophälder ed Ezio Partesana che
hanno sostenuto come la lettura sintomale
continui ad implicare nella sua prassi il
riferimento alla negazione determinata. Tale
riferimento sembra essere necessario per
non circoscrivere l’analisi althusseriana al
livello di una testualità autoreferenziale ed
esporla, invece, alla prova della critica storica. Da questo punto di vista, i limiti della
critica dell’ideologia, quale viene configurata dalla lettura sintomale, sono stati affrontati da Vanni Cicchinelli, che ha attraversato da vicino il concetto di dialettica
nell’opera di Marx. Una critica questa, che
è stata ribadita, con una precisa argomentazione storiografica, da Enrico Rambaldi,
che ha rilevato l’impossibilità di pensare
con rigore la filosofia marxiana all’interno
dei canoni voluti da Althusser.
L’altro versante del dibattito è stato occupato dal rapporto di Althusser con la psicoanalisi e in special modo con Jacques La-
can. Mario Spinella ha ricostruito le fasi di
questo rapporto e le modalità della ricezione di entrambi in Italia attraverso una testimonianza diretta della sua esperienza personale di intellettuale e scrittore, pur non
mancando di descrivere i nessi teorici che
legano i due pensatori francesi. Massimo
Recalcati ha invece preso le mosse nel suo
intervento dal presupposto che Althusser
fraintenda la nozione di sintomo, in quanto
ne sopprime lo statuto reale. Attraverso la
metaforizzazione del sintomo, pensato
come significante di un significato rimosso
il sintomo viene ridotto al registro del senso. La lettura sintomale deve viceversa
dislocarsi rispetto al reale come residuo
inassimilabile al senso, deve riformularsi
in riferimento all’arresto del processo di
significazione. Lavorare sui sintomi, vuol
dire lavorare sui limiti del senso. Significativo è risultato in tal senso l’intervento di
Rita Fioravanzo, che ha cercato infine di
mostrare la genealogia dell’idea di “sintomo”, del suo ruolo nell’economia del corpo
pulsionale, prendendo in alcuni casi le distanze dal concetto althusseriano di sintomo.
L’ultimo argomento di dibattito al convegno è stato l’eventuale rapporo tra Althusser e l’ontologia ermeneutica di derivazione heideggeriana. Jean Marie Vincent ha
sostenuto che la lettura sintomale non ha
uno statuto psicoanalitico, bensì ermeneutico, mettendo in rilievo come sia in Heidegger che in Althusser la prassi filosofica
venga caratterizzata dal primato dell’interrogazione, pur con le differenti modalità
attraverso cui nei due filosofi si attua l’esercizio del domandare. Paolo D’Alessandro
ha invece insistito sugli aspetti nietzscheani del pensiero di Althusser, richiamando
in particolare il significato della Darstellung come inversione del paradigma classico della rappresentazione e sua torsione
verso gli aspetti quasi teatrali (in riferimento ad Artaud) e ludici della “messa in scena”. Il rapporto tra decostruzionismo derridiano e lettura sintomale è stato il tema
dell’intervento di Igino Domanin, che ha
messo in luce una convergenza strategica
tra i due approcci nella critica dei fondamenti dell’ermeneutica del senso.
Nicole Edith Thevenin e Adriana Santacroce hanno proposto, sul filo della metafora del visibile e l’invisibile, un interessante accostamento della lettura sintomale
alle tesi di Merleau-Ponty, la prima sottolineando come l’invisibile sia un “prodotto”
della stessa visibilità, la seconda cercando
attraverso un detour nell’opera dell’ultimo
Merleau-Ponty di descrivere le peculiarità
ermeneutiche della lettura sintomale. Riccardo Massa, infine, dopo aver ricostruito
la ricezione in ambito pedagogico delle tesi
metodologiche althusseriane, si è soffermato sull’attualità del loro valore epistemologico e sul loro significato operativo.
I.D.
Filosofia e narrazione
In occasione della presentazione della
rivista Itinerari Filosofici si è
tenuto il 12 febbraio 1992 a Milano un
dibattito sul tema Filosofia o narrazione? Forme della scrittura
e questione del pensiero, al
quale, oltre a Flavio Cassinari, Ettore
Fagiuoli e Marco Fortunato, redattori
della rivista, hanno partecipato Mario
Ruggenini, Carlo Sini e Vincenzo Vitiello.
Per Carlo Sini non c’è dubbio che il discorso filosofico, se non di una autonomia nei
confronti delle altre pratiche discorsive,
goda comunque di una sua specificità; è
però fuorviante porre la questione del rapporto tra filosofia e narrazione nei termini
di un’alternativa. Dietro di essa traspare
infatti, a parere di Sini, una contrapposizione fra la ricerca filosofica, delineata come
disinteressata, desensibilizzata, aggirantesi in una sorta di mondo iperuranico, e la
narrazione, concepita invece come “concreta”, “soggettiva”, e com-petente, consonante con il proprio “oggetto”. Ma questa
caratterizzazione è falsa: il filosofo non è
affatto “disinteressato”, e la condizione
ontologica - non psicologica - del filosofare è proprio il pathos, come già evidenziava
Platone. Qui sta il vero problema, che riguarda la meditazione e la scrittura filosofica. Tuttavia bisogna riconoscere il rischio
che il nesso tra filosofia e narrazione venga
banalizzato e ridotto al rango di moda culturale. È in effetti invalsa l’abitudine di
considerare la riflessione sulla “narrazione” un approccio filosofico “debole”, autoidentificativo, di cui si riconoscono limiti e precarietà una sorta di surrogato di
quella che in altri tempi era la questione
della “fondazione”, cioè la ricerca di un
fondamento in senso “forte”.
Per Mario Ruggenini colui che narra è
“colui che sa”, perché ha fatto esperienza.
Ma di che cosa fa esperienza la filosofia?
Per Heidegger, che vuole in ciò riferirsi a
Platone, l’oggetto dell’esperienza della filosofia è l’essere dell’ente, e il suo obiettivo è dire “come stanno le cose”, cioè la
verità degli enti. Ma la verità per il filosofo
è, in ultima analisi, solo e soltanto la verità
del filosofo. La filosofia non ha diritto ad
alcuna legittimazione che sia fondata su un
suo eventuale riferirsi a una verità “generale”, che comprenda o fondi quella delle
altre scienze. Il problema della filosofia è
allora di non lasciarsi rinchiudere nella
“sua” verità, ma di porsi la questione, mai
risolta una volta per tutte, del rapporto tra la
propria verità e quella delle altre pratiche
discorsive. La specificità della filosofia
consiste proprio nel suo “essere esposta”,
nel suo doversi necessariamente confrontare con le “altre narrazioni” che la circondano. È così che per Vincenzo Vitiello il
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rapporto tra filosofia e narrazione può addirittura essere considerato come il problema della filosofia. Occorre interrogarsi su
cosa sia narrazione, sul fatto che la filosofia
abbia o meno un suo linguaggio, e quale
esso sia. La proposizione speculativa hegeliana è il tentativo di un dire, di un giudizio,
che non sia un “dire”, che non sia un giudizio. Ma il problema è già di Platone, quando sostiene che la “cosa” della filosofia non
è dicibile; non è dicibile “ciò che veramente è”, e questo è pure il problema di Hegel,
anche quando sostiene che il vero non
debba essere espresso come sostanza, come
“oggetto”, ma come “soggetto” che “si fa”
nel dire. “In positivo”, l’acquisizione decisiva della riflessione hegeliana è il ruolo
determinante della copula, dell’in-significante “è”, che collega i termini significanti
e condiziona la costruibilità del giudizio.
Se è così, se il dire filosofico è affetto dalla
debolezza costitutiva dell’inesprimibilità
del proprio “oggetto”, debolezza in forza
della quale si costituiscono i suoi termini,
se la copula del giudizio è il “trascendentale del trascendentale”, allora il dire filosofico non può assolutamente mai essere “narrazione”, perché quest’ultima si colloca sul
lato della “nascita delle cose”, più che su
quello della riflessione su di esse. In questo
senso, nel radicale coimplicarsi ed escludersi di filosofia e narrazione si manifesta,
a parere di Vitiello, la questione della filosofia.
Marco Fortunato ha rilevato come alla
narrazione spetti, nei confronti della filosofia, il compito di una maggior prossimità al
flusso variegato dell’accadere. Nello stile
“narrativo” di Thomas Bernhard, ha osservato Fortunato, dove un periodare interminabile ha il senso di un experimentum, di
uno scollamento dell’io narrante da sé e
dalla sorveglianza esercitata dall’ego, sembra dominare il paradigma di un’irriducibile complessità, che in qualche modo propone la traduzione in chiave “narrativa” dell’esercizio filosofico di illuminazione e
discussione dell’oggetto. La natura di “semplificazione sintetizzante” della filosofia,
già rilevata da Nietzsche, parrebbe invece
connotata da una maggiore povertà: in compenso, di contro all’analiticità del fare narrativo, la peculiarità dello stile filosofico e
della concettualizzazione risiede nella capacità di dare spessore alle figure volta per
volta emergenti, di coinvolgerle nella riflessione affinché ciascuna mostri il proprio carattere di rimando a un significato
che la trascende. Riprendendo la questione
di una sostanziale duplicità del rapporto tra
filosofia e narrazione, Flavio Cassinari ha
rilevato come essa da un lato rimandi, nell’ambito del pensiero novecentesco, alla
questione dello statuto della filosofia e a
quella di un suo possibile oltrepassamento
in un pensiero non concettuale, dall’altro
come, proprio da questo punto di vista, il
rapporto tra filosofia e narrazione riguardi
il costituirsi stesso della filosofia in quanto
tale. Il problema del rapporto tra filosofia e
narrazione si manifesta anche in quello del
rapporto tra filosofia come sapere disciplinare autonomo e filosofia come pratica che
mira al fondamento comune delle altre
pratiche discorsive. In questo senso la questione del linguaggio è un problema di
fondazione: ciò che è indicibile è il primum, la verità della filosofia, la “cosa” sua
propria e, quindi, la sua specificità. “Debolezza” della filosofia è allora, in senso
etimologico, il suo non essere sufficientemente “capace” di com-prendere se stessa.
Per questo essa si qualifica come un “porre
questioni” e non, a differenza delle scienze,
come soluzione di problemi.
Infine Ettore Fagiuoli ha distinto il metodo della filosofia, che trascende la dicotomia tra filosofia e narrazione, dal modo
della filosofia, che concerne invece direttamente questo problema. Richiamandosi
all’opera di Ernst Bloch, Fagiuoli ha sostenuto che lo “stile” blochiano cerca di scrollarsi di dosso gli irrigidimenti in cui la
lingua è stata costretta: esso si mostra come
una sorta di metalinguaggio, che mette in
discussione se stesso e la legittimità dei
suoi modi dal punto di vista di un vero e
proprio “discorso sul metodo”. Ciò che
risulta dall’impianto argomentativo blochiano è l’inscindibilità di metodo e modo,
che mette in discussione lo stesso fondamento del linguaggio e della filosofia.
L’esortazione fenomenologica ad andare
“alle cose stesse” perde qui di significato,
proprio per via del carattere problematico
di quelle “cose” stesse a cui si fà appello.
L’“è” del predicare hegeliano è lo stesso
nocciolo opaco contro cui lotta il linguaggio di Bloch. M.C.
Croce: dalla politica all’etica
Organizzato dall’Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici di Napoli, si è svolto
dal 27 al 30 gennaio 1992 un seminario
di studi tenuto da Girolamo Cotroneo
dal titolo: Benedetto Croce dalla
politica all’etica. Ricordando il
40° anniversario della morte di Benedetto Croce, Cotroneo ha tuttavia precisato che il titolo del seminario avrebbe dovuto essere, anche se non in
modo del tutto legittimo: “Benedetto
Croce dall’etica all’etica”, dato che il
tema predominante dell’opera di Croce, fin dagli scritti giovanili, fu l’etica e
non la politica.
Nel Contributo alla critica di me stesso
(1916) Benedetto Croce sostiene di non
volersi più occupare di problemi municipali, ma solo di quelli generali o nazionali,
cioè di puntare la sua attenzione sulla storia
nazionale e di trattare quest’ultima non
come storia politica, ma come storia morale dei sentimenti e della vita spirituale
dell’Italia dal Rinascimento in poi. Queste
affermazioni di Croce sembrerebbero confermare che il passaggio dalla problematica politica a quella etica sia avvenuto nel
1916. Ma il prevalere dell’interesse etico,
ha osservato Girolamo Cotroneo, è già presente nel 1895 con lo scritto: Intorno alla
storia della cultura, dove Croce parla di
unità della storia, dove la storia politica
deve essere necessariamente accompagnata e integrata dalla storia della cultura.
L’esigenza della componente morale nell’interpretazione dei fatti storici, già presente in questo scritto del 1895, porterà
Croce a formulare la celebre concezione
della storia come storia etico-politica, privilegiando il momento etico su quello politico. Da questo punto di vista lo scritto
Elementi di poltica (1924) può considerarsi il manifesto programmatico di questa
concezione storica; in esso Croce teorizza
che il vero canone di interpretazione storiografica è quello morale. Compito dello
storico è di ricercare le azioni nella loro
logica e nella loro necessità, occupandosi
non della perfezione morale degli avvenimenti, ma del carattere e del significato
etico che essi assumono all’interno della
storia. Infatti, tutti gli avvenimenti politici
che attraversano la storia sono sempre mossi
da un impulso etico, cioè l’anelito alla
libertà.
Le ragioni e la genesi di questo concetto di
storiografia come storia etico-politica sono
da ricercarsi, secondo Cotroneo, in due
elementi fondamentali, l’uno di carattere
teoretico, cioè il concetto di contemporaneità della storia, l’altro di carattere personale, cioè il rifiuto costitutivo verso la
politica. Il concetto di contemporaneità della
storia, infatti, sostenendo che la storiografia nasce da un bisogno pratico, cioè da una
sollecitazione del presente, e rivestendo
una funzione catartica, capace di sciogliere
i problemi presenti attraverso l’interiorizzazione del passato, collega immediatamente la storiografia ad un momento della
vita pratica, che è appunto l’atteggiamento
etico, la morale.
Il secondo elemento, cioè il rifiuto costitutivo di Croce verso la politica, risale al suo
soggiorno romano in casa Spaventa, dopo
il terremoto di Casamicciola, dove le discussioni politiche di carattere particolaristico infastidirono molto Croce, infondendogli quella estraneità alla politica che lo
accompagnerà per tutta la vita. Già nel
periodo definito “marxista” (1895-1900),
Croce, dopo aver studiato le opere di Marx
e aver tratto da esse ciò che per lui era utile,
giudica questa sua esperienza politica in
modo negativo, considerando il marxismo
non una filosofia, ma una dottrina sociopolitica.
Del resto, anche nel periodo della riscoperta della politica dal 1916 al 1931, traspare
un certo distacco. Nell’articolo Liberalismo, dove si esprime una precisa dichiarazione di appartenenza ad un gruppo politico, Croce definisce il liberalismo partito
della cultura, un modo di vivere e di operare concretamente tra i due estremi del socialismo e dell’autoritarismo. La concezione liberale è, perciò, una concezione metapolitica, che si presenta piuttosto come una
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religione, la religione della libertà. Questa
breve parentesi “politica” viene interrotta
nel 1931 con il saggio Apoliticismo, frutto
della delusione provocata dall’avvento del
fascismo in Italia, in risposta agli intellettuali del consenso che si aggregarono, pur
provenendo da esperienze politiche diverse, al fascismo. In questo scritto emerge
tutto il pessimismo crociano nei confronti
della plitica, che lo allontanò dalla vita
pratica, provocando una contraddizione con
il suo principio metodologico della contemporaneità della storia.
Nella vita di Croce le delusioni provocate
dalla politica non si conclusero con la fine
del fascismo; dopo la caduta di quest’ultimo tutti gli intellettuali antifascisti, che si
erano nutriti del pensiero crociano, abbandonarono il loro maestro spirituale, poiché
il fascismo venne letto come l’altra faccia
del sistema liberale, che per combattere
l’avvento del socialismo si era concretizzato nell’autoritarismo. Di questa interpretazione si era fatto promotore involontario lo
stesso Croce, soprattutto con certe sue riserve per il socialismo, ma anche per la
democrazia. Nel saggio Democrazia e liberalismo (1943), Croce aveva sostenuto che
questi due termini, anche se logicamente
separati, sono idendici nel rifiutare ogni
potere assolutistico che neghi la libertà, ma
differiscono nella misura in cui nella democrazia il concetto di libertà è qualcosa di
astratto, mentre nel liberalismo è un concetto concreto e reale. Proprio questo radicalismo del democraticismo aveva provocato secondo Croce il contraccolpo del
fascismo.
Queste considerazioni non poterono certo
essere accettate dagli intellettuali antifascisti del secondo dopoguerra. Di fronte a
questa nuova delusione, Croce si rivolge,
in maniera definitiva, all’etica. L’interesse
etico di Croce viene ora assorbito dalla
considerazione della natura umana che contiene il male dentro di sé e dal quale non
riesce a redimersi.
Tuttavia, osserva Cotroneo, l’esito di Croce non è pessimistico, ma è quello di un’etica forte, consapevole dei limiti umani e
quindi capace di difendersi dalle facili illusioni di una visione del mondo che indicava la via della redenzione, credendo di
averla trovata. G.P.
Storicismo scientifico
Presso la sede dell’Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici è stato presentato il
27 marzo 1992 il libro di Luigi Zanzi,
Dalla storia dell’epistemologia: lo storicismo scientifico
(Jaca Book, Milano 1991). Il volume
riunisce vari saggi, elaborati negli ultimi quindici anni, in cui l’autore propone una concezione “operazionale”
della logica della storiografia (nella
prospettiva di uno storicismo scientifico), che consente un innovativo e
fruttuoso dialogo tra la cultura umani-
stica e quella scientifica. Alla presentazione del testo hanno partecipato,
oltre l’autore, Giuseppe Gembillo e
Giulio Giorello.
Per Luigi Zanzi la teorizzazione di uno
storicismo scientifico nasce dall’esigenza
di delineare una nuova immagine della
ricerca storiografica, che evidenziando le
procedure logiche e le “tecniche” operanti
nella concreta ricerca storica, risulti decisamente svincolata dai presupposti di quello storicismo “neoidealistico” che tanta
diffusione ha avuto nella cultura filosofica
italiana del ‘900. Si tratta, in particolare, di
superare gli esiti antintellettualistici e antiformalistici dello storicismo neoidelaistico che, come è noto, giunse ad una radicale
contrapposizione fra cultura umanistica,
che non può non essere studiata e compresa
al di fuori della storia, e quella scientifica
che, invece, risulterebbe incapace di alcun
riferimento storico in quanto volta al conseguimento di presunte verità assolute e
soggetta ad uno sviluppo meramente cumulativo delle conoscenze.
Ciò nonostante Zanzi ritiene opportuno
mantenere la denominazione “storicista”
per caratterizzare la sua prospettiva di riflessione metodologica ed epistemologica
sulla storia. Si tratta di uno storicismo
“scientifico”, caratterizzato da una varietà
di risorse di metodo che dipendono dalla
elaborazione di specifici strumenti (ad es.
di specifiche forme linguistico-logiche) che
rivelano altresì come qualunque ricerca
storiografica risulti pregna di aspetti “teorici”. In questo senso il farsi carico della
tradizione storicistica corrisponde al progetto teorico di evidenziare l’implicita assunzione da parte di storiografi di determinati paradigmi epistemologici, come anche
di inconsapevoli scelte teoriche.
Questo indirizzo di ricerca si rivolge non
solo alla pratica storiografica che si riferisce alle vicende umane, ma anche alla
pratica storiografica utilizzata dagli scienziati in riferimento alle “vicende naturali”.
Viene così eliminata la radicale contrapposizione tra la cultura storiografica e la cultura scientifica. Tutto ciò implica nella
pratica scientifica una storicità non più
passiva, come semplice riflesso del mutare
storico delle teorie, bensì una storicità attiva, momento fondamentale della stessa elaborazione di tali teorie. A partire dal riconoscimento delle caratteristiche di tale attività storicizzante deriva l’esigenza di far
ricorso ad una concezione “operazionistica” della conoscenza storica, laddove però
tale “operazionismo” va inteso esclusivamente in chiave, per così dire, “tecnologica”, cioè senza alcuna pretesa di elaborare
riduzionisticamente modelli gnoseologici
e/o ontologici onnicomprensivi.
Le origini di un tale “storicismo scientifico” possono essere reperite storicamente
tra ‘800 e ‘900, quando lo stesso neopositivismo cominciò ad orientarsi verso paradigmi di scientificità del tutto nuovi e gran
parte della riflessione filosofica sulla scien-
za (Duhem, Poincarè, Mach e poco più
tardi, G. Vailati e F. Enriques) pervenne al
riconoscimento della centralità dei problemi riguardanti una prospettiva epistemologica storicista nello studio dell’evoluzione
delle teorie scientifiche. In particolare nel
nostro paese, quando lo storicismo neoidealistico sembrò ostinatamente chiudersi
in se stesso nella teorizzazione delle presunte “leggi della storia”, tutta quella cultura storicista che intendeva sottrarsi alle
strette di tale “legalismo” si volse con rinnovato interesse verso la cultura scientifica, accentuandone i nuovi orientamenti.
Per tale motivo in Italia più che altrove si è
giunti ad un esito di “storicismo scientifico” ovvero al riconoscimento del carattere
attivo ed intrinseco della storicità della
scienza, rinunciando così ad imporre alla
storia delle scienze (e alla storia in generale) uno statuto epistemologico precostituito. Tuttavia, sebbene lo storicismo scientifico si sia affermato, almeno nel nostro
paese, come critica nei confronti dello storicismo neo-idealistico e, più in generale,
delle filosofie della storia di stampo hegeliano, secondo Zanzi occorre sempre tener
presente che ogni epistemologia della storicizzazione non può disconoscere il suo
grande debito intellettuale proprio nei confronti di quella cultura storicista che trae i
suoi fondamenti dall’opera di Hegel e dai
suoi ripensamenti successivi.
Nel suo intervento Giuseppe Gembillo ha
messo in luce come il progetto teorico
proposto da Zanzi risulti particolarmente
attuale, offrendo alla riflessione filosofica
sulla scienza validi strumenti concettuali
per ripensare gli sviluppi della più recente
ricerca scientifica. Se guardiamo al profondo mutamento dello statuto epistemologico della scienza contemporanea, innescato
dalle innovazioni della meccanica quantistica e proseguito nell’ambito di itinerari di
ricerca quali quelle di R. Thom, Mandelbrot e Y. Prigogine, appare chiaro che il
vecchio modello neopositivistico di scienza è ormai entrato irreversibilmente in crisi. In tal senso l’invito prigoginiano a “procedere per storie” si incontra fruttuosamente con le opzioni teoriche fondamentali di un rinnovato storicismo.
Giulio Giorello ha invece rilevato che il
progetto di storicismo scientifico proposto da Zanzi, già presente in alcune tematiche dell’ultimo Geymonat, rappresenta una promettente via d’uscita dagli
esiti irrazionalistici di gran parte dell’epistemologia post-neopositivista e
post-falsificazionista. Tuttavia nel momento in cui lo storico può esplorare,
utilizzando ben precise tecniche di storicizzazione, i processi di formazione delle singole teorie, si rinnova la possibilità
di un confronto tra tali teorie e di una
“comunicazione” fra i diversi universi
di pensiero. In tal modo i “paradigmi” o
“programmi di ricerca” non possono più
essere considerati come dei sistemi chiusi, bensì come degli universi aperti che
possono fruttuosamente dialogare tra di
loro. Inoltre la centralità del fattore sto-
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Michelangelo, Giudizio Universale (Ramo, Cappella Sistina)
rico, dal momento che la dimensione
storica è innanzitutto dimensione interpretativa, consente un fruttuoso collegamento tra epistemologia ed ermeneutica. A.N.
Verità e grazia in Malebranche
Dalla ricostruzione della genesi del
Traité de la nature et de la
grace (1680) di Malebranche, che Alfonso Ingegno ha proposto nel seminario di studi da lui tenuto presso
l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli dal 10 al 13 febbraio 1992,
è emerso come, sotto l’urgenza di difficoltà interne al pensiero del filosofo
e in forza delle obiezioni formulate dai
contemporanei, il mondo concettuale
della Recherche de la verité
(1674-75) abbia subito in un brevissimo arco di tempo una revisione radicale ed abbia trovato proprio nel Traité un primo definitivo assestamento.
Prendendo le mosse dal confronto tra la
prima e la seconda edizione della Recherche (1675-76), Alfonso Ingegno ha rilevato un primo significativo cambiamento di
prospettiva nella riflessione di Nicolas
Malebranche sul rapporto uomo-Dio antecedente al peccato originale. Si tratta della
scomparsa di quel “piacere preveniente”
con cui Dio avrebbe assistito Adamo, con-
ducendolo all’amore di sé. Ad esso si sostituisce, nella seconda edizione, un rapporto
razionale, in cui la conoscenza del vero
bene è intesa al contempo come fonte di
gioia e, in quanto libera unione con Dio,
fonte anche di merito. Il peccato, tuttavia,
in quanto distrazione volontaria che ha
determinato nell’uomo una dipendenza
dell’anima dal corpo, ha lasciato aperto il
problema della sua origine. Dal momento
infatti che l’azione divina è posta a fondamento di ogni inclinazione umana e della
partecipazione alla conoscenza delle idee,
anche imputando l’errore non ai sensi, perché questi hanno dominato l’uomo solo in
conseguenza del peccato, ma al cattivo uso
della libertà da parte dell’uomo nel giudizio, non è escluso il rimando a Dio come
autore del peccato e della concupiscenza.
In ogni caso, ha rilevato Ingeno, Malebranche non ha potuto evitare, nella Recherche,
il paradossale rapporto tra sapienza e potenza divina, da un lato, e mondo creaturale
dall’altro, rapporto che genera propriamente
il ricorso di Dio a volontà correttive, istitutrici dell’ordine della grazia. La grazia del
Creatore, come “luce dello spirito”, offuscata dalla forza della concupiscenza, ha
reso indispensabile infatti la grazia del
Redentore e questa, come “sentimento del
cuore”, restaurando la luce del divino quale
autentica fonte di amore si è rivelata un
dono gratuito, che nessuna conoscenza
umana può fornire. Lo scopo della filosofia
di chiarire le cause apparenti degli errori
umani, mediante la loro riconduzione al
cattivo uso della libertà da parte dell’uomo,
è pertanto vanificato di fronte alla perdita
del ruolo della libertà provocata dall’azione della grazia.
In base a queste considerazioni Ingegno ha
quindi spiegato il ripensamento che, negli
scritti successivi alla Recherche, Malebranche matura nei riguardi del fine e del concetto stesso di creazione, sottolineando la
novità da questi introdotta, in opposizione
alla concezione tradizionale, di una imperfezione insita nel creato come mezzo per il
raggiungimento di un fine superiore. Nelle
Conversations chretiennes (1677), e anche negli Eclaircissements alla Recherche (1678), il fine della creazione è infatti posto al di là della produzione del
mondo corporeo nell’incarnazione del
Figlio, mentre il peccato originale ne è
considerato la causa solo occasionale.
Viene ribadita poi, in coerenza con la
prescienza divina, l’immodificabilità
della volontà di Dio in quanto regolata
da un “ordine essenziale delle cose”.
Nell’ordine della natura il momento del
disordine non viene più spiegato col ricorso a cause seconde, di cui Malebranche non accetta più l’efficacia autonoma. Nell’ordine della grazia, invece, l’irrazionale distribuzione di questa rimandava a quella insipienza nella condotta
divina che Malebranche aveva dissolto
mediante necessità di legge. L’azione
del Cristo, in realtà solo apparentemente
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disordinata, viene pertanto spiegata con
la finitezza dell’anima di Cristo ed è
illustrata come condizione di merito. Più
chiaramente nel Traité, l’azione del Cristo, definita come causa occasionale di
attuazione della legge della grazia, è
precisata nelle sue caratteristiche: essa
non si scontra, osserva Ingeno, con le
leggi di natura, ma anzi le utilizza per i suoi
scopi; né essa finisce col coartare la volontà
umana, che ripristina invece nella sua condizione originaria, facendosi così mezzo
alla restaurazione della legge dell’ordre.
Il rien, il limitarsi dell’anima a un bene
finito e particolare, è visto infatti come
possibilità non più dipendente da Dio, ma
coincidente con la libertà umana. Inoltre
poichè il repos, la quiete, è identificato
anche con la sospensione del giudizio della
volontà, quando questa evita di cadere nel
peccato, la grazia non viene fatta intervenire direttamente sulla volontà. Essa piuttosto, opponendo una “santa concupiscenza”
alla concupiscenza del peccato e quindi
restaurando l’equilibrio originario della
natura umana, rende nuovamente possibili
le condizioni che permettono all’uomo di
meritare, ripristinando appunto la legge
dell’ordre, secondo cui ogni merito va ricompensato. Infatti, nel momento in cui la
libertà salda la grazia del Creatore a quella
del Redentore, il movimento, l’impulso al
bene in generale dato da Dio attraverso la
volontà è tornato in modo meritorio, perchè libero, a subordinare la volontà individuale alla Ragione, secondo la legge di
natura.
Dunque, osserva Ingegno, da una parte
Malebranche esclude la libertà della creatura come intervento autonomo nel disegno divino, ma dall’altra l’ammette come
necessaria alla realizzazione del fine ultraterreno, giungendo così a trarre dall’immutabilità della volontà divina l’intera vicenda religiosa dell’uomo. Sebbene una tale
pretesa non si dimostri priva di difficoltà,
Ingegno ha tuttavia rilevato le significative
novità di questa concezione. Solo all’interno di un quadro generale di leggi, la Scrittura e il messaggio di Cristo appaiono comprensibili a Malebranche e la lettura radicalmente nuova che questi ne trae esclude
originalmente ogni carattere antropomorfico della divinità e nega la stessa vecchia
concezione della Provvidenza. L.S.
Ragione e storia
Nel quadro delle “Lezioni d’autore in
biblioteca”, iniziativa di cultura libraria promossa e organizzata dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali,
si è tenuto il giorno 13 maggio, preso
la Biblioteca Nazionale Braidense di
Milano, in collaborazione con l’editore
Rusconi, la presentazione del libro di
Mario Dal Pra e Fabio Minazzi, Ragione e storia. Mezzo secolo di
filosofia italiana (Rusconi, Mi-
lano 1992). Alla manifestazione, oltre
a F. Minazzi, hanno partecipato Fulvio
Papi e Maria Teresa Fumagalli Beonio
Brocchieri.
La recente scomparsa di Mario Dal Pra, di
poco antecedente all’uscita in libreria di
questo volume, ha conferito all’incontro
un tono particolare, un clima di presenzaassenza, che ha messo ancor più in evidenza il significato teorico-storico di quest’opera, a cui Dal Pra lavorò intensamente, assistito da Fabio Minazzi, negli ultimi tre
anni della sua vita. Ragione e storia si offre
infatti all’interpretazione come la più viva
testimonianza di un discorso critico che
Dal Pra ha sviluppato nel corso di tutta la
sua vita di studioso e di uomo impegnato
nella vita civile italiana, nello sforzo di
definire uno spazio libero e aperto che
potesse meglio tutelare la conoscenza e la
prassi umana. Così la tensione tra ragione e
storia, tra vita e filosofia, tra teoria e prassi,
che quest’opera chiama in primo piano,
testimonia innanzitutto dell’intento della
ragione di volgersi alla concretezza storica
per superare il vuoto e l’inefficacia delle
sue astrazioni; ma testimonia anche dell’anelito della prassi alla ragione quale
antidoto alla propria limitatezza e inconclusività.
Dall’ampio dialogo che nel libro Minazzi
instaura con Dal Pra nasce una ricostruzione della storia della filosofia italiana del
Novecento, che trova diretto riscontro nella biografia intellettuale di uno dei suoi
maggiori rappresentanti, Mario Dal Pra
appunto, dagli anni della formazione nel
Veneto cattolico degli anni Trenta, all’esperienza della Resistenza, alla fondazione
della “Rivista di storia della filsofia” nel
secondo dopoguerra, al periodo delle monografie su Hume e sullo scetticismo greco, al magistero di un rinnovato studio
della storia della filosofia all’Università di
Milano negli anni Sesssanta e Settanta.
Al sostegno della memoria biografica si è
richiamato espressamente Fulvio Papi, che
ha preso spunto dalle sue prime conoscenze di Dal Pra insegnante di liceo e poi
docente universitario, allora teorico dello
scetticismo greco, impegnato con i problemi del teoricismo, del dogmatismo, dell’obiettivazione dell’essere: «filosofie che
divorano il tempo nel concetto» - come le
definisce Papi - e che creavano in Dal Pra
«oltre al fastidio teoretico, un vero e proprio fastidio morale». In tale contesto critico, fa notare Papi, Dal Pra passava da un
realismo filosofico a un cristianesimo morale, dove l’esperienza centrale era quella
dell’impegno personale in un preciso contesto storico. È qui che propriamente si
costituisce il rapporto di Dal Pra con il
Croce del Perchè non possiamo non dirci
cristiani, il Croce della concreta presenza
nella storia; un’esperienza questa che tra
l’altro porterà Dal Pra all’adesione, con un
gruppo di amici, al Partito d’Azione.
L’importanza di quest’ultima opera di Dal
Pra, Ragione e storia, risiede per Papi pro-
prio nel venir meno, in alcuni momenti,
dell’immagine ovvia, dominante, “pubblica” di Dal Pra come studioso della storia
della filosofia, come teorico della misura
morale del lavoro storiografico. Un’aspetto questo d’indubbia importanza e profondità e tuttavia, osserva Papi, riduttivo rispetto alla ricchezza filosofica, teoricoproblematica del personaggio, che non pareva emergere dalla devozione per il sapere
storico, dal rigore metodologico, dal rispetto per le fonti, per i testi della tradizione
filosofica, che caratterizzavano in misura
più evidente e dominante l’opera di Dal
Pra. Nei dialoghi di cui si compone Ragione e storia emerge invece, in primo luogo,
secondo Papi, una particolare concezione
del rapporto tra fatto e interpretazione, tra
filosofia e filologia. Ogni fatto viene ricondotto alla progettualità, all’interpretazione
che ne sta alla base, ricostruito in funzione
di quell’oggettività che è «un ideale trascendentale della ragione storica» e che
non può confondersi con l’oggettività semplice, elementare del fatto storico. In secondo luogo in quest’opera viene riconfermata la specificità della storia della filosofia, secondo cui ogni elaborazione storica
deve essere fatta in funzione di struttere
razionali, che sono «le modalità attraverso
cui i pensieri prendono forma e consistenza
e diventano filosofia».
Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri ha invece posto l’accento, nel suo
intervento, sul magistero di Dal Pra nel
campo della storia della filosofia medievale. Pur concentrandosi nell’arco di pochissimi anni, salvo sporadiche eccezioni, gli
studi di Dal Pra sul pensiero medievale
hanno portato all’attenzione degli interpreti autori fino ad allora poco considerati, se
non addirittura sconosciuti dalla critica,
procurandogli ampia fama, anche a livello
internazionale. Nello scritto su Amalrico di
Bène, fa notare Fumagalli Beonio Brocchieri, Dal Pra mostra di condividere con il
suo autore l’importanza per l’individuale,
«la critica al rito, all’esteriore, e il recupero
di un giudizio morale interiore, intenzionale». Giovanni di Salisbury interessa invece
a Dal Pra per due motivi: la concezione
della logica come strumento di progresso
civile, e quella della fede come necessità
tanto nelle “cose umane”, quanto nella religione.
L’etica intenzionale di Abelardo, nel suo
aspetto di morale interiore, che attribuisce
valore all’inclinazione, al pensiero nascosto, e in quello esteriore, destinato a divenire insignificante, di morale degli atti, dei
comportamenti, è ciò che lega Dal Pra a
questo autore, in cui egli rintraccia il carattere della progettualità morale, basata sulla
scelta responsabile e individuale. Con lo
studio su Scoto Eriugena, Dal Pra dà prova
della necessità di inserire il pensiero del
singolo, che in questo caso è il neoplatonismo, nella tradizione, intesa soprattutto
come linguaggio: risultato è l’intento di
parlare una lingua estendendone i significati. All’interpretazione di Occam, fa nota-
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re in particolare Fumagalli Beonio Brocchieri, Dal Pra apporta un contributo significativo, “operativo”, come lui stesso lo
avrebbe definito, individuando nella teologia della libertà del credente il nesso che
permette di passare dall’Occam logico a
quello politico. Gaunilone e Anselmo rappresentano invece per Dal Pra l’esempio di
un appello diretto, immediato all’esperienza. Nicola d’Autrecourt infine è per Dal Pra
il pensatore dei limiti invalicabili della
conoscenza umana, del cammino della ragione che non ha certezze e che proprio per
questo libera la fede.
In apertura del suo intervento, Fabio Minazzi ha ricordato come in un profilo autobiografico, pensato nella forma di un “contributo alla critica di se stesso” e redatto
dallo stesso Dal Pra nel 1988 a Montecchio
Maggiore, suo paese natale, questi indicasse tra i momenti cruciali della sua attività
filosofica un nodo problematico che riuniva in sé tutte le diverse fasi della sua riflessione: il rapporto tra “ragione e storia”, tra
strutture della ragione e dimensione del
mondo della prassi, rapporto che trovava
nello storicismo critico il suo esito necessario. Questo appunto il precedente, ha affermato Minazzi, che sta alla base della scelta
di Dal Pra di avviare il progetto di una
ricostruzione della sua biografia intellettuale come storia delle tradizioni concettuali, un progetto che oggi trova la sua
realizzazione nel volume Ragione e storia.
Alla luce di questi presupposti Minazzi ha
brevemente ripercorso le fasi decisive dello sviluppo di pensiero di Dal Pra, mettendo in rilievo da ultimo come nella sua opera
filosofica si configuri un’attitudine, un
modo d’intendere il lavoro intellettuale che
è diverso da una tradizione culturale e
civile italiana, le cui radici affondano in
ultima analisi nel ‘600. Dal Pra, ha osservato Minazzi, ha voluto sempre intendere il
proprio itinerario di pensiero come continua trasformazione e ripensamento: pensare voleva dire per lui modificare, rimettere
in discussione. Il motore di questo processo di cambiamento risiedeva appunto nel
modo d’intendere il lavoro intellettuale. In
un’opera del ’44, Valori cristiani e cultura
immanentistica, in cui Dal Pra, in un momento critico della sua riflessione ancora
sospesa tra cultura cristiana e immanentismo laico, riscopre il valore dell’interiorità, dell’individualità, riscopre addirittura il
valore dell’utilitarismo e rivendica il diritto degli individui, è contenuta, secondo
Minazzi, una traccia significativa di questa
concezione, che può essere riassunta nelle
parole con cui un anno prima, nel ’43, un
autore allora ancora sconosciuto a Dal Pra,
Giulio Preti, scriveva in Idealismo e positivismo: «Il nostro lavoro è fede, anche se
fede soltanto in se stessa». R.R.
Critica della teleologia
Nella sede dell’Istituto Italiano per gli
studi Filosofici, dal 23 al 27 marzo 1992
Reiner Wiehl, ha tenuto un seminario
sul rapporto tra “teleologia” e “critica
della teleologia” in alcuni dei più significativi autori della filosofia moderna: Spinoza, Kant, Hegel. Un problema questo che investe diversi aspetti
della modernità, tra cui la possibilità
di cogliere la razionalità della natura o,
in termini più attuali, di costruire un’ermeneutica della natura, o, ancora, in
un autore come Kant, il rapporto tra
filosofia teoretica e filosofia pratica.
In Kant, osserva Reiner Wiehl, la teleologia è qualcosa di simile a ciò che per
Heidegger è la fenomenologia: non una
scienza di fenomeni, di oggetti determinati, ma un metodo, un modo di guardare le
cose anticostruttivistico, intuitivo, riferito
però ad alcuni domini speciali: la natura nel
punto in cui il vivente si distingue dal non
vivente, l’agire umano come porsi degli
scopi e ricerca dei mezzi idonei per soddisfarli. Si tratta di una problematizzazione
della razionalità della natura e della razionalità della cultura, e insieme della possibilità di un legame tra questi due ambiti.
Nella Critica della ragion pura Kant mostra che esiste un’opposizione assoluta tra
le leggi della natura e la legge della libertà.
Nella Critica del giudizio egli si spinge
oltre e trova nella teleologia, nel concetto
del “bello” e in quello del “vivente”, le
condizioni di un possibile legame tra natura e libertà. In tale contesto di riflessione, fa
notare Wiehl, Kant interpreta Spinoza, autore antiteleologico e fortemente critico
della libertà del volere, come “pensatore
teleologico”, e questo non per via di un
fraintendimento, ma in virtù di una nuova
formulazione del concetto di teleologia
come teleologia interna, non intenzionale.
Se, nel sottolineare la “differenza ontologica” tra la sostanza e tutte le creature finite
e infinite, Spinoza stabiliva di guardare le
cose dal punto di vista dell’assoluto, per il
quale non c’è contingenza, né possibilità,
per Kant, come pensatore della contingenza, il problema è invece quello di trovare
una necessità legata alla contingenza come
condizione di compatibilità tra legge della
natura e legge della libertà: la teleologia è
in tal senso per Kant il necessario del contingente.
La concezione kantiana della teleologia,
rileva Wiehl, si basa dunque su un certo
concetto di contingenza e sulla distinzione
tra contingenza del mondo e contingenza di
ciò che è nel mondo. Sono rintracciabili
nelle diverse opere di Kant vari significati
del contingente. Vi è innanzitutto la contingenza dei giudizi percettivi, poi la contingenza dei singoli giudizi d’esperienza, che
aggiungono ai primi la sussunzione del
percepito ad una legge, e dell’intero sistema dell’esperienza. Kant parla inoltre della
contingenza dell’esistenza delle cose nell’apparenza (Erscheinung) e nella Critica
del giudizio fornisce una determinazione
generale del casuale, affermando che ogni
particolare è contingente se riguardato in
relazione al più generale, perché non possiamo concludere direttamente dal particolare al generale; casuale, ancora, è il modo
particolare delle cose di presentarsi al nostro intelletto discorsivo, che pensa andando da un punto all’altro. Inoltre, se guardiamo le cose come fenomeni, vediamo che
non è contingente solo la loro esistenza, ma
anche l’unità di forma (Gestalt) che esprimono, la loro organizzazione interna.
Ma che rapporto c’è tra la teleologia kantiana e questi significati del contingente?
Nella Critica del giudizio Kant afferma che
l’essere la natura, come tutto, un sistema è
un fatto dubbio, mentre è certo che nella
natura come tutto ci siano dei sistemi. Kant
critica appunto Spinoza perché con il suo
necessitarismo avrebbe annichilito la contingenza. Questo è vero, osserva Wiehl, ma
solo dal punto di vista dell’assoluto, per cui
tutto è necessario, anche la contingenza
delle cose. L’uomo, come parte dell’ordine
naturale, può esistere, oppure no, è contingente, in quanto la sostanza non costituisce
la sua essenza: dal punto di vista della
natura naturata, quindi, vi è una contingenza necessaria. Il problema è se Spinoza
abbia annichilito anche questa contingenza
dal punto di vista dell’assoluto, della natura naturans. Il panteismo spinoziano implica, sì, che tutte le cose fanno parte dell’assoluto, ma non che l’assoluto entri con
tutte le sue parti nelle cose.
Secondo i successori di Kant, osserva Wiehl,
la filosofia kantiana della natura diventa
nella “terza critica” una filosofia della vita.
Nella Critica del giudizio la facoltà del
giudizio riflettente deve rendere possibile
il sistema empirico della natura, ricercandone un principio capace di spiegare l’unità della natura di fronte alla molteplicità
delle sue forme. Ma Kant dice anche che vi
sono nella natura dei sistemi contingenti
caratterizzati da una forma che li rende un
tutto, da un’organizzazione interna, e distingue tra una finalità soggettiva, che esprime un’affinità della natura con la nostra
facoltà di giudicare, e una finalità oggettiva, che permette di comprendere da una
finalità assoluta delle forme della natura le
finalità della forma esterna o dell’organizzazione interna che presuppone la forma
della cosa. Di questa natura e della facoltà
che essa dimostra, in ogni specie dei suoi
prodotti organizzati, di organizzarsi da sé
in un unico esemplare, si dice troppo poco,
fa notare Wiehl, se la si considera come un
analogo dell’arte e si pensa un artista come
un essere ragionevole fuori di essa. Ci si
avvicina di più a questa impenetrabile proprietà della natura quando in effetti la si
chiami un “analogo della vita”.
Se con Kant ci si ferma al concetto di
“analogo della vita”, con Hegel si assiste a
un nuovo sviluppo del concetto di “vita”.
Hegel riconosce come meriti di Kant l’aver
distinto tra finalità relativa e finalità interna
- distinzione che introducendo un principio
di spiegazione della vita supera la prospettiva della metafisica tradizionale - e l’aver
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mostrato la ricchezza di funzioni della facoltà del giudizio, che per Hegel ha una
posizione intermedia non tra ragione e intelletto, ma tra il singolare e il generale.
Limiti di Kant sono, invece, l’aver trattato
il problema della teleologia a livello del
giudizio riflettente, anzichè del giudizio
determinante, e il non aver riconosciuto
che la teleologia, legata alla logica del
concetto, si pone ad un livello più alto, più
vicino alla realtà, della causalità legata alla
logica della riflessione. Per Hegel nell’attività teleologica l’inizio e la fine, la causa e
l’effetto sono sempre già stati; questa attività è un diventare che è sempre già la cosa
diventata: in essa la distinzione dei concetti
come mezzi e fini si perde, ma tale perdita
è importante per descrivere la vita, per
superare la filosofia della riflessione, che
fissa i concetti, e porsi nella fluidità delle
cose che trapassano l’una nell’altra.
La teleologia è trattata da Hegel nel capitolo della Fenomenologia dello spirito dedicata alla ragione (Vernunft) e diviso in tre
parti, di cui la prima tratta della ragione
osservante la natura, in particolare dell’organico nella natura. La prima attività dell’osservazione è la descrizione delle cose.
Qui si ha un primo significato di sistema
come sistema descrittivo della natura, che
però può rivelarsi esteriore, lontano dall’essenzialità delle cose. L’altra attività legata all’osservazione è la ricerca delle leggi, come qualità proprie delle cose, che
all’inizio appaiono come condizioni contingenti da purificare per poter giungere a
un concetto di sistema, un tutto di leggi
posto sotto un’unità concreta; il concetto di
organismo è anch’esso un concetto di sistema riguardato come singola cosa empirica.
Se applichiamo all’organico i concetti generali del fine, vediamo che la natura organica ha un limite, anche se non assoluto, nel
mondo inorganico, che usa per conservare
se stessa. Mentre in Kant avevamo un’opposizione assoluta tra mondo organico (teleologia) e mondo inorganico (meccanismo), in Hegel l’inorganico è usato come
mezzo per la conservazione dell’organico.
All’organico si legano, quindi, l’attività di
autoconservazione, di autoorganizzazione,
di autosentimento. Questi concetti di fine
non rappresentano, tuttavia in Hegel principi euristici, volti a spiegare quei fenomeni della natura non riconducibili al meccanismo, ma caratteri determinati della vita
stessa. F.F.
Letteratura
e filosofia dello spirito
Nella sede dell’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici di Napoli Giuseppe Orsi
ha tenuto, dal 30 marzo al 2 aprile
1992, un seminario di studi dal titolo:
Momenti di una filosofia dello
spirito. La riflessione sul concetto di
spirito è stata affrontata da Orsi attraverso l’analisi di esperienze intellet-
tuali e morali quali ci provengono dall’ambito letterario. Nell’ultima lezione è stata inoltre indagata la problematica della storicità della natura presente nella riflessione filosofica di Croce.
Un Petrarca portavoce di una sensibilità
moderna, caratterizzata dalla scissione e
dalla contraddizione costante tra il sentimento religioso e l’ammirazione del mondo classico, inteso come amore per le seduzioni terrene, emerge dalla letteratura specializzata che si è occupata della tematica
del “conflitto” presente nel Secretum del
Petrarca. Secondo Giuseppe Orsi, questa
interpretazione appare già poco credibile
se si riflette che un preteso sentire laico,
inteso nel senso della terrestre mondanità,
non è una novità rispetto a certa sensibilità
profondamente materialistica del medioevo. Ciò che invece merita di essere messo
in rilievo, ha osservato Orsi, è che il Petrarca ha sentito profondamete l’autonomia
dello spirito che entra in conflitto con la
trascendente divinità di Dio. In Petrarca si
avanza la consapevolezza della vita dello
spirito, intesa come operosità spirituale e
relazione creativa e interpretativa del soggetto con il suo oggetto, con le sue produzioni, che sono le sue rappresentazioni, le
opere prodotte, le tracce interpretate, le
testimonianze illuminate dalla comprensione. E questa scoperta dello spirito non è
conciliabile con una teologia, sia essa classica o cristiana, che è di fatto proiettata
verso il trascendente e l’immobile, e che
perciò annulla l’autonomia, la ricchezza e
la molteplicità dello spirito.
Il vero conflitto petrarchesco sta nella sua
incapacità di opporsi argomentativamente
al nichilismo teologico rappresentato nel
Secretum dalla figura di Agostino; Petrarca
vive e sente la scoperta dell’autonomia
dello spirito senza esserne teoricamente
consapevole. Egli intuisce il valore dell’attività spirituale come mediazione espressiva ed ermeneutica e sente di doverla difendere, difendendo l’impegno espressivo e i
prodotti dello spirito. Purtuttavia, non distinguendo ancora tra segno ed espressione, Petrarca finisce col confondere, come
tracce dello spirito, libri e lapidi, opere e
sepolcri.
Questa interpretazione della tematica del
“conflitto” nel Secretum petrarchesco mostra, secondo Orsi, come una certa storiografia umanistica del dopoguerra abbia tradotto sistematicamente il problema umanistico della infinita attività ermeneutica dello spirito nei termini di una alternativa tra
teoria-contemplazione e pratica-azione,
oscurando la dimensione del fare spirituale.
In particolare l’esperienza intellettuale di
Giacomo Leopardi, ha osservato Orsi, può
essere paragonata, anche se sembra esserne lontana, a quella del Petrarca, poiché
entrambe esprimono, mediante una resistenza, il riconoscimento dell’autonomia
dello spirito: Petrarca resistendo alla me-
tafisica antica e alla teologia medioevale,
Leopardi, invece, resistendo al razionalismo astratto, all’illuminismo e al materialismo settecentesco, che pure egli stesso
mai rinnega. Pur non rinunciando, in piena
Restaurazione, a nessuna delle conquiste
del razionalismo illuministico, Leopardi
approfondisce le conseguenze delle premesse sensiste e della visione materialistica settecentesca della realtà e, in questo
contesto, viene a confrontarsi con il problema della specificità dello spirito umano. In particolare nei due canti “sepolcrali” del 1835, Leopardi perviene all’individuazione di un mondo di rappresentazioni e di affetti - egli dirà di “natura
umana” - che va oltre il materialismo settecentesco e trova il suo fondamento non
nella natura, ma nell’attività umana, e la
sua prima origine nell’atto dell’ “immaginar”. L’autonomia dell’immaginazione
fonda ora l’autonomia del mondo della
rappresentazione e degli affetti.
Da ultimo Orsi ha preso in considerazione
il problema della storicità dello spirito e
della storia della natura quale emerge nello scritto di Benedetto Croce: La storia
come pensiero e come azione (1938). Nel
capitolo “La natura come storia senza storia da noi scritta”, Croce sostiene che tutta
la realtà è storia ed una volta attribuita
storicità alla natura, la sua storia non si può
svolgere meccanicamente, come pura processualità, ma deve svolgersi spiritualmente. In realtà Croce non fonda la continuità di storia umana e di storia naturale
nel fatto che entrambe sono conoscenza
umana e che questa è sempre tale (fondazione gnoseologica dello storicismo), ma
sostiene addirittura che non è ammissibile
la distinzione di storia dell’umanità e storia della natura, giungendo ad attribuire
alla natura non solo storia, ma anche storicità, coscienza della sua storia, e spiritualità.
Questa concezione del 1938, presente anche in un altro articolo, “Storicità della
natura”, contenuto nel volume: Il carattere della filosofia moderna, non mette bene
in evidenza, secondo Orsi, la distinzione
tra spirito e natura, cioè tra la storicità
dello spirito e il divenire in generale della
natura. Il problema, invece, trovava una
soluzione più coerente nell’Estetica del
1902, dove Croce sosteneva che l’espressione costituisce la prima affermazione
dell’attività umana, e dove si sosteneva
che l’attività espressiva del linguaggio è
già spirito e non qualcosa a metà strada tra
spirito e natura. Con ciò Croce metteva in
evidenza che la storicità c’è solo là dove
c’è l’espressione, rappresentazione che è
già spirito. L’ulteriore distinzione interna
all’attività spirituale non poteva essere altro che quella tra rappresentazione, presente anche negli animali, che non dà luogo a oggetti dello spirito, a opere, e “cultura”, categoria superiore dello spirito, che è
produzione di oggetti espressivi e capacità
d’interpretarli. G.P.
CONVEGNI E SEMINARI
Francesco Petrarca nello studio (miniatura da un manoscritto del sec. XV)
CALENDARIO
La Fondazione San Carlo di Modena
nell’ambito del ciclo di lezioni: Aperture al futuro, ha organizzato due
conferenze: 23 marzo, Augusto Placanica: “Futuro temuto - Futuro sperato”; 10 aprile, Adriano Prosperi:
“Fine del mondo - Conquista del
mondo”.
Il 30 aprile, in occasione della presentazione del volume Le scienze delle religioni di Giovanni Filoramo e
Carlo Prandi, si è tenuto un incontro
con Giovanni Filoramo e Enzo Pace.
Il 13 maggio si è svolta una conferenza dal titolo: Il simbolismo nell’esperienza religiosa con Antoine Vergote. Infine, in collaborazione con l’editore Bollati Boringhieri, il 26 maggio è stato presentato il
volume di Günther Anders: L’uomo
è antiquato, con la partecipazione
Pier Paolo Portinaro e Barnaba Maj.
Inoltre dal 10 al 16 settembre avrà
luogo il secondo Corso Internazionale di Alti Studi dedicato a Prospettive di Sociologia della Religione. Le lezioni avranno luogo presso i
locali della Fondazione.
● Informazioni: Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo 5,
41100 Modena, tel. 059/222315.
Dal 10 al 13 aprile si è svolto presso
l’Università degli Studi di Palermo,
Facoltà di Magistero, il I Congresso Internazionale sul Testo Filosofico, con la partecipazione dell’Accademia d’Ungheria. Questo il
calendario degli incontri: 10 aprile,
Mario Ruggenini: “Il testo della finitezza”; Heinz Kimmerle: “Contro l’etnocentrismo dell’opposizione oralità-scrittura”; Janos Petöfi: “Testi filosofici e filosofia del linguaggio”;
11 aprile, Paolo Fabbri e Gianfranco
Marrone: “Un cuore nel cuore”; Alessandro Ghisalberti: “Prospettive sui
testi filosofici in età medievale”; Francesco Marsciani: “L’occhio e lo spirito”; Detlef Thiel: “Platone sulla
genesi dei testi filosofici”; Alessandro Zinna: “Discorso filosofico e discorso scientifico”. 13 aprile, Janos
Kelemen: “Due approcci al testo filosofico: l’analisi logico-linguistica e
quella ermeneutica; Carlo Amable
Balinas: “Lettura ‘iconica’ del testo
filosofico”.
● Informazioni: Wanda Tasquier,
Istituto di Filosofia e Scienze dell’Uomo, P.I. Florio 24, 90139 Palermo, tel. 091/6956511.
In occasione della pubblicazione dei
libri di Dino Formaggio: I giorni dell’arte e Problemi di estetica, la Casa
della Cultura di Milano ha organizzato il 27 aprile un incontro sul tema:
Esperienza dell’Estetica. Sono
intervenuti: Dino Formaggio, Fulvio
Papi, Stefano Zecchi.
Sempre presso la Casa della Cultura,
il 29 aprile si è svolto un incontro con
gli autori per la presentazione del
libro: Linguaggi della psicosi, linguaggi della complessità. Sono
intervenuti: Eugenio Borgna, Roma-
CALENDARIO
no Madera, Sergio Piro, Italo Valent.
Si è svolto inoltre il 28 aprile un
convegno dal titolo: Identità e Cultura nel gruppo sociale e clinico
con interventi di Eva Cantarella, Alfredo Civita, Eugenio Gaburri, Gian
Marco Pauletta d’Anna.
● Informazioni: Casa della Cultura, via Borgogna 3, 20122 Milano,
tel. 02/795567.
L’Università popolare di Varese ha
organizzato dal 14 al 16 maggio un
convegno dal titolo: Il sapere per la
società civile. Tra gli interventi,
segnaliamo: 14 maggio, Angelo Guerraggio e Fabio Minazzi: “Considerazioni introduttive”; Franco della Peruta: “Il quadro politico italiano da
Crispi a Giolitti”; Luigi Ambrosoli:
“L’educazione popolare nel programma e nell’azione socialista tra il 1890
e il 1915". 15 maggio, Valerio Castronovo: “La situazione economica
italiana ai primi del Novecento”;
Mario Quaranta: “Positivismo, socialismo e movimento operaio nelle
riviste d’inizio secolo”; Franco Cambi: “Le Università Popolari nella storia dell’educazione: cultura popolare, educazione scientifica, immagine
della scienza; Pier Carlo Masini: “Il
movimento anarchico e la cultura”;
Carlo G. Lacaita: “La cultura del lavoro in Lombardia tra Ottocento e
Novecento”; Angelo Guerraggio: “La
primavera scientista all’inizio del secolo”; Fabio Minazzi: “Filosofia e
cultura popolare nel dibattito del neoilluminismo italiano”
● Informazioni: Dott. Fabio Minazzi, via Talizia 29/E, 21100 Varese, tel. 0332/264012.
L’Associazione di cifrematica - Spirali/Vel edizioni ha organizzato nel
mese di maggio tre incontri: 15 maggio, Piero della Francesca e Mondrian, sono intervenuti Bernard-Henry Levy e Armando Verdiglione; 21
maggio, Il pianeta teatro, interventi di Fernando Arrabal e Armando
Verdiglione; 29 maggio, La scrittura. L’ebreo errante, l’arabo, il
cattolico con Jean-Pierre Faye,
Marek Halter e Armando Verdiglione.
● Informazioni: Spirali edizioni,
tel. 02/8054417.
Organizzato dal Centro Internazionale di Studi Semiotici e Cognitivi
dell’Università di San Marino, si è
svolto, dal 21 al 22 maggio, un convegno dal titolo: Sogno ed etnologia: elementi transculturali del
sogno. Sono intervenuti, tra gli altri:
Jacques Galinier e Michel Perrin.
Dal 16 al 19 giugno ha avuto luogo,
sempre organizzato dal Centro, un
convegno dal titolo: Knowledge
Through Signs: Ancient Semiotic Theories. Questo il calendario
degli interventi: 16 giugno, Umberto
Eco: “Dal Congresso di Vienna ai
moti della Romagna”; Anthoby A.
Long: “Introduction to the Stoic Theory of Language”; Antony A. Long:
“Introduction to the Stoic Theory of
Sign”. 17 giugno, David Sedley: “Introduction to the Epicurean Theory of
Sign”; David Sedley: “Introduction
to the Epicurean Theory of Language”; 18 giugno, Mario Vegetti: “Iatromantis: medicina, mantica e predizione per segni nel V secolo; Walter
Leszl: “I messaggi degli dei e i segni
della natura”; Elizabeth Asmis: “Developments in the Epicurean Theory
of Sign”; David Glidden: “Skeptic
Semiotics and Natural Conventions”.
19 giugno, Maurizio Bettini: “Signum, Limes/Limen, Argumentum:
Some Aspects of the Semiotic Terminology in Latin”; Giuseppe Pucci: “Il
segno creatore. Aspetti dell’integrazione del segno nella mitologia vedica; Franco Lo Piparo: “Sign and Symbol in Aristotle”; Gerard Verbeke:
“Meaning and Role of the Expressible (Lektón) in Stoic Logic”.
● Informazioni: Università degli
Studi di San Marino, Contrada Omerelli 77, 47031 San Marino, tel. 0549/
882516.
ta il 28 maggio una conversazione sul
tema: La questione del moderno. Hanno partecipato: Maurizio
Ferraris, Umberto Galimberti, Pier
Aldo Rovatti, Carlo Sini e Vincenzo
Vitiello.
In occasione della pubblicazione del
volume Filosofia 91, si è svolta il 19
giugno, presso la sede dell’Istituto,
una conversazione sul tema: La razionalità dell’ermeneutica. Hanno partecipato: Maurizio Ferraris,
Aldo G. Gargani, Pier Aldo Rovatti,
Mario Ruggenini, Gianni Vattimo.
● Informazioni: Sala Incontri ISU,
Corso di Porta Romana 19, 20100
Milano.
Nel quadro della propria attività, la
Società Filosofica Italiana, sezione
lucchese, ha organizzato a Lucca pe il
29 maggio, in collaborazione con la
Società Italiana di Studi kantiani, una
giornata di studio sul tema: Le radici
del male. Morale e religione in
Kant. Sono intervenuti: F. Bianco,
C. De Pasquale, A. Fabris, S. Marcucci.
● Informazioni: S.F.I. sez. lucchese, c/o Liceo Scientifico, via delle
Rose, 55100 Lucca, tel. 0583/582685.
Si sono svolti, presso la Fondazione
Rosselli di Torino, due seminari tenuti da Richard E. Nisbett dell’Università del Michigan: 9 giugno, Who
uses the normative rules of choise, “Teaching reasoning”; 10
giugno, Cultural Differences in
predisposition to violence.
● Informazioni: Fondazione Rosselli, via San Quintino 18/C Torino,
tel. 011/5622510.
Dal 9 al 13 giugno 1992 ad Augst
(Svizzera), si terrà nella Dr. René
Clavel-Stiftung una seduta sotto la
direzione di Wiebke Schrader su Problemi della metafisica morfopoietica.
● Informazioni: Prof. dr. R. Berlinger, Institut für Philosophie, Universität Würzburg, Residenzplatz 2,
D-8700 Würzburg, tel. 0931/31859.
Il 26 maggio, in occasione della presentazione del libro di Riccardo Viale, Metodo e Società nella scienza, il Club Turati di Torino ha organizzato, con la presenza dell’autore,
un incontro con interventi di Luciano
Gallino, Giulio Giorello e Paolo Legrenzi.
● Informazioni: Club Turati, via
Accademia delle Scienze 7, 10100
Torino, tel. 011/531857.
Il 13 e 14 giugno 1992 si tiene la VI
Giornata annuale dell’AG Marx-Engels-Forschung, sul tema: Il soggetto storico nell’opera di Engels e
Marx. Tra i relatori: Joachim Bischoff, Martin Beyer, Werner Goldschmidt, Joachim Hirsch, Wolfgang
Jahn, Heinz Jung, Jürgen Jungnickel
e Hans Jörg Sandkühler.
● Informazioni: Institut für Marxistiche Studien und Forschungen,
Kölner Str. 60, D-6000 Frankfurt a./
M.
Organizzato dall’Istituto per il Diritto allo Studio Universitario, si è svol-
Organizzata da Hypothesis, il 16 giugno ha avuto luogo una tavola rotonda su Follie e inganni della medi-
CALENDARIO
cina. Sono intervenuti: Mario Abis,
Gian Felice Clemente, Giulio Giorello, James McCormick, Petr Skrabanek.
● Informazioni: Hypothesis, via G.
Belli 39, 00193 Roma, tel. 06/
3231141.
Dal 18 al 20 giugno 1992 si è tenuto
a Münster un Colloquium Logicum con la partecipazione di M. van
Lambalgen (“Proof theory of generalized quantifiers”), D. Martin (“The
current situation in cardinals and determinacy”), R. Murawski (“Hilbert’s
Programm incompleteness theory, vs.
partial realization”), A. Prestel
(“Neuere Ergebnisse in der Modelltheorie von Körpern”), R. Soare (“Definability, Incompleteness, and Automorphisms of Recursively Enumerable Sets”), G. Wechsung (“Komplexität von Zahlproblemen”). Le
sezioni previste: 1. La logica nella
matematica; 2. La logica in filosofia;
3. La logica nell’informatica.
● Informazioni: Colloquium Logicum, Institut für Mathematische Logik, Einsteinstr. 62, D-4400 Münster.
Dal 25 al 28 giugno ha avuto luogo a
Graz il V Congresso internazionale di
Filosofia per bambini. Il congresso si è articolato nelle seguenti sezioni: 1. Dimensioni teoretiche della
“Filosofia per bambini”; 2. Logica e
pensiero critico; 3. Etica; 4. Filosofia
per bambini e filosofia femminista, 5;
Filosofia per bambini in ambiti specialistici; 6. Filosofia per bambini:
curriculum e rapporto con la prassi.
● Informazioni: Dr. Daniela G.
Camhy, Österreichsche Gesellschaft
für Kinderphilosophie, Schmiedgasse 12/IV, A-8010 Graz.
Dal 2 al 4 luglio si è tenuto a Marburg
il Congresso Hermann Cohen,
organizzato dall’Istituto di Filosofia
dell’Università, in occasione del 150
anniversario della nascita di Cohen.
Hanno preso parte al convegno, come
realtori esterni: G. Edel (Amburgo),
P. Fiorato (Genova), H. Holzhey (Zurigo), I. Kajon (Roma), T. Meyer (Siegen), A. Poma (Torino), H. Schnädelbach (Amburgo), P. Schultess (Zurigo). La direzione del convegno è stata
di Reinhard Brandt (Marburg). In
contemporanea, nella biblioteca dell’Università è stata allestita una mostra sulla vita e le opere di Hermann
Cohen.
● Informazioni: Prof. Reihard
Brandt, Institut für Philosophie, Universität Marburg.
Dal 13 al 19 settembre la Förder- und
Forschungsgemeinschaft Friedrich
Nietzsche organizza la “NietzscheWerkstatt Schulpforta” negli spazi
della Landesschule Pforta sul tema:
Friedrich Nietzsche e l’Illumini-
smo.
● Informazioni: FFG Friedrich
Nietzsche e.V., Postfach 136, O-4020
Halle/S.
Dal 21 al 24 luglio si tiene a Dortmund il II Convegno su Nietzsche. Sono intervenuti fra gli altri:
Ralf Eichberg, Hans-Martin Gerlach,
Endre Kiss, Joergen Kjaer, Rudolf
Kreis, Renate G. Müller, Uschi Nussbaumer-Benz, Günter Wohlfart e
Hermann Josef Schmidt.
● Informazioni: Prof. Dr. Hermann
Josef Schmidt, Universität Dortmund,
Fachbereich 14, Philosophie, Postfach 500 500, D-4600 Dortmund 50.
Nell’agosto del 1992 a Kirchberg avrà
luogo il XV Wittgenstein Symposium sul tema: Filosofia della matematica. Sono previste le seguenti
sezioni: 1. Wittgenstein; 2. Platonismo ed esistenza matematica; 3. Costruttivismo e matematica intensionale; 4. Teoria della dimostrazione e
teorema di Gödel; 5. Storia del pensiero matematico; 6. Rapporti della
matematica con le altre scienze e con
l’arte; 7. Sezione aperta ad altri aspetti della filosofia della matematica; 8.
Workshop sul libro di Michael Dummet: Frege: Philosophy of Mathematics. Parleranno fra gli altri M. Dummett, Hao Wang, J. Hintikka, R.
Kleinknecht, P. Weingartner, C. Wright.
● Informazioni: Österreichsche
Ludwig-Wittgenstein-Gesellschaft,
A-2880 Kirchberg am Wechsel, tel.
02641/2280, 2257.
La Société Internationale pour l’Etude de la Philosophie Médiévale (SIEPM) organizza dal 18 al 23 agosto il
IX Congresso di filosofia medievale
a Ottawa (Canada). Tema del convegno sarà: Filosofia morale e politica nel Medio Evo.
● Informazioni: The Ninth Congress of Medieval Philosophy, University of Ottawa, Ottawa, ON KIN
GN5, Canada.
Dal 31 agosto al 13 settembre 1992 la
Foundation für Intellectual History
organizza il suo secondo seminario
per laureati dal titolo: Metodi nei
commenti aristotelici del XVI
secolo. Il seminario intende colmare, con uno sforzo collettivo, le lacune nelle conoscenze del pensiero aristotelico nei secoli precedenti a Galileo. Fra i partecipnti: Charles Burnett
(Londra), Luce Giard (Parigi), Nicolas Jardine (Cambridge) Eckhard
Kessler (Monaco), Charles H. Lohr
(Friburgo) e William A. Wallace
(Washington D.C.).
● Informazioni: Prof. Eckhard Kessler, Institut für Geistesgeschichte und
Philosophie der Renaissance, Ludwigstr. 31, D-8000 München 22.
Dal 2 al 5 settembre 1992 la Stiftung
Niedersachsen organizza a Hannover
un Congresso internazionale sul tema:
Attualità dell’estetica. Il Congresso si articolerà in cinque sezioni. Fra
i relatori: Karl Heinz Bohrer (Die
Grenzen des Ästhetischen - eine
Schlüsselkategorie unserer Zeit?),
Hermann Lübbe (Gegenwartsschrumpfung: über die Ästhetisierung der
Zeit im Fortschritt), Wilhelm Schmid
(“Alle Widersprüche finden sich in
mir” - Lebenskunst al “Ethik” der
Selbsterfindung bei Montaigne), Neil
Postman, Rüdiger Bubner (Über das
Symbolische in der Politik), Claus
Leggewie (Staatskunst - Über die
Politik der Differenz), Gernot Böhme (Ökologische Naturästhetik:
Ästhetische Erkenntnis der Natur),
Martin Seel (Ästhetische Natur als
Wirklichkeit des Menschen), Rudolf
zur Lippe, Bernd-Olaf Küppers (Die
natürliche Dimensionen ästhetischer
Komplexität), Paul Feyerabend
(Kunst als ein Produkt der Natur),
Dietmar Kamper (Erinnern, Wiederholen, Durcharbeiten. Über prähistorische Wahrnehmungsmuster in
einer Ästhetik des Posthistoire), Arthur C. Danto (Kunst nach dem Ende
der Kunst), Gottfried Boehm (Der
erste Blick. Über Realität als Kunst),
Ernst Pöppel (Einige Bedingungen
für den Zerfall, Verfall und Wegfall
des Schönen - Hirnforschungsgrenzüberschreitungen?), Humberto Maturana (Die Biologie des Ästhetik),
Gianni Vattimo (Ästhetischen Verstehen als geschichtliches Tun), Albrecht Wellmer (Probleme des ästhetischen Verstehens), Jean-François
Lyotard.
● Informazioni: Stiftung Niedersachsen, Ferdinandstr. 4, D-3000
Hannover 1, tel.0511/315001. Per
questioni organizzative: COC-Kongreßorganisation, Büro Rhein-Main,
Berliner Str. 175, D-6050 Offenbach/
Main 1, tel. 069/813028.
L’European Society for Analytic Philosophy (ESAP) promuove, nel quadro del proprio programma di attività
scientifica, un simposio sul tema:
Senso e Riferimento, organizzato
da P. Kotátko a Karlovy-Vary, in
Cecoslovacchia, dal 7 al 11 settembre
1992, e un gruppo selezionato di lavoro sul tema: Teoria del Significato e Intuizionismo, organizzato
da G. Sundholm a Leiden, in Olanda,
nel settembre 1992.
Organizzato dall’ESAP, avrà luogo a
Aix en Provence (Francia) dal 23 al
26 aprile 1993 il I Congresso europeo
di filosofia analitica (ECAP). I temi
delle sessioni saranno: Etica; Filosofia della Mente; Filosofia del
Linguaggio.
● Informazioni: Prof. Diego Marconi, ESAP-Torino.
Dal 10 al 13 settembre, organizzato
dall’ A.D.I.F., si svolgerà Il XIV
Congresso Nazionale di Filosofia sul
tema: Filosofia e Cultura nell’Eu-
ropa di domani. Questi gli interventi: 10 settembre: Paul Poupard,
Battista Mondin, Aniceto Molinaro;
11 settembre: Enrico Berti, Vittorio
Possenti, Vladimir Zelinski; 12 settembre: Luciano Corradini, Rocco
Buttiglione; 13 settembre: Tavola
Rotonda conclusiva del Congresso.
● Informazioni: Prof. Giuseppe
Schiff, via Rubignacco 8/A-2, 33043
Cividale delò Friuli, tel. 0432/733796.
Dal 22 al 25 settembre 1992 si svolgerà a Svetlogorsk, nei pressi di Kaliningrad, la Conferenza di Kaliningrad 1992 sul tema: L’eredità di
Frege nel XX secolo, logica e
filosofia. Sono previste sezioni sui
temi: 1. Frege in prospettiva analitica; 2. L’eredità di Frege in semantica
logica; 3. Frege e i fondamenti della
matematica. Si terranno inoltre degli
“Special Simposia” sui temi: “La logica di Kant e la sua influenza su
quella di Frege”; “La matematica, la
logica e la filosofia di David Hilbert”.
● Informazioni: Department of
Philosophy, Kaliningrad (URSS).
Dal 24 al 26 settembre 1992, la Spinoza-Gesellschaft, le Università di
Leipzig e di Hannover insieme a “Studia Spinoziana” organizzano una giornata internazionale di studio sul tema:
Libertà e necessità. Attualità di
Spinoza nel dibattito etico e
politico dell’era moderna. Fra i
partecipanti: Manfred Walther
(“Zwischen Philosophie und Wissenschaft: Spinoza als Widerpart und
Anreger ethischer und politischer
Theoriebildung in der Neuzeit”),
Shlomo Avineri (“Spinoza as the source of Moses Hess’ socialism and proto-zionism”), Emilia Giancotti
(“Freiheit und Notwendigkeit bei
Spinoza und Marx”), Ursula Goldenbaum (“Anthropologie und Geschichtsphilosophie bei Spinoza und im
Marxismus”), Klaus-Dieter Eichler
(“Spinoza und sozialistiche Utopien:
Bloch und Negri”), Helmut Seidel
“Theorie der Entfremdung bei Spinoza und Marx”).
Sono previste sezioni su: 1. Spinoza e
l’Illuminismo (europeo); 2. Spinoza
e il pensiero democratico (Rivoluzione francese etc.); 3. Spinoza e la teoria socialista (principale periodo di
riferimento: XIX secolo); 4. Determinismo ed etica (soprattutto il presente).
● Informazioni: Internationale Spinoza-Tagung, Organisationsbüro, Institut für Philosophie der Universität
Leipzig, Augustusplatz 9, O-7010
Leipzig.
DIDATTICA
DIDATTICA
a cura di Riccardo Lazzari
Manuali di filosofia per i licei
Sono recentemente apparse riedizioni aggiornate di manuali di filosofia
già da anni in uso nei licei. Segnaliamo in particolare l’edizione rinnovata
di Filosofie e società di Mario
Vegetti, Franco Alessio e Fulvio Papi
(Zanichelli, Bologna 1992), nonché di
Filosofi e filosofie nella storia di Nicola Abbagnano e del suo
allievo Giovanni Fornero (Paravia,
Torino 1992). Nel frattempo è apparso
il secondo volume del nuovo manuale
di Fabio Cioffi, Giorgio Luppi, Amedeo Vigorelli e Emilio Zanette, Il
testo filosofico (Bruno Mondadori, Milano 1992).
Filosofie e società di Mario Vegetti, Franco Alessio e Fulvio Papi ha una lunga
storia. Apparso la prima volta nel 1975,
con la collaborazione di Renato Fabietti
per il secondo volume, ha segnato una
svolta nella tradizione della manualistica
filosofica in Italia, introducendo prospettive d’indagine aperte alle connessioni della
filosofia con altri campi disciplinari, dalla
sociologia all’epistemologia, ed evidenziando i referenti sociali, istituzionali,
scientifici e politici delle teorie filosofiche. Nella nuova veste editoriale il manuale è stato interamente riscritto da Franco
Alessio per quanto riguarda il secondo
volume, mentre il primo e il terzo volume
sono stati ampiamente rielaborati dagli
autori, che hanno tenuto conto degli sviluppi più recenti della ricerca e delle linee
più attuali del pensiero filosofico contemporaneo. L’ordine stesso della materia, specialmente nel terzo volume, è stato ridefinito favorendo un migliore accorpamento
problematico degli argomenti, che risultano pertanto più “leggibili” dallo studente,
diversamente da quanto accade quando ci
si affidi prevalentemente ad un criterio
d’ordine cronologico. Anche sotto il profilo didattico il manuale si presenta per più
aspetti nuovo: l’approccio alle tematiche e
agli autori risulta linguisticamente più agile; è stata ampliata la sezione antologica e
introdotte schede sul lessico.
Il manuale di Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero, Filosofi e filosofie nella
storia, si presenta in una nuova edizione
riveduta per opera del coautore. Sono stati
aggiunti nuovi paragrafi, risistemate o riscritte parti del testo precedente, senza
tuttavia che il profilo del manuale risulti
mutato nella sostanza. Di nuovo c’è un
glossario e un riepilogo per ciascun capitolo. Al manuale di Abbagnano e Fornero
si affianca ora l’antologia in tre volumi a
cura di G. Brianese, G. Fornaro e M.
Trombino, dal titolo: Leggere filosofia
(Paravia, Torino 1992).
Nel frattempo è apparso il secondo volume di Il testo filosofico. Storia della filosofia: autori, opere, problemi, a cura di F.
Cioffi, G. Luppi, A. Vigorelli, E. Zanette. Si riconfermano le scelte culturali e
didattiche che hanno motivato la costruzione del primo volume, su cui abbiamo
già ampiamente riferito sul n. 5 di questa
rivista. Ne risulta un libro che non è solo
un’introduzione alla storia del pensiero
moderno, ma anche e soprattutto un percorso originale attraverso gli scritti dei
filosofi, tale da valorizzare diversi testi
che spesso sono stati esclusi dalle antologie tradizionali, per criteri di economicità
o di altro ordine, e che consentono all’insegnante di costruire nuovi itinerari di
avvicinamento alle tematiche filosofiche.
Entro l’anno è prevista l’apparizione del
terzo volume, che si contraddistinguerà in
particolare per le ampie sezioni dedicate al
pensiero filosofico del ‘900, con le relative scelte dei testi più significativi degli
autori contemporanei.
Convegni
Organizzato dall’ARIFS ( Associazione per la Ricerca e l’insegnamento di
Filosofia e Storia) in collaborazione
con l’Università di Torino si è recentemente svolto a Brescia il XV Convegno nazionale per l’aggiornamento
degli insegnanti sul tema: Fenomenologia ed esistenzialismo, con
la partecipazione di noti filosofi italiani, E. Casari, V. Verra, G. Piana, G.
Semerari, P. Rossi, S. Poggi, F. Bianco, A. Santucci, O. Faracovi e il tedesco R. Wiehl.
L’intenso programma del convegno può
essere suddiviso in tre grandi blocchi: il
primo riguardante la fenomenologia di
Husserl e le sue articolazioni, il secondo
imperniato sulla filosofia dell’esistenza
nell’area tedesca (Heidegger e Jaspers),
l’ultimo infine relativo all’esistenzialismo
francese (Sartre) e a quello italiano (Abbagnano, Pareyson e Paci).
Per quanto riguarda il blocco fenomenologico, Ettore Casari e Stefano Poggi
hanno tracciato il complesso quadro di
alcune tra le ascendenze filosofiche più
pregnanti della fenomenologia husserliana. Casari ha evidenziato il concetto di
oggetto intenzionale di Brentano e la successiva correzione in senso antipsicologistico di Bolzano come elementi determinanti, soprattutto il secondo, nelle origini
della teoria husserliana dell’intenzionalità mentre Stefano Poggi ha insistito sulla
complessità e sulla fecondità del rapporto
tra fenomenologia e psicologia, ricostruendo la fitta serie di intrecci tra Husserl e
pensatori quali Stumpf, Meinong, Natorp
e Dilthey.
A questi primi interventi hanno fatto seguito relazioni di interpretazione più complessiva del pensiero di Husserl. Giovanni Piana ha attaccato con vigore una interpretazione psicologizzante della fenomenologia, di cui ha evidenziato il fondamentale carattere di metodica descrittiva,
avente come obiettivo non il dato, ma la
ricerca, nell’infinita matassa dei dati empirici, di legami e rapporti funzionali in
base a determinate regole. La fenomenologia diviene una forma particolarmente
sofisticata di intuizionismo, che cerca di
cogliere nell’esperienza nessi, determinazioni, configurazioni strutturali. Da un’
altra angolatura prospettica, Giuseppe
Semerari ha proposto la nozione di mondo-della-vita non semplicemente come approdo finale della riflessione di Husserl,
bensì come fulcro di tutto lo svolgimento
del suo pensiero. Già in Ideen II - pronte,
anche se non pubblicate, nel 1912-13 - si
sblocca il solipsismo di Ideen I e si configura un concetto di Io come Io posso/Io
faccio, come struttura portante di ogni
capacità di essere e fare; d’altro canto,
nelle Meditazioni Cartesiane Husserl presenta il tempo come dimensione storica
della costituzione dell’Io. Soggettività e
tempo sono di fatto le tematiche che evi-
DIDATTICA
denziano contiguità e distanze della fenomenologia di Husserl in rapporto all’analisi esistenziale heideggeriana.
L’apertura alla dimensione dei valori da
parte della fenomenologia è stato l’elemento caratterizzante dell’intervento di
Reiner Wiehl, che ha sottolineato l’importanza dei contributi di Scheler e di
Hartmann. A questa apertura occorre ricollegarci, ha osservato Wiehl, per ritematizzare un problema fondamentale dell’uomo moderno: il problema della natura del
male.
Nell’ambito del secondo blocco di interventi riguardante la filosofia dell’esistenza in area tedesca, è stato ribadito il giudizio critico ormai consolidato di una irriducibilità del pensiero Heidegger ad una qualsivoglia forma di esistenzialismo. Lo ha
dimostrato Valerio Verra attraverso una
rilettura attenta e puntuale delle pagine,
tratte dal paragrafo 7 di Essere e tempo, sul
concetto preliminare di “ontologia come
fenomenologia”. In base a queste premesse Verra ha sviluppato una strategia di
lettura che mette in luce la struttura teleologica di Essere e tempo, al cui interno gli
esistenziali si ordinano in una prospettiva
ontologica complessiva, diversamente da
quanto avviene ad esempio in Jaspers, che
non fuoriesce dall’ambito esistentivo, concentrando il suo interesse sulla persona,
sul soggetto individuale. D’altro canto,
che si potessero imboccare strade così
profondamente diverse a partire da alcuni
presupposti comuni e da una reale amicizia tra questi due filosofi, lo ha dimostrato
la precisa ricognizione del pensiero di Jaspers condotta da Pietro Rossi, attento a
rilevare le profonde differenze tra i due a
partire dalla loro formazione teorica e a
sottolineare l’originalità e la ricchezza soprattutto nei tre volumi di Filosofia
(1932) - delle analisi di Jaspers.
Continuità e discontinuità del pensiero di
Heidegger sono state illustrate invece da
Franco Bianco, che ha parlato, per l’ultimo Heidegger, della ricerca di un nuovo
inizio, oltre la metafisica, in stretta sintonia spirituale con l’impresa poetica di
Hölderlin, fino ad arrivare all’ “ultima
Divinità” dei Beiträge zur Philosophie.
I due interventi finali, su Sartre e sull’esistenzialismo italiano, hanno evidenziato
una diversa connotazione della “filosofia
dell’esistenza”. Ornella Faracovi ha messo in rilievo gli equivoci della filosofia
sartriana, per un verso molto più radicata
nella tradizione francese di quanto non lo
fosse nella fenomenologia, per un altro
orientata verso esiti di tipo morale, con
l’opzione finale per la scelta politica, la
cosiddetta “etica dell’impegno”. Mentre
Antonio Santucci ha messo in rilievo le
particolari coloriture e diversificazioni
della “filosofia dell’esistenza” in Italia,
che ha avuto il suo momento più intenso
negli anni ’40, ma che ha visto i suoi
protagonisti (Abbagnano, Pareyson, Paci)
prendere strade diverse già a partire dal
decennio successivo: così l’esistenziali-
smo “positivo” di Abbagnano si sviluppava in chiave storico-scientifica nella prospettiva di un libero dialogo razionale,
mentre l’esistenzialismo di Paci si orientava verso il relazionismo e la fenomenologia, e il personalismo esistenziale di Pareyson si risolveva in una ermeneutica,
intesa come intreccio e corrispondenza di
interpretazione e verità.
Non è stato facile, nella tavola rotonda
conclusiva, fare il punto sui rapporti tra
fenomenologia ed esistenzialismo. È emersa l’impossibilità di assumere uno schema
storiografico unitario, fondato sulla pura
successione cronologica, e, nel contempo,
la necessità di approfondire la specificità
delle interazioni e dei reciproci influssi
nelle diverse realtà nazionali (Germania,
Francia, Italia). A questo proposito l’osservazione più efficace è stata forse quella
di Reiner Wiehl, che ha sottolineato l’esigenza di non chiudersi in un lavoro di
semplice ed estenuante esegesi, ma di raccogliere come eredità positiva e imprescindibile i problemi aperti che i filosofi
precedenti ci hanno lasciato, per cercare di
affrontarli e di lavorare seriamente attorno
ad essi.
Un’ulteriore citazione merita l’intervento
di Valerio Verra, che, a differenza di tutti
gli altri, ha affiancato precise indicazioni
didattiche alla sua proposta di interpretazione di Essere e tempo. Egli ha insistito su
alcuni punti: 1) lo schematismo, presente
anche in molti manuali di filosofia, con cui
si legittima una presunta successione temporale e transizione concettuale dalla fenomenologia all’esistenzialismo; 2) la rigidità con cui vengono presentate le differenti fasi di pensiero di determinati autori
(come è il caso di Heidegger); 3) la confusione tra fasi diverse del pensiero di un
autore e fasi diverse di ricezione di quel
pensiero.
A questo proposito bisogna rilevare che il
problema di una traduzione didattica dei
contenuti filosofici offerti alla riflessione
in questo convegno impone una considerazione conclusiva di carattere più generale. Si è consolidata, infatti, una dicotomia
tra due tipologie di convegni, uno ad alto
tasso contenutistico, l’altro incentrato sul
dibattito intorno ai fondamenti della didattica, alle metodologie e alle proposte programmatiche.
Una maggiore interazione tra queste modalità sarebbe probabilmente feconda e
utile, anche se le difficoltà di intersezione
tra piano della ricerca e piano didattico
sono notoriamente rilevanti.
L’ARIFS ha scelto la qualità dei contenuti
e persegue con molta coerenza questa strada. A questo riguardo, il suo presidente,
Giancarlo Conti, ha già preannunciato il
tema del prossimo convegno: La filosofia
italiana tra Umanesimo e Rinascimento,
che si terrà nei primi mesi del ’93 con la
partecipazione di alcuni tra i più noti e
importanti studiosi di questo tema, a partire da Garin e Vasoli. F.S.
Dal 2 al 6 marzo 1992 si è svolto a
Santa Margherita Ligure un seminario di aggiornamento per docenti di
filosofia sul tema: Il sapere filosofico e gli altri saperi.
Linee di rinnovamento dell’insegnamento della filosofia nella
scuola secondaria superiore,
organizzato, su incarico del Ministero
della Pubblica Istruzione, dal Preside
del Liceo Classico di Rapallo e coordinato da Anna Costantini Sgherri, ispettrice ministeriale. Una seconda parte
del Seminario è prevista per ottobre
1992.
Scopo del seminario era di aggiornare gli
insegnanti sulle nuove metodologie e i
nuovi contenuti nell’insegnamento della
filosofia, con particolare riferimento alle
proposte elaborate dalla Commissione
“Brocca”, al fine di produrre materiali di
riflessione ed approfondimento sui principali temi che caratterizzano i processi di
sperimentazione. L’invito è stato dunque
rivolto a quegli insegnanti nelle cui scuole
già viene sperimentata nel biennio la riforma “Brocca”.
Erano infatti presenti circa cinquanta docenti di tutta Italia, per la maggior parte
provenienti da Istituti Magistrali, particolarmente coinvolti dalla maxi-sperimentazione “Brocca”, dato che l’applicazione di
questa riforma verrebbe a modificare sostanzialmente l’Istituto Magistrale, trasformandolo in indirizzo socio-psico-pedagogico. Non mancavano però rappresentanti
dei Licei Scientifici e Classici. La riforma
“Brocca” infatti prevede, oltre a un biennio unificato, la formazione di indirizzi
classico, scientifico, linguistico, socio-psico-pedagogico e scientifico-tecnologico;
come novità di rilievo, la riforma propone
anche indirizzi tecnologici ed economici,
corrispondenti agli attuali Istituti Tecnici,
dove la filosofia verrebbe insegnata con
due ore settimanali. L’insegnamento della
filosofia sarebbe dunque presente in tutti
gli indirizzi scolastici, ottenendo di nuovo
quel ruolo formativo messo in discussione
nel passato. Il limite di tale progetto è,
secondo alcuni, il prolungamento dell’orario scolastico sino a 35 ore settimanali, a
cui fa riscontro un diverso modo di utilizzo
del tempo d’insegnamento e un diverso
impegno nello studio da parte degli studenti: un limite reale, soprattutto se si tiene
conto del fatto che le strutture della scuola
superiore italiana non sono ancora adeguate al tempo prolungato.
Ma al convegno di Santa Margherita non
sono stati tanto discussi questi aspetti delle
proposte elaborate dalla Commissione
“Brocca”, quanto piuttosto il rinnovamento metodologico e i nuovi programmi didattici contenuti nel materiale appena completato dalla Commissione e distribuito
per l’occasione ai partecipanti. (Per ulteriori informazioni sui contenuti di questo
materiale ci si può rivolgere alla prof.ssa
Susanna Creperio, c/o Liceo Ginnasio “G.
DIDATTICA
Parini”, via Goito 4, 20100 Milano).
Il programma dei lavori è stato particolarmente intenso. A fianco delle relazioni di
docenti universitari, finalizzate all’attualizzazione dei contenuti dell’insegnamento della filosofia - di particolare interesse
l’intervento di D. Palladino (Università di
Genova) sul rapporto/distinzione tra logica matematica e logica filosofica - si sono
tenuti tre gruppi di lavoro, ciascuno dei
quali aveva il compito di elaborare e ipotizzare itinerari didattici, utilizzando le
proposte dei programmi della Commissione “Brocca”.
Gli aspetti più interessanti del Convegno
sono stati da un lato la presentazione e
discussione di nuove proposte didattiche e a questo proposito segnaliamo la relazione di E. Berti concernente i lavori della
Commissione “Brocca” e i criteri che hanno ispirato la Commissione stessa - dall’altro il tentativo, promosso da Anna
Costantini Sgherri, di trasformare l’incontro in un laboratorio di ricerca. I lavori
di gruppo e il dibattito tra i gruppi hanno
infatti favorito non solo il confronto tra
diverse esperienze e l’elaborazione di nuovi
progetti, ma anche l’uscita dall’isolamento in cui spesso gli insegnanti si trovano a
lavorare. Bisogna tuttavia osservare che
dal punto di vista dei metodi e dei contenuti le nuove proposte della Commissione
“Brocca” non appaiono particolarmente
innovative per chi già da tempo pratica la
lettura diretta dei testi dei filosofi, l’uso
strumentale del manuale e il “taglio” dei
programmi ministeriali con l’individuazione di tematiche. C’è piuttosto da augurarsi che le nuove metodologie possano
essere estese e praticate il più possibile,
dato anche il successo didattico confermato dalle sperimentazioni in atto. S.C.V.
L’IREF (Institut de Recerca per l’Ensenyamente de la Filosofia) di Barcellona ha promosso, con il sostegno
finanziario della CEE, una conferenza
di tutti i Centri che in Europa si occupano della cosiddetta Philosophy
for Children (Filosofia per bambini). Al meeting, che si è tenuto a Barcellona dal 14 al 16 febbraio 1992,
hanno partecipato i rappresentanti di
undici dei quindici centri che attualmente operano nei paesi sia dell’Ovest
europeo (Gran Bretagna, Olanda, Austria, Islanda, Spagna, Italia, Portogallo, Belgio, Svezia) che dell’Est (Romania, Cecoslovacchia, Bulgaria, Ungheria, Polonia). Presente anche Matthew Lipman, il fondatore dello IAPC
(Institute for advancement of Philosophy for Children nel New Jersey) e
autore dei sette racconti che, insieme
con i relativi manuali per gli insegnanti ed altri testi teorici, ultimo dei
quali Thinking in Education (University Press, Cambridge 1991), costituiscono l’insieme del curriculum della Philosophy for Children.
La recente crescita d’interesse in area europea per una proposta pedagogica e didattica ricca di suggestioni innovative e,
nel contempo, così ancorata alla tradizione culturale occidentale, ha suggerito l’opportunità di compilare un primo inventario del lavoro che si va facendo, dei risultati e dei programmi fin qui elaborati,
un’anagrafe e una mappa delle iniziative
più significative. Partendo da questa preliminare ricognizione, il convegno di Barcellona si è proiettato verso uno sforzo di
coordinamento e di progettazione di dimensione europea. È stata anche sottoscritta una lettera di intenti in vista della
costituzione di una Federazione europea
dei Centri di Philosophy for Children. Sarà
denominata Sophia e avrà la sua sede ad
Amsterdam; curerà, tra l’altro, la formazione degli insegnanti in questa particolare area dell’educazione e potrà rappresentare un utile punto di riferimento anche in
relazione alla documentazione e al collegamento tra le diverse esperienze. La presentazione dello statuto della Federazione
e le linee di programma per il prossimo
futuro sono previsti in occasione dello
svolgimento della V Conferenza Internazionale di Philosophy for Children, che si
tiene a Graz (Austria) dal 25 al 28 giugno
1992. A curarne l’organizzazione, così
come per la prima edizione del 1987, è il
Centro austriaco, uno dei primi sorti in
Europa, diretto da Daniela Camhy, ricercatrice presso l’Università di Graz. La
Conferenza si articolerà in diverse sezioni,
ognuna delle quali esaminerà un particolare aspetto del curriculum in questione:
dimensioni teoretiche della Philosofy for
Children, pensiero critico e pensiero logico, etica ambientale, Philosophy for Children e filosofia femminista, Philosophy
for children e pratica didattica.
Per quel che concerne la situazione italiana, i primi passi sul terreno della divulgazione sono stati mossi con la pubblicazione della prima traduzione in italiano di un
racconto di Matthew Lipman, Il prisma
dei perché (Armando, Roma 1992). Ad
aprire la strada a questa pubblicazione fu,
nel 1987, un articolo di Luciana Vigone:
“La filosofia con il bambino, la filosofia
per il bambino” (“Bollettino della Sfi”,
n.131/1987). Seguiva, nel 1988, la pubblicazione di un articolo dello stesso M. Lipman, “Pratica filosofica e riforma dell’educazione” (“Bollettino della Sfi”, n.135/
1988). Proprio da questi articoli traeva
alimento l’interesse di un gruppo di docenti i quali, incominciando ad usare in
classe pagine dei racconti di Lipman, tentavano i primi approcci al programma: una
testimonianza di questi primi tentativi la si
può avere dal resoconto di R. Bertuzzi
riguardante un’esperienza nella scuola elementare: “Come argomentano i bambini:
un’esperienza nella scuola elementare nel
volume curato da A.Colombo, I pro e i
contro. Teoria e didattica dei testi argomentativi” (“Quaderni del Giacel”, La
Nuova Italia, Firenze 1987).
Intanto, nel 1990, Lipman teneva un seminario all’Università di Dubrovnik in Iugoslavia. Era l’occasione per approfondire la
conoscenza del programma, soprattutto dal
punto di vista della sua applicazione pratica e, inoltre, per operare una prima verifica
del lavoro fatto. Dall’impulso proveniente
da quell’incontro derivarono due risultati
importanti: 1) venivano poste le condizioni per la pubblicazione della traduzione
del racconto Ilary Stottelmeier’s Discovery (tradotto col titolo: Il prisma dei perché)
a cura di A. Cosentino; 2) M. Santi raccoglieva un’intervista di Lipman, quanto mai
utile a chiarire il senso della Philosophy
for Children e a sgombrare il campo dai
molti fraintendimenti possibili, pubblicandola con il titolo: “Filosofare con i bambini. Conversazione con M. Lipman” (“Prospettiva E.P.”, n.6/91).
Sulla scorta di queste premesse è stato
possibile andare oltre la personale curiosità e l’iniziale impegno di ricerca. Sono
nati, così, due Centri che si occupano, in
Italia, di Philosophy for Children: il CIREP, legato al lavoro di ricerca che M.
Santi sta svolgendo presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Padova, e il CRIF, nato sull’onda
della pubblicazione de Il prisma dei perché e impegnato soprattutto sul terreno
della sperimentazione didattica.
Se questo è l’inizio, il seguito del lavoro
presenta indubbiamente incognite e difficoltà che potranno essere affrontare e superate solo sul campo. Soprattutto bisognerà tener conto del particolare statuto
pedagogico che impedisce di pensare la
Philosophy for Children come una possibile disciplina tra le altre. In questi termini
sarebbe difficilmente istituzionalizzabile.
In verità, si potrebbe dire che le essenziali
istanze formative che essa implica sono, in
buona parte, già circolanti a livello di
aspettative esplicite e implicite nei programmi scolastici esistenti - particolarmente in quelli per la scuola elementare
del 1985. Molto più verosimilmente l’approccio a questo programma didattico è
rappresentabile come una proposta di costante impegno alla ricerca e all’aggiornamento offerto all’attenzione di ciascun insegnante e a gruppi di insegnanti, per cui,
riguardo agli sviluppi futuri, molto dipenderà dalla risposta che man mano verrà dal
mondo della scuola. A.C.
Si è tenuto presso l’auditorium dell’
I.T.C. sperimentale “Erasmo Da Rotterdam” di Bollate (MI), nei giorni 7-89 maggio 1992, il convegno nazionale: Filosofia, formazione professionalità. Il senso dell’insegnamento della filosofia
nella formazione dello studente di scuola secondaria superiore. Si sono succedute relazioni
di Fulvio Papi, Anna Costantini Sgherri, Luciana Vigone, Alessandro Caval-
DIDATTICA
li,
Giancarlo
Fantacone,
Raffaella Lamberti, Ferdinando Vidoni, Rossana Di Fazio, Pier Luigi Raccagni, Gerevini, Bruno Coppola.
I programmi elaborati dalla Commissione
“Brocca” per i nuovi modelli di triennio
delle scuole secondarie superiori (ipotesi
di una riforma “annunciata” e ancora non
realizzata) prevedono l’inserimento di due
ore settimanali di insegnamento della filosofia negli ultimi due anni degli istituti a
indirizzo tecnico. A poche settimane dalla
loro pubblicazione ufficiale, il convegno
di Bollate ha avviato una riflessione sulle
valenze formative della materia in relazione ai nuovi profili professionali, individuando quali competenze sono richieste
all’insegnante di filosofia in relazione alle
nuove prospettive educative, viste sotto il
profilo dei contenuti, dei metodi e degli
strumenti più idonei.
Nella sua relazione introduttiva, Fulvio
Papi ha mostrato, con una sapiente analisi
teoretica e semiologica, la problematicità,
ma anche la pensabilità e coerenza di fondo di un progetto che mette in relazione
concetti apparentemente così distanti fra
loro come filosofia, formazione,
professionalità.La filosofia, ha osservato
Papi, come elemento di formazione della
professionalità è già un orizzonte filosofico, che riconosce l’esistenza conflittuale
di una pluralità di filosofie come ciò che
fonda e rende possibile la filosofia in quanto
forma di comunicazione vivente, attivabile, di riflessività ulteriore sulla professionalità operativa. Quanto poi la filosofia,
come tradizione, possa positivamente collaborare a un progetto scolastico di tipo
tecnologico, è per Papi una “scommessa”
che vale la pena di stringere, a patto di
muoversi in un orizzonte che presupponga
una formazione universitaria polivalente
degli insegnanti, una visione “antropologica” della filosofia, un uso “de-regolato”
della filosofia, capace di riflettere criticamente sui linguaggi che costruiscono una
professionalità tecnica operativa.
Da un punto di vista più istituzionale,
Anna Costantini Sgherri, ispettrice ministeriale, ha sottolineato con forza il legame di continuità che esiste tra le indicazioni dei programmi “Brocca” e l’esperienza
realizza-ta dalle scuole sperimentali. «La
ricchezza del dibattito sull’insegnamento
della filosofia sviluppato dalle scuole sperimentali - ha rilevato Costantini Sgherri consiste nel fatto che esse hanno affrontato con esiti e prodotti significativi, e per
giunta senza nessuna indicazione e nessun
aiuto, problemi di tipo propedeutico, di
impianto concettuale: per esempio la fattibilità di un programma di filosofia in un
contesto non liceale, la compatibilità di
questo con le esigenze di un indirizzo di
tipo tecnologico...».Luciana Vigone, vicepresidente della Società Filosofica Italiana, ha invece sottolineato l’urgenza del
problema etico nel mondo contemporaneo, di cui la scuola non può non farsi
carico, mettendo anche in evidenza la necessità di una dimensione europea dell’insegnamento della filosofia nella scuola
italiana in vista di future spinte concorrenziali e competitive a livello europeo, che
metteranno a dura prova tutti gli ordinamenti scolastici e universitari. Un orientamento comune sembra tuttavia già emergere nei vari paesi europei rispetto al mantenimento della prospettiva storica nella
trattazione dei problemi e delle teorie filosofiche, nonché rispetto al riconoscimento
del valore dello studio dei testi classici.
Alessandro Cavalli ha espresso una certa
preoccupazione intorno alla proposta di riforma “Brocca”, che conterrebbe a suo giudizio “un rischio di licealizzazione”, non
corrispondente «ai bisogni formativi di una
società moderna». In ogni caso questa, per
Cavalli, potrebbe essere l’occasione per introdurre questioni di filosofia morale nelle
scuole, in particolare di “etica pubblica”
che, oltre ad essere uno dei compiti educativi
della scuola, raccoglie una domanda profonda dei giovani. Dichiarandosi favorevole
all’introduzione della filosofia nei tecnici,
Raffaella Lamberti osserva tuttavia che
una vera innovazione della didattica filosofica non potrà prescindere dalla considerazione di una filosofia “al femminile”, anche
in termini di linguaggio, di rappresentazione
simbolica, nonostante la difficoltà che può
sollevare una proposta del genere non solo
per la sua novità, ma soprattutto per la diffidenza che suscita la questione di un essere, di
un sapere e di un pensare non neutro rispetto
alla sessualità. Un immenso patrimonio di
cultura femminile, ancora largamente sconosciuto, potrebbe in realtà essere introdotto
nei curricoli scolastici come complementare
ai programmi vigenti, per essere poi sviluppato in funzione di nuovi approcci a questioni di ordine epistemologico, gnoseologico,
ontologico, morale.
Rossana Di Fazio si è interrogata sulle relazioni possibili tra “filosofia arte e letteratura”. Una riflessione sulle categorie estetiche
consentirebbe da una parte la consapevolizzazione del sapere embrionale degli studenti, dall’altro un arricchimento concettuale ed
esplicativo della lettura dell’immagine. Di
Fazio ha concluso il suo intervento sottolineando l’importanza che nel progetto “Brocca” viene data al lavoro interpretativo sui
testi: «lavorare sui procedimenti propri degli
scienziati, così come degli artisti e degli
scrittori consente di scardinare luoghi comuni, di fare chiarezza intorno a procedimenti
generali che sono modelli di creatività. Questa non è una teoria sull’arte: è filosofia».
Con una relazione sul tema: “Filosofia e
professionalità”, Giancarlo Fantacone ha
analizzato il rapporto fra istruzione e formazione all’interno del fatto educativo, in particolar modo soffermandosi sui problemi
epistemologici e pragmatici impliciti nella
pedagogia e nel concetto di formazione, che
oggi richiama una comprensione della “complessità”, una ricerca di spazi individuali di
libertà e autonomia e, infine, una scoperta
della propria etica di individuo attivo nella
responsabilità gestionale: definizioni che rimandano direttamente alle basi del pensiero
filosofico.Più in particolare, Ferdinando
Vidoni ha dibattuto il tema “Filosofia, scienze e tecnologia”, evidenziando l’importanza
di alcuni percorsi di filosofia della scienza
all’interno dei programmi della riforma
“Brocca” e la valenza formativa di una riflessione sugli «strumenti e procedimenti razionali che vengono messi in atto nelle conoscenze scientifiche». Rimane aperto il problema di come impostare un insegnamento
della filosofia della scienza non riduttivo,
volto a praticare un progetto interdisciplinare basato su approcci logico-epistemologici
e attento alle implicazioni etiche, sociali e
politiche della scienza e della tecnica.
Sia Pier Luigi Raccagni sia Gerevini, entrambi ricercatori del progetto ISPER, hanno parlato di “Giovani, mass-media e problemi della comunicazione”. Raccagni ha
illustrato, con taglio sociologico, le difficoltà della filosofia, disciplina “aristocratica”
per eccellenza, anell’incontrarsi con la cultura giovanile, profondamente intessuta di
“immagini”, ed ha proposto un’interessante
ricerca didattica basata sulla scoperta delle
nuove basi del sapere giovanile (privilegiando soprattutto il cinema), coniugate con la
rivisitazione di problemi filosofici. Gerevini
si è poi soffermato più approfonditamente
sulla necessità di cogliere nel cinema e nella
sua teorizzazione epistemologica una nuova
possibile impostazione filosofica più aderente alla nuova realtà culturale giovanile,
basata sull’immagine.All’interno di una prospettiva affine, Bruno Coppola, trattando di
“Filosofia, computer e didattica”, ha sottolineato come ogni possibile discorso innovativo debba innanzitutto affrontare il problema delle metodologie di insegnamento della
disciplina, anche in considerazione del profondo cambiamento in atto “nell’interlocutore studentesco” e nelle tecniche di comunicazione. Estremamente interessante in tal
senso è l’uso delle nuove tecnologie ipertestuali, che oltre alla facilità di aggiornamento dei materiali archiviati e del risparmio di
tempo nel ritrovamento delle informazioni,
permettono l’individualizzazione dell’insegnamento e la creazione di originali percorsi
di apprendimento.
La terza giornata del convegno, dedicata a
scambi di esperienze e materiali didattici,
presentazione di iniziative di aggiornamento e di ricerca in corso, ha mostrato
l’esistenza di una grande varietà e ricchezza di elaborazioni, di cui spesso non si è a
conoscenza per mancanza di momenti di
raccordo e di confronto reciproco. Tra gli
intervenuti, Fabio Cioffi, del l'I.T.C. c.s.
di Bollate (MI), ha rilevato come il dibattito sull’alternativa tra un’impostazione di
tipo storico e un’impostazione di tipo problematico nell’insegnamento della filosofia sia stato superato, grazie ad una metodologia basata sulla lettura dei testi, che
risolve i limiti di entrambe le precedenti
prospettive con una articolazione in tre
fasi distinte: una prima fase di contestualizzazione storico-culturale del testo; una
seconda fase che analizza il testo nelle sue
caratteristiche formali, strutturali, di “ge-
RASSEGNA DELLE RIVISTE
RASSEGNA DELLE RIVISTE
a cura di Silvia Cecchi
ZEITSCHRIFT
FÜR PHILOSOPHISCHE FORSCHUNG
(1968-1988): ein Rückblick, di G. Normanno.
Vol. 45, n. 4, ottobre/dicembre 1991
Klostermann, Frankfurt a./M.
Erscheinungen und Dinge an sich, di T.
Pogge: dall’opposizione tra fenomeno e
cosa in sé della Critica della ragion pura è
possibile ricavare quattro possibili interpretazioni della teoria trascendentale di
Kant, fondamentali, secondo l’autore dell’articolo, per comprendere fino in fondo
tale opposizione e contribuire ad un ulteriore chiarimento del senso dell’idealismo trascendentale kantiano.
Die spielerische Entgegnung der Idee auf
die ernste Natur, di H. Busche: l’analitica
del sublime kantiano, le differenze tra bello
e sublime, sublime matematico e sublime
dinamico.
Epikurs Stellungsnahme zur aristotelischen
Hedone-Diskussion in der Nikomachischen
Ethik, di G. Manolidis.
Was heist “praktisches Wissen”?, di A. W.
Müller: analisi dei problemi sollevati dal
libro di G. E. M. Anscombe Absicht (Karl
Albert Verlag, Freiburg, München, 1986).
Forschungsinteresse, Tatsachenwissen und
praktische Orientierung, di B. Gräfrath: la
riflessione di Max Weber sul concetto di
Wertfreiheit della scienza.
Wissenschaftsgeschichtliche Aspekte des
historiographischen Ansatzes von Wilhelm
Windelband, di W. K. Schulz.
Bemerkungen zur Willensfreiheit, di E. Biedermann.
Wolfang Stegmüller zum Gedenken, di F.
von Kutschera: al ricordo di Stegmüller
segue la bibliografia del filosofo.
Politische Philosophie im Mittelalter, di F.
Bertelloni: recensione di AA. VV.: The
Cambridge History of Medieval Political
Thought (Cambridge University Press,
Cambridge, New York, 1988).
Zwanzig Jahre italienische Kant-Rezeption
DIALEKTIK
n. 2, 1991
Meiner Verlag, Hamburg
Tema della rivista: “Conoscenza storica. Il
modello di teoria di Marx”.
Karl Marx - Kein Bürgerrecht in der wissenschaftlichen Kultur?, di O. Negt.
Bild-Theorie. Zur Logik der konstruktiven
Einbildungskraft im Marxschen Werk, di
S. Tagliagambe: alla luce delle indicazioni
di Althusser, l’articolo si propone di analizzare le problematiche relative alla costruzione dell’oggetto teoretico nell’economia politica di Marx; secondo l’autore,
in Marx sarebbe rintracciabile una logica
dell’immaginazione costruttiva, che presenta notevoli punti di tangenza con la
teoria galileiana delle leggi empiriche.
con le teorie della relatività e dei quanta, la
teoria marxista della conoscenza si è trovata a dover determinare in maniera migliore
la relazione tra soggettività ed oggettività.
Alla luce di tali osservazioni l’articolo
vuole proporre una rivisitazione di alcune
categorie proprie della filosofia marxista:
le categorie dialettiche di contraddizione,
storia, materia.
Die philosophische Einheit von Anthropologie, Geschichtsphilosophie und Ökonomie im Konzept von Marx, di H. H. Holz: la
teoria di Marx è essenzialmente una teoria
filosofica ed è per questo motivo che le
ricerche più tarde, relative a problemi di
economia politica, sono la conseguenza di
problemi filosofici; in particolare, l’economia politica troverebbe la propria genesi nei problemi di antropologia.
Die Kategorie der doppelten Produktion
des Lebens. Kritische Anmerkungen zur
Geschichte einer Verdrängung, di T. Mies:
la questione della relazione tra individuo e
collettività nel marxismo.
Der analytische Marxismus zwischen Philosophie und Naturwissenschaften, di G.
Lock: il marxismo analitico è ispirato dalla
filosofia analitica? Revisione critica di
questa tesi.
Zum Zusammenhang von Lage und Rolle
der Arbeiterklasse im Frühwerk von Karl
Marx und Friedrich Engels, di W. Goldschmidt: la questione, all’interno delle
opere di Marx ed Engels, della relazione
tra le condizioni della classe lavoratrice
nel sistema capitalistico e la sua presunta
missione storica. Alla luce delle condizioni economiche ed ideologiche relative al
1840, l’articolo distingue tra una argomentazione “essoterica”, classica del marxismo, ed una “esoterica”. La prima si basa
su un’immediata e necessaria correlazione
tra le condizioni di vita della classe lavoratrice e la sua missione storica: ipotesi storicamente fallita alla luce degli sviluppi
del capitalismo nel nostro secolo. La seconda argomentazione si fonda su una sorta di potere di emancipazione, proprio della stessa capacità creativa del lavoro umano ed apre prospettive più concrete nel
contesto di un possibile progetto socialista.
Über den Begriff “Realität” und geschichtliche Erkenntnis, di P. Jaeglé e P. Roubaud: in relazione allo sviluppo della fisica
Welteinheit als Interpretationskonstrukt
Gründe für ein hypostasiertes Weltmodell
im Interpretationismus, di H. Lenk: a pro-
Wissenschaftliches Weltbild und Rationalität empirischer Philosophie. Der Theorietypus “Marx” und die epistemologische
Bedeutung der Naturwissenschaften, di H.
J. Sandkühler: l’articolo si propone di evidenziare il legame strutturale tra il modello
di teoria marxiano e la tradizione empiristica, baconiana, in cui esso si inscrive;
Marx cerca i propri ideali di razionalità
epistemologici e metodologici non nella
filosofia speculativa, ma nelle scienze naturali. Questo carattere della filosofia
marxiana non è tuttavia dovuto solo alla
necessità di fondare empiricamente l’economia politica, ma anche all’istanza antiirrazionalistica che richiede una immagine
scientifica del mondo.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
posito dell’articolo: “Die Wirklichkeit der
Wissenschaft Probleme des Realismus”,
comparso su “Dialektik” 1/1991.
Lawrence Krader, di F. W. Kramer.
Der Fortgang der Marx/Engels-Gasamtausgabe, di M. Hundt.
Thomas Aquinas on the will as rational
appetite, di D. Gallagher: i diversi modi
attraverso cui Tommaso divide i livelli di
“appetito”; la sua nozione di volere come
appetito razionale e la distinzione tra appetito sensibile e razionale.
Descartes on sense qualities, di J. V. Buroker.
Karl Marx und seine naturwissen-schaftlichen Studien in den 1870er und frühen
1880er Jahren - Einblicke in die MEGA
Forschung, di P. Jäckel e V. Mueller.
A new source of spinozism: Franciscus
Van den Enden, di W. Klever.
ARCHIV FÜR GESCHICHTE
DER PHILOSOPHIE
Was Schopenhauer an idealist?, di D. E.
Snow e J. J. Snow: alla luce dei contributi
più recenti della ricerca anglosassone, l’articolo tenta di determinare il ruolo dell’idealismo nella filosofia di Schopenhauer, le
cui posizioni sembrano fin dall’inizio legate alle controversie post-kantiane dell’inizio del XIX sec.
Vol. 73, n. 3, 1991
Walter de Gruyter, Berlin, New York
“Scholasticorum taediosa circa suppositiones praecepta”. Leibniz und die Problematik der Suppositionstheorie Ockhams,
di H. Weidemann.
De la connaissance qu’avait Kant de la
métaphysique wolffienne, ou Kant avait-il
lu les ouvrages métaphysiques de Wolff?,
di J. Ecole: benché tradizionalmente la
filosofia critica venga proposta come una
reazione alla metafisica wolffiana, l’articolo intende analizzare quale sia il vero
rapporto tra Kant e Wolff e quale effettiva
conoscenza Kant abbia avuto della sua
metafisica.
Adam Smith and Thomas Cadell: Zwei
neue Briefe, di H. Klemme.
The despair that is ignorant of being despair, di N. Pappas: la figura del “disperato” incosciente in Kierkegaard; l’origine
del concetto di incoscienza; il modello freudiano; l’inconscio nel filosofo danese ed in
Freud.
Aristotle and the Stoics: a methodological
crux, di D. E. Hahm: recensione dello studio di F. H. Sandbach, Aristotle and the
Stoics (Cambridge 1985).
British Philosophy in the Seventeenth Century di I. Harris: recensione del volume:
Die Philosophie des 17. Jahrhunderts (vol.
3, 1988).
JOURNAL OF THE HISTORY
OF PHILOSOPHY
Vol. XXIX, n. 4, ottobre 1991
Washington University, St. Louis
Skeptic purgatives: therapeutic arguments
in ancient skepticism, di M. Nussbaum: lo
scetticismo greco e le sue strategie terapeutiche; il confronto con le pratiche “mediche” delle altre scuole.
“And time does justice to all the world”:
ein unveröffentlichter Brief von David
Hume an William Strahan, di H. F. Klemme.
MAN AND WORLD
Vol. 25, n. 1. gennaio 1992
Kluwer, Dordrecht
Grave voices: a discussion about praxis, di
A. L. Brown: la figura di J. Climacus,
individualità libera da costrizioni ideologiche e critico di Hegel.
The genesis of Being and Time, di T. Kisiel.
The leap (Der Sprung) for Being in Heidegger’s Beiträge für Philosophie (Vom
Ereignis), di G. Kovacs: la natura del “pensiero al lavoro” descritto nei Beiträge, il
salto fondamentale, operato da Heidegger,
nello sforzo di riformulare l’intera questione dell’Essere.
Hegelian elements in Gadamer’s notions
of application and play, di J. Mitscherling.
Rorty’s hermeneutics and the problem of
relativism, di A. T. Nuyen: il dibattito tra
Habermas e Rorty a partire dall’opera di
quest’ultimo: Philosophy and the mirror of
nature (1979); la filosofia di Rorty in rapporto a quella di Gadamer; il post-strutturalismo e il problema del relativismo.
Knowledge, hermeneutics and history, di
T. Rockmore: analisi delle recenti discussioni sull’ermeneutica; il contrasto tra interpretazione, conoscenza in senso tradizionale e storia.
Write memory, di J. Llewelyn: recensione
dell’opera di D. Farrell Krell: Of memory,
reminiscence and writing (Bloomington e
Indianapolis 1990)
INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL
QUARTERLY
Vol. XXXI, n. 4, dicembre 1991
Fordham University, New York
Time and infinity, di W. L. Craig: l’antico
argomento cosmologico del Kalam, spesso
ignorato dai filosofi post-illuministi, è l’oggetto di discussione di quest’articolo che
esamina le recenti posizioni critiche circa
questo argomento.
The empiricism of Hume’s political theory,
di R. J. Roth: tentativo di rispondere alla
domanda: “In che senso la teoria politica di
Hume deriva dal suo empirismo?”, prendendo le mosse non tanto dalle sue opere
strettamente filosofiche, ma dai suoi scritti
storici.
Language and translatability: Tarsky versus Davidson, di M. A. Adeel.
The echo of silence: toward a reconstruction of Merleau-Ponty’s philosophy of history, di S. Tagore: il problema della storia
svolge un ruolo centrale nella speculazione
dell’ultimo Merleau-Ponty. Le sue considerazioni sui problemi filosofici dell’arte e
dei rapporti tra arte e storia possono essere
delineati solo alla luce della più ampia
riflessione sul problema della storia e della
tradizione. L’articolo tenta di ricostruire
tale riflessione, spesso non chiaramente
delineata, tenendo presente il pensiero sull’Essere, quale è espresso soprattutto in Il
visibile e l’invisibile (1968), e il rapporto
con Hegel.
The grammatology of emptiness: post-modernism, the Madhyamaka dialectic and
the limits of the text, di K. Liberman.
Intentionality in Aquina’s theory of emotions, di M. P. Drost.
The stratification of emotional life and the
problem of Other Minds according to Max
Scheler, di R. R. A. Ibana: Scheler è il
filosofo che ha introdotto nella fenomenologia l’analisi della vita emozionale: analisi della concezione scheleriana della stratificazione della vita emozionale, la critica
incisiva di Scheler da parte di Edith Stein e
la risposta del filosofo.
The art of existence: three approaches in
Kierkegaard’s thought, di A. Sagi: tre approcci kierkegaardiani all’arte dell’esistere: unità di conoscenza ed esistenza, idealità e realtà; l’ideale di vita concreta-riflessiva; esistenza come sintesi tra gli elementi
ontologici dicotomici che costituiscono la
vita.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
J.B.S.P.
Vol. 23, n. 1, gennaio 1992
University of Manchester, Manchester
Tema della rivista: “Derrida, Levinas, Pragmatismo”.
The problem of closure in Derrida (I), di S.
Critchley: analisi della nozione di clôture
in Derrida. Nella sua prima produzione
Derrida pare accettare la fenomenologia
husserliana, che concepisce la filosofia e la
verità come un’idea infinita, estranea ad
ogni struttura storica chiusa e finita: la
fenomenologia diviene, per Derrida, lo strumento per attaccare lo strutturalismo e la
nozione di totalità finita (o chiusura strutturata) che esso presuppone. In una seconda
fase di pensiero Derrida sembra tuttavia
rivedere tali posizioni.
Repeating the parracide: Levinas and the
question of closure, di J. Protevi: la critica
di Levinas a Parmenide in quanto padre
della filosofia occidentale.
Being and space: a re-reading of existential spatiality in Being and Time, di R.
Frodeman: secondo l’articolo lo spazio è
importante quanto il tempo per comprendere l’Essere ed Heidegger stesso fornisce
in Essere e Tempo un’interpretazione esistenziale dello spazio, legandolo al nostro
comportamento pratico nel mondo. Nessun privilegio è perciò rilevabile tra spazio
e tempo nel loro rapporto con l’Essere.
Mead’s pragmatic instrumentalism: some
phenomenological overtones, di S. Rosenthal.
On the origin of organization in consciousness, di P. S. Arvidson: la questione dell’origine dell’organizzazione della coscienza quale è esposta in The Field of Consciousness (1964) di Aron Gurwitsch.
Sartre’s autobiography and his early philosophy, di R. Gordon e H. Gordon: l’opera
autobiografica di Sartre, Les mots (1964),
non è soltanto un’opera chiave per la comprensione delle scelte di vita compiute dal
filosofo, ma anche l’espressione più viva
dello sviluppo della prima fase della sua
riflessione filosofica.
La religion dans les Grundzüge de Fichte,
di M. Maesschalck: nelle lezioni del 1804
su I tratti fondamentali dell’epoca presente, Fichte intende elevare la sua filosofia al
ruolo di “autentico Cristianesimo”. Ne
emerge una sorta di unità tra la nuova
metafisica e l’unica vera religione che dovrebbe permettere allo spirito di allontanarsi dal moderno soggettivismo, per concepire l’azione umana in funzione del piano divino della realizzazione dell’Amore
tra gli uomini: un compito politico, questo,
comune alle più alte sfere della cultura
umana, al fine di donare autentico senso
collettivo alla libertà formale teorizzata dai
Lumi.
Le rôle du sujet dans l’interprétation, di L.
Fontaine De Visscher: una rilettura di Schleiermacher alla luce delle tesi di Manfred
Frank, il primo che ha tentato di conciliare
soggetto e struttura nell’interpretazione,
rivedendo il ruolo della soggettività alla
luce delle conquiste dello strutturalismo.
Per entrambi gli autori centrale è il problema del linguaggio.
Le Neveu de Corneille, di P. Seys: recensione dello studio di A. Niderst: Fontenelle
(Plon, Paris, 1991).
Bulletin bergsonien, di J. Etienne.
Figures modernes de la contingence ontologique, di M. Dupuis: recensione dell'ultimo volume di D. Giovannageli: La fiction
de l’être. Lectures de la philosophie moderne (De Boeck-Wesmael, Bruxelles,
1990).
Faut-il trouver aux causes une raison?, di
R. Franck: sul libro di P. Van Parijs: Le
modèle économique et ses rivaux. Introduction à la pratique de l’épistémologie
des sciences sociales (Droz, Paris, Genève,
1990).
Vol. 89, novembre 1991
Institut Supérieur de Philosophie, Louvain
La Neuve
Existe-t-il un cartésianisme esthétique?, di
P. Seys: i fondamenti estetici ed epistemologici dell’opera di Rameau alla luce dello
studio di C. Kintzler: Jean Philippe Rameau. Splendeur et naufrage de l’esthétique
du plasir à l’âge classique (1983).
La détermination aristotélicienne du principe divin comme vie, di F. Volpi: accanto
alle tradizionali definizioni del divino come
“motore primo immobile” e “pensiero di
pensiero”, troviamo nella Metafisica anche
la determinazione del principio divino come
“vita”, dove Dio appare come perfetto ed
eterno essere vivente; alcune osservazioni
in merito.
LES ETUDES PHILOSOPHIQUES
ottobre/dicembre 1991
PUF, Paris.
Husserl: au-delà de l’onto-théologie?, di
J. Benoist: i testi a carattere teologico negli
scritti di Husserl sono disseminati per lo
più nelle ricerche inedite ed appaiono spesso imprecisi e poco convincenti rispetto
all’autosufficienza dell’ateismo metodologico che viene proposto nelle opere pubblicate; tuttavia il problema di Dio occupa
un posto importante all’interno della struttura del pensiero husserliano, secondo una
testimonianza dello stesso filosofo; l’articolo, rivolgendosi a testi inediti, si propone di ricostruire tale questione.
La vie m’est-elle donnée?, di N. Depraz:
riflessioni sullo statuto della nozione di
vita nella fenomenologia.
L’essence de la renonciation, di P. Guillamaud.
L’esprit et la lettre, di D. Thouard: retorica
ed ermeneutica nel Discorso sulla religione di Schleiermacher.
LES ETUDES PHILOSOPHIQUES
luglio/settembre 1991
PUF, Paris.
Tema della rivista: “La filosofia greca”.
Les corps lumineux chez Hermias et ses
rapports avec ceux de Synésios, d’Hiéroclès et de Proclos, di N. Aujoulat.
REVUE PHILOSOPHIQUE
DE LOUVAIN
La structure du qualitativisme aristotélicien, di V. P. Vizguine: attraverso una
rilettura dell’opera aristotelica in termini di
problematicità, aporeticità, “incoerenza”,
l’articolo esamina la nozione di qualità in
tutte le sue manifestazioni e rappresentazioni; da quanto emerge dall'interpretazione dell'autore si tratterebbe di un vero e
proprio enigma filosofico.
REVUE INTERNATIONALE
DE PHILOSOPHIE
Vol. 45, n. 4/1991
Universa, Wetteren
Tema della rivista: “Lo Stato”.
L’enjeu des voix dans le Philoctète de
Sophocle, di M. Villela-Petit: l’articolo
vuole restituire valore filosofico forte ad
una tragedia che, al contrario di Antigone e
di Edipo, non ha mai avuto grande credito
presso i commentatori, al contrario delle
interpretazioni letterarie che pongono Filottete come “perfetto eroe sofocleo”.
Souvereignty: Bodin, Hobbes, Rousseau,
di H. A. Lloyd.
Temps et métaphysique. Hommage à Pierre Aubenque, di J. de Dios Vial Larrain.
Réflexions autour de la théorie kelsénienne de l’Etat, di M. Troper.
The State, di N. Barry: il concetto di
Stato, spesso non sufficientemente analizzato dalla critica; la concezione dello
Stato alla luce dell’anarchismo, del liberalismo, della teoria organica.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Minimalstaat oder Sozialrechte. Eine Problemskizze, di O. Höffe: l’articolo riprende
essenzialmente il Cap. IV del libro di O.
Höffe: L’Etat et la justice (Paris, Vrin,
1988).
L’Etat démocratique de la demande sociale, di A. Renaut: i diritti sociali possono
essere considerati come diritti dell’uomo?
La questione viene affrontata da un punto
di vista filosofico, cioé ricercando i fondamenti della possibilità o della pensabilità di
questa domanda.
Y a-t-il une crise de la souveraineté?, di S.
Goyard-Fabre: esaminando il concetto di
sovranità nella sua valenza filosofica, l’articolo, pur mettendone in luce le modificazioni nel corso dei secoli, tende ad evidenziarne la forza teorica anche nel mondo
contemporaneo, caratterizzato da una generale crisi della politica; il concetto di
sovranità può ancora costituire l’essenza
dello Stato?
Segue una bibliografia sul tema a cura di L.
Sosoë.
ARCHIVES DE PHILOSOPHIE
Vol. 55, n. 1, gennaio/marzo 1992
Beauchesne, Paris
Le corps de la terre, di J. Laurent: lo statuto
della terra nel pensiero di Plotino.
Mythe et révélation dans l’Etoile de la
rédemption; contemporanéité de Franz
Rosenzweig, di M. Bienenstock: la sorgente schellingiana della riflessione di Rosenzweig sul linguaggio e la comunicazione
attraverso il linguaggio; questi temi hanno
un ruolo fondamentale nella filosofia della
rivelazione e denotano la contemporainetà
del suo pensiero.
RIVISTA DI FILOSOFIA
Vol. LXXXIII, n. 1, aprile 1992
Il Mulino, Bologna.
Heidegger e la fenomenologia, di W. Biemel: Heidegger definisce il suo modo di
ricerca fenomenologico, benché nel corso
degli anni prenda sempre più le distanze da
Husserl. L’articolo esamina un gruppo di
opere degli anni Venti per tentare di chiarire la questione.
Svolta o continuità nel pensiero di Heidegger?, di O. Pöggeler.
La critica all’innatismo nel Settecento, di
S. Parigi: un esame delle posizioni relative
all’innatismo ed all’anti-innatismo del Settecento, anche alla luce della gnoseologia
lockeana.
La verità è definibile?, di P. Minari: analisi
della struttura e delle caratteristiche di due
tra le più importanti nuove “teorie della
verità”, la teoria della definizione induttiva
della verità di Kripke e la teoria della stabilità della verità sotto revisione di Gupta e
Herzberger; l’interesse per tali ricerche non
è legato soltanto all’ambito ristretto della
logica, ma è orientato in generale alla filosofia del linguaggio ed in particolare all’uso della parola “vero”.
Tra liceo e università: livelli e funzioni
dell’insegnamanto della filosofia in Italia,
di P. Rossi.
La filosofia insegnata: tra rigidità normativa e soggettivismo didattico, di L. Vigna.
Sull’attribuzione del frammento On Power,
di L. Parisoli: On Power è il titolo attribuito
ad un manoscritto del XVIII secolo, anonimo, che si rivolge contro l’analisi di Hume
del concetto di power. Qui lo scritto viene
attribuito a James Gregory (1753-1821).
La foi messianique de Hugo Bergmann, di
W. Kluback.
qualitativa e quantitativa, della riflessione
di ciascuno dei due autori e che esclude
assolutamante una dipendenza di Heidegger da Rosenzweig, ma che vuole piuttosto
riprendere una linea di ricerca aperta da
Löwith.
Enrico De Negri interprete di Hegel, di A.
Nuzzo.
Mathesis e costruzione tra geometria antica e moderna, di A. Ferrarin: recensione
dello studio di D. Rapport Lachterman:
The ethics of geometry. A genealogy of
modernity (Routledge, New York, 1898).
Kant, Wittgenstein e l’argomento ontologico, di G. L. Paltrinieri: l’articolo vuole
proporre una rilettura dell’argomento ontologico anselmiano alla luce della prospettiva wittgensteiniana, tenendo presente l’importanza decisiva di Kant su tutta
l’opera del filosofo austriaco.
STUDI KANTIANI
Vol. IV, 1991
Giardini Editori e Stampatori, Pisa
Categorie e finalità nella concezione kantiana della scienza, di S. Marcucci: analisi
dei rapporti tra le categorie dell’intelletto e
l’idea di finalità, il principio a priori del
Giudizio; quest’ analisi viene condotta sia
su un piano teoretico, sia su un piano epestemologico, tentando cioé di vedere come
finalità e categorie concorrano a fondare
conoscenze specifiche nelle varie branche
della scienza.
Natur und Freiheit bei Kant. Die beiden
“Türangeln der Philosophie”, di R. Langthaler.
Dalla critica della ragion pratica alla dottrina della virtù. Imperativo categorico,
analogia e teleologia morale in Kant, di F.
Gonnelli.
TEORIA
L’herméneutique d’Austin Farrer: un modèle partecipatoire, di C. P. Bigger: Farrer
difende la teologia razionale prendendo le
mosse da una posizione volontarista e neoscolastica, per approdare ad un modello
“postmoderno” della fede; in tale modello
Dio si rivela nell’ermeneutica delle immagini, la cui dialettica è costruita da Farrer
sulla scia di Gadamer. L’articolo tenta di
delineare questa dialettica tenendo presente anche l’interpretazione di Lévinas.
Relations, intellegibilité et non-contradiction dans la metaphysique du sentir de F.
H. Bradley: une réinterprétation (II), di J.
Bradley.
Vol. XI, n. 2, 1991
ETS Editrice, Pisa.
Mito e filosofia nella logica di G. Gentile,
di V. Sainati, con un intervento di V. Vitiello.
Il “giudizio” in Croce, di V. Vitiello: la
“forma” del giudizio ed il “contenuto” del
giudizio in Croce.
La concezione dell’”evento” nella Stella
della Redenzione di Franz Rosenzweig e
nel pensiero di Martin Heidegger, di B.
Casper: affinità e differenze tra la la concezione dell’”evento” di Rosenzweig e quella heideggeriana esposta nei Beiträge zur
Philosophie. Si tratta di un’analisi che,
come sottolinea l’autore, intende prescindere da quella che è la concreta struttura,
Kant, Bergson e la “philosophie nouvelle”, di A. Genovesi: quali sono i reali
rapporti tra Kant e Bergson? Attraverso
un’analisi documentaria precisa, l’articolo
intende sottolineare il confronto che Bergson attua con Kant, relativamente alle nozioni di spazio e tempo. Se il metodo di
Bergson ha origini kantiane, i risultati a cui
approda sono sostanzialmente diversi ed
antikantiani.
Sul senso interno, di I. Kant, a cura di L.
Fonnesu e C. La Rocca.
Catalogus Praelectionum Academiae Regiomontanae 1719-1804, di R. Pozzo: il
ritrovamento di un documento concernente l’Università di Königsberg, ritenuto perduto dopo il 1945.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Anno XII, n. 1, aprile 1992
Il Mulino, Bologna
Cinquecento religioso e arti figurative: in
margine ad alcuni recenti studi, di S. Giombi.
Conversione e allegoria nella Commedia,
di J. Freccero.
L’erosione del determinismo, di M. Ferriani.
“Cosa significa questo?”. Sopra uno “strano trucco” shakespeariano in Antonio e
Cleopatra, di G. Sacerdoti: il significato
dell’ultima cena di Antonio nella tragedia
di Shakespeare.
Estetica leopardiana ed estetica crociana,
di M. A. Rigoni.
INTERSEZIONI
Ermeneutica della parola, ermeneutica
dell’immagine. La philosophia sacra di
Friedrich Christoph Oetinger, di R. Ruschi: benché si collochi in una prospettiva
decisamente antilluministica, il pietismo
rappresenta senz’altro uno dei veicoli principali di rinnovamento della vita culturale,
morale e religiosa della Germania del Settecento in una direzione tesa ad evidenziare
l’immagine dell’uomo come individuo,
esistenza singolare. Centrale in quest’ottica è la scoperta del sentimento, che si pone
anche come strumento di conoscenza caratterizzato da “un’originaria attitudine ermeneutica” in grado di rivolgersi alla dimensione naturale e storica dell’uomo. Alla
luce di questa nuova sensibilità culturale si
colloca la riscoperta del patrimonio linguistico e simbolico, tratto dal misticismo
biblico, propria del pietismo che guarda
alle “parole”,alle “immagini” ed ai “simboli” della Sacra Scrittura come storia della
rivelazione di Dio. Il legame stretto che
unisce la mistica pietista, il riconoscimento
della valenza conoscitiva del sentimento,
la rivalutazione comunicativa del linguaggio metaforico e simbolico concorrono alla
nascita, soprattutto nella regione del Wüttemberg, di un particolare orientamento
filosofico che fa capo a F. C. Oetinger
(1702-1782), il più importante rappresentante del pietismo speculativo svevo, alla
cui concezione di philosophia sacra è dedicato l’articolo.
La rivoluzione scientifica ha prodotto una
rivoluzione medica?, di R. Porter: l’articolo affronta la questione se la medicina, alla
luce delle proposte della rivoluzione scientifica del XVII e XVIII sec., abbia tentato
di diventare scientifica, assumendo metodi
ed obiettivi dell’Illuminismo.
Tra sublime e Romantik: l’esempio olandese (1808-1810), di S. Contarini: nel 1808
il tradizionale Concorso indetto dall’Accademia delle Scienze di Haarlem fu dedicato
ad un tema, quello della differenza tra bello
e sublime, solitamente ai margini della
riflessione olandese. Dei sei trattati che
vennero esaminati, superarono la prova
soltanto quello di Daniele Berlinghieri (Siena 1761), vincitore del concorso, e di Albertine Necker De Saussure, seconda classificata, il cui trattato rimase anonimo. L’articolo prende in esame la struttura e le
tematiche di questi scritti.
Michail Bachtin: ontologia dell’incontro
ed ermeneutica della fiducia, di F. Pellizzi:
ricostruzione delle tematiche di fondo della riflessione di Bachtin.
ACTA PHILOSOPHICA
Vol. 1, n. 1, gennaio/giugno 1992
Armando, Roma
Questa nuova rivista, semestrale, nasce all’interno della Facoltà di Filosofia dell’Ateneo Romano della Santa Croce e si
propone di sviluppare, in un clima di massimo pluralismo, la riflessione filosofica in
direzione di una ricerca della verità sul
mondo, sull’uomo e su Dio. La rivista,
aperta ai contributi di altri istituti universitari, si presenta in una veste internazionale,
accogliendo, accanto a saggi in lingua italiana, anche contributi in altre lingue.
La doctrine de la création et le concept de
néant, di G. Cottier: la paradossalità del
discorso sul nulla in base a testi di Leibniz
e di Malebranche. L’articolo propone la
tesi che il concetto di nulla può essere
valutato soltanto all’interno della dottrina
della Creazione.
Fondamenti etici e antropologici dello sviluppo, di U. Farri.
Die evolotionäre Erkenntnistheorie und der
Unterschied Tier/Mensch, di F. Inciarte: la
distinzione tra uomo ed animale alla luce
della distinzione tra linguaggio estensionale e linguaggio intensionale; l’irriducibilità
dell’uomo all’animale pare fondata su presupposti di valutazione oggettiva e dalla
riflessione come prerogativa dell’uomo.
La gnosi cristiana come “altro” illuminismo. Riflessioni sulla filosofia cristiana, di
P. Koslowski.
Rapporti tra il concetto filosofico e il concetto clinico di morte, di A. R. Luno: le
principali correnti di opinione in medicina
relativamente al concetto di morte.
Giustizia e politica: alla ricerca di una via
nuova, di G. Chalmeta: analisi del libro di
A. Heller: Oltre la giustzia (Bologna, Il
Mulino, 1990)
Modernità e nuova sensibilità, di E. Colom
Costa: analisi dello studio di A. Llano: La
nueva sensibilidad (Espasa Calpe, Madrid,
1988).
Il contesto fregeano della relazione di raffigurazione nel Tractatus Logico-philosophicus, di R. J. Catano: la questione della
“teoria della raffigurazione” nel Tractatus
di Wittgenstein ed il parallelismo con Frege.
Hermenéutica, politica y filosofia, di F.
Moreno: recensione del libro di S. Rosen:
Hermeneutics and Politics (Oxford University Press, New York, 1987).
Verso un pensiero dell’essere: dialogo tra
Heidegger e Fabro, di L. Romera Onate: la
fonte di tutta la riflessione heideggeriana è
rappresentata dalla questione ontologica;
per questo l’articolo intende riproporla attraverso il confronto con un altro pensatore
contemporaneo, Cornelio Fabro, il cui incontro con il filosofo tedesco avviene proprio alla luce del problema dell’essere.
TELLUS
n. 6, gennaio/aprile 1992
Libreria Intervento, Morbegno (So)
La rivista è dedicata al tema: “Metropoli e
museo”, che rappresenterebbe la nuova
dialettica caratterizzante la “città totale”; si
intende per città totale il modo dell’urbanizzazione, tipico della tarda modernità,
cioé un assorbimento dell’esterno nell’interno tale da ridurre lo spazio di autonomia
degli ambienti rustici e solitari, coinvolgendoli all’interno di problematiche tipicamente urbane. La dialettica metropolimuseo rappresenta quindi il tentativo di
conservare in forma museale tutto ciò che
è soggetto ad una continua trasformazione,
sotto la spinta dell’urbanizzazione. Il museo si propone qui come emblema della
necessità, propria del nostro tempo, di
mantenere in vita il rapporto con il passato
per dare senso anche alla nostra esperienza
presente. Questa problematica appare centrale per la regione della Valtellina, realtà
culturale-geografica a cui si rivolge questo
numero della rivista.
La città delle muse, di P. L. Cervellati: qual
é la strada per un possibile ritorno ad un
“vivere civile” delle condizioni abitative
ed ambientali? L’articolo propone la trasformazione dei centri storici in musei, in
città delle muse, attuando un lavoro di
ripristino dei parchi e dei centri storici non
in funzione di una loro ulteriore riduzione
a luoghi di elite, ma nel tentativo di riscoprirne la naturale bellezza, indagando “le
nostre origini, la nostra identità, la nostra
capacità di progettare il nostro futuro, senza distruggere il presente e il passato”.
Progettare il cambiamento, di I. Fassin: il
ruolo del museo oggi come mediazione tra
presente e passato, non solo semplice “tempio delle memorie”, ma soprattutto spazio
RASSEGNA DELLE RIVISTE
di ricerca, dove si realizzano la ridefinizione della coscienza storica e sociale degli
abitanti nel confronto con chi è estraneo al
luogo.
Archeologia del moderno, di L. Bonesio.
Memoria, museo, territorio, di L. Corrieri:
il rapporto tra oggetto museale e territorio.
Dopo la storia, di M. Baldino: il ruolo del
museo in rapporto a quella che Nietzsche
chiama la “malattia storica” del nostro tempo.
Sei poesie di Carlos Drummond de Andreade, a cura di A. Tabucchi.
Non più scrivere. Intervista a W. Hildesheimer, a cura di R. Dedola: intervista all’intellettuale tedesco morto nel 1991.
Lettera di fiato, lettera di luce, di C. Lo
Scalzo.
Tre tempi per Hildesheimer, di G Luzzi.
Derrida e l’Europa, di C. Resta: recensione del volume di J. Derrida: Oggi l’Europa
(a cura di M. Ferraris, Milano, Garzanti,
1991).
Le origini del nome Rezia e di altri nomi
antichi, di G. Semerano.
Martin Heidegger, di R. Perrotta.
Sui modi di dire Physis, di R. Gasparotti:
riflessione approfondita sui modi di pensare e di esperire il complesso fenomeno
“natura”, partendo dall’osservazione aristotelica circa l’identità di senso e la diversità di significato di questa parola.
ELENCHOS
Per una filosofia della natura, a cura di F.
Desideri: passo tratto dal II Vol. degli Scritti
teoretico-filosofici di Novalis in corso di
pubblicazione presso Einaudi.
Platonismo e gnosi. Frammento su Simone
Weil, di M. Cacciari.
I Greci e la poesia. Colloquio con Hans
Georg Gadamer, a cura di A. Cazzullo e C.
Zaltieri: atti del colloquio con Gadamer,
tenutosi il 3 dicembre 1991, in occasione di
due conferenze del filosofo tedesco all’Università degli Studi di Milano dal titolo: L’ermeneutica e il futuro del pensiero;
Testo, interpretazione e verità.
L’idioma di un’ultima utopia. Saggio sul
concetto di alienazione in Marx, di M.
Donà: in relazione alla particolare temperie storica che ha visto il crollo del tentativo
di “realizzare” il sogno marxiano, è ora
possibile attuare un serio ripensamento della
proposta di Marx alla luce di una più puntuale esegesi testuale, prendendo le mosse
proprio dal rapporto con la filosofia di
Hegel.
PARADOSSO
n. 1, marzo 1992
PAGVS Edizioni, Treviso
Tema della rivista: “Dialogo sulla natura”.
Dialogare con la natura, pensare la natura,
sono operazioni che implicano problemi
enormi per il pensiero, per la riflessione
sempre condannata a differire sè dall’oggetto del proprio riflettere. Forse che l’interrogante non appartiene a quel quid, intorno a cui si interroga come se fosse qualcos’altro, che mette in questione l’essere
stesso dell’interrogante? Pensare la natura
significa porsi il problema delle condizioni
di possibilità di una distinzione tra naturale
ed artificiale; pensare la natura è pensare le
aporie ed i problemi filosofici fondamentali che il domandare porta alla luce, nel suo
stesso eterno ripresentarsi nelle parole dell’uomo; è alla luce di tale consapevolezza
che gli ideatori di questa rivista intendono
muoversi già da questo primo numero, attenti al rigore speculativo che un tema così
difficile impone.
Dialogo sulla natura, di C. Sini.
Della natura in Montaigne e in Pascal, di
S. Givone: i due autori, pur partendo da
analoghi presupposti per quanto riguarda
la considerazione della natura ed il suo
rapporto con l’uomo, traggono conseguenze opposte nei confronti di essa.
Alberto Caracciolo: un pensatore moderno del religioso, di P. Ruminelli.
IL CANNOCCHIALE
n. 3, settembre/dicembre 1991
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli
Leo Strauss e la disputa tra gli antichi e i
moderni, di S. Rosen.
Voltaire: dizionario filosofico, di A. G.
Sabatini: viene qui riportata l’introduzione del curatore al volume di Voltaire, Dizionario filosofico (Roma, Newton Compon, 1991).
La comunicazione estetica nella Critica del
Giudizio, di J. Kelemen: attraverso l’analisi di un aspetto di quest’opera, spesso trascurato dagli studiosi, l’articolo vuole dimostrare come «una teoria della natura dei
segni e della comunicazione sia fondamentale per molti problemi trattati da Kant».
Il linguaggio della poesia: distinzione nell’unità dell’esprimere e del comunicare, di
V. Stella.
A proposito di un certo “athéisme e inhumanisme”, di F. Garritano: la questione
della scrittura e del testo nelle considerazioni di Ricoeur, nel Livre di Mallarmé, in
Blanchot e Lévinas.
Note introduttive alla lettura della conferenza: “Il concetto di tempo” (1924) di
Anno XII, n. 2, 1991
Bibliopolis, Napoli
Ti esti-poion esti. Un aspetto dell’argomentatività dialettica del Menone, di L. M.
Napolitano Valditara: questo dialogo, generalmente considerato di raccordo tra fase
giovanile e fase della maturità della riflessione platonica, può essere autonomamente riesaminato non solo per specifiche proposte filosofiche, ma anche per il rapporto
che esso instaura tra razionalità filosofica e
razionalità specificatamente matematica.
Language and style of the aristotelian De
Mundo in relation to the question of its
inauthenticity, di D. M. Schenkeveld.
Fato, valutazione ed imputabilità. Un argomento stoico in Alessandro De Fato 35,
di M. Vegetti.
Primo principio e mondo intellegibile nella metafisica di Proclo. Problemi e soluzioni, di C. D’Ancona: la questione della
derivazione di tutta la realtà da un unico e
semplice principio ha condotto Plotino e
Proclo ad assumere atteggiamenti diversi.
La metafisica di Proclo si caratterizza per
una moltiplicazione ipostatica dei principi
di determinazione-indeterminazione, interazione di finito e infinito, determinanteindeterminato, che Plotino tratta appunto
quali semplici principi. Quali sono le ragioni filosofiche di questa divergenza?
RIVISTA DI FILOSOFIA
NEOSCOLASTICA
Vol. LXXXII, n. 4, ottobre/dicembre 1990
Vita e Pensiero, Milano.
Filosofia della mente ed etica in Stuart
Hampshire, di M. Reichlin: nel panorama
filosofico inglese della prima metà del nostro secolo si situa la figura di Stuart Hampshire, nato nel 1914 e appartenente, secondo l’articolo, a quella che può essere
definita come la “vecchia guardia” della
filosofia analitica. Se la filosofia del linguaggio ordinario si poneva allora nell’ottica neoposotivistica di una dissoluzione
dei problemi filosofici tradizionali, attraverso lo strumento della logica e dell’analisi del linguaggio, la riflessione di Hampshire non è tanto rivolta alla “fine della
filosofia”, quanto più ad un recupero delle
problematiche filosofiche “reali”, con particolare attenzione all’etica, attraverso la
“svolta linguistica”; una posizione, quella
di Hampshire, emblematica della differenza tra la scuola di Oxford, a cui egli appar-
RASSEGNA DELLE RIVISTE
tiene, e quella di Cambridge.
Il Filebo come summa del pensiero metafisico platonico, di P. Bonagura: rilettura del
Filebo, con particolare attenzione alle pagine metafisiche, alla luce delle “dottrine
non scritte” di Platone.
Un’ipotesi sul concetto aristotelico di astrazione. La sostituzione da parte di Aristotele, in Met. M,N, dei metodi della metafisica
platonico-accademica “generalizzante” ed
“elementarizzante” con l’astrazione universalizzatrice, di E. Cattanei.
Considerazioni sul De Mundo e analisi
critica delle tesi di Paul Moraux, di A. P.
Bos: confronto critico con la posizione di
Moraux, uno dei più grandi studiosi di
Aristotele del nostro secolo, circa l’autenticità della paternità aristotelica del De
Mundo.
Creazione ed eternità del mondo, di A.
Molinaro: la questione dell’eternità e della
creazione del mondo nel De aeternitate
mundi contra murmurantes di S. Tommaso.
L’oggettivismo etico rosminiano, di R.
Nebuloni.
Giovanni Maria Cornoldi tra neotomismo
e intrasigentismo cattolico, di R. Quinto.
AQUINAS (Vol. XXXIV, maggio/agosto
1991) presenta un articolo di G. Alfano,
Letteratura e filosofia nel pensiero e nell’opera di Dante Alighieri, ed un intervento
di M. Schreier, La metafisica di Nicolaj A.
Berdjaev. Una rapsodia russa.
AESTHETICA (n. 33, dicembre 1991, Centro
Internazionale Studi di Estetica, Palermo)
offre ai lettori, a cura di G. M. G. Scoditti,
un saggio che riporta alcune formule poetiche Nowau, composte oralmente nell’isola
di Kitawa (Milne Bay Province, Papua
New Guinea) tra il 1973 ed il 1988.
FENOMENOLOGIA E SOCIETA’ (Anno XIV,
n. 2. Piemme, Milano) propone, tra gli altri,
i seguenti articoli: Il significato dell’antrolpologia filosofica nel pensiero di Max
Scheler, di F. Bosio; Il problema antropologico nei Beiträge zur Philosophie di
Martin Heidegger, di U. Regina; La carne
del tempo. Esistenza e temporalità in M.
Merleau- Ponty, di G.M. Tortolone.
Il BOLLETTINO DEL CENTRO STUDI
VICHIANI (Anno XXI, 1991, Bibliopolis,
Napoli) presenta, tra gli altri, i seguenti
contributi: Note sulla possibilità di una
dinamica psicologica in G. W. Leibniz, di
M. Sanna; La via leibniziana alla metafisica. L’emendazione della filosofia e il diritto dell’individualità, di R. Bonito Oliva; Il
concetto di rappresentazione in Leibniz:
Dall’algebra alla metafisica, di A. Lamarra.
LA RIVISTA INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA DEL DIRITTO (Anno LXVIII, n. 3,
1991, Giuffrè editore, Milano) presenta un
articolo di D. Campanale, Essere e diritto
nel fr. B 1 (D-K) di Anassimandro.
STUDI CRITICI (Vol.1, n. 0, ottobre 1991,
Flavio Pagano Editore, Napoli), nuova rivista semestrale, presenta una serie di articoli sul pensiero politico di Benetto Croce
ed un interessante confronto tra il liberalismo crociano e quello di Rorty: Liberalismi a confronto: Rorty, Larmore, Croce, di
R. Prodomo.
I QUADERNI DEL CENTRO STUDI PER LA
FILOSOFIA MITTELEUROPEA (Vol.III, n. 1-
3, aprile/dicembre 1991) pubblicano, a cura
di R. Poli, gli atti del convegno dal titolo:
“Ajdukiewicz on Language and Meaning”
(Cracovia, novembre 1990), dedicato alla
figura di Kazimiers Ajdukiewicz in occasione del centenario della nascita.
VESTNIK LENINGRADSKOGO UNIVERSITETA (Serie 6: Filosofia, Politologia, Sociolo-
gia, Psicologia, Diritto, 199034, Sankt-Peterburg, Universitetskaja nab., 7/9) ha pubblicato nel 1991 i seguenti articoli di filosofia: Problemi metodologici dello studio dei
sistemi partitico-poylitici, di V. A. Ackasov (n.4, pp.30-33); Alcuni problemi teorici di geografia poylitica, di K. E. Aksenov
(n.4, pp.19-23); Questioni teorico-metodologiche dello studio della vita politica,
di G. P. Artermov (n.4, pp.17-19); La cultura come oggetto della filosofia, di G. A.
Brandt (n.3, pp.12-15); Problemi urgenti
di politologia, di A. A. Fedoseev (n.4,
pp.3-9); Sul significato pragmatico del
marxismo, di G. G. Filippov (n.2, pp.3941); Il ruolo dei fondamenti filosofici della
teoria politica nel suo sviluppo, di G. G.
Filippov (n.4, pp.9-11); Filosofia della
cultura: problemi e prospettive, (n.3, pp.34); La coscienza filosofica nel contesto
della cultura della crisi, di N. V. Golik
(n.3, pp.22-28); “Classe operaia” e tecnocrazia, di D. A. Guscin (n.2, pp.36-39);
L’etica nel sistema della filosofia della
cultura, di V. G. Ivanov (n.3, pp.41-45);
Culturologia ed estetica: dialogo sulla crisi della cultura (n.La Francia degli anni
70/80), di E. P. Jurovskaja (n.3, pp.28-32);
Il problema dell’uomo nella storia della
filosofia marxista, di M. S. Kagan (n.2,
pp.10-18); Risultati e nuove frontiere della
filosofia della cultura, di M. S. Kagan (n.3,
pp.4-12); Il marxismo e l’attualità: a quale
eredità noi rinunziamo, di A. S. Kolesnikov (n.2, pp.31-33); Il problema dell’essenza e dell’esistenza nella politica, di
V. D. Komarov (n.4, pp.14-17); Il problema dello Stato nella filosofia sociale di E.
Weil, di M. Ja. Korneev e S.D. Vjakkereva
(n.1, pp. 3-12); Il ruolo della politologia
nello studio dei problemi globali di oggi, di
Ju. V. Kosov (n.4, pp.33-35); Sul senso
dell’esistenza finita (n.il problema della
morte nell’esistenzialismo di M. Heidegger e J. P. Sartre), di E. K. Krasnuchina
(n.1, pp. 12-18); La politologia come disciplina scolastica, di A. G. Krutilin (n.4,
pp.32-33); Problemi metodologici della
teoria della rivoluzione: eredità marxista e
attualità, di S. A. Lancov (n.4, pp.28-30);
Su una forma non verbale di rapporti (n.La
danza come lingua e mito), di E. K. Lugovaja (n.3, pp.54-57); Il problema della proporzione dell’internazionale e del nazionale nell’analisi politologica, di D. R.
Mamedov (n.4, pp.37-39); Ideologia e comunicazione, di B. V. Markov (n.2, pp.4148); Il marxismo in un mondo che cambia:
autoanalisi, valutazioni, prospettive (n.2,
pp.3-4); Come intendevamo Marx, di V. M.
Mezuev (n.2, pp.33-36); Per il problema
dell’uomo nella filosofia russa del XVIII
sec., di V. S. Nikonenko (n.2, pp.52-55);
Sul rapporto con la filosofia sociale del
marxismo, di Ju. V. Perov (n.2, pp. 7-10); Il
posto della politologia nel sistema delle
scienze sociali, di I. F. Pokrovskij (n.4,
pp.35-37); La politologia in URSS. Situazione, problemi, prospettive (n.4/3); Un
ricercatore instancabile (n.A. A. Bogdanov. Sguardo attraverso i decenni), di V.
V. Prozerskij (n.2, pp.18-26); Fenomenologia della coscienza marxista, di S. N.
Savel’ev (n.2, pp.48-52); Il destino storico
del marxismo classico: ricerca di nuovi
approcci all’analisi, di V. N. Scevscenko
(n.2, pp.26-31); I problemi della teoria
nella sociologia occidentale contemporanea, di R. P. Scpakova (n.3, pp.57-65); La
concezione della cultura nel pensiero religioso-filosofico russo della fine del XIXinizio del XX sec, di A. M. Sergeev (n.3,
pp.49-54); Il marxismo nel contesto delle
sue valutazioni generali, di Ju. N. Solonin
(n.2, pp.4-7); La filosofia della cultura:
valutazione metodologica della crisi delle
culture, di Ju. N. Solonin (n.3, pp.16-22);
Per lo studio della filosofia della natura di
Giovanni Scoto Eriugena, di Ju. N. Solonin
e A. Tolstenko (n.1, pp.18-26); Filosofia
della cultura ed estetica, di E. N. Ustjugova (n.3, pp.33-41); Problemi metodologici
degli studi politico-giuridici, di K. K. Vavilov (n.4, pp.27-28); Il problema dei partiti politici nei lavori dei sociologi russi
della fine del XIX-principio del XX sec., di
V. D. Vinogradov (n.3, pp.65-72); Politica
e religione nella società contemporanea,
di G. V. Voroncov (n.4, pp.23-27); Marxismo e filosofia russa, di A. F. Zamaleev
(n.2, pp.55-58); Filosofia della cultura e
filosofia dei valori, di A. V. Zdor (n.3,
pp.45-49); Le leggi oggettive della politica
oggetto della politologia, di D. P. Zerkin
(n.4, pp.11-14).
NOVITA' IN LIBRERIA
Agrippa, Hericus Cornelius
De occulta philosophia, libri tres
a cura di Vittoria Perrone Compagni
E.J. Brill, Leiden febbraio 1992
pp.656
Il saggio enciclopedico di Agrippa De
occulta philosophia reppresentò un importante contributo per la discussione
filosofica del Rinascimento sul potere
del magico e sulla sua relazione con la
religione. Questa edizione chiarisce
un numero di controversie sull’interpretazione di questo lavoro.
Anastaplo, George
American moralist:
on law, ethics and government
Ohio University Press, gennaio 1992
pp.600, £ 95.00
Andreas-Salomé, Lou
Friedrich Nietzsche
à travers ses oeuvres
a cura di Ernst e Thomas Pfeiffer
Grasset, Paris marzo 1992
pp.246, FF 110
Da Roma a Lucerna, dall’amicizia al
disaccordo, conversazioni e lettere nutrono lo scambio prolifico dove si intrecciano le intuizioni di Lou ed i lampi di genio del filosofo. questo saggio
fu pubblicato in Francia nel 1932. La
sua traduzione è stata rivista per questa
nuova edizione.
Andrini, Simona
La pratica della razionalità
Diritto e potere in Max Weber
Franco Angeli, Milano maggio 1992
pp.160, L. 20.000
L’autrice del volume torna a riflettere
su Max Weber e questo significa abbandonare le schematiche divisioni disciplinari e il ricorso ad un uso meccanico delle categorie sociologiche; significa presentare taluni aspetti meno
frequentati da cui possa emergere l’unità che sta a fondo della riflessione
weberiana.
Angoulvent, Anne-Laure
Hobbes ou la crise de l’Etat baroque.
PUF, Paris marzo 1992
pp.256, FF 135
Il Leviatano è una delle teorie dello
Stato moderno tra le più dirompenti.
Una nuova ipotesi è la sua inscrizione,
attraverso principi politici e giuridici,
in una prospettiva filosofica, psicologica ed estetica barocca.
Arendes, Lothar
Gibt die Physik Wissen
über die Natur? Das Realismusproblem
in der Quantenmechanik
Königs. & Neumann, Würzburg marzo 1992
pp.140, DM 29,80
Le scienze naturali postulano un mondo che esiste indipendentemente dalla
coscienza umana, sul quale esse pretendono di offrire una conoscenza
obiettiva. Questo lavoro costituisce
un’analisi dettagliata del problema, con
un punto di vista opposto a quello della
principale teoria fisica del nostro tem-
NOVITA' IN LIBRERIA
po, cioè quella quantistica.
Arendt, Hannah
Das Urteilen. Texte zu Kants
politischer philosophie
a cura di R. Beiner
Piper, München marzo 1992
pp.224, DM 19.80
Aristotele
Della Interpretazione
a cura di Marcello Zanatta
Rizzoli, Milano marzo 1992
pp. 369, L. 12.000
Il tema del trattato è la teoria del giudizio, tema principe della logica e operazione fondamentale della razionalità.
Nella teoria aristotelica del discorso
enunciativo viene del resto chiamata
in causa la nozione di verità, che costituisce uno dei significati dell’Essere.
Questa articolazione tra logica e ontologia ha percorso interamente la storia
della filosofia occidentale. La traduzione del De Interpretazione è corredata da un’introduzione e da un vasto
commento che focalizza i problemi
nei loro aspetti teorici e dal punto di
vista storico-filologico.
Aristotele
La Métaphysique
trad. dal greco di Jean-Louis Poirier.
Presses Pocket, Paris febbraio 1992
FF 65
Il testo fondatore della filosofia occidentale presentato nella sua versione
integrale e seguito da una documentazione sulla sua posterità nelle tradizioni greco-latina, araba ed ebraica.
Aristotele
Ethique à Eudème
ed. e trad. di Vianney Décarie
Vrin, febbraio 1992
pp.236, FF 54
“Aristotele ha penetrato la massa intera e tutti gli aspetti dell’universo reale,
la cui ricchezza e diversità ha assoggettate al concetto; la maggior parte
delle scienze filosofiche gli sono debitrici della loro differenziazione e del
loro inizio.” (Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia).
Arrington, Robert L.
Glock, Hans-Hohann (a cura di)
Wittgenstein’s “philosophical
investigation”: text and context
Routledge, London gennaio 1992
pp.256, £ 35.00
Aubral, Francois
Initiation à la philosophie
Marabout, Paris gennaio 1992
pp.94, FF 34
Prendere coscienza di sé e del mondo.
Interrogarsi ed interrogare il mondo.
La ragione, il linguaggio, l’estetica, la
politica, la morale e la metafisica.
Audretsch, J. (a cura di)
Die andere Hälfte der Wahrheit.
Naturwissenschaft, Philosophie,
Religion
C.H. Beck, München marzo 1992
pp.250, DM 22
Le “verità” di cui parlano fisici e biologi da una parte e filosofi e teologi
dall’altra si escludono a vicenda? Il
libro espone lo sviluppo storico di
questa problematica dall’Illuminismo
fino al dibattito contemporaneo.
Aurelius, Marcus
Meditations
A.S.L. Farquharson, marzo 1992
pp.256, £ 7.99
L’imperatore Marco Aurelio impersonificò la figura ideale del re-filosofo
nell’antichità. Le sue Meditazioni rivelano una mente di chiarezza ed originalità eccezionale e uno spirito in
accordo alla particolarità del destino
umano.
Ayer, A.J.
The philosophy of A.J. Ayer
Open Court Publishing Company,
marzo 1992
pp.840, £ 19.50
Consiste in 24 saggi di Ayer, ognuno
affronta un problema chiave del suo
pensiero.
B. Gräfrath et al. (a cura di)
Einheit, Interdisziplinarität
Komplementarität.
Orientierungsprobleme
der Wissenschaft heute.
De Gruyter, Berlino febbraio 1992
pp.262, DM 68
Teoria della scienza generale e specialistica: due culture? Scienze naturali,
dello spirito e sociali. Interdisciplinarità. Scienze della decisione e dell’orientamento. Scienza e politica.
Discussione su un modello di unità da
Leibniz al Circolo di Vienna fino ai
giorni nostri (“grand unified theory”
in fisica).
Bacelli, Luca
Praxis e poiesis
nella filosofia politica moderna
Franco Angeli, Milano maggio 1992
pp.272, L. 35.000
Contro le tendenze contemporanee della filosofia pratica e delle teorie sociologiche dell’azione, ispirate al modello della polis, l’autore sostiene che il
rapporto classico fra praxis e poesis
non può essere riproposto nelle mutate
condizioni della società contemporanea. Pur riconoscendo i limiti del paradigma della produzione, l’autore sottoliena la pertinenza teorico politica
della connessione fra economia e politica entro il contesto delle società industriali avanzate.
Balzan, Luciano
L’orizzonte di senso e-veniente
Franco Angeli, Milano maggio 1992
pp.160, L. 29.000
Proprio in virtù della sua natura sensibile, e perciò profondamente inadeguata, il “linguaggio” che si evince da
ogni pragmatica corporea, da ogni
Torah, sin dall’inizio tradisce l’urgenza di un oltrepassamento che si trasforma in concreta possibilità di senso
per noi e-veniente da “originarie amabilità”.
Barbour, Lohn D.
The coscience
of the autobiographer:
ethical and religious dimensions
of autobiographer
Macmillan Acad., febbraio 1992
pp.304, £ 35.00
In questo libro si afferma che lo scrivere un’autobiografia sorge il problema
cruciale di coscienza di come un autore prova a conoscere, verificare e rappresentare il carattere. Si vuole esplorare questo problema legato alla natura del vero, della caratterizzazione,
della virtù, della vergogna e della dimensione religiosa della coscienza.
Barisic, Pavo
Welt und Ethos.
Hegels Stellung zum Untergang
des Abendlandes
Königshausen & Neumann
Würzburg marzo 1992
pp.186, DM 38
Il punto di vista da cui qui viene discusso il concetto di mondo è il classico riferimento all’ethos. In rapporto
all’ethos, si comprende il tratto caratteristico della considerazione del mondo occidentale nel senso di mondo
dell’uomo. La parola ethos indica inequivocabilmente nel suo significato
originario la propria dimora, la propria
patria.
Barron, Jorge U.
Die Grundartikulation des Seins.
Eine Untersuchung auf dem Boden
der Fundamentalontologie
Martin Heideggers
Königshausen & Neumann
Würzburg marzo 1992
pp.344, DM 68
Questo saggio è un’analisi attenta dei
due problemi fondamentali dell’ontologia heideggeriana sulla base di “Sein
und Zeit” (1927) e delle lezioni “Die
Grundprobleme der Phänomenologie”
(1927).
Baumgarten, Alexander Gottlieb
NOVITA' IN LIBRERIA
Riflessioni sul testo poetico
Aesthetica Ed., Palermo 1992
pp.154, L. 25.000
Per la prima volta in traduzione italiana ed edizione critica il celebre saggio
da cui nasce l’estetica moderna.
Bazzani, Fabio
Unità identità differenza
Ponte alle Grazie,
Firenze, marzo 1992
pp. 254, L. 32.000
Interpretazione complessiva del pensiero di Schopenhauer alla luce delle
categorie di unità, identità, differenza.
Attraverso esse, viene messo in crisi il
concetto di razionalità proprio dell’età
moderna, il cui ontologismo viene
mostrato come inadeguato alla fondazione di un’autentica prospettiva etica. In questo modo Schopenhauer inaugura un modello interpretativo del
mondo e della vita che non riguarda
solo la dimensione filosofica della
cultura, ma anche le altre forme del
sapere.
Behrens, Fritz
Abschied von der sozialen Utopie
VCH, Weinheim marzo 1992
pp.260, DM 48
Bellingreri, Antonio
La metafisica tragica
di Schopenhauer
Franco Angeli, Milano aprile 1992
pp.176, L. 25.000
L’autore elabora una interpretazione
della filosofia di Schopenhauer come
metafisica tragica: determinando il filosofare come pensare senza fondamento, il filosofo aveva già espresso in
modo compiuto la forma prevalente
del pensiero contemporaneo.
Bernstein, Richard J.
The new constellation.
The ethical-political horizons
of modernity/post-modernity
Polity Press, Oxford febbraio 1992
pp.280, £ 11
Questo lavoro suggerisce che il dibattito sulla modernità e sull’era postmoderna dovrebbe essere inteso come
uno “Stimmung”, ovvero uno “stato
d’animo” che influenza il pensiero
corrente. L’autore esamina la visione
etico-politica di pensatori come
Heidegger, Derrida, Habermas e Rorty.
Berthold, Jürg
Althusserlektüren.
Lektüre, Ideologie, Didaktik
in Louis Althusser Diskurs
Königshausen & Neumann
Würzburg marzo 1992
pp. 170, DM 38
Il presente lavoro, sottolineando l’originalità ricca di tensione dell’opera di
Althusser, rende evidente che una sua
lettura è utile anche alla luce delle
sempre più numerose sconfitte della
tradizione marxista.
Bertolini, Mara Meletti
Il pensiero e la memeoria.
Filosofia e psicologia
nella “Revue Philòpsophique”
di Théodule Ribot (1876-1916)
Franco Angeli, Milano maggio 1992
pp.464, L. 40.000
Questo saggio intende presentare le
linee tematiche che caratterizzano la
ricerca sull’attività del pensiero in Francia e le loro variazioni teoriche, mostrandone i collegamenti con una più
generale prospettiva antropologica.
Besoli, Stefano
Il valore della verità
Ponte alle Grazie,
Firenze, maggio 1992
pp.238, L. 35.000
Questo studio sulla “logica della validità” nel pensiero di R. H. Lotze mette
a fuoco l’originalità di questo filosofo
che secondo Besoli consiste nel tentativo di oltrepassare il carattere unilaterale tanto dell’idealismo hegeliano
quanto del realismo herbartiano, per
cercare di definire i contorni di una
problematica conoscitiva non più legata al mero rispecchiamento del reale.
Bhaskar, Roy
Philosophy and the idea of freedom
Blackwell Publishing
Oxford marzo 1992
pp.256, £ 35
La prima parte è una critica del lavoro
di Richard Rorty sulla problematica
epistemologica. La seconda parte contiene tre testi che completano tale critica: il primo esamina la natura del
realismo critico, il secondo esplora i
rapporti tra fatto e valore, ed il terzo è
una sinossi della filosofia marxista.
Bialas, V. (a cura di)
Naturgesetzlichkeit
und Kosmologie in der Geschichte.
Steiner, Stuttgart marzo 1992
pp.120, DM 48
Bianco, Franco
Di Bernardo, Giuliano (a cura di)
Episteme e azione
Franco Angeli, Milano maggio 1992
pp.248, L. 32.000
L’idea di portare l’attenzione sul tema
dei rapporti tra “episteme” e “azione”,
è in larga misura collegata al configurarsi, nell’attuale riflessione filosofica
ed epistemologica, di teorie che si
presentano come espressione della crisi
del modello di razionalità dominante
nella nostra tradizione, a partire dall’Illuminismo. Vengono così studiate
concezioni e teorie che sono alla base
non solo dell’odierna prospettiva “postanalitica”, ma anche di movimenti
come lo storicismo, l’ermeneutica, il
pragmatismo.
Bielefeld, H. et al. (a cura di)
Würde und Recht des Menschen.
Festschrift für Johannes
Schwartländer zum 70. Geburtstag
Königshausen & Neumann
Würzburg gennaio-febbraio 1992
pp.350, DM 98
Interventi di filosofi, teologi e giuristi
che si confrontano con differenti aspetti
del diritto moderno e soprattutto del
diritto umano.
Bilgrami, Akeel
Belief and meaning:
the unity and locality of neutral content
Blackwell Publishing, gennaio 1992
pp.256, £ 37.50
Questo libro propone una teoria del
contenuto intenzionale che é ad un
tempo sia fregeana che kantiana nella
sua concezione della relazione tra la
mente e il mondo esterno. Senza compromettere la costituzione sterna della
mente, questo libro nega l’importanza
della normatività e della società per
l’intenzionale.
Blustein, Jeffrey
Care and commitment: taking
the personal point of view
Oxford University Press
gennaio 1992
pp.288, £ 27.50
Bottani, Andrea - Penco, Carlo
Significato e teorie del linguaggio
Franco Angeli, Milano maggio 1992
pp.288, L. 38.000
Questa raccolta vuole dare un’immagine dello stato attuale del dibattito in
filosofia del linguaggio, un dibattito
che registra, oltre agli ultimi sviluppi
del filone modellistico, la nascita e la
rapida crescita di approcci alternativi,
come le semantiche procedurali e la
semantica situazionale di Barwise e
Perry. I saggi tradotti ruotano tutti
intorno al problema del significato: il
rapporto tra significato e riferimento,
tra significato e verità, tra significato e
teoria logica.
Boulad-Ayoub, Josiane
Fiches pour l’étude de Kant
Université du Québec, gennaio 1992
pp.143, F 64
Schede di lettura per affrontare lo studio di Kant. Offrono una guida al
percorso kantiano, oltre che un’analisi
puntuale delle sue opere e un chiarimento dei punti nevralgici della sua
riflessione.
Brezis, David
Temps et presence: essai
sur la coceptualité kierkegaardienne
Vrin, Paris febbraio 1992
pp.288, F 216
Il proposito di questo studio è di mostrare che all’origine del pensiero esistenziale si trova piu’ un dispositivo
testuale dal meccanismo complicato
piuttosto che la semplicità di appello a
qualche “Eigentlichkeit”.
Brumbaugh, Robert S.
Plato for the modern age
University Press of America
febbraio 1992
pp.256, £ 13.95
Un’introduzione alla biografia di Platone con una descrizione dei suoi lavori rivolta a coloro che iniziano a studiare filosofia ma anche al lettore in generale. Include una spiegazione sistematica della teoria di Platone delle forme
e conclude con una applicazione delle
idee di Platone nel mondo d’oggi.
Brun, Jean
Socrate
PUF, febbraio 1992
pp.128, F 34
Tutta la storia della filosofia greca è
dominata dalla figura di Socrate; questo filosofo sfugge alla storia e agli
storici mentre il suo messaggio è sempre attuale.
Burke, Edmund
Inchiesta sul bello e il sublime
Aesthetica Ed., Palermo 1992
pp.204, L. 30.000
Le più inquietanti radici del moderno
in un classico esorcizzato dalla cultura
ufficiale.
C. Holzhey et al. (a cura di)
Forschungsfreiheit.Ein ethisches
und politisches Problem
der modernen Wissenschaft.
Vlg. D. Fachvereine
Zürich gennaio-febbraio 1992
pp.288, Frs 34
Si discutono scopi e circostanze di
contorno della libertà nella ricerca al
pari di considerazioni etiche e di intralci istituzionali. Si toccano quindi
alcune “questioni scottanti”: la dipendenza dal finanziatore, la trasparenza
della ricerca su commissione, il conflitto fra libertà di ricerca e salvaguardia della personalità.
Calvi, Evelina (a cura di)
Oltre la linea dell’avanguardia
Guerini, Milano giugno 1992
pp.166, L. 28.000
Raccolta di saggi (fra gli altri, Carchia,
Ferraris, Portoghesi, Vattimo e Vercellone) nei quali architetti e studiosi
di estetica esaminano la legittimità di
assumere ancora l’avanguardia, nei
suoi tratti trascgressivi, come paradigma del fare artistico.
Caprettini, Gian Paolo
Semiologia del racconto
Laterza, Bari marzo 1992
pp.184, L. 32.000
Il volume costituisce il tentativo, attraverso l’esame di testi di Dostojewskj,
Pirandello, Borges, di costruire una
teoria semiologica, e risponde a due
esigenze: render conto del rapporto fra
identità culturale dei testi e la tradizione culturale cui essi si riferiscono, e
mettere in luce il carattere di razionalità del significato narrativo, che non si
identifica semplicemente con il senso
del racconto.
Carfantan, Serge
Conscience et connaissance de soi
Presses Universitaires de Nancy
febbraio 1992
pp.273, F 100
Si tratta di uno studio generale del
tema della conoscenza di sé che parte
dalla tradizione occidentale, con Socrate, per arrivare al Vedanta indiano.
Carl, Wolfgang
Die transzendentale Deduktion
der Kategorien in der ersten Auflage
der Kritik der Reinen Vernunft.
Ein Kommentar.
Klostermann, Frankfurt a.M.
marzo 1992
pp.248, DM 78
Carrive, Lucien (a cura di)
Mandeville, Bernard
La fable des abeilles:
deuxième partie (1729)
introduzione di Paulette Carrive.
Vrin, gennaio 1992
NOVITA' IN LIBRERIA
pp.317, F 225
Scritta e pubblicata quindici anni dopo
la prima parte, questa seconda analizza i nuovi aspetti del funzionamento
della società, stabilendo tra l’altro la
differenza tra amor proprio e amore di
sé.
Carruthers, Peter
Human knowledge and human nature:
a new introduction to
an ancient debate
Oxford University Press
febbraio 1992
pp.208, £ 9.95
I dibattiti contemporanei sull’epistemologia dedicano molta attenzione alla
natura della conoscenza, ma tendono a
dimenticare il problema delle sue radici. L’autore cerca di trasformare e
rinvigorire l’empiricismo contemporaneo, mentre cerca di fornire una introduzione all’insieme di problemi
della teoria della conoscenza. Egli da
una presentazione e un’assestamento
alle affermazioni dell’empiricismo
classico, particolarmente alla sua negazione della conoscenza a priori e
della conoscenza innata. Egli afferma
che é giusto rigettare la prima ma non
la seconda, presentando una nuova
giustificazione del pricipale motivo
che lascia gli empiricisti contemporanei liberi nell’accettare la conoscenza
innata. Egli propone una discussione
dello scetticismo affermando che l’accettare l’accettare l’idea dei concetti
innati può condurre ad una risoluzione
decisiva del problema in favore del
realismo.
Carver, T. (a cura di)
The Cambridge companion to Marx
Cambridge University Press
Cambridge marzo 1992
pp.384, £ 40
Attingendo dal dibattito corrente e dalle
nuove prospettive, questo libro fornisce un’esauriente trattazione dei più
significativi contributi teorici di Marx.
Cascardi, Anthony J.
The subject of modernity
Cambridge University Press
Cambridge marzo 1992
pp.320, £ 12
Offre un resoconto storico delle origini e delle trasformazioni della razionalità e dell’io, come sono rappresentati
in Descartes, Cervantes, Pascal, Hobbes e nel mito del Don Giovanni, toccando temi di epistemologia, letteratura, politica, religione e psicologia.
Cauquelin, Anne
La mort des philosophes:
et autres contes.
PUF, Paris marzo 1992
pp.128, FF 70
Si tratta di raccontare la morte, concreta, triviale, a volte eroica, spesso curiosa, di qualche filosofo. Una serie di
favole, racconti, leggende, che l’autore ha raccolto con un pizzico di provocazione e l’intenzione dichiarata di
ristabilire l’opinione comune.
Caussat, Pierre
L’evenement
Desclée De Brouwer, marzo 1992
pp.210, FF 112
L’autore è dottore in filosofia e maitre
de conferences all’università di Parigi
X-Nanterre. Egli analizza qui il concetto di avvenimento come rischio di
catastrofe ma anche come nuova possibilità.
pp.500, £ 29.95
Presenta i contributi che si sono avuti
nel 1989 al Boston Area Colloquium.
Essi includono argomenti come forma
e gene-razione in Aristotele, il pensiero epicureo, la teoria etica e psicologica di Plotino e l’ignoranza e l’akrasia
in Platone. Ciascun contributo presenta un commento.
Cavaillé, Jean-Pierre
Descartes, la fable du monde.
Vrin, Paris febbraio 1992
pp.352, FF 210
Descartes ha scritto un’opera di scienza fisica, intitolata “Le Monde”, che si
presenta come una favola. Si tratta qui
di rendere conto della presenza paradossale di una favola in uno scritto
rivendicante la produzione della vera
scienza. L’autore confronta il teso cartesiano con la cultura barocca nella
quale esso si inscrive.
Clément, Olivier
Berdiaev: un philosophe russe
en France
Desclée De Brouwer, Paris
gennaio 1992
pp.241, FF 99
Una biografia di quel pensatore cristiano russo che fuggì nel 1922 dalla
Russia di Lenin per stabilirsi a Parigi.
Caysa, V. (a cura di)
“Hoffnung kann enttäuscht werden”.
Ernst Bloch in Leipzig
Hain, Frankfurt/M. marzo 1992
DM 38
Changeux, Jean-Pierre;
Connes, Alain
Matière à pensée
Seuil, Paris marzo 1992
pp.267, FF 49
Questo dialogo, tra un matematico ed
un neurobiologo, sui legami che possono esistere tra il cervello e gli oggetti
matematici, sfocia in una riflessione
sui rapporti tra scienza ed etica.
Chen, Ludwig C.H.
Acquiring knowledge of the ideas.
A study of Plato’s methods
in the Phaedo, the Symposium and
the central books of the Republic
Steiner, Stuttgart marzo 1992
pp.248, DM 88
Chevalier, Jacques
Histoire de la pensée
-1: Des présocratiques à Platon
pp.271, F 185
-2: D’Aristote à Plotin
pp.335, F 185
Ed. Universitaires, febbraio 1992
Presenta, per ogni pensatore, una trattazione completa di riferimenti dotti e
discussioni su problemi specifici (in
appendice). Il periodo studiato è di
nove secoli.
Cillins, Stephen L.
From divine cosmos
to sovereign state:
an intellectual history
of consciousness and the idea
of order in Renaissance England
Oxford University Press
Oxford gennaio 1992
pp.256, £ 11.95
Cleary, John J.
Sharlin, Daniel C. (a cura di)
Proceedings
of the Boston Area colloquium
in ancient philosophy: vol.VI
University Press of America
febbraio 1992
Cometa, Michele
Il romanzo dell’infinito
Aesthetica Ed. , Palermo 1992
pp.212, L. 28.000
Mitologie, metafore e simboli dell’età
di Goethe reinterpretati in un affresco
unitario.
Connell, George B.
Evans, C. Stephen (a cura di)
Foundations of Kierkegaard’s vision
of community: religion, ethics
and politics in Kierkegard
Humanities P., U.S., gennaio 1992
pp.304, £ 35.95
Conrad, Judith
Freiheit und Naturbeherrschung.
Zur Problematik der Ethik Kants
Königshausen, Würzburg
febbraio 1992
pp.194, DM 44
Cooper, David E.
Palmer, Joy (a cura di)
Environment in question:
ethics and global issues
Routledge, London gennaio 1992
pp.272, £ 10.99
Copenhaver, John D.
Prayerful responsibility:
prayer and social responsability
in the thought of Douglas Steere
University Press of America
marzo 1992
pp.216, £ 30.50
Questo studio esamina il problema di
mettere in relazione la preghiera con la
responsabilità sociale attraverso
un’analisi e valutazione critica del
pensiero religioso di Douglas Steere,
un pensatore quacquero ed una figura
chiave nella spiritualità del ventesimo
secolo.
Cornell, Drucilla
Beyond accommodation:
ethical feminism, sexual difference
and utopian possibility
Routledge, London, marzo 1992
pp.240, £ 10.99
Traccia un diagramma del femminismo etico attraverso l’alleanza con il
decostruzionismo filosofico. L’autrice si oppone alla descrizione essenziale e naturalista della sessualità femminile offerta dalle femminste francesi
che riducono la differenza sessuale
femminile.
Corradi Fiumara, Gemma
The symbolic function:
psychoanalysis and the philosophy
of language
Blackwell Publishing, London
febbraio 1992
pp.256, £ 12.95
Tentativo di spiegare l’azione simbolica umana e sviluppare una decsrizione del linguaggio e della conoscenza
generalmente distante dai difefrenti
movimenti filosofici e psicoanalitici.
L’autore afferma che l’uso umano dei
simboli non é una funzione puramente
cognitiva ma é anche interattiva.
Costantini, Michel
La génération Thalès
Criterion, Paris marzo 1992
pp.90, FF 99
Nel corso degli anni 650-550 a.C.,
attorno alla generazione di Talete, si
sono prodotti dei progressi decisivi in
tre campi del sapere: il pensiero pragmatico, il pensiero figurativo, il pensiero speculativo.
Cousineau, Robert H.
Zarathustra and the ethical ideal.
Timely meditations on philosophy
John Benjamin Publ.,
Amsterdam gennaio-febbraio 1992
pp.224, Dfl. 130
Il libro ci invita a riflettere su come
uscire dai grossi vicoli ciechi dell’analitica contemporanea, dell’ermeneutica e del pensiero postdecostruzionista.
Couture, Jocelyne
Ethique et rationalité
Mardaga, marzo 1992
FF 120
Contiene la sostanza di alcune conferenze su questo tema tenute all’Université du Québec a Montréal. Come
possono scelte individuali dettate da
interessi e punti di vista limitati, convergere verso un ordine socialmente
vantaggioso.
Crane, T. (a cura di)
The contents of experience.
Essays on perception
Cambridge University Press
Cambridge marzo 1992
pp.276, £ 30
I saggi raccolti in questo volume non
solo offrono nuove risposte ad alcuni
classici interrogativi sulla percezione,
ma esaminano anche l’argomento alla
luce delle recenti ricerche sul contenuto mentale.
Croce, Benedetto
The aesthetic as the science
of expression and of the linguistic
in general (“estetica”):
part 1. Theory
Cambridge University Press
Cambridge marzo 1992
pp.224
Presentando una descrizione della
struttura della mente umana, Croce
mostra come l’arte sorge naturalmente da questa struttura, ed introduce
anche la nozione dell’unità organica
del lavoro artistico.
Cumming, Robert Denoon
Phenomenology and deconstruction.
NOVITA' IN LIBRERIA
The dream is over.
Univ. of Chicago Press
Chicago gennaio-febbraio 1992
pp.176, $ 21
Cumming dimostra che ciò che può
essere considerato rilevante per arrivare ad una fine della filosofia, può
essere facilmente determinato considerando le rotture che hanno caratterizzato la storia della filosofia. Egli
perviene a certe categorie spiegando
cosa comportano distruzioni quali la
rottura di Heidegger con Husserl, quella di Heidegger con Sartre e quella di
Merleau-Ponty con Sartre.
D. Luutz (a cura di)
Gesellschaftliche Reproduktion
und soziale Kommunikation.
Studientexte
zu einer philosophischen Theorie
sozialer Kommunikation.
Argument, Hamburg febbraio 1992
pp.111, DM 18
Dähnhardt, Simon
Wahrheit und Satz an sich.
Zum Verhältnis des Logischen
zum Psychischen und Sprachlichen
in Bernard Bolzanos
Wissenschaftslehre
Centaurus Vlg., Pfaffenweiler
marzo 1992
Dal Pra, Mario - Minazzi, Fabio
Ragione e storia.
Mezzo secolo di filosofia italiana
Rusconi, Milano maggio 1992
pp.347, L. 36.000
Articolato in cinque densi capitoli che
ripercorrono i momenti di sviluppo
del pensiero di Dal Pra dagli anni di
studio nel Vento degli anni trenta,
passando per l’impegno durante la seconda guerra mondiale e nella Milano
della ricostruzione, fino alle discussioni che hanno posto le premesse per
un rinnovamento della storiografia filosofica in Italia, questo agile volume
può ben essere visto come l’autobiografia intellettuale di Dal Pra, scomparso poche settimane prima della sua
apparizione nelle librerie. Si presenta
come una lunga intervista, nella quale
Minazzi si è assunto il compito di
porre le domande e corredare il testo di
note assai puntuali. Il volume raccoglie diversi materiali inediti o poco
noti che documentano lo spessore teorico dei risultati cui ha messo capo il
pensiero di Dal Pra.
Davies, Brian
The thought of Thomas Aquinas
Clarendon Press, London
febbraio 1992
pp.408, £ 45.00
Tommaso d'Aquino é stato uno dei più
importanti filosofi occidentali e uno
dei più grandi teologi della Chiesa
Cristiana. I filosofi che dopo Wittgenstein hanno lottato per sfuggire dal
potente pensiero di Cartesio, e i teologi che hanno cercato di allontanarsi
dalle dicotomie sorte nello stesso periodo, trovano entrambi in Aquino un
uomo libero da queste preoccupazioni
che parla direttamente con il nostro
tempo. Questo libro rappresenta una
moderna presentazione del pensiero
totale di Aquino. In generale i libri sul
suo pensiero considerano o la sua filosofia o la sua teologia. Ma egli stesso
non ha mai fatto tale distinzione, e
questo libro permette di considerallo
interamente.
Davis, Paul
The mind of God: the scientific
basis for a rational world
Simon & Schuster, London
febbraio 1992
pp.288. £ 14.99
Completando la sua indagine matafisica del significato e dell’origine della
vitain “God and the new physics”, il
fisicista Paul Davis vuole ulteriormente
analizzare le spiegazioni teologiche e
scientifiche della creazione dell’universo. Egli esamina la natura della
ricerca scientifica ed il nostro ruolo nel
cosmo, facendo fuoco sulla nostra comprensione crescente della complessità
organizzata, che avviene grazie all’avvento della velocità del computer.
Epoche differenti hanno usato loro
proprie metafore per descghrivere
l’universo. Per 300 anni, la scienza é
stata dominata dalla ricerca di modelli
semplici in natura. Ma ora, con l’avvento del computer, possiamo riscontrare il fatto che le leggi fisiche giocano un duplice ruolo: esse forniscono i
modelli semplici che sottolineano tutti
i fenimeni fisici, ma esse sono anche in
grado di far emergere la profonda complessità organizzata. Che le leggi del
nostro universo possiedano questa cruciale doppia proprietà é un fatto di
significanza cosmica, che ci mette in
grado di riflette sulla natura di quello
stesso universo e di intravedere le regole che lo percorrono.
Decher, Fr. - Henningfeld, J.
(a cura di)
Philosophische Anthropologie
im 19. Jahrhundert
Königshausen & Neumann
Würzburg gennaio-febbraio 1992
pp.214, DM 38
I primi articoli presentano i luoghi
sistematici dell’antropologia nella filosofia di Fichte, Schelling ed Hegel. I
successivi si occupano di questioni
antropologiche in Humboldt, Schleiermacher, Feuerbach, Darwin, Kierkegaard, Marx, Dilthey e Nietzsche.
Delbos, Victor
De Kant aux postkantiens
Aubier, Paris marzo 1992
FF 145
Uno studio sui metafisici tedeschi della prima metà del diciannovesimo secolo e sulla loro assimilazione del kantismo.
Delhomme, Jeanne
Jeanne Delhomme
A cura di Monique Dixsaut.
Cerf, Paris marzo 1992
pp.250, FF 195
La filosofia è stata per J.Delhomme
una ricerca continua, con dei ripensamenti ed un desiderio sempre appassionato di lucidità. La sua tesi sul pensiero interrogativo potrebbe coprire
tutta la sua opera.
Della Valle, Sergio
Il bisogno di una libertà assoluta
Franco Angeli, Milano maggio 1992
pp.256, L. 38.000
L’autore cerca di dimostrare la presenza nella Fenomenologia di una filosofia della storia nel senso “forte”
del termine, ossia come lettura filosofica complessa delle vicende dell’umanità. Deedica inoltre ampio spazio alla
interpretazione hegeliana delle diverse fasi di sviluppo dello “spirito del
mondo”: dallo stato di natura e dal
dispotismo orientale alla Rivoluzione
francese e allo stato moderno postrivoluzionario.
Dennett, Daniel
Consciousness explained
Allen Lane the Penguin Press
London marzo 1992
pp.448, £ 20.00
Si riconsidera il punto tradizionale sulla
coscienza per affermare che la tautologia ed il dualismo cartesiano della
mente e del corpo dovrebbero essere
sostituiti con la teoria della neuroscienza, della psicologia e dell’intelligenza artificiale.
Dentone, Adriana (a cura di)
Michele Federico Sciacca:
Europa o “occidentalismo”?
Unicopli, Milano marzo 1992
pp.295, L. 25.000
Raccolta degli interventi del convegno di Chiavari (8-10 marzo 1990)
dedicato al pensiero di Michele Federico Sciacca. Tratti caratteristici della
civiltà occidentale sono per Sciacca la
crisi dei valori religiosi, morali, estetici, civili, il rifiuto della tradizione classica e cristiana, nell’affermazione della “logica dell’utile” che accompagna
tecnicismo e scientismo.
Descartes, Rene
Meditations on first philosophy
traduzione di G. Hefferman
Univ. Notre Dame
Paris gennaio 1992
pp.96, £ 3.50
Descartes, Rene
Critical assessment
a cura di Georges J.D. Moyal
Routledge, London marzo 1992
£ 300
Una raccolta dei più significativi contributi della dottrina cartesiana. Contiene circa 120 articoli sul metodo
cartesiano, l’epistemologia, la metafisica e gli apporti di Cartesio alla matematica e alla scienza.
Detlefsen, Michael (a cura di)
Proof, logic and formalization
Routledge, London, gennaio 1992
pp.272, £35.00
Detlefsen, Michael (a cura di)
Proof and knowledge in mathematics
Routledge, London gennaio 1992
pp.256, £ 35.00
Dieterich, R. - Pfeiffer, C.
(a cura di)
Freiheit und Kontingenz.
Zur interdisziplinären Anthropologie
menschlicher Freiheiten
und Bindungen
Asanger, Heidelberg marzo 1992
pp.350, DM 68
Djuric, M. (a cura di)
Nietzsche und Hegel
Königshausen & Neumann
Würzburg gennaio-febbraio 1992
pp.180, DM 29,80
Gli interventi di una giornata internazionale su Nietzsche tenutasi a Dubrovnik dall’1 al 6 aprile 1991.
Droz, Geneviève
Les mythes platoniciens
Seuil, Paris febbraio 1992
pp.212, FF 43
Repertorio completo dei miti platonici, alcuni molto noti (la caverna, la
reminiscenza, Prometeo), altri meno.
Un condensato di tutta la saggezza
greca.
Druwe, U. - Mikusin, B.
Die Dichtungsphilosophie
der Renaissance als Antizipation
der modernen Sprachphilosophie
Ars Una, Munchen marzo 1992
pp.124, DM 38
Dupuy, Jean-Pierre
Le Sacrifice et l’envie:
le libéralisme aux prises
avec la justice sociale.
Calmann-Lévy, Paris marzo 1992
pp.374, F 150
Individualismo liberale e giustizia sociale: di questa coppia di contrari, vera
croce delle società democratiche, tratta l’autore in un’esplorazione della
filosofia liberale di ispirazione economica, da Adam Smith a Robert Nozick.
During, Simon
Foucault and literature:
towards a genealogy of writing
Routledge, London marzo 1992
pp.156, £ 35.00
Offrendo una critica di Foucault e degli studi letterari che sono stati influenzati dal suo pensiero, Diring fa
risalire lo spirito “trasgrssivo” di Foucault a Sade e Artaud fino ai “nuovi
novellisti francesi” del 1960.
Eco, Umberto - Rorty, Richard
Culler, Jonathan
Brooke-Rose, Christine
Interpretation
and overinterpretation
a cura di Stefan Collini
Cambrige University Press
marzo 1992
pp.160
I limiti dell’interpretazione sono analizzati in questo lavoro da un semiotico le cui proprie novelle dimostrano la
complessità che ha povocato nei lettori un’intensa speculazione.
Eftichios Bitsakis (a cura di)
Basi della fisica moderna
Dedalo, Bari febbraio 1992
pp.298, L. 28.000
Con questa nuova opera Bitsakis viene a inserirsi nel controverso dibattito
sullo spazio del realismo in fisica. Giunge a ridefinire lo statuto epistemologico degli oggetti quantici, da lui considerati come entità fisiche indipendenti. Gli strumenti della tradizione dia-
NOVITA' IN LIBRERIA
lettica applicati alla fisica dei quanti
fanno di quest’epoca un importante
punto di incontro tra filosofi e fisici.
Ehrenberg, Stefan
Gott, Geist und Korper in der
Philosophie von Nicolas Malebranche
Academia, Vlg., St. Augustin
marzo 1992
pp.206, DM 44
Eibl-Eibesfeldt, Irenäus
L’uomo a rischio
Bollati Boringhieri, Milano
maggio 1992
pp.264, L. 36.000
L’etologia come storia naturale dell’irragionevolezza umana e riflessione sui destini della nostra specie. L’autore vuol far luce sulle trappole insidiose capaci di mettere a rischio la
nostra sopravvivenza e sui presupposti indispensabili per correggere la rotta.
Emo, Andrea
Le voci delle muse.
Scritti sulla religione
e sull’arte (1918-1981)
a cura di M. Donà e R. Gasparotti
Marsilio, Venezia aprile 1992
pp.199, £ 35.000
Dopo il precedente Il dio negativo,
questo volume raccoglie i testi dedicati dall’appartato e solitario filosofo
Andrea Emo all’estetica ed alla religione. Il nucleo attorno a cui si muove
la riflessione di Emo è il tema del
“negativo”, nelle sue articolazioni teologico-filosofiche e religiose: come,
sul piano teologico, il Dio cristiano è il
“Dio negativo”, che continuamente si
nega perché gli esseri possano esistere, così, in un’estetica debitrice della
lezione di Hegel e Heidegger, anche
l’arte si manifesta negando se stessa e
le proprie forme.
Emser, Engelbert
Engagement für Humanität.
Ein Christlicher Dialog mit
Albert Camus.
Haag und Herchen, Frankfurt/M.
gennaio-febbraio 1992
pp.276, DM 38
Enderlein, Wolfgang
Abwägung in Recht und Moral
Alber, Freiburg i.Br.
gennaio-febbraio 1992
pp.420, DM 96
Il libro tratta la questione del fondamento delle azioni sulla base di criteri
fondati sul fine e orientati sull’atto, in
riferimento alla scelta del gesto nella
morale extragiuridica e in quella giuridica, in particolare nella situazione
decisionale giudiziaria.
Engel, J. Ronald - Engel, Joan Gibb
(a cura di)
Ethics of environment
and development: global challenge
and international response
Belhaven Press, London marzo 1992
pp.256, £ 14.99
Questo libro analizza insieme ambientalisti, filosofi, biologi, teologi ed altri
per considerare le dimensioni morali
ed etiche del deterioramento ambientale e dello sviluppo sostenibile.
Engler, Ulrich
Kritik der Erfahrung.
Die Bedeutung
der ästhetischen Erfahrung
in der Philosophie John Deweys
Königshausen & Neumann,
Würzburg
marzo 1992
pp.294, DM 78
Lo studio su John Dewey cerca di
cogliere al di là delle vecchie barriere
eurocentriche di accettazione storica
(pragmatismo, strumentalismo) un legame con il passato e di individuare in
questo accostamento una filosofia che
tende all’analitico anche dall’altra parte
dell’Atlantico.
Ernst, Germana
Religione, ragione e natura
Ricerche su Tommaso Campanella
e il tardo Rinascimento
Franco Angeli, Milano maggio 1992
pp.296, L. 36.000
Amico di Galileo, autore di una celebre utopia, La città del Sole, Campanella è una delle figure più alte del
periodo tra il ‘500 e il ‘600. Questo
volume esamina alcuni aspetti centrali
della sua filosofia, mettendone in rilievo i rapporti con il pensiero di altri
autori contemporanei quali Della Porta, Cardano, Vanini e lo stesso Galileo.
Esterbauer, Reinhold
Transzendenz-”Relation”.
Zum Transzendenzbezug
in der Philosophie Emmanuel Levinas
Passagen-Vlg., Wien marzo 1992
pp.288, DM 52.80
Failla, Mariannina
Dilthey
e la psicologia del suo tempo
Franco Angeli, Milano maggio 1992
pp.160, L. 25.000
Ricostruzione insieme teorica e storica della teoria psicologica di Dilthey.
Una tale ricostruzione mostra come la
teoria di Dilthey superi l’avversità
kantiana per la scienza psicologica e
nel contempo delinei i tratti di quella
“coscienza naturale” che troverà un
fondamento nelle riflessioni fenomenologiche di Husserl.
Fedler, Stephan
Der Aphorismus. Begriffsspiel
zwischen Philosophie und Poesie
M und P, Stuttgart
gennaio-febbraio 1992
pp.229, DM 39.80
Fehér, I.M. (a cura di)
Wege und Irrwege des neueren
Umganges mit Heideggers Werk.
Ein deutsch-ungarisches Symposium
Duncker und Humblot,
Berlin
gennaio-febbraio 1992
pp.211
Feldman, Fred
Confrontations with the reaper:
a philosophical study of the nature
and value of death
Oxford University Press
febbraio 1992
pp.240, £ 22.50
Questa monografia presenta una discussione del problema filosofico intorno alla morte. L’autore analizza il
problema concettuale sulla natura della morte e l’antico problema etico epicureo sul danno della morte, che sorge
dall’idea che la morte non esiste.
Fernández Moreno, Luis
Wahrheit und Korrespondenz
bei Tarski. Eine Untersuchung
der Wahrheitstheorie als
Korrespondenztheorie der Wahrheit
Königshausen, Würzburg marzo 1992
pp.182, DM 46
Ferretti, Giovanni (a cura di)
Filosoia e teologia nel
futuro dell’Europa
Marietti, Genova febbraio 1992
pp.275, L. 38.000
Questa collezione di saggi è la pubblicazione degli atti del V colloquio su
Filosofia e Religione tenutosi a Macerata nell’ottobre del 1990. Viene preso
in considerazione il contributo che la
filosofia e la teologia possono dare alla
nuova Europa, chiedendosi se è possibile riproporre una convergenza fra le
due discipline, e su quali temi.
Ferry, Luc-Renaut, Alain
Philosophie politique
3: Des droits de l’ homme
à l’idée républicaine
PUF, Paris marzo 1992
pp.192, F 119
Questo saggio contribuisce a chiarire
le differenze determinanti tra liberalismo e socialismo.
Feuerbach, Ludwig
Etica e felicità
Guerini, Milano maggio 1992
pp.127, L. 22.000
Prima traduzione italiana condotta sul
manoscritto. La filosofia per l’uomo
annunciata da Feuerbach conduce all’elaborazione di un’etica eudemonistica. Contro Kant, una volontà separata dall’impulso a essere felici è giudicata una pura invenzione del pensiero, senza alcun contenuto. I doveri
verso gli altri possono essere spiegati,
invece, a partire dal desiderio di felicità delll’individuo, che non si appaga
esclusivamente del proprio bene ma
mira, al tempo stesso, a una felicità
comune.
Filone d’Alessandria
la vita contemplativa
a cura di Paola Graffigna
Il Melangolo, Genova gennaio 1992
pp. 189, L. 22.000
Opera singolare della tradizione ebraica, il De Vita Conteplativa di Filone
d’Alessandria è l’apologia della vita
religiosa di una comunità di perfetti: i
Terapeuti.
Fleischmann, Eugène
La philosophie politique de Hegel
Gallimard, Paris febbraio 1992
FF 63
Dall’autore di “Le christianisme mis à
nu”.
Florschütz, Gottlieb
Swedenborgs verborgene Wirkung
auf Kant. Swedenborg und die
okkulten Phänomene aus der Sicht
von Kant und Schopenhauer
Königshausen, Würzburg marzo 1992
pp.202, DM 48
Fornari, Fabrizio
Essere ed evento in Heidegger
Franco Angeli, Milano aprile 1992
pp.200, L. 25.000
La “svolta del pensiero heideggeriano
oltre l’interruzione-fallimento di Essere e tempo.
Forum für Philosophie
Bad Homburg (a cura di)
Zeiterfahrung und Personalität
Suhrkamp, Frankfurt/M.
gennaio-febbraio 1992
pp.272, DM 24
Foti, Veronique M.
Heidegger and the poets: poiesis,
sophia, techne
Humanities P., U.S., gennaio 1992
pp.192, £ 27.95
Frank, Manfred
Der unendliche Mangel an Sein.
Schellings Hegelkritik und die
Anfänge der Marxschen Dialektik.
Mit einer neuen Einleitung
und einem Anhang
über Heine und Schelling
Fink, München marzo 1992
pp.380, DM 68
In un’epoca in cui il marxismo ha
dichiarato bancarotta, il libro di Frank
conquista un ruolo di attualità che al
suo primo apparire (1975) non
aveva.Per questo motivo, l’autore ha
operato un’importante revisione sull’opera.
Franzini, Elio
Fenomenologia
Introduzione tematica
al pensiero di Husserl
Franco Angeli, Milano maggio 1992
pp.128, L. 20.000
Vengono qui presentati, in una sintesi
che ne rispetta il senso filosofico, i
temi principali della fenomenologia di
Husserl. Accanto agli strumenti principali del metodo fenomenologico, ai
suoi nuclei fondati, il pensiero di Husserl è osservato nella sua dimensione
più profonda e radicale, volta alla definizione del senso stesso della filosofia.
Frazen, Elizabeth
Hornsby, Jennifer
Lovibond, Sabina (a cura di)
Ethics: a femminist reader
Blackwell Publishing, marzo 1992
£.13.95
26 articoli scritti da donne confrontano i pregiudizi maschili storici e contemporanei nella moralità. Questo libro rappresenta una risposta femminile al problema della moralità. Mary
Wollstonecraft, Simone de Beauvoir,
Adrienne Rich e Catherine Mackinnon sono fra le autrici.
French, Peter A. (a cura di)
Philosophy and the arts
Univ. Notre Dame Paris., gennaio 1992
NOVITA' IN LIBRERIA
pp.496, £ 17.50
Friedlein, Curt
Geschichte der Philosophie.
Lehr-und Lernbuch.
E. Schmidt, Berlin
gennaio-febbraio 1992
pp.432, DM 49.80
Froment-Meurice, Marc
La chose, meme: solitude II
Galilée, Paris febbraio 1992
pp.320, F 175
Di cosa si tratta? La cosa esiste? »
piuttosto una non- esistenza, ma poetica; un segno più che un senso. Ad
esempio l’immagine, l’identità, la libertà. Qualche riferimento a Rousseau, Nietzsche e Derrida. L’autore ha
appena terminato una biografia di
Georg Trakl per i tipi di Belin.
Fuller, Michael
Truth, value and justification
Avebury, Aldershot marzo 1992
pp.200, £ 32
Una ricerca storica e sistematica sui
fondamenti dell’epistemologia e dell’etica. Rintraccia i legami esistenti tra
realtà e valore, vero e valore, realtà e
teoria. Conclude affermando che, nonostante qualche sviluppo interessante, la filosofia non è mai andata oltre il
“paradigma kantiano”.
Gamm, Gerhard
Die Macht der Metapher.
Im Labyrinth der modernen Welt
J.B. Metzler, Stuttgart marzo 1992
pp.197, DM 38
Gamm segue precisamente l’esperienza estetica e suggerisce l’idea che poiché il rapporto fra ragione e facoltà
immaginativa, concetto e metafora,
illuminismo e mito possano essere
pensati sostanzialmente in funzione
della nostra società.
Gardeya, Peter
Platons LACHES. Interpretation
und Bibliographie. 2., erw. Aufl.
Königshausen & Neumann, Würzburg
marzo 1992
pp.42, DM 24
Il testo segue il pensiero del riso del
dialogo platonico dando al lettore una
prospettiva del contrasto fra la letteratura e le più importanti argomentazioni e concetti platonici.
Gava, Giacomo
Scienza e filosofia della coscienza
Franco Angeli, Milano aprile 1992
pp.240, L. 30.000
Il volume presenta le principali concezioni di neuroscienziati, studiosi del
comportamento animale, di intelligenza artificiale, psicologi e filosofi che si
sono particolarmente dedicati al problema della coscienza.
Gehring, A et al. (a cura di)
Diagrammatik und Philosophie. 1.
Rodopi, Amsterdam
gennaio-febbraio 1992
pp.202, Dfl 75
Congresso interdisciplinare (15.16.12.1988), organizzato dal Forschungruppe Philosophische Diagram-
matik alla Fern-Universität/Gesamthochschule Hagen.
Generali, Dario (a cura di)
Antonio Vallisneri: epistolario
Vol. I: 1679-1710
Franco Angeli, Milano maggio 1992
pp.656, L. 70.000
Gerth H., Hans
Mills, W. Charles
Max Weber. Da Heidelberg al Midwest
a cura di Pietro L. Di Giorgi
Franco Angeli, Milano maggio 1992
pp.176, L. 25.000
Prima biografia di Max Weber in lingua italiana a settant’anni dalla morte.
Biografia agile, ma densa ed articolata, utile per la contestualizzazione storica dell’uomo, del politico e dello
scienziato sociale.
Geymonat, Ludovico
Minazzi, Fabio
Dialoghi sulla pace e sulla libertà
Cuen, Napoli febbraio 1992
pp.223, L. 20.000
Il libro prende in considerazione i concetti di pace e di libertà, cercando di
liberarli dai luoghi comuni, proponendo una lettura approfondita dei giorni
nostri. Analisi teoriche si intrecciano
con la biografia intellettuale e civile di
Ludo-vico Geymonat.
Gilbert, Paul P.
La semplicità del principio.
Introduzione alla metafisica
Edizioni Piemme, Casale Monferrato
marzo 1992
pp. 383, L. 45.000
Nell’interrogazione sul Principio il
pensiero umano incontra il suo limite
speculativo ma anche la sua stessa
destinazione. In questa introduzione
alla metafisica, Gilbert mostra per quale
via sia possibile una riflessione orienatata verso il principio e, attraverso
un percorso sistematico e riflessivo,
porta a vedere nell’incontro con l’altro, l’esercizio di ciò che costituisce
l’essere più intimo dell’uomo.
Gill, Jerry H.
Merleau-Ponty and metaphor
Humanities Press, USA
gennaio-febbraio 1992
pp.176, £ 28
Accertando l’uso pitovalico del linguaggio e delle metafore in MerleauPonty, l’autore cerca di gettare una
nuova luce sulla comprensione di questo pensatore e sull’esercizio della filosofia, scoprendo nei suoi lavori l’uso
delle immagini metaforiche.
Goehr, Lydia
The immaginary museum
of musical works: an essay
in the philosophy of music
Clarendon Press, febbraio 1992
pp.320, £ 35.00
Goodman, L.E.
On justice.
An essay in Jewish philosophy
Yale U.P., New Haven
gennaio-febbraio 1992
pp.296, $ 42
Goodman presenta la prima teoria generale della giustizia, in questo secolo,
che usa sistematicamente i principi
giudaici inserendoli in un dialogo con
l’influenza etica e politica dei testi
della tradizione occidentale.
Graham, Joseph F.
Onomatopoetics:
theory of language and literature
Cambridge University Press
marzo 1992
pp.330
Si riconsiderano gli argomenti del Cratilo di platone su come le parole significano le cose, e la teoria di Chomsky
dello stato naturale innato del linguaggio che contrata la nozione di Saussure.
Gramont, Jerome de
La vie quotidienne: esquisses
Ed. Universitaires, Paris
gennaio 1992
pp.142, FF 145
Queste pagine, scritte per una trasmissione alla radio, si rivolgono ad un
pubblico di non filosofi.
Granger, Gilles-Gaston
La verification
O. Jacob, Paris febbraio 1992
pp.313, FF 180
Un esame dei rapporti tra conoscenza
simbolica e conoscenza intuitiva dal
punto di vista dell’idea di verità.
Grassi, Ernesto
La metafora inaudita
Aestethica Ed., Palermo 1992
pp.170, L. 20.000
L’esito conclusivo di un protagonista
della cultura filosofica del Novecento.
Grim, Patrick
The incomplete universe:
totality, knowledge, and truth
Bradford Book, London
febbraio 1992
pp.256, £ 22.50
La principale affermazione di questa
indagine filosofica é che all’interno
della logica non si ha una nozione
coerente di vero o di conoscenza totale. Grim esamina una serie di paradossi mettendo in relazione i risultati,
mostrandone le loro implicazioni per
l’epitemologia, la metafisica e la filosofia della religione. Questo libro affronta i falsi paradossi proponendone
una soluzione, il paradosso del conoscitore di Kaplan e di Montague, i
teoremi di Goedel e i relativi fenomeni
di incompletezza, e una nuova forma
dell’argomento cantoriano. L’enfasi é
filosofica piuttosto che formale, con
un occhio alla connessione con i mondi possibili e alla nozione di omniscienza.
Grim, Patrick
The incomplete universe.
Totality, knowledge and truth
MIT Press, Cambridge
gennaio-febbraio 1992
pp.256, $ 30
In qualsiasi logica che utilizziamo,
può esserci una nozione incoerente di
tutta la verità o della totalità della
conoscenza. Grim esamina una serie
di paradossi logici e mette in relazione
i risultati formali per rivelarne le implicazioni rela-tive all’epistemologia,
alla metafisica e alla filosofia della
religione.
Guattari, Félix
Chaosmose
Galilée, marzo 1992
pp.176, F 98
Tra le nebbie e i miasmi che oscurano
la nostra fine di millennio, la questione
della soggettività è ormai divenuta un
leitmotiv. La psicoanalisi, l’analisi istituzionale, il cinema, la letteratura, la
poesia... Tutte le discipline dovranno
unire la loro creatività per scongiurare
la barbarie.
Guyer, Paul (a cura di)
The Cambridge companion to Kant
Cambridge University Press
febbraio 1992
pp.496, £ 12.95
Questo volume é una descrizione siste-matica e completa dell’insieme di
scritti su Kant prodotti da un gruppo di
seguaci di Kant sui temi della filosofia
della scienza, della filosofia morale e
politica, dell’estetica e della filosofia
della religione.
H.-J. Gawoll (a cura di)
Deutsch-italienisches
Kolloquium 1991: Giordano Bruno
Bouvier, Bonn febbraio 1992
pp.200, DM 48
Con interventi di: Kurt Flasch (Bochum), Saverio Ricci (Napoli), Josef
Simon (Bonn), Maria Caciagli (Firenze), Richard Baum (Aachen), Rita Sturlese (Pisa), Reiner Lengeler (Bonn),
Christiane Schultz (Napoli), Willi Hirdt (Bonn) e Norbert Oellers (Bonn).
Hall, Harrison
Dreyfus, Hubert (a cura di)
Heidegger - a critical reader
Blackwell Publishing, London
marzo 1992
pp.270, £ 12.95
Questa collezione di saggi afferma
l’influenza di Heidegger sul pensiero
occidentale del ventesimo secolo. Cercano anche di mostrare come
Heidegger si avvicina all’idea dell’essere, della mente, dell’agire e del linguaggio, e analizza la maniera in cui
questo pensiero é in relazione la filosofia corrente.
Hampshire, Stuart
Innocence and experience
Penguin Books, febbraio 1992
pp.208, £ 6.99
Questo libro é un distillato di una vita
che si é interessata di filosofia morale.
I temi affrontati sono quelli dell’anima, della giustizia e della storia, dell’individualità, dell’innocenza e dell’esperienza.
Handjaras, Luciano
Problemi e progetti
del costruzionismo.
Saggio sulla filosofia
di Nelson Goodman
Franco Angeli, Milano maggio 1992
pp.184, L. 25.000
Goodman si interroga essenzialmente
su un unico problema: come costruiamo i nostri mondi della filosofia, del-
NOVITA' IN LIBRERIA
l’arte, della scienza e come ne valutiamo la giustezza. Ridefinendo i rapporti tra conoscenza, comprensione e operazioni costruttive, amplia e ridetermina l’idea di conoscenza e delinea
una trama di somiglianze e differenze
cognitive ed estetiche tra “opere” di
solito considerate inconfrontabili.
Hanfling, Oswald (a cura di)
Philosophical aesthetics:
an introduction
Blackwell Publishing, marzo 1992
pp.496. £ 10.95
Contiene un esame dei principali dibattiti in filosofia estetica, attraverso
pensatori della Grecia antica fino a
filosofi moderni. I temi sono quelli
della natura dell’arte e della bellezza,
l’esperienza estetica ed il valore della
valutazione dell’arte.
Hanfling, Oswald (a cura di)
Philosophical aesthetics.
An introduction
Blackwell Publishing, Oxford
marzo 1992
pp.496, £ 11
Un compendio delle più importanti
tematiche estetiche, dall’ antica Grecia al mondo moderno. Gli autori discutono sulla natura dell’arte e della
bellezza, sull’esperienza estetica, sul
valore e la valutazione dell’arte.
Haslett, David
Ethics and economic systems
Clarendon Press, London
marzo 1992
pp.224, £ 20.00
Analizzando i sistemi economici da
un punto di vista filosofico, questo
studio considera gli argomenti etici
per differenti tipi di sistemi economici. L’autore considera i vantaggi e gli
svantaggi del sistema coperto e analizza i possibili compromessi accettabili.
Hastings, Centre
What price parenthood?:
ethics and assisted reproduction
Dartmouth Pub. Co., gennaio 1992
pp.120, £ 30.00
Hayoun, Maurice-Ruben
Libera, Alain de
Averroès et averroisme
PUF, Paris febbraio 1992
pp.128, FF 34
Chi era Ibn Rushd ? Cosa nasconde il
corpo delle dottrine alle quali il Medio
Evo latino ha dato il nome del filosofo
arabo del dodicesimo secolo ? Queste
sono le domande alle quali questo
libro cerca di rispondere.
Herder, Johann Gottfried
Idées sur la philosophie
de l’histoire de l’humanité
a cura di Marc Crépon
Presses-Pocket, Paris
febbraio 1992
pp.431, FF 70
Comprende un’introduzione critica che
situa l’autore nel suo tempo, una scelta
delle principali opere ed una documentazione sulla recezione di Herder
in Francia.
Heuser, Harro
Als die Götter lachen lernten.
Griechische Denker
verändern die Welt
Piper, München marzo 1992
pp.320, DM 38
Harro Heuser spazza la polvere della
tradizione sui testi dei classici greci. I
ritratti da lui disegnati con mano lieve
da Omero a Democrito costituiscono
una lettura stimolante e divertente per
chiunque sia interessato all’affascinante multiformità e alla straordinaria
modernità degli “antichi greci”.
Hill, Claire Ortiz
Word and object in Husserl,
Frege and Russell: roots of
twentieth-century philosophy
Ohio University Press
gennaio 1992
pp.225, £ 33.20
Hinderer, D.E.
Building arguments
Wadworth Pub. Co., gennaio 1992
£ 17.50
Hobbes, Thomas
De la nature humaine
a cura di E. Naert
Vrin, Paris febbraio 1992
pp.171, FF 48
L’opera di Hobbes mette in gioco dei
concetti che hanno fatto strada alla
filosofia politica moderna.
Holz, H.H., Prestipino, G.
(a cura di)
Antonio Gramsci heute.
Aktuelle Perspektiven
seiner Philosophie.
Pahl-Rugenstein, Bonn marzo 1992
pp.200, DM 28
Holz, Hans H.
Gottfried Wilhelm Leibniz
Campus-Vlg., Frankfurt/M.
marzo 1992
pp.165, DM 19.80
Hubbard, Arthur John
New age and the world’s survival
Allborough Publishing, Cambridge
gennaio 1992
pp.250, £ 9.50
Hüni, Heinrich
Wahrnehmungswirklichkeit
nach Aristoteles
Königshausen & Neumann
Würzburg gennaio-febbraio 1992
pp.106, DM 34
Il lavoro cerca una riabilitazione filosofico-fenomenologica della realtà
data nella percezione.
Hupe, Hans-J.
“Werde, der Du sein willst”.
Kreativität und Teleologie in
der Kulturanthropologie
Michael Landmanns
Bouvier, Bonn febbraio 1992
pp.192, DM 58
La voluminosa opera antropologico
culturale di Michael Landmann (19131984) viene qui per la prima volta resa
accessibile e rivalutata sotto forma di
una ricostruzione sistematica. Il programma di Landmann di un’antropologia culturale filosofica prende il posto della tradizionale antropologia in-
dividuale e della ragione.
Hutcheson, Francis
Recherche sur l’origine de nos idées
de la beauté et de la vertu.
a cura di Anne-Dominique Balmès
Vrin, Paris febbraio 1992
pp.288, FF 159
Identificare e giustificare l’irreducibile specificita’ del senso e del sensibile,
nella virt‘ e dinanzi ai calcoli della
ragione: questo è lo scopo che l’autore
(1694-1744) si è prefisso.
Ingendahl, Angela
Eigenwert oder Ressource.
Der Naturbegriff in der neueren
ethischen Diskussion
Alano Rader Publ., Aachen
marzo 1992
pp.106, DM 22
Invitto, Giovanni
Esistenzialismo e dintorni.
Saggi storiografici
Franco Angeli, Milano aprile 1992
pp.192, L. 28.000
I saggi raccolti tentano di dimostrare
come gli esistenzialismi non costituiscano, per la storiografia filosofica,
solo dei “residui archeologici”. Le filosofie dell’esistenza tornano infatti
ad occupare uno spazio nella cultura
occidentale.
Invitto, Giovanni
Visioni del mondo e
nuova progettualità
Franco Angeli, Milano aprile 1992
pp.224, L. 32.000
I saggi raccolti prendono in esame la
crisi delle Weltanschauungen tradizionali e la risposta data dalle nuove
progettualità teoretiche,, esistenziali,
politiche.
Irion, Ulrich
Eros und Thanatos in der Moderne.
Nietzsche und Freud als Vollender
eines antichristlichen Grundzugs
im europäischen Denken
Königshausen & Neumann
Würzburg gennaio-febbraio 1992
pp.300, DM 48
Istituto e Museo
di Storia della Scienza
Archimede. Mito tradizione scienza
a cura di Corrado Dollo
L. S. Olschki, Firenze maggio 1992
pp. 488, L. 95.000
Atti del convegno tenuto a Siracusa Catania il 9-12 ottobre 1989, con i
contributi di G. Fichera, G. Cambiano,
R. Rasched, A. de Pace, C. Dollo.
Ives, Christopher
Zen awakening and society
Macmillan Acad. and Professional
marzo 1992
pp.192, £ 35.00
Il Buddismo Zen si é tradizionalmente
incentrato sulla pratica monastica e
sull’espressione artistica del risveglio
(satori) ma ha rivolto poca attenzione
all’etica sociale. Questo libro considera la relazione tra lo Zen e l’etica
sociale.
Jasper, David
The study of literature
and religion: an introduction
Macmillan Acad. and professional
marzo 1992
pp.162, £ 12,99
Una introduzione ad una serie di temi
interdisciplinari riguardanti la letteratura, l’arte e la testualità all’interno
della tradizione religiosa basata sui
testi e sulla studio testuale.
Jaulin-Mannoni, F.
Ouvrage de dame:
introduction méthodologique
à l’étude des logiques appliquées
ou à la decouverte du sens.
APECT, Paris gennaio 1992
pp.418, FF 460
Utilizza i procedimenti della logica
contemporanea ed alcuni esempi pratici, per trattare i problemi posti dalla
logica non classica: possibile, indecifrabile, contraddizione.
Joubaud, Catherine
Le corps humain
dans la philosophie platonicienne:
étude à partir du Timée.
Prefazione di Luc Brisson
Vrin, Paris gennaio 1992
pp.322, FF 225
L’interpretazione corrente considera
il corpo negativamente presentandolo
come un ostacolo. Nel Timeo invece il
corpo è inteso nella sua globalità e
questo permette di ritrovare l’unità
della comprensione platonica del corpo.
Jüttner, S.- Schlobach, J.
(a cura di)
Europäische Aufklärung(en).
Einheit und nationale Vielfalt
Keiner, Hamburg marzo 1992
DM 128
Kaehler, Kl.E.; Marx, W.
Die vernunft in Hegels
Phänomenologie des Geistes
Klostermann, Frankfurt/M.
marzo 1992
pp.244, DM 78
Kahlo, M.- Wolff, E.A.;
Zaczyk, R.
(a cura di)
Fichtes Lehre vom Rechtsverhaltnis.
Die Deduktion der Paragr.1-4 der
“Grundlagen des Naturrechts”
und ihre Stellung in
der Rechtsphilosophie
Klostermann, Frankfurt a.M.
marzo 1992
pp.194, DM 48
Kalinowski, Georges
La phénoménologie de l’homme
chez Husserl, Ingarden et Scheler
Ed. Univesitaires, gennaio 1992
pp.124, FF 155
Le lezioni di Kalinowski sulla fenomenologia dell’uomo in Husserl, Ingarden e Scheler, offrono sia un’ introduzione al pensiero di questi tre fondatori dell fenomenologia, sia uno studio
appofondito della loro antropologia.
Kant, Immanuel
Metaphysics of moral
NOVITA' IN LIBRERIA
a cura di Mary Gregor,
Cambridge University Press
gennaio 1992
pp.400, £ 30.00
Kant, Immanuel
Anthropologie
du point de vue pragmatique
a cura di Michel Foucault
Vrin, Paris febbraio 1992
pp.176, FF 45
Contiene: Sulla facoltà di conoscere,
Il sentimento di piacere e di dispiacere, Sulla facoltà di desiderare.
Kant, Immanuel
Essai pour introduire en philosophie
le concept de grandeur négative
A cura di R. Kempfdi G.Canguilhem
Vrin, Paris febbraio 1992
pp.66, FF 21
Kant definisce qui il concetto di grandezza negativa, prima di applicarlo
agli oggetti filosofici.
Karel Janácek
Indice delle Vite dei filosofi
di Diogene Laerzio
L. S. Olschki, Firenze maggio 1992
pp. 374, L. 115.000
Karel Janácek presenta il risultato di
un’attività di studioso di filosofia antica protattasi per più di quarant’anni:
l’Indice delle Vite dei Filosofi di Diogene Laerzio costituisce uno strumento essenziale nell’indagine filosofica
classica, di cui si avvertiva profondamente la mancanza.
Karel Lambert, J. (a cura di)
Philosophical applications
of free logic
Oxford U.P., New York
gennaio-febbraio 1992
pp.288, £ 32
Una raccolta di saggi che discute l’applicazione della logica libera agli argomenti filosofici. Tra le varie materie
toccate figurano la logica, la metafisica e la filosofia della religione.
Keown, Damien
The nature of buddhist ethics
Macmillan Acad. and Professional
febbraio 1992
pp.240, £ 35.00
Tentativo di comprendere la natura
teorica dell’etica buddista e chiarire il
suo ruolo. L’opinione secondo cui l’etica ha valore limitato o provvisorio é
rigettata come lo é la caratterizzazione
dell’etica buddista come utilitarista.
Questo libro avvicina la tradizione aristotelica dell’etica nel suggerire che la
morale come la perfezione intellettuale é un costituente del bene finale o del
nirvana.
Kersting, Wolfgang
Thomas Hobbes zur Einführung
Junius-Vlg., Hamburg marzo 1992
Kinloch, David P.
The thought and art of
Joseph Joubert (1754-1824)
Clarendon Press, marzo 1992
pp.256, £ 35.00
Rcostruzione dello sviluppo del pensiero di Joubert, scrittore di considerevole sensibilità per i temi relativi al-
l’estetica.
Klagge, James C.
Methods of interpreting
Plato and his dialogues
Clarendon Press, Oxford marzo 1992
pp.288, £ 35
In questo volume alcuni studiosi di
Platone riflettono sui metodi di interpretarlo. Tra gli argomenti trattati: l’uso
delle fonti antiche nell’interpretazione deio dialoghi, lo stile letterario e
retorico di Platone, i suoi temi, la sua
scrittura e l’uso della forma dialogica.
Kleinberg, Stanley S.
Politics and philosophy.
The necessity and limitations
Blackwell Publishing, Oxford
gennaio-febbraio 1992
pp.208, £ 11
Esplora la natura delle fedi politiche
chiedendosi se esse siano, generalmente parlando, conformabili a sistemi di pensiero razionali e morali, o se
invece non siano che sublimazioni di
interessi privati. Vengono vagliate diverse ideologie, programmi di partiti e
opere di grandi pensatori politici.
Klenner, Hermann
Deutsche Rechtsphilosophie
im 19. Jahrhundert
Akademie Vlg., Berlin
gennaio-febbraio 1992
pp.257, DM 38
Konersmann, Ralf
Erstarrte Unruhe.
Walter Benjamins Begriff
der Geschichte
Fischer Taschenbuch, Frankfurt a.M
gennaio-febbraio 1992
DM 19,80
Una ricognizione nelle strutture linguistiche e di pensiero benjaminiane
concerneti il problema della storia.
Krämer, Hans
Integrative Ethik
Suhrkamp, Frankfurt a.M.
gennaio-febbraio 1992
pp.400, DM 64
Anche grazie alle filosofie specialistiche, l’ampliamento dell’etica attraverso l’insegnamento di uno stile di vita,
un’etica dell’ambizione o della fortuna, viene oggi percepito come desiderio. Hans Krämer si è dato come obiettivo una chiarificazione sistematica
delle condizioni da produrre perché
sia possibile oggi e in futuro il rinnovamento di questo tipo di etica.
Kristeva, Julia
Language, the unknown:
an initiation into linguistics
Harvester Wheatsheaf, marzo 1992
pp.328, £ 10.99
Una introduzione alla storia della cultura grafica filosofia, antropologia e
semiotica. In una serie di analisi ispirate a Levi-Strauss, Barthes, Derrida,
Freud e Lacan, si descrive la storia del
pensiero come un fenomeno che unisce la speculazione filosofica e la pratica linguistica.
Krohn, W. Kuppers, G. (a cura di)
Emergenz. Die Entstehung
von Ordnung, Organisation
und Bedeutung
Suhrkamp, Frankfurt/M.
gennaio-febbraio 1992
pp.420, DM 28
Kuhlewind, Georg
Working with anthroposophy:
the practice of thinking
traduzione di M. Lipson
Anthroposophic P., N.Y.
gennaio 1992
pp.96, £ 9.95
Kuhlmann, Wolfgang
Kant und die
Transzendentalpragmatik
Königshausen, Würzburg
gennaio-febbraio 1992
pp.204, DM 48
Kuhn, Elisabeth
Friedrich Nietzsches Philosophie
des europäischen Nihilismus
De Gruyter, Berlin
gennaio-febbraio 1992
pp.293, DM 158
Dalla storia del concetto i primi passi
della rappresentazione della nascita,
della tematica e dell’elaborazione del
“nichilismo” nel corpus degli scritti
filosofici di Nietzsche.
Kupperman, Joel J.
Character
Oxford University Press
gennaio 1992
pp.240, £ 24.00
Kutschera von, Franz
Fondamenti dell’etica
Franco Angeli, Milano maggio 1992
pp.398, L. 48.000
Nel contesto della vasta produzione
contemporanea nel settore etico, questo volume si contraddistingue per il
taglio logico-epistemologico. I risultati a cui si perviene costituiscono il
punto di avvio del tentativo di fondazione dell’etica proposto dall’autore.
Vi si difende un’etica oggettivistica,
che fa perno da una parte sulla nozione
di esperienza dei valori e dall’altra su
quella di dovere, in una prospettiva di
integrazione tra punto di vista teleologico e deontologico.
Kvanvig, Jonathan L.
The intellectual virtues
and the life of the mind:
on the place of the virtues
in contemporary epistemology
Rowman & Littlef., febbraio 1992
pp.180, £ 31.50
In questo libro l’autore afferma che le
virtù cognitive possiedono uno spazio
fondamentale in epistemologia, ma non
lo spazio dato loro dagli epistemologis
contemporanei attenti alla virtù. Le
virtù cognitive, in accordo con questa
tesi, sono parte del nostro ideale cognitivo, e non sono riducibili o spiegabili tramite le nozioni epistemologiche familiari della giustificazione o
della conoscenza.
Lacroix, Jean
Kant et le Kantisme
PUF, Paris febbraio 1992
pp.128, FF 34
L’esposizione completa della filosofia di Kant a partire dal tema centrale
dell’opposizione e dei rapporti della
natura e della libertà.
Lagrée, Jacqueline (a cura di)
Grotius.
La raison ardente: religion
naturelle et raison au 17e siècle
Vrin, Paris gennaio 1992
pp.351, FF 180
La religione naturale nel diciassettesimo secolo conobbe, negli ambienti
protestanti liberali, una sorta di età
dell’oro.
Laguerre
L’ordre naturel
contre l’ordre culturel
Eternel Retour, Paris
febbraio 1992
pp.259, FF 100
L’ordine culturale, ideologia dominante creata dagli intellettuali, parte
dal principio che nell’uomo niente è
innato ma tutto è acquisito. L’autore
insorge contro tale ideologia e dimostra che l’ordine naturale, ovvero l’innato, domina i nostri comportamenti.
Lance, Pierre
En compagnie de Nietzsche
L’Ere nouvelle, Paris gennaio 1992
pp.208, FF 90
Raccolta di articoli consacrati al filosofo dell' "eterno ritorno".
Lash, Scott - Friedman, Jonathan
Modernity and identity
Blackwell Publishing, Oxford
gennaio-febbraio 1992
pp.448, £ 13
Un contributo ai dibattiti contemporanei sul modernismo e sul postmodernismo. Questo libro apre la possibilità
di una “terza via”, respingendo l’opposizione tra l’alto modernismo e l’anti- etica irrazionale del postmodernismo.
Latraverse, Francois
Lekton, n.1. Wittgenstein
Université du Quebec, gennaio 1992
pp.240, FF 80
I testi raccolti per il primo numero di
questa rivista sono tratti da un simposio organizzato nel maggio del 1989
all’Università del Quebec a Montreal,
in occasione del centenario della nascita di Wittgenstein.
Le Doeuff, Michelle
Hipparchia’s Choice.
An Essay concerning women
and philosophy
Blackwell Publishing, Oxford
gennaio-febbraio 1992
pp.368, £ 15
Affronta la storia della filosofia mettendo in questione il sesso e discutendo le conclusioni sociali e legislative
che ci hanno finora guidati. Traccia il
cammino per una filosofia che tenga
conto della storia, del femminismo,
della società e dell’intelligibilità.
Lee, Sander H. (a cura di)
Inquiries into values:
the inagural session
of the international society
for value inquiry
E. Mellen P., U.S., gennaio 1992
NOVITA' IN LIBRERIA
pp.776, £ 59.95
Lefebvre, Henri
Elements de Rythmanalyse:
introduction à la connaissance
des rythmes
prefazione di René Lourau
Syllepse, Paris marzo 1992
pp.116, FF 90
Ultima opera teorica del filosofo (19011991), il progetto ritmoanalitico, rimasto il suo giardino segreto, si ricollega spesso all’opera fondamentale
“Critique de la vie quotidienne”. La
ritmoanalisi, scienza nascente, studia i
processi complessi dei ritmi, quelli del
tempo come quelli degli spazi sociali.
Leibniz, Gottfried Wilhelm
Discorso di metafisica
a cura di Andrea Sani
La Nuova Italia, Firenze 1992
pp.78, £ 16.000
Scritto da Leibniz tra 1685 e 1686 per
far conoscere le proprie idee in tema di
metafisica al cartesiano e giansenista
Antoine Arnauld, il Discorso di metafisica contiene in nuce le linee del
sistema leibniziano maturo ed affronta
i problemi di Dio, delle sostanze individuali, della conoscenza e della morale.
Lesniewski, Stanislaw
Collected works
a cura di Surma, S.J.
Klwer Acad. Publrs., gennaio 1992
pp.620, £ 63.00
Levinas, Emmanuel
La mort et le temps
A cura di Jacques Roland
LGF, Paris febbraio 1992
pp.155, FF 30
Questo testo è un corso tenuto alla
Sorbonne durante l’anno accademico
1975/76. In questa meditazione sulla
morte, Levinas fa capo a due autori,
due sistemi di pensiero che lo hanno
profondamente influenzato: Husserl e
Heidegger.
Levinas, Emmanuel
Le temps et l’autre
PUF, Paris marzo 1992
pp.96, FF 40
Il sunto delle quattro conferenze tenute sotto il titolo di “Le temps et l’autre”
nel 1946/47 sul tema: il tempo è la
limitazione dell’essere finito o la relazione che lega l’essere finito a Dio ?
Un modo di pensare il tempo.
Lewis, Frank A.
Substance and predication
in Aristotle
Cambridge University Press
Cambridge marzo 1992
pp.352, £ 30
Questo libro tratta del tema centrale
della metafisica aristotelica e delle varie
trasformazioni che esso ha subito prima di essere espresso sistematicamente nella “Metafisica”.
Libera, Alain de
La philosophie médiévale
PUF, Paris marzo 1992
pp.128, FF 34
La presentazione tematica permette di
trovare i principali apporti della filosofia medievale.
Loche, Anna Maria
Jeremy Bentham e la ricerca
del buongoverno
Franco Angeli, Milano maggio 1992
pp.264, L. 30.000
La ricerca del buongoverno costituisce un motivo costante nella filosofia
politica di Jeremy Bentham (17481832), il primo conseguente teorico
della democrazia parlamentare. Caposcuola della filosofia utilitaristica e
radicale, fu sempre un convinto assertore della necessità di riformare sia la
scienza e il linguaggio politici e giuridici, sia i meccanismi istituzionali allora dominanti.
Lübbe, H.
Im Zug der Zeit. Verkürzter Aufenthalt
in der Gegenwart
Springer, Berlin
gennaio-febbraio 1992
pp.425, DM 58
In questo libro vengono analizzati e
descritti gli sviluppi culturali, economici e quelli tecnici correnti della contrazione del presente, approdando a un
ampio panorama di interpretazioni
temporali della cultura moderna.
MacDonald, Cynthia
Mind-body identity theories
Routledge, London gennaio 1992
pp.256, £ 10.99
Maesschalck, Marc
Jalons pour une nouvelle éthique:
Philosophie de la liberation
et éthique sociale.
Institut supérieur de philosophie
febbraio 1992
pp.339, FF 132
Comprende quattro grandi parti: Una
filosofia della liberazione, Filosofia
del linguaggio ed etica sociale, Creatività e lotte sociali, Un’altra idea della
cultura e della democrazia.
Malcolm, John
Plato on the self-predication of forms.
Early and middle dialogues
Clarendon Press, Oxford
gennaio-febbraio 1992
pp.240, £ 27.50
Un’ interpretazione dei primi dialoghi
di Platone. Rileva che i rari casi di
autopredicazione rintracciabili in essi
sono semplicemente argomentazioni
concernenti gli universali, quindi Platone non è passibile di alcuna confutazione facente appello all’argomento
del “terzo uomo”.
Malherbe, Michel
Trois essais sur le sensible
Vrin, Paris febbraio 1992
pp.146, FF 99
Tre parti: L’atto del sensibile, Il sensibile stesso e L’essere del sensibile. Fa
riferimento anche a testi di Aristotele,
Hume e G.E.Moore.
Marcel, A.J. - Bisiach E.
(a cura di)
Consciousness
in contemporary science
Clarendon Press, London
marzo 1992
pp.416, £ 17.50
Il significato della coscienza nella
scienza moderna viene analizzato da
un certo numero di autorità apparteneti alla psicologia, neurologia e filosofia. I temi considerano lo sgretolamento della coscienza, la sua funzione e le
sue radici nella cognizione.
Marcel, Gabriel
Les hommes contre l’humain
prefazione di Paul Ricoeur
Ed. Universitaires, gennaio 1992
pp.171, FF 165
L’ autore fa una diagnosi di quelle che
potremmo chiamare le tendenze pesanti del nostro tempo. Gli avvenimenti recenti ne rivelano tutta l’ampiezza visionaria. G. Marcel denuncia
il rafforzarsi della tirannia burocratica, le minacce di distruzione dell’umanità con l’arma atomica e il pericolo
del bolscevismo.
Marcel, Gabriel
Parain-Vial, Jeanne (a cura di)
Etre et avoir
Ed. di Jeanne Parain-Vial
Ed. Universitaires, gennaio 1992
pp.192, FF 169
Questo libro ci fa conoscere Marcel, la
sua riflessione quotidiana, paziente e
folgorante, sulle esperienze vissute; in
particolare quelle sull’avere e sull’essere ci conducono direttamente nel
cuore dell’antropologia e della questione ontologica.
Marco-Aurelio
Pensées pour moi meme
a cura di Frédérique Vervliet
e Ernest Renan
Arléa, febbraio 1992
pp.250, FF 110
Esame di coscienza quasi quotidiano
dello stoico imperatore romano che
scrisse questi pensieri in greco.
Marcuse, Herbert
L’ontologie de Hegel et
la théorie de l’historicité
prefazione di Mimica Cranaki
Gallimard, Paris gennaio 1992
pp.350, FF 72
Dall’ autore di Ragione e rivoluzione
un saggio sulla teoria sociale di Hegel.
Margolis, Joseph
The truth about relativism
Blackwell Publishing, Oxford
marzo 1992
pp.240, £ 13
Una difesa completa del relativismo
filosofico. Riunisce le principali critiche del mondo antico (mosse a Protagora) e i vari attacchi sviluppatisi nella
filosofia contemporanea.
Marion, Jean-Luc
Sur la théologie blanche
de Descartes
PUF, Paris gennaio 1992
pp.496, FF 65
La teologia di Descartes è bianca per-
ché anonima e indeterminata. La teologia della metafisica cartesiana resta
bianca perché il suo beneficiario (o
messaggero) in definitiva non è identificato.
Mathieu, Vittorio
L’opus postumum di Kant
Bibliopolis, Napoli aprile 1992
pp.315, L. 70.000
La cosiddetta opera postuma di Kant è
un’ingente raccolta di abbozzi di
un’opera mai compiuta, che doveva
essere il culmine della filosofia trascendentale. La forma del manoscritto
esclude che lo si possa utilizzare con
profitto senza una preparazione di anni.
Tuttavia una conoscenza dell’ultimo
pensiero di Kant si rivela sempre più
importante: di qui il lavoro di ricostruzione in cui questo volume si è impegnato.
Matteucci, Giovanni (a cura di)
Wilhelm Dilthey.
Materiali editi e inediti
(1886-1909)
Franco Angeli, MIlano maggio 1992
pp.336, L. 38.000
La pubblicazione dei materiali raccolti nel presente volume cerca di colmare le lacune attuali sul lavoro di Dilthey, da un lato aprendo la possibilità
di esaminare l’elaborazione teorica dei
principi che egli applicò nei suoi scritti
storico-critici, dall’altro lato offrendo
un prezioso strumento per un’analisi
trasversale dell’intera speculazione
diltheyana.
McCarthy, George E. (a cura di)
Marx and Aristotle:
ninenteenth-century german social
theory and classical antiquity
Rowman & Littlefield, marzo 1992
pp.260, £ 17.95
Una collezione multidisciplinare di autori che esaminano l’influenza della
filosofia greca classica su Marx, specialmente il pensiero di Aristotele e di
Epicuro.
McGilvray, James A.
Tense reference and worldmaking
McGill University Press
gennaio 1992
pp.392, £ 39.95
Meo, Oscar
Il contesto. Osservazioni
dal punto di vista filosofico
Franco Angeli, Milano maggio 1992
pp.200, L. 24.000
Avvalendosi soprattutto dell’emergere dell’interesse per la dimensione
“pragmatica” del linguaggio, e tenendo conto delle principali teorie linguistiche e critiche contemporanee, il
volume si propone di investigare il
problema del contesto alla luce dell’evoluzione subita dai concetti di
“teso”, “significato” e “comunicazione”.
Meyer-Schubert, Astrid
Mutterschossehnsucht
und Geburtsverweigerung.
Zu Schellings früher Philosophie
und dem frühromantischen
Salondenken
Passagen-Vlg., Wien marzo 1992
NOVITA' IN LIBRERIA
pp.224, DM 56
Miller, Richard B.
Interpretations of conflict.
Ethics, pacifism,
and the just-war tradition
Univ. of Chicago, Chicago
gennaio-febbraio 1992
pp.296, $ 21
Miller riunisce qui le opposte tradizioni del pacifismo e della teoria della
guerra giusta, inserendole in un indispensabile dialogo sull’etica e la guerra.
Minazzi, Fabio (a cura di)
Il cono d’ombra
Marcos y Marcos, Milano
settembre 1991
pp.243, L. 24.000
Il “cono d’ombra” è quello all’interno
del quale si è collocati dalle categorie
di pensiero e dagli eventi accaduti
negli anni Trenta. La rimeditazione di
questo periodo ha dunque il significato di una rivisitazione delle periodizzazioni e dei giudizi che hanno riguardato la cultura novecentesca, per l’instaurazione di un nuovo bilancio critico di essa. Il volume raccoglie i testi
degli interventi al ciclo seminariale di
lezioni su Aspetti della cultura europea alla svolta degli anni Trenta tenutosi a Varese nel 1988.
Mojsisch, B. - Pluta, O.
Historiae philosophiae Medii evi.
Studien zur Geschichte
der Philosophie des Mittelalters.
Festschrift für Kurt Flasch
zu seinem 60. Geburtstag. Band 1
Gruner, Amsterdam marzo 1992
pp.600, Dfl 300
Saggi in tedesco, inglese, francese,
italiano.
Moravcsik,J.M.
Thought and language
Routledge, London, gennaio 1992
pp.304, £ 10.99
Morilhat, Claude
Charles Fourier:
imaginaire et critique sociale
Méridiens-Klincksieck, Paris
gennaio 1992
pp.248, FF 139
Questo studio coglie l’insieme del discorso di Fourier senza mascherarne
gli aspetti “scandalosi” nel campo dell’economia come ibn quello dei costumi.
Morin, Edgar
La méthode
Seuil, Paris febbraio 1992
pp.243, FF 39
Condizioni, possibilità e limiti della
conoscenza umana, concepita nella sua
natura al tempo stesso cerebrale, spirituale e culturale.
Moritz, Karl Philipp
Scritti di estetica
Aesthetica Ed., Palermo 1992
pp.224, L. 25.000
Un classico ingiustamente emarginato viene qui riproposto nella prima
edizione italiana.
Morris, Brian
Anthropology and the human subject
Berg, Leamington Spa
gennaio-febbraio 1992
pp.400, £ 40
Esamina le differenti concezioni del
soggetto umano nella tradizione intellettuale occidentale. Attinge alle maggiori discipline intellettuali che hanno
contribuito a tale tradizione: sociologia, filosofia, Marxismo, psicoanalisi,
sociobiologia ed antropologia.
Nachtsheim, Stephan
Emil Lasks Grundlehre
J.C.B. Mohr, Tübingen marzo 1992
pp.264, DM 128
Lask ha trasformato profondamente
l’insegnamento fondamentale neokantiano, fondando una moderna filosofia
trascendentale. Il libro apprezza tale
revisione e i suoi frutti oggettivi non
solo per la filosofia teoretica, ma anche per la “testimonianza esterna” della filosofia nella sua totalità.
Nancy, Jean-Luc
Le poids d’une pensée
PUG: Griffon d’argile, marzo 1992
pp.138, F 68
Dieci testi, scritti tra il 1982 ed il 1991,
che possono essere considerati come
dei testi letterari, considerando che per
J.L.Nancy la qualità della scrittura è in
sé portatrice di senso filosofico. L’autore fa parte , insieme a Derrida, Lyotard e Lacoue-Labarthe, dei più originali filosofi francesi contemporanei.
Nathan, N.M.L.
Will and world:
study in metaphysics
Oxford university Press
gennaio 1992
pp.192, £ 25.00
Nathan, N.M.L.
Will and world
Clarendon Press, marzo 1992
pp.192, £ 25
Tra i problemi metafisici si trova spesso un conflitto tra ciò che è vero e ciò
che si crede o percepisce come tale.
L’autore di questo trattato fa delle
riflessioni generali su questo conflitto,
scorgendo nella risoluzione di esso un
importante obiettivo filosofico.
Nguyen, Vinh-De
Le problème de l’homme
chez Jean-Jacques Rousseau.
Presses de l’Université du Québec
febbraio 1992
pp.253, FF 188
E’ importante riconoscere che l’opera
di J.J.Rousseau, moralista, scrittore
politico, pensatore religioso e filosofo
dell’educazione, è fondamentalmente
antropologico.
Norris, Chistopher
Deconstruction
and the interests of theory
Penter Publishers, marzo 1992
pp.256, £ 13.99
Una collezione di saggi sulla moderna
filosofia analitica, che analizzano anche l’uso della teoria e la maniera in
cui alcune propongono una teoria critica letteraria che, per l’autore, propongono risultati indesiderabili.
Nüse - Groeben - Freitag - Schreier
Über die Erfindung/en
des Radikalen Konstruktivismus.
Kritische Gegenargumente
aus psychologischer Sicht
Dt. Studienvlg., Weinheim
gennaio-febbraio 1992
pp.360, DM 34
Sulla base dell’affermazione radicale
che “il mondo è una nostra invenzione” (H. v. Foerster), gli autori e le
autrici dimostrano in che misura secondo le tesi radicali costruttivistiche
si tratti di un’”invenzione” che deve
essere ritenuta incoerente a livello intellettuale in quanto non sufficientemente fondata.
Oatley, Keith
Best laid schemes:
the psychology of the emotions
Cambridge University Press
marzo 1992
pp.400
Analizza un insieme di campi appartenenti alla scienza cognitiva -tra cui la
psicologia, la filosofia e la linguisticaper mostrare come le emozioni sono
centrali per la comprensione dell’agire umano e della vita mentale, e per
analizzare funzioni criciali legate a
eventi inaspettati e priorità.
Olson, Carl
The theology and philosophy
of Eliade: seeking the centre
Macmillan Acad. and Professional
febbraio 1992
pp.208, £ 35.00
Questo libro si basa sul lavoro di Mircea Eliade, seguendo le molte facce ed
implicazioni dell’erudizione di Eliade
come storico delle religioni. Il secondo ed il terzo capitolo analizzano proprio questo aspetto di Eliade, mentre il
quarto capitolo esamina gli aspetti teologiic del suo lavoro. Dopo un esame
della situazione umana e della sua
comprensione di Dio, il libro mette in
evidenza che la chiave di interpretazione delle riflessioni teologiche di
Eliade risiede nel ruolo della nostalgia. Questo libro analizza anche il
contributo al dibattito culturale di Eliade, la sua teoria del mito, dell’ontologia arcaica e il suo concetto di potere.
Olsson, Gunnar
Lines of power, limits of language
University Minnesota Press
gennaio 1992
pp.144, £ 16.95
Onfray, Michel
Cinismo
Rizzoli, Milano marzo 1992
pp.180, L. 32.000
Contro la dilagante mediocrità e volgarità, Onfray recupera il paradosso,
l’ironia, l’umorismo degli antichi maestri quali Antistene, Diogene, Cratete
e Eraclios. Pazientemente l’autore è
andato alla ricerca dei frammenti di
questa filosofia cinica per dimostrare
che che vi è una decisa antinomia tra
sapere e poteri istituzionalizzati; il
nuovo cinico potrebbe impedire alle
cristallizzazioni sociali e alle virtù collettive trasformate in ideologie, di prendere il sopravvento sulle singolarità.
Onfray, Michel
Cynismes
LGF, Paris marzo 1992
pp.192, FF 31
Una riabilitazione di quei filosofi che,
nel IV sec. a.C., si proclamavano cani,
portavano barba, bisaccia e bastone,
facevano all’amore in pubblico ed erigevano l’ironia a sistema etico: ai molti
che facevano ricorso alle idee ed alle
teorie più astruse, essi opponevano il
gesto e praticavano il gioco di parole.
Oosthout, Henri
Modes of knowledge
and the transcendental.
An introduction to Plotinus
Gruner, Amsterdam
gennaio-febbraio 1992
pp.200, Dfl. 110
Ott, Hugo
Martin Heidegger.
Unterwegs zu seiner Biographie.
Campus-Vlg., Frankfurt/M.
marzo 1992
pp.366, DM 26.80
Padgett, Alan
God, eternity,
and the nature of time
Macmillan Acad. and Professional
marzo 1992
pp.208, £ 35.00
Un’analisi e discussione della natura
del tempo e dell’eternità, che si focalizza sull’essere senza tempo di Dio.
Dopo aver considerato due teorie del
tempo alla luce della scienza e della
filosofia moderna, l’autore conduce
un “processo” alla nozione di tempo.
Palmer Stephen
Human ontology and rationality
Avebury, London gennaio 1992
pp.236, £ 32.00
Paquet, Léonce
Les Cyniques grecs:
fragments et témoignage
introd. di Marie-Odile Goulet-Cazé
LGF, Paris marzo 1992
pp.448, FF 42
Antistene e Diogeme di Sinope sono i
nomi dei padri fondatori del più apertamente sovversivo tra i movimenti
intellettuali dell’antichità. Questa raccolta riunisce la totalità dei detti e dei
rari scritti dei cinici, su una filosofia in
cui l’uomo deve sforzarsi di rendersi
libero affrancandosi dai beni materiali
e dominando il desiderio.
Pattison, George
Kierkegaard The aesthetic and the religious.
From the magic theatre
to the Crucifixion of the image
Macmillan Acad., London marzo 1992
pp.304, £ 35
La lettura di Kierkegaard proposta dall’autore inizia con una serie di riflessioni che collocano il suo pensiero e le
sue opere nel Romanticismo, nell’idealismo tedesco e nella storia intellettuale danese del primo ‘800. L’autore
analizza il ruolo della comunicazione
indiretta nelle fonti di Kierkegaard.
Pattison, George (a cura di)
NOVITA' IN LIBRERIA
Kierkegaard on art and comunication
Macmillan Acad., London marzo 1992
pp.192, £ 35.00
E’ una collezione di saggi che analizzano il problema dell’estetica e della
comunicazione negli scritti di Kierkegaard. Gli autori mettono in evidenza
la costante e complessa interazione
che esiste tra il medium ed il messagio,
l’autore, l’autorità e il lettore, tra il
testo ed il trascendente, tra il leggere e
la falsa interpretazione presente nei
testi di Kierkegard.
Pera, Marcello- Shea, William
(a cura di)
L’arte
della persuasione scientifica
Guerini, Milano giugno 1992
pp.273, L. 40.000
Raccolta di studi il cui filo conduttore
è la convinzione che la conoscenza
scientifica non dipenda da una rigida
“logica della ricerca”, ma da una più
duttile arte della persuasione. Non c’è
un “metodo” che, come arbitro imparziale, regoli il confronto tra natura e
soggetto, ma uno scambio discorsivo
all’interno di una comunità di competenti.
Perret, Catherine
Walter Benjamin
La difference, Paris marzo 1992
FF 138
Questa monografia cerca di riabilitare
giustamente W.Benjamin: anzitutto
questo scrittore tedesco, morto nel
1940, è uno dei più grandi critici ed
esteti del nostro secolo.
Peter Sloterdijk
Critica della ragion cinica
Garzanti, Milano maggio 1992
pp. 432, L. 43.000
“Cinismo” è oggi sinonimo di insensibilità, ma il cinismo degli antichi, o
quello che Nietzsche chiamava “cynismus”, aveva ben altro significato:
una forma estrema di autodifesa che
opponeva alla minaccia dell’insensatezza sociale un nucleo irriducibile di
sopravvivenza. La Critica della ragion cinica parte da questa contrapposizione per rileggere l’intera storia della
filosofia, sottoponendo ad una serrata
analisi il rapporto tra intellettuali e
apparati di potere.
Peter, Joachim
Das transzendentale Prinzip
der Urteilskraft. Eine Untersuchung
zur Funktion und Struktur
der reflektierenden Urteilskraft
bei Kant
De Gruyter, Berlin marzo 1992
pp.277, DM 118
Analizza l’interpretazione di Kant nella
seconda Introduzione alla tesi esposta,
dove fonda nella stabilità propria del
principio di riflessione la sua funzione
trascendentale come condizione di possibilità delle peculiarità empiriche.
Philosophie, n.33:
Philosophie de l’ésprit
Minuit, Paris marzo 1992
pp.92, F 52
Dopo essersi occupati quasi esclusivamente di filosofia del linguaggio, i
filosofi analitici hanno rivolto il loro
interesse verso la filosofia della percezione. I lavori riuniti qui mostrano, da
Helmholtz a Fodor, che le difficoltà
epistemologiche ed ontologiche classiche sono ancora presenti nelle teorie
contemporanee dello spirito.
Piguet, Jean-Claude
Widmer, Gabriel (a cura di)
Le renversement sémantique
Cahiers de la Revue de théologie
et philosophie
Paris febbraio 1992
pp.182, FF 174
Un teologo ed un filosofo discutono
sul tema della conoscenza, sul significato e la parola, sul linguaggio e l’esperienza.
Pinchard, Bruno
La Fabbrica della mente ou
la Raison dédoublée
Aubier, Paris marzo 1992
pp.624, FF 195
Studia il doppio dispiegarsi del sapere:
il poema razionale della scienza ed il
poema fantastico della vita, il cammino del concetto e quello del simbolo, la
certezza che la metafisica è possibile.
Platone
Timée, Critias
a cura di Luc Brisson
Flammarion, Paris febbraio 1992
pp.448, FF 42
Raggruppa due dialoghi associati da
tempo dalla tradizione. Il primo verte
sull’origine dell’universo, sull’uomo
e la società. Il secondo, sebbene incompiuto, completa il primo narrando
della guerra condotta da Atene contro
Atlantide: nascita di un mito e sguardo
rattristato sulla vita dell’uomo sociale
sottomesso all’usura del tempo.
Platone
Gorgia
Loffredo, Napoli ottobre 1991
pp.556, L. 70.000
A cura di Stefania Nonvel Pieri, primo
volume della nuova serie della collana
“Filosofi antichi”, ora diretta da Enrico Berti e Giovanni Pesce, presso il
Centro di studi filosofici di Gallarate.
Testo a fronte, ampio commento critico.
Plebe, A. - Emanuele, P.
I filosofi e il quotidiano
Laterza, Bari maggio 1992
pp.218, L. 25.000
Attraverso una ricostruzione del rapporto tra il quotidiano e il pensiero
filosofico in tutta la tradizione occidentale, gli autori discutono questa
controversa questione, chiedendosi se
in un mondo ormai privo di ideologie
non si ha necessariamente bisogno
della filsofia per poter afforntare le
scelte che ogni giorno ci vengono proposte.
Polk, James
Am Horizont der Zeit.
Ontologische Erkenntnis
und Transzendenz
in der Vernunftkritik Kants
Oberhofer, Berlin marzo 1992
pp.238, DM 88
Popper, Karl
La lezione del Novecento
Marsilio, Venezia maggio 1992
pp.120, L. 12.000
Karl Popper racconta in questo volume, in una distesa conversazione con
Giancarlo Bosetti, le ragioni del suo
distacco dal comunismo.
Preterossi, Geminello
I luoghi della politica
Guerini, Milano maggio 1992
pp.205, L. 34.000
Qual è il destino della politica negli
Stati territoriali sovrani dell’epoca
moderna? Come può conciliarsi la libertà individuale con l’esigenza di un
ordine stabile ed equo? E’ possibile
salvaguardare un nucleo non negoziabile di principi indiscussi, nonostante
la crescita degli interessi sociali? Sono
le domande a cui Hegel tenta di rispondere, in un’”epoca della Restaurazione” meno monolitica di quanto si creda.
Raffel, Stanley
Habermas, Lyotard and the concept
of justice
Macmillan Ac., London marzo 1992
pp.176, £ 35
Utilizza un concetto di giustizia per
dimostrare le teorie di Habermas e
Lyotard. Respinge l’irrazionalità propria dell’anti- positivismo, senza discutere la validità della critica postmoderna.
Rand, Ayn
Virtue of selfishness:
new concept of egoism
New Amer. Lib, gennaio 1992
pp.152, £ 3.99
Rawis, John
Die Idee des politischen
Liberalimus. Aufsätze 1978-1990
A cura di W. Hinsch
Suhrkamp, Frankfurt a.M.
gennaio-febbraio 1992
pp.280, DM 48
Il riconoscimento del dato di fatto del
Pluralismo è ciò che differenzia l’idea
di Rawis del Liberalismo sia dalle
concezioni utilitaristiche che dall’insegnamento morale kantiano.
Reese- Schäfer, Walter
Richard Rorty
Campus Vlg., Frankfurt a.M.
marzo 1992
pp.140, DM 17,80
Richard Rorty può essere considerato
il più importante rappresentate dell’attuale filosofia americana e al contempo il principale interlocutore del dibattito filosofico fra Europa e America.
Rehfus, Wulff D.
Einführung in das Studium
der Philosophie
Quelle & Meyer, Stuttgart
marzo 1992
pp.312, DM 29.80
Reichert, Thomas
Die Beziehung zwischen den
Begriffen des Menschen
und der Wahrheit bei Martin Buber
Haag + Herchen, Frankfurt a.M.
gennaio-febbraio 1992
pp.176, DM 28
Può esistere un’etica senza norme di
comportamento? Un sapere senza forme aprioristiche di conoscenza?
Richir, Marc- Tassin, Etienne
(a cura di)
Jan Patocka: philosophie,
phénoménologie, politique.
J.Millon, Paris febbraio 1992
pp.236, FF 115
Gli autori, filosofi, approcciano il pensatore ceco in occasione del Collège
international de philosophie del 1991.
Richter-Reichenbach, Karin-S.
Identität und Asthetisches Handeln.
Präventive und rehabilitative Funktionen
ästhetischer Prozesse
Dt. Studien-Vlg., Weinheim
marzo 1992
pp.200, DM 48
Rockmore, Tom
On Heidegger’s nazism
and philosophy
Univ. of California
Berkeley marzo 1992
pp.400, $ 54
Rockmore sostiene che il pensiero filosofico di Heidegger ed il suo nazismo, sono interdipendenti ed inseparabili, giacché egli si accostò al Nazional Socialismo su basi filosofiche e
questo influì notevolmente sulla sua
teorizzazione successiva.
Roetz, Heiner
Die chinesische Ethik
der Achsenzeit. Eine Rekonstruktion
unter dem Aspekt des Durchbruchs
zum
postkonventionellen Denken
Suhrkamp, Frankfurt a.M.
gennaio-febbraio 1992
pp.380 DM 64
Contrariamente a quanto vuole un’opinione diffusa in Occidente, anche l’antica Cina ha conosciuto un’epoca storica di illuminismo, nel senso di emancipazione dello spirito dalle istituzioni, dalle tradizioni e dalle convenzioni, grazie alla quale dispone di un
potenziale autoctono, fissato nei testi,
di coscienza critica.
Romilly, Jacueline De
Great sophists in Periclean Athens
traduzione di John Lloyd,
Oxford University Press
gennaio 1992
pp.288, £ 35.00
Rosas, Alejandro
Transzendentaler Idealismus
und Widerlegung der Skepsis bei Kant.
Untersuchung zur analytischen
und metaphysischen Schicht in der
“Kritik der reinen Vernunft”
Königshausen & Neumann, Würzburg
gennaio-febbraio 1992
pp.160, DM 68
Per una migliore interpretazione e una
ricostruzione oggettiva della strategia
NOVITA' IN LIBRERIA
dimostrativa di Kant, questa analisi
cerca di portare in luce e di separare
l’oggetto dall’indipendenza reciproca
dei livelli del significato e dell’argomentazione nella critica della ragion
pura.
Rose, Gillian
The broken middle.
Out of our ancient society
Blackwel Publishing, Oxford
gennaio-febbraio 1992
pp.372, £ 15
L'analisi si snoda attraverso molte discipline: filosofia, teologia, giudaica,
diritto, teoria politica e sociale, critica
letteraria, femminismo, architettura.
Offre una riflessione sulla moderna
tradizione filosofica e respinge l’antiteoria del postmodernismo.
Rosset, Clément
Principes de sagesse et de folie
Minuit, Paris febbraio 1992
pp.122, FF 65
A partire da un precetto parmenideo,
Rosset propone una riflessione che si
estende in tre punti: Sull’esistenza,
Sulla follia (l’esistenza spiazzata),
Sulla dissolutezza (l’esistenza sdoppiata). In appendice: Il miracolo greco, Lo specchio animale, Lo specchio
della morte, Morale e dissolutezza, Le
mancanze della parola dissoluta.
Rossi, Luciano
Negazioni
Quattro Venti, Urbino marzo 1992
pp.137, L. 24.000
Raccolta di saggi dedicati alla riflessione sull’aspetto teleologico nell’ambito dell’intervento umano, elemento
di mediazione fra il carattere di necessità dei fatti naturali e quello di accidentalità di quelli artificiali.
Rovatti, Pier Aldo
L’esercizio del silenzio
Raffaello Cortina, Milano 1992
pp.134, L. 16.000
Costeggiando una zona filosofica tra
Husserl e Heidegger, i saggi contenuti
in questo libro tentano di addestrare il
lettore a scansare l’effetto di verità che
sembra implicito nella parola filosofica e, poi, ad abitare questa stessa parola introducendovi, a propria volta, qualcosa come silenzio.
Rudolph, Enno
Odyssee des Individuums.
Zur Geschichte eines
vergessenen Problems
Metzler, Stuttgart
gennaio-febbraio 1992
pp.200, DM 32
L’autore persegue con un’analisi storico-filosofica l’usurpazione dell’individuo da parte della comunità e pone
l’accento sulla resistenza in senso opposto del singolo, che conserva la propria ineffabilità davanti alla generalizzazione teoretica (nel senso del soggetto) e all’estraniamento sociale.
Russ, Jacqueline
Les méthodes en philosophie
Armand Colin, febbraio 1992
pp.192, FF 69
Propone lo studio dei fondamenti filosofici del metodo (sviluppo didattico,
analisi, sintesi), delle regole essenziali
della retorica ed infine di un insieme di
tecniche di analisi dei soggetti, di creazione di piani, di redazione di doveri.
Russo, Lucia Pizzo (a cura di)
L’educazione estetica
Aesthetica Ed., Palermo 1992
pp.84, L. 10.000
Un serrato confronto interdisciplinare
su un annoso problema di scottante
attualità.
Rustenmeyer, Dirk
Historische Vernunft,
politische Wahrheit
Dt. Studien-Vlg., Weinheim
gennaio-febbraio 1992
pp.267, DM 68
Rütten, Thomas
Demokrit. Lachender Philosoph
und sanguinischer Melancholiker.
Eine pseudohippokratische
Geschichte
Brill, Leiden/Köln
gennaio-febbraio 1992
Dfl. 125
Saleemi. Anjum P.
Universal grammar
and language learnability
Cambridge University Press
marzo 1992
pp.200, £22.50
Salomon, W. - Cartwright,
N. - Mischel, T.
VanFrassen, B.
Spiegare e comprendere.
Saggi sulla spiegazione scientifica
a cura di Luigi P. Zorzato
Spazio Libri, Ferrara gennaio 1992
pp.141, L. 24.000
Una raccolta di quattro saggi che considera il problema della spiegazione
scientifica proponendo nuovi orientamenti critici, sviluppando e superando
l’impostazione generale data dall’epistemologia neopositivista.
Sandrini, Maria Grazia
Probabilità e induzione
Carnap e la conferma come
concetto semantico
Franco Angeli, Milano maggio 1992
pp.128, L. 20.000
Il volume si propone innanzitutto di
esporre e di chiarire i concetti basilari
della fondamentale opera di Carnap
Logical Foundations of Probability,
situandoli nel più ampio orizzonte semantico nel quale Carnap stesso li ha
concepiti.
Franco Angeli, Miano maggio 1992
pp.112, L. 24.000
Il tentativo di Couturat di allargare i
confini della filosofia sfociò in una
valutazione esagerata della nascente
logica simbolica e in un impossibile
connnubio fra lingua filosofica di Leibniz e il progetto di lingua esperanto.
Nacque così l’intelligente progetto di
lingua Ido, che aspirava a costituirsi
contestualmente come lingua filosofica, logicamente perfetta, e come manifesto della sociologia linguistica.
Savater, Fernando
Etica per un figlio
Laterza, Bari-Roma giugno 1992
pp.117, L. 18.000
La riflessione morale non come branca della filosofia o della pedagogia, né
come disciplina specialistica ma, secondo Savater, come «parte essenziale di ogni educazione veramente degna di questo nome».
Schad, W. (a cura di)
Die menschliche Nervenorganisation
und die soziale Frage. Ein
anthropologisch-anthroposophisches
Gespräch
Vlg. Fre. Geistesleben, Stuttgart
gennaio-febbraio 1992
pp.340, DM 48
Schaefer, Alfred
Der Nihilismus in Hegels Logik.
Kommentar und Kritik zu Hegels
Wissenschaft der Logik
Berlin-Vlg., Berlin marzo 1992
pp.168, DM 25
Schlegel, Friedrich
Frammenti di Estetica
a cura di Michele Cometa
Aesthetica Ed., Palermo 1992
pp.116, L. 15.000
La prima edizione italiana dei fondamenti dell’estetica romantica.
Schleiermacher, Friedrich Daniel
Estetica
a cura di Paolo D’Angelo
Aesthetica Ed., Palermo 1992
pp.168, L. 20.000
Schlitt, Michael
Umweltethik.
Philosophisch-ethische Reflexionen Theologische Grundlagen - Kriterien
Schöning, Paderborn
gennaio-febbraio 1992
pp.250, DM 48
Schoedinger, Andrew B. (a cura di)
Problem of universals
Humanties P., U.S., gennaio 1992
pp.488, £ 15.95
Sankaracarya
World speaks to the faustian man
traduzione di S.R. Gupta
Motilal Banarsidass, India
gennaio 1992
pp.455, £ 30.00
Schoeller, Donata
Gottesgeburt und Selbstbewußtsein.
Denken der Einheit bei Meister
Eckart und G.W.F.Hegel
Bernward, Hildesheim marzo 1992
pp.144, DM 28
Sanzo, Ubaldo
L’artificio della lingua
Luois Couturat 1868-1914
Schopenhauer, Arthur
Le vouloir-vivre;
l’art et la sagesse
a cura di André Dez.
PUF, Paris gennaio 1992
pp.240, FF 56
Questo filosofo, con più di un secolo
di anticipo, aveva già posto problemi
con i quali noi ora ci confrontiamo:
studi sull’energia, sui sentimenti, sulle
arti, sulle religioni, dialogo OrienteOccidente.
Schopenhauer, Arthur
Fondement de la morale
a cura di Alain Roger.
LGF, Paris gennaio 1992
pp.256, FF 30
Una formidabile riflessione sulla morale vent’anni dopo Il mondo come
volontà e rappresentazione.
Schultz, B. (a cura di)
Essays on Henry Sidgwick
Cambridge University Press
Cambridge marzo 1992
pp.352, £ 37.50
In questo libro un eminente gruppo di
filosofi rivaluta l’intero lavoro di Sidgwick, non solo la sua teoria etica,
ma anche i suoi contributi come storico della filosofia, teorico politico e
riformatore.
Secretan, Philibert
Erkenntnis und Aufstieg:
Einführung in die Philosophie
von Edith Stein
Tyrolia-Vlg, Innsbruck marzo 1992
pp.152, DM 34
Seiffert, Helmut
Einführung in die
Wissenschaftstheorie.
C.H.Beck, München marzo 1992
pp.240, DM 19.80
Semerari, Fulvio
Potenza come diritto:
Hobbes, Locke, Pascal
Edizioni Dedalo, Bari aprile 1992
pp.278, L. 30.000
Questo volume esamina l’aspetto della controversia etico-politica del Seicento che si delinea nel pensiero di
Hobbes, Locke e Pascal, considerando il problema della fondazione del
diritto e della giustizia, mettendo in
rilievo le divergenze teoriche tra Hobbes e Locke da una parte e Pascal
dall’altra.
Sena, Michelantonio
La filosofia di F. De Sanctis
Nuove edizioni Tempi Moderni
Napoli febbraio 1992
pp.103, L. 13. 000
Sul presupposto del carattere filosofico dell’arte, dove la filosofia è caratterizzata dal suo collocarsi nella dimensione etica, il saggio individua in semplicità e laicità i caratteri della filosofia della Storia della letteratura italiana.
Seneca
Lettres à Lucilius
ed. di Marie-Ange Jourdan.
Flammarion, Paris febbraio 1992
pp.192, FF 42
Le prime ventinove lettere qui tradotte
integralmente, esortano alla pratica della filosofia e si spiegano attorno ad
alcuni temi stoici: l’assenza di paura
dinanzi alla morte, l’invulnerabilità
del saggio difronte alla fortuna, la for-
NOVITA' IN LIBRERIA
za d’animo, la necessità di liberarsi
dalle passioni.
Seneca
Consolations
a cura di Colette Lezam
Rivages, Paris febbraio 1992
pp.146, FF 45
Accusato di congiura ai danni dell’imperatore Claudio, il filosofo viene esiliato in Corsica nel 41. Durante questo
esilio che durerà otto anni, seneca invia alla madre Helvia queste Consolazioni, nelle quali conduce una riflessione generale sull’esilio e sulle condizioni di una felicità vera.
Senofonte
Anabasi
trad. it. di Andrea Barabino
Garzanti, Milano marzo 1992
pp.560, L. 22.000
Serres, Michel
Le contrat naturel
Flammarion, Paris febbraio 1992
pp.192, FF 37
Una meditazione sui nuovi doveri che
ormai abbiamo verso il mondo che
abitiamo e che abbiamo così a lungo
ignorato, preoccupati dei nostri lutti,
delle nostre guerre, del nostro progresso. Un saggio che vuole essere anche
un grido di aiuto.
Serres, Michel; Latour, Bruno
Eclaircissement:
entretiens avec Bruno Latour.
F.Bourin, Paris febbraio 1992
pp.322, FF 110
Con l’aiuto di B.Latour e sotto forma
di intervista, Michel Serres ripercorre
la sua formazione, il suo passaggio
dalle scienze alla filosofia, spiega il
suo metodo e colloca il suo pensiero
nella riflessione contemporanea.
Sher, Gila (a cura di)
The bounds of logic:
a generalized viewpoint
Bradford Book, London
febbraio 1992
pp.160, £ 24.75
Sherry, Patrick
Spirit and beauty: an incorporation
to theological aesthetics
Clarendon Press, London
marzo 1992
pp.208, £ 25.00
Nella stiria della teologia cristiana, la
bellezza, sia in natura che in arte, é
stata spesso associata con lo Spirito
Santo. Questo libro esamina la connessione tra questi due concetti e la
relazione con l’ispirazione, la gloria di
Dio e la bellezza divina.
Skinner, Quentin - Tuck, Richard
Thomas, William - Singer, Peter
Great political thinkers:
Machiavelli, Hobbes, Mill and Marx
Oxford Paperbacks, marzo 1992
pp.480, £ 8.99
Questo volume contiene studi su quettro dei teorici politici più influenti
della tradizione occidentale: Machiavelli il cui nome é ora sinonimo di
dupplicità, Hobbes uno dei più grandi
filosofi politici inglesi, Mill difensore
della libertà individuale, Marx la cui
eredità ha toccato milioni di persone.
Smith, W.H. Newton - Jiang, Tianji
( a cura di)
Popper in China
Routledge, London, gennaio 1992
pp.176, £ 30.00
Snare, Francis
The nature of moral thinking
Routledge, London, marzo 1992
pp.176, £ 8.99
Un libro introduttorio al problema dell’etica. Snare fornisce una base storica
e filosofica per valutare i problemi
centrali dell’etica.
Sokolowski, Robert
Pictures, quotations,
and distinctions: fourteen essays
in phenomenology
University of Notre Dame Press
marzo 1992
pp.320, £ 25.95
Una antologia dei saggi di Sokolowski,
un pensatore interessato a problemi di
analisi concettuale. I saggi rilevano il
proggetto di analisi fenomenologica
critica di molte differenti forme di
presentazione che di esperienza umana.
Spinnici, Paolo
Il significato e la forma linguistica.
Pensiero, esperienza e linguaggio
nella filosofia di Anton Marty
Franco Angeli, Milano maggio 1992
pp.344, L. 35.000
Che rapporto c’è tra linguaggio e pensiero? Qual’è la funzione specifica del
linguaggio? In che misura la dimensione pragmatico-comunicativa determina universalmente la forma linguistica? A tutte queste domande Anton
Marty dà una risposta approfondita ed
originale.
Spinoza, Baruch
Traité de la réforme de l’entendement
Ed. Bernard Rousset
Vrin, Paris febbraio 1992
pp.479, FF 250
La filosofia di Spinoza non è più disprezzata, non resta che comprenderla
nel suo movimento che genera il sistema del vero per portarci alla liberazione di noi stessi.
Standish, Paul
Beyond the self:
Wittgenstein, Heidegger
and the limits of language
Avebury, London gennaio 1992
pp.283, £ 32,50
Stoecker, Ralf
Was sind Ereignisse?
Eine Studie
zur analytischen Ontologie
De Gruyter, Berlin
gennaio-febbraio 1992
pp.253, DM 134
Strauss, Leo
Qu’est-ce que
la philosophie politique ?
PUF, Paris marzo 1992
pp.304, FF 198
L’autore tratta della definizione di filosofia politica e della sua storia, sot-
tolineando la necessità di appoggiarsi
seriamente sui pensatori classici. La
filosofia qui esposta si occupa di ciò
che è più elevato nell’uomo.
Taubes, Jacob
Abendländische Eschatologie.
Mit einem Anhang
Matthes & Seitz, München
gennaio-febbraio 1992
pp.250, DM 46
L’unico libro di Jacob Taubes, geniale
erudito ebreo, sulle tracce dell’attesa
della fine del mondo. Un uomo che per
qualcuno è diventato un mito.
Taureck, Bernhard H.F.
Lévinas zur Einführung
Junius, Stuttgart
gennaio-febbraio 1992
pp.150, DM 17,80
Lévinas, filosofo di lingua francese
indubbiamente difficile, ma per alcuni
problemi colui che ha più da dire ai
giorni nostri, attinge principalmente a
due fonti: la tradizione giudaica e la
fenomenologia di Husserl.
Taureck, Bernhard H.F.
Ethikkrise - Krisenethik.
Analysen, Texte, Modelle
Rowohlt, Reinbeck marzo 1992
DM 24.80
Tepe, Peter
Postmoderne, Poststrukturalismus
Passagen-Vlg., Wien marzo 1992
pp.336, DM 78
Thomas H. (A cura di)
Naturherrschaft.
Wie Mensch und Welt
sich in der Wissenschaft begegnen
Busse Seewald, Herford marzo 1992
pp.336, DM 28
Il libro documenta un dialogo fra scienziati naturali e filosofi sul rapporto fra
comprensione del mondo e realtà del
mondo, organizzato dal Kölner Lindenthal-Institut. Quale prospettiva sulla struttura del mondo possono fornirci gli scienziati naturali? E soprattutto
quali rapporti dell’uomo con l’ambiente e con se stesso sono auspicabili?
Thomessen, Niels
Communicative ethics
in theory and practice
Macmillan Acad., London marzo 1992
pp.240, £ 40.00
Questo testo sull’etica comunicativa,
pubblicato in Danimarca per la prima
volta nel 1985, rappresenta un’alternativa all’etica teleologica e deontologica e conduce la filosofia danese nel
dibattito anglo-americano. Un disegno di comunicazione interpersonale
é il prodotto di un’analisi di conflitti.
Többicke, Christian
Negative Dialektik
und Kritische Ontologie.
Eine Untersuchung zu
Theodor W. Adorno
Königshausen & Neumann Würzburg
marzo 1992
pp.158, DM 34
Il libro rischiara il fondamento teoretico della filosofia di Adorno, ricavando
l’elemento ontologico e metodologi-
co, e cioè la novità del pensiero di
Adorno.
Tommaso D’Aquino
Questions disputées du De veritate:
Raison supérieure
et raison inférieure,
De la syndérèse, De la conscience
ed. e trad. di Jean Tonneau
Vrin, Paris gennaio 1992
pp.255, FF 198
Tre “questioni” che giocano un ruolo
essenziale nell’elaborazione dell’antropologia morale di S.Tommaso.
Tommaso D’Aquino
L’etre et l’essence
Ed.e trad. diCatherine Capelle
Vrin, Paris febbraio 1992
pp.94, FF 36
Prima di dedicarsi al problema dell’esistenza di Dio, San Tommaso definisce i termini stessi di esistenza ed
essere.
Tönnies, Sybille
Der Dimorphismus der Wahrheit.
Universalismus und Relativismus
in der Rechtsphilosophie
Westdt. Vlg., Wiesbaden marzo 1992
pp.340, DM 56
La vecchia polemica fra universalismo e relativismo viene oggi risolta
dalla teoria del sistema a favore del
relativismo. Le due opposte posizioni
non si escludono a vicenda, ma possono essere considerate complementari,
il che significa una vittoria dell’universalismo e un grosso obiettivo.
Trigano, Shmuel
Philosophie de la lois:
l’origine de la politique
dans la Tora
Cerf, Paris marzo 1992
Venturi Ferriolo, Massimo
Giardino e filosofia
Guerini, Milano marzo 1992
pp.218, L. 32.000
Il giardino come suggestiva metafora
della vita e, in quanto tale, immagine
etica, che investe direttamente il comportamento dell’uomo e le regole essenziali cui è tenuto. A partire da Omero
e dal Socrate del Fedro, Venturi Ferriolo ricostruisce la fenomenologia
pensiero-giardino-paesaggio nella riflessione filosofica in Occidente: un
vario configurarsi di rapporti che trova
i momenti più significativi nella teorizzazione del sentimento per la natura
nel Settecento francese e inglese, nelle
riflessioni rousseauiane sul paesaggio
e, infine, in Goethe e nei Romantici.
Wackernagel, Wolfgang
Ymagine denudari:
éthique de l’image et métaphysique
de abstraction chez Maitre Eckhart
Vrin, Paris gennaio 1992
pp.224, FF 150
Tre parti: la prima è consacrata all’etica dell’ “Entbildung”, la seconda alle
nozioni di analogia, immagine e astrazione, e la terza al “ritorno delle immagini”.
Wahsner, Renate
Prämissen physikalischer Erfahrung
Zur Helmholtzschen Kritik
NOVITA' IN LIBRERIA
des Raum-Apriorismus
und zur Newton-Marxschen Kritik
des antiken Atomismus
Vlg. f. Wiss. und Bildung, Berlin
gennaio-febbraio 1992
pp.112, DM 24.80
Wallace, William A.
Galileo, The Jesuits
and the medieval Aristotle
Variorne, Aldershot marzo 1992
pp.350, £ 45
La convenzionale opposizione tra l’aristotelismo scolastico e le scienze umanistiche è stata via via rimessa in questione negli ultimi anni. Questi articoli
cercano di dimostrare l’importanza dell’aristotelismo nei fondamenti delle
scoperte scientifiche di Galileo.
Walls, Jerry L.
Hell: the logic of damnation
University of Notre Dame Press
marzo 1992
pp.224, £ 21.50
Analizzando il problema dal punto di
vista della teologia filosofica, l’autore
esplora la dottrina dell’inferno in relazione sia alla natura divina che alla
natura umana.
Walther, M. (a cura di)
Spinoza und der deutsche Idealismus
Königshausen und Neumann, Würzburg
gennaio-febbraio 1992
pp.204, DM 48
Watier, Pierre
Georg Simmel
et les sciences humaines:
actes du colloque de Strasbourg
(14-15 septembre 1988)
Méridiens-Klincksieck
febbraio 1992
pp.256, FF 100
Dallo studio delle metropoli all’arte di
Rodin, differenti aspetti di questo filosofo e sociologo sono affrontati, passando dalla filosofia della vita e del
denaro, alla decomposizione della personalità e alla sociologia del quotidiano.
Weidmann, Heiner
Flanerie, Sammlung, Spiel.
Die Erinnerung des 19. Jahrhunderts
bei walter Benjamin
Fink, München marzo 1992
pp.176, DM 48
Weil, Simone
La pesanteur et la grace
Presses pocket, Paris
gennaio 1992
pp.209. FF 32
Concepito come una successione di
riflessioni su temi vari, ma la cui coerenza é stupefacente, questo libro costituisce un’iniziazione all’opera di
S.Weil.
Wenzel, Uwe J.
Anthroponomie.
Kants Archäologie der Autonomie
Akademie-Vlg., Berlin marzo 1992
pp.326, DM 142
Werner, Rudolf
Auf der Suche
nach dem verlorenen Sinn.
Die Dialektik der Aufklärung
im System der Kritischen Theorie
und ihr Verhältnis
zur philosopischen Tradition
Schelzky und Jeep, Berlin
marzo 1992
pp.180, DM 39.80
White, Michael J.
The continuos and the discrete
Clarendon Press, marzo 1992
pp.368, £ 40.00
Un’analisi dei tre vecchi modelli di
grandezza spaziale,tempo e moto locale. Il modello aristotelico é presentato come un’applicazione dell’antica
concezione dell’estensione al mondo
fisico. Gli altri due modelli sono un
modello “quantistico” della grandezza spaziale ed un modello stoico.
Wokart, Norbert
Antagonismus der Freiheit.
Wider die Verharmlosung
eines Begriffs
J.B. Metzler, Stuttgart marzo 1992
pp.160, DM 32
La libertà non deve affatto essere pensata come una qualità, ma come motivo sostanziale dell’uomo. Ciò per la
prima volta compare nella filosofia
del Rinascimento, ma viene veramente compreso solo nell’idealismo tedesco. Quando la libertà dunque costituisce la sostanza dell’uomo, costui non
ne patirà mai la mancanza.
Wolff, Francis
Aristote et la politique
PUF, febbraio 1992
pp.128, F 38
Un’analisi dei libri chiave della filosofia politica aristotelica, per rivelarne a
tutti l’intenzione singolare ed il senso
universale.
Wright, John
Science and the theory of rationality
Avebury, Aldershot
gennaio-febbraio 1992
pp.100, £ 25
L’opinione largamente diffusa che le
teorie scientifiche debbano essere semplici, induttive ed empiriche, mentre le
altre teorie debbano essere accurate ed
esplicative. Questi requisiti in realtà
possono essere ridotti ad uno solo:
l’indipendenza della teoria dai dati.
Wurtz, Jean-Paul (a cura di)
Ernst Barthel:
philosophe alsacien 1890-1953
Presses Univers. de Strasbourg
febbraio 1992
pp.91, FF 60
Raccoglie studi pubblicati in occasione del centenario della nascita di questo pensatore alsaziano, conosciuto per
il suo anticonformismo.
Young, Julian
Nietzsches philosophy of art
Cambridge University Press
marzo 1992
pp.192
L’autore afferma che il pensiero di
Nietzsche sull’arte può essere compreso solo nel contesto dell sua filosofia. In particolare si discute nell’estetica nietzscheana il tema della morte di
Dio, dell’aterno ritorno e dell’idea
dell’Ubermensch.
Yourgrau, Palle
The disappearance of time:
an essay on the philosophy
of Kurt Goedel
Cambridge University Press
gennaio 1992
pp.192, £ 27.50
Questo é un libro sulla filosofia del
tempo, ed in particolare la filosofia del
logico Kurt Goedel (1906-1978). Si
valuta il tentativo di Goedel di mostrare che Einstein non ha spiegato in
maniera appropriata il concetto di tempo. Diversamente da studi recenti più
tecnici, il problema analizzato é la
realtà del tempo. Il libro analizza la