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Sommario Articoli 2 Rubriche editoriale 49 Conversazioni bibliofile Sulla bibliomania (quater) Giuseppe Maria Gottardi 4 Lettori al bivio Andrea Angiolino 16 La formazione di una cultura personale: infanzia e adolescenza Sandro Dise 26 Tridentini scriptores prohibiti III Giuseppe Canestrini 58 libri di confine Also sprach Winnetou Peter Disertori 61 musicobibliofilia Una rarità musicale Irene Comisso 66 libro chiama libro Un progetto di nome libro Giuseppe Maria Gottardi David Cerri 40 71 Suggestioni marine nella musica d’arte Diego Cescotti IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 parlando di libri... Cartolina dalla fossa Anna Maria Ercilli 73 lo scaffale Italiano: una storia da conoscere Italo Bonassi 82 E Quando il libro è un giocattolo Francesca Garello 87 galeotto fu il libro S’ ei piace, ei lice Antonella Dorigotti 88 topi di biblioteca Le ore del mattino... I tesori della Biblioteca civica III Giuseppe Maria Gottardi 101 promuovere lettura Amministrare cultura Franco Panizza 103 i mestieri del tipografo L’ apprendista stampatore Marco Zamboni 107 attività del furore Vita dell’ Associazione Rossella Saltini Due nuove edizioni del Furore Hanno scritto per noi 90 111 biblioteca mon amour In memoriam Stefano Piffer e Giovanni Caliò l’ ultima pagina Giudici, lo sgomento di esistere Gianmario Baldi Carlo Andreatta 1 Editoriale N umero 3. Il mio primo incontro con i “bivi” risale agli anni ‘60 quando, sognando un futuro da psicologo, mi imbattei nell’ opera di B.F. Skinner e nei primi prodotti delle sue teorie sull’ apprendimento. I volumetti della collana di apprendimento programmato (la famosa Tutor della Vallecchi) erano neri, pesanti, eleganti: non si potevano leggere come un normale manuale dalla prima all’ ultima pagina, ma i “salti” erano guidati dalla correttezza delle risposte che veniva chiesto di dare. Da allora la lettura non-lineare ne ha fatti di passi: dal mondo “seriosamente” scientifico a quello “gioiosamente” più gradevole della narrativa come ben ci illustra Andrea Angiolino, il maggior esperto italiano di questo genere letterario, con un articolo/saggio “a bivi” che rappresenta un unicum nel panorama delle riviste come la nostra. E se dopo averlo letto (o sarebbe meglio dire “esplorato”?) qualcuno si chiederà “Ma dove si andrà a finire?”, si può solo consigliargli di aspettare i prossimi numeri de «La Rivista del Furore»... Questo numero intanto, prosegue nel suo intento di scoprire ed esplorare le varie facce del mondo dei libri e delle esperienze di lettura, antiche e futuribili. Quanto può influire la lettura sulla formazione di una cultura personale? La risposta proveremo a darla in tre puntate. Nella prima, su questo stesso numero, avremo anche modo di riflettere come l’ aver a disposizione libri e un ambiente favorevole al loro impiego non supplisca alla volontà e all’interesse personale del giovane che cresce. Si continua con un invito a passeggiare sulle affascinanti rive di un mare nel quale le onde sonore di sinfonie immortali si mesco- 2 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI lano con versi altrettanto immortali e, leggendo oltre, potremo anche immaginare di sentire in lontananza là, dalle remote isole dei tropici, il Canto degli Antropofaghi. Di questa chicca musicobibliofila potete anche farne una suoneria o semplicemente ascoltarla scaricandola dal nostro sito. Per il resto: bibliomanie, gioielli bibliofili da riscoprire sotto casa, progetti di lettura, un Salgari di lingua tedesca, innamoramenti letterari, ricordi di quando l’italiano non era ancora lingua, ritratti, libri giocherecci e le fatiche per imparare l’arte dello stampatore. Anche questa volta ce n’ è per tutti i gusti o, almeno, lo speriamo. S tanno arrivando i primi racconti brevissimi sul tema “Il libro perduto” per il nostro concorso «Parole per strada - 2011». Ricordiamro che i Soci del Furore sono “naturalmente” invitati a partecipare e che quest’anno la Mostra dei racconti vincitori avrà anche una versione “light” e sarà portata nei comuni trentini e presso alcune biblioteche di altre regioni. I racconti partecipanti saranno pubblicati nell’ Antologia di Parole per strada. Partecipate! Il Canto degli Antropofaghi nell’ esecuzione di un coro virtuale, trascrizione ed elaborazione digitale di R. Galli http://www.ilfuroredeilibri.org/download/antropofaghi.mp3 IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 3 Lettori al bivio Andrea Angiolino 4 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI lettori al bivio 1 Racconti e romanun solo inizio ma molti I diritti imprescindibili del lettore zi, di norma, sono finali, scritte apposta per fatti per essere letti essere fruite secondo perI. Il diritto di non leggere dall’ inizio alla fine. Il letcorsi zigzaganti e saltaII. Il diritto di saltare le pagine tore rispettoso dell’ opera beccanti che portano a III. Il diritto di non finire un libro ben si guarda dal saltarleggere solo una parte di ne dei pezzi, leggere i paquanto l’ autore ha scritIV. Il diritto di rileggere ragrafi balzando avanti e to. V. Il diritto di leggere qualsiasi cosa indietro per le pagine, Progettate per essere VI. Il diritto al bovarismo abbandonare la lettura magari lette ripetuta(malattia testualmente contagiosa) prima di averla portata a mente, dando ogni volta VII. Il diritto di leggere ovunque termine, salvo gravi casi vita a una trama diversa. di eccessivo tedio o reSi tratta di libri che VIII. Il diritto di spizzicare pulsione per quanto si è ramificandosi sviluppaIX. Il diritto di leggere a voce alta letto. Nonostante che fra no tanti possibili futuri X. Il diritto di tacere i diritti del lettore Pennac di una stessa vicenda: Daniel Pennac, Come un romanzo annoveri quelli di saltare ma non è un labirinto le pagine, non finire il licostruito per far perdebro, spizzicare. re il lettore, come in Ma questo modo ordinato di leggere non è scontato e certe fantasticherie di Borges, perché un filo di universale. Gli anni ‘80 del secolo scorso hanno visto il Arianna costituito da paragrafi numerati e rimandi successo dei libri-gioco: un filone di storie curiose, con lo guida a costruire la storia. 2 Se vuoi un esempio di come funzionano i libri-gioco, vai al paragrafo 12 Se credi che un esempio non ti serva, vai al paragrafo 10 Se l’ accenno a Borges ti stuzzica, vai al paragrafo 4 Mozart, per citare un caso illustre, aveva preparato più di una conclusione per il proprio Don Giovanni, da usare a seconda dell’ umore del pubblico: lui stesso lo diresse sia con un epilogo drammatico che con un lieto fine. Il cinema ha ereditato questa tradizione, che in tempi relativamente recenti è attestata dal film Signori, il delitto è servito (di Jonathan Lynn, USA 1985) non a caso ispirato al gioco da tavolo Cluedo: sono stati infatti girati ben tre finali diversi, che all’ uscita erano proiettati in sale differenti. L’ edizione per l’ home video, così come la localizzazione per i cinema italiani, prevede invece la visione di tutte e tre le conclusioni l’ una dopo l’ altra. Pare che varie telenovelas via cavo siano state realizzate negli Stati Uniti predi- IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 sponendo per ogni puntata due finali, tra cui il pubblico sceglieva in diretta il preferito; la puntata successiva veniva poi girata di conseguenza. Da noi, un meccanismo del genere è stato proposto tra il 1969 e il 1970 da Gianni Rodari in una trasmissione radiofonica dove raccontava favole che avevano appunto più finali, tra cui i piccoli ascoltatori potevano selezionare quello che preferivano. Si trattava di una scelta esplicita fra più possibilità, esattamente come quella dei libri-gioco: l’ unica differenza è che in questi ultimi i bivi nella trama si succedono l’ uno dopo l’ altro, mentre nelle favole di Rodari vi era uno solo snodo fra l’ inizio e la fine della storia. Le vicende narrate durante la trasmissione sono state successivamente raccolte in Tante 5 Andrea Angiolino storie per giocare (Editori Riuniti, Roma, 1971), assieme anche alle considerazioni dell’ autore – talvolta alquanto 3 moraleggianti – su quale sia ogni volta l’ epilogo che i bambini dovrebbero preferire e perché. o9 Se vuoi scoprire cosa avevano fatto nel frattempo i colleghi stranieri di Rodari 14 Se vuoi sapere cosa abbia davvero ispirato direttamente i libri-gioco o Ad oggi, il libro-gioco è un fenomeno che conta soprattutto numerosi appassionati collezionisti, alla continua ricerca dei libri pubblicati ai tempi d’oro del millennio scorso. Ma anche se le uscite sono assai più rade che un tempo, il filone è ancora vivace. Per i più piccoli, nel 2005 è uscito un libro-gioco per chi non sa laggere: Il Mischiastorie - Osvaldo e i cacciatori (di Andrea Angiolino, illustrazioni di Valeria De Caterini, Edizoni Lapis), composto da schede esclusivamente illustrate che vanno affiancate l’ una all’ altra con un meccanismo che ricorda quello del domino, per garantire storie sempre coerenti che dallo stesso inizio portano a uno dei sette possibili finali tramite molti percorsi possibili. Al di fuori della narrativa, nel 2006 è stato dato alle stampe il libro di Antonio Tabucchi L’ oca al passo - notizie dal buio che stiamo attraversando (ed. Feltrinelli) che a cura di Simone Verde raccoglie articoli ripresi da quotidiani e altri interventi dell’ autore sull’ attualità; ogni singolo pezzo è lineare, così come era precedentemente apparso sui periodici, ma è l’ antologia nel suo complesso ad essere costruita come un libro-gioco perché i raccordi consentono di balzare da un brano all’ altro a seconda delle proprie scelte, componendo così percorsi di lettura differenti. Nel 2006 Mondadori ha tradotto in italiano alcuni libri-gioco dedicati ai personaggi delle Superchicche, mentre l’ anno dopo Piemme ha inaugurato la collana per ragazze La Protagonista sei Tu della scrittrice Elena Mora. Sempre nel 2007 è uscito È un gioco da ragazze di Heather McElhatton (Sperling & Kupfer Editori, Mila- no, 2007): un romanzo per un pubblico relativamente più adulto composto da oltre 700 pagine, che le lettrici percorrono saltabeccando secondo il più classico meccanismo del libro-gioco. Peccato che non sia invece pubblicato in Italia LifÈs Lottery di Kim Newman (Simon & Schuster, 1999), meno superficiale romanzo su un bimbo inglese degli anni ‘50 alle prese con la crescita e l’ età adulta, in cui la struttura della narrazione a bivi è anche occasione di riflessioni sulla predestinazione, i casi della vita, i privilegi di essere nato in un certo tempo e in un certo luogo piuttosto che in altri. Nel 2009 Frank J. Martucci ha pubblicato il librogioco Huntik - Librogame - La città di Atlantide (ed. Fabbri), tratto dal cartone animato Huntik, mentre nello stesso anno è uscito Minaccia su Gorm (di Fabio Fracas, ed. De Agostini) nel modo dei Gormiti. A dicembre 2009 per Lineadaria è uscito nella biblioteca Libramanti di Giliana e Giovanna Casagrande e Marzio Dal Tio. Gli ultimi arrivati, nel 2011, sono due semplici libri a bivi per bimbi: I Mille e una storia – Duevolte e l’ unità d’Italia di Emiliano Di Marco (Nuova Frontiera) sul nostro Risorgimento e Il cavaliere Coraggio di Delphine Chedru (Panini), ricco anche di piccoli enigmi. Che si tratti di un passatempo per bambini o adulti, o anche di una possibile forma di espressione letteraria, il libro-gioco ha evidentemente ancora qualcosa da dire. Può essere poco alla moda, ma certo saprà dare soddisfazione ai suoi nuovi lettori: soprattutto a chi vorrà andare a scavare negli scaffali di biblioteche e librerie dell’ usato, alla ricerca dei molti ipertesti cartacei di questo genere già realizzati in passato. FINE - Ma se vuoi puoi tornare indietro e cominciare l’ esplorazione da capo. 6 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI lettori al bivio 4 Spesso la realtà è prefigurata dalla fantasia e gli scrittori immaginano cose che solo più tardi verranno realizzate. Di libri che sviluppano una stessa vicenda in più modi possibili aveva già fantasticato Jorge Luis Borges immaginando autori bizzarri e opere curiose. Nel racconto “Il giardino dei sentieri che si biforcano”, apparso ne La Biblioteca di Babele (Einaudi, Torino, 1955, poi ripubblicato nel 1961 come Finzioni), aveva vagheggiato di un romanzo che è una labirintica metafora del tempo: “In tutte le opere di immaginazione, ogni volta che un uomo ha davanti diverse alternative, ne sceglie una e 5 scarta le altre; in quella del quasi inestricabile Ts’ui Pen, sceglie - simultaneamente - tutte le alternative. Crea, così, diversi futuri, diversi tempi che a loro volta proliferano e si biforcano.” La stessa antologia include anche “Esame dell’ opera di Herbert Quain”, dove lo scrittore argentino descrive un altro libro immaginario: April March (Marcia di Aprile, ma anche Aprile Marzo) che questa volta si biforca all’ indietro, proponendo per una vicenda tre possibili antefatti che a sua volta ne hanno ciascuno altri tre, annoverando così nove possibili punti di partenza per uno stesso episodio. o 18 o9 Se ti piace sapere a cos’altro possa portare la fantasia degli intellettuali Se preferisci invece qualcosa per il fanciullino che è in tutti noi Anche gli autori italiani si dedicano comunque alla stesura di libri-gioco. I primi due titoli sviluppati in Italia appaiono contemporaneamente nel giugno del 1987. In Cerca di Fortuna di Andrea Angiolino (edizioni Ripostes) è un libro gioco classicamente fantasy, sviluppato “a rete” anziché “ad albero”: si può quindi tornare più volte a esplorare gli stessi luoghi in cerca di un mitico tesoro, ma gli eventi precedenti influenzano ciò che vi si trova e che accade. Di ambientazione più inconsueta è Il presidente del consiglio sei tu di G&L, (Oscar Mondadori), decisamente dedicato a un pubblico adulto: provate a tentare la fortuna in politica, scegliendo innanzi tutto se schierarvi con la maggioranza o con l’ opposizione. L’ intento satirico è forte: all’ inizio occorre scegliere per il proprio personaggio alcune caratteristiche, ma avere “competenza” è pericoloso perché si rischia di diventare stimati professori universitari e vedere così naufragare le proprie aspirazioni alla massima carica politica italiana. Non si sa se il volume abbia ispirato la discesa in campo di futuri premier estranei alla politica: certo è che ha avuto successo, tanto che l’ anno successivo gli stessi autori pubblicano nella medesima collana Carriere, libro gioco dedicato alla ricerca del successo nella vita. Seguono poi negli Oscar diversi volumi-gioco fantascientifici dedicati al IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 Ciclo della fondazione di Isaac Asimov, che la Mondadori lascia credere scritti da quest’ultimo benché siano in realtà l’ italianissima creazione di Leonardo Felician. La Giunti Marzocco si getta nella produzione autoctona di libri-gioco affidandosi all’ abile autrice Stefania Fabri. A lei si deve una collana con titoli specificamente dedicati a lettori o lettrici: i primi quattro titoli sono Tu sei il principe; Tu sei la principessa; Tu sei il mago e Tu sei la maga. La medesima casa editrice non disdegna comunque le traduzioni: pubblica infatti sia libri che hanno per protagonista bambini di paesi remoti, sia volumetti più adulti a tema poliziesco e sportivo, tutti di fattura forestiera. La stessa Stefania Fabri inserisce, in fondo ad alcuni libri di lettura scolastica da lei curati, brevi raccontigioco a tema: non è la sola, perché altri ne appaiono in diversi sussidiari e libri di testo. La potenzialità didattica di questo strumento è in effetti forte e numerose classi usano lo schema del libro-gioco per attività di scrittura collettiva dove non è necessario far prevalere a ogni momento un solo suggerimento sullo sviluppo della storia, ma se ne possono accogliere contemporaneamente più di uno. Nel 1998 l’ Assessorato alle Politiche Giovanili del Comune di Roma arriva a realizzare un concorso di scrit7 Andrea Angiolino tura di libri-gioco nelle scuole per sensibilizzare sul problema del vandalismo grafico su muri e monumenti: l’ esperienza ha successo e viene ripetuta per esempio a Lucca, su temi ambientali legati alla raccolta e al riciclio dei rifiuti. Alla fine anche la E.Elle, editore esterofilo quant’altri mai, decide di aprirsi agli autori nostrani, ma solo in una collana di prime letture: Paola Sacchi rivisita così Cenerentola, Il gatto con gli stivali e Il soldatino di stagno consentendo a chi ha appena imparato a leggere di personalizzarle secondo il proprio gusto, o anche di stravolgerle completamente. o 6 3 Per scoprire come ancora oggi gli autori italiani e stranieri si diano da fare Per vedere come abbiano esplorato possibilità più tecnologiche rispetto a libri e riviste Fra traduzioni e creazioni locali, nella seconda metà degli anni ‘80 e nei primi anni ‘90 il fenomeno dei libri-gioco diventa veramente di massa anche in Italia. Editori grandi e piccoli si buttano nel settore con titoli dai soggetti più diversi. Alcuni volumi fotografici consentono di immedesimarsi in una lontra, un cervo, una volpe, uno scoiattolo; decine di foto d’epoca illustrano un titolo sugli aerosiluranti Savoia Marchetti della seconda guerra mondiale; un libro propone di effettuare o di sventare (dipende dalla prima scelta) un attentato dinamitardo al Parlamento inglese. Il libro-gioco arriva in edicola, non soltanto con la distribuzione di agili volumetti Mondadori dedicati ai bambini. La rivista “Storia e Dossier” allega, per tre estati consecutive, altrettanti libretti di ambientazione storica sul medio evo, sull’ antico Egitto e sulle imprese di Lawrence d’Arabia scomodando perfino lo storico 7 Jacques Le Goff per poterne apporre il nome in copertina. Brevi racconti iniziano ad apparire su riviste di ogni genere tra cui “L’ Espresso”, “Nuova Ecologia”, “L’ Eternauta”, “Kaos” e il supplemento giochi di “Sorrisi e Canzoni TV”. Il giornale “Il Manifesto” ritrova la vocazione divulgativa dello strumento dei rimandi e pubblica due articoli-gioco: il primo è “La sorpresa di Ulisse”, il 28 maggio 1989, sulla letteratura potenziale e le sue applicazioni, cui fa seguito “Simulandia”, il 24 dicembre 1989, che guida il lettore tra le novità ludiche da regalare a Natale. Perfino il settimanale “Topolino” pubblica diverse storie a bivi che hanno per protagonisti topi e paperi disneyani; volumi-gioco che mescolano testo e fumetto sono invece dedicati ad Asterix, a Lupo Alberto e a Dudley Serious, improbabile supereroe creato appositamente in America per diventare il protagonista di fumetti-gioco. o 11 Se credi che il meccanismo delle biforcazioni non sia solo adatto a libri e fumetti 3 Se ti pare che parliamo di un fenomeno ormai vecchio e fuori moda L’ abolizione della lettura sequenziale non è confinata alla saggistica: anche la letteratura se ne appropria, benché assai tardi. Attorno al 1960 appare per esempio Cent mille milliards de poèmes di Raymond Queneau: un libro che contiene appunto centomila miliardi di sonetti, ma in sole 10 pagine. Ognuna di esse è infatti divisa in 14 strisce, ciascuna contenente un verso, che possono essere girate separatamente dalle altre: è così per esempio possibile leggere in sequenza il primo verso della terza pagina, il secondo verso della 8 o 11 o nona, il terzo verso della prima pagina e così via. Le combinazioni, tutte formalmente corrette, sono appunto 100.000.000.000.000; parlando di questo originale sistema per generare testi, nella postfazione, François Le Lionnais conia la definizione di “letteratura combinatoria”. Il trucco di suddividere una trama su più cartoncini verrà poi utilizzato anche da alcuni scrittori per bambini che invitano a prendere uno dei possibili inizi, uno dei possibili proseguimenti e così via fino a uno dei pos2011/3 IL FURORE DEI LIBRI lettori al bivio sibili finali, per combinare ogni volta una favola diversa. Altre opere combinatorie non pongono vincoli su cosa debba costituire l’ incipit, cosa il corpo centrale, cosa il finale. 1962, Marc Saporta pubblica ad esempio il romanzo Composition numéro n. 1: comprende 150 pagine non numerate che il lettore dovrebbe rimescolare casualmente come un mazzo di carte prima di cominciare la lettura. Proprio alle carte da gioco si ispira fin dal titolo Juego de cartas di Max Aub, pubblicato un paio di anni dopo e realizzato sotto forma di un mazzo di 106 carte che riportano sul retro gli arcani minori dei tarocchi. Occorre mescolarle e leggerle in un ordine casuale: ogni carta riporta una diversa lettera di un disordinato carteggio, che a ciascuna lettura assume diversi significati a seconda di quelle che sono state lette prima di essa. A tradurre in italiano quest’ opera curiosa sono Arnaldo Cecchini e Rosa Sodero, che ai tarocchi sostituiscono le tessere del domino: il risultato di questa fatica si trova allegato al prezioso saggio di Beniamino Sidoti Giocare con le storie – modi, esercizi e tecniche per leggere, scrivere e raccontare (La Meridiana, Molfetta, 2001). Al rimando da un paragrafo all’ altro, che come ab- biamo visto è proprio il meccanismo che caratterizza i libri-gioco, ricorre invece Julio Cortazar che nel 1963 pubblica Rayuela: un romanzo combinatorio i cui 155 capitoli si possono leggere seguendo due differenti percorsi, di cui uno procede lungo la normale successione delle pagine mentre l’ altro viene suggerito indicando una diversa sequenza dei numeri dei vari paragrafi. Nel 1966 viene tradotto in inglese con il titolo di Hopstotc mentre in Italia è pubblicato da Einaudi intitolandolo Il gioco del mondo: come nelle altre lingue citate il riferimento è al gioco detto anche campana, paradiso, settimana o in altri modi ancora, dove su una serie di caselle tracciate al suolo si lancia un sasso da recuperare balzando su un piede solo. Seguendo suggestioni enciclopediche, Milorad Pavic crea invece un’ opera letteraria dove il lettore non si trova davanti a uno o più percorsi imposti ma si crea i propri: Il Dizionario dei Chazari, dato alle stampe da Garzanti nel 1988. Questi esperimenti letterari non si configurano però come narrazioni a bivi, e quindi come libri-gioco in senso proprio. I quali hanno piuttosto fra i loro antenati le opere con finali multipli, presenti ad esempio nella lirica. o 2 Se il discorso dei finali alternativi ti interessa iSe ai passatempi più tradizionali come domino, campana e carte 13 preferiresti qualche gioco più innovativo 18 Se vuoi saperne di più su Queneau e i suoi compagni di gioco Se ti pare che un bibliotecario argentino non possa essere lasciato fuori da un discorso del genere o 8 Giochi di ruolo e avventure per computer influenzano lo sviluppo del filone dei libri-gioco, rendendoli ancora più “gioco” e più attraenti per giovani e adulti. Il primo libro-gioco di questo tipo che arriva in Italia è Lo stregone della montagna infuocata, di Steve Jackson e Ian Livingstone: pubblicato in Inghilterra nel 1982 dalla Puffin Books, editore da grande distribuzione, appare da noi tre anni più tardi grazie alla Supernova di Milano. Risolvere l’ avventura raggiungendo uno dei finali vittoriosi è complicato e impegna- IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 o o4 tivo quanto in un’ avventura per computer; il racconto è ricco di ostacoli, trappole, mostri e magie quanto un’ avventura di gioco di ruolo. La differenza fra i tre modi in cui il giocatore interagisce con la storia è che nel gioco di ruolo egli può improvvisare qualunque azione gli venga in mente ed è il narratore a inserirla coerentemente nella vicenda; nell’ avventura per computer il giocatore può ovviamente fare solo ciò che ha previsto l’ ideatore del gioco, ma le possibilità non sono palesi ed esplicite; nel libro-gioco sceglie fra le diverse opzioni che 9 Andrea Angiolino gli sono esplicitamente presentate, anche se un bravo autore sa dissimulare le conseguenze ultime di ogni scelta e salvare così i colpi di scena e la difficoltà di soluzione del gioco. La derivazione di libri-gioco come questo dai giochi di ruolo si vede anche nella presenza di alcune regole simulative che si affiancano al semplice meccanismo dei rimandi: prima di cominciare la partita il lettore deve determinare i punteggi di alcune caratteristiche del proprio personaggio e sceglierne l’ equipaggiamento; regole apposite e lanci di dado intervengono durante la lettura in caso di combattimenti, lancio di incantesimi e altre eventualità, proprio come nei giochi di ruolo. La traduzione che la Supernova fa de Lo stregone della montagna infuocata è viziata da alcuni errori di stampa, che in un libro-gioco possono essere assai deleteri minando l’ affidabilità del meccanismo e rendendo impossibile il corretto passaggio da un paragrafo all’ altro. Inoltre la casa editrice non è particolarmente robusta e presto chiude. Il successo nostrano del filone arriva quindi piuttosto da un altro analogo titolo, anch’esso tradotto dall’ inglese: I signori delle tenebre (E.Elle, Trieste 1985) di Joe Dever e Gary Chalk, che inaugura la saga fantasy di Lupo Solitario ad oggi composta di 28 volumi. o 9 17 Se vuoi approfondire il fenomeno originato da questa collana Se preferisci guardare a titoli più inconsueti proposti da altre case editrici Il 1967 vede nascere il primo autentico librogioco, grazie all’ editore Anthony Blond di Londra. Scritto da Edmund Wallace Hildick, si rivolge ai bambini e si intitola Lucky Les: The Adventures of a Cat of Five Tales. Un prodigioso gattino è protagonista di mirabolanti avventure determinate dalle scelte di chi legge. Il volume viene tradotto in tedesco. Seguono altri libri analoghi: nel 1970 è la volta di Betty Orr-Nilsson, che pubblica in Svezia il libro-gioco per bambini Den mystiska påsen su un misterioso caso di furto di gioielli. Anche questo libro viene tradotto al di fuori della terra di origine, sia in tedesco che in danese. 10 Pure in Italia il libro-gioco si rivolge inizialmente al pubblico infantile, ma grazie a una traduzione e non a un prodotto autoctono: si tratta di Sugarcane Island, che la Vermont Crossroads Press ha pubblicato nel 1976. L’ avvocato Edward Packard, lo ha scritto per i propri figli nel 1969: racconta le vicende di un ragazzino naufragato come un novello Robinson Crusoe su un’ isola misteriosa, alle prese con i problemi di sopravvivenza e con tutte le insidie di una simile situazione. Le Nuove Edizioni Romane lo danno alle stampe in italiano nel 1982 con il titolo Avventure nell’ Isola, importando così per la prima volta questo filone nel nostro paese. Se ti chiedi se questi giochini infantili possano interessare anche i più grandi Se la provenienza estera di questi libri ti ha deluso 5 e pensi che anche in Italia saremmo in grado di produrne Che tu conoscessi già i libri-gioco o no, non ti occorrono esempi: ne hai uno in mano, questo articolo stesso. In breve parliamo di un testo che procede per bivi ponendo al lettore scelte ripetute, rimandando ogni volta a paragrafi o pagine diverse fino a una delle conclusioni previste. I libri-gioco sono i frutti recenti di una lunga evoluzione. Agli inizi, infatti, il libro era un prodotto assolu10 o6 o 16 o tamente lineare: un lunghissimo rotolo di fogli di papiro incollati l’ uno all’ altro, che spesso superava i 18 metri. Agli estremi erano fissate due bacchette: il testo era arrotolato attorno a una di esse e lo si leggeva srotolandolo, mentre lo si riavvolgeva man mano sull’ altra. Il volumen era fatto dunque per una lettura sequenziale, dall’ inizio alla fine: ogni salto in avanti o all’ indietro era operazione lunga e laboriosa. 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI lettori al bivio Passando dal più fragile papiro alla più robusta pergamena, attorno al II secolo si arrivò però al concetto di pagina. Chi realizzava il libro prese a cucire tra loro i fogli su un lato, così da poterli sfogliare: dal volumen si passò al codex. A questo punto la lettura può farsi errabonda: balzare da un punto all’ alto del testo è più facile. I testi si arricchiscono di note e rimandi. L’ Enciclopedia di Diderot e D’Alembert, secoli dopo, è il massimo 11 o7 o 14 Se questa rottura della linearità ti interessa anche per le sue potenzialità narrative Se vuoi esplorare applicazioni divulgative più recenti della letteratura per salti La narrazione a bivi viene applicata anche ad altri media. Diverse sale cinematografiche sono state attrezzate per la proiezione di film ad albero: primo fra tutti il Lowes Theater di New York. Lo “Herald Tribune” del 14 gennaio 1993 ne annuncia in prima pagina l’ inaugurazione con il thriller intitolato I’m Your Man. Il protagonista si volta spesso verso la sala, chiedendo per esempio se debba saltare dal tetto di un palazzo a quello accanto oppure no; gli spettatori paganti possono votare per il corso d’azione preferito grazie a un bottone verde, uno giallo e uno rosso presenti su ciascun bracciolo, divertendosi magari se la sala non è piena a correre da un posto vacante all’ altro per votare più volte. In Europa, il primo cinematografo di questo tipo è stato aperto al pubblico a Bruxelles. La televisione italiana introduce la narrazione a bivi nel 1995 con la trasmissione di Rai Tre Ultimo minuto, 12 esempio di testo costruito per una fruizione non lineare: i due curatori sono del resto ben consci delle potenzialità del rimando e della lettura per salti, come sottolineano nel loro “Discorso preliminare”. Chi invece legge un’ enciclopedia dall’ inizio alla fine, come se fosse un antico volumen, non può che essere considerato un matto, come sottolinea Edgar Lee Masters e Fabrizio De André con lui. dedicata a situazioni di emergenza: ad ospiti illustri come Alba Parietti e Pippo Baudo vengono proposti racconti-gioco realizzati dalla cooperativa C.UnS.A. in cui essi interpretano se stessi impegnati a fronteggiare improvvisi pericoli; seguono commenti di esperti sulla correttezza delle loro scelte. Non è un caso isolato: il 1997 vede per esempio la realizzazione di sarcastici racconti-gioco televisivi di Olcese e Margiotta dedicati ai segreti d’Italia. Nel 1999, Stream TV (oggi Sky) usa come gadget promozionale il cartone animato a bivi GiòGatto, sceneggiato da chi scrive e animato da Gianni Peg, già illustratore dei libri-gioco per bambini di Paola Sacchi. Ma tutta questa tecnologia non ha reso i libri-gioco di carta obsoleti: se ne scrivono e se ne pubblicano ancora oggi, per la gioia di grandi e piccini. L’ invito è andarli a scoprire in librerie e biblioteche. FINE - Ma se vuoi puoi tornare indietro e cominciare l’ esplorazione da capo. Per capire il meccanismo prendiamo la storia di Marco, un ragazzino romano del 303 d.C. che con il suo amico Lucio attende l’ ora di cena girando per il proprio quartiere: “... Qui vicino ci sono molti posti interessanti. Uno è il Monte dei Cocci: un intero colle fatto di pezzi d’anfora, che i commercianti hanno buttato lì per secoli fino a formare un mucchio enorme. Un posto davvero speciale! In realtà i vostri genitori non vorrebbero che ci metteste pieIL FURORE DEI LIBRI 2011/3 de: in fondo sono cumuli di rifiuti, e poi è sempre possibile qualche crollo... Altrimenti ci sono le rive del Tevere, un altro luogo pieno di curiosità. Se decidi di andare al Monte dei Cocci nonostante il divieto, vai al paragrafo 120; se preferisci fare un salto in riva al Tevere vai al paragrafo 73.” Così finisce il primo paragrafo de I misteri delle catacombe (ed. LDC, Leumann, 2000). Il lettore non continua la lettura al secondo, ma decide come far procedere 11 Andrea Angiolino la vicenda e prosegue, a sua scelta, con uno dei due paragrafi indicati: il centoventesimo o il settantatreesimo. Ciascuno dei quali finirà con una decisione da prendere, che rimanderà a un altro paragrafo e a un’ altra scelta, e così via sino a uno dei molti possibili finali. Insomma, esattamente come l’ articolo che stai leggendo ora. A volte le opzioni offerte per una scelta sono due, a volte tre o più; talvolta, se funzionale all’ economia della vicenda e all’ evitare un’ eccessiva proliferazione di pagine, vi possono essere rimandi obbligati e privi di opzioni. Talvolta il paragrafo termina senza rinvii: siamo allora davanti a uno dei finali. Con la possibilità, se si vuole, di ricominciare da capo, magari decidendo altre strade e generando così una storia differente. o 16 Se ti piace l’ idea di un “tu narrante” che ti renda protagonista della storia Se ti pare che questi giochini siano poco letterari e se mai più adatti alla manualistica 13 A metà degli anni ‘70 una vera rivoluzione ha attraversato il mondo ludico. Nel 1974, la Tactical Studies Rules di Lake Geneva (USA) ha pubblicato Dungeons & Dragons: Rules for Fantastic Medieval Wargames Campaignes Playable with Paper and Pencil and Miniature Figures, di Gary Gygax e Dave Arneson. È il primo “gioco di ruolo”: un nuovissimo modello ludico con caratteristiche inusuali di creatività, durata illimitata, assenza di competizione. Si tratta di un’ attività di gruppo: ciascuno si immedesima in un avventuriero che con gli altri forma una compagnia di esploratori di sotterranei, che vanno assieme a caccia di tesori in un magico mondo fantasy di sapore tolkieniano. Il gioco è puramente orale: i partecipanti raccontano in prima persona quello che fanno e un master o narratore, che ha progettato la situazione e che interpreta le “comparse” della storia, ne determina e descrive le conseguenze. Se un giocatore vuole fare un’ azione facile, come salire a cavallo, basta che la racconti e la si considera portata a termine. Se tenta un’ azione dall’ esito incerto, come saltare da una finestra su un cavallo in corsa che vi passa sotto, il narratore applica le regole e fa lanciare dadi: il racconto continua con il personaggio effettivamente a cavallo o magari a terra con una gamba rotta, a seconda dell’ esito del lancio. Le regole garantiscono verosimiglianza, così che le azioni risultano di più o meno facile attuazione come lo sarebbero nella “realtà” simulata dal gioco. In una sessione si dà vita a una storia, cercando di portarla a un fi- 12 o 14 nale che sia lieto per tutti, ma nelle successive gli stessi personaggi vivono ulteriori avventure: la saga non ha termine che quando i giocatori decidono di concluderla. Le “miniature” citate nel sottotitolo, figurini alti 25/30 millimetri che rappresentano guerrieri e maghi così come orchi e altri mostri, non sono in realtà necessari: il tutto assume più che altro l’ aspetto della creazione corale di un racconto. I giochi di ruolo hanno folgorante successo e presto coprono ogni possibile ambientazione. Nel 1991, il saggio di Luca Giuliano In principio era il drago. Guida al gioco di ruolo (ed. Proxima) già ne censisce oltre trecento che spaziano dal fantasy alla fantascienza, dal giallo alla storia, dai cartoni animati allo spionaggio e altro ancora. Dungeons & Dragons, capostipite del filone, resta ancora oggi il titolo più diffuso e influenza anche altri generi ludici. Ispira per esempio William Crowther che attorno al 1975 programma Adventure, primo gioco di avventura per computer noto anche come Colossal Cave Adventure. Da esso derivano i Multi-User Dungeon o MUD, giochi collettivi su Internet inaugurati da Richard Bartle e Roy Trubshaw nel 1979 proprio con una versione di Adventure che poteva essere giocata da più persone contemporaneamente. Per una generazione di appassionati giocatori, immaginare di essere eroi fantasy all’ esplorazione di un mondo diventa una consuetudine: non importa se davanti allo schermo di un computer o al tavolo del tinello, se da soli o in compagnia di altri. 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI lettori al bivio o8 o 11 Se hai difficoltà a trovare compagni di gioco o comunque preferisci letture solitarie Se piuttosto che metterti a giocare preferisci andare al cinema o accendere il televisore 14 Al di là delle fantasticherie e delle sperimentazioni letterarie in cui si è giocherellato con più trame in uno stesso volume, il libro-gioco si ispira in maniera diretta alla saggistica divulgativa. A metà del ventesimo secolo il celebre B. F. Skinner scrive manuali di auto-apprendimento dedicati a varie materie: prevedono domande di verifica a cui il lettore deve rispondere all’ interno di appositi spazi. Norman Allison Crowder riprende questo sistema per scrivere i suoi scrambled book, o libri strapazzati: analoghi volumi in cui però aggiunge il concetto di “programmazione intrinseca”. Le domande sono cioè corre- date da alcune risposte fra cui va scelta quella che si ritiene esatta, e a seconda della scelta effettuata si continua a leggere in differenti riquadri così da poter passare a un tema diverso se si è risposto bene piuttosto che approfondire quanto si è sbagliato in caso contrario. Nel 1958 The Arithmetic of Computers di Crowder inaugura la collana dei TutorText della Doubleday di New York, la più popolare raccolta di libri di questo tipo, che arriverà in Italia grazie a Vallecchi. Il meccanismo del rimando esplicito a un punto del volume piuttosto che all’ altro, come effetto di una scelta fra più possibilità, diventa così un uso consolidato. o 15 18 Se ti chiedi come ciò possa aver ispirato una narrazione Se da una rivista come questa ti attendevi argomenti meno aridamente tecnici 4 e più fantasiosamente letterari o Al di là delle teorizzazioni, chi davvero realizza un racconto-gioco è Raymond Queneau. Lo presenta all’ ottantatreesima riunione dell’ OULIPO e lo pubblica sul numero di luglio-settembre 1967 di Lettres Nouvelles, a pagina 28 e 29. L’ operetta è breve ma completa: si intitola “Un conte à votre façon”, o “Un racconto a vostro piacimento” ed è direttamente ispirato ai manuali di autoapprendimento di Crowder. La breve e ironica vicenda si apre proprio chiedendo al lettore di esprimere le sue preferenze 16 o Vai al paragrafo 9 I libri-gioco più semplici, per bambini, si limitano a consentire a chi legge una lettura secondo i propri gusti. Altri chiedono invece al lettore di immedesimarsi nel protagonista: gli presentano la vicenda con il punto di vista del personaggio principale e gli chiedono di determinarne il comportamento. In tal caso alcuni dei finali sono negativi, altri positivi: raggiungerà questi ultimi chi saprà IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 sull’ argomento da trattare: “ 1. Desiderate conoscere la storia dei tre vispi pisellini? Se sì, passate a 4. Se no, passate a 2.” Sulla rivista ove appare per la prima volta, i 21 paragrafi di questa surreale storiella sono pubblicati in altrettante caselle rettangolari, disposte a spirale come nel classico percorso del gioco dell’ oca. Il raccontino di Queneau è una bizzarra sperimentazione, ma nello stesso anno appaiono veri e propri librigioco messi regolarmente in commercio. davvero comportarsi da autentico ragazzino dell’ antica Roma, cavaliere fantasy, pilota di astronavi, investigatore vittoriano, viaggiatore del tempo o altro ancora, a seconda dell’ ambientazione. È questo elemento di vittoria o sconfitta l’ aspetto più ludico del libro-gioco, che li rende strettamente affini alle avventure per computer: ma senza necessità di supporti tecnologici. 13 Andrea Angiolino o 17 Se vuoi approfondire questi aspetti più schiettamente ludici 13 Se vuoi scoprire alcuni dei più bizzarri punti di vista che può assumere il lettore 6 grazie a questo stratagemma Il titolo dà il via a un vero e proprio fenomeno di costume: i libri-gioco invadono le librerie, le biblioteche e perfino le scuole, diventando un interessante strumento per avvicinare i ragazzini più restii alla lettura. Sulla scia di Lupo Solitario, l’ editore triestino inizia a pubblicare numerose altre serie dando una contiguità anche grafica e stilistica a saghe dalle caratteristiche e dai target più diversi. Tutte rigorosamente di autori esteri perché, come spiega eloquentemente il responsabile di collana Giulio Lughi, “avere un testo in italiano avrebbe significato non poterci mettere le mani e lasciare il taglio così come voluto dall’ autore.” L’ operazione è invece quella di semplificare e appiattire il linguaggio, nonostante la risposta entusiasta arrivi anche da studenti e adulti: non solo, come l’ editore ipotizzava inizialmente, da giovanissimi. Le varie sottocollane della E.Elle hanno le ambientazioni più diverse: non soltanto fantasy ma anche fantascienza, horror, western, poliziesco, spionaggio, rosa. o Dai Templari ai viaggi nel tempo, dai mondi post-catastrofe atomica alla direzione di una squadra di calcio, i temi trattati sono dunque i più diversi. Non mancano coppie di libri studiate per giocare in due, libri da leggere in gruppo e anche una serie realizzata in modo da incrociare la lettura di tre o più volumi, uno per ciascuno dei lettori che così condividono tutti la medesima influenzando ciò che accade agli altri. Il marchio registrato dalla E.Elle per questi prodotti è “librogame”, un ibrido fra italiano e inglese che diventa etichetta generica per tutto il filone. Viceversa è il caso di notare che “libro gioco” non è un termine di significato del tutto univoco: vi sono per esempio alcuni bibliotecari e addetti ai lavori che intendono la categoria in senso più ampio, includendovi anche libri per piccolissimi raffiguranti veicoli e trainabili grazie a ruote, o da aprire e montare come edifici. Titoli che sarebbe tutto sommato più corretto definire “libri giocattolo”. o 5 Se la scarsa fiducia della E.Elle negli italiani ti ha colpito Se vuoi conoscere ambientazioni anche più originali di quelle proposte dalla casa editrice triestina 18 L’ OULIPO, Ouvroir de Littérature Potentielle, è un gruppo che raduna in Francia alcuni creativi e giocosi scrittori e matematici. Il consesso nasce il 24 novembre 1960 durante una cena al ristorante “Au Vrai Gascon”, con lo scopo di esplorare le potenzialità della matematica applicata alla letteratura, ma presto si allarga ad altre forme di sperimentazione letteraria attirando nomi come Georges Perec, Marcel Duchamp e Italo Calvino. Un classico esempio di opera oulipiana è Cent mille milliards de poèmes di Queneau: la proposta di fondare il gruppo parte anzi proprio da lui, che la suggerisce a François Le Lionnais proprio durante la preparazione di questo libro. L’ OULIPO si riunisce periodicamente per proporre e 14 o6 valutare sperimentazioni di ogni genere. Nel corso della settantanovesima riunione, Le Lionnais propone per la prima volta una storia a bivi: Une nouvelle policière en arbre, o Un racconto poliziesco ad albero. La sua idea, progettata e mai realizzata come molte delle provocazioni oulipiane, è quella di una storia investigativa che si interrompa fin dall’ inizio per chiedere al lettore: “Preferite un enigma poliziesco? Seguito a pagina x. Preferite un seguito suspense? Seguito a pagina y. Preferite un seguito erotico-brutale? Seguito a pagina w “. A ogni scelta corrisponde un diverso sviluppo che presto si interrompe per offrire una nuova scelta, e così via: è il progetto di un libro-gioco a tutti gli effetti. Gli oulipiani Paul Fournel e Jean-Pierre Ènard trasla2011/3 IL FURORE DEI LIBRI lettori al bivio no l’ idea al di fuori del campo strettamente letterario. Ipotizzano dunque “L’ arbre à théâtre. Comédie combinatoire” o “L’ albero a teatro - Commedia combinatoria”: uno spettacolo teatrale dove al termine di ogni scena gli attori si interrompono per proporre al pubblico alcune alternative su come procedere, recitando poi lo sviluppo votato dalla maggioranza. Siamo di nuovo davanti a una struttura analoga al libro-gioco: il tutto si basa in- fatti su quindici scene già pronte e perfettamente definite nel proprio copione, legate tra loro da una griglia di decisioni. Non è un semplice sistema di improvvisazione guidata, come ne sono state realizzate da altri. Così come nel titolo della proposta poliziesca di Le Lionnais, il termine “albero” si riferisce alle diramazioni della trama in seguito alle scelte: l’ opera si struttura come un albero decisionale. Va bene chiacchierare e far castelli in aria, ma se vuoi sapere se l’ OULIPO 15 abbia davvero prodotto un racconto a bivi 9 Se più che le sperimentazioni intellettuali ti interessano i libri veri e propri Se l’ idea del teatro a bivi ti fa pensare ad applicazioni cinematografiche e televisive o o o 11 Nel web si possono trovare alcune versioni informatiche dei Cent mille milliards de poèmes di Raymond Queneau. Il codice QR (a sinistra) vi può portare direttamente a una di queste: http:www.bevrowe.info/Queneau/QueneauRandom_v4.htm IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 15 La formazione di una cultura personale Infanzia e adolescenza di Sandro Dise 16 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI sandro dise L e letture dei nostri primi vent’anni sono vera cultura o solo preparazione? Mi sono spesso domandato e non credo di essere il solo, come ed in quale misura abbiano influito sulla mia iniziazione culturale ed umana alla vita, anzitutto le favole che a me, incantato bambinello, la nonna raccontava a braccio e, di seguito, anche le sue serate dedicate alla lettura per farmi felice e soprattutto per tenermi quieto. Ovvio che questo valesse anche per i libri e per quant’altro di scritto sia passato per le mie mani di bambino, di adolescente e, infine, di studente liceale. Il tutto naturalmente si intrecciava, anche se in modo disordinato tuttavia costruttivo, con quanto io stessi via via apprendendo a scuola all’ombra inevitabile di un nozionismo, più o meno valido a seconda di chi, a caso, me lo fornisse. Ritengo però, a questo proposito, che pure il desiderio ed una forte tendenza al voler capire, due qualità comuni in tutto od in parte in ogni ragazzo abbiano giocato una parte importante in questo processo. Esso era però molto più facile da raggiungere per quanti ai miei tempi provenissero da un ambiente famigliare culturalmente più preparato. Per fortuna devo dire che nei riguardi delle due ultime generazioni in pratica tale vantaggio nel mondo occidentale si è ridotto al minimo ed è caduta anche ogni vera barriera sociale ed economica, sperando, ben presto succeda anche a quelle del colore della pelle e della lingua parlata. Però è chiaro che in questa sorta di saggio sulla cultura giovanile, considerata ad angolo giro, io possa essere portato senza volerlo a dar magari troppo peso, nel mio giudizio, al mio personale percorso. Un modo così angusto di cercare una risposta che valga per tutti, non mi porterebbe di certo da alcuna parte. Quanto invece mi appare fino a questo momento certo è di aver fatto una scoperta inaspettata tutta mia che forse ha nulla a che fare con l’argomento in esame, ma che mi mette in pace con me stesso. Ho scoperto di provare infatti una grande ammirazione, anche se magari un po’ velata dall’invidia, per quanti siano riusciti a farsi una vera cultura a tutto tonIL FURORE DEI LIBRI 2011/3 do, nel loro caso quindi più radicata e più sofferta e quindi ancora più godibile, all’interno di un modesto ambiente familiare, scarso di mezzi e di preparazione scolastica. Intendo dire un interno familiare che non aveva potuto anticipare loro alcuna integrazione culturale ma offrire solo il dono, peraltro impagabile, di trasmettere con l’esempio e spesso con grandi sacrifici, la spinta, la forza morale e la costanza necessarie affinché riuscissero a completare con successo la loro preparazione, spesso, anche alla grande. Lo posso confermare di persona, perché so di avere avuto un percorso molto più agevole di quello di alcuni miei compagni di infanzia e di scuola. Ho potuto avere maggiori occasioni di spalancare senza limiti i miei occhi alla fantasia, di apprendere a leggere ed a scrivere ed alla fine di iniziare ad usare la parola in modo sempre più appropriato, poco dopo aver cominciato a camminare. Non immaginavo ancora che però la parola sarebbe stata in grado di trasformarsi, a seconda in una rosa profumata, in un conforto liberatore, in un utile consiglio, ma anche sulle prime in un elegante fioretto, poi in una tagliente sciabola e, non di rado ed in certi casi estremi, in un pugnale da puntare alle spalle del prossimo, magari ignaro e disarmato. C ome io sia entrato nel mondo della conoscenza, è semplice e ben poco originale. La sorella di mia nonna che mi ha fatto da madre, viveva paralizzata alle Laste di Trento nella Villa degli Ulivi, l’unica proprietà della città ad avere olivi produttivi, in quanto l’ultimo alito dell’Ora, il vento tipico del Garda proveniente dal Bus de Vela finiva esausto del proprio calore, proprio nel suo giardino. Essa è stata in verità il mio primo Omero epico. Fra i libri del marito, l’editore Monauni, sparpagliati su un comodino accanto al letto, molto grande e carico di medicine, vi erano libri carichi di preziose stampe che essa mostrava con fierezza a tutti i suoi visitatori. Fra questi ne teneva però uno per mio uso privato, meraviglioso e divenuto anche il suo vero livre de 17 sandro dise chévet. Anche gli altri, a parte le stampe, erano quasi tutti di contenuto storico-religioso, essendo lei assai devota ma non bigotta, questo forse solo perché era immobilizzata da anni nel proprio letto. Più tardi, già alfabetizzato, ho potuto conoscerne il titolo: La Storia sacra. Lei mi raccontava a memoria ma rifacendosi a quel volume, le gesta del Popolo di Israele, la incredibile cattiveria dei poveri Filistei, la protervia degli Egiziani ed il Mar Rosso che io immaginavo fatto di sangue. Mentre parlava, spesso ripetendosi, guardavo le incisioni che trovavo sempre più affascinanti. Soprattutto stupenda era quella di una coppia di ebrei che portavano a Mosè, uno in fila all’altro, appeso ad lunga stanga collocata a bilancia sulla spalla, un grappolo d’uva che toccava quasi terra. Secondo la prozia, che adoravo con tutto il cuore perché sapeva trasmettermi subito un gran senso di amorosa gioia, quel magnifico frutto proveniva dalla Terra promessa. Ero stupito però che nei vigneti della nonna i grappoli fossero invece molto più modesti e pertanto ero contento di ciò per gli Ebrei, secondo la prozia tanto vituperati da tutti, che alla fine Dio avesse concesso loro un definitivo foyer che del resto aveva loro promesso da molto tempo. Ero sicuro che esso fosse molto simile alla casetta di Hänsel und Gretel, quale descritta dai fratelli Grimm. Quest’ultima casa era però di un altro genere perché tanto miracolosa che la si poteva mangiare. Q uesto tipo di storie era invece la nonna a farmele conoscere quando mi leggeva la famosa raccolta di favole di quei due Tedeschi, un volume arricchito di incredibili illustrazioni a colori, scritto in un curioso tedesco, per me ancora illeggibile ma di straordinaria eleganza. Come ho già detto, a differenza della sorella lei era molto portata al laico, al pratico e, ancora più, agli affari. Non voglio però farle torto affermando questo perche devo sottolineare che a sera, quando mi leggeva Pi- 18 nocchio in italiano, lo faceva alla perfezione pur avendo passato come le altre sorelle, una dietro l’altra, i suoi anni di preparazione alla vita in un collegio in Baviera. Premetto come in realtà la sua prima lingua fosse quella trentina, sonora, senza la famosa tendenza al miagolio e ricchissima di vocaboli, sempre pertinenti. La sua terza lingua invece, l’italiana, era anch’essa perfetta come grammatica e fluidità, ma discutibile come dizione e scritta in caratteri gotici. La seconda era la francese, di alto rango sia come scrittura, sia come dizione. La nonna mentre leggeva Pinocchio, variando da consumata attrice i toni di voce ed inserendo pause affascinanti e di effetto, lavorava con i ferri da calza tenendo le proprie mani sul grembo, quindi invisibili, come fossero quelle di un’altra persona. Il ticchettio dei ferri produceva una dolce musica di sottofondo, quasi una berceuse, con la quale finivo per addormentarmi continuando, nel sogno, a detestare Lucignolo, il Gatto e la Volpe e ad amare Geppetto e la Fata turchina. Arrivammo un po’ alla volta anche al Cuore del De Amicis ma, in questo caso, nel sonno era Enrico l’antipatico che detestavo e Garrone che amavo di tutto cuore. Chissà perché ma mi ero messo in testa che i due fossero di Bressanone e non di Torino, forse a causa dell’accento della nonna quando mi leggeva dei loro piccoli e grandi problemi. Fin qui non credo che per i coetanei del mio tempo le cose fossero, in fondo, tanto diverse. A ll’ingresso del primo decennio di vita per tutti noi entrava in gioco Emilio Salgari, l’uomo che raccontava in modo asciutto ma convincente le avventure più incredibili, vissute da altrettanti straordinari protagonisti che si muovevano sui più favolosi palcoscenici del Pianeta che però Salgari non aveva mai visto. Solo dopo mezzo secolo dalle prime letture dei suoi scritti, saprò rendermi conto della grandezza di Salgari e della sua visione sociale della vita ancor oggi valida. I suoi racconti oltre che coinvolgenti mettevano in rilievo un suo fermo amore per la libertà e per gli ina2011/3 IL FURORE DEI LIBRI la formazione di una cultura personale - infanzia e adolescenza lienabili diritti a conservarla sia del singolo individuo sia, in generale, dei popoli. Ciò è tanto vero che i veri nemici da battere, per Salgari erano sempre, senza alcun distinguo, a parte il sacrificio di qualche povera tigre o altri animali esotici colpevoli solo di doversi sfamare, i delegati sul posto dei dominatori europei, inglesi, spagnoli od olandesi che fossero. L’inglese James Brook era, nella fattispecie, il nemico mortale da battere di Sandokan e di Yanez de Gomera, quelli del Corsaro nero, di sua figlia Iolanda e di tutti i filibustieri della Tortue erano per contro dei duchi spagnoli od olandesi e così via. È il caso di aggiungere come anche i nostri coetanei di cultura germanica avessero il loro Salgari. Si chiamava Karl May ed era adorato, come da noi il Salgari, senza limiti da Koenigsberg a Salorno. Sono convinto che il piacere che provavamo noi ragazzi nel leggere le loro pagine, soprattutto per l’ampiezza degli spazi che esse offrivano alle nostre fantasie, i nostri figli videodipendenti, tanto facilitati come sono nel poter girare il mondo con estrema facilità, neanche se lo possono sognare. H o due ricordi di quegli anni così belli, nei quali la conversazione era anch’essa un’autentica fonte di piacere ed un dono di Dio. Del primo che però non so ancora oggi decifrare, non ricordo la mia prima reazione. Avevo 10 anni ed IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 ero nel pieno delle mie estasi salgariane. Mio padre mi regalò per il mio compleanno un libro molto appariscente e ben presentato, con dedica scritta con la sua rigorosa grafia di altri tempi. Era l’Iliade tradotta dal Parini, il famoso “traduttor dei traduttor d’Omero”. Mi domando appunto ancora oggi come potesse pensare, lui profondo umanista, come a quell’età potessi essere all’altezza non solo di gustarlo ma anche di capirlo, con tutta la buona volontà. Mi sono a mia volta finalmente vendicato di quella lontana delusione, perché mi aspettavo ben altro, regalandolo a mia volta a mio nipote Alessandro. In questo caso però pregandolo di metterlo in stand by, come usa purtroppo dire adesso, nella sua piccola biblioteca ancora in fieri. Forse anche lui, fra mezzo secolo, emetterà un giudizio altrettanto critico sul proprio nonno. Il secondo ricordo è invece molto più umano e comprensibile. Stavo insistendo nel dire con vivacità al nostro medico di casa in visita da noi, ammalato tanto gravemente di cuore che la nonna pensava già di trovare il modo di sostituirlo senza offenderlo, che non avrei mai più saputo vivere senza i romanzi del Salgari. Gli dissi anche che senza Mendoza il bucaniere-filibustiere, senza Tremal Naik ed il suo fedele servo Kammamuri, non ce l’avrei fatta a vivere. 19 sandro dise La risposta del medico fu così fredda e ferma che scoppiai in un piano dirotto. Mi aveva risposto: Figurati! Fra un paio di anni riderai di questa tua passione e leggerai ben altro. Anzi, comincia subito con Jules Verne. Mi vergogno ancora ma, dentro di me, gli augurai di morire subito. Purtroppo fui fin troppo facile profeta! G li anni della scuola media e quelli del Liceo, il vero centro emotivo dei quali è il difficile momento della pubertà, stavano già aprendomi altri percorsi letterari e ben altri confini. Ne avevo avvertita già in modo vago la presenza. Tuttavia la Preistoria, la Grecia, Roma e non solo, assieme al fatto di venire all’improvviso interpellato con l’uso del Lei, resero via via ancor più affannosa la mia inesauribile curiosità di ragazzo tanto da spingermi verso un nuovo modo di essere e di comportarmi. Debbo ancora insistere per onestà che nel mio caso come in quello di qualche altro mio condiscepolo, l’ambiente culturale familiare e le maggiori possibilità economiche favorissero in un certo senso un apprendimento più fluido che però, come logico, negli anni prossimi alla maturità tendeva ad un tempo sia a collocarsi allo stesso livello dei meno fortunati sia in generale di accettare anche la fisiologica esistenza dei più dotati. Anche la buona conoscenza di altre lingue tendeva, in generale, a migliorare i risultati. A parte questo, il fatto è che l’aver già sentito parlare in casa, tanto per dirne una, di Manzoni e del suo capolavoro, quando esso divenne parte del nostro programma scolastico, aumentava in effetti la possibilità di poterne captare subito e senza complessi il senso e l’importanza. Anche il latino spesso citato in casa, utilizzandolo per arricchire la conversazione, quando arrivò in aula potevamo considerarlo non un mostro indigeribile ma solo molto noioso e magari anche inutile. Già prima della maturità mio padre, quando mi vedeva sul punto di prendere una decisione di qualche peso, era uso ripetermi: “Deciditi dunque, sed respice finem.!”. Queste tre parole con le quali termina un 20 massima molto stringata ed altrettanto saggia, credo appartenente a Solone, ed arrivata a noi chissà perché soprattutto in latino, allora mi infastidivano. In seguito sono invece diventate parte del mio intendere, anche se oggi non sappia ancora bene se esse significhino ma attento al risultato piuttosto che ma attento al fine, allo scopo, oppure se affermino entrambe le cose. Lo zio libraio mi dava da leggere, consigliandomene perfino i titoli, ogni sorta di scritti, solo che li chiedessi. Pertanto la mia mente caricava in continuazione ogni sorta di notizie nel suo capace magazzino. Questa specie di superattività però non mi impediva di studiare con lena e talora con un vero piacere. Erano tempi però nei quali la possibilità di evasione dal quotidiano, che non fosse quella dello sport il quale per noi trentini voleva dire in pratica nuoto e montagna, erano quasi nulle, favorendo in tal modo una maggiore e continua concentrazione della nostra mente. Era però la lettura di evasione e la storia romanzata, in modo speciale, che ci spingevano a prediligere, ad esempio, i romanzi pseudo-storici di Alexandre Dumas con la loro sfilza dei Re capetingi, numerati come le case di una strada di città. Eravamo ancora lontani anni luce dal domandarci quanto di vero ci fosse in quelle pagine così affascinanti. Cosa rappresentassero e chi fossero in verità la Reine Margot, D’Artagnan ed i suoi tre amici moschettieri, Cagliostro, Caterina de Medici con i suoi sinistri lacché fiorentini, ci lasciava freddi. A noi bastava leggere e basta. Ritenevamo proprio I promessi sposi, il romanzo del quale comunque ne intuivamo il peso letterario, interessante ma una sorta di camomilla. Ci voleva ben altro per noi, a quell’età. Infatti solo dopo molti decenni, rileggendolo e non solo una volta, ne ho captato il valore umano e storico e la sua eleganza formale. Di esso a scuola avevamo imparato a memoria solo alcuni lunghi periodi senza dubbio perfetti come i celebri Monti sorgenti dall’acque e il Carneade, chi era costui? e così via, ma neppure di sfuggita ci era stato 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI la formazione di una cultura personale - infanzia e adolescenza messo in luce come nell’Europa di quegli anni, specie da noi, avesse imperversato la peste, la fame e la violenza della cosiddetta guerra dei Trent’anni. Non avevano ancora capito che una vera Italia, come tale, fosse ancora solo una espressione geografica come avrebbe affermato più tardi il cinico Metternich. Nessuno si curava di spiegarcelo chiaramente oppure se sì, non avevamo ancora gli strumenti per potercene rendere conto. In effetti, nel racconto quella celebre guerra era solo citata in modo vago e quindi per Renzo Tramaglino e compagni non esisteva anche se le sue personali disavventure si dipanavano proprio attorno all’anno 1630, dunque nel pieno di quel conflitto. Anche D’Artagnan, il quarto de I tre Moschettieri, del quale leggevamo, e lo facciamo ancora, una delle più divertenti storie mai scritte, era entrato a cavallo in Parigi alla ricerca della fortuna, nel 1625, quindi agli inizi di quella guerra. Infatti lo ritroveremo qualche tempo dopo all’assedio del porto di La Rochelle ancora in mano agli Inglesi. Non credo che leggendolo ci sia stato qualcuno di noi che abbia pensato, come il Renzo manzoniano, di legare in qualche modo il nostro Guascone, Richelieu e Mazzarino alla Guerra citata ed alle sue immani tragedie. Su queste ci avrebbero pensato a farlo Schiller e Brecht, entrambi tedeschi. I l Liceo ci aveva resi solo un po’ più selettivi nella scelta dei libri da leggere. Da allora protagonisti del nostro sognare ad occhi aperti divennero Gulliver, Robinson Crosue, i romanzi di Dickens e di Jack London, da una parte e di Victor Hugo con Jean Valjean, Cosetta e la rivoluzione francese del 1830, IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 Quasimodo e L’uomo che Ride, dall’altra. Tutti questi eroi, mischiati alle Odi di Orazio, alla Divina commedia, al Petrarca, al Boccaccio ed all’Orlando furioso, hanno dissetato e nutrito le nostre fameliche fantasie con ben poche varianti. Fanno però eccezione, almeno nel mio caso personale, Le memorie di un Italiano del giovanissimo garibaldino friulano Ippolito Nievo ed il Don Chisciotte del Cervantes. A differenza degli altri capolavori, è stato proprio Nievo, con quel suo stupendo affresco sulla lenta e sofferta fine dalla Repubblica dei Dogi, la parte di storia, quella spalmata a cavallo del 17° e del 18° secolo, ad insegnarmela. Lo ha fatto alleggerendola e rendendola toccante con la struggente storia d’amore fra Carlino e l’imprevedibile Pisana. Non ho certo avuto alcun bisogno di rileggerlo nella mia maturità per poter capirne il valore, pur avendolo fatto più volte in quanto, come per certe musiche (anzitutto quelle di Bach) per le quali non vi sono limiti al riascolto, anche per Nievo non ne esistono per le sue riletture. Questo discorso valeva anche per il Don Chisciotte, ma la nostra reazione in questo caso era un po’ diversa. Nessuno si permetteva di metterne in discussione la sua valenza nel quadro della imponente cultura iberica, essendo a ragione considerato senza eccezioni come un capolavoro in assoluto. Noi, accettavamo in modo acritico questa valutazione pur ritenendo che fossero un po’ ridicole sia l’impostazione stessa dell’opera, sia il Ronzinante, sia la figura di Sancho Panza e di Dulcinea del Toboso. Sentivamo però, almeno io in modo particolare, come la appassionata lettura fatta dal nostro professore della scena dei mulini a vento andava, 21 sandro dise non c’era dubbio, ben oltre il ridicolo e si imponeva come opera d’arte definitiva e senza tempo. Mi ero messo in testa di leggerlo tutto e lo ho fatto con molta fatica ma alla fine devo dire di essere rimasto piuttosto deluso di me stesso per non essere stato all’altezza di capirlo fino in fondo, comunque non ancora. Per molti anni però mi sono frullate in testa le ultime scene, forse risolutive ma impervie da interpretare con esattezza. Don Chisciotte, rinsavito, e si vergognava della propria quasi follia. A questo punto era stata la volta di Sancho Panza di uscire di senno ed a pregare il proprio padrone di continuare a soccorrere i deboli, a salvare le donzelle in pericolo e a non far appendere al muro, per sempre, la penna che raccontava la sua storia. Ho pensato per molto tempo che in quel finale ci fosse un vero e proprio messaggio esoterico del Cervantes. A l culmine del mio viaggio terreno lo ho riletto, questa volta con altro spirito e con maggiore umiltà ed ho capito che nella storia della cultura dell’Occidente, sviluppatasi per millenni ai bordi opimi del Mediterraneo, il mare più famoso del mondo, il Don Chisciotte trova di diritto degno posto fra gli inarrivabili versi dei Lirici greci, l’Iliade, l’Odissea, le Mille e una notte, i Dialoghi di Platone, le Odi di Orazio e la Divina Commedia. Nel Don Chisciotte infatti alloggia il cuore dell’intera Umanità con le sue grandezze e le sue meschinità. Il filosofo Miguel de Unamuno, grande personaggio spagnolo del 20° secolo, scrittore ed uomo politico democratico fino alle midolla, ha scritto un libro su Don Chisciotte che consiglierei a tutti, anche se il consigliare non sia mia abitudine. Perfino il titolo è provocatorio: Commento alla vita di Don Chisciotte, traduzione di Carlo Candida, Dall’Olio Editore, Milano. Dico questo perché non si tratta di un commento alla sua immaginaria carriera di Cavaliere errante, ma alla vita precedente, quando era ancora savio, o meglio a quella che sarebbe in realtà stata se fosse esistito. Unamuno l’ha descritta seguendo le sue orme di cavaliere errante che offriva tenero aiuto e proteggeva i deboli, stroncan22 do con durezza la protervia dei forti. La lettura di entrambe le opere non fa che confermare la grandezza della Hispanidad e la valenza di due grandi scrittori iberici, vissuti con tre secoli di differenza uno dall’altro. D i norma con i vent’anni la preparazione culturale scolastica ad ogni livello potrebbe considerarsi come acquisita. Non si arresta però l’altra, quella complementare, costruita oltre i muri della scuola. La grande massa di dati, di notizie, di nozioni le più disparate, ottenuti in contemporanea sia nelle aule, sia all’esterno di esse e già immagazzinati dentro di noi ma ancora in disordine, fermi sul limitare della porta ideale della nostra mente per risultare utili e costruttivi, occorre anzitutto che vengano riordinati. Questa operazione ideale, diventa essenziale per quanti, dopo la maturità,vogliano indirizzarsi verso ulteriori studi accademici. Quando però si prova a farlo ci si accorge con stupore come il nozionismo puro con cui ci sono stati serviti non ci ha offerto alcun sistema adeguato per farsi anche critico ed operante. Studiare o leggere la storia dei Romanov fatta solo di nudi numeri, di aridi nomi di personaggi e non saperla legare nel tempo e nello spazio, non apre alcun vero varco alla conoscenza della storia della Russia zarista. Studiare il Rinascimento italiano, la Rivoluzione dei contadini tedeschi del 1525 in Germania, la Riforma, la sanguinosa battaglia di Pavia ed il Sacco di Roma del 1527 e non legarli insieme come lo sono in effetti, significa non saper poi trarre i debiti giudizi e, nei fatti, non apprendere alcunché di utile dalla vera Storia. Solo una totale revisione al sistema di insegnamento impartitoci finora ed una seria scelta di metodo di analisi riuscirebbe a sbloccare la situazione. Questo vale, ed è essenziale, non solo per la Storia, ma anche per le Scienze, studiate con criterio, per la Filosofia e non solo. Su questa base e non per mio merito, mi sono imposto una scelta che oggi ritengo essere risultata molto indovinata e fortunata. 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI la formazione di una cultura personale - infanzia e adolescenza Ho fatto mie La storia dell’Europa dell’inglese H.A. L. Fisher, Edizioni Laterza, 1948 ed il Bilan de l’Histoire di René Grousset de l’Académie française, Librairie Plon-8, rue Garancière-Paris 6°. Si tratta invero di due opere a mio avviso uniche nel loro genere, soprattutto per la geniale ed attenta concatenazione dei fatti e della vita delle nazioni del Mondo occidentale e, per Grousset, anche del l’intero Pianeta. Nel geniale collegamento generale insito in esse, viene usato per di più un linguaggio stringato e tacitiano tanto da rendere assai godibile la lettura anche dal punto di vista letterario. Dopo avere un po’ alla volta acquisito fino in fondo il loro magistrale modo di interpretare i fatti nel loro insieme, sempre con adeguato riferimento al resto del mondo, ho ripreso con rinnovato entusiasmo e con profitto a rileggere i molti scritti dei quali nel passato mi erano spesso sfuggiti quasi tutti i messaggi ed i riferimenti soprattutto se ad ampio raggio. Solo in questa maniera sono stato in grado di conoscere con profondo interesse, ovviamente con la rilettura, I Promessi sposi, I Malavoglia di Verga. Solo così, nel riordinare i ricordi ancora vivi su quanto avevo letto ed imparato a scuola, non di rado in modo svogliato, con grande piacere e meraviglia ho constatato come anche i classici fossero più che degni di venir ripresi e letti con lo stesso entusiasmo avuto per i romanzi di Salgari. H o pertanto realizzato senza rendermene conto come le Guerre del Pelopponeso di Tucidide in molti punti risultassero quasi più attuali del D-Day sulla Manica ed in Normandia. Il fatto è che avevo imparato nel frattempo ad inquadrare con senso critico i relativi protagonisti. Avevo pertanto compreso che gli Spartani non erano poi tanto diversi dai Neozelandesi e dagli Americani; che gli Alpini dell’Adamello e i Contadini abruzzesi del Carso non erano molto dissimili degli Inglesi caduti a Burma in Estremo Oriente, fra il ’41 ed il ’45, anzitutto perché tutti pronti, senza distinzione, a battersi e morire per la libertà sempre in pericolo e non certo erano ultimi i IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 trecento Spartani di Leonida, alle Termopili. Nella cattedrale di Salisbury, la città dove è conservato l’originale della Magna Charta, un giorno ho avuto modo di leggere, su una solitaria lastra di marmo, il seguente struggente epitaffio che traduco alla lettera: Quando andate a casa raccontate di noi e dite a tutti: per il vostro domani noi abbiamo dato il nostro oggi. Alle Termopili, dove sono transitato per ragioni di lavoro, una colonna di marmo porta scritto: Viandante, annuncia agli Spartani che qui siamo obbedienti alle nostre comuni leggi I versi, a detta di Erodoto sarebbero del poeta greco Simonide. All’entrata del Sacrario di Redipuglia una mia dovuta visita venne fulminata per un momento, da un monito sconvolgente: O Viventi che entrate, se per Voi non duri e non cresca la gloria della Patria Noi saremo morti invano Anche per gli Uomini di Carlo Pisacane, un poeta ha potuto scrivere con cordoglio, assieme ad altri versi, ai piedi della bellissima statuetta rappresentante la Spigolatrice di Sapri, quei due famosi dall’indimenticabile ritmo ripetitivo, simile al Bolero di Ravel: Eran trecento, erano giovani e forti e sono morti Esempi di questa maniera di interpretare con l’aiuto di una cultura ben assimilata, di coordinare se possibile le varie vicende umane e di entrare con pertinenza e con umiltà la Scienza in generale, sono infiniti e spesso molto semplici. Prendiamo un altro esempio, magari poco comune ma dirompente come è la peste. Essa è stata uno dei più nefasti e terribili flagelli dell’Umanità per migliaia di anni. Di quella di Atene del 429 a.C, durante la quale morì anche Pericle, avevano scritto, in modo molto particolareggiato, sia Tucidide nel suo capolavoro le 23 sandro dise Guerre del Pelopponeso, sia Lucrezio Caro nel suo De rerum natura. Le novelle del Decamerone, coeve della peste degli anni 1348-51 che in Europa aveva ridotto ad un terzo la popolazione, sono state concepite e godute in campagna per sfuggire al flagello che allora infuriava in Firenze città. La peste, durante la Guerra dei Trent’anni è stata anche il terribile coprotagonista dei Promessi sposi manzoniani. Volendo andare nel sottile e nella finzione, la peste ha condizionato in qualche modo perfino la tragedia amorosa di Giulietta e di Romeo. Il messo di frate Lorenzo doveva recarsi a Mantova ad avvertire Romeo del giochetto della finta morte di Giulietta ma rimase bloccato, cosi racconta Shakespeare, alle porte di quella città, in quei giorni in preda a quel contagio. Romeo, non infor- 24 mato del trucco, all’annuncio ufficiale della morte in quel momento ancora finta, dell’amata, corse a Verona per morire vicino a lei con tutto quel che ne è seguito. Il problema che mi sono posto con questo breve scritto è appunto quello di capire e far capire, se possibile, almeno secondo la mia personale esperienza, quale importanza possano aver avuto gli scritti e le storie letti od uditi negli anni fondamentali dedicati alla nostra formazione culturale grande o piccola che sia divenuta, che è poi quella dei miei e dei nostri primi vent’anni di vita. Parlo però di un temp0 ormai remoto nel quale, a differenza di oggi, la scuola era l’ autentica protagonista del nostro quotidiano. Partita facendo le aste con le relative macchie di inchiostro sui quaderni e sulle dita, malgrado tutto ha 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI la formazione di una cultura personale - infanzia e adolescenza fatto sì che perfino la mia grafia di mancino integrale sia quasi leggibile al contrario di quella dei miei nipoti che hanno imparato a scrivere direttamente le parole, privi di ogni senso dell’ordine e della gradualità, non essendo ancora in possesso della necessaria manualità. Esse sembrano l’impronta di un pulcino con le zampette intinte di inchiostro che abbia passeggiato con allegria sopra un foglio di carta. Sono ben lontano dall’ avere trovato una risposta soddisfacente a tutto questo ma, di certo, esiste. I parametri di tale problema sono infatti molti e troppo diversi per riuscirci. Essi vengono inquinati anche dall’ambiente familiare, dal momento storico e dalla stessa salute morale e psichica e soprattutto dal carattere di ogni individuo. So- IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 prattutto gli insegnanti, in cui si incappa, possono diventare il punto forte nella preparazione di un ragazzo ma anche quello debole, quindi sono in ogni caso determinanti. Mi accorgo di non aver mai accennato alla memoria che è considerata da tutti essenziale. In effetti essa lo è ma in modo solo parziale. È l’adozione del ragionamento cartesiano la vera leva finale che sa spingere in alto la cultura dell’uomo. Di questo sono sicuro. Di certo la lettura, anche se disordinata può avere un peso considerevole nel consolidamento della sua preparazione, ma unicamente quando sia sostenuta da una curiosità mai esausta e dal piacere estetico che essa sappia sollecitare in noi.❧ Sandro Dise 25 Tridentini scriptores prohibiti III Giuseppe Canestrini di Giuseppe Maria Gottardi 26 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI giuseppe canestrini N el 2002, a cura del Prof. Marco Palma, docente di Paleografia Latina all’ Università di Cassino e studioso di manoscritti medievali, la Casa Editrice Viella di Roma, pubblicò la “Bibliografia degli scritti del Prof. Armando Petrucci”, filologo e paleografo italiano. Uno dei massimi studiosi italiani di paleografia, diplomatica e storia del libro. All’interno di questa splendida ricerca è riscontrabile l’impegno profuso dal Prof. Petrucci nel 1975 per la descrizione biografica del nostro Giuseppe Canestrini, apparsa nel “Dizionario biografico degli italiani”; pubblicazione curata dell’Istituto della Enciclopedia Italiana, Treccani di Roma. Giuseppe Canestrini è il secondo degli Scrittori Tridentini Proibiti e di lui parleremo in questo numero della nostra rivista. IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 ∏ Se un dopopranzo di qualche tiepida giornata ottobrina, piena d’abbandono e di melanconia, voi prendete il viale dei colli a Firenze e piano piano riuscite in faccia a S. Miniato al Monte, troverete spesso dei gruppi di Italiani e di forestieri, i quali forse ancora suggendo con voluttuosa lentezza l’eloquenza d’un bacio o il ritmo di parole calde, innamorate, si fermano davanti a due tombe, a due iscrizioni e restano colpiti e pare raccolgano tutti i loro ricordi, tutte le loro memorie per riconoscere meglio la voce de’ due morti: di Giuseppe Canestrini, storico, e di Albano Tomaselli, pittore. E mentre tutt’intorno cascano a una, a due, a dieci, a cento, a stormi le foglie degli alberi, frullando leggermente come ali stanche, e laggiù lontano verso la marina pisana muore il sole rosso come il sangue, le ombre de’ due morti escono dal buio, prendono consistenza, guardano e sorridono, l’una con l’occhio scintillante e smanioso della giovinezza vigorosa e speranzosa, l’altra con l’occhio tranquillo e serio della vecchiaia. Italiani e stranieri, salutate riverenti quelle due ombre; esse vengono di lontano, ma col sorriso d’Italia e con la lingua di Beatrice; esse vengono a ricordare la loro terra natale, il Trentino, qui a Firenze, dove più pura suona la lingua italiana e più limpido è il sorriso vivificatore di fratellanza; esse sono le ombre che ricordano la storia e l’arte italiana, che rammentano i fasti della loro comune madre, l’Italia. Ma... pur troppo quanti Trentini stessi rimarrebbero sorpresi davanti a que’ due nomi, a quelle due figure e ripeterebbero dentro il loro cervello la nota domanda di Don Abbondio! Eppure il nome d’uno di que’ due morti un tempo era conosciuto in Italia e in Francia e in Germania e in Inghilterra, e la parola di Giuseppe Canestrini era ascoltata con rispetto e con deferenza; eppure durante le epiche lotte del nostro risorgimento la sua voce risonò ne’ consigli toscani piena di fuoco e d’ entusiasmo. È proprio cosi; noi Trentini dimentichiamo troppo presto i nostri migliori figli e non badiamo più al frutto che s’ è staccato dall’albero poderoso di nostra gente e lo lasciamo marcire nell’oblio immeritato. Per ciò anche la voce del povero Canestrini s’ è affiochita e spenta sotto le macerie degli anni, e la sua figura è svanita nelle tenebre del tempo. ∑ [Benvenuti Edoardo: Di Giuseppe Canestrini e delle sue opere, Trento, Giovanni Zippel ed., 1909, pag.5-6] [Albano Tomaselli, pittore, Strigno(tn) 1833 - Firenze 1856] Canestrini, Giuseppe Nacque a Trento il 17 luglio 1807, da una modesta famiglia originaria della Val di Non. Dopo aver compiuto le scuole secondarie a Trento, studiò statistica ed economia politica all’università di Vienna, senza conseguirvi la laurea; quindi, per ragioni che restano ignote, si trasferì a Parigi fra il 1830 e il 1832, ove visse miseramente con lavori saltuari di copista, di segretario, di ricercatore d’archivio, dapprima per conto di Antonio Marsand [1765-1842], quindi alla Biblioteca nazionale; ivi si giovò anche degli aiuti e della protezione di Niccolò Tommaseo [18021874], di Vincenzo Gioberti [1801-1852] e di altri, fra cui Cesare Cantù [1804-1895], e tentò invano di collaborare alla grande impresa di raccolta e di edizione di documenti inediti per la storia francese avviata nel 1833 dalla Société de l’histoire de France. Nel 1837 fu incaricato ufficialmente da Louis 27 giuseppe maria gottardi Adolphe Thiers [1797-1877] di trasferirsi a Firenze per raccogliervi e trascrivervi materiale documentario sulla storia fiorentina dalle origini delle arti sino al 1530, con particolare riguardo agli aspetti organizzativi e finanziari dell’amministrazione del Comune. Fu questa la svolta decisiva della vita del Canestrini, non soltanto perché lo liberò da ogni assillo economico; non soltanto perché gli permise di rientrare in Italia e di stabilirsi a Firenze ma, soprattutto, perché la missione affidatagli dal Thiers lo consacrò per sempre ricercatore d’archivio e studioso di storia. Firenze, meglio assai di Milano, di Roma e di Napoli, era allora il centro più attivo della ricerca storica in Italia; ivi Gino Capponi [1792-1876] aveva iniziato la pubblicazione di importanti raccolte documentarie e, col Vieusseux [GianPietro 1779-1863], veniva preparando l’uscita di quella che sarebbe stata la massima rivista storica italiana; ivi archivisti, bibliotecari, letterati, librai ed editori costituivano un ambiente sufficientemente omogeneo e prevalentemente orientato agli studi storici, ambiente in cui il Canestrini non ebbe difficoltà ad inserirsi, favorito sin dall’inizio sia dalla esperienza europea (viennese e parigina) che poteva vantare, sia dall’esito fortunato delle ricerche condotte a Parigi e a Firenze, sia, infine, dal proprio atteggiamento politico liberale e anticlericale. Date queste premesse, era fatale che il Canestrini dovesse diventare collaboratore attivo del primo Archivio storico italiano, cui offrì subito la cronaca milanese del Cagnola [Zoan Petro] (pubblicata nel tomo I [1842], 2, pp. 1-215, con prefazione di C. Cantù), e di cui compare fra i compilatori fin dal 1843. Nel 1842 egli ottenne che fosse fatto venire a Firenze Tommaso Gar [1808-1871], trentino come lui, per partecipare all’impresa dell’Archivio. Sin dal 1843 il Canestrini cominciava a pubblicare nell’Archivio testi ed articoli, per giungere, fra il 1849 e il 1851, all’edizione di due importanti raccolte di documenti, da tempo in gestazione, dedicate l’una alle relazioni fra Avignone e i Comuni italiani nel Trecento e l’altra alla storia militare italiana fra Duecento e Cinquecento. Il biennio 1848-49 rappresentò per il Canestrini un pe28 riodo di vivace impegno politico. Già nel 1847 egli aveva pubblicato un opuscolo sulle funzioni della guardia nazionale (Della legge sulla Guardia civica Toscana, Tipografia Nistri, Pisa 1847, pag. 8); nel 1848 si iscrisse al Circolo politico di Firenze e tra il febbraio e il maggio del 1849 fu rappresentante ufficiale in quella città del governo repubblicano romano. Dopo la restaurazione del governo granducale, il Canestrini si dedicò alla compilazione di nuove, imponenti sillogi documentarie relative alla storia fiorentina, e all’edizione delle opere inedite del Machiavelli e del Guicciardini, costituite rispettivamente dal carteggio ufficiale del primo, conservato nell’Archivio di Stato di Firenze, e dal carteggio e dagli scritti minori del secondo, custoditi dagli eredi nel palazzo di famiglia. Gli Scritti inediti di N. Machiavelli riguardanti la storia e la milizia (1499-1512), editi a Firenze nel 1857, consistono in una raccolta di lettere ufficiali del Machiavelli, scelte dal Canestrini e riunite sotto diverse rubriche ordinate per argomento; nell’introduzione il Canestrini si limitava ad offrire notizie sugli ordinamenti militari fiorentini. L’opera cui egli dedicò il massimo impegno per parecchi anni (e certamente la sua maggiore in senso assoluto) fu costituita dalla monumentale edizione delle Opere inedite di Francesco Guicciardini, pubblicata in dieci volumi a Firenze fra il 1857 ed il 1867 sotto la supervisione dei conti Luigi e Piero Guicciardini. In quest’opera il maggiore impegno personale il Canestrini lo pose certamente nell’elaborazione delle lunghe introduzioni premesse ai volumi I, II, III, VI, VII, VIII, IX e X della raccolta, nelle quali, prendendo occasione dai testi che veniva pubblicando, trovò modo di enunciare le sue teorie di storia delle dottrine politiche e di esprimere i suoi sentimenti liberali e anticlericali. In particolare, le introduzioni ai volumi VI-VIII sono tutte dedicate a durissimi attacchi contro il dominio temporale della Chiesa e quella dell’ultimo volume a un ritratto, piuttosto convenzionale ed astratto, del Guicciardini. Nel 1860 il Canestrini fu eletto deputato della VII legislatura per il collegio di Montepulciano, e rieletto per il 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI giuseppe canestrini medesimo collegio nelle successive elezioni del 1861. Il 15 luglio 1862 fu fatto direttore della nuova grande Biblioteca Nazionale di Firenze, succedendo all’amico Atto Vannucci [1808-1883]; in tale qualità nel 1869 fece parte della commissione di nomina ministeriale che sconsigliò la creazione in Italia di un’unica, grande Biblioteca nazionale. Morì a Firenze il 28 novembre 1870, due mesi appena dopo la definitiva caduta di quel dominio temporale della Chiesa contro il quale aveva tanto lungamente lottato. L a stampa dell’opera del Canestrini iniziata nel 1857 vide il termine nel 1867 ma già nel 1859 essa era incorsa, con decreto del S. Uffizio del 20 gennaio, nell’interdizione. A questo aveva anche contribuito la pesante stroncatura da parte della rivista Civiltà Cattolica uscita con un articolo di fondo il 18 settembre 1858. L’articolo considerava solo il primo volume, riferendosi con ciò a quasi solo il Guicciardini e non erano ancora apparse le pesanti prefazioni anticlericali del Canestrini. Nei riguardi del Canestrini, la critica non fu mai tenera. Benché il Thiers lo avesse consacrato per sempre ricercatore d’archivio e studioso di storia, circondandolo di una fama, che ne avrebbe fatto un attore di primo piano in molte delle vicende, erudite ed intellettuali della cultura italiana del secolo e a sua volta Abel Desjardins [1814-1886], nel pubblicare a Parigi la silloge dei documenti diplomatici raccolti dal Canestrini per incarico del governo francese e quindi riveduti e trascelti dallo studioso francese (Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane..., I, Paris 1859) scrivesse nella premessa1 che il Canestrini veniva indicato 1 - Alleghiamo solo la nostra traduzione: Veniva spontaneo pensare che Firenze aveva raccolto e possedeva dei documenti preziosi per la nostra storia; era quello che sembravano garantirlo, e il ruolo che questa celebre città aveva giocato e la perseverante fedeltà con la quale questa città era stata nostra alleata. Spinti da questa doppia considerazione, alcuni eruditi insistettero perché venissero indagati gli archivi della Toscana. A quel tempo, c’era in Firenze un meritevole e sapiente uomo, autore di opere giustamente stimate, che conosceva questi archivi quasi come un contadino conosce il campo che coltiva da più di vent’anni: era il Signor Giuseppe Canestrini. Con l’appoggio dei più eminenti membri del Comitato della lingua, della storia e delle arti, che avevano avuto modo di apprezzare la sua vasta erudizione e la sua rara IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 come il miglior conoscitore vivente degli archivi toscani e come storico di fama, pur tuttavia già il Tommaseo lo giudicava un topo d’archivio, buono soltanto a cercare e trascrivere documenti. Anche Capponi e Vieusseux erano, a dir poco, insoddisfatti del suo attivismo frenetico, accompagnato da scarsa costanza nel lavoro, dell’eccessiva prolissità delle introduzioni e delle note ai testi e della frettolosità e a volte la scorrettezza delle trascrizioni. Anche il Prof. Armando Petrucci, nella sua biografia2 non è tenero con lui. Edoardo Benvenuti3, colui che ha dedicato la più ampia sagacia, il Signor Canestrini venne incaricato di cercare nei depositi delle principali città del Gran Ducato, i documenti che avevano attinenza con la Francia. Questi documenti erano innumerevoli; i più importanti si riferivano alla copiosa corrispondenza degli ambasciatori fiorentini. Il successo di questa indagine preliminare spinsero il Signor Ministro dell’Istruzione Pubblica alla decisione di sottoporre ad un attento esame le Negoziazioni diplomatiche della Francia con la Toscana, allo scopo di trarne le parti più meritevoli d’interesse e quindi porle in pubblicazione nella collezione dei documenti inediti. Sua Eccellenza si degnò di conferirmi la direzione di questo progetto confermandomi l’indispensabile concorso del Signor Canestrini; e m’inviò a Firenze, dove dovevo approntare il piano di lavoro distribuendone gl’impegni. 2 - Posto di fronte ai gravi problemi critici che la trasmissione dei testi guicciardiniani inediti, spesso tramandati in più recensioni d’autore, offriva, il Canestrini rivelò una totale mancanza di ogni esperienza propriamente filologica. Per quanto riguarda il Reggimento di Firenze (vol. II) egli riprodusse una sola delle tre prefazioni lasciate dal Guicciardini e contaminò arbitrariamente due diversi testimoni del testo; per le Storie fiorentine fuse e rimaneggiò arbitrariamente i capitoli dell’opera; per i carteggi fuse più lettere in una, omise i passi cifrati, mutò datazioni e destinatari; per i Ricordi (e fu forse il guasto più grave) riunì in una serie unica, arbitrariamente ordinata, due serie differenti di pensieri, che rappresentavano fasi diverse di elaborazione del testo; inoltre molto spesso modificò l’ortografia, eliminò brani interi senza avvertire il lettore, commise o lasciò commettere ai suoi collaboratori gravi errori di trascrizione. 3 - A chiusura della serie degli studi su Firenze [Canestrini] pubblicò, per cura dei discendenti di Francesco Guicciardini, le Opere inedite del grande storico in 10 volumi. La pubblicazione, che gli procurò non poche noie con gli editori e che non gli fu pagata neppur troppo lautamente, e certo una delle più importanti della seconda metà del secolo XIX e suscitò subito de’nuovi e più ampi studi in Italia e fuori; ricorderò soltanto gli articoli comparsi nella Rivista di Firenze ecc., diretta da Atto Vannucci (anno II, vol. IV, pag. 93), nella The Edimburg Review (july 1809, pag. 1 e seg.), nella Revue des deux Mondes (agosto 1869 pag. 901 e seg.) e nell’Archivio storico italiano: ricorderò pure l’interesse che vi prese Eugenio Benoist, il noto studioso della vita del Guicciardini, Matteo Augusto Geffroy il migliore critico di tutta la pubblicazione, Giovanni Armingaud, Adolfo Thiers nella sua magnifica storia dell’impero (vol. XII) e Luciano Banchi. Basterebbero questi nomi per dire che l’opera deve esser non solo utile ma storicamente notevole. Noi pero spassionatamente diremo che la pubblicazione non è all’altezza né del suo autore, né delle richieste del pubblico. La figura del Guicciardini delineata nelle vario prefazioni è come un mosaico malandato, tutta a pezzi, piena di lacune, piena di punti oscuri: invece del Guicciardini vero e reale troviamo un 29 giuseppe maria gottardi ed appassionata biografia al Canestrini, e il cui incipit abbiamo messo all’inizio di questo lavoro, a sua volta, nel descrivere le Opere inedite del Guicciardini non lesina le sue critiche ed anzi le rafforza con il pensiero del Geffroy [Mathieu Auguste, 1820-1895]. Anche le conclusioni del Benvenuti4 riconsiderano tutta l’opera di Giuseppe Canestrini. Occorre comunque dire che il Canestrini s’ impegnò grandemente in questo lavoro di cui, alla fine, era anche molto orgoglioso. Nella prefazione al IX volume è interessante leggere quello che lui ne pensava5. Guicciardini creato secondo la mente del Canestrini, il quale innamoratosi del suo autore non volle più vedere né difetti, né contraddizioni, né incongruenze. La più bella, e vera critica a quest’opera fu fatta da un suo fervente ammiratore e io non posso esimermi dal riportarla tutta intera per la sua precisione e verità. [«Delle difficoltà che noi ignoriamo, possono forse spiegare perch’egli non abbia rispettato, nel distribuire questi dieci volumi, ne la cronologia, ne, così sembra, alcun ordine logico. Documenti dissimili sono riuniti in modo confuso; anche la corrispondenza non rispetta le date. Dove, all’inizio del volume, è presente una prefazione, questa serve solo a glorificare la politica italiana attuale, e poco c’istruisce sulla politica del Guicciardini e del XVI secolo. Non vi sono note abbastanza per potersi districare in mezzo a questi documenti, spesso di difficile comprensione. Tutto ciò che rimane delle opere inedite del Guicciardini non è stato precisato e addirittura neanche menzionato in questa raccolta; alcun accenno è stato fatto delle arringhe conservate alla Biblioteca Magliabecchiana, in mezzo alle quali si trovano delle chiose atte da sole a spiegare svariati enigmi di quest’opera oggi pubblicata. Ora ci ha lasciato la premura, qualche volta pericolosa, di rinnovare la trama morale di questa vita.» (Revue de deux Mondes, 1874, vol. I, pag. 656-657.) op. cit. pag. 63-65. ] 4 - Il suo valore come storico è certamente, innegabilmente grande sia per la novità delle ricerche sia per l’acutezza delle osservazioni; ma non posso tacere l’impressione che si ha dopo aver letto tutte le sue numerose opere. Il Canestrini risulta piuttosto un acuto e zelante ricercatore e raccoglitore di documenti che non un vero storico; anzi non arrivò mai a quella vasta concezione della storia né a quelle sintesi geniali a cui arrivarono altri storici suoi amici primo fra tutti Pasquale Villari. Forse questo dipendeva dal metodo stesso con cui il Canestrini lavorava: cioè da quel metodo disordinato, inarmonico. confuso che rende quasi completamente inadoperabili ai vari studiosi gli appunti storici da lui lasciati fra le sue carte. Certo poteva ricavar molto più dai suoi studi eruditissimi e assorgere anch’gli alla sintesi storica e non rimanere un semplice illustratore di documenti. In secondo luogo troppo spesso adopera i fatti del passato per l’esaltazione del presente allontanandosi da quella severità e serenità che è il primo requisito d’uno storico. [pag. 75.] 5 - Né senza alcuno compiacimento di questi assidui studi e diligenti fatiche di dieci anni e più, ci vediamo ora quasi al termine di un lavoro, non per il numero grande dei volumi mirabile, ma per la profondità dei concetti, per l’utilità degli ammonimenti e per gl’inesausti tesori di civile sapienza che in questi nuovi scritti ha riposti la mente sovrana del Guicciardini; e ne andiamo tanto più lieti considerando che mercé le nostre lunghe cure e le superate difficoltà, che soltanto gl’intendenti sanno giustamente estimare, abbiamo disvelato allo studio e alla meditazione dei moderni statisti un nuovo monumento, e che sarà in tra i maggiori enumerato, della sapienza politica degli italiani; giacché questi volumi delle Opere inedite da noi pubblicati ed illustrati, essendo stati non solo in Italia ma anco fuori 30 In realtà le cose non andarono com’ egli aveva vagheggiato; di quest’opera si ebbe solo quest’unica edizione e gli studiosi del Guicciardini non si sono mai fidati ciecamente del Canestrini. G iunto quasi al termine di questo modestissimo lavoro mi rendo conto che il Guicciardini, questo “campione” dell’Italia nostra è rimasto un po’ in disparte, eppure tutto è cominciato da lui. Poiché il nostro intendimento è quello di raccogliere informazioni che ci aiutino a capire cosa ne pensassero coloro ch’erano deputati al controllo degli autori, ci viene incontro Giovanni Casati con il suo: “L’ Indice dei libri proibiti : saggi e commenti.”, Milano-Roma, Pro Familia, 1936 (Milano, Tip. Artigianelli). Guicciardini Francesco (1505-1540). Nato in Firenze da nobile e antica famiglia ; occupò cariche importanti, come governatore sotto i Papi e sotto la Repubblica, più volte, per cattiveria di eventi, sbalestrato nella sua fortuna. Negli ultimi anni si ritirò nella sua villa di Arcetri, ove attese a scrivere la storia d’Italia. «Se v’ha materia e arte che da sé voglia la più perfetta obiettività, è dessa la storia, fedele espositrice delle passate cose, maestra della vita. La storia che veramente si onori di tal nome, non può essere tuttavia nuda narrazione di fatti, bensì di fatti quali si manifestano, come derivanti da cause bene esaminate e feconde di maggiori effetti in avvenire; la storia è perciò filosofia. L’elemento soggettivo dello storico non può disgiungersi affatto dall’obiettivo, dato dai fatti; anzi questo secondo, perché la storia sia veramente tale e interessi un popolo, è mezzo a dar luce a quel primo, il quale avrà tanto maggior valore, quanto più sarà colto dalla giusta osservazione dello scrittore.» Francesco Guicciardini, se si prescinde dal valore della sua moralità subiettiva, è a ragione chiamato il principe degli storici italiani, perché d’ogni fatto narrato ha con interesse e curiosità grandissima accolti, e fatti in Germania in Inghilterra e in Francia subbietto di nuovi e più intimi studi sopra la scuola degl’italiani statisti, e principalmente sul Guicciardini come scrittore politico ed uomo di Stato, è segno non dubbio della grande importanza e del sommo pregio in cui è tenuta la presente pubblicazione. 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI giuseppe canestrini investigato le ragioni, perché a larga mano diffuse negli avvenimenti un tesoro di considerazioni morali e politiche, frutto di esperienza, di profondità e acume d’ingegno. E in ciò si spinse alla esagerazione, con l’introdurre troppi discorsi, i quali riflettessero il modo di considerare lo stato degli avvenimenti, discorsi fabbricati talora di sana pianta, benché non discordi dai veri tenuti nelle medesime occasioni; e riuscì, per la esagerata cura dei particolari che servissero a dimostrare il valore degli asserti, prolisso e sovente stucchevole, se non fiacco. Chi voglia ben giudicare la Storia del Guicciardini, non può prescindere da due considerazioni. La prima, che il Guicciardini non fu uno spassionato giudice né dell’opera né delle persone dei Papi. I Papi furono larghi a lui, governatore pubblico al loro stipendio, di favore, e specialmente quel Clemente VII da lui tanto vilipeso. Ma il Guicciardini non si ritenne sufficientemente rimunerato, e si ritirò a vita privata, dove attese a scrivere la sua Storia. Questa, pubblicata ventun anno dopo la sua morte, dapprima in sedici libri, poi in venti, non portava i passi più ingiuriosi verso i romani pontefici; ma le stampe eterodosse furon sollecite a farne più tardi avida incetta. Il periodo vissuto dal Guicciardini (1482-1540) e la storia da lui narrata (1490-1534) son contraddistinti da tre fatti di un’importanza notevole per le conseguenze nei secoli futuri: sulla Cattedra di S. Pietro quattro pontefici umanisti, sempre severamente ma quasi mai imparzialmente giudicati, oppure giudicati con giudizi troppo assoluti e astratti dalle condizioni dei tempi, Alessandro VI, Giulio II, Leone X, Clemente VII; tempi che vanno dal Valentino e dal Savonarola al Sacco di Roma e all’assedio di Firenze. Il delinearsi, e lo scatenarsi della riforma politico-religiosa di Lutero. Il preponderare, dopo la scoperta dell’America, dei grandi stati europei, e la lotta tra Francia e Spagna per la conquista dell’Italia, la quale vedeva per interne discordie sfasciarsi a una a una le libertà comunali e repubblicane, e andava a cadere tutta sotto la dominazione francese dapprima, spagnola dappoi. IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 Il Guicciardini non vede che una trista fatalità che incombe sull’Italia, e ne incolpa prevalentemente i Papi; così è più severo con Giulio II, l’unico principe italiano che sognò di liberane l’Italia dai barbari, che non sia con Lodovico il Moro, il primo, il vero principe che chiamò in Italia per ambiziose mire personali Carlo VIII di Francia, funestissimo esempio per tutti gli stranieri di poi. Il Guicciardini non risparmia insulti all’indirizzo particolare dei pontefici, per lui tutti scellerati a un modo, e ostenta, anche attraverso pagine magnifiche, le bellezze della religione cattolica, di cui si professa figlio deferente, affin di biasimare al confronto gli ecclesiastici. L’ altra considerazione di fatto è data dal temperamento stesso del Guicciardini. Francesco De Sanctis6, dopo averlo portato al cielo quale antesignano, insieme al Machiavelli, della concezione laicista a oltranza dello stato moderno, cosi lo giudica: «La corruttela italiana era appunto in questo: che la coscienza era vuota e mancava ogni degno scopo alla vita. Machiavelli ti addita in fondo al cammino della vita terrestre la patria, la nazione, la libertà... Il Guicciardini ammette anche lui questi fini, come cose belle e buone e desiderabili; ma li ammette sub conditione, a patto che siano conciliabili col tuo particolare, cioè col tuo interesse personale. Non crede alla virtù, alla generosità, al patriottismo, al sacrificio, al disinteresse... Nel Guicciardini comparisce una generazione già rassegnata. Non ha illusioni. E perché non vede rimedio a quella corruttela, vi si avvolge egli pure e ne fa la sua saviezza e la sua aureola. I suoi Ricordi sono la corruttela italiana codificata e innalzata a regola di vita. Il Dio del Guicciardini è il suo particolare ... Tutti gli ideali scompariscono. Ogni vincolo religioso, morale, politico, che tiene insieme un popolo, è spezzato. Non rimane sulla scena del mondo che l’individuo. Ciascuno per sé, verso e contro tutti. Questo non è più corruzione, contro la quale si gridi: è saviezza, è dottrina predicata e inculcata, è l’arte della vita». Questo severo giudizio è tratto piuttosto dai Ricordi, 6 - Storia della Letteratura Italiana, cap. XV. 31 giuseppe maria gottardi nei Brani inediti; tutto il livore antipapale del Guicciar- Un ulteriore opera ascritta al “povero” Guicciardini dini si manifesta in quelle pagine, dov’egli si augura an- compare nel 1569 e poi nel 1602: che di appartenere alla Riforma. Ma pure la Storia ne è Loci duo ob rerum, quas continent gravitatem, cognitioispirata e come pregna. E l’occasione che spinse il Guic- ne dignissimi, qui ex ipsius historiarum libris III et IIII ciardini a scriverla, cioè il suo personale malcontento, dolo malo detracti in exemplaribus hactenus impressis ne diede una ragione, come il suo testamento politico, non leguntur, nunc tandem ab interitu vindicati et latiche lasciò cosi concepito nei Ricordi: “Tre cose desidero ne, italice, galliceque editi. Seorsum accesserunt Francivedere innanzi la mia morte, ma dubito ancora che io sci Petrarchae epistolae XVI quibus plane testatum relivivessi molto, non ne vedere alcuna: un vivere di Repub- quit, quid de pontificatu et de rom. Curia senserit. Item blica bene ordinato nella città nostra; Italia liberata da pontificis maximi Clementis VIII anno MDXCVIII Fertutti i barbari; e liberato il rariam petentis et ingremondo dalla tirannide di dientis apparatus et pompa. A questi scellerati preti.”» [Genève ?], Petrus AntoGIUSEPPE CANESTRINI nius, 1602, in-8°, 169; [4], DA TRENTO Francesco Guicciardini era 80 p. CITTADINO OTTIMO ISTORIOGRAFO INSIGNE ben conscio del suo delicaEdizione anterieure: Loci COMMENDATORE DELL’ORDIN MAURIZIANO to ruolo e mai e poi mai duo, senza le Epistolae del CAVALIERE DELLA LEGION D’ONORE avrebbe permesso la pubPetrarca. Basel, s.i., 1569, DUE VOLTE DEPUTATO blicazione dei suoi pensieri AL PARLAMENTO ITALIANO in-8°, 116 p. DIRETTORE più reconditi che tali si legLa prima edizione sfugge DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE gono nei suoi Ricordi. Inalla censura ma la seconda DI FIRENZE fatti benché la sua “Histoincappa nel decr. S. Off. 21MORTO IL 28 NOVEMBRE 1870 ria” fosse incorsa nell’Index 07-1603. TEMISTOCLE PAMPALONI di Parma per l’edizione fioEd infine l’immane lavoro AMICO SUO DOLENTISSIMO rentina di Lorenzo Torrendel Canestrini: A PERPETUA TESTIMONIANZA D’AFFETTO E D’ONORE tino del 1561, essa era stata Opere inedite di Francesco tuttavia expurgata nell’InGuicciardini, illustrate da Q. M. P. dex di Roma del 1596. Ma Giuseppe Canestrini e pub___ ecco che a Ginevra compablicate per cura dei conti re una nuova versione con Pietro e Luigi Guicciardini. GIUSTISSIM’ALMA IN GENEROSO PETTO aggiunte: - Firenze, Barbèra-Bianchi, CALDO, LEALE, AUSTERO, INTEMERATO La historia d’Italia, con le COR GENTILE, DRITTO SENNO, ALTO INTELLETTO 1857-1867, in-4°, 10 vol. LiMAGGIOR DELLA SUA FAMA E DEL SUO FATO postille in margine, con la vorno, rimette il Guicciarvita dell’autore di nuovo ridini con decr. 20-01-1859 veduta et corretta per Frannel novero degli autori cesco Sansovino, con l’agbanditi. giunta de’quattro ultimi libri lasciati indietro dall’autore. Una fine imprevista per chi, a lungo, aveva evitato Genève, Jacob Stoer, 1621, in-8°, 2 vol. qualsiasi polemica.❧ Questa incorre nella sanzione con decr. 07-01-1627 che rimarrà valido fino ai giorni nostri. Giuseppe Maria Gottardi 32 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI giuseppe canestrini CIVILTÀ CATTOLICA Rubrica: rivista della stampa italiana Guicciardini Francesco, Opere Inedite, illustrate da Giuseppe Canestrini, e pubblicate per cura dei Conti Piero e Luigi Guicciardini. Firenze, Barbèra, Bianchi e Camp. 1857. Un volume in 8° di pagine 399. Molte sono le Opere inedite che del loro antenato qui si promettono dai Conti Piero e Luigi Guicciardini: ma questo primo tomo contiene soltanto le Considerazioni intorno ai Discorsi del Machiavelli, i Ricordi politici e civili e i Discorsi politici, preceduti da una prefazione del Canestrini, ove rende ragione di codeste tre Opere, e si conclude con un elogio del Guicciardini tessuto dal Thiers nella Storia del Consolato e dell’Impero, degno panegirista di quel Guicciardini già conosciuto abbastanza e pel merito letterario e per lo spirito irreligioso che procacciò alla sua Storia poco onorevole ricordanza nell’Indice dei libri proibiti. Non potrà dunque recar meraviglia che lo spirito medesimo si manifesti anche in queste Opere e nella Prefazione ed osservazioni che le accompagnano nel loro presentarsi al pubblico. Il Guicciardini incorre qui nella sventura di molti uomini illustri, la cui fama postu- IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 ma, promettendo ad ogni loro scritto favorevole accoglienza, stimola chi ne ereditò i manoscritti a gittare in palese ciò che l’Autore avea forse riserbato o alla confiden- za degli amici o alla severità della lima. Cosi avvenne alla memoria dell’Alfieri, la cui autobiografia che l’amico di lui, il dotto Abbate di Caluso, avrebbe voluto sottrarre per onore dell’Astigiano agli occhi del pubblico, non fu certo il monumento più onorato per la gloria del Tragico italiano. Altrettanto crediamo potersi dire, (e lo dice infatti l’Autore stesso proemiando al dialogo del Reggimento di Firenze) 1 per rispetto a molti passi, di questa pubblicazione, nella quale confessiamo candidamente di non aver ravvisato né la delicatezza dei pronipoti verso la riputazione del loro antenato, né l’accortezza d’uomini italianissimi nel non compromettere gli interessi del partito. Codeste opere postume noceranno, a parer nostro, e al Guicciardini e all’italianismo. Al primo col mostrarlo privo, non solo di onore e lealtà civile quale tutti già lo conoscono, ma anche di religione e di sentimento cattolico, qual’egli si mostra 1 - Dallo scrivere mio, massime fatto per mio piacere e recreazione, né con intenzione di pubblicarlo, non si può, né si debbe inferire che ecc. (Tom. II, pag. VI.) 33 giuseppe maria gottardi in parecchi tratti di queste Opere postume: all’italianismo poi parte discreditandone le teorie politiche, parte mostrandolo complice della sua incredulità irreligiosa. E in quanto allo spirito irreligioso di messer Francesco, noi non sappiamo come la riverenza degli Editori verso il loro antenato non abbia cancellato quel ricordo CXXIII, ove l’Autore dà prima per certissimo che ogni religione ha avuto e suoi miraculi (il che potrebbe tollerarsi supponendo che parli di miracoli finti ); e poi soggiunge mostrano bene forse e miraculi la potestà di Dio, ma non più di quello de’ Gentili che di quello de’ Cristiani; e anche non sarebbe forse peccato dire, che questi, così come anche e vaticinii, sono secreti della natura, alle ragioni de’ quali non possono gli intelletti degli uomini aggiugnere (pag. 129). Il lettore ammirerà qui del pari e la forza filosofica di chi spiega vaticinii e miracoli co’ segreti della natura, e la fede di questo buon cristiano che trova ugual potestà nel Dio de' cristiani e in quello de’ gentili. Gli Editori ci promettono (pag. 173 e seg.) che nell’autobiografia il Guicciardini, professando apertamente sentimenti di vera religione, ci autorizzerà a spiegare benignamente certe frasi che sembrano putire dell’empio: e questo vien detto da essi a proposito del Ricordo CCLIII : Non combattere mai con la religione né con le cose che pare che dipendono da Dio; perché questo obbietto ha troppa forza nella mente delli sciocchi. Noi auguriamo agli Editori un buon esito; ma mentre aspettiamo l’edificante biografia, crediamo dover giudicare il libro per quel che suona: e questa volta il suono è si stridulo, che ha fatto accartocciare gli orecchi agli Editori medesimi. La religione ha troppa forza nella mente delli sciocchi ! Sarà dunque sciocchezza dare a Dio la suprema importanza sopra tutte le cose umane; ed ecco perché il Guicciardini, che non era sciocco, dà agl’interessi umani maggiore importanza che alla giu34 stizia, alla buona fede, alla morale onestà. Non sappiamo se a questi passi ponesse mente il Canestrini, quando trovava e nel Machiavelli e nel Guicciardini il linguaggio SEMPRE reverente verso la vera religione (pag. XXXV) : ma intendiamo benissimo che con tali idee tutta la potenza della fede si voglia ridurre (pag. 83) alla potenza dell’ostinazione. E tanto basti intorno ai sentimenti irreligiosi del Guicciardini: i quali, abbiam detto, poco gioveranno a ristabilirne la riputazione nell’animo degli onesti. Un solo vantaggio ci sembra poterne risultare: ed è che, sebbene un tal modo irreligioso di parlare sempre sia deplorabile, in quanto avvezza il volgo de’lettori al cinismo dell’empietà e ne fa perdere il naturale orrore; pure non è senza qualche utilità, in quanto riduce al suo giusto valore le rabbiose maledizioni del Politico fiorentino contro il clero e il papato; contro i quali egli parla non dirado un linguaggio da disgradarne il Bianchi-Giovini e la Gazzetta del popolo. Non abbiamo il coraggio di trascrivere in prova della nostra asserzione molti di questi passi, ove la rusticità delle maniere fa degno accompagnamento alla rabbia irreligiosa; sembrandoci che il lettore cattolico avrebbe a rinfacciarci la castigatezza di quel poeta che del linguaggio diabolico di Ismeno non osò ripetere le parti più empie, dicendo: . . . quelle che vi aggiunse orribil note, Lingua, s’ empia non è, ridir non puote. Ci si permetterà peraltro di darne un piccolo saggio, affinché il lettore possa giudicarne per sé medesimo: e il saggio presenta un misto di rabbia contro i preti e di viltà nel servirli, che fa onore ugualmente e alla pietà di Messer Francesco e al coraggio civile di sua coscienza. Ecco il ricordo CCCXLVI. Io ho sempre desiderato naturalmente la ruina dello Stato Ecclesiastico, e la fortuna 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI giuseppe canestrini ha voluto che sono stati due pontefici tali che sono stato sforzato desiderare e affaticarmi per la grandezza loro; se non fussi questo rispetto, amerei più Martin Lutero che me medesimo, perché spererei che la sua setta potessi ruinare o almanco tarpare le ale a questa scellerata tirannide di preti (pag. 203). Queste ed altre simili maledizioni che tenterebbero il lettore incauto a concepire mal animo o disprezzo contro i ministri della sua religione, perdono gran parte del loro veleno, quando escono da una penna che non rispetta più il Dio de’Cristiani che quello dei pagani. E chi le ascolta, conosciuta l’empietà dell’autore, dice naturalmente fra sé stesso : La botte dà di quel che ha. Chi non crede in Dio, qual inerenza può avere ai suoi ministri ? Non ti curar di lui, ma guarda e passa. Tal è il sentimento che si desta nell’animo di un Cattolico al leggere codeste declamazioni; sentimento, come ognun vede, poco favorevole alla memoria, già non troppo onorata, del defunto Politico fiorentino. Ma qual sarà l’impressione che produrrà codesto libro, rispetto a quel partito moderato e italianissimo che dissotterra dalla polvere degli archivi e avventa in pubblico gli sfoghi postumi di codesta rabbia? Se le dottrine politiche del Guicciardini fossero liberali, si po- IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 trebbe dire che l’empietà gli fu condonata in grazia della politica. Ma al vederle tanto contrarie alle idee correnti, ognuno dirà, essersi condonati i dissentimenti politici in grazia della pretofobia irreligiosa: di che non sappiamo quanto dovrà vantaggiarne, specialmente in Toscana, il partito italianissimo o nella stima pubblica o negl’interessi politici. Quel popolo (come tutta general- mente l’Italia) a dispetto di tutte le insidie dell’eterodossia, serba vivo tuttora e tenacemente radicato il Cattolicesimo. In quale stima avrà egli dunque la sedicente scuola politica italiana, che presenta al pubblico il suo maestro in codeste turpi fattezze di irreligiosa stizza antipretina? Dubitiamo forte che la pubblicazione di codeste invettive, cui la discrezione e la decenza comandavano di cancellare, potrà sembrare in Toscana un facsimile della pubblicazione del Marnix fra i Cattolici belgi. Questa annunziava colà la speranza di trasformare i protestanti e libarli in giacobini scannapreti: le giaculatorie luterane del Guicciardini mostreranno ai Toscani la speranza di condurli, sotto apparenze politiche, all’apostasia dalla fede e all’odio de’Papi. Or questo non ci sembra molto giovevole a ingagliardire tra i Toscani la riverenza verso la pretesa scuola politica italiana. Abbiamo detto le dottrine politiche del Guicciardini poco conformi alle idee correnti: e gli Editori che l’hanno sentito al par di noi, sono stati costretti più d’una volta a correggere con le loro note i poco liberali sentimenti del loro caporione. Chi può p. e. tollerare, in un tempo, in cui non è barattiere che non vanti la lealtà del suo procedere e il coraggio delle sue opinioni, che Messer Francesco venga a dirci: Nega pure sempre quello che tu non vuoi che si sappia, o afferma quello che tu vuoi che si creda; perché ancora che in contrario siano molti riscontri e quasi certezza, lo affermare o negare gagliardamente mette spesso a partito il cervello di chi ti ode (Ricordo XXXVII, pagg. 100-101). Non ti par qui sentire il Voltaire: Mentez toujours, mentez hardiment : il en reste toujours quelque chose. E che dirà il popolo dei moderati al vedere biasimati i Medici per la generosa imparzialità con la quale distribuivano largamente gli onori e utili della città senza favorire gli amici e mostrando equalità verso ognuno ? 35 giuseppe maria gottardi Il che, dice Messer Francesco, tolse loro ogni fondamento di amici, giacché ai repubblicani nessuna mansuetudine, nessuna dolcezza, nessuno piacere che si facessi al populo bastava ; gli amici poi sperando di potersi salvare erano disposti in uno frangente più presto a lasciare correre che a sostenere una grossa piena (pag. 94). Bel documento davvero di moderazione e di buon Governo! Ma sentite come viene commentato nel Ricordo XLI. Se gli uomini fussino buoni e prudenti, chi è preposto a altri legittimamente arebbe a usare più la dolcezza che la severità ; ma essendo la più parte o poco buoni o poco prudenti, bisogna fondarsi più in sulla severità ; e chi la intende altrimenti, s’ inganna. Confesso bene che chi potessi mescolare e condire bene l’una con l’altra, farebbe quello ammirabile concerto e quella armonia, della quale nessuna è più suave ; ma sono grazie che a pochi il Cielo largo destina, e forse a nessuno (pag. 102). Oh poveri moderati! sentite come si fa parlare in pubblico il vostro Caposcuola? Che tale sia nel partito la dottrina acroamatica, sapevamcelo; basta vedere come si governano i libertini in Piemonte verso i Conservatori, i Preti, i Cattolici. Ma che codesta dottrina di severità e di parzialità venga cosi pubblicata fra gli aurei ricordi politici (pag. XX) !... 36 Avete udito il parlare del Guicciardini intorno alla moderazione ; volete ora udire ciò che egli pensa dei vantatori dì libertà e promotori di rivoluzione? Non crediate a costoro che predicano sì efficacemente la libertà, perché quasi tutti, anzi non è forse nessuno che non abbia l’obbietto agli interessi particolari ; e la esperienza mostra spesso, ed è certissimo, (sentite! sentite! qui non ci è alcun dubbio) è certissimo che se cre- dessimo trovare in uno Stato stretto miglior condizione , vi correrebbono per le poste (Ricordo LXVI, pag. 110). Bravo Messer Francesco! Si direbbe che scriviate nel 1850. Ma quando è cosi, gran babbuassi furono quegl’ltaliani che a codesti ciurmadori diedono retta tracciando libertà. Qual dubbio che babbei furono tutti, tranne i Capi? Chi si travaglia ... di mutare Stati, se non lo fa per necessità, o che a lui tocchi diventare capo del governo, è poco prudente: perché mette a periculo sé e tutto il suo, se la cosa non succede; succedendo, non ha a pena una piccola parte di quello che aveva designato (Ricordo LI. pag. 105). Peraltro dovreste scusarci per amore del nostro patriottismo che voleva una e felice l’Italia: né questo potevasi senza mutare Stato. — Oibò! Oibò ! Cotesto patriottismo non capiva i suoi interessi. Il venire in unità se sotto una republica poteva essere glorioso al nome d’Italia e felicità a quella città che dominassi: era all’altre tutte calamità, perché oppresse dalla ombra di quella non avevano facultà di pervenire a grandezza alcuna, essendo il costume delle republiche non participare e frutti della sua libertà e imperio a altri che a’suoi cittadini proprii. E se bene la Italia divisa in molti dominii abbia in vani tempi patito molte calamità che forse in uno dominio solo non ebbe patito, ... nondimeno in tutti questi tempi ha avuto al riscontro tante città floride che non avrebbe avuto sotto una republica; ché io reputo che una monarchia gli sarebbe stata più infelice che felice (Considerazione sul cap. XII sui discorsi del Machiavelli pag. 28.) Quand’è cosi, non avevano dunque torto quelle tante città che ricusavano la pretesa unità. No certo: giacché o sia per qualche fato d’Italia, o per la complessione degli uomini temperata in modo che hanno ingegno e forze, non è mai questa provincia stata felice a ridursi 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI giuseppe canestrini sotto uno imperio, eziamdio quando non ci era la Chiesa ... Però se la Chiesa romana si è opposta alle monarchie, io non concorro facilmente essere stata in felicità di questa provincia, poi che l’ha conservata in quello modo di vivere che è più secondo la antiquissima consuetudine e inclinazione sua (Cons. sul cap. XIV, pagg. 29-30). Almeno non negherete che il Papa fu iniquamente ambizioso coll’arrogarsi un governo temporale, invece di attendere alla cura delle anime. Troppa severità, cari miei! Io confesso essere proprio ufficio del papa la cura spirituale .... Ma essendo il mondo pieno di malignità, chi dubita che se uno pontefice non ajutassi le cose sue con ogni specie d’armi e di potenza, che sarebbe annichilato non manco nello spirituale che nel temporale? (Seppure, aggiungeremo noi, non fosse prodigiosamente assistito, come sempre fu nei bisogni, da provvidenza speciale, alla quale poco pare che credesse il Guicciardini). (Discorsi politici pag. 386.) Tali sono i principii politici del Guicciardini espressi per la più parte nell’intimità confidenziale di quei Ricordi e di quelle annotazioni, nelle quali egli poteva parlare il linguaggio più schietto della libertà. Or dite voi, lettore, se codeste IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 dottrine favoriscano il sistema che ci si va predicando dalla scuola italianissima: dite se doveva tornare conto a questa scuola di mettere in voga quelle Opere fra i popoli italiani. Ma il Guicciardini era incredulo, era nemico dei preti e del Papa: tanto basta perché debba aggregarsi alla scuola italianissima e servirle di banderaio. Egli, dice nella prefazione il Canestrini, ha emancipata la politica dall’autorità, ren- dendola indipendente dalla Teologia (pag. XXXIV) ossia dal Cattolicesimo. E ripete nuovamente nella prefazione al secondo volume pagina X: Il carattere distintivo e notabilissimo di quella scuola (politica italiana) è lo avere insegnato la benefica distinzione delle cose politiche dalle ecclesiastiche. Vi par poco merito in faccia agl’Italianissimi, in faccia ai grandi promotori della separazione fra la Chiesa e lo Stato? Ciò nondimeno siccome cotesto frasario, codesta emancipazione dalla Teologia potrebbe dar sospetto di dottrine poco cattoliche e mettere in guardia i lettori contro la scuola che vorrebbe ateismo nella politica, si soggiunge tosto, a modo di correttivo, che il Machiavelli e il Guicciardini, ai quali è dovuta l’emancipazione della scienza dall’autorità, riconoscono nel medesimo tempo la necessità della religione, siccome mezzo efficacissimo nel governo delle società (tomo I, pag. XXXIV). E nel secondo volume dopo le parole sopraccitate, Gli statisti d’Italia, dicesi, come si applicarono ... a riforme politiche e civili a pro della libertà, e dello Stato, così nello stesso tempo consigliarono il riordinamento delle cose religiose col ritornarle ai loro veri e santi principii (pag. XI). Vedete con che balsamo di devozione in quelle ultime parole il frasario italianissimo ha saputo dire ai buoni Toscani, non solo senza impaurirli, ma compungendoli per edificazione, che la pretesa scuola italiana è stata la gran maestra dei Re sagrestani e la prima ispiratrice di quel giansenismo che, sotto pretesto di ritornare alla venerabile antichità, cospirò in Pavia, in Pistoia per ammanettare Clero, Episcopato e Pontefice. E quasi con gli stessi termini si ripete poco appresso (pag. XXI) una giaculatoria all’indipendenza della politica potestà .... con ispirito di rinnuovare la Chiesa richiamandola ai primitivi ordina- 37 giuseppe maria gottardi menti. Non sappiamo, a dir vero, quanto codesti correttivi potranno appagare un lettore cattolico : e temiamo forte che, considerate le già note dottrine dei due autori, esso venga preso come una professione d’ipocrisia aggiunta a quella d’incredulità. In codeste poche parole la scuola italianissima dice in sostanza ai suoi lettori cattolici : «La politica che noi professiamo, nata dalla ribellione all’autorità, continua le tradizioni di due autori, i quali, se pagano talvolta un tributo al comune errore mostrando d’avere in qualche conto la religione, lo fanno soltanto (e noi da buoni scolari saremo con essi) perché sperano con codesta finzione governare le plebi; e sotto pretesto di richiamare la Chiesa ai suoi primitivi ordinamenti, incatenarla sotto una tirannide simile a quella del despotismo pagano». E questa professione di fede enigmatica degli italianissimi sarà tanto più agevolmente indovinata e interpretata, quanto furono più coerenti i fatti del 1848 agl’insegnamenti dei capiscuola. E qui permettete, cattolici e gentili Toscani, che a voi specialmente volgiamo una parola di affettuosa sollecitudine, rimeritando cosi come solo possiamo l’inestimabile cortesia, di che, più forse che niun’altra contrada d’Italia, ci onorano le sponde dell’Arno, del Ser- 38 chio e dell’Ombrone : e come meglio potremmo attestarvi il sentimento vivissimo di gratitudine, che con un grido di all’erta! quando a voi s’ accosta il pericolo? Già sono parecchi mesi che la rabbia dell’inferno si sforza con mille arti di tornare in onore que’principii funesti di civile discordia e di spirito anticattolico che, nel malaugurato sinodo di Pistoia, vennero fulminati e conquisi in nome dell’’Autore e Consumatore della fede dal suo Vicario in terra. E poiché la sapienza del Governo, concorde con le recenti sentenze del Vaticano, riprovò altamente i tentativi più audaci dei tipi toscani, si tenta oggi o di fingere tipi stranieri, o di mascherare con l’ipocrisia della divozione la tirannia del vecchio errore. Ma o mascherati o audaci, gl’intendimenti sono sempre i medesimi : si vuole protestante, o, a dir meglio, si vuole incredula l’Italia. Lascerete voi che o l’audacia vi vinca, o l’ipocrisia v’illuda? Ecco ciò che si tenta con bieche arti, sotto pretesto di risuscitare la scuola politica italiana e di disseppellire dagli archivii i ca- polavori. Solo ci duole che, confondendo in tal guisa sotto un medesimo nome di Scuola di Politica italiana due cose totalmente diverse, l’inimicizia cioè al Papato e alla religione cattolica coll’amore dell’autonomia d’Italia e di un Governo temperato, si pretenda associare a codeste empietà anche il sì caro all’Italia e cattolico Balbo (pag. X), e si costringa in certa guisa ogni sincero Cattolico, qualunque sia il suo amore per l’autonomia e per la libertà, a protestare contro tal nome, per non essere complice dell’apostasia: il che non sappiamo quanto sia per riuscire vantaggioso alla causa che da costoro si appella italiana. Ma se non è utile alla causa loro, utilissimo può tornare alla causa cattolica che tali si mostrino quali sono veramente, spasimanti di Martin Lutero, benché tedesco, e pronti a correre per le poste alla schiavitù, benché liberali. Quello che ad ogni buono Italiano riuscirà intollerabile è l’arrogante burbanza di decorare codesta scarsa genia e codesta dottrina, esecrata da venticinque milioni d’Italiani cattolici, col mentito nome di scuola italiana, e il darle Dante per primo e Balbo per ultimo rappresentante (pag. XII). Se si trovarono fra i grandi Intelletti italiani alcuni audaci o fanatici che scossero ogni giogo d’autorità e di fede, riducendo per 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI giuseppe canestrini necessaria conseguenza ogni bene pubblico all’interesse, ogni politica alla frode, ogni diritto alla forza; codesta scuola che si trova in ogni paese2 ove sono uomini e passioni e prepotenze, solo per vitupero di nostra nazione potrebbe prendere il nome d’italiana per vanto, e Dante e Balbo per suo alfa ed omega. Se l’Alighieri fu trascinato dalle sue passioni politiche a tratti poco riverenti verso la persona di qualche Pontefice, a torto fu accusato e validamente difeso nella piena sincerità del suo Cattolicesimo3. Il Balbo poi, lungi dal riputare italiana la scuola macchiavellesca, disse anzi anticittadina, antipopolana, antinazionale la parte, a cui l’iroso Guelfo servì per ira, pur ripudiando il nome di Ghibellino, e chiamò sul suo capo le maledizioni degl’italianissimi con la sua intemerata divozione al governo e spirituale e temporale dei Papi. Anzi deplorò fino all’ultimo come viltà imperdonabile, come unico fallo pubblico 2 - Lo nota il chiarissimo Balbo nei Pensieri sulla Storia d’Italia, libro II, capo 22. «Furono tutti questi (Macchiavelli, Guicciardini, Bembo ecc.) più o meno, impronti delle medesime virtù e dei medesimi vizii di quell’elegantissima corruzione, che fu il carattere di quel secolo. Ma affrettiamoci a dirlo, nol fu in Italia sola, ché questo fu pure il tempo di Filippo di Commines in Francia » ecc. 3 - Senza parlare dei libri recentemente scritti in tal proposito, d’alcuno de’quali diede conto anche la Civiltà Cattolica, ricordiamo, che, a parere dell’Alighieri, regola di fede Avete il vecchio e ‘l nuovo Testamento E il Pastor della Chiesa che vi guida : Questo vi basti a vostro salvamento Paradiso C. V. IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 della sua vita politica l’avere cooperato per ambizione giovanile all’invasione di Roma nel 1809. I maestri poi della scuola italianissima, in qual conto si avessero dal valente pubblicista piemontese, uditelo da lui medesimo; « Machiavello e Guicciardini, storici tutti e due ..... ammirabili per l’arte, sono poi, per la indifferenza loro ai vizi e alle virtù narrate, la mancanza assoluta d’ogni senso del bello, del grande e del giusto, per le lodi loro, serbate alla sola riuscita con qualunque mezzo e più co’più artifiziosi e più perfidi, sono, dico, i più miserandi, i più scellerati storici che sieno stati mai ». E poco appresso : «Machiavello che ha il peggior nome dei due nol merita forse, né come uomo, né come storico. Come uomo non tradì la patria, come Guicciardini ... ; comparando solamente le due storie, Guicciardini è più politicamente immorale.4» Ecco come il Balbo giudicava i due caporioni di codesta scuola di politica eterodossa, della quale si vorrebbe mostrarlo ultimo continuatore. No vivaddio! non sarà italiana mai, ad onta di lutti i suoi panegiristi, la scellerata politica del Principe: eterodossia, giansenismo, febbronianismo, giuseppismo saranno sempre tra noi 4 - BALBO Pensieri sulla Storia d’Italia, lib. II, cap. 22, pagg. 466-467. merci straniere. Chi la pensa altrimenti, chi prende la Croce e la santa bandiera, non come obbietti di riverenza e devozione, ma come strumenti d’interessi politici; costui, rinunziando al Cattolicesimo, rinunzia ad essere veramente italiano. E se a questo intendono invitare l’Italia gli Editori delle Opere postume del Guicciardini, essi rendono (ripetiamolo nel fine, come lo dicemmo al principio) un pessimo servigio al loro antenato, alla loro famiglia, al loro partito chiamando sopra di essi la riprovazione e il vitupero d’ogni buon Italiano, meno que’pochi i quali fanno staffilare i pontefici pubblicamente in Torino sul Teatro Carignano per obbedire alla Gazzetta del Popolo5. 5 - I nostri italianissimi han voluto celebrare la festa di S. Pietro regalando al pubblico torinese LE FANATISME, tragedia di Voltaire, e la declamazione di due canti di Dante, dove il ghibellino si scatena contro Roma pontificale. Lo scopo dello spettacolo era, secondo la GAZZETTA DEL POPOLO, di staffilare i Pontefici (Armonia 1 luglio 1858). 39 Suggestioni marine nella musica d’arte di Diego Cescotti 40 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI suggestioni marine nella musica d’arte I mitare con i suoni organizzati i più diversi fenomeni della natura è un’aspirazione – o un’ingenua pretesa – che l’arte musicale ha spesso manifestato nel corso della storia, rivelandosi nella maggior parte dei casi un sogno impossibile. E d’altronde come pensare di riprodurre entro un’architettura di percorsi formalizzati e di linguaggi precostituiti una realtà che obbedisce solo a leggi imprevedibili e casuali? Il discorso però cambia se anziché di imitazione o di descrizione, che sono operazioni meccaniche apportatrici di tante interpretazioni fuorvianti, si parla di evocazione, di suggestione, di allusione, che sono modi di rappresentazione indiretta e rimandano piuttosto a un’atmosfera emozionale e spirituale situata ben oltre la mera apparenza oggettiva. La musica, arte asemantica per eccellenza, risulta favorita in questo processo perché ha modo più delle sue consorelle di sfruttare i meccanismi dell’immaginazione e del sentimento, quando pur non arrivi, come voleva una bella definizione romantica, ad “esprimere l’inesprimibile”, senza contare che essendo arte del movimento può meglio ricreare con felicità di esiti la mobilità che è propria a tutti i fenomeni naturali. La piena consapevolezza di questo suo privilegio è una conquista abbastanza recente in termini storici e si collega al momento in cui il processo di affinamento di mezzi e strumenti ha permesso al compositore di dar corpo a simboli pregnanti avendo a disposizione organici strumentali di ricca e variegata sostanza timbrica da combinare in fantasiosi accostamenti, impasti e miscelazioni proprio come fa il pittore con la sua tavolozza. Non sarà un caso se per designare molti pezzi ‘descrittivi’ di soggetto naturalistico i compositori ricorrano spesso a termini mutuati dal linguaggio pittorico come “schizzi”, “quadri”, “stampe” e simili. E dunque, se fino a tutto il Settecento una rapida scaletta di violini, un guizzo di ottavino, un colpo di grancassa e simili altri interventi di stilizzazione convenzionale potevano bastare a simulare un accettabile temporale in musica, nell’orchestra moderna, emancipatasi anche nei parametri fraseologici, armonici e ritmici, l’illusione natuIL FURORE DEI LIBRI 2011/3 ralistica avviene con un grado incomparabilmente maggiore di verosimiglianza e profondità. Sta di fatto che non esiste quasi elemento di vita naturale che negli ultimi due secoli non sia stato ricreato con mezzi musicali: le albe e i tramonti, le vette incontaminate, lo scorrere di ruscelli, i mormorii della foresta, il canto degli uccelli, le nuvole in movimento, il vento impetuoso, le bufere di neve... Ma un fenomeno c’ è che per potenza intrinseca di significati ha avuto un impiego tra i più felici e ricorrenti in arte, e questo è il mare. Il mare, elemento archetipico in cui ognuno vede riflessa una gran parte del mistero dell’esistente, si presta benissimo ad essere interrogato nelle sue insondate profondità, e quand’anche sia sogguardato nella sua apparenza più materiale e vacanziera o invogli a darne una pittura realistica, esso impone sempre una considerazione non superficiale. La polisemanticità che lo caratterizza si presta benissimo a modalità di approccio plurime che vanno dalla più astratta contemplazione a distanza fino al contatto diretto, ingenerando di volta in volta pensieri sublimi, sentimenti indefiniti, istinti di fuga verso l’altrove, moti di entusiasmo e sfida, timor panico o senso di perdita di sé, di annullamento in una dimensione remota e misteriosa che può assumere carattere angoscioso ma anche propiziare l’elevazione mistica, come avviene quando si fronteggia l’infinito. N ella poesia europea colta il simbolo marino è stato adattato a tutte le circostanze, non di rado banalizzandolo. Il cliché del mare in burrasca come corrispettivo di uno stato d’animo turbato è ad esempio un mezzo espressivo dei più funzionali nel contesto melodrammatico, così come ben ci insegna Pietro Metastasio, rappresentante autorevole del regolato e razionale Settecento cittadino ed esperto conoscitore di effetti teatrali. Sue sono le sistematiche applicazioni del modello alle arie cosiddette ‘di paragone’ che costellano i suoi libretti d’opera («Vo solcando un mar crudele / senza vele e senza sarte: / freme l’onda, il ciel s’imbruna, / cresce 41 diego cescotti il vento e manca l’arte; / e il voler della fortuna / son costretto a seguitar...»)1: dove, s’intende, la turbolenza atmosferica dà adito a tutto un florilegio di virtuosismi canori e di agitazione orchestrale. Nei soggetti che trattano di vicende antiche direttamente connesse al mare come le peripezie di Ulisse o gli abbandoni crudeli di Didone e di Arianna, il mare assume i caratteri di un nume ostile e vendicativo che interrompe legami umani creduti indissolubili. Sarà tuttavia la temperie romantica a cogliere con efficacia di esiti la possibilità di unire la turbolenza marina con analoghe criticità psicologiche di un personaggio. La maledizione del wagneriano Olandese volante e la funesta gelosia del verdiano Otello hanno entrambi il mare in burrasca come corrispettivo analogico. Verdi offre, proprio all’inizio di questo suo tardo capolavoro, un saggio di come, con i mezzi dell’epoca, si potesse ottenere un’infallibile combinazione tra i due aspetti oggettivo e soggettivo: tuoni, lampi e fulmini sono indicati specificamente in partitura tra guizzi balenanti di strumenti acuti, colpi di piatti sospesi, incalzare di archi a imitazione dei cavalloni, mentre all’organo è affidato un inedito effetto rumoristico consistente in un’aspra dissonanza mantenuta per ben 256 battute: probabilmente il più lungo cluster della storia della musica. Il frasario ottocentesco, qui abilmente manipolato da quel versatile poeta-librettista che era Arrigo Boito, contribuisce da par suo a definire la situazione richiesta 1 - Dall’opera Artaserse 42 (Otello, condottiero della marina veneziana, sta rientrando in porto dopo avere sconfitto la flotta turca): ...Lampi! tuoni! gorghi! turbi tempestosi e fulmini! Treman l’onde, treman l’aure, treman basi e culmini. Fende l’etra un torvo e cieco spirto di vertigine, Iddio scuote il cielo bieco, come un tetro vel... Un uso non dissimile dei lessici si riproporrà più avanti, quando si tratterà di illustrare la furia di Otello messo in sospetto dalle perfide insinuazioni di Jago. Con tutte le risorse dell’alchimia sonora tardo-ottocentesca messe in campo, l’effetto che la tempesta ne sortisce è indubbiamente clamoroso e audace, e infallibile la presa emotiva che se ne ottiene, pur convenendo che si tratta ancora e sempre di una tempesta ‘organizzata’ secondo la quadratura imposta dalla logica formale e dalla norma estetica: il caos della natura, come già si diceva, non è in alcun modo realizzabile con gli strumenti dell’arte che l’uomo si è creato per abbellire la propria vita, e dunque è necessario attivare il filtro stilistico per apprezzare pagine come queste. N on diversamente che in Otello avverrà in tanti altri testi del sinfonismo ottocentesco, tra cui merita la menzione quello esemplare della suite Šeherazada (1888) del russo Nikolaj Rimskij-Korsakov, ispirata ai racconti delle Mille e una notte. All’ascolto del quadro iniziale raffigurante la 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI suggestioni marine nella musica d’arte nave di Simbad che solca le acque di un Oriente fantastico non si può fare a meno di ricordare che l’autore di queste note aveva fatto carriera come guardiamarina dell’impero zarista e che dunque l’esperienza diretta di navigazione sui grandi oceani gli aveva dato una conoscenza molto precisa di quanto doveva esprimere. E difatti questa pagina è rimasta una delle più idiomaticamente felici nella rappresentazione del moto ondoso, sia quando la narrazione prevede una navigazione tranquilla, sia quando, più oltre, subentra una rovinosa tempesta che scaraventa l’imbarcazione sugli scogli. Immesso nella dimensione fiabesca, l’elemento di natura viene reso in maniera splendidamente variopinta e smagliante come un’incisione su una porcellana, rimandando una visione di realismo sonoro di immancabile presa dovuto in massima parte al magistrale trattamento degli strumenti d’orchestra. Il corruccio del mare è un registro comune in queste ricreazioni sinfoniche, e d’altronde come esprimere poeticamente una bonaccia? Sta poi alla particolare indole dell’artista privilegiare la condizione esterna e anche la localizzazione che più gli conviene. Felix Mendelssohn, il romantico sereno che viaggiò per diporto fin nelle deserte isole della Scozia nord-occidentale, offre una bellissima cartolina di soggetto marinaro con l’ouverture Die Ebriden, conosciuta anche con il titolo Fingalshöle (La grotta di Fingal, 1829), dove prende vita un paesaggio nordico di incontaminata, selvaggia bellezza pervaso dallo spirito di leggenda. In sintonia con questo è l’altro affresco sinfonico che Mendelssohn trae da Goethe, intitolato Meerestille und glückliche Fahrt (Calma di mare e felice viaggio, 1828), che già Beethoven aveva trattato in forma di cantata. E sistono anche casi in cui la presenza marina perde il primo piano e diventa elemento di sfondo di un ambiente umano a cui fornisce un complemento sensoriale, con caratteri spesso di grande sofisticatezza. Il mare come preziosa esperienza estetizzante da vivere con sensi raffinati e senza alcuna compromissione diretta è tipico di certe rappresentaIL FURORE DEI LIBRI 2011/3 zioni dell’arte del decadentismo, dove l’immagine si compone in una visione antidrammatica e antiteatrale e si volge ad un lirismo gentile e comunicativo che la rende elemento decorativo e rassicurante, con valorizzazione particolare della funzione sinestetica. Assaporiamo almeno un frammento del testo del poeta Maurice Bouchor che ha fornito a Ernest Chausson il materiale per un mirabile Poème de l’amour et de la mer (1890), rimasto nella letteratura musicale come esempio emblematico di questa sensibilità: L’air est plein d’une odeur exquise de lilas Qui, fleurissant du haut des murs jusques en bas, Embaument les cheveux des femmes. La mer au grand soleil va toute s’embraser, Et sur le sable fin qu’elles viennent baiser Roulent d’éblouissantes lames. Mauves ou violets, rouges et blancs, ils sont Le sourire enfantin de la vieille maison Que leur grâce a toute fleurie ; Les femmes Dieu sait où vont les cheveux au vent, Et la mer étincelle au clair soleil levant Comme une immense pierrerie.2 Dalla serenità di queste visioni ineffabili si può passare a situazioni del tutto opposte, quando l’elemento acquatico si fa presenza concreta, tangibile e lo si esperimenta di persona entrandoci dentro e affrontandone con trepidazione o con fiducia la navigazione. L’abbandono del noto per l’ignoto non è cosa per tutti, e se fatto con lo spirito dell’esploratore o di chi non ha nulla da perdere non può che assumere una tonalità felice per via della libertà conquistata e della prospettiva di un nuovo inizio, come potrebbero esprimere le opere di 2 - L’aria è piena di un profumo squisito di lillà / Che, fiorendo dall’alto dei muri fino a terra, / Versano effluvi sui capelli delle donne. / Il mare al gran sole tutto s’infiamma, / E sulla sabbia fine che vengono a baciare / Corrono rotolando abbaglianti lame. Malva o viola, rossi o bianchi, sono / Il sorriso fanciullesco della vecchia casa / Che la loro grazia ha fiorito tutta; / Dio sa dove vanno le donne coi capelli al vento, / E il mare scintilla al chiaro sole nascente / Come un’immensa colata di gemme. 43 diego cescotti tanti artisti-navigatori sulle lunghe distanze, da Steven- ria del bello estetico. Ma intanto il fascino dell’avventuson a Gauguin, da Conrad a Kipling... Ancora una vol- ra per mare è entrato nel mondo dei salotti cittadini e ta la musica, arte del movimento, ha buon gioco nel solletica più di uno spirito inquieto che ha da soddisfasincronizzarsi con il ritmo della navigazione, ben più re «molte grandi partenze inappagate». Quest’ultimo di quanto possa fare un’immagine fissa, per quanto bel- verso si legge ne L’horizon chimérique di Jean de la Villa. E musicisti che si occupano di viaggi per mare ve ne le de Mirmont su cui Gabriel Fauré compose nel 1913 sono davvero molti, specie di area francese. un ciclo di mélodies tutte percorse da vascelli in moviAlbert Roussel, che avemento come in una stamva pure lui precedenti copa d’epoca e riecheggianti me ufficiale di marina, l’antico tema del viaggio nelle sue poetiche Évocaper mare come fuga dalle tions (1912) guida l’ascolangustie presenti e anelito tatore in un’India dalle a una sorte migliore, ossia magiche suggestioni ricome volontà di cambiaspecchiate in reali espemento interiore. rienze di viaggi in quei a la ‘pittura’ mari. A sua volta, Jacques marina più Ibert ci offre con la suite memorabile Escales (1922) una crocieè senz’altro quella, antora in tre diversi approdi nomasica fin dal titolo, del Mediterraneo facendo che propone Claude Decogliere di ciascuno i sabussy nel brano sinfonico pori e le note dominanti. La mer (1905). Il senso di Con attitudine più lettequesto capolavoro si chiararia, ma in forma musirisce già dalla sua definicalmente mirabile, Mauzione di ‘schizzi sinfonici” rice Ravel trae dai versi che lo dichiara non pittudel poeta simbolista TriClaude Debussy, La mer, 1905, frontespizio della prima edizione ra compiuta ma successtan Klingsor gli spunti per una sua Shéhérazade (1903) che percorre fantasio- sione di impressioni fuggevoli e abbozzi estemporanei, samente tutta l’Asia sognata dai tempi dei racconti d’in- così come la natura marina suggerisce e impone: un fanzia (…Je voudrais m’en aller avec la goëlette / Qui se modo di cogliere l’attimo che continuamente si rinnoberce ce soir dans le port, / Mystérieuse et solitaire / Et va e di inseguire tutti i mutamenti che via via si svolgoqui déploie enfin ses voiles violettes / Comme un immen- no sotto gli occhi dell’osservatore. È la prima volta che in una pagina musicale viene se oiseau de nuit dans le ciel d’or...3). L’eleganza dell’espressione è irrinunciabile nei testi espressa con tale pertinenza linguistica e formale la nafrancesi sull’argomento, e si può ben dire che il mare tura capricciosa e imprevedibile del mare aperto, qui per quei poeti sembra non dissociarsi mai dalla catego- còlto in tre momenti topici per angolo d’osservazione e momento della giornata, partendo da una visione d’in3 - ...Vorrei andarmene con la goletta / che si culla stasera nel porto sieme nelle ore che vanno «de l’aube à midi», per poi se/ misteriosa e solitaria / e che spiega infine le sue vele violette / come guire il danzante «jeux des vagues» e concludere con l’eun immenso uccello notturno nel cielo dorato.... M 44 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI suggestioni marine nella musica d’arte saltante «dialogue du vent et de la mer». In questo preclaro esempio di impressionismo musicale si riflette tutta una nuova sensibilità fatta di ariosità e di luce: il fraseggio orchestrale si impronta ormai ai caratteri di mobilità, varietà, spezzatura, rapsodicità, superando molti schemi del passato. In più Debussy, che fu un vero cantore dell’acqua in tutte le sue manifestazioni, si pone di fronte al mare con la chiara percezione della sua maestà e con l’intento di andare al fondo del suo mistero regalando all’ascoltatore un’immagine di solenne grandiosità. Così facendo si conferma nella linea estetica un giorno da lui espressa, in cui rivendicava ai musicisti «il privilegio di captare tutta la poesia della notte e del giorno, della terra e del cielo, di ricostruirne l’atmosfera e di ritmarne l’immensa palpitazione». I l mistero del mare non si sottrae né a un’interpretazione di segno ‘laico’ come questa, né ad altra che legga in esso un chiaro riflesso del divino. Una connotazione religiosa in accezione panteistica promana da una grande opera orchestrale di quegli stessi anni modellata sugli alati versi di un poeta-profeta quale fu Walt Whitman ed espressa musicalmente in forme convenientemente ampie ed eloquenti. Stiamo parlando della Prima Sinfonia del britannico Ralph Vaughan-Williams denominata «A Sea Symphony» (1903-09), che non è propriamente una sinfonia in senso classico ma un grande poema, anzi un oratorio con solisti di canto e massa corale, il quale si offre come un unico grande inno di lode alla maestà del mare, spirito benigno e talora intimorente ma sempre meritevole del rispetto degli uomini. Il montaggio dei testi recuperati dall’opus magnum del patriarca americano mantiene tutta l’originale impronta dell’entusiastico stile predicatorio, del registro trionfalistico, dell’alone trascendentalistico da lui immessovi, e la musica che se ne affianca arricchisce le immagini pregnanti di vaghe armonie e accattivanti sonorità. Tutta la composizione si mantiene in un tono di solenne sublimità anglicana, consapevole dell’altezza del messaggio e della possibilità della musica di accrescerne i tratti salienti. Testi e contenuti vengono dal compositore adattati alla IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 logica strutturale della sinfonia in quattro movimenti, sì da farne una specie di racconto o di peripezia spirituale. Si ha così un iniziale momento di descrizione oggettiva di bianche vele in controluce e di menzione di uomini che a vario titolo operano nel mare sacrificando a volte la loro stessa vita, per passare poi a un’inquadratura notturna del mare visto dalla spiaggia sotto un cielo di stelle propizio a più alte considerazioni sull’infinito e sul destino dell’umanità. Non manca, al terzo posto, una divertita osservazione del capriccioso gioco delle correnti e del moto ondoso che prepara alla riflessione finale, solenne ed emotivamente elevata, sull’anelato viaggio dell’anima verso l’infinito, che contiene in sé anche una magnificazione del ruolo del poeta: After the seas are all cross’d, (as they seem already cross’d,) After the great captains and engineers have accomplish’d their work, After the noble inventors, after the scientists, the chemist, the geologist, ethnologist, Finally shall come the poet worthy that name, The true son of God shall come singing his songs.4 Seguìta a una lenta, graduale spogliazione di tutto, che vale come presa di coscienza e accettazione del proprio destino, ecco infine la fiduciosa partenza verso l’ultima meta: O my brave soul! O farther farther sail! O daring joy, but safe! are they not all the seas of God? O farther, farther, farther sail!5 4 - Dopo che i mari saranno stati tutti solcati (e pare che già lo siano), Dopo che i grandi capitani e ingegneri avranno compiuto l’opera loro, Dopo i nobili inventori, gli scienziati, i chimici, i geologi e gli etnologi, Verrà infine il poeta che è degno di questo nome, Il vero figlio di Dio verrà a cantare i suoi canti. 5 - Anima coraggiosa! Salpa, salpa più al largo! Audace gioia, eppure sicura! non son forse d’Iddio tutti i mari? Oh, più al largo, più al largo, ancor più al largo! [trad. it. di Enzo Giachino, ed. Einaudi, 1993]. 45 diego cescotti Questa composizione di Vaughan-Williams non costituisce di per sé un’eccezione nel panorama della musica britannica, in quanto gli Inglesi sono tra i popoli che per ovvie ragioni storiche e geografiche hanno intrattenuto rapporti tra più intensi con l’elemento marino. Di questa consuetudine privilegiata è esempio e conferma la figura di Benjamin Britten, musicista interamente novecentesco che nacque e visse affacciato alla costa orientale del Suffolk battuta da mareggiate impareggiabili, nutrendo le proprie giornate della carezza delle risacche, del rombo delle tempeste e del sapore di salsedine. Ebbe in dotazione una scrittura orchestrale dalle risorse smisurate e con queste seppe esprimere in musica alcune tra le pagine più esemplari in materia per verità di ambientazione ed efficacia di suggestione. Con la sua opera Peter Grimes, interamente intrisa di atmosfere marinaresche, si torna, in forma ancora più marcata, alla condizione identitaria tra il mare burrascoso e le tempeste interiori, e in più si afferma la funzione purificatrice del mare, secondo una simbologia ritualistica di antichissima origine. È appunto questo il destino del protagonista eponimo, personaggio ‘maledetto’ di stampo byroniano, che, bandito e braccato dalla comunità del villaggio, viene infine obbligato ad uscire al largo e lì lasciarsi affondare con la sua barca. Il mare, nella sua primigenia sapienza, saprà far giustizia di ogni colpa commessa, non gli uomini il cui giudizio è fallace. E poco importa se a noi spettatori quella fine sembra ingiusta e non poco ipocrita (ma la critica sociale era nei progetti dell’opera): l’efficacia del mare come fattore di equilibrio e di ristabilimento della pace rimane intatta. Quattro «interludi marini» intercalano altrettanti momenti del lavoro e costituiscono il più perfetto compendio orchestrale della marineria in musica, snodandosi tra un’alba idilliaca, una mattina serena di vento frizzante, una visione notturna cupa e desolata e una tempesta in piena regola, di proporzioni ed effettistica sonora raramente uguagliate per forza evocativa. 46 N on meno emblematico è l’altro testo britteniano di carattere marinaro, Billy Budd, che venne attinto dalla narrativa di un epico cantore del mare quale Herman Melville. L’originalità del lavoro, che vale anche come elemento di sfida, consiste nello svolgersi interamente a bordo di una nave da guerra, definendo in tal modo una sorta di non-luogo ostile e plumbeo, propizio allo scatenarsi dei conflitti tra esseri umani di cui resterà vittima il povero gabbiere di parrocchetto che dà il titolo al racconto. Come nel caso di Otello e di Jago, è ancora una volta il confronto tra bene e male ad essere messo in campo, ma il male qui, più ancora che in Shakespeare, ha caratteri talmente assoluti da non poter essere spiegato con mezzi razionali. Così nel microcosmo di umanità vessata che costituisce l’equipaggio belligerante, e che nei nostalgici shanties intonati al calar della sera trova l’unica provvisoria consolazione della giornata, si consuma la storia di un povero e buon ragazzo che subirà la condanna per impiccagione e troverà anch’egli negli abissi del mare la sua tomba e il suo riscatto, come ben s’incaricheranno di narrare le ballate propagate da generazioni di marinai. Ben altro mare ritroviamo nell’ultima opera dello stesso Britten: quello fermo, stagnante, malato di una Venezia decadente in preda al colera su cui scivola nera e ‘lugubre’ una gondola con tutto il suo sinistro carico simbolico. La storia è quella raccontata da Thomas Mann in Morte a Venezia, ed è proprio il degrado organico della natura acquatica ad essere preso ad emblema della parallela discesa di Aschenbach, professore tedesco dai rigidi principi, nei gorghi di una passione proibita, inseguita nell’intrico dei canali o negli appostamenti al Lido sotto l’impulso di una tardiva e fatale liberazione degli istinti. La conseguenza non potrà che essere la morte, e questa avviene in faccia al mare, con il fascinoso efebo polacco che compare per l’ultima volta come epifania di bellezza irraggiungibile. Priva affatto dei tratti realistici usati da Luchino Visconti nell’omonimo film prodotto in quegli stessi anni, l’opera di Britten sceglie di muoversi in una dimensione 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI suggestioni marine nella musica d’arte onirica, deformata, assumendo il punto di vista alterato del protagonista. Il mare non ha più alcuna connotazione vitalistica e salubre, non comunica più simboli di rigenerazione, ma partecipa anch’esso del disfacimento umano del borghese mitteleuropeo e con lui di tutto un mondo che si appresta al redde rationem della guerra imminente. M a il mare è un simbolo maschile o femminile? Nella comune percezione si tende generalmente a connetterlo con l’universo femminile, al pari di tutti i simboli che hanno a che fare con l’acqua. E tuttavia, esso deve uno dei suoi fascini più capziosi proprio all’ambiguità di genere che lo accompagna e che varia a seconda della lingua che lo esprime: maschile in italiano e in portoghese, femminile in francese e in tedesco, entrambe le cose in spagnolo. Questa particolarità della lingua ispanica viene giocata poeticamente da Rafael Alberti in un suo breve testo tratto dalla raccolta Marinero en tierra, a cui Luciano Berio nel 1952 ha dato voce nel brano cameristico El mar la mar: El mar. La mar. El mar. ¡Sólo la mar! ¿Por qué me trajiste, padre, a la ciudad? ¿Por qué me desenterraste del mar? En sueños, la marejada me tira del corazón. Se lo quisiera llevar. Padre, ¿por qué me trajiste acá?6 L’attaccamento al mare, la nostalgia o il rimorso di averlo lasciato, la voglia di ritornarvi sono sentimenti noti a tutte le narrazioni sull’argomento. S’è già visto 6 - *** / Perché, padre, mi hai portato / in città? / Perché mi hai dissotterrato / dal mare? / In sogno la mareggiata / mi trascina il cuore. / Se lo vorrebbe portar via. / Padre, perché mi hai portato / qui? IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 in Whitman come questa attrazione sveli anche una tensione verso l’annullamento finale. Una lunga divagante navigazione in acque remote, quasi ai confini del mondo, con scarsa o inesistente presenza umana, può acuire il senso di questo smarrimento esistenziale. Ed è in atmosfere simili che si muovono molte pagine del Moby Dick di Melville, uno dei testi di mare più esemplari della letteratura mondiale, che è insieme narrazione epica e trattazione scientifica, e dove la dimensione metafisica si fa più forte che altrove. A fare la cronaca delle peripezie disperate del «Pequod» e dei deliri maniacali del capitano Achab è, come noto, Ishmael, il narratore onnisciente che nasconde nel nome la condizione dell’esule, del senza casa. A lui si deve un appunto inserito in nota al capitolo 42, quasi un racconto nel racconto, che sebbene mantenuto su un tono volutamente oggettivo si offre a noi come una compiuta pagina di poesia. Letta nella famosa traduzione italiana di Cesare Pavese7, questa pagina ispirò a un compositore italiano del Novecento, Giorgio Federico Ghedini, un brano per trio e orchestra: il Concerto dell’Albatro (1945). La voce recitante che interviene in ultimo suggellando l’intera composizione e avvolgendola di un ineffabile clima sospeso, racconta dell’incontro mistico – quasi un muto dialogo – intercorso tra il navigante smarrito e un sublime esemplare di uccello marino che assume indubbie connotazioni ultraterrene. La pagina riposa in un registro ormai lontanissimo da ogni descrittivismo o lusinga impressionistica e si mantiene in una sorta di astrattezza fredda, bianca (il bianco è il colore dominante dell’intero capitolo, di cui partecipa lo stesso mare glaciale), ma ricca di tensione interiore nel rappresentare lo sgomento dell’uomo al cospetto di un fenomeno sublime che gli fa conoscere la propria nuda essenza. Le citazioni bibliche contribuiscono a definire l’ambito quasi religioso in cui avviene la scena accrescendone così il sottinteso metafisico: 7 - Herman Melville, Moby Dick, trad. it. di Cesare Pavese, Mondadori 1976 47 diego cescotti Ricordo il primo albatro che vidi. Fu durante un lungo colpo di vento in acque remote nei mari antartici. Ero salito sul ponte coperto di nubi e là vidi, gettato sulle boccaporte di maestro, un essere regale, pennuto, d’immacolata bianchezza e dal sublime e romano rostro adunco. A intervalli esso allargava le ali immense da arcangelo, come per abbracciare qualche arca santa. Stupefacenti palpitazioni e sussulti lo scuotevano. Quantunque incolume materialmente, esso cacciava strida come il fantasma di un re in preda a una soprannaturale disperazione. Attraverso i suoi inesprimibili, stranissimi occhi mi pareva di scorgere segreti che giungevano a Dio. Co- 48 me Abramo dinanzi agli angeli io m’inchinai: l’essere bianco era tanto bianco, le sue ali tanto immense, e in quelle acque del perpetuo esilio io avevo perduto le meschine memorie di tradizioni e di città, che ci distraggono. A lungo contemplai quel prodigio di penne. Alla fine il capitano ne fece un messaggero, legandogli attorno al collo uno scritto e poi lasciandolo fuggire. Ma io non ho nessun dubbio che il messaggio indirizzato all’uomo fosse portato in Cielo, quando l’uccello bianco volò a raggiungere i cherubini alati, invocanti, adoranti! ❧ Diego Cescotti 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI Conversazioni Bibliofile a cura di Giuseppe Maria Gottardi Quo innumerabiles libros et bybliothecas, quarum dominus vix tota indices perlegit? A che scopo libri innumerevoli e biblioteche delle quali il padrone a mala pena nell’intera sua vita legge per intero i cartellini dei titoli? Seneca, De tranquillitate animi 9,[4] O ltre a ciò, ti voglio pregare in gran maniera per la nostra amicizia, e per quella amorevolezza, che mi hai sempre mostrato, che duri anche fatica in questa cosa, la quale ti dirò. Dionisio, mio servo, il quale haveva in custodia una mia libreria di gran valore; trasfurati molti libri, sapendo che di questo, grave pena gliene dovea seguire, se n’è fuggito; e è nella tua provincia. Marco Bolano, mio famigliare, e molti altri l’hanno veduto in Narona, ma, dicendo egli, che (io) lo haveva fatto franco, gliel cedettero. Non posso dire, quanto mi sie a grado, se tu farai opera, ch’ei mi sia restituito. La cosa è di poca importanza, ma il dispiacere dell’animo mio è grande, Bolano t’insegnerà, dove egli è, e che si può fare. Io, se per opera tua il ricupererò, grandissimo beneficio havere da te ricevuto riputerò. Sta sano. [Epistola lxxvii a Publio Sulpicio Imperatore, Annus Romae 708, de Cicer. 62.] [traduzione di aldo manuzio, nell’edizione: Le Epistole Famigliari di Cicerone, appresso gli Heredi di Pietro Deuchino, in Venezia mdlxxxvii, pag. 645-646.] C ome forse tutti avranno già compreso, in questo numero della nostra rubrica sul tema della bibliomania, parleremo di un altro aspetto di questa forma patologica: il furto di libri. La letteratura italiana non dimentica certo il mondo del ladro o dei ladri. Esempi sono a disposizione nell’Inferno di Dante Alighieri, nel Decamerone di Giovanni Boccaccia, nella Gerusalemme liberata del Tasso. Tuttavia non ci sono grandi testi che parlino di questa comune usanza e nessun grande autore ha dedicato il suo talento per descrivere questo mondo. È un argomento che ha sempre interessato quasi tutti i lettori. Alzi la mano chi non ha mai pensato, almeno una volta nella sua vita, di appropriarsi di un libro altrui. Qualcuno ne ha scritto, quasi sempre in forma anonima perché: non sia mai che i nodi vengano al pettine. Internet, una vetrina privilegiata per pensieri liberi ed inattaccabili ce ne fornisce un’ampia scelta e tra i tanti ne abbiamo scelto uno che si presenta particolarmente dotato. È firmato Narcolella Spleen, nome che già nelle sue prime cinque lettere ben descrive l’autrice. Alla fine, abbiamo inserito anche un piccolo commento di un altro anonimo, un Giulio qualsiasi. Giuseppe Maria Gottardi Sulla bibliomania (quater) IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 49 conversazioni bibliofile ...Ieri pomeriggio, mentre mi recavo al lavoro, sono entrata in una libreria della catena Xyz. Ho curiosato un po’. Ho osservato copertine. Ho letto nomi di autori e titoli. Avevo intenzione di comprare il romanzo di Laura Pugno. Non c’era. Sullo scaffale dei libri ordinati per autore, cercando “Pu” ho trovato solo Pulsatilla. A quel punto ero ferma ad un bivio: 1) ordinare lì, subito, il libro di Laura Pugno oppure 2) recarmi, un altro giorno, presso la piccola libreria in cui lo avevo visto esposto in vetrina giorni prima. Ho scelto la seconda opzione. Ammetto che mi rende più felice far guadagnare una piccola libreria a conduzione familiare piuttosto che una grande catena commerciale. Presa la mia decisione, per curiosità, ho sfogliato il libro di Pulsatilla: “La ballata delle prugne secche”. Non avevo mai letto nulla di Pulsatilla. Sapevo che era una blogger che aveva pubblicato un libro. Ne ero venuta a conoscenza leggendo “Sono l’ultimo a scendere e altre storie credibili” di Giulio Mozzi. Di Pulsatilla e del suo libro non avevo altre informazioni. Ho dato un’occhiata alla quarta di copertina e l’ho trovata esageratamente euforica. In quel momento il mio sesto senso mi ha detto che dovevo assolutamente leggere quel libro perché mi avrebbe fornito diverse occasioni per esprimere il mio pensiero critico. In quello stesso momento il mio portafoglio mi ha detto che non aveva nessuna intenzione di sborsa50 re più di 3 Euro per quel libro che, nell’edizione più economica, ne costava 7,90. Che fare? A quel punto ero ferma al secondo bivio della giornata: 1) spendere Euro 7,90 per un libro che molto probabilmente, una volta letto, avrei rivenduto o utilizzato per accendere il fuoco nella stufa a legna oppure 2) trafugare furtivamente l’oggetto in questione. Ho scelto la seconda opzione. Come fare? Dove imboscare il libro? All’uscita della libreria c’erano le barriere antifurto. In qualsiasi posto io avessi nascosto il libro, quelle avrebbero fatto scattare l’allarme! Mentre mi spremevo le meningi, fissavo la quarta di copertina. Spremevo e fissavo. Fissavo e spremevo. All’improvviso il codice a barre s’illuminò! La soluzione stava davanti ai miei occhi. Dovevo rimuovere il codice a barre. “Senza codice a barre le barriere antifurto non faranno suonare l’allarme!”, pensai. Mi assicurai che nessuno mi stesse guardando e strappai via l’angolo della copertina su cui era stampato il codice. La canzone “Like a virgin” di Madonna, in audiodiffusione all’interno della libreria, coprì il rumore provocato dal mio atto vandalico. Nascosi il codice a barre tra le pagine di un libro di Tiziano Scarpa e infilai velocemente “La ballata delle prugne secche” dentro la borsa. Subito dopo uscii dalla libreria soddisfatta. Oggi ho iniziato a leggere il libro di Pulsatilla. Il mio sesto senso aveva ragione. Presto pubblicherò tutto ciò che il mio pensiero critico avrà partorito durante la lettura di quello che ricorderò sempre come “il primo libro che ho rubato”. Nota: poco fa ho cercato informazioni sul funzionamento delle barriere antifurto. Ho scoperto che i codici a barre non c’entrano nulla! Narcolella Spleen. Mah. Alla tua età, noi si rubava Kant, Hegel, Marx. Giulio. Per quanto possiamo commentare, speriamo che anche questi libri non siano finiti nella stufa a legna! Ma tornando ai ladri di libri, ahimè dobbiamo ammettere che il più famoso, il più astuto e devastante, per le biblioteche s’intende, è stato un italiano. Un personaggio unico, dal nome altisonante che tuttavia si conclude con “Libri”. La biografia di Guglielmo Brutus Icilius Timeleone Libri Carucci dalla Sommaja è materia per un romanzo: Libri (Libri Carucci), Guglielmo. - Nacque a Firenze il 2 genn. 1802 da Giorgio, conte di Bagnano, e da Rosa Del Rosso, entrambi appartenenti a famiglie dell’antica nobiltà toscana. Per quanto fosse di salute cagionevole e sebbene la sua infanzia fosse stata turbata dal difficile rapporto tra i genitori, il 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI conversazioni bibliofile Libri ebbe un’educazione eccellente e si iscrisse all’Università di Pisa all’età di 14 anni. Dopo aver intrapreso studi giuridici, si rivolse ben presto alle scienze naturali, addottorandosi nel giugno 1820. In quell’anno pubblicò il primo lavoro scientifico, Memoria sopra la teoria dei numeri (Firenze 1820), che lo fece conoscere in Italia e all’estero. Appena ventunenne, nel 1823, il Libri fu chiamato a insegnare fisica matematica all’Università di Pisa, ma nell’ottobre dell’anno successivo chiese e ottenne di essere sollevato dall’insegnamento, con conservazione del titolo e dello stipendio, per poter visitare i principali centri scientifici europei. Si recò allora a Parigi facendo tappa a Torino e a Ginevra, dove si trattenne per sei mesi e dove entrò in contatto con importanti personaggi della Chiesa e della politica, fra i quali F. Guizot [1787-1874], con cui iniziò una duratura amicizia. Tornato in Toscana nell’estate del 1825, nel giro di pochi anni pubblicò un buon numero di memorie matematiche e fisiche sceIL FURORE DEI LIBRI 2011/3 gliendo come lingua il francese allo scopo di dare maggiore diffusione ai suoi risultati. In questo periodo il Libri iniziò a interessarsi di storia della scienza allo scopo, soprattutto, di riportare alla luce scoperte e fatti scienti- fici del passato dimenticati o sconosciuti. Gli interessi storici lo indirizzarono in modo naturale alla ricerca di manoscritti e documenti d’archivio e alimentarono la sua grande passione per i libri. Al ritorno dal viaggio a Parigi l’Accademia dei Georgofili lo aveva nominato direttore della biblioteca, ma dopo poco più di un anno, nel dicembre 1826, il Libri rassegnò le dimissioni e si rifugiò in campagna per dedicarsi esclusivamente allo studio. Nei pochi mesi del suo mandato erano venuti a mancare parecchi volumi e, invitato a rendere conto di ciò, il Libri si giustificò in modo non troppo convincente; tuttavia l’Accademia preferì evitare lo scandalo e mise a tacere la vicenda. Nel giugno 1830 raggiunse Parigi, dove riallacciò le amicizie annodate durante il primo soggiorno e riprese gli studi matematici continuando anche a coltivare gli interessi storici. Il clima politico parigino era notevolmente mutato. Carlo X [1757-1836] aveva introdotto misure via via più reazionarie provocando un crescente e generale malcontento che culminò nella rivoluzione del luglio 1830. Il Libri vi partecipò attivamente con molti altri intellettuali, e nel gennaio 1831 fece ritorno in Toscana imbevuto di spirito rivoluzionario. Nel febbraio 1833 il Libri ottenne la cittadinanza francese e, nel marzo successivo, iniziò, co51 conversazioni bibliofile me supplente di S.-F. Lacroix [1765-1843], l’insegnamento al Collège de France, tenendo il corso di calcolo infinitesimale e anche lezioni sulla storia delle scienze. Nel 1843, alla morte di Lacroix, divenne titolare del corso e il suo insegnamento affrontò temi di geometria differenziale e di teoria dei numeri e delle funzioni ellittiche. L’interesse per la matematica pura poco a poco lasciò il posto alle ricerche sulla storia della scienza ed è soprattutto in questo settore che il Libri diede i contributi più rilevanti. Ritornò al suo primitivo progetto, e lo ampliò fino a comprendere lo studio della storia della scienza in tutta l’Italia fino al Seicento. La sua Histoire des sciences mathématiques en Italie, depuis la renaissance des lettres jusqu’à la fin du XVIIe siècle (Paris 1838-41) per quanto incompiuta - dei 6 volumi progettati solo 4 furono pubblicati - è un’opera classica nel settore. Nell’Histoire non solo si intrecciano la passione del bibliofilo e l’erudizione storica, ma si assiste anche allo sforzo di conciliare la tradizione erudita con una visione dello sviluppo storico delle scienze in Italia, dagli Etruschi e i Romani sino a Galilei, inquadrato 52 nella storia civile e politica. La grande passione di bibliofilo consentì al Libri di portare alla luce importanti raccolte di manoscritti. A Parigi il Libri aveva ormai acquisito una forte posizione accademica e sociale, ma si era anche procurato dei nemici sia per lo spirito polemico, sia per le posizioni politiche e il suo dichiarato anticlericalismo. Anche se la sua fama di matematico era un po’ offuscata, al contrario, la sua abilità a localizzare, leggere e datare i manoscritti e gli studi da lui pubblicati continuavano a essere apprezzati. Quando nell’estate del 1841 fu creata una speciale commissione con il compito di stendere un catalogo dei fondi manoscritti delle biblioteche e degli archivi francesi, il Libri ne fu nominato segretario. Il lavoro svolto da allora fino agli inizi del 1846, quando rassegnò le sue dimissioni, risulta dal primo volume del Catalogue général des manuscrits des bibliothèques publiques des départements (Paris 1849). Alla metà degli anni Quaranta la biblioteca del Libri contava oltre 1800 manoscritti e 40.000 volumi a stampa provenienti da aste, da acquisizioni di importanti fondi privati e, in parte, come fu provato in seguito, da appropriazione indebita. Dopo la prima denuncia anonima di furto, il Libri mise in vendita la sua preziosa collezione di manoscritti, che fu acquistata da lord B. Ashburnham [1797-1878]. Nuove denunce anonime indussero il procuratore del re ad avviare indagini, ma il dossier prodotto per la verità privo di prove consistenti - fu archiviato da Guizot. La situazione cambiò drastica2011/3 IL FURORE DEI LIBRI conversazioni bibliofile mente quando la rivoluzione del febbraio 1848, che portò alla proclamazione della seconda Repubblica, privò il Libri della protezione di Guizot. Il dossier fu pubblicato in Le National, il giornale di Arago, ministro del governo repubblicano provvisorio, e il Libri fu costretto a partire precipitosamente per l’Inghilterra, dove poteva contare sull’appoggio di amici quali A. Panizzi [1797-1879], conservatore al British Museum, e il matematico A. De Morgan [1806-1871]. Pur nella fretta, egli riuscì a portare con sé la parte più importante della sua biblioteca. I procedimenti legali contro il Libri furono istituiti ufficialmente nel marzo 1848 e fu creata un’apposita commissione di indagine. Nel maggio 1850 fu pubblicato l’Acte d’accusation nei suoi confronti, nonostante egli avesse scritto in sua difesa vari pamphlet in cui, presentandosi come un perseguitato politico, evidenziava gli errori contenuti nel dossier e sottolineava la totale mancanza di prove. In giugno fu aperto il processo che comminò al Libri in contumacia la condanna a dieci anni di reclusione. L’Acte era sicuramente meglio argomentato del dossier, ma dava adito a dub- IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 bi sulla regolarità dell’istruttoria. Comunque il Libri non poté evitare le conseguenze immediate della condanna e fu rimosso dai ruoli della Légion d’honneur, dell’Università, del Collège de France e dell’Académie des sciences. In quell’anno ottenne la cittadinanza britannica e sposò l’amica Mélanie Double Collins che lo aveva raggiunto a Londra e che generosamente lo sostenne fino alla sua morte. Grazie a Mélanie e all’aiuto incondizionato dei vecchi amici P. Mérimée [1803-1870] e Guizot, il Libri riuscì infatti alla fine del 1857 a rientrare in possesso delle sue carte e dei libri - circa 15.000 volumi - di origine non sospetta ancora conservati a Parigi. La petizione inviata al Senato imperiale con la richiesta di riabilitazione ebbe, invece, esito negativo. Nonostante il tempo e le energie dedicate alla sua difesa, durante gli anni londinesi il Libri continuò il commercio di libri, e per le dieci aste che tenne fra il 1849 e il 1865 preparò egli stesso i cataloghi, inaugurando un nuovo stile: la descrizione era arricchita con note storiche sull’autore e sullo stampatore, con dettagli sconosciuti e curiosità che fanno dei suoi repertori delle fonti utili per bibliofili, ma anche per storici. Il Libri morì a Fiesole il 28 settembre 1869 e fu sepolto a San Miniato. Le responsabilità penali del Libri furono provate in modo decisivo solo dopo la sua morte grazie al lavoro puntuale e alle ricerche minuziose di Léopold Delisle [1826-1910], amministratore generale della Bibliothèque nationale, che riuscì a ricostruire i furti e le falsificazioni e a riportare in Francia nel 1888 i manoscritti rubati negoziandone l’acquisto dall’erede di lord Ashburnham. Il resto della collezione Libri posseduta dagli Ashburnham era stato acquistato nel 1884 dallo Stato italiano e depositato a Firenze nella Biblioteca Medicea Laurenziana. Di tutta la lunga diatriba tra Guglielmo Libri e i suoi accusatori, della quale presentiamo solo le immagini dei testi, abbiamo scelto alcuni passi dell’Atto di Accusa che definirà il futuro del signor Libri . Il testo francese appare solo in traduzione: data la facile comprensione, abbiamo tralasciato di tradurre i titoli dei libri rubati).❧ Giuseppe Maria Gottardi 53 conversazioni bibliofile ATTO D’ACCUSA CONTRO LIBRI-CARRUCCI Il Procuratore Generale presso la Corte d’ Appello di Parigi attesta che, con decisione del 12 aprile 1850, la pubblica accusa di detta corte ha rinviato alla Corte d’Assise del Dipartimento della Senna, al fine di essere giudicato in conformità di legge, il nominato Guglielmo-Bruto-Timeleone Libri-Carrucci, nato a Firenze, di 46 anni, membro dell’Istituto, professore al Collegio di Francia, domiciliato a Parigi, assente; Dichiara il Procuratore Generale che dai documenti processuali risultano i fatti seguenti: Nel 1816, una denuncia anonima, redatta in presenza del prefetto di polizia, e una lettera firmata con lo pseudonimo di Henri de Baisne, furono trasmesse alla Procura Reale. Libri vi era denunciato per avere sottratto nelle biblioteche del sud, soprattutto a Carpentras, libri rari, manoscritti e autografi, per un valore da 3 a 400.000 franchi. Si precisava anche, che per evitare sospetti, Libri, dopo aver grattato via i timbri di questi libri o manoscritti, li aveva poi inviati in Italia per farli rilegare, rivestendoli all’italiana, e che poi li aveva venduti in Inghilterra. Un solo volume era stato comprato dal Museo di Londra a un prezzo di 6.000 fr. Il G.I.P., in una corrispondenza puramente informale con i suoi colleghi a Montpellier, Grenoble e Carpentras, chiese se fossero 54 state commessi furti nelle biblioteche di quelle città. Il nome di Libri non era stato fatto; nessuna imputazione era diretta contro di lui. Questo modo di indagare dipendente dalla tipologia delle accuse (anonime) ed anche dalla posizione di chi ne era in causa, rendevano le investigazioni difficili: nessun risultato fu ottenuto. Le indagini furono sospese. Vennero riattivate a seguito di una nuova denuncia inviata il 13 luglio 1847, al Procuratore generale presso la Corte di Parigi. Questa volta, le informazioni raccolte sembravano degne di attenzione. La biblioteca di Troyes aveva perso delle preziose opere. Non potevano essere state rimosse, così diceva il bibliotecario che “da uno di quei visitatori sfrontati, ostinati, la cui posizione sociale prevede una completa fiducia, e che giungono muniti, se non proprio di ordini, nondimeno di superiori raccomandazioni.” Ora, nell’elenco di queste persone vi era Libri, che aveva visitato due volte i manoscritti in modo molto speciale. Un Teocrito, nell’edizione aldina (Aldo Manuzio) del 1495, era scomparso dalla biblioteca di Carpentras, ed era stato ritrovato in una vendita fatta da parte dell’accusato nel mese di agosto del 1847. Questi fatti ed altri furono descritti in un rapporto che era stato messo a disposizione del Ministro della giusti- zia e trasmesso al presidente del consiglio, quando giunse la rivoluzione di Febbraio. [Nel corso degli anni la monarchia di Filippo d’Orleans, che aveva conquistato il potere nel 1830, aveva sempre più acuito il suo carattere antioperaio e antidemocratico; ciò era avvenuto malgrado la politica di compromesso (detta del “giusto mezzo”) attuata dal ministro Guizot, che finì per scontentare sia l’alta borghesia finanziaria, corrotta e sfrenatamente affarista, sia la media e piccola borghesia e, principalmente, i ceti operai. Questi ultimi vennero di fatto esclusi politicamente e costretti alla disoccupazione e alla fame; infatti la politica inflazionistica e corrotta dei gruppi al potere aveva provocato una profonda crisi economica che investiva la produzione industriale. L’opposizione delle masse piccolo borghesi e operaie si muoveva rivendicando una riforma elettorale a suffragio universale e non più ristretta ai possidenti e ai ricchi borghesi. La rivoluzione scoppiò il 22 febbraio 1848 proprio a seguito di un divieto, da parte delle forze dell’ordine, di una manifestazione per la riforma elettorale. Come nelle tradizioni della storia francese dalla grande rivoluzione in poi, in pochi giorni Parigi fu in mano al popolo; in testa all’insurrezione questa volta erano le forze repubbli- 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI conversazioni bibliofile cano - radicali e socialiste.] Il 28 febbraio, un redattore del National per la parte scientifica, il signor Terrien, che aveva letto il rapporto, vide entrare l’imputato all’Istituto il cui sguardo raggiante contrastava, dice egli, con l’atteggiamento calmo e riflessivo dei suoi colleghi. Gli consegnò un biglietto firmato da lui che diceva: “Signore, Voi ignorate senza dubbio la scoperta che è stata fatta sul rapporto giudiziario concernente la Vostra ispezione nelle biblioteche pubbliche. Credetemi, risparmiate alla nuova direzione delle risoluzioni che imbarazzano; non venite più all’Istituto.” Libri si ritirò immediatamente; quello stesso giorno scomparve dal suo domicilio. Il 20 marzo venne avviata un’istruzione giudiziaria contro di lui. Il 22, la polizia trovava il suo appartamento deserto; si vedevano solo alcuni grossi armadi; tutti erano aperti, contenenti qualche oggetto che era stato abbandonato. Nei focolari, si osservavano i rimasugli di una grande quantità di documenti bruciati. La biblioteca del Libri, composta da circa 30.000 volumi, era stata spostata in fretta e furia, e i suoi libri preziosi erano stati ammassati alla rinfusa in depositi IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 diversi; rue de Sèvres, n. 23, e Rue d’Enfer, n. 45 e 78 °. Diciotto casse di libri, assicurate per 25.000 franchi erano state dirottate su Le Havre. Una nave le avrebbe trasportate a Londra, quando un magistrato, in seguito a rogatoria, ne imponeva il sequestro. Il signor Crosnier, su indicazione di Libri, che lo impiegava alla classificazione dei suoi libri gli aveva consegnato una cassa, tre canestri e tre pacchetti contenenti autografi e un sacco di lettere. Gli era stato ordinato di bruciare tutte que- ste carte; ma egli mise, così racconta, gli autografi a parte, e si fermò anche dal distruggere le lettere, essendo venuto a conoscenza attraverso i giornali delle accuse addebitate all’imputato. Diversi libri sono stati trovati nelle mani dei suoi acquirenti e di varie persone che lavoravano per lui. La Giustizia fece sigillare i libri, i manoscritti, i documenti e tutti gli oggetti che avrebbero potuto essere utilizzati per scoprire finalmente la verità. Dal 27 marzo, delle vetture erano state inviate per riportare nella casa del Libri la sua biblioteca, i suoi autografi ed altri documenti. Per questa operazione, i sigilli sono stati regolarmente rimossi e rimessi. È su questi diversi oggetti che si sono indirizzate le indagini della giustizia; è qui che occorre trovare degli indizi e delle prove che si avrà ben presto l’opportunità di apprezzare. In questo nuovo procedimento, in cui l’inchiesta è attualmente in corso, se le manomissioni non erano più possibili, dall’altra parte, non era più permesso di basarsi su denunce anonime o documenti non controllati. Occorreva sottoporre tutte le imputazioni ad un severo controllo, esaminare i fatti freddamente, risalire attraverso un attento studio della corrispondenza e dei 55 conversazioni bibliofile documenti del Libri, alla fonte delle sue acquisizioni, trovare nei suoi libri, nel suoi autografi, segnali certi della loro origine, prove materiali di un trafugamento; occorreva superare molti ostacoli, eludere precauzioni artefatte, abili stratagemmi. Superando queste difficoltà e queste tenebre, il corso della giustizia doveva necessariamente essere più lento per essere più veritiero. Questo era lo scopo che si proponeva l’indagine. Si vedrà se lo si è raggiunto. Libri non si è presentato davanti al giudice dell’indagine preliminare, ma ha inviato la sua difesa. Questa difesa, a volte violenta, sempre intelligente, si perde nei dettagli dove la verità è troppo spesso distorta e mostra tutte le risorse di una mente arrende- vole quanto audace. C’è del preciso calcolo nella sua temerarietà. I suoi ricordi stampati contrastano con quello ch’egli ha prodotto davanti la Camera d’accusa: nei primi, a carico dei gravami delle indagini, i dettagli abbondano; nell’altro, quando occorre rispondere ai capi d’accusa, il suo riserbo è assoluto; nella incompletezza delle sue informazioni si sente non la baldanza di un uomo senza colpa, ma la paura di tradirsi per colpa della chiarezza e precisione. La difesa del suo onore doveva condurlo davanti alla giustizia, egli lo ha compreso. Così vuol diventare un emarginato, vittima della vendetta popolare. “I dittatori, ha detto, non hanno mai avuto una lunga vita; i tempi cambieranno. Allora, qua- §§ Premièrement, dans la bibliothèque Mazarine, à Paris, Les imprimés: §§ Pétrarque, gli Triomphi, 1475, Bologne, in-folio. §§ A. Cinthio, Origine delli volgari Proverbi, Venise, 1526, in-folio. §§ Homerus, de Bello trojano, Paris, 1498, in-4°. §§ Faccio degli Uberti, opera chiamato, ditta Mundi, Venise, 1501, in-4°. §§ Boccaccio, la Teseïde, Venise, 1528, in-4° (recueil). §§ Pulci, il Briadeo, in-4° (recueil.) §§ Cornazani, de Fide et vite Christi, 1472, in-4° (recueil). §§ Laurent de Médicis, Canzone a Ballo, Florence, 1568 in-4° (recueil). §§ Justus de Comitibus, la Bella Mano, Venise, 1474, in-4° (recueil). §§ Boiardo, Sonetti e Canzone, Reggio, 14», in-4° (recueil). §§ Boiardo, Timone, Scandiano, 1500, in-4° (recueil). §§ F. de Lodovici, l’Antheo gigante, Venise, 1524, in-4°. §§ Ariosto, Orlando Furioso, Milan, 1524, in-4°. §§ P. Bembo, Rime, 1535, Venise, in-4° §§ Galeomyomachia. §§ Æneas Silvius, Historia de duobus amantibus, in-4° (recueil). §§ Petrarque, Epistola de Historia Griseldis, in-4° (recueil). §§ Libro del Esforçado Cavallero Partenuples, Burgos, 1547, in-4° gothique. §§ Dante, Convivio, Florence, 1490, in-4°. §§ Phalaris Epistole, traducte del latino da Bartol. Fontio, 1471, in-4°. §§ Seneque Epistole, in-4°, Rome, 1475. §§ Pamphyli, poetæ lepidissimi, Epigrammatum libri quatuor. §§ Antonio di Tempo, de Rhythmis vulgaribus, Venise, 1509, in-8° gothique (recueil). §§ N. Rossi : Discorsi intorno alla tragedia, Vicence, 1589, in-8° (recueil). §§ N. Rossi : Discorsi intorno alla comedia, Vicence, 1589, in-8° (recueil). §§ Boccace : Dialogo d’amore, in-12°, Paris, 1624 (arraché d’un recueil). §§ Laurent de Médicis : Poesie vulgari, Venise, 1554, in-8°. §§ Angelo Politiano, Cose vulgari, Venise, 1538, in-8°. 56 lunque cosa accada, io andrò a Parigi.” Libri è sempre a Londra. La giustizia gli chiede conto di numerosi trafugamenti commessi nei depositi pubblici; essa mostra le sue prove; occorre rispondervi e non gridare alla persecuzione. Ora, dopo essere stati sottoposti ad un controllo il più attento, il più rigoroso, i capi d’imputazione a carico di Libri sono esattamente specificati. In conseguenza di ciò, GuglielmoBruto-Timeleone Libri, assente, è colpevole di avere, in tempi diversi, risalenti a meno di dieci anni, sottratto fraudolentemente, vari articoli contenuti in depositi pubblici, e consistenti in libri a stampa, manoscritti e autografi, e cioè: §§ Rinaldo appassionato, Venise, 1538, in-8°. §§ Tarchagnota, l’Adone, 1550, in-8° (arraché d’un recueil). §§ Strac. Campana, Lamento soprà el malo incognito, Venise, 1523, in-8° (arraché d’un recueil). §§ Clitia : L’infelice Amore..., Venise, 1553. §§ Ceno da Pistoia et Buonaccorso da Montegnano, Rome, 1559, in-8°. §§ Et 23 pièces suivantes, formant un volume sous le n° 21,960 de la bibliothèque Mazarine: §§ Ariosto Stanze tramudade por el dottor Partesanon, Venise, 1594, in-8°. §§ G. C. Croce, Vita, Gesti... dal gigante dello Sgarmigliato, in-8°. §§ G. P. Baglione, Lamento..., Pérouze, 1595, in-8°. §§ Li nomi et cognomi di tutte le provincie e Citta d’Europa, Sienne, in-8°. §§ V. Nicolai Opera nova molta bella dimandata, in-8°. §§ Ant. da Jose : La Speranza di poveri, Naples, in-8°. §§ Successo bellissimo d’amore d’un Giardiniera, 1594, in-8°. §§ Lamento e morte di Bened. Mangone, in-8°. §§ Vanto et Lamento della Cortigiana Ferrarese, in-8°. §§ G. Accolti lo grande ammazzamento de Papari, etc., Rome, 1595, in-8°. §§ P. di Fabritio, Opera nova sopra l’abbondanza, in-8°. §§ G. Accolti Allegrezza de poveri, Roma, 1593, in-8°. §§ Capitolio di Cuccagna, in-8°. §§ R. Cieco, Fioretto e scielta di Vilanelle, Perouze, in-8°. §§ Canzone et Barzelette ridiculose, in-8°. §§ G. C. Croce: Canzone di Maddona disdignosa, Bolo¬gne, 1594, in-8°. §§ J. Simon Martini: Arpaliceamorosa, Orvieto, 1594, in-8°. §§ G.-G. Brunetto: Opera nova di dui amanti, Naples, 1595, in-8°. §§ B. Bellini, Opera nuova, vaga e bella, in-12°. §§ Opera nella quale si contiene un bellissimo capitolo, in-8°. §§ Ravanello: La piacevole Astrologia. §§ Opera nuova dove si contiene due mattinale bellissime, Florence, in-8°. §§ Antonio di Palma, Opera nuova dove si contiene le astutie delle cortegiane. 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI conversazioni bibliofile §§ Opera quale contiene le diece tavole de proverbi, Turin, 1535, in-8° (recueil). §§ Operetta nella quale si contengono proverbi, in-8° (recueil). §§ Libretto copioso di bellissimi proverbi, in-8° (recueil). §§ L’Ariosto herbolato, in-8°, Venise, 1545. §§ L. Malclavelli Compendium, in-8°. §§ Deuxièmement, dans les bibliothèques et archives de l’institut,en autographes: §§ De nombreuses lettres faisant partie de la collection de Godefroy, notamment des lettres de Henri IV a Marguerite sa première femme, de l’avocat général Servin, du maréchal d’Ancre, du connétable de Luynes, de Balzac, d’Anne d’Autriche au chancelier Séguier, de M.lle de Montpensier au même, d’Arnaud d’Andilly, au même, de Christine de Suède è Mazarin, de Channt, ambassadeur en Suède; des lettres écrites aux Godefroy par Dupuy, Michel de Marillac, Ducange, Gobelin, Pellisson, Bergeron, le ministre de Lionne, Colbert, Mathieu Molé, de Harlay, Peiresc, les frères SainteMarthe, Camuzat, le maréchal Fabert, etc. §§ Des lettres adressées aux Valois et à Guichenon. §§ Une lettre de J. de la Scala à Scevole de Sainte Marthe. §§ De nombreux feuillets, écritures et dessins de Léonard de Vinci. §§ 48 rapports de l’Académie, écrits ou signés par Buffon, d’Anville, Vaucanson, Cassini, d’Alembert, Laplace, Condorcet, Legendre, Fourcroy, Silvestre de Sacy et autres. §§ Plusieurs lettres adressées à Bignon, Mairan et Lebeau, secrétaires de l’Académie, diverses notes et pièces, six lettres de ministres, adressées aux présidents ou directeurs de l’Académie des sciences de 1775 à 1799. Un procès-verbal des expériences de Lavoisier, déposé à l’Académie le 7 décembre 1773. §§ Cinq lettres autographes de Renaldini à Roberval, de Torricelli au P. Mersenne et de Borda. §§ Diveses autres lettres de Torricelli à Carcavi, à Roberval et au P. Mersenne. §§ Des manuscrits autographes du géomètre Frénicle. Troisièmement, dans la Bibliothèque nationale : En autographes: §§ Collection Baluze. §§ Des pièces et lettres faisant partie de cette collection, sa¬voir: lettres de la correspondance politique de M. de Marca, de Malherbe à de Bullion, un opuscule de Beroaldus, intitulé de Labyryntho; lettres de divers officiers à la reine de Na¬varre Jeanne d’Albret; lettre à la même par Catherine de Médicis; Remarques sur diverses pièces, au sujet du Règle¬ment du Roi sur les maisons religieuses (1667); lettres écrites au duc Bernard de SaxeWeymar, par Hugo Grotius, Bouthillier de Chavigny et Gaston d’Orléans; une lettre de Chrestienne de Croï, princesse de Salm, au même; plusieurs lettres de Servin à M. de Sabran; une lettre de Victor Amédée, duc de Savoie, au même; plusieurs lettres à Gaston d’Orléans par Marie de Médicis et par Anne d’Autriche; plusieurs lettres écrites à Baluze par Mabillon et autres sa¬vants; plusieurs lettres bibliographiques entre Colbert mi¬nistre, Colbert coadjuteur et Baluze. §§ Correspondance Boulliau. §§ Cinq lettres faisant partie de cette correspondance. §§ Collection Peiresc. §§ Plusieurs lettres faisant partie de la collection Peiresc; notamment une lettre de Saumaisc, deux lettres de Rigault, deux de Dupuy, une de Naudé, une de Chifflet, une de Diodati, deux de Duchesne et une de Godefroy. §§ Collection des frères Dupuy. §§ Divers documents et lettres faisant partie de cette collec¬tion; notam- ment cinq lettres de Casaubon au président de Thou; plusieurs lettres de Rubens à Dupuy; des lettres de Galilée, Barclay, Camden, Heinsius; des traités astronomiques de Gassendi, un alphabet cophte; deux lettres du président de Thou à Casaubon; quatre lettres de Saumaise au même; des manuscrits, des lettres de Peiresc à Dupuy, et autres papiers du même savant. Quatrièmement, dans la bibliothèque de Troyes : En imprimés: §§ Capitoli del P. Aretino, etc., Venise, 1540, in-8°. §§ Cancionero de Pomances, etc., in-4?, 1550. §§ l Pecorone di ser Giovanni Fiorentino, Milan, 1558, in-8°. §§ L’illustre e famosa historia di Lancillotto del Lago, etc., Venise, 1558, 2 vol. in-8°. §§ Homeri Ilias in versus vulgares translata, Venise, 1526, in-4°. §§ Canzoni overo mascherate carnascialesche, Florence, 1560, in-8°. §§ Historia dei due nobilissimi et valorosi fratelli…. Venise, 1612, in-8°. §§ Venturino Pisauro. Il Cavaliere, Milan, 1530, in-4°. §§ La Obsidione di Padua, in-4°, Venise, 1510 (recueil). §§ La Historia di tutte quante le guerre, etc., in-4° (recueil). §§ Libro de Palvano, Venise, 1508, in-4° (recueil). §§ Ludovicus Sfortunatus artibus studens, ou Rime di Ludovico Sfortunato, Venise, 1489, in-4° (recueil). §§ Matheolus, in-4°. §§ Recueil des histoires de Troyes, composé par vénérable homme Raoul Lefebvre. Cinquièmement, dans la bibliothèque de la ville de Grenoble: En imprimés: §§ Dictionnaire du patois du Bas-Limousin, Tulle, in-4°. §§ Ant. Cornazani opus... de proverbiorum origine, 1503, Milan, in-4°. §§ El sanguinolento et incendioso assedio del Gran Turcho, in-4°. §§ Stramboti... da Sasso modonese, Milan, 1551, in-4°. §§ Libro Chiamato Buovo d’Antona, Milan, in-4°. §§ Alcibiade Fanciullo a Scola, Orange, 1652, in-12°. §§ Opera Joconda; G. Alioni, 1521, in-8°. Sixièmement, dans la bibliothèque de la Faculté de médecine de Montpellier : En imprimés: §§ Catullus, Tibullus, Propertiu; Alde, Venise, 1515, in-8°. §§ C. Sallustii Conjuratio Catilinæ et Bellum Jugurthinum; Alde, Venise, 1519, in-8°. §§ Libro dell’arte della guerra, di Nicolo Machiavegli; Alde, Venise, 1540, in8°. En autographes: §§ Plusieurs lettres, un cahier entier de Christine de Suède, et une lettre de P. Arétin à Manuce. Septièmement, dans la bibliothèque de la ville de Carpentras : En manuscripts: Il Cortegiano di Castiglione, in-folio, con note del tempo e correzioni, in-folio. §§ Dante, Divina Commedia di Tommaseo Spinelli, in-16°, vélin, XV° siècle. En autographes: §§ De nombreuses pièces de Peiresc, notamment 295 feuillets des manuscrits de ce savant et diverses lettres écrites à de Mazaugues par Montfaucon, Spon et le P. Lelong. Crimes prévus par les art. 254 et 255 du Code pénal. Fait au parquet de la cour d’appel de Paris, le 2 mai 1850. Le procureur général, E. DE ROYER. La cour d’assises du département de la Seine a rendu, par contumace, le 22 juin 1850, l’arrêt dont la teneur suit : . . . . (omissis) Condamne Guillaume-Brutus-Timoléon Libri-Carrucci à dix ans de réclusion. IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 57 Libri di confine a cura di Peter Disertori O gni qualvolta osservo i ragazzini di oggi giocare, vengo colto da un vago senso di tristezza. Sembrano automi, ghermiti da aggeggi infernali, che emettono suoni e luci ancora più infernali, ai quali restano appiccicati per ore con aria spiritata. Quando poi sembrano scuotersi da questo torpore mentale e si mettono a giocare a quello che noi chiamavamo “alla guerra”, invece di soldatini, maneggiano mostri, robot e altre creature che non immaginavo potessero esistere nemmeno nell’inconscio delle menti più malate. Penso allora ai tempi della mia infanzia, poco meno di mezzo secolo fa, in cui piccoli cortili diventavano praterie sconfinate, qualche cespuglio spinoso giungle impenetrabili, i fossi, fiumi maestosi e cataste di cas- sette della frutta fortezze inespugnabili. I bastoni diventavano fucili, che si tramutavano all’occorrenza in scimitarre e spade, qualche drappo ricucito alla meno peggio dalla nonna un vessillo glorioso. E la fantasia galoppava, attraversava oceani e montagne, deserti e foreste tropicali, canyon e volte stellate, ci faceva esplorare caverne misteriose e castelli inaccessibili, profanare templi perduti e boschi incantati. Non c’era posto per la tecnologia, tutto era determinato dalla natura, dalle sue bellezze ed i suoi misteri e, in ogni gioco che iniziavamo, il nemico da battere era sempre l’assassino, il traditore, il malvagio, il bandito, il pusillanime. Un grande senso di giustizia, di eroismo senza macchia e paura, di abnegazione e di senso dell’onore caratterizzava gli eroi che nella nostra fantasia interpretavamo. Letture come i Ragazzi della via Paal, Cuore e altre del genere, ma soprattutto gli insegnamenti scolastici e faPeter Disertori Also sprach Winnetou 58 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI libri di confine miliari avevano certamente contribuito a condizionare in tal senso la nostra fantasia. Resto però dell’avviso che, nel mondo di lingua italiana, a plasmare definitivamente l’universo della nostra immaginazione fu certamente Emilio Sàlgari (che per me rimarrà sempre Sàlgari e non Salgàri come invece sarebbe corretto dire). I suoi personaggi infatti erano per definizione degli strenui difensori dei più deboli, non mancavano mai alla parola data ed erano sempre pronti anche all’estremo sacrificio pur di far trionfare la giustizia. Tra l’altro, se ci si pensa bene, Salgari è stato di una modernità sorprendente in quanto, in pieno periodo coloniale, si era sempre schierato con i popoli oppressi. Vorrei ricordare, a questo punto, di essere cresciuto a Bolzano, in una famiglia di forte impronta mitteleuropea in cui si parlava e si leggeva indifferentemente in italiano e tedesco. Noi ragazzi, parlo di mio fratello e di me, giocavamo, a seconda del caso, con coetanei di entrambi i gruppi linguistici. Allora non me ne rendevo conto, o meglio non ci pensavo e quindi per me era del tutto naturale, ma quando giocavo con i miei amici di IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 madrelingua tedesca, lo spirito eroico e giustizialista che alimentava le nostre fantasie era lo stesso degli italiani, variava semmai, e poi nemmeno tanto, lo sfondo scenico: le giungle diventavano praterie, i pirati malesi i pellerossa, cambiavano i nomi degli eroi ma i loro ideali ed il loro comportamento rimaneva lo stesso. Il fatto che, ancora in età liceale avessi dovuto lasciare Bolzano, mi aveva fatto quasi dimenticare che a casa a- vevamo anche i libri di Karl May, definito non a caso una sorta di Salgari germanico, e che, come tutti i ragazzini di lingua tedesca e quindi anche quelli bilingui come me, lo avevamo letto voracemente. Karl Friedrich May (1842-1912) è stato uno degli scrittori germanici più popolari, noto soprattutto per i suoi romanzi di ambiente western. I suoi eroi per antonomasia, per intenderci i suoi Sandokan e Yanez, erano il pellerossa Winnetou, capo della tribù degli Apaches Mescaleros, e il “bianco” Old Shatterhand, suo fratello di sangue, con i loro leggendari rifles. Vi sono parecchie foto che ritraggano May vestito da Old Shatterhand. Questo dimostra di quanto lo scrittore tedesco si fosse immedesimato nei suoi personaggi e con quale passione ne avesse descritto il carattere, esaltandone le virtù ed enfatizzandone l’aspetto eroico. E questo lo fa assomigliare in maniera impressionante a Salgari. 59 libri di confine Ma non è l’unica similarità: esattamente come quella dello scrittore veronese, la vita di Karl May fu in realtà poco avventurosa. Di salute cagionevole, ebbe anche guai con la giustizia e subì delle condanne per reati di poco conto, certo è che tutto ciò lo condizionò pesantemente. Questo spiega anche quanto la scrittura lo avesse aiutato ad evadere dalla poco gloriosa quotidianità e perché lo avesse portato spesso a confondere fantasia con realtà. Altra caratteristica in comune con Salgari è il fatto che pare non avesse mai viaggiato e quindi avesse supplito alla mancanza di conoscenza diretta dei luoghi descritti nei suoi libri con la sua creatività e immaginazione, aiutandosi con mappe, libri di viaggio e guide, e avvalendosi di studi linguistici e antropologici. L’ultima, e forse la più rilevante peculiarità che avvicina i due scrittori, è l’assoluta mancanza di razzismo, la grandezza di pensiero di porre l’uomo, con i suoi pregi e difetti, al di sopra del colore della pelle. Nei fitti dialoghi, di cui i racconti di Karl May sono intrisi, gli appellativi Roter Bruder (fratello rosso) e Weißer Bruder (fratello bianco) non si contano. Nella Bolzano degli Anni Sessanta, teatro di tensioni etniche e scossa di continuo da attentati e repressioni poliziesche, poter assaporare parole di fratellanza non era cosa da poco. Mi piace pensare che più di uno le abbia fatte sue e che poi, da adulto, le abbia applicate nella vita. Non ricordo solo con affetto le trame e la magia della narrazione di Karl May, ma anche la forma, il peso e il colore dei volumi: erano in formato tascabile anche se spesso superavano le seicento pagine, rilegati in similpelle color cuoio con un’illustrazione a colori sotto il titolo e con dettagliate mappe del selvaggio West nordamericano stampate all’interno delle copertine. La lettura poi, scorrevole e ricca di dialoghi, prendeva subito e spesso, grazie al loro formato, ci si portava dietro quei libri facili da imboscare, per leggerli nei posti e nei momenti più disparati. Di uno mi rammento in modo particolare: l’ho ritrovato per puro caso, pochi mesi fa, facendo ordine in libreria, si tratta di “Winnetou”, edito dal Karl-May-Verlag-Bamberg; è la saga per antonomasia dell’eroe pellerossa. 60 A poche pagine dalla fine del libro (per l’esattezza a pagina 583) una frase pronunciata da Winnetou sintetizza lo spirito di tutta l’opera. Il capo Apache, parlando in terza persona alla maniera indiana dice: «Winnetou sagte nur das eine Wort (Winnetou ha [detto] solo una parola)» Per me Karl May resta un grande, ha allietato generazioni di ragazzi che, grazie alla sua arte narrativa, hanno potuto fantasticare e indirettamente assimilare degli ideali che, ogni giorno di più, sembrano appartenere ad un altro mondo. Spesso le lingue costituiscono delle barriere, tolte le quali ci si accorge che gli uomini, le loro abitudini ed i loro sogni si assomigliano ovunque ed Emilio Salgari e Karl May ne sono un luminoso esempio.❧ Peter Disertori KARL MAY traduzioni italiane [elenco parziale] Nelle terre del profeta, Tip. Vecchi, Milano, 1934 Il tesoro del Lago d’Argento, traduzione di Angelo Treves, Sonzogno, Milano, 1939 La fattoria nel deserto: romanzo di avventure, Traduzione di F. Federici, V. Bompiani e C. , Milano,1955 Le avventure di Mano-di-Ferro, Traduzione di Rita Banti, A. Salani, Firenze,1956 I figli del sole, A. Salani, Firenze,1959 Mano-di-Ferro sul sentiero di guerra , A. Salani, Firenze, 1961 L’invincibile Mano-di-ferro, Traduzione di R. Banti, A. Salani, Firenze, 1962 Da Baghdad a Istanbul, Edizioni Paoline, Catania, 1972 Una battaglia nel deserto, Edizioni Paoline, Catania, 1973 Gli adoratori del diavolo, Traduzione di G. Cadeggianini, Edizioni Paoline, Catania, 1973 La grotta dei gioielli, Traduzione di Franco Manci, Edizioni Paoline, Catania, 1973 Il padre della sciabola,Traduzione di G. Cadeggianini, Edizioni Paoline, Catania, 1973 Li chiamavano il Trifoglio (Der Ölprinz vol. 1), Traduzione di C. Lindt, Edizioni Paoline, Catania, 1974 Il Principe del Petrolio (Der Ölprinz vol. 2), Traduzione di C. Lindt, Edizioni Paoline, Catania, 1974 Tre farabutti e un banchiere (Der Ölprinz vol. 3), Traduzione di C. Lindt, Edizioni Paoline, Catania, 1974 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI Musicobibliofilia Rubrica a cura di Diego Cescotti N el 1826, un anno prima che il termine Musikwissenschaft (Musicologia) fosse utilizzato per la prima volta da Johann Bernhard Logier1 nella storia di questa disciplina, veniva pubblicato uno dei più importanti dizionari di lessico musicale, che ancor oggi costituisce in Italia un testo di riferimento per lo studio dell’evoluzione terminologica in campo musicale. Opera di Peter (italianizzato in Pietro) Lichtenthal, medico e cultore della musica di origine ungherese, ma di formazione viennese,2 il Dizionario e bibliografia della musica3 offriva un’esposi1 - Il termine comparve nel titolo di un’opera di Johann Bernhard Logier, System der Musikwissenschaft und der praktischen Komposition mit Inbegriff dessen was gewöhnlich unter dem Ausdruck General-Bass verstehen wird, Berlin, 1827. Cfr. Bernarr Rainbow, Johann Bernhard Logier and the Chiroplast Controversy, in: The Musical Times, vol. 131, n° 1766 (Apr., 1990), p. 195. 2 - Pietro Lichtenthal (Pressburg [Bratislava], 10-V-1780 – Milano, 18-VIII-1853), cfr. la voce Lichtenthal, Peter in: DEUMM, Le biografie, vol. IV, Torino: UTET, p. 398. 3 - Pietro Lichtenthal, Dizionario e bibliografia della musica, 4 voll., Milano: Antonio Fontana, zione organica ed analitica di quelle discipline che, di lì a poco, sarebbero divenute oggetto d’indagine sistematica da parte della nascente scienza musicologica. In tal senso l’opera testimonia, anticipandone i tratti essenziali, quel diffondersi nelle discipline musicali di una coscienza ‘scientifica’, non soltanto tecnico-pratica o storico-estetica, che si affermò nella seconda metà dell’’800 prevalentemente in quegli ambienti, soprattutto tedeschi e francesi, influenzati dal positivismo. Personalità poliedrica, Lichtenthal fu scrittore e compositore prolifico4. Con l’incarico di censore del Regno Lombardo-Veneto, egli si era trasferito a Milano nel 1810, dove si era affermato in particolare come compositore di balletti, tutti rappresentati alla Scala. Amico della famiglia Mozart, si adoperò, anche attraverso l’organizzazione di concerti nella propria abitazione, per la diffusione delle composizioni del grande salisburghese e, più in generale, della scuola viennese. I suoi resoconti come corrispondente da Milano per l’Allgemeine Musikalische Zeitung di Lipsia rappresentano una testimonianza preziosa sulla vita musicale della Milano del primo Ottocento5. Tra i numerosi suoi scritti degna di nota è la traduzione in italiano di un trattato sugli effetti della musica sulle malattie6, che testimonia come l’autore affrontasse la materia musicale con lo stesso grado di scientificità riservato alla medicina. Nel suo Dizionario, infatti, Lichtenthal espone le tematiche, 1826 (II ed. 1836, copia anastatica dell’edizione del ’36, Bologna: Forni, 1970). 4 - Oltre al Dizionario, Lichtenthal produsse una serie di scritti dedicati alla figura di Mozart e all’estetica musicale. Particolarmente attivo come compositore di balletti, scrisse anche lavori per orchestra, pianoforte e per piccolo organico. V. Lichtenthal, Peter in: DEUMM, Le biografie, vol. IV, Torino: UTET, p. 398. 5 - Claudia Cesari, Peter Lichtenthal e la vita musicale milanese nella prima metà dell’Ottocento, in: Sergio Martinotti (a cura di), La musica a Milano, in Lombardia e oltre, vol. 2, Milano: Vita e pensiero, 2000, pp. 233-249. 6 - Pietro Lichtenthal, Trattato dell’influenza della musica sul corpo umano e del suo uso in certe malattie, Milano, 1811; cfr. Claudia Cesari, Peter Lichtenthal, 2000, p. 234. Una rarità musicale Irene Comisso IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 61 musicobibliofilia con il peculiare rigore trattatistico degli studiosi di area austro-tedesca, perseguendo quell’ideale di scientificità, tipico dell’ ’800, che prevedeva il ricorso a criteri e metodologie derivate da altre scienze, in particolare dalla filologia, dalla linguistica, dalla paleografia, dalle scienze naturali e psico-fisiche. Nella parte dedicata alla letteratura della musica (II volume), l’autore, citando il proprio dizionario, ne riassume le caratteristiche sostanziali; esso contiene “la spiegazione delle voci della Musica teoretica e pratica, de’ termini tecnici musicali antichi e moderni, la descrizione degli strumenti musicali, ed un ordine sistematico-cronologico delle Opere letterarie scritte sulla Musica dai tempi più remoti fino al giorno d’oggi, corredato d’annotazioni”7. Questo Dizionario, oltre ad avere un notevole pregio come documento storico e fonte primaria di consultazione, costituisce un importante strumento per lo studio della lessicografia musicale. Esso compare, infatti, tra le opere che gli studiosi di questo ramo della musicologia hanno indicato come opere 7 - Cfr. Letteratura generale della musica, vol. II, parte prima, cap. VII, sez. III, p. 319. 62 di riferimento per l’ elaborazione di un glossario storico-sistematico (quello che oggi si direbbe Lexikon) della terminologia musicale8. Nella Prefazione al primo volume l’autore, dopo aver elencato i dizio- nari sino a quel momento pubblicati a partire dal Terminorum musicae diffinitorium del Tinctoris9 (1474) sino al Dictionnaire de musique moderne di F. H . J. C a s t i l - B l a z e 1 0 (1821), spiega le ragioni che lo spinsero ad intraprendere tale sforzo compilativo. In quest’opera, afferma l’autore, “si espone enciclopedicamente tutto ciò che è relativo alla Musica propriamente detta (parte teoretica e pratica, sì antica che moderna, non esclusi i rami della fisica e matematica), alla parte istorica (generale, e de’ varj popoli in particolare), ed alla parte filosofica (antropologica ed estetica)”11. Intendendo la definizione di dizionario enciclopedico nell’ accezione moderna, quella in uso dal 1751 a partire dalla celebre opera di Diderot-d’Alembert Enciclopédie, ou Dictionnaire universel des arts et des sciences..., ovvero in un’accezione che 8 - Cfr. Fabio Rossi, Qualche problema di lessicografia e di lessicologia musicali, in: Fiamma Nicolodi/Paolo Trovato, Tra le note. Studi di lessicologia musicale, Fiesole: Edizioni Cadmo, 1996, pp. 1-21. Nel 1993 ha preso avvio un progetto (LESMU) di ricerca lessicografica, il cui obiettivo è la realizzazione di un vocabolario elettronico, una banca dati di schede lessicografiche ricavate da testi italiani e latini dal 1600 al 1960, articolata in generi e filoni eterogenei; cfr. Presentazione a cura di Nicolodi/Trovato al volume Tra le note, 1996, pp. VII-IX. 9 - Joannis Tinctoris, Terminorum musicae diffinitorium, Treviso, 1474; in considerazione dell’importanza e della brevità del volumetto, Lichtenthal riporta l’intero testo del Tinctoris, cfr. Letteratura generale della musica, vol. II, parte prima, cap. VII, sez. III, pp. 298-313. 10 - F.H.J. Castil-Blaze, Dictionnaire de musique moderne, Paris: au Magasin de musique de la lyre moderne, 1821 (A. Egron imprimeur), 2 voll.; per la parte relativa ai dizionari musicali cfr. Letteratura generale della musica. Parte prima, vol. I, cap. VII, sez. III, pp. 297-319. 11 - Pietro Lichtenthal, Dizionario, vol. 1, p. V. 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI musicobibliofilia esalta il connubio tra lessico e biografia, si può certo affermare che l’opera di Lichtenthal si colloca tra i lavori di maggiore valore sotto il profilo scientifico. Il Dizionario, concepito “enciclopedicamente” e, perciò volto a contemplare in maniera sistematica tutte le scienze legate alla musica, riunisce i caratteri dei lessici e dei dizionari biografici raccogliendo alfabeticamente e illustrando, con una trattazione più o meno ampia, termini tecnici, forme, espressioni e, nel contempo, trattando le vite e le opere di artisti, critici, letterati e via discorrendo. Da un punto di vista cronologico, esso si colloca nell’ampio quadro dei dizionari in lingua italiana, tra il Dizionario della musica sacra e profana di Pietro Gianelli (1801) e il Piccolo lessico del musicista di Amintore Galli12 (1891), colmando, così l’intervallo temporale tra queste due opere. Lo stesso Lichtenthal, nella dedica del suo Dizionario al Conte Cavaliere Carlo Cicogna, è consapevole del12 - Per uno studio puntuale sul Piccolo lessico di Galli in rapporto al Dizionario di Lichtenthal cfr. Letizia Putignano, Primi appunti sul «Piccolo lessico del musicista» di Amintore Galli, in: Fiamma Nicolodi/Paolo Trovato, Tra le note. Studi di lessicologia musicale, Fiesole: Edizioni Cadmo, 1996, pp. 105-128. IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 la lacunosità della situazione italiana in questo campo, prefiggendosi, quale scopo primario della propria opera, di “riempire un vacuo nell’italiana musicale letteratura”13. Fiore all’occhiello e pregio indi- scusso di questo dizionario risulta essere l’apparato bibliografico, approntato scrupolosamente, proprio per sopperire a quelle lacune riscontrate dall’autore in molti precedenti dizionari. E ancora: nella Prefazione al primo volume l’autore, quasi a voler suffragare sul piano scientifico il proprio lavoro (di storico), provvede ad elencare puntualmente le 13 - Pietro Lichtenthal, Dizionario, vol. 1, p. [III]. fonti dalle quali ha tratto maggior ispirazione, riservando a ciascuna un breve commento: il Lessico musicale di Koch (1802), la Storia della Musica di Forkel (1788, 1801), le gazzette musicali di Lipsia, Berlino e Vienna, l’Estetica di Krug e De l’Opéra en France (1820) di Castil-Blaze, il trattato sulla Musica degli Indù di Jones e opere di altri autori, che vengono menzionati soltanto per nome. Per quanto concerne invece la lingua utilizzata, Lichtenthal dichiara di aver preso come riferimento i dizionari della Crusca e dell’Alberti, discostandosene se non per pochi termini tecnici, nei casi in cui si trattava di «svolgere le più minute particolarità in materia di arti». Una breve descrizione della struttura e del contenuto del dizionario chiarirà meglio i termini e la portata del suo contributo. I quattro volumi che compongono l’opera sono ripartiti in due tomi intitolati: Dizionario di musica, che racchiude i volumi I e II, e Letteratura generale della musica, che comprende i volumi III e IV, denominati “parte prima” e “parte seconda”. 63 musicobibliofilia Volume primo Dizionario di musica vol. I [parte prima] Prefazione e Dizionario A–K vol. II [parte seconda] Dizionario L–Z e Esempi musicali I lemmi che formano il Dizionario sono distribuiti in ordine alfabetico e sono riconducibili alla terminologia propria della materia. In questo contesto non rientrano i nomi e le biografie, cui sono dedicati invece i capitoli del secondo volume. Volume secondo Letteratura generale della musica Parte I Letteratura della storia musicale antica e moderna Parte II Letteratura della teoria e della pratica della moderna musica La Letteratura generale ricomprende la parte bibliografica e biografica ed è organizzata per tematiche, elencate analiticamente all’inizio del secondo volume. Per ciascun argomento sono ordinati secondo il principio cronologico tutti quegli autori che hanno contribuito con i loro scritti ad approfondire lo studio della materia. Ogni tematica, secondo una classificazione gerarchica, è suddivisa in capitoli, sezioni e sottosezioni. L’elenco dei riferimenti bibliografici prevede la citazione dell’autore, alcuni cenni biografici e la bibliografia seguita da un breve commento sull’opera. 64 Riporto l’incipit dell’indice del secondo volume, come esempio di ripartizione della materia: L’articolazione del contenuto, nonché la presenza di particolari tematiche testimoniano una notevole varietà d’interessi da parte dell’autore, che va dalla musica etnica alle grandi tradizioni storiche del passato. Questo modus operandi è riconducibile a due atteggiamenti tipici dell’epoca: da una parte l’approccio scientifico, teso ad approfondire, quasi a scandagliare la materia trattata, dall’altra una visuale estremamente ampia, che si estende sino alle tradizioni extra-europee: dal- la Storia musicale degli Egizj, Etiopi e Chinesi alla Letteratura della Storia musicale presso gli Ebrei e alla musica degli Indù. Un esempio singolare, che denota il gusto e la curiosità per l’elemento esotico, è rappresentato dalla voce “Antropofagi” riportata nel Dizionario, dove, per un momento, fa capolino la schietta indole di corrispondente del Lichtenthal, piuttosto che – come oggi si direbbe – di musicologo. Il lemma, infatti, consiste nella semplice citazione di una cronaca dalle isole di S. Cristina, correlato ad un esempio musicale, la Canzone degli Antropofaghi. Volume II, parte I Letteratura della storia musicale antica e moderna 1. Origine, elogio, utilità, scopo ed effetto della musica I. Origine ed invenzione della Musica II. Bellezza ed Utilità della Musica III. Natura e Scopo della Musica IV. Effetti morali della Musica V. Effetti fisici della Musica 2. Letteratura della storia generale della musica 3. Storia di alcuni popoli in particolare 1. Storia musicale degli Egizi, Etiopi e Cinesi 2. Letteratura della storia musicale presso gli Ebrei I. Libri che trattano della musica ebraica per esteso II. Libri sopra singole parti della Musica ebraica III. Sugli accenti ebraici, considerati come note musicali IV. Sulla Musica del Tempio degli Ebrei in particolare V. Libri di contenuto vario 3. Della musica degli antichi Etruschi ...ecc. 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI musicobibliofilia Con quest’opera, l’autore mira a soddisfare diverse tipologie di lettore: dall’erudito, al critico al cultore della musica. Dovendo adattare il contenuto e il livello linguistico del testo alle diverse esigenze dei lettori, l’autore, confeziona inevitabilmente un prodotto ibrido, sia sotto il profilo dello stile che dell’impianto strutturale. Tuttavia, malgrado alcuni difetti, come, ad esempio, le ingenuità di certe argomentazioni o di certi lemmi, la commistione dei livelli di stile e di linguaggio, che trapassa dal discorso popolare a quello tecnico-specialistico, la mancanza di un approccio metodologico uniforme, questo dizionario rimane un testo essenziale per la storiografia musicale italiana. Tracciando la parabola evolutiva dei lemmi musicali nell’arco della storia e ricostruendo la storia-bibliografica delle principali tematiche musicali, Lichtenthal ha contribuito a gettare con quest’opera le basi per una storiografia musicale ante litteram.❧ Irene Comisso IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 65 Libro chiama libro a cura di David Cerri T ra le iniziative della Scuola Superiore dell’ Avvocatura1 una delle più recenti e di maggior successo è quella di “Progetto Libro”, un invito alla lettura per le Scuole Forensi, che preparano i neolaureati alla professione. “L’obiettivo è quello di fare delle scuole forensi dei centri di diffusione della cultura attraverso la lettura del libro, al fine di offrire ai giovani uno strumento di formazione come cittadini e come avvocati, ed ai meno giovani una occasione di approfondimento della conoscenza di realtà sociali e culturali di crescente complessità”2. Il profilo che crediamo possa interessare maggiormente i lettori de Il Furore è quello che è stato sviluppato in particolare da una Scuola – quella della Fondazione Alto Tirre1 - La Scuola Superiore dell’ Avvocatura è una Fondazione istituita dal Consiglio Nazionale Forense per le attività formative della categoria 2 - Come si legge nel sito della Scuola: www. scuolasuperioreavvocatura.it, al quale rimandiamo chi voglia approfondire i suggerimenti dati e confrontarsi con una realtà professionale culturalmente più ricca di quel che comunemente si possa credere . no, che riunisce gli Ordini degli avvocati di Pisa, Lucca, Livorno, Massa-Carrara e la Spezia – con la sottolineatura dell’importanza della letteratura anche nella preparazione del giurista; considerazione unita alla necessità di attirare i giovani alla lettura tout court ricordando che essa deve essere in primo luogo un piacere, e che la “metodologia” migliore è leggere direttamente, dai grandi classici ai contemporanei, purchè abbiano la capacità di coinvolgerci; poi… libro chiama libro… con unico criterio: la qualità. Chi scrive, con l’amico Giovanni Vaglio, direttore della Scuola forense della Fondazione Alto Tirreno, ha provato a redigere una serie di proposte di lettura, ad integrazione di quelle del Progetto Libro, individuando - nei due settori della “grande letteratura” e della storia del novecento - due temi, tra gli infiniti che si potevano scegliere: • la tragedia dei totalitarismi del novecento e della Shoah • la sensibilità tipica dei “gran- di russi” per l’uomo e la natura, che (oltre che nei classici come Tolstoj) si ritrova intatta in un contemporaneo russo che scrive in francese, come Andrei Makine, e in un modernissimo brasiliano, Guimarães Rosa, volutamente escludendo opere che avessero ad oggetto o comunque trattassero esplicitamente sotto qualche riguardo temi attinenti al diritto od ai giuristi (ma non, evidentemente, alla giustizia ed alla storia). Alla base vi sono, come è ovvio, preferenze e convinzioni personali. Provo a precisarne alcune. La prima è quella a favore della letteratura “alta”, se non ”altissima”, per le motivazioni icasticamente e sprezzantemente riassunte da Celine, come ci ricorda Roberto Saviano nel brano che segue: fare letteratura Una risposta credo risolutiva la diede l’autore del Viaggio al termine della notte e di Morte a credito. David Cerri Un progetto di nome libro 66 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI libro chiama libro Una giovane giornalista andò a trovare un ormai vecchio, isolato e sempre più accidioso Louis Ferdinand Céline. Andò a Meudon, a pochi chilometri da Parigi, dove lo scrittore si era rintanato con sua moglie e i suoi animali. La giornalista dopo le solite domande di circostanza trovò il coraggio e gli chiese, quasi come se stesse pretendendo che lo scrittore gli svelasse il segreto del suo mestiere: — Ma quanti modi ci sono di fare letteratura?”. Céline rispose, secco senza titubare: — Ci sono solo due modi di fare letteratura”. La giornalista così si aspettava lo scibile umano delle lettere divise in due correnti e Céline diede la sue sintesi insuperabile: — Fare letteratura o costruire spilli per inculare le mosche”.3 La seconda è la predilezione per la qualità della “scrittura”, per la cifra dello stile individuale. La terza è la considerazione della capacità di “commozione” della lettura; al di là delle ricadute auspicate in termini di qualità della scrittura e di abilità cognitive, la com-passione che i testi indicati dovrebbero suscitare nel lettore non dovrebbe rimanere estranea a chi esercita la professione che più di ogni altra – con l’eccezione forse di quella medica – ha come caratteristica essenziale quella del rapporto con gli altri. Chi non si commuove a leggere dell’ 3 - R. Saviano, Se lo scrittore morde, La Repubblica 3 maggio 2007. IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 ”urlo di lupo” di Rosa nello scialle di Magda4, o la descrizione di sapore cinematografico della rivelazione di Aleksej alla tastiera5, o lo svelamento di Diadorim6, potrà anche fare lo stesso l’avvocato: ma c’è da tremare all’idea di come lo farà. La quarta, e quella che più la avvicina al mondo professionale, concerne l’importanza in sé della letteratura per i giuristi, come dimostrata dal proliferare di corsi di studio e convegni, di associazioni, di siti e blog dedicati al tema dei contatti tra il mondo del diritto e quello delle humanities (concetto che va esteso quindi anche alla musica, all’architettura, alla pittura, al cinema, alle altre arti). Basti qualche nome per far comprendere quale interesse vi si raccolga, come quelli di Ronald Dworkin7, o di Richard A. Posner8 (seppur critico), od un altro a noi più vicino, quello già ricordato anche su il Furore, di Gustavo Zagrebelsky. Anche in Italia infatti non mancano né corsi universitari (due per tutti, quelli della facoltà di Giurisprudenza di Torino diretto da Pier Giuseppe Monateri, e quello di Roma Tre, che ha visto tra gli altri gli interventi – oltre che di Emanuele Conte che lo 4 - C.Ozick, Lo scialle, Milano, Feltrinelli, 2003. 5 - A.Makine, La musica di una vita , Torino, Einaudi, 2003. 6 - J.Guimarães Rosa, Grande Sertão, Milano, Feltrinelli, 1999. 7 - Di Dworkin si può godere su YouTube la lezione inaugurale del corso biennale Frederic R. and Molly S. Kellogg al Coolidge Auditorium della Libreria del Congresso (26.10.2009): Is There Truth in Interpretation? Law, Literature and History. 8 - R.A. Posner, Law and Literature (3a Ed), Harvard University Press, 2009. dirige – di Eligio Resta, di Vincenzo Zeno Zencovich, di Mario Aschieri) né associazioni (come l’ AIDEL – Associazione Italiana Diritto e Letteratura, e la SIDL - Società Italiana di Diritto e Letteratura9) alle cui attività partecipano giuristi come Francesco Galgano, Luigi Lombardi Vallauri, Eugenio Ripepe, Umberto Breccia, e che si caratterizzano, tra l’altro, per una forte interazione con analoghe esperienze europee. Riprendiamo le parole di un giurista statunitense che insegna nella Law School di Charlotte, (e che è anche avvocato), Will Terpening: “Essere il migliore avvocato possibile richiede di più che saper padroneggiare i testi di base e “ragionare come un “avvocato”, nel modo che consuetudinariamente viene insegnato nelle facoltà di giurisprudenza ed ai giovami avvocati. Essere un avvocato di alto livello richiede stile, passione, una forte “bussola etica”, creatività, abilità argomentative maggiori di quelle che possono essere tratte dal mero studio dei casi; un’abilità di scrittura “stellare”, compassione, ed ancor di più”.❧ David Cerri Ecco quindi di seguito i “consigli di lettura”, con brevi commenti per indirizzare il lettore, ed iniziando dalla “grande letteratura”. 9 - I rispettivi siti internet: www.aidel.it e www.lawandliterature.org . 67 libro chiama libro Charles Dickens (1812-1870), Casa Desolata, Einaudi. Pubblicato a dispense tra il 1852 e il 1853, “Casa Desolata” narra, sovrapponendo molte vicende, di una pluriennale causa fra i componenti della famiglia Jarndyce, che dura da molti anni e che ha portato alla rovina quasi tutti coloro che ne sono stati coinvolti. La descrizione della società londinese dell’ Ottocento è anche critica spietata del sistema dell’ “equity”. Considerato da Harold Bloom il “romanzo canonico” dell’Età democratica, Nabokov vi ha individuato l’intreccio da libro giallo ed il tema “Corte di Giustizia-nebbia-follia”. Vasilij Grossman (1905-1964), Vita e destino, Adelphi. Il grandioso affresco corale di Grossman, il più famoso reporter di guerra russo, bolscevico della prim’ora e progressivamente disilluso dallo stalinismo (ebbe a coglierne e provarne, anche per le sue ascendenze ebraiche, le affinità con il nazismo) ha in Guerra e pace un riferimento diretto. L’epopea della battaglia e dell’assedio di Stalingrado e la saga familiare dei Saposnikov vedono due totalitarismi in apparenza antagonisti, ma sostanzialmente speculari. L’opera ha rischiato di non veder mai la pubblicazione per l’irruzione del KGB che nel 1961 sequestra a Grossman il manoscritto, le brutte copie, la carta carbone, le carte veline, la mac- 68 china da scrivere ed anche i nastri. L’autore non ha visto in vita l’uscita del libro, che però riuscirà ad essere edito all’estero grazie alle copie custodite da amici fidati, ed apparire finalmente in Russia negli anni ’90. Josè Guimarães Rosa (19081967), Grande Sertão, Feltrinelli. Il “Joyce brasiliano”, diplomatico di carriera, scrisse nel 1956 uno dei capolavori assoluti del ‘900, ambientato nelle veredas, le valli di terreno argilloso che si aprono tra gli altipiani dei Campos Gerais in Brasile e che costituiscono oasi naturali ricche di vita animale e vegetale, tra le cui forme si distingue la pianta simbolica del buritì, palma che dà anche il nome ad un altro famoso racconto della raccolta Corpo di ballo. Lo stile straordinariamente ricco ed originale si unisce in quest’opera ad un’avvincente narrazione con tanto di struggente finale a sorpresa. Vladimir Nabokov (18991977), Lolita, Adelphi. Lo scrittore russo divenuto il maggior prosatore in lingua inglese del secolo scorso ebbe la sua notorietà principalmente per l’aria di scandalo che circondò il romanzo sin dall’uscita nel 1955. Il tema dell’amore senza limiti tra il maturo professore di letteratura francese e la ragazzina dodicenne (magistralmente rielaborato nel celebre film di Stanley Kubrick) sollecitò l’attenzione prurigi- nosa dei media, prima di esser riconosciuto come un’ opera perfetta nello stile, nella impareggiabile descrizione dell’America degli anni cinquanta, e di un sentimento così profondo e totalizzante da non tollerare aggettivi. Il dato maggiore del testo è peraltro la maestria stilistica che lo avvicina, come altre opere nabokoviane, alla poesia, e che si ritrova anche nelle short stories. Philiph Roth (1933, vivente), L’animale morente, Einaudi. Protagonista David Kepesh, del ciclo di romanzi “Professor desiderio”. Roth esplora l’avanzare della vecchiaia, tanto più potentemente perché a proposito di soggetto noto ai suoi lettori per una prorompente sessualità, e registra il declino di una simile personalità a confronto con la giovane cubana Consuelo, bellissima e sensuale, che dopo averlo trascinato alla gelosia, si rivela da un lato un fortissimo stimolo alla memoria del carismatico professore, e, dall’altro, lo disillude coinvolgendolo forzatamente nella propria tragedia personale. Roth anno dopo anno sforna opere sempre all’altezza della sua impareggiabile scrittura che illustra probabilmente meglio di qualsiasi trattato di sociologia la vita americana degli ultimi decenni. Albert Camus (1913-1960), Lo straniero, Bompiani. Pubblicato nel 1940, quest’opera 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI libro chiama libro narra la vicenda di un uomo che, nel suo rifiuto di mentire trova la sua condanna: la verità diventa incomprensibile in un mondo governato dall’assurdo. Nicola Chiaromonte dice di Camus: “trae le ragioni di non cedere alla facilità di una logica negatrice e distruttiva, trovando proprio nel riconoscimento di quell’assurdità prima e non eliminabile il senso della misura ragionevole e dell’umano”. Henrik Ibsen (1828 -1906), La donna del mare, Einaudi. Pubblicato nel 1888, questo dramma mette in luce la sospensione tra lo scorrere di una vita interiore e quello di una vita esteriore; due mondi paralleli, indipendenti che, allo stesso tempo, si incrociano nel tentativo di una comprensione reciproca. La storia di una donna che costruisce il proprio cammino verso la libertà. Leo Perutz (1882 - 1957), Dalle nove alle nove, Adelphi. Pubblicato nel 1918, la trama, che si dipana nell’arco di dodici ore nella Vienna dell’immaginario collettivo, segue l’avventura dello studente Demba oggetto di una caccia al colpevole dal risultato inaspettato. Definito romanzo fantastico, come del resto gran parte dell’opera di Perutz, non per la creazione di entità soprannaturali, ma per la capacità di sviluppare la contraddizione tra verosimile e reale, Dalle nove al- IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 le nove mette in luce tutta l’abilità dell’autore nel creare quell’atmosfera di sospensione, di esitazione, fino a “l’ultimo fotogramma [che] decide il montaggio di una vita”(Pasolini) Della storia del ‘900 abbiamo cercato i riscontri nella letteratura a proposito dei totalitarismi e della Shoah: Varlam Ŝalamov (1907-1982), “La resurrezione del larice”, (da I racconti di Kolyma), Einaudi. La Kolyma è la regione di paludi e di ghiacci dell’estremo nord siberiano, che ha ospitato i più temibili campi del gulag staliniano. L’esperienza personale di Ŝalamov, rimastovi prigioniero per lunghi anni, si condensa in una scrittura molto diversa da quella di Solzenicyn, nel registro oggettivo di uno studio antropologico di carcerieri e carcerati, nel quadro di una natura incombente e terribile. La liricità in Ŝalamov stranamente tanto più emerge quanto più il linguaggio sembra cronachistico; il contrasto è meno forte nel singolare apologo che costituisce questo racconto, dove un prigioniero invia alla vedova del poeta Mandel’štam, morto nel gulag, un rametto di larice; rametto secco, posto nel barattolo riempito con “la morta acqua dei rubinetti di Mosca”, sul quale però, miracolosamente, nel giro di pochi giorni appaiono i primi germogli. “Il larice respirava nell’appartamento moscovita per ricordare a ognuno il proprio dovere, perché nessun uomo dimenticasse i milioni di cadaveri, i milioni di persone che avevano perso la vita nella Kolyma…Aiutate gli altri a ricordare, togliersi dall’anima questo peso così gravoso: vedere tutto quanto, trovare il coraggio non di raccontare ma di ricordare”. Il larice immortale di Šalamov è lo stimolo alla memoria. Katherine Kressmann-Taylor (1903-1995), Destinatario sconosciuto, B.U.R. La Kressmann, scrittrice americana non professionista, pubblicò su una rivista nel 1938 questo epistolario tra Max e Martin, due amici fraterni e soci in affari negli Stati Uniti, l’uno ebreo e l’altro tedesco. Tornato il secondo in patria, lo scambio di lettere rivela la sua progressiva seduzione da parte del nazismo, al punto di rendersi indisponibile anche quando Max, disperato, gli raccomanda di vegliare sulla sorella Griselle, un’attrice che è stata amante di Martin e che va incontro da sola ad una tragica fine. La raffinata vendetta di Max è orchestrata come in un giallo fino al colpo di scena finale. Del breve romanzo è del tutto particolare lo scarno stile epistolare e il significato profetico (come ricordato, è scritto nel 1938, nella provincia americana). 69 libro chiama libro Cynthia Ozick (1928, vivente), Lo scialle, Feltrinelli. Le quasi insopportabili sette pagine della prima parte riescono forse a “dire l’indicibile” sulla Shoah. Racconti “tutti al femminile” – nel primo dei quali appunto la breve storia della piccola Magda e del suo scialle, nel quale la madre, Rosa, la nasconde fino all’inevitabile destino – sono il prologo alla ricerca e ritrovamento di quello scialle, che Rosa perseguirà nella sua nuova vita in Florida, nel dopoguerra. Andrei Makine (1957, vivente), La musica di una vita, Einaudi. Makine, nato in Russia e naturalizzato francese, ha seguito un processo simile a quello di Nabokov. Introiettando, per così dire, le atmosfere del paese natale (nel periodo post-staliniano) ha acquisito una tale maestria con la lingua d’adozione da meritare (con Il testamento francese) il Premio Goncourt, e poi anche il Médicis. Il racconto ricostruisce con la tecnica del flash back la storia moscovita del giovane musicista Aleksej Berg, che alla vigilia del suo primo importante concerto assiste nel 1941 all’arresto dei suoi familiari da parte della polizia segreta, cui riesce a sfuggire. Aleksej per salvarsi assume l’identità di un soldato morto Autista di un generale ne viene accolto in casa, per avergli salvato la vita; Stella, la figlia del militare, se ne sentirà attratta nonostante l’enorme 70 differenza “sociale” tra la nomenklatura di cui fa parte ed il giovane, e si cimenterà ad insegnargli (a lui !) la musica. Proprio la forza inarrestabile della musica tradirà Aleksej e lo trascinerà nel gulag. Peter Weiss (1916-1982), L’istruttoria, Einaudi. Weiss assistette nel 1965 ad un processo contro un gruppo di SS e di funzionari del Lager di Auschwitz, a Francoforte. L’ “oratorio in 11 canti” che ne è il frutto artistico usa letteralmente i verbali del processo, le deposizioni dei testimoni (anonimi) e le difese degli accusati (individuati invece nelle loro caratteristiche), in modo incalzante ed in un crescendo di orrore descrittivo che ricorda i gironi danteschi (e nel quale uno strumento importante è l’assenza di qualsiasi punteggiatura). Per la pubblica accusa la tesi difensiva dell’ “obbedienza agli ordini superiori” è insufficiente, perché chi eseguì il programma della soluzione finale lo fece perché “Al fronte/ avrebbero avuto la vita in pericolo/ Così rimasero/ dove avevano solo nemici inermi”. Dietrich Bonhoeffer (19061945), Chi resta saldo? (da “Dieci anni dopo”, in Resistenza e resa, San Paolo. Il teologo protestante impiccato dai nazisti a Flossemburg alla fine della guerra, poco prima dell’arresto fa un bilancio della propria vita e dei tempi allora correnti. L’alta riflessione del cristiano che non si è tappato gli occhi all’ascesa del Fuhrer si ferma sulla “mascherata del male” che ha sconvolto la Germania e il mondo e sul fallimento delle “persone ragionevoli”; e soprattutto sulla presunta giustificazione del “dovere”: “L’uomo del dovere alla fine dovrà compiere il proprio dovere anche nei confronti del diavolo”, facile profezia, col senno di poi. Art Spiegelmann (1948, vivente), Maus, Einaudi (graphic novel). Romanzo autobiografico a fumetti pubblicato tra il 1973 ed il 1991, meritando il Pulitzer, Maus narra la storia di Vladek, padre dello scrittore, ebreo polacco sopravvissuto alla Shoah, ed è composto da due parti: nella prima (Mio padre sanguina storia) si apprende del peggioramento della vita degli ebrei negli anni precedenti la guerra, e nella seconda - E qui sono cominciati i miei guai – si entra direttamente nella vita dei deportati nei lager. L’allegoria vede gli ebrei disegnati come topi, ed i nazisti come gatti; ma nel racconto c’è anche il rapporto tra padre e figlio, sempre con l’assenza di ogni espressione retorica come consentito da una grafica estremamente “oggettiva” contraria ad ogni emozione (ma capace di suscitarne di intense). David Cerri Giovanni Vaglio 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI Parlando di libri... a cura di Anna Maria Ercilli “I serbi di solito li lasciavano arrivare alla meta, poi al ritorno, quando la gente era sfinita dal viaggio e dal peso che portava, li aspettavano vicino alla linea di demarcazione: abbastanza vicino perché la sparatoria si sentisse nei villaggi circostanti, ma troppo lontano perché i soldati bosniaci delle postazioni più prossime potessero o si arrischiassero a correre in aiuto. Nella notte, sotto l’assordante fragore delle mitragliatrici, dei lanciagranate a mano e delle ‘vespe’, si potevano sentire anche le ultime urla dei disperati e degli affamati” 1 Questo brano è uno dei tanti passaggi descritti con cruda semplicità, di quanto accadde a pochi km. in linea d’aria dalle nostre pacifiche città. “L’appello più drammatico per fermare quel massacro fu pronunciato da Elie Wiesel, nel 1993. Durante la cerimonia dell’apertura del Museo dell’Olocausto a Washington, rivol1 - Emir Suljagić, Cartolina dalla fossa - Diario di Srebrenica, Beit casa editrice, Trieste, 2010, pag.45 se un accorato appello al presidente americano Bill Clinton: “Signor presidente, c’è una cosa su cui io non posso tacere. Sono stato nell’ex Jugoslavia e non riesco a dormire per quello che ho visto. Come ebreo, Le chiedo di fare qualcosa per fermare le uccisioni. Qualcosa deve essere fatto. Là ammazzano la gente, uccidono i bambini. Più di 60 capi di Stato erano presenti in quell’occasione. Neanche queste parole smossero le loro coscienze.”2 Era il mese di luglio 1995 quando i militari serbo bosniaci entrarono nella città assediata, classificata inutilmente “area protetta” dalle Nazioni Unite. I caschi blu olandesi dovevano proteggere i suoi abitanti, ma non fecero nulla per impedire il massacro della popolazione maschile della città. “Il maggiore olandese R.A. Franken firmò la dichiarazione attestante che l’evacuazione dei civili bosniaci era avvenuta nei termini della convenzione di Ginevra, seb- bene i serbi avessero sgozzato le prime vittime proprio davanti ai caschi blu.”3 Il diario della sopravvivenza di Srebrenica assediata, è uno stillicidio di sofferenze e fame, la morte raggiunse gli abitanti nelle file per procurarsi il cibo, nell’attesa di riempire un secchio d’acqua alla fontana, nel gioco dei bambini al campo della scuola. I mig serbi bombardarono la città per giorni, poi arrivarono le ‘zanzare’, i piccoli aerei da turismo armati di mitragliatrici e bombe. Si vedevano i volti dei piloti, quando gli aerei scendevano verso terra in cerca dei bersagli da colpire. Per sfamare la popolazione accerchiata dalle truppe di Mladić, le forze Onu iniziarono a lanciare i viveri dagli aerei. I pacchi cadevano nelle zone meno accessibili dove gli uomini li raccoglievano con fatica, innestando la caccia al prezioso bottino. “Per noi era l’unico modo di distin- 2 - ivi pag 12 3 - ivi pag 14 Cartolina dalla fossa IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 Anna Maria Ercilli 71 parlando di libri guerli e anche di misurare chi fra noi avesse fatto una caccia migliore e più ricca. I pacchetti americani in quel senso erano i meno valutati, perché non erano diversificati; quelli tedeschi o italiani erano sempre considerati un piccolo premio “per la fatica investita”, perché erano i più ricchi; quelli britannici non entravano neppure in lizza”.4 La guerra continua: “Nei due mesi seguenti i serbi si ripresero ogni palmo di terra, lentamente, ma stringendo sempre più forte il cappio intorno all’enclave. Ben presto partì anche la loro offensiva invernale...Sembrava che fosse giunta la fine. Avevo poco più di diciassette anni, stavo seduto in cantina e leggevo il Principe di Machiavelli; di tanto in tanto uscivo nel corridoio fino alla porta d’entrata per sbirciare fuori senza interesse”.5 I serbi entrarono in città l’undici luglio, i soldati olandesi non riu- scirono ad opporsi, deposero le armi, lasciando gli abitanti della città al loro destino. “Eravamo stati ingannati un’altra volta. Mentre guardavo impietrito i veicoli che entravano nell’abitato, chiesi a un ufficiale olandese che cosa stesse accadendo, più per la necessità che smentisse i miei timori che per avere una vera risposta. Sogghignando, mi rispose: ‘Ratko Mladić arriva per farvi evacuare’”.6 “La fine della storia. In tutta questa vicenda, rimane un solo aspetto positivo: il fatto che gli stermini della Bosnia sono e rimarranno gli stermini meglio documentati della seconda metà del xx secolo. Non è di alcuna consolazione per i sopravvissuti di Srebrenica, ma è pur sempre qualcosa. Questo libro costituisce un pezzo, non irrilevante, della documentazione.”7❧ 4 - ivi pag. 65 5 - ivi pag. 92 6 - ivi pag. 139 7 - ivi pag. 250 Anna Maria Ercilli Emir Suljagić Sopravvissuto al massacro di Srebrenica, dopo la guerra studia Scienze politiche a Sarajevo. Lavora come corrispondente per il settimanale “Dani” di Sarajevo. Tra il 2002 e 2004 segue le vicende del Tribunale internazionale penale dell’Aja per “Dani” e l’ Institute for War and Peace Reporting. Di alcuni libri che trattano della terra degli Slavi Bibliografia [parziale] dei Balcani fra Letteratura e Storia Almerigoti Francesco. – Dell’estensione dell’antico Illyrico ovvero della Dalmazia e della primitiva situazione de’ popoli Istri e Veneti, T. II. Venezia s. a. in-8° Ivo Andrić, Il ponte sulla Drina, Mondadori, 2001 An historical and geografical account of the ancient Ringdom of Hungary and Provinces adjoining to it viz : Croatia Slavonia, Transilvania, Molda¬via, Valachia, Servia and Bulgaria. London 1717. in-8 Fulvio Tomizza, Materada, Bompiani, 2000 Ankershofen Gottlieb Fr. Des Abtes Zaharias Gröblacher Annales Ozziacenses. Klagenfurt, s. a. in-8 72 Srebrenica … Come possiamo vivere il presente? Come possiamo non guardare al passato? Una sorella nostra c’è, non è fra noi, ma è viva! Una tomba si è fatta, qui a Sarajevo. Da un alloggio. Le finestre non apre, da lì guardare non osa, tanto meno uscire in strada! Quattro figli ha perso! Se per strada un ragazzo o una fanciulla incontrasse, e uno di loro per lei somigliasse a uno dei suoi - il cuore le scoppierebbe, in quattrocento pezzi! È questa la Pace? È così che finisce la Guerra? Abdulah Sidran Claudio Magris, Danubio, Garzanti Libri, 2006 Marco Dogo, Storie balcaniche, Popoli e stati nella transizione alla modernità, Goriziana, 1999 Edgar Hösch, T. Orlando, M. Zampetti e G. Perazzoli, Storia dei paesi balcanici. Dalle origini ai giorni nostri, Einaudi. Storia, 2005 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI Lo scaffale a cura di Italo Bonassi U na lingua, la Un omaggio doveroso al centocinquantesimo anniversa- che oggi possiamo scrinostra, che vi- rio del primo Parlamento italiano, con Camillo Benso vere qui, su questa rivide i suoi primi Conte di Cavour primo Presidente del Consiglio (Torino, sta, anche poesia e di poalbori come una specie 17 marzo 1861), penso sia quello di ricostruire la lunga esia discutere. La lingua di storpiatura e inquina- lenta e sofferta evoluzione della lingua che in tale fatidica ci accomuna assai di più mento del latino subito data venne proclamata la lingua nazionale del nuovo della religione, dei confidopo la caduta dell’ Im- Stato: la lingua italiana. Raccogliendo in una sintesi ni, della bandiera, o di pero Romano d’ Occi- commentata i frutti del lavoro di autorevoli ricercatori e che altro. Siamo italiani dente (470 d. C.), e che di divulgatori di successo si è voluto venire incontro ai non perché abitiamo in cominciò a imporsi co- lettori interessati e curiosi di conoscere le fonti della no- Italia, bensì perché parme lingua del popolino stra lingua e di offrire agli appassionati la possibilità di liamo l’ italiano, noi, di(il volgare) grazie al porinfrescare i ricordi e magari rinnovare scendenti dell’ ignoto che polo minuto dei contadistimoli e interessi. incise s’ una parete della ni, degli artigiani, dei Catacomba di Commominatori, degli operai, dei piccoli commercianti, e dai dilla (Roma, 850 d. C.): Non dicere ille secreta a bboce. preti di campagna, costretti a parlarlo per farsi intende- Un periodo importantissimo, diciamo pure decisivo, re dai loro fedeli, che il latino non lo conoscevano, per l’ affermazione e lo sviluppo della lingua protoitatroppo difficile per la loro scarsa cultura e anche perché liana, il volgare, progenitore del nostro attuale idioma, veniva insegnato nelle scuole, che non potevano per- è stato quello che va dal 1200 al 1300, praticamente il mettersi di frequentare. Una lingua, quella che oggi Medioevo. Periodo che corrisponde anche alla nascita parliamo, nata da una piuttosto rapida mutazione del e all’ evoluzione della poesia, nata quasi contemporavolgare, il protoitaliano che veniva parlato ancora pri- neamente alla nascita del volgare. Infatti i poeti, non i ma degli anni Mille, poi ufficializzato da Dante. È gra- prosatori, sono stati i primi ad esprimersi nella lingua zie a questa lingua, nobile nipote del latino (se si consi- parlata dal popolino, che si andava sempre più diversidera figlio il volgare), che oggi noi possiamo esprimer- ficando dal latino, ancora parlato dalle classi colte, dai ci e comprenderci, è grazie al Sao ke kelle terre del 960 nobili, dai notai, dagli uomini di legge e dai religiosi. d. C., e all’ alba pratalia araba dell’ inizio del 700 d. C., Chi non scriveva in poesia, usava il latino. Italo Bonassi Italiano: una storia da conoscere IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 73 lo scaffale Pur cadendo via via in disgrazia, il latino non si decompose scomparendo presto dalla scena. Anzi, tenne la scena ancora per svariati secoli, tanto da potersi giustamente fregiare del titolo di lingua nazionale (e anche internazionale, come oggi l’ inglese), mentre già l’ italiano nascente, il volgare, muoveva i suoi primi passi (e già stavano evolvendosi il francese, lo spagnolo e il germanico). In quanto dominante, il latino, da solo o mescolato alle lingue degli invasori (goti, longobardi, franchi, bizantini) confinava il neonato volgare a ruolo di dialetto, cioè di una lingua socialmente inferiore, subalterna. Ma questa particolarità fu la sua fortuna, perché poté, così semplice, umile e adattabile, attraversare indenne un travagliato periodo della nostra storia sociale. La nascita della lingua italiana (anche se sotto forma di volgare) si indica comunemente col “Placito Cassinese o di Capua” del Sao ke kelle terre (marzo 960 d. C.), la famosa “Carta di Capua”, un documento notarile. Ma straordinaria importanza hanno anche, tanto per citare solo le testimonianze più famose, l’ indovinello Boves se paraba, alba pratalia aràba della Biblioteca Capitolare di Verona (III secolo d. C.), la Postilla amiatina del 1087 (S. Salvatore di Monte Amiata), il Ritmo Laurenziano (Ascoli Piceno, 1157), il Ritmo su S. Alessio (XII secolo) e l’ Elegia giudeo-italiana (Le ienti de Sion), tra la fine del 1100 e l’ inizio del 1200, le 74 ultime tre di struttura poetica. Si può con ciò affermare che la lingua italiana ha, poco più o poco meno, mille anni. M a nei cinque secoli che vanno dalla caduta dell’ Impero Romano (datata nel 476 d. C.) fino a Sao ke kelle terre, quel qualcosa che diverrà italiano, quel dialetto ancora dipendente dal latino eppure così deciso a staccarsene, visse quasi in apnea. Poco o quasi nulla si sa di quel periodo, poiché erano secoli bui, pochi scrivevano e quei pochi, laici o religiosi, usavano il latino, non il dialetto. Mancando il materiale, possiamo solo intuire l’ evolversi del linguaggio. Ci fu una lenta ma ininterrotta violazione delle regole che costituivano la struttura del latino. Questo perché la lingua popolare tende ad essere semplice e anche perché allora non c’ era più nessuno che si dedicasse all’ insegnamento del latino classico. E anche se ci fosse stato, chi avrebbe dovuto istruire? Non che ci sia stato un solo unico buio pesto; per fortuna qualche documento permette di farci un certa idea di quale fosse la lingua, ancora bastarda, che si parlava e si scriveva nell’ Alto Medioevo (anche se chi sapeva scrivere, scriveva quasi assolutamente in latino, nel tardo-latino di allora) Abbiamo ad esempio il giuramento di Strasburgo del 14 febbraio 842, stipulato tra Carlo il Calvo e Ludo- vico il Germanico, figli di Ludovico il Pio, successore di Carlomagno, con il quale rafforzavano l’ alleanza contro il terzo dei fratelli, Lotario. Pro Deo amur et pro christian poblo et nostro commun salvament, d’ ist in avant, in quant Deus savir et podir me dunat, si salvarai eo cist meon fradre Karlo et in aiudha et in cadauna cosa, si cum om per dreit son fradra salvar dift, in o quid il mi altresì fazet et ab Ludher nul plaid nunquam prindrai, qui, meon vol, cist meon fradre Karle in damno sit.1 Non era sufficiente che Carlo si impegnasse di fronte a Dio e di fronte a lui. Dovendo farlo anche e soprattutto davanti al popolo, non giura in latino, ma nella lingua popolare francese, allora chiamata romana lingua: . Naturalmente anche Ludovico giurerà in lingua “povera”: In Godes minna ind in thes christianes Folches ind unser bedhero gehatnissi…, cioè il teodisco, l’ antico altotedesco. Ecco dunque qual’ era la situazione che precedette la nascita della nostra lingua nazionale: la lingua ufficiale, quella della burocrazia, degli affari, della chiesa e della politica era il latino. La lingua della “gente”, estranea al mondo della lingua lati1 - Per amor di Dio e per la salvezza del popolo cristiano e nostra comune, da questo giorno avanti, per quanta saggezza e potere Dio mi dà, sì, salverò questo mio fratello Carlo, tanto in aiuto come in ciascuna cosa, solo che egli faccia lo stesso con me. E con Lotario giammai stringerò alcun accordo che, coscientemente, sia in danno del mio fratello Carlo 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI lo scaffale na, era il dialetto che diverrà l’ italiano. Al principio un unico dialetto, omogeneizzato da quello che restava della struttura sociale e statale ereditata dall’ Impero Romano, poi, man mano che detta struttura si sgretolava dietro l’ incalzare delle invasioni barbariche, delle guerre, delle carestie e delle pestilenze, e man mano che le città si svuotavano e la popolazione si disperdeva in migliaia di centri piccoli, il dialetto si scisse in tanti dialetti che si differenziavano tra loro a seconda delle influenze linguistiche dei popoli aggressori o confinanti. Il lombardo e il siciliano, ad es., si svilupparono in modi diversi, pur sempre riconducili alla stessa matrice, il latino P er spiegare questa lenta evoluzione della nostra lingua, si risale a quella che è stata non la sua madre, il latino, ma la sua nonna, la lingua indoeuropea, parlata da un popolo seminomade, il Kurgàn, di cui si sa solo il nome e che viveva nelle regioni della Russia meridionale circa 4000 anni prima di Cristo, e che cinque secoli dopo invase l’ Europa. Era una lingua semplice, tanto che fu la madre della stragrande maggioranza delle lingue europee d’ oggigiorno. Una delle tante lingue figlie dell’ indoeuropeo fu dunque anche il latino, che si installò in un’ Italia dove si parlavano più lingue (il messapico, il siculo, il falisco, il venetico, l’ umbro, il sabino, l’ osco, il gallico, l’ etrusco, ecc.) E così queste lingue vennero a scontro col IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 latino che aveva cominciato a sopraffarle. Tanto per fare un esempio, per dire fuoco in latino si diceva ignis, in umbro pur (da cui la parola pirofilo, pirico, ecc.); per i latini acqua era aqua, per i sabini udor (pensiamo a: idrico, idrogeno), ecc. Fino al V secolo avanti Cristo queste lingue battagliarono tra di loro per imporsi; all’ inizio del III secolo a. C., Roma ebbe finalmente ragione di galli, siculi, etruschi, venetici, ecc., e il latino si impose sugli altri idiomi locali. Vinse, ma portò con sé diverse spoglie dei vinti: Roma e populus sono termini etruschi, bos, lingua, lupus, sono sabini, bracae (calzoni) e carrus sono gallici, pater e mater addirittura indoeuropei. I vecchi idiomi si fusero nel latino senza scomparire del tutto. Quel che sopravvisse del vecchio, divenne dialetto. L’ equivalente latino del Sao ke kelle terre è un’ iscrizione del lapis niger (la pietra nera) indicante il presunto luogo di sepoltura di Romolo, primo re di Roma: quoi…sakros esed…recei …kalatorem…iuoxmenta…iouvestod (più o meno: a chi…sarà sacrificato…al re…araldo… carri…giustamente ). Per altri il certificato di nascita del latino è invece un monile, la Fibula predestina (700 a. C.), dove si legge: Manios med fhefhaked Numasiol, ossia: mi fece Manio in onore del dio Numasio, ma alcuni pensano che sia un falso. Ma del latino non ce ne fu uno solo, così come non c’ è un solo italiano, quello colto (si pensi ad una dissertazione di Vittorio Sgarbi) e quello semplice, domestico, usuale, di un pastore del Supramonte. E dalla forma parlata (volgare) del latino, “inquinato” dalle parlate popolari locali, si svilupperanno le lingue romanze: oltre all’ italiano, il francese, lo spagnolo, il portoghese, il romeno (e il sardo, il ladino, l’ occitano e il catalano). Da qui s’ intuisce come mai il latino abbia generato in Italia l’ Italiano, in Francia il Francese, in Spagna lo Spagnolo, in Romania il Romeno, lingue distinte fra di loro. E anche il latino lentamente si trasformò (basti pensare a quello aulico, retorico, di Cicerone e a quello, più vicino a noi, di Catullo). Il politico, il filosofo, lo scrittore, dicevano: os, equus, pulcher (bocca, cavallo, bello), il popolano usava termini quasi uguali ai nostri: bucca, caballus, bellus. Così si ebbe un progressivo “imbarbarimento” del latino, soprattutto tra il IV e il V secolo dopo Cristo, nella piena crisi dell’ Impero: un notevole deterioramento della lingua parlata e scritta da milioni di sudditi, che fu costante e sempre più evidente, coinvolgendo pure tutto il sistema nervoso della lingua che a poco a poco si faceva scabra e si liberava da certe imposizioni grammaticali e sintattiche e di una grande quantità di vocaboli di difficile pronuncia oppure troppo dotti. Un’ opera di semplificazione scelta dal popolino e non dettata da grammatica e sintassi, che portò all’ introduzione degli articoli (il, lo, la, ecc.), 75 lo scaffale prima assenti, e ad eliminare del tutto i dittonghi, così frequenti nel latino (la ae e la oe divennero semplicemente “e”) e le finali in t (amabat trasformato in amaba) m, s (rosam e rosas diventate semplicemente rosa). Altrettanto accadde ai monosillabi: fax divenne facula (fiaccola), os, come già detto, bucca (che originariamente significava guancia), tot divenne tanti (ancor oggi si dice: un tot da pagare), la guancia non si chiamò più bucca ma gabata (già ciotola), che in italiano diventò gota. Vir (uomo, maschio, sopravvissuto ancor oggi nelle forme di virile, virago, ecc.) lasciò il posto a homo. A tal proposito si racconta che nel 585 la Chiesa, riunitasi a Maicon per dibattere sull’ anima, sancì che “solo l’ homo ha l’ anima”. Ma in latino homo non è vir, ma ha un senso lato (così come intendiamo noi, quando diciamo che l’ uomo vive sulla terra da milioni di anni). Da qui il malinteso, poiché il protofrancese non aveva e non avrà più un termine per distinguere il sesso maschile da quello femminile (come ce l’ ha il tedesco, che ha il Mann e la Frau), cosicché alla parola homo venne dato (così si racconta) il significato di vir. Per altri termini latini, c’ era in queste nuove generazioni dei nostri antenati, la difficoltà ad es. di articolare la tr, tanto che parole come matrem e patrem, oltre a perdere la m finale e diventare matre e patre, per evitare quel tr in mezzo, cambiarono in seguito definitivamente in madre e padre. Fratrem (fratello), invece, 76 pur’ esso con una tr in mezzo, non divenne fradre, ma, per via di tutte quelle erre, mutò in frate. Una fine naturale ebbe la pronuncia della dm (come in admittere, che divenne amittere, quinque si mutò in cinque, la domina in domna e quindi in donna, e così via. Tramontato l’ Impero, sparirono anche le parole dalla struttura fragile, sostituite da termini più robusti. La bisaccia, il sacco, era chiamato pera. Ma bisaccium, bis saccium, era una doppia sacca divisa in due (una cadeva dietro la schiena e l’ altra poggiava sul petto). E la pera finì col mutare nome e chiamarsi saccum. Sparì come già detto la parola os (diventando bucca), perché os significava anche osso, che si trasformò in ossum. Per dire mangiare, si diceva edere (persiste ancora nel termine edule, mangereccio: funghi eduli), che si mutò in manducare (termine che proviene da Manducus, un personaggio di una commedia popolare); a capus si affiancò testa (come detto in altra occasione, la testa era un vaso di coccio (e si dice cocciuto per intendere testardo); la parola desiderare significava fare la conta dei morti dopo una battaglia (i desiderati erano gli scomparsi), e cambiò significato; la stella era sidus, sideris, da cui il termine desiderare; scrutare le stelle (si soleva aspettare l’ alba prima di fare la conta definitiva dei morti). Contemporaneamente entrarono nell’ uso comune termini stranieri: guerra (dal germanico werra) al posto di bellum, facenda (dallo spagno- lo hacienda, cosa da fare), congedus (dal francese congiet) al posto di commeatum, e così via. Quando Costantino legalizzò, con l’ Editto di Milano, nel 313 d. C., il cristianesimo, il latino venne sommerso da nuovi grecismi, come monaco, prete, chierico, vescovo, battesimo, parola (che viene da parabola), eremita, bestemmia. Dove già esisteva un termine, quello nuovo lo sopraffà: testis diventa martyr, e altre parole assunsero nuovi significati: fides, humilitas, saeculum presero ad indicare “vita mondana”, “vita laica” in contrapposizione a quella religiosa. Captivus (prigioniero) finì per significare “cattivo” (perché i preti si scagliavano contro il peccatore, prigioniero del diavolo (captivus diaboli) e con massa (pasta per fare il pane o impasto d’ argilla) si denominò una certa quantità di gente (per via della metafora di Dio che trae dalla massa le anime buone). C ome anzi detto, ben altro scossone ricevette quel che restava del latino quando Odoacre mise fine all’ Impero d’ Occidente (470 d. C.). Ci furono anni terribili, nella nostra penisola s’ installarono nuclei di Stati germanici di fatto indipendenti e l’ Italia venne devastata da sempre più massicce invasioni barbariche. La stessa Roma fu messa a sacco prima dai Visigoti e poi dai Vandali. Un secolo più tardi, la lunga e sanguinosa guerra goticobizantina ridusse in pezzi quello che restava dell’ Italia (si pensi che la tre2011/3 IL FURORE DEI LIBRI lo scaffale gua del 680 segnò confini che solamente 1200 anni dopo, col Risorgimento, verranno rimossi!). Ciò favorì il dilagare dei Longobardi di Alboino che instaurarono un Regno durato fino al 773, quando Carlomagno, dopo averli sconfitti, si proclamò re d’ Italia, di loro e di quant’ altro. Fu dunque un periodo buio, tanto che si finì col perdere l’ uso della scrittura, non essendoci niente che valesse una trascrizione, una memoria. Solo fatti di guerra, di stermini, di sangue. Orde di stranieri sù e giù per l’ Italia, stragi, razzie. La gente finì con l’ isolarsi, a vivere in piccole comunità, in villaggi fortificati abbarbicati su alture inespugnabili. E fu il tramonto delle città, importantissimi centri di scambio e diffusione anche linguistica. Non comunicando che tra di loro, le popolazioni autoctone utilizzarono la propria lingua fino all’ estremo: scomparve la parola domus, sostituita da casa (che indicava la capanna, il ricovero di campagna; ancor oggi in alta Val Badia, isola ladina in Alto Adige, la ciasa, ossia la casa, è la stalla, mentre la casa è la mason), la machina (macina del mulino), unico congegno tecnologico disponibile, assunse il significato universale di congegno, strumento, l’ hortus (originariamente orto, ma anche giardino), visto che nessuno IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 poteva darsi al giardinaggio, finì con l’ indicare solo l’ orto. Erano tempi davvero duri, e la lingua, oramai quasi solo parlata, divenne una mescolanza di termini rozzi e raffinati, con classicismi e barbarismi fusi insieme, povera lessicalmente da parere quasi infantile. Sintomatico quanto si racconta dell’ arcivescovo Grazioso, che, avendo Carlomagno ospite a pranzo, lo invi- tò a servirsi del cibo dicendogli: Pappa, domine mi Rex, pappa (Mangia, signore mio re, mangia). Gli italiani intanto stavano costruendosi, come detto, una loro lingua, non imposta dall’ alto, e che aveva come unico scopo quello di poter comunicare con gli altri. Non si curavano di eleganza né di purezza d’ espressione, badavano al sodo e vano fu il tentativo di un rinnovamento culturale sotto Carlomagno, denominato Schola palatina. La Chiesa invece si andava muovendo in direzione opposta, tanto che nell’ 813 (Concilio di Tours), finì col permettere nella liturgia l’ uso della parlata popolare, questo latino inquinato sempre più dal volgare). Centinaia di parole vennero perdute, altre furono adottate dai soldati di ventura e dai momentanei invasori, che le esportarono nel loro Paese d’ origine, e dove ebbero fortuna. Scomparvero, come già detto, regole grammaticali e sintattiche, scomparve anche il genere neutro. Ma è da questo pentolone zeppo di scarti che uscirà la nuova lingua, inizialmente ancora informe, il volgare, che, crescendo e raffinandosi, diventerà l’ italiano. Che fine avrebbe fatto l’ italiano se si fosse mantenuto fedele al latino? Sarebbe diventato un latino nuovo, più moderno, ma sempre latino. Grazie invece ai Goti, ai Longobardi, ai Franchi e ai Bizantini che dominarono nel nostro Paese, al loro contributo linguistico, non è diventato un dialetto del latino ma ha cominciato a diventare una lingua nuova, autonoma. Parlo dell’ italiano parlato, poiché a lungo si continuò a scrivere in latino. S olo verso il Mille gli imprestiti dalla lingua parlata passeranno in quella scritta. Dai Goti (che si trattennero in Italia 77 lo scaffale solo una ventina d’ anni) provengono parole come elmo, guardia, schietto, arengo, albergo (da hari esercito e berg riparo), arredare, recare, fiasco, astio, briglia, stanga, smaltire, Goito, Rovigo (Rotheigs: vittorioso), ecc. Dai Longobardi (che vi rimasero due secoli) abbiamo parole come bianco, bruno, scaffale, scranno, stamberga, staffa, sguattero, palla, trappola, greppia, milza, scherzare, russare, spaccare, duca, ricco, perfino stronzo, e tante tante altre ancora. Poi nomi di località: Marengo, Pozzolengo, Martinengo e nomi propri, come Anselmo, Baldovino, Bernardo, Federico, Umberto, Guido, Guglielmo. Dai Franchi abbiamo feudo, barone, marca, marchese, guanto, tregua, guadagnare. Dai Bizantini, infine, molo, sartie, galea, ormeggio, androne, mastello, argano, lastrico, bambagia, gondola e località come Capitanata, Basilicata, ecc. Ma ritorniamo alla caduta dell’ Impero Romano d’ Occidente, avvenimento importantissimo che gettò le basi per un lento ma costante sgretolamento del latino. La grandezza di Roma era in declino, travolta dalla storia. Fino ad allora si parlava e si scriveva in latino in quasi tutte le regioni conquistate, 78 non certo quello di Cicerone ma assai più semplice e colloquiale. Una varietà insomma di latino popolare con differenze sostanziali di struttura e di stile, definita “lingua degli abitanti delle province” (sermo provincialis), “gergo militaresco” (sermo militaris) “lingua di persone incolte” (sermo vulgaris : da qui, il nome dell’ italiano primitivo, il volgare), ed anche “lingua da illetterati” (sermo rusticus). Questa sorta di lingua popolare era ad esempio ricca di diminutivi e vezzeggiativi (auricula invece di auris, filiolus anziché filius , fraterculus – oggi: fratello – e non frater), e oltre a ciò si tendeva a semplificare, con l’ uso di metafore, come nel caso di testa, che si sostituì a caput (perché la testa ha la forma di un vaso di coccio, che chiamavano appunto testa), o nel caso di equus (cavallo), parola ambigua, perché la si poteva scambiare con aequus (equo), e così si passò al caballus (comune in tutte le lingue neolatine : il francese cheval, lo spagnolo caballo, il portoghese cavalo, il romeno car). E fu questo latino volgare chiamato sermo vulgaris o sermo provincialis il padre delle lingue romanze. La lingua dei vinti e dei vincitori si stava mescolando insomma in un continuo interscambio di lessico e pronunce, come risulta dalle testi- monianze che ci restano dalla fine dell’ Impero Romano alla famosa Carta di Capua. Non tutti i linguisti sono d’ accordo nel dare all’ Indovinello Veronese, degli inizi del 700, la palma della prima testimonianza scritta in volgare. Certi sostengono che si tratta di un testo latino con elementi volgari, altri un testo volgare con elementi latini. Qualcuno la palma la dà all’ Iscrizione della catacomba di Commodilla (della metà dell’ 800, o anche prima), quella cioè del Non dicere ille secreta a bboce, altri alla Carta di Capua (Sao ke kelle terre), del 960. Quest’ ultima non è in un latino infiorato di volgare o viceversa, ma una vera lingua sufficientemente autonoma, scritta da un notaio che ha usato tale e quale la si parlava. Una lingua che in quei tempi non si chiamava ovviamente italiano, ma volgare o lingua romana oppure rusticis verbis (lingua agreste), ma anche nativa voce, per contrapporla al patrio ore, ossia il latino. Comunque, un fatto è certo: almeno dal 923 (data della carta in cui si accenna alla “nativa voce”) si parlava l’ italiano arcaico e almeno dal 960 (data della Carta di Capua) lo si scriveva.❧ Italo Bonassi 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI lo scaffale GLI ESEMPI CITATI Tra quelli più famosi e rappresentativi, per ordine di tempo, si ricorda l’ Indovinello Veronese della Biblioteca Capitolare di Verona, degli inizi del 700: Boves se paraba / alba pratalia aràba / et albo versorio teneba / et negro semen seminaba (Si spingeva avanti buoi, arava bianchi prati, teneva un bianco aratro, seminava nera semente). Soluzione dell’ indovinello: la penna che scrive s’ un foglio. La metafora fa parte dell’ enigmistica medioevale e, se pur d’ origine dotta, venne redatta da un chierico copista in un latino maccheronico con dei volgarismi (se al posto di sibi, negro invece di nigro, paraba e non parabat, versorio anziché versorium.). Era un ragazzino, e lasciò il suo scritto sul margine di un vecchio codice liturgico che utilizzava, dopo aver appuntito la penna d’ oca, per prove di scrittura. E non immaginava di certo che quel suo indovinello buttato giù per divertimento sarebbe diventato così famoso nella storia della letteratura italiana. L’ indovinello era già allora noto, tanto che il monaco Radulfus, addetto allo scriptorium di Sant’ Aniano ne fece cenno in una nota a margine di una pergamena in un misto di latino e volgare (tradotto in italiano così dice: Cinque servi aravano, tre lavoravano a fare i solchi. Alludendo alle cinque dita, con medio, indice e pollice che impugnano la penna). Lo stesso Radulfus aveva scritto s’ un’ altra pergamena in un puro latino: “La scrittura! Che pesante fatica! Spezza la schiena, rovina gli occhi e frattura le costole.” (783). Ma grazie a gente come lui si è salvata una piccola parte della memoria dei nostri antenati. A poco a poco, tra il secolo VII e quello X, cominciano a comparire sempre più documenti e testi scritti interamente o parzialmente in volgare. Fra queste testimonianze, l’ iscrizione della catacomba di Commodilla in Roma (850), un graffito che dice: Non dicere ille secreta a bboce (non dire quei segreti a voce alta). Un in- IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 vito al celebrante a non dire a voce alta le preghiere della sera, chiamate secrete. In latino si dice: ne diceas, congiuntivo esortativo, non di certo non dicere. Un latino quindi già pronto al volgare italiano. Il famoso Sao ke kelle terre della Carta di Capua, datato 960 d.C., è riconosciuto, come detto, la data di nascita del volgare italiano. Con la formula Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti, fu risolta nel marzo del 960 una lite tra il Monastero di Montecassino ed un uomo di nome Aquino. Tre testimoni erano comparsi a Capua davanti al giudice Arechisi, tenendo una carta in cui erano segnati i confini del luogo discusso e toccandola con l’ altra mano, per deporre a favore del Monastero. Preoccupazione dell’ abate era avere una carta notarile in cui si dichiarasse il possesso trentennale di quelle terre. Da notare che queste poche parole sono state ripetute più e più volte in un lungo atto notarile, e che tutto il resto è stato scritto in latino. Questo perché l’ Aquino non conosceva il latino, e la parte che più importava doveva essere scritta in una lingua che lui conosceva, tutto il resto non contava. E all’ abate interessava dichiarare in modo chiaro e inequivocabile che erano trent’ anni che il Monastero occupava il terreno in questione, e che quindi l’ Aquino non poteva più reclamarlo. Questo documento registra dunque l’ atto di nascita della lingua italiana scritta, pur se in una specie di dialetto. Si nota che il latino quod è mutato in ke (che più avanti diventerà che) e che il kelle e il ki diventeranno in seguito i nostri quelle e qui. Resta la stranezza del latinismo del que. Dopo il 960, la mappa geografica delle testimonianze comincia a registrare diversi punti nuovi: Formule simili a quelle della Carta Capuana furono trascritte nel 963 a Sessa Aurunca e poi a Teano. 79 lo scaffale Nota e originale è la Postilla Amiatina, di San Salvatore di Monte Amiata, vicino a Grosseto, del 1087, in cui si legge: Ista cartula est de caput coctu. / Ille adiuvet de ill(u) rebottu / qui mal consiliu li mise in corpu. Tre endecasillabi misti di latino e di volgare, scritti da un notaio, dal significato controverso. Si tratta di una donazione fatta da un certo Ricciarello in favore dell’ abbazia per evitare guai, e magari sortilegi, che un mal consiliu di rebottu (un cattivo consiglio di un diavolo) poteva procurare a un certo caput cottu (testa cotta, probabilmente un soprannome). Altri parlano di una donazione fittizia, fatta per evitare aggravi fiscali (il mal consiglio sarebbe la frode). Abbiamo poi l’ Iscrizione di San Clemente, della fine dell’ anno 1000, un affresco dove due personaggi, Albertello e Gosmario, trascinano una colonna mentre un terzo, Carboncello, la spinge; Sisinnio, un patrizio romano, pare li comandi. La scritta dice: Sisinius: —Fili dele pute, traìte! Gosmarius: —Albertel, trai! Fàlite de reto colo palo, Carvoncelle! San Clemente: —Duritia cordis vestris, saxa traère meruistis. 2 L’ affresco ricorda il miracolo di S. Clemente: invece del santo, viene trascinata e martirizzata una pesante colonna. Da ricordare anche la Testimonianza di Travale (Grosseto, 6 luglio 1158), un documento giudiziario, scritto in latino maccheronico, con l’ accorato appello di tal Malfredo, in cui appare la seguente frase: Guaita, guaita male, non mangia ma mezzo pane (Guardia, fa la guardia male! Io non mangiai mai mezzo pane). Pare che Malfredo abbia espresso il proprio disagio a fare il servizio militare di guardia, data la sua estrema indigenza, e con tale documento lo si sia dispensato dal farlo. 2 - Sisinnio: —Figli di puttana, trascinatelo qui ! Gosmario: —Alberello, tira! Dagli dietro con il palo, Carboncello! San Clemente: —Per la durezza del vostro cuore avete meritato di trasportare un sasso. 80 Interessanti alcune testimonianze che ci provengono in forma poetica, il che ci fa capire l’ importanza che allora si dava a questa forma di scrittura. Fra gli autori, dei menestrelli o dei giullari di cui non si sa neppure il nome. Abbiamo i Ritmi bellunesi del 1193, quattro versi che trattano della vittoria di Belluno e Feltre contro Treviso. La metrica, perfetta, fa pensare che forse sono solo l’ inizio di un poemetto andato perso. De Castel d’ Ard avi li nostri bona part. / I lo geta tutto intro lo flumo d’ Ard. / E sex cavaler de Tarvis li plui fer / con se duse li nostre cavaler.3 Più noto il Ritmo Laurenziano (1157), il primo testo poetico “che mostri intenzioni in largo senso letterario” (Franco Contini), con il quale un giullare in 20 versi tesse le lodi di più vescovi per ottenerne doni, fra cui un cavallo. Sono versi ottonari monorime doppi, con dei gallicismi che dimostrano la cultura del giullare. Salva lo vescovo senato – lo mellior c’ umque sia nato (….) – ora fue sagrato – tutt’ allumma ‘ l cericato… Ossia: (Dio) salvi il vescovo saggio - il migliore che sia mai nato; - (che dall’ ) ora in cui fu consacrato - illumina tutto il clero. Senato (assennato) e alluma sono francesismi (sené e allumer). Interessante anche il Ritmo Cassinese (inizio 1100), altro testo giullaresco, di 90 versi, di ambiente monastico. Si tratta di un dialogo tra un monaco occidentale, alquanto dedito ai piaceri mondani, pur se leciti, ed uno orientale, più ligio ai doveri dello spirito. Altri vi vedono invece un contrasto tra questa nostra vita materiale e quella dell’ aldilà, un dialogo tra un vivo e un morto. Eo, sinjuri, s’ eo fabello, / lo bostru audire compello; / de quista bita interpello / e ddell’ altra bene spello… (Signori, io, se parlo, / sollecito la vostra attenzione; / vi 3 - Di Castel d’ Ardo ebbero i nostri buon partito. / Essi gettarono tutto entro il fiume d’ Ardo / E sei cavalieri di Treviso, i più fieri, /con loro condussero i nostri cavalieri. 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI lo scaffale parlo di questa vita / e cerco di spiegare bene anche l’ altra…) La lingua è quella della zona di Montecassino (la v che diventa b, la u finale, la au usata come u, e latinismi quali compello e interpello). Abbiamo anche, tra i Ritmi, il Ritmo su Sant’ Alessio (fine 1100), anch’ esso di carattere religioso, dell’ Abbazia di Santa Vittoria in Matenano, nelle Marche, ma conservato nella Biblioteca Comunale di Ascoli Piceno). Vi si narra la vita di Alessio, santo girovago caro al Medioevo (circolavano anche testi in francese in cui si narrava che Pietro Valdo si convertì nel 1173 sentendo recitare in una piazza di Lione la vita di Alessio). Ci resta un frammento di 257 versi in ottonari e novenari monorime. Dolce, nova consonanza, / facta l’ aio per maestranza; / ed ore odite certanza / de qual mo mostre semblanza / per memoria retenanza… (Dolce e nuova poesia / io l’ ho fatta per maestria; / ed ora ascoltate una cosa certa, / di cui io vi mostro l’ immagine / per tenerla bene in mente…) Di questo documento si è scritto che appartiene ad un dialetto della parte orientale dell’ Italia Centrale, con quel pronome pleonastico aio al posto di io e il bl di sembianza. Abbiamo già accennato all’ Elegia giudeo-italiana (fine 1100 - inizio 1200), nota come Le ienti de Sion. Un frammento in terzine monorime di versi di natura non ben definita e conservato in un codice trecentesco del tempio israelitico di Ferrara (e una copia si trova a Parma), in caratteri ebraici. L’ elegia fu scritta per il digiuno del mese di Ab, e si lamenta la distruzione e la disperazione del popolo ebraico. Le jenti de Siòn piange e lutta; / dice: “Taupina, male so’ condotta / em manu de lo nemicu ke m’ ào strutta. (La gente di Sion piange ed è in lutto; / dice: Ahimè, male sono finita / nelle mani del nemico che mi ha distrutta.) È la storia di due giovani fratelli, nobili e ricchi finiti in schiavitù, e si prega Dio perché guardi con occhio benevolo il suo popolo, riconducendo tutti. leviti e sacerdoti e tutta ienti / entro Siòn, benedicendo / il Tuo santo nome. Da notare il francesismo tuta jenti nonché il plange, con la elle al posto della i , che si ritrova anche nel flumo dei Ritmi bellunesi , nella semblanza del S. Alessio, ecc. Per terminare, il frammento in volgare del Lamento della Vergine Maria della Passione Cassinese (verso la fine del 1100), facente parte di una rappresentazione scenica in latino, un dramma di 317 versi . …Te portai nillu meu ventre, / quando te beio moro presente, / nillu teu regnu agime a mmente… (Ti portai nel mio ventre, / se ti vedo, muoio subito, / nel tuo regno ricordati di me). Questo dramma deve essere considerato il più antico testo teatrale in Italia, e forse il più antico della Chiesa d’ Occidente. Alcune opere di riferimento per chi volesse approfondire Luca Serianni, Italiano comune e lingua letteraria, UTET, 1988 Adam Ferguson, Saggio sulla storia della nostra civiltà civile, Zanichelli, 1988 Gerhard Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana, Einaudi, 1969 IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 Giuliano Bonfante, Latini e Germanici in Italia, Paideia, 1968 Giacomo Devoto, Avviamento alla etimologia italiana, Mondadori, 1995 Massimo Montanari, Storia medioevale, Laterza, 2009 Fedriga e Puggioni, Logica e linguaggio del Medioevo, LED edizioni universitarie, Milano, 1993 81 1 E * a cura di Francesca Garello Q uesto numero del Furore si apre con un articolo dedicato al genere letterario dei cosiddetti libri-gioco. Abbiamo pensato quindi che sarebbe stato un appropriato pendant dedicare questa rubrica ai “libri-giocattolo”. Il due termini sono simili, ma identificano cose diverse. La prima prevede un’attività ludica veicolata esclusivamente attraverso il testo, la seconda vuole il libro come oggetto di gioco, pur non escludendo l’importanza del testo. In italiano in realtà questo termine non viene molto utilizzato. Chiedere in una libreria un “libro-giocattolo” fa emergere libri di peluche per lattanti, pupazzetti di varie forme (pompieri, cavalieri, poliziotti ecc) che aprendosi rivelano un paio di pagine con qualche filastrocca, addirittura qualcuno montato su ruote o con le ali a seconda del sog- getto. Non veri libri ma giocattoli. Il termine inglese “popup” invece, benché non troppo preciso (vuol dire genericamente “saltar fuori” e come tale è usato anche per le finestre a comparsa dei siti web), schiude una miriade di pubblicazioni per l’infanzia, alcune veramente meravigliose: non posso scordarmi la prima volta che ho sfogliato una versione delle opere di Leonardo da Vinci in formato pop-up da cui spuntavano in completa tridimensionalità e mobilità le macchine, i ponti, insomma le opere più famose dell’artista. Troppo bella per regalarla a un bambino! In realtà i libri tridimensionali o animati, per usare termini non troppo legati al mondo infantile, * orizzontali 1 - Tra libro e gioco Francesca Garello Quando il libro è un giocattolo 82 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI Tra libro e gioco hanno un’origine intellettuale e nascono per una ristretta cerchia di studiosi. Ma dobbiamo fare un passo indietro. In principio fu il volvelle numerosissime combinazioni di idee dottrinali o qualità divine che rimandavano a concetti espressi nell’opera e basati sulla dottrina cristiana. Per tali meccanismi, il catalano venne considerato dai primi Il termine è sconosciuto alla maggior parte di noi, eppure tutti ne abbiamo almeno uno: il disco orario. Un volvelle, infatti, è genericamente un disco mobile che, ruotato in questa o quella posizione, aiuta a combinare dati. Il primo volvelle compare nel mondo occidentale in un’opera filosofico-religiosa, la Ars generalis ultima, o Ars Magna, pubblicata nel 1305 da Raimondo Lullo (latinizzazione di Ramon Llull), eclettico filosofo, poeta e mistico catalano. Convinto che fosse possibile portare alla conversione musulmani ed ebrei attraverso la pura logica (invece che con spade o roghi, come usava tra i suoi contemporanei), Lullo aveva sviluppato un sistema basato su combinazioni di attributi divini “innegabili” (bontà, grandezza, eternità, potere, saggezza, volontà, virtù, verità e gloria), sui quali anche ebrei e musulmani non avrebbero potuto che convenire condividendo simili idee di divinità. L’opera conteneva dei dischi di carta che potevano essere ruotati generando informatici come il precursore dei loro studi, essendo in qualche modo l’inventore di un sistema di logica combinatoria. Probabilmente però Lullo non inventò i dischi ma si ispirò a simili dispositivi di origine persiana, detti zairja, con i quali venne forse in contatto attraverso opere di astrologi arabi. I dischi di Lullo si prestavano molto ad opere astronomiche o matematiche. L’ edizione veneziana (1482) del IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 Kalendarium di Regiomontano (Johannes Müller da Könisberg), usa diversi volvelles per illustrare le fasi lunari; l’Astronomicun Caesareum di Pietro Apiano (Peter Apian), dedicato nel 1540 dal matematico e astronomo tedesco all’ imperatore Carlo V si avvale di ben 18 complessi volvelles dipinti a mano per illustrare l’uso dell’astrolabio. Essendo un’opera concepita per un sovrano l’Astronomicum è splendido anche dal punto di vista artistico: su Internet sono accessibili riproduzioni ad alta definizione degli esemplari della Bodleian Library di Oxford (http://www.rarebookroom.org/Control/ appast/index.html) e della Biblioteca nazionale Braidense di Milano (http://www.atlascoelestis.com/ApianusPaginabase1.htm). Nei libri scientifici troviamo anche anticipazioni di molti altri sistemi in seguito utilizzati nei libri-giocattolo. Nel De Humani Corporis Fabrica Librorum Epitome di Andrea Vesalio (Basilea, 1543) il corpo umano è mostrato in successioni di “strati” (pelle, muscoli, sistema circolatorio, scheletro ecc) con un sistema simile a quello del “lift-theflap”; la prima traduzione inglese di Euclide (Londra, 1570) contiene 83 Tra libro e gioco diagrammi tridimensionali relativi alla geometria solida, una sorta di pop-up da aprire manualmente. Ma con questi libri non si giocava. Il libro era un oggetto troppo costoso per destinarlo ad attività frivole, men che meno ai bambini. È solo nel XVIII secolo, con carta e stampa di produzione industriale, che si comincia a pensare di produrre libri per bambini. Nasce il libro-giocattolo La storia del libro-giocattolo inizia in Inghilterra. A partire dal 1765 lo stampatore e libraio londinese Robert Sayer produce una serie di libri “lift-the-flap”, gli Harlequinades. Ogni “libro” in realtà è composto soltanto da due scene sovrapposte, simili come impostazione ma con buffe varianti: quella superiore è suddivisa in quattro alette di carta (flaps) che alzate o abbassate rivelano o nascondono parte della scena sottostante. Agendo sulle alette si producono divertenti modifiche al tema principale. I libri hanno grande successo tra i bambini delle classi elevate e ne vengono prodotti moltissimi che, dal tema principale di Arlecchino, si allargano ai vari soggetti amati dai bambini: pirati, avventure eccetera. Con lo stesso sistema del lift-the-flap nel 1820 inizia la produzione di un soggetto che diverrà molto caro a tante generazioni di bambine, quello dell’abbigliamento. Il pittore William Grimaldi prepara per la figlia una serie di tavole comprendenti 84 diversi elementi di abbigliamento che possono essere combinati per vestire una figura femminile. Pubblicato nel 1821 con il titolo The Toilet, il libro viene dotato di un corrispettivo maschile nel 1823, Suit of Armour for Youth, incentrato su un giovane cavaliere e i vari elementi della sua armatura. Si tratta di una produzione molto ristretta e certamente dedicata a un mercato d’elite. Essendo destinate ai bambini le figurazioni vengono dipinte a mano dopo la stampa. Le parti mobili, inoltre, sono tagliate una per una, e con lo stesso sistema si procede all’incollaggio. Nonostante ciò il libro-giocattolo diventa sempre più popolare e il movimento delle varie parti sempre più sofisticato. Evoluzione della specie A partire dal 1880 l’artista tedesco Lothar Meggendorfer introduce nei libri-giocattolo un cambiamento rivoluzionario. Con un sistema di linguette stacca le immagini dal fondo, conferendo tridimensionalità alle scene (tecnica detta “scenic book”) e utilizza rivetti per connettere alcune parti mobili. Questo accorgimento espone il meccanismo al danneggiamento (il metallo consuma la carta e la strappa), ma consente maggiore varietà di movimenti sfruttando un sistema simile a quello degli ingranaggi creando fino a 6 movimenti simultanei in varie parti della scena, alcuni anche in direzioni opposte, mentre fino a quel momento al massimo si arri- vava a due. Inizialmente anche Meggendorfer colora a mano, ma presto passa alla cromolitografia. Questo velocizza la produzione ma non abbassa tanto il costo ed il prezzo di ogni libro si mantiene sui 6 marchi, una bella cifra per l’epoca. I libri di Meggendorfer, pubblicati in Germania da Braun & Schneider di Monaco, furono editi in italiano da Hoepli, anche se in numero molto minore di quelli tedeschi. L’Inghilterra è anche il primo paese in cui i libri-giocattolo diventano finalmente accessibili al vasto pubblico. Nel 1929 Louis Giraud e Theodore Brown lanciano la collana Bookano del Daily Express, che prosegue fino al 1949. Sono i primi libri completamente tridimensionali, con figurazioni mobili visibili efficacemente da ogni lato (“standups”): non a caso la parola Bookano abbina “book” e “meccano”. Non sono libri costosi: gli editori utilizzano carta spessa anzichè cartoncino, la stampa cromolitografica è grossolana e le rilegature di qualità piuttosto bassa. Le parti mobili sono tagliate da macchine fustellatrici, ma l’assemblaggio è ancora a mano. Giraud però porta di persona i pezzi già tagliati a una serie di lavoranti che li montano a casa e costano quindi assai poco, poi ritira le scene già montate e pronte da inserire in fase di allestimento. Inoltre, i pop-up sono ridotti a uno o due, solitamente le ultime pagine del libro in modo da costituire il colpo di scena finale, e il testo è più 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI Tra libro e gioco preponderante nell’opera rispetto alla parte mobile. Tra pop-up e pop art A questo punto il libro-giocattolo approda in America, dove assume il nome con cui attualmente lo conosciamo, “pop-up”. Nel 1930 la casa editrice Blue Ribbon dà inizio alla collana Blue Ribbon Pleasure Books, disegnata da Harold Lenz. Non è un buon momento: la depressione ha colpito gli Stati Uniti, non ci sono molti soldi da spendere per i bambini. Lenz non si scoraggia e decide di andare sul sicuro: le fiabe di Mamma Oca, Cenerentola, l’Orfanella Annie, addirittura Pinocchio e per- IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 sonaggi Disney. Anche dal punto di vista tecnico non rischia: praticamente copia il sistema Bookano senza tanto curarsi dei brevetti. Le due collane in effetti si assomigliano in modo impressionante. Nonostante ciò, o forse proprio per questo, i libri Blue Ribbon diventano un elemento immancabile nella stanza dei giochi dei bambini americani. La strada è ormai tracciata e i popup cominciano a diventare interessanti anche per gli adulti. A Praga, nei tardi anni ’40, l’architetto Vojtěch Kubašta rimane affascinato dalle possibilità artistiche e tecniche offerte dall’ingegneria cartotecnica. Negli anni ’50 progetta car- toncini pubblicitari in 3-D per reclamizzare all’estero prodotti cecoslovacchi come macchine da cucire, occhiali da sole, la birra Pilsner. Nel 1956 dà alle stampe il suo primo pop-up, Cappuccetto Rosso, con la casa editrice ARTIA di Praga. Seguiranno molti altri, tutti con la tecnica dei “multiple layers” che moltiplica i piani di ogni scena in modo da renderla ricca e vivace. Usa soggetti originali, e diventano presto famosi i due bambini Tip e Top e i piccoli indigeni Moko e Koko. L’aspetto grafico delle illustrazioni è moderno e dinamico, influenzato dalla cultura pop e piace molto anche all’estero: i libri di Kubašta 85 Tra libro e gioco hanno venduto 35 milioni di copie in 24 lingue diverse. Anche l’Italia contribuisce al progresso del pop-up. Nel 1977 Mondadori illustra alcuni fumetti Disney inventando il “bilibro”, un libro tridimensionale che contiene due storie in contemporanea. La prima si legge aprendo la copertina al modo consueto e procedendo verso la fine; arrivati all’ultima pagina si può ruotare il libro di 180° e ricominciare in senso opposto, leggendo un’altra storia. Entrambe sono illustrate con pop-up del tipo “v-fold” (chiusi sono piegati a metà a formare una “v”); la particolarità è che essi sono sempre contemporaneamente fruibili sicchè, quando è aperta una certa scena, se si ruota il libro aperto di 180° si trova dall’altra parte una scena relativa all’altra storia, perfettamente visibile. Piccoli pop-up crescono Dagli anni ’80 in poi il libro pop-up ha la sua definitiva consacrazione. Tra gli anni ‘80 e ‘90 sono stati prodotti nel mondo 25 milioni di libri tridimensionali. La semplificazione nella produzione rende possibile sfruttare tutte le tecniche di ingegneria cartotecnica nello stesso libro, con effetti sempre più sofisticati. La stampa a colori, nel frattempo, è sempre più economica. L’assemblaggio avviene ancora a mano, ma viene affidato a 86 manodopera a basso prezzo in paesi emergenti: l’America latina per gli editori americani, l’Asia per gli editori europei. Il libro pop-up diventa grande, non solo in termini di diffusione numerica. Il merito della sue diffusione, infatti, non va soltanto al miglioramento tecnologico nella produzione, ma anche nell’ampliamento ad un pubblico non solo infantile. Questo si deve soprattutto a Waldo H. Hunt, fondatore dell’azienda di servizi editoriali americana Intervisual Communications. Hunt ha prodotto libri tridimensionali (non si possono definire libri-giocattolo, stavolta) su qualunque argomento, dai film di cassetta (soprattutto Disney, ma anche Guerre Stellari e Harry Potter) ai dinosauri, dall’anatomia umana alla pop art: c’è persino un libro su Andy Warhol con la celebre scatola di zuppa Campbell in 3D. L’unico tema tralasciato da Hunt è il sesso, lacuna presto colmata da altri. La casa editrice Harper Collins nel 2006 ha realizzato l’istruttivo The Pop-Up Book of Sex, che illustra con figure tridimensionali e dinamiche le dieci migliori posizioni per... be’, avete capito. E con questo il pop-up diventa roba da grandi.❧ Francesca Garello 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI Galeotto fu il libro a cura di Bruno Zaffoni “L’amor che move il sole e l’altre stelle“ così termina il Paradiso di Dante Alighieri. Torquato Tasso (1544-1595) nel suo poemetto lirico “Aminta“ tesse una sorta di commedia pastorale o “fiaba boschereccia” in madrigali dove tutto è imperniato sulla potenza e magnificenza dell’Amore. Il Poemetto si apre con un Prologo di Amore in abito pastorale e il tema del libro è l’amore del pastorello Aminta per la ninfa Silvia. Amore contrastato sia per il lungo disdegno di Silvia sia per l’intervento di un satiro, pure innamorato della ninfa. Aminta è un’azione fuori del teatro, narrata da testimoni o da partecipi con le impressioni e le passioni in loro suscitate. È presente l’intreccio amore, vita e morte. Il poemetto ha come sfondo la fastosa corte dei d’Este di Ferrara. Il motivo è lirico, sviluppo raffinatissimo di motivi idillici in un ritmo quasi musicale. Trionfa l’amore, dopo vicende intricate e il Coro celebra l’unione amorosa di Aminta e Silvia: “ Non so se il molto amaro Che provato ha costui servendo, amando, piangendo e disperando, raddolcito puot’esser pienamente d’alcun dolce presente; ma, se più caro viene e più si gusta dopo ‘l male il bene, io non ti cheggio, Amore questa beatitudine maggiore; bea pur gli altri in tal guisa… Tipico del poemetto e del Tasso è la massima: “S’ei piace, ei lice”. Si intravvedono reminescenze di Ovidio, Catullo, Virgilio, Poliziano, Dante e Petrarca. Malgrado abbia letto l’Aminta in età giovanile, solo nella maturità le ho riconosciuto un valore fondamentale: l’Amore non solo del Divino ma anche tra umani è conforto , consolazione, motivo di entusiasmo nella mia vita. Anche l’amicizia così ben delineata per Silvia da parte di Dafne e di Tirsi per Aminta è un valore nella mia vita insostituibile. Le Bucoliche di Virgilio e le Stanze di Poliziano hanno, a mio parere, delle affinità con Aminta. Il tema agreste, il primo, l’idillico della natura e il tema dell’amore il secondo. Le avversità, incontrate da Aminta e Silvia, sono tipiche della vita di ognuno e pure nella mia vita difficoltà e amarezze hanno preceduto l’incoronamento dell’amore, il dispiegarsi di amicizie. Anche I promessi sposi del Manzoni sviluppano seppur in chiave cristiana e provvidenziale e in prosa il tema dell’amore contrastato. La forza di Aminta è anche nella dolcezza e raffinatezza della stesura in madrigali, dopo la sua lettura e rilettura, l’amore per mio marito mi pare circonfuso di un alone di maggior dolcezza e purezza. “S’ei piace, ei lice” Questo verso, ripetuto nel testo dell’Aminta mi richiama le teorie filosofiche sul desiderio, su ciò che piace e dovrebbe essere realizzato di Deleuze, Guattari. Questi filosofi francesi hanno sviluppato il pensiero che ciò che piace è lecito, il desiderio necessita una risposta. Anche in questo Aminta mi pare un poemetto moderno nella linea del pensiero. A mio parere, però, il desiderio deve incontrare dei limiti, non tutto ciò che piace è lecito.❧ “S’ei piace, ei lice” IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 Antonella Dorigotti Antonella Dorigotti 87 Topi di biblioteca a cura di Rossella Saltini “L e ore del mattino han l’oro in bocca”. Sarà, in fondo ogni proverbio porta con sé un fondo di verità. E arrivare in biblioteca alle 9 del mattino non fa che confermarlo. Se da un lato gli ospiti della sala di lettura languono, dall’altro gli appassionati dei quotidiani fremono. A quest’ora del giorno la sala che ospita periodici, riviste e giornali è già in fermento. Le colonne, che dietro una lastra di plexiglas mostrano la prima pagina dei quotidiani, sono prese d’assalto da una schiera di utenti: uomini di mezza età, capelli grigi, radi sulle tempie e sulla fronte, occhiali da presbite scivolati sul naso. Gli sguardi dei più sono puntati sui quotidiani locali e allora decido di avvicinarmi per indagare su questa categoria di topi di biblioteca. Lo adocchio subito il topo ideale: tuta da ginnastica, scarpe sportive, fermo davanti all’espositore sbuffa come una locomotiva. “Adesso chissà quanto mi tocca aspettare”, borbotta. Sconsolato afferra “Il Resto del Carlino” e “La Nazione” e si dirige verso una poltroncina. Non gli concedo neppure il tempo di leggere la prima pagina, butto lì una domanda e avvio la conversazione. — Non le piacciono questi giornali? — chiedo, ostentando interesse. Il topo mi lancia uno sguardo a metà strada tra il diffidente e il seccato. Forse devo correggere il tiro. — Volevo dire, non li legge volentieri? Sono due testate storiche.” — Sì, sì.— balbetta. Si gratta la testa e mi spiega. — È solo che…cosa vuole che le dica? Di solito inizio la mia giornata con gli articoli dei quotidiani locali. È una sorta di rito. Prosegue affermando che “il rito” è cominciato quando l’ingranaggio lavorativo del quale faceva parte si è inceppato. — Dalla sera alla mattina mi hanno messo in mobilità: 35 anni di onorato servizio, una settimana di malattia in tutto, forse. Poi tutti a casa con la scusa della crisi.” Un duro colpo per lui. Giornate da reinventare, ore vuote da riempire. — In biblioteca sono entrato per caso – confessa – all’inizio mi sembrava un santuario, sa com’ è? abituato ai rumori della fabbrica… E candidamente dichiara che da quel santuario sarebbe anche uscito se non avesse scorto un ex-collega chino sulle pagine di un quotidiano. Fino a quel momento per lui l’informazione passava soltanto attraverso il mezzobusto dei giornalisti del TG. Assaggi di realtà deglutiti distrattamente assieme alla cena in famiglia, finestre sul mondo chiuse fra uno sbadiglio e l’altro prima di andare a dormire. Poi la magia della carta stampata, l’odore inconfondibile dell’inchiostro, le notizie che non fuggono veloci sulle ali di una voce. — Quando sfogliavo un quotidiano, le prime volte mi soffermavo Rossella Saltini Le ore del mattino... 88 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI topi di biblioteca sui titoli degli articoli, non riuscivo a concentrarmi sulle parole. Leggevo qualcosa una pagina qua e una pagina là, eppure finito un giornale ne prendevo un altro e poi un altro ancora.” Dice che dopo qualche settimana di allenamento era in grado di leggere un quotidiano dalla prima all’ultima pagina; qualche mese dopo, invece, ha cominciato a formarsi uno spirito critico sulle varie testate. IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 — Sentivo di essere tornato in fabbrica: durante le riunioni sindacali ogni organizzazione diceva la sua. Chi stava di più dalla parte dei padroni, chi meno. E lo stesso ho ritrovato su quelle pagine. Chi criticava il Governo e le sue scelte, chi lo osannava.” Penso che il topo avrebbe ancora molto altro da dirmi, ma il suo sguardo si fa inquieto. Molla lì “Il Resto del Carlino” e “la Nazione” e si congeda allungandomi una mano. — Scusi, adesso la saluto. I quotidiani si sono liberati– si giustifica. —Mi trova qui tutti i giorni, alle nove in punto – aggiunge prima di allontanarsi. Lascio il topo da quotidiano al suo rito e, anche questa volta, me ne vado soddisfatta.❧ Rossella Saltini 89 Biblioteca mon amour Questa rubrica è a disposizione della Biblioteca civica «G.Tartarotti» di Rovereto Al momento di andare in stampa con la Rivista ci giunge improvvisa la comunicazione della scomparsa di Giovanni Caliò, giovane archivista impiegato presso la nostra Biblioteca Civica. La notizia ci lascia sgomenti: la malattia non gli ha dato scampo. Il lutto della Biblioteca è doppiamente grande: sono passati solo pochi giorni dalla perdita improvvisa di Stefano Piffer, altro noto archivista della “Girolamo Tartarotti”. Anche Il Furore dei Libri è in lutto: ci sono venuti a mancare due preziosissimi collaboratori che al bisogno hanno aiutato la nostra Associazione con la loro competenza e disponibilità, sempre sottolineata dall’inconfondibile sorriso, timido l’uno, aperto l’altro. La perdita di Giovanni ci ha colpiti due volte perché figlio della nostra socia Maria Cristina. Alle due famiglie vada il nostro commosso pensiero. Ciao Stefano. Ciao Giovanni!❧ MariaLuisa Mora Presidente de Il Furore dei Libri Stefano Piffer (1957-2011) e Giovanni Caliò (19802011) sono due archivisti che hanno lavorato presso la Biblioteca Civica – Archivi storici di Rovereto. Nonostante la loro giovane età, appartengono a due generazioni diverse: Stefano ha iniziato a lavorare quando l’impiego dei computer negli archivi era solo una prospettiva; per Giovanni, invece, il computer era non solo uno strumento normale di lavoro, ma anche il mezzo per inserirsi in un circuito professionale e culturale molto più ampio. Nella loro esperienza umana hanno intrapreso percorsi formativi e di lavoro diversi, ma alla fine si sono ritrovati a lavorare nello stesso istituto, arricchendolo con la loro personalità, professionalità ed entusiasmo. Li accomunava il rispetto per il lavoro e per quelle tracce di umanità che riuscivano a ritrovare e a riannodare attraverso le carte che quotidianamente rior- dinavano, inventariavano e descrivevano in inventari che oggi sono le chiavi di accesso ai numerosi archivi da loro riordinati. Comune era anche il desiderio di porsi al servizio dei ricercatori o dei semplici curiosi delle “cose d’archivio” senza nessuna ritrosia o gelosia, ma con la consapevolezza della forza della loro professionalità basata sul rigore etico con il quale si relazionavano con gli utenti e sul metodo utilizzato nel lavoro, arricchita altresì - grazie anche alle loro doti personali - dall’umanità che sapevano cogliere in ogni documento. Stefano Piffer si è diplomato al Liceo classico Prati di Trento e ha conseguito la laurea in Filosofia presso l’Università di Padova con il massimo dei voti e la lode. Dal 1986 lavorava presso la Biblioteca Civica e il suo lavoro si è intrecciato con la storia recente dell’istituGianmario Baldi Stefano Piffer - Giovanni Caliò 90 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI biblioteca mon amour zione roveretana. A metà degli anni Ottanta la Biblioteca che il lavoro fisico svolto con spirito di servizio negli si trova a riorganizzare i propri servizi e, grazie a Stefano, innumerevoli trasferimenti e traslochi degli archivi. riesce a dare particolare spazio all’Archivio comunale, il I suoi interessi culturali, nonché le numerose ricerche più vasto (ca. 7 km di documenti) e importante archivio storiche, sono raccolti in circa cinquanta pubblicazioni. che racconta la storia della nostra città ad iniziare dal sec. XV. Il lavoro svolto impone di trovare una sede per Giovanni Caliò ha condotto gli studi classici presso il queste carte che vengoLiceo Rosmini di Roveno dapprima depositareto, poi l’Università a te presso il Palazzo Ravenna dove si è lauredell’Istruzione (nel piaato con una tesi in arno interrato e al primo cheologia sulla Magna piano del lato Nord). Grecia. Proprio la ricerAnni impegnativi e difca per la tesi gli ha conficili che hanno persentito di studiare i promesso di dare una fondi legami che interstruttura e un corpo a corrono tra la Sicilia, questo immenso giaciterra d’origine, e Rovemento. L’apertura della reto, città dove è crenuova sede nel Polo sciuto e si è formato. culturale e museale e i Durante l’esperienza del lavori di restauro di PaServizio Civile presso la lazzo Annona hanno Biblioteca “Tartarotti” comportato l’indispoha scoperto la passione nibilità temporanea di per i documenti d’arconsultare alcuni archichivio e ha affinato le vi e sezioni dell’Archidoti di studioso, frevio comunale trasferiti quentando la Scuola di provvisoriamente in archivistica, paleografia nuovi depositi posti e diplomatica a Bolzaall’esterno dell’edificio no, dove si è diplomato della Biblioteca. con successo. Giovanni La cartolina del Furore emessa in occasione della conversazione bibliofila Recentemente questi è cresciuto professiotenuta da Stefano Piffer per I Mercoledì del Furore nell’ ottobre 2006. documenti hanno tronalmente come archivivato collocazione desta riordinando e infinitiva nel nuovo magazzino realizzato dall’Ammini- ventariando fondi di persone – le carte di Renato Dionistrazione comunale presso l’ex-Aticarta e l’ultima sua si, Mario Untersteiner, Riccardo Maroni ... –, ma anche fatica consisteva proprio nel dare nuovamente voce a fondi di natura economica come quello della Manifattuqueste carte che per troppo tempo erano rimaste cela- ra Tabacchi di Rovereto e vari progetti seguiti a Padova, te in casse. Bolzano e Trento.❧ Del suo lavoro oggi rimangono gli inventari, gli elenchi, gli opuscoli realizzati con e per le scuole, ma anDirettore della Biblioteca Civica - Archivi storici di Rovereto Gianmario Baldi IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 91 biblioteca mon amour Notitia librorum est dimidium studiorum. La conoscenza dei libri dimezza gli studi. N ella mirabile Biblioteca Civica “Girolamo Tartarotti” in Rovereto, stante il CBT1, vi sono 29 edizioni del De Imitatione Christi delle 355, in più esemplari, che compaiono nel catalogo trentino. Tra quelle roveretane vi è la seconda per data di stampa: Incipit liber primis Joannis Gerson Cangellarij parisienses De imitatione Christi [et] de co[n]te[m]ptu o[mn]iu[m] vanitatum mundi Liber Primus Admonitiones ad Vitam spiritualem utiles cap. i De imitatione Christi et contemptu mundi omniumque eius vanitatum. 1. Qui sequitur me non ambulat in tenebris dicit Dominus. Hæc sunt verba Christi, quibus admonemur quatenus vitam eius et mores imitemur, si volumus veraciter illuminari, et ab omni cæcitate cordis liberari. Summum igitur studium nostrum, sit in vita Jesu meditari. 2. Doctrina Ejus omnes doctrinas Sanctorum præcellit, et qui spiritum haberet absconditum ibi manna inveniret. Sed contingit quod multi ex frequenti auditu Evangelii parvum desiderium sentiunt, quia spiritum Chrisi non habent. Qui autem vult plene et sapide verba Christi intelligere, oportet ut totam vitam suam illi studeat conformare. 3. Quid prodest tibi alta de Trinitate disputare, si care- Venetijs:per Bernardinu[m] as humilitate unde displiceas Trinitati? Vere alta ver- benaliu[m], 1486 ba non faciunt sanctum et justum, sed virtuosa vita Venezia: Benali, Bernardi- efficit Deo carum. Opto magis sentire compunctionem no:[50]c.; 4°(21 cm) quam scire definitionem. Si scires totam Bibliam, et omnium philosophorum dicta quid totum prodesset, si- 1 - Catalogo Bibliografico Trentino ne charitate et gratia? Vanitas vanitatum et omnia • Gli altri incunaboli trentini di quest’ opera si trovano a Trento alla Biblioteca Capitolare con data [1483], alla Biblioteca Diocesana Tridentina [1491] e alla Biblioteca della Soprintendenza Beni Librari della Provincia Autonoma di Trento nel Fondo Thun con data 1491. P er poter parlare dell’ Imitazione, occorre armarsi di grande prudenza e della necessaria delicatezza in quanto equivale affrontare il libro che ha costituito per secoli un preciso punto di riferimento per la spiritualità cristia- Giuseppe Maria Gottardi I tesori della Biblioteca civica III 92 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI biblioteca mon amour na. Esso si può benissimo considerare “il libro più letto dopo il Vangelo, meditato nei monasteri, letto nella vita religiosa e sacerdotale, tenuto come manuale di formazione cristiana robusta per tante generazioni di laici, di cristiani nel Imitamondo”2. L’ zione di Cristo, costituisce un semplice e concreto tracciato di vita ascetica. La tensione spirituale che lo anima, ne fa un testo fondamentale nel tracciare una via alla ricerca di Dio, all’ abbandono dell’ uomo vecchio per costruire l’ uomo nuovo, per radicare interiormente una profonda spiritualità personale. C • vanitas præter amare Deum et illi soli fervire. Ista est summa sapientia per contemptum mundi tendere ad regna cælestia. 4. Vanitas igitur est divitias perituras quærere, et in illis sperare. Vanitas quoque est honores ambire, et in altum se extollere. Vanitas est carnis disideria sequi, et illud desiderare unde postmodum graviter oportet puniri. Vanitas est longam vitam optare, et de bona vita modicum curare. Vanitas est præsentem vitam solum attendere, et quæ futura sunt non prævidere. Vanitas est diligere quod cum omni celeritate transit, et illuc non festinare ubi sempiternum manet gaudium. 5. Stude ergo cor tuum ab amore visibilium abstrahere, et ad invisiblia te transferre. Nam sequentes suam sensualitatem maculant conscientiam, et perdunt Dei gratiam. L’imitazione di Cristo e il disprezzo di tutte le vanità del mondo 1. “Chi segue me non cammina nelle tenebre” (Gv 8,12), dice il Signore. Sono parole di Cristo, le quali ci esortano ad imitare la sua vita e la sua condotta, se vogliamo essere veramente illuminati e liberati da ogni cecità interiore. Dunque, la nostra massima preoccupazione sia quella di meditare sulla vita di Gesù Cristo. Già l’insegnamento di Cristo è eccellente, e supera quello di tutti i santi; e chi fosse forte nello spirito vi troverebbe una manna nascosta. Ma accade on questa precisa attenzione ci siamo addentrati nel mistero di quest’ opera raccogliendo una grande messe di arti- che molta gente trae un ben scarso desiderio del Vangelo 2 - Antonio Royo Marin, Teologia della Perfezione Cristiana, Edizioni Paoline, Roma, 1963. zioni che fanno santo e giusto l’uomo; ma è la vita virtuosa IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 dall’averlo anche più volte ascoltato, perché è priva del senso di Cristo. Invece, chi vuole comprendere pienamente e gustare le parole di Cristo deve fare in modo che tutta la sua vita si modelli su Cristo. Che ti serve saper discutere profondamente della Trinità, se non sei umile, e perciò alla Trinità tu dispiaci? Invero, non sono le profonde dissertache lo rende caro a Dio. Preferisco sentire nel cuore la com- coli, documenti, testi. Più si allargava lo scavo e sempre più subentrava la difficoltà di raggiungere un sunto equilibrato di tutte queste nuove conoscenze, allo scopo di strappare ai nostri benevoli lettori il tempo e la pazienza necessaria per entrare in questo, a nostro avviso, fantastico mondo. Alla fine ci siamo fermati su Gustave Brunet ed il suo Dictionnaire de Bibliologie Catholique (foto), tomo unico dell’ Encyclopédie Théologique del Migne editore, Paris, 1860 che dedica a questo libro (pagg. 869-880), oltre alle informazioni generali, anche sue specifiche osservazioni che ci hanno intrigato (in modo particolare la citazione del Libri3!). Di questo testo riportiamo solo i primi due capitoli nella 3 - Si veda in questo stesso numero “Sulla bibliomania (quater)” 93 biblioteca mon amour sola nostra traduzione per esclusivi motivi di spazio. Scrive dunque il Brunet: «Quest’ opera parla, a ragione veduta, del più ammirevole libro che una penna umana abbia mai scritto (dato che il Vangelo non è certo l’ opera di un uomo); questo testo, che conta più edizioni di qualsiasi altra opera, occupa nella bibliografia e nella letteratura religiosa un posto troppo importante perché qui noi ne facessimo l’ oggetto di un articolo necessariamente assai ridotto, ma tuttavia nel quale ci sforzeremo di raccogliere qualche dato poco conosciuto. L’ autore dell’ Imitazione Non abbiamo alcuna intenzione di occuparci dell’ autore dell’ Imitazione; è una questione che, senza dubbio, rimarrà per sempre senza alcuna rispo94 punzione che saperla definire. Senza l’amore per Dio e senza la sua grazia, a che ti gioverebbe una conoscenza esteriore di tutta la Bibbia e delle dottrine di tutti i filosofi? “Vanità delle vanità, tutto è vanità” (Qo 1,2), fuorché amare Dio e servire lui solo. Questa è la massima sapienza: tendere ai regni celesti, disprezzando questo mondo. 2. Vanità è dunque ricercare le ricchezze, destinate a finire, e porre in esse le nostre speranze. Vanità è pure ambire agli onori e montare in alta condizione. Vanità è seguire desideri carnali e aspirare a cose, per le quali si debba poi essere gravemente puniti. Vanità è aspirare a vivere a lungo, e darsi poco pensiero di vivere bene. Vanità è occuparsi soltanto della vita presente e non guardare fin d’ora al futuro. Vanità è amare ciò che passa con tutta rapidità e non affrettarsi là, dove dura eterna gioia. Ricordati spesso di quel proverbio: “Non si sazia l’occhio di guardare, né mai l’orecchio è sazio di udire” (Qo 1,8). Fa’, dunque, che il tuo cuore sia distolto dall’amore delle cose visibili di quaggiù e che tu sia portato verso le cose di lassù, che non vediamo. Giacché chi va dietro ai propri sensi macchia la propria coscienza e perde la grazia di Dio. sta: il pio eremita che ha lasciato queste pagine così piene di forza persuasiva e di bellezza, se ha voluto rimanere anonimo; ha raggiunto il suo scopo. Ogni traccia di costui è cancellata; le ricerche, anche le più erudite e le più ostinate, sono rimaste al palo. La controversia insiste principalmente su tre personaggi, Tommaso da Kempis, Jean Gerson, il celebre cancelliere dell’ Università di Parigi, e Giovanni Gersen, abate di Vercelli nel XIII° secolo, a riguardo del quale non si ha alcuna notizia. Gerson ha avuto, tra altri zelanti difensori, M. Gence (vedi: la Biographie universelle, tom. XXII, e Nouvelles considérations sur l’ auteur et le livre de l’ Imitation, e M. O. Leroy: Gerson auteur de l’ Imitation de JesusChrist, 1844, in-8. vedi anche il lavoro di M. de Cazère: 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI biblioteca mon amour Un dernier mot sur Gerson, auteur de l’ Imitation, Paris 1845.) Da Kempis è stato supportato, in Belgio, da caparbi sostenitori: M. Bormans ha registrato nei Bulletins de la Société royale d’ Histoire stampati a Bruxelles, molti aspetti in favore di questa ipotesi. Monsignor J.-B. Malou, Arcivescovo di Malines, nelle sue Recherches historiques et critiques sur le véritable auteur de l’ Imitation, Louvain, 1828, s’ impegna a respingere uno dopo l’ altro tutti quegli scrittori che hanno sostenuto Gersen o Gerson. Egli considera i diritti di Tommaso da Kempis come incontestabili: essi sono riconosciuti da alcuni suoi contemporanei; diversi manoscritti e prime edizioni dell’ Imitazione recano il suo nome; anche la dottrina e le esternazioni usate in questo libro sono comuni ad altri scritti di Tommaso. Riandando indietro alle origini di questa controversia, Monsignor Malou non tralascia le giustificazioni delle due posizioni avverse, e ne aggiunge alcune inedite che, a suo parere, sembrano confermare più o meno direttamente la mano di Tommaso da Kempis. Questo lavoro trasuda erudizione; numerose note esplicative precisano le fonti consultate. I tedeschi, in generale, si sono sbiIL FURORE DEI LIBRI 2011/3 lanciati in favore del da Kempis; uno di essi, Eusèbe Amort, a riguardo, ha scritto diverse opere con titoli altisonanti: Causa Kempensis victrix, Monachii, 1729; Moralis certitudo pro Ven. Thoma Kempensi. Gersen ha avuto dalla sua un caloroso difensore nella persona di un anziano magistrato piemontese, M. G. de Gregori, autore di un Mémoire sur le véritable auteur de l’ Imitation, Paris, 1827, in-12, e di una Histoire du livre de l’ Imitation et de son véritable auteur, 2 vol. in-8. Con questo non dimentichiamo le Gersoniana collectanea di J. Spenser Smith; Caen, 1843, in-8. (Vi si trova a p. 241-304, un catalogo di 238 edizioni dell’ Imitazione stampate in Francia nel lasso di tempo dal 1812 al 1841). Un lungo elenco di opere, relative a questa interminabile controversia è riportato nel catalogo Van Hulthem, n° 1572 e segg. Si veda anche la Dissertation sur 60 traductions, del Barbier, Paris, 1812; essa riporta un centinaio di opere, e questa lista potrebbe essere ben ampliata; limitiamoci a ricordare le “Nouvelle Recherches” di M. Guénebault nella Revue archéologique, agosto 1854, e una lettera di M. de Baecker a dom Pitra nella Revue de l’ art chrétien, gennaio 1858. MM. L. Moland e CH. d’ Héricault4, osservano a ragion veduta che in assenza di prove precise, occorre tener conto di questa imponente notorietà che attribuisce l’ Imitazione a Gerson, delle testimonianze di manoscritti e delle edizioni della seconda metà del XV° secolo. Questa tradizione accolta quasi da tutti in Francia, adot4 - L. MOLAND et CH. D’ HÉRICAULT, Le livre dell’ Internelle Consolacion, P. Jannet, libraire, Paris, MDCCCLVI. 95 biblioteca mon amour tata in altri paesi, attesta che Gerson ha certamente contribuito almeno in qualche parte a quest’ opera immortale. M. Paravia, professore all’ Università di Torino, ha pubblicato una memoria allo scopo di riportare in auge l’ antica opinione che l’ Imitazione è opera di Jean Gersen, abate di Vercelli; il canonico Weigl, M. Renan, membro dell’ Istituto, hanno condiviso questa posizione, mentre M. Gence ha dedicato a Gersen nella Biographie universelle (tom. XVII, p. 220) un articolo destinato a mostrare che di trattava di un personaggio mai esistito. Quérard nelle sue Supercheries littéraires dévoilées, art. Thomas A Kempis, riporta la lista di 91 Memorie e Dissertazioni sulla questione inerente l’ autore dell’ Imitazione. Edizioni e traduzioni dell’ Imitazione A questo riguardo si troveranno dei lunghi dettagli nel Manuel du libraire; noi ci proponiamo solamente di aggiungere qualche indicazione. Il Dictionnaire de Bibliographie catholique offre ugualmente, tom. IV, col. 297-309, un lungo elenco di edizioni dell’ Imitazione in diverse lingue. L’ edizione originale del testo latino fu pubblicata a Augsburg senza data (circa 1471) per Guntherum Zainer 96 ex Reutlingen; essa è descritta nella Bibliotheca Spenseriana, n° 723, tom. III, p. 405. Alcune edizioni (Brescia, 1485, in8), s.d. in-8 (Lyon, circa 1490) sono rimarchevoli, in quanto l’ opera è impressa con il nome di San Bernardo. Il Repertorium dell’ Haïn segnala, n° 9078-9114, 46 edizioni anteriori all’ anno 1500; dodici sono menzionate senza essere descritte, indice certo della loro grande rarità. I bibliofili ricercano con premura l’ edizione, senza data, apud Joh. et Dan. Elsevirios; si tratta di uno dei capolavori di questi celebri tipogra- fi; ottimi esemplari sono stati pagati da 60 a 120 fr.5 In diverse vendite, e anche 155 fr. De Bure nel 1849. L’ edizione che fa parte della collezione Barbou e che è stata rivista da Valart (1758, riprodotta nel 1764 e 1773) è di splendida esecuzione, ma non è molto stimata; essa è stata oggetto di critiche da parte di un preparato bibliografo, Mercier de Saint-Léger, nella rivista l’ Année littéraire, 1788, t. I. Questa versione, con poca accortezza è stata usata come base nella bella edizione di Didot figlio (1789, in-4, troppo piena di errori) e in quella di Bodoni, Parma, 1792, gr. in-fol. Ha suscitato molte polemiche l’ edizione rivista da Gence, Paris, 1826, in-8. (Si veda “Un articolo di M. Louis Barbier “nel Bulletin des sciences historiques de Férussac, t. VI, p. 325-330). Non possiamo dimenticare la sontuosa edizione dell’ Imitazione, eseguita nel 1855 dalla stamperia Imperiale, per l’ Esposizione Universale. La traduzione, nella versione di Pierre Corneille si confronta con il testo latino in questo esemplare in-folio di 872 pagine, ornato di un grande numero d’ incisioni su le5 - Questa e le successive sono quotazioni dell’epoca. 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI biblioteca mon amour gno, di vignette e di iniziali, impresse in oro e a colori. Tutto quello che di più sublime, la grafica d’ ornamento e la tipografia potevano offrire, è stato unito in questo splendido volume, che è stato editato in soli 103 esemplari numerati in stampa con l’ aggiunta di una breve introduzione per mano di M. Victor Leclerc, membro dell’ Istituto. Tra gli estratti che sono stati fatti dell’ Imitazione, il Delectus Imitationis (Paris, Desprez, 1784, in-64.), si raccomanda per la sua rarità; non ne furono stampati che 30 esemplari a spese del duca di Penthièvre. La prima edizione in francese (cy comance le liure tressalutaire de la ymitacion Jhesu Christ et mesprisement de ce monde), Tholose, Henric Mayer, 1487, in-4, è talmente rara che l’ esemplare conservato alla biblioteca Imperiale è ritenuto come l’ unico conosciuto. In questa versione, l’ opera è attribuita a sainct Bernard ou maistre Iehan Gerson, così come nella ristampa (con qualche diversità, Paris, 1493, in-4) descritta nel secondo Catalogue des livres sur vélin da parte di Van Praet, tom. I°, p. 197. IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 La traduzione (per M. P. P.), stampata per la prima volta a Parigi nel 1621, in-12, è di Michel de Marillac che fu guardasigilli sotto Louis XIII; la si considera come una delle migliori; essa è stata frequentemente ristampata fino agli inizi dell’ ultimo secolo; una sola edizione, Paris, 1643, riporta al frontespizio il nome del traduttore (le lettere iniziali M. P. P. significano, così ci sembra, Marillac, Povero Peccatore). Dopo essere stata dimenticata per molti anni, questa traduzione è sta- ta riproposta da M. de Sacy (Paris, Techener, 1854, in-12, XVI e 491 p.): questa nuova edizione è molto curata; se ne è parlato nella rivista Athenaeum français, il 6 maggio 1854. È al libraio Jean Cusson che occorre attribuire la traduzione, più e più volte ristampata sotto il nome di P. Gonnelieu, il quale si è invece limitato a comporre le preghiere e le pratiche di pietà messe in aggiunta a questo volume la cui prima edizione è del 1673. L’ Imitazione, tradotta dall’ abate di Choisy, Paris, 1692, in-12, ha creato qualche scompiglio nel mondo dei bibliografi a causa di una stampa, peraltro molto bella, al frontespizio, che si prestava ad offensive allusioni per M.me de Maintenon; l’ edizione fu sequestrata e la stampa rimpiazzata da una croce grossolanamente incisa in legno. (Si veda Barbier, Dictionnaire des Anonymes, t. II, p. 160; J.-Ch. Brunet, Manuel du libraire.) Gli esemplari che si possono trovare sono di discreta rarità, ma non hanno alcun valore. M. Ch. Nodier dice di non averne visti che due nella sua primitiva versione. Egli ne possedeva uno che, messo 97 biblioteca mon amour in vendita nel 1844, aveva spuntato un prezzo di 100 fr.; si trattava di un volume dalla rilegatura ordinaria di M.me de Maintenon in modesta pelle marrone, con una ricercata croce dorata impressa ai piatti. La traduzione di Beauzée è quella che è stata riproposta nella rivista Panthéon littéraire. Ci rifacciamo per questo alla curiosa Dissertation del A. A. Barbier, sur 60 traductions françaises de l’ Imitation, Paris, 1812, in-12. (Si veda anche la Revue encyclopédique, e un articolo di M. H. de Launay nel Bulletin du bibliophile, 12° série, p. 441.) Quanto alle traduzioni in versi, esse sono molto numerose, ma poche vengono ricordate; una sola è ancora in auge, grazie alla nomea del suo autore, quella di Pierre Corneille. L’ edizione originale di questa traduzione, Rouen, 1651, non contiene che i primi venti capitoli del libro I, è molto rara così come la seconda parte datata 1652, e contenente i cinque ultimi capitoli del I libro, e i primi sei del secondo. Vi sono altre edizioni che compaiono con la data del 1653 e del 1654. Quella del 1656, in-4, 551 pag., è la prima 98 con i quattro libri insieme; fu riproposta nel 1658 con un nuovo titolo. L’ edizione del 1673, in-16, si raccomanda per delle belle incisioni impresse nel testo e all’ inizio di ogni capitolo. Qualche esemplare di questa traduzione, anche per le eleganti antiche rilegature, ha realizzato recentemente nella vendita, dei prezzi esorbitanti; nel 1853, all’ asta De Bure, è stato pagato 700 fr. un esemplare dell’ edizione del 1663 con rilegatura alle armi di Enrichetta, re- gina d’ Inghilterra, e 500 fr. l’ esemplare dell’ edizione del 1690 che era appartenuto al duca di La Vallière. Ulteriori dettagli su queste prime edizioni e sulle loro ristampe si possono leggere nel Manuel du bibliographe normand, t. I, pag. 279. La traduzione di cui si parla fa parte delle Opere di Corneille, tome XII dell’ edizione di Palissot, 1801, t. XI di quella di Renouard, 1818; tom. X di quella di Lefebvre, 1856. Quest’ ultima contiene interessanti lettere di Corneille indirizzate ad un canonico della chiesa di Santa Genoveffa a Parigi, le P. Bouland, a riguardo dell’ autore dell’ Imitazione ch’ egli pensa essere Tommaso da Kempis. Una traduzione ebraica, per J. Muller, Francfort, 1837, in-12, si limita al primo libro. La traduzione basca, impressa a Bayonne nel 1769, ha realizzato il prezzo molto elevato di 100 fr., alla vendita di M. Francisque-Michel nel 1858. Una edizione di Pau, 1757, in-12 (415 pagine), sembra che non sia stata registrata dai bibliografi che si sono occupati della lingua basca. Ne abbiamo vista una nel dialetto soule2011/3 IL FURORE DEI LIBRI biblioteca mon amour tano, impressa a Oléron, 1838, in-18; è anonima. Conosciamo anche una traduzione in catalano, Perpignan, 1678, in-8, e una in groenlandese, Copenhague, 1824. Quanto alla rarissima versione in valenciana lingua per Michel Perez (1491, in-4, 107 pag.), si recupera in una nota del catalogo Libri come quella citata: Juan Gerson del Monyspren del mon (pagata 64. fr., nella detta vendita). La traduzione araba, Halle, 1738, è descritta in dettaglio nel catalogo Silvestre de Sacy, n° 1373.» E con questa indicazione interrompiamo il Brunet, per completare la rassegna con le traduzioni in italiano. La prima edizione italiana dell’ Imitazione, secondo De Backer6, è del 1488. Joannes Gerson de imitatione Christi et de contemptu mundi in vulgari sermone. Alla fine: Fine della devota operetta di Ioanne Gerson della Imitazione di Christo et del dispregio del mon- 6 - Augustin De Backer, Essai bibliographique sur le livre De Imitatione Christi, imprimerie de l. Grandmont-Donders, libraire, Liegi 1864, pag. 107-126 (Traductions Italiennes). IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 do. Et d’ una Epistola di Joanne Napoletano ad Silvia vergine : la qualle exorta ala Religione. — Impressa a Venetia per el diligente homo Joanne Rosso da uercelle nel’ anno del Signor M.CCCC.LXXXVIII, a di XXII de marzo. Regnante lo inclyto principe Augustino barbarico, in-4°. «Non ha carte numerate, ma segnate da a a k, tutti quaderni, eccettuato k, ch’ è terno.» (Gamba, Testi di lingue, Venezia, 1839, p. 338.) — «Il de Gregory che registrò pure questa edizione, la suppose una replica d’ altra che fosse stata anteriormente fatta nel 1478 dalla stesso stampatore Rosso; ma in ciò prese equivoco, come giustamente ebbe ad osservare il ch. Prof. Parenti, il quale ne diede per saggio il capitolo XXVII lib. III, togliendone la cacografia dello spurio dialetto, com’ egli dice (pag. VII dell’ edizione in-8, 1844, e pag. X di quella in-12, 1847), e che noi ripro ducemmo a pag. 408 colla ortografia dell’ antica stampa veneta 1497, la quale deve riputarsi copia litterale della presente... » (Torri, p. 434, n, 33.) M. Veratti, p. 81, aggiunge: «A ciascuno dei quattro libri precede la tavola dei capitoli in esso contenuti. Alla fine del quarto si legge per errore di stampa: «Fine del terzo ed ultimo libro di Ioanne Gerson della imitatione de Christo et del dispregio del mondo». Segue una «Epistola di Ioanni neapolitano ad Silvia vergine honestissima nella quale exhorta quella ala religione». Hain cita la stessa edizione, al n. 9126. Questa traduzione sembra essere fatta da un lombardo o da un veneziano; ne cito un passo dopo l’ edizione del 1497, al n° 1478; [CHi me seqta nō camia ple tenebre dice el signore. Queste sono parole de xpo ple quale siamo admoniti che la sua uita et costumi debito imitare et sqre se noi uoleo ucracemete esser illuminati: et liberati da ogni eccitade de core. Sia adunche tutto el nostro studio di pesare et meditare nella uita de iesu xpo.]. Questa edizione è stata ristampata a Venezia: da Matteo Codeca, 1489; da de Zanis, 1489; da Bevilacqua, 1496, 1497; a Milano, da Sinzenzeler, 1500, 1504, etc.❧ Giuseppe Maria Gottardi 99 biblioteca mon amour Note bibliofile Ma questo incunabolo, quanto può valere? Le offerte disponibili sul mercato sono diverse ma riguardano solo edizioni dopo il 1500. Nell’insieme proposto si può comunque osservare che pur essendo un’opera ristampata tantissime volte nel corso della storia, i prezzi si mantengono discretamente alti. Un posto a parte meritano le due bodoniane, la cui valutazione rispetta il pregio tipografico di queste edizioni. Bodoni, nella stampa, è considerato come la “Ferrari”, un prodotto ricercato in tutto il mondo. Thomas a KEMPIS.- De Imitatione Christi. Parisis, F. Muguet, 1669. In-32° (8 x 5 cm) : 304 pp. (pet. mouill. marg.). Rel. du 19e s. : pleine basane rouge maroquinée, plats avec encadr. doré, dos lisse orné et doré, emboîtage (pet. us. en haut des plats et du dos). Joli minuscule de l’éternelle “Imitation”, imprimé au 17e, habillé au 19e siècle. Provenances : 4 mentions mss d’ecclésiastiques allemands datées de 1886 à 1915 . Vendita: 650 euro. Kemphis, Tommaso da. De Imitatione Christi. Parigi, S.Edwin Tross, 1858. In 64°. Incisione in legno del Cristo in antiporta, legatura coeva in pieno marocchino rosso, piatti riccamente decorati in oro “à la Fanfare”, dorso a cinque nervi con titoli e decorazioni in oro nei compartimenti, dentelles in oro, contropiatti in marrocchino blu con elaborata roulette in oro, tagli dorati su marmorizzatura, guardie in seta blu, solander case in marocchino rosso. Perfetto esemplare. Valutazione: 800-1000 euro. THOMAS A KEMPIS (1380-1471). De imitatione Christi libris quatuor, ad octo manuscriptorum ac primarum editionum fidem castigati, & mendis plus sexcentis expurgati. Paris: J. Barbou, 1758. Vendita a 2.350 euro Thomas a Kempis, Santo. De imitatione Christi libri IV. Anversa, B. Moreti, 1671. In 8°. Frontespizio allegorico inciso in rame da Galle, qualche brunitura e fioritura, graziosa legatura coeva in marocchino rosso, decorazione impressa in oro, sui piatti ampia bordura costitu- 100 ita da motivi fitomorfi e geometrici, filetti e cuori, dorso liscio fittamente decorato con motivi del regno vegetale e tassello in pelle marrone con titolo impresso in oro, tagli dorati, appena sciupata agli angoli, delicati restauri al dorso. Valutazione tra 400 – 600 euro. Corneille, Pierre. L’Imitation de Jesus Christ. Rouen, L. Maurry per Robert Ballard, 1656. In 4°. 4 parti in un volume. Splendida antiporta calcografica, marca tipografica al frontespizio, 4 tavole a piena pagina incise da Chaveau, legatura in marocchino rosso, cornice con triplice filetto in oro ai piatti, ricchi fregi e titoli in oro al dorso a cinque nervi, dentelles interne, sguardie in carta marmorizzata (Chambolle Duru). Ex libris al contropiatto e alla sguardia anteriore. Prima edizione collettiva completa, contiene i quattro libri riuniti. Dalla biblioteca “La Germonière” (1966, n°82) . Bella impressione in carattere corsivo italico, con testo latino giustapposto al margine del francese. Picot, n°128. De Backer, n°2727. Valutazione tra 850 – 1000 euro. Gerson, Jean Charlier de. Libellus de Imitatione Christi. Venezia, Giovanni Patavino e Venturino Ruffinelli, 1535. In 16°. Legato con Papa Gregorio. Secundus dyalogorum liber beati Gregorii papae de vita ac miraculis beatissimi Benedicti. Venezia, Lucantonio Giunta, 1537. In 24°. Tre incisioni xilografiche nel testo a separare le diverse sezioni dell’opera. Legato con Jacopo Sannazzaro. De partu virginis. Venezia, Bindoni, 1530. In 24°. Legatura coeva in pelle con impressioni a secco, sciupata ai piatti e al dorso, contropiatto foderato con fogli pergamencei da codice del XIII sec. nota di possesso manoscritta al frontespizio e al foglio di guardia, datata 1663. Bellissimo insieme di rarissime operette religiose degli anni Trenta del XVI sec., raccolte in un tascabile ad usum di qualche abate o frate itinerante. Valutazione tra 950 – 1450 euro. [BODONI.] [GERSON.] De Imitatione Christi. Parma: Bodoni, 1793. Legatura in mezza pergamena e carta mar- morizzata blu con decorazione dorata, dorso a cinque nervi e titolo in oro su tassello verde, taglio superiore rosso. Piccoli difetti, rossore. Vendita 1.200 euro. DE IMITATIONE CHRISTI LIBRI QUATUOR. PARMA: IN AEDIBUS PALATINIS TYPIS BODONIANIS, 1793. Venduto a 2.400 euro L’unico incunabolo proposto in Internet è stato messo all’asta da: Alde Maison de Vente di Parigi. Esso viene così descritto: KEMPIS (Thomas a). De Imitatione Christi. [Relié en tête :] Meditationes super passionem Jesu Christi. Milan, Léonard Pachel, 1488. 2 ouvrages en un volume in-8, veau fauve, triple filet en encadrement et se croisant en étoile au centre des plats, traces d’attaches (Reliure de l’époque). B.M., IA. 26623, IA. 26625. — Goff, I-18 et M-430. Édition incunable de l’Imitation du Christ, publiée pour la première fois à Augsbourg, Gunther Zainer, en 1473. Le colophon de notre édition porte le nom de Gerson. Les Méditations sont restées anonymes et citées comme telles dans les bibliographies. Jolie impression gothique sur 2 colonnes, incipit et première lettrine imprimés en rouge, quelques initiales gravées sur bois. Plusieurs ex-libris du XVIe siècle sur les contreplats. Papier ancien couvrant le dos avec auteur, titre et cote de bibliothèque manuscrits. Manque le dernier feuillet blanc (k4) de l’Imitation. Petits travaux de vers sur les 2 premiers feuillets du premier ouvrage, et les 4 derniers du second (table), touchant le texte, quelques mouillures et rousseurs. Charnière supérieure fendue, dos décollé avec manques, importants travaux de vers sur le second plat. Il tentativo di vendita partiva da 75.000 euro ma, ahimé, non siamo riusciti a conoscere, pur avendo inviato richieste in tal senso, il prezzo di aggiudicazione. 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI promuovere lettura a cura dell’Ufficio per il sistema bibliotecario trentino Per questo numero l’Assessore alla Cultura della Provincia autonoma di Trento, Franco Panizza, si è prestato volentieri a rispondere ad alcune domande sulle caratteristiche delle biblioteche trentine, sulla loro organizzazione e come vede il loro futuro in una società sempre più digitale. La Rivista del Furore: In Trentino, fra le “buone abitudini” civili ereditate dall’impero asburgico, l’alfabetizzazione generalizzata “per legge” ha sicuramente favorito un rapporto particolare tra la popolazione e le sue biblioteche, presenti quasi da sempre fin nel più piccolo comune. Oggi si parla di Sistema bibliotecario trentino: una megabiblioteca provinciale o una rete di biblioteche che mantengono un po’ dell’antica autonomia? Franco Panizza: Le radici storiche, le nostre radici non si possono negare. Semplicemente ci sono. A me piace ribadire e ricordare che – come testimoniano gli indici di lettura, che sempre assegnano al nostro territorio i primi posti, quando non il primo assoluto in Italia – il Trentino ama i libri e ama leggere. È una passione indi- viduale, prima di tutto. Che trova poi la sua espressione pubblica in una rete, quella del Sistema Bibliotecario Trentino, della quale andare orgogliosi, che è cresciuta negli anni, che ci è riconosciuta a livello nazionale. Mi piace pensare che “Autonomia” voglia dire anche biblioteche diffuse ovunque. E, soprattutto, frequentate ed apprezzate. Le biblioteche attive sul territorio provinciale, peraltro, sono coordinate e sostenute dalla Provincia, ma rispondono in primis agli indirizzi degli Enti gestori, sia pubblici (Comuni, Università, Musei, ecc.) sia privati (ordini religiosi, ecc.), di cui sono emanazione. Godono pertanto di autonomia, pur modellando le proprie politiche di incremento delle collezioni, di prestito e culturali in genere sul principio della cooperazione che è alla base del Sistema bibliotecario trentino. RdF: Qual è la peculiarità del Sistema bibliotecario della Provincia autonoma di Trento ? F.P.: La peculiarità del Sistema bibliotecario trentino consiste proprio in questo: biblioteche altamente specializzate e biblioteche di pubblica lettura cooperano in rete per garantire al cittadino utente del piccolo paese come dei principali centri la maggiore soddisfazione possibile alle esigenze di informazione e di servizi, eguali opportunità nella ricerca, nel prestito di documenti, nella consultazione di banche dati e Internet e nei servizi forniti dall’Ufficio per il Sistema (catalogo collettivo integrato o CBT, Prestito interbibliotecario, monitoraggio statistico, aggiornamento professionale e iniziative di promozione della lettura. Franco Panizza Amministrare cultura IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 101 Promuovere lettura RdF: Tra gli investimenti per la cultura che posto occupano le biblioteche pubbliche? F.P.: Un ruolo rilevante, anche se la maggioranza dei finanziamenti per le biblioteche pubbliche gravita in finanza locale, mentre sulla legge di settore sono finanziate alcune biblioteche specialistiche. Inoltre, vi sono finanziamenti quantificabili indirettamente, in quanto si tratta di servizi forniti dalla Provincia: gestione e sviluppo del Catalogo bibliografico trentino e del servizio di Prestito interbibliotecario, organizzazione di circuiti di iniziative di promozione della lettura. RdF: Prima con i punti di ascolto per la musica, poi con il prestito di videocassette e di DVD, ora con l’accesso a Internet, la biblioteca non è più solo un deposito di libri: come vede questa evoluzione? F.P.: È una evoluzione che va di pari passo con i cambiamenti epocali che stiamo vivendo. Però, a ben guardare, non dobbiamo perdere di vista l’elemento centrale: che è quello della voglia di conoscere, di sapere, anche di svagarsi attingendo alla inesauribile fonte della creatività umana. 102 In questo senso i libri, i dvd, i supporti per ascoltare musica ci riconducono sempre e comunque alla cultura. Ad un sistema culturale che cambia magari i mezzi, non certo il fine: far crescere una comunità e chi la abita, la vive, la interpreta. RdF: Sembra che ormai il mercato dei libri in formato elettronico (gli e-book) abbia raggiunto, se non superato, quello dei libri stampati: le biblioteche trentine come affronteranno questa rivoluzione culturale? F.P.: Quella degli e-book è una rivoluzione in corso che le biblioteche trentine, chiamate ad essere sempre al passo con la contemporaneità, stanno vagliando nei suoi diversi aspetti con attenzione per riuscire ad adattare la propria offerta alle nuove modalità di lettura e consultazione che si stanno diffondendo nel pubblico. E questo è uno degli impegni attuali della Provincia: studiare gli aspetti tecnici e sperimentare questo nuovo tipo di offerta. RdF: Questa rivista raggiunge non solo gli iscritti all’associazione “Il Furore dei Libri” ma, grazie al Sistema bibliotecario trentino, riesce ad arrivare a quasi tutte le bibliote- che della provincia, portandovi la sua passione per il libro e per la lettura. Cosa pensa di questa forma di volontariato culturale? F.P.: Sono un lettore accanito anch’io. E non posso che essere ammirato rispetto a una associazione che rivendica con tale “furore” la sua passione per i libri e la lettura. Questo mi permette anche di ritornare su temi che hanno fatto capolino in questa conversazione. Perché certamente i grandi cambiamenti tecnologici in atto cambieranno, e di molto, il nostro approccio alla lettura. Peraltro questo avverrà, penso, soprattutto riguardo all’informazione, alla saggistica scientifica, ai giornali, alle notizie. Certo, gli e-book sono già abitudine: ma il caro vecchio libro, con quel suo profumo inconfondibile, con quel piacere unico che è rappresentato dallo sfogliare le pagine, ovunque e senza il timore che il supporto si “scarichi”, penso resterà a lungo. Voi, con questa bella rivista – specchio di passione autentica, generosa, libera – ne siete i migliori testimoni.❧ Franco Panizza 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI Il mestiere del tipografo a cura di Marco Zamboni Nei primi del Novecento in tipografia l’alternativa per i giovani all’apprendistato come compositore era quella di dedicarsi alla conoscenza dell’arte della stampa. Tale apprendistato iniziava all’età di 14 e, dopo le prime basi (comuni sia per l’apprendista stampatore che per l’apprendista compositore) di conoscenza della cassa dei caratteri e della marginiera, il giovane si metteva a disposizione dello stampatore esperto. All’inizio questi lo adibiva ai servizi più semplici, come, ad esempio, la pulizia e l’oliatura delle macchine da stampa. Tale operazione rivestiva all’epoca una grande importanza poiché, non essendo ancora stati inventati i cuscinetti a sfera, i movimenti delle macchine avvenivano grazie a perni ed ingranaggi che quindi dovevano essere perfettamente funzionanti. Proprio grazie a questa pratica l’apprendista capiva a fondo il funzionamento delle macchine. Allora in tipografia erano in uso tre tipologie di macchine da stampa: la platina a libro, la piano cilindrica ed il torchio. È bene ricordare che dopo il 18501880 il torchio classico perse la sua caratteristica di stampatrice per libri, in quanto furono inventate le macchine da stampa piano cilindriche (Koenig e Bauer) che meglio rispondevano alle necessità di velocità e qualità di stampa. Ricordo che nella tipografia di famiglia era presente un torchio di marca Dell’Orto della seconda metà dell’800 con formato di cm 35x50, che veniva utilizzato esclusivamente per la produzione di bozze di stampa. Tornando al lavoro in tipografia quando la forma, tenuta insieme con spago sottile (gavetta), era pronta per la stampa, veniva inchiostrata a mano con un rullo, utilizzando un inchiostro appositamente diluito con petrolio per evitare che si seccasse. La bozza di stampa veniva poi tamponata con talco per l’asciugatura e quindi letta ad alta voce dal proto ed ascolta- ta dall’apprendista che ne seguiva la lettura sull’originale del cliente. La bozza veniva poi eventualmente corretta dal compositore, ristampata dall’apprendista e presentata al cliente per l’approvazione finale. Dopo l’approvazione e le eventuali ultime correzioni, il lavoro passava finalmente alle macchine da stampa. Lo stampatore esperto decideva con che macchina era più conveniente stampare quel tipo di lavoro. Le riviste ed i libri venivano solitamente stampati in quartine sulla piano cilindrica che aveva un formato foglio di cm 50x70. Le quartine sono dei fogli di formato cm 50x70 o similari su cui sono stampate quattro pagine del libro da un lato e quattro dall’altro. Le pagine, sul fronte e sul retro del foglio, devono essere stampate a registro, quindi, guardando il foglio in trasparenza, si devono coprire perfettamente. I fogli stampati vengono poi piegati in quattro, badando che i numeri di pagina vengano posizionati in ordine crescente. FaMarco Zamboni L’apprendista stampatore IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 103 Il mestiere del tipografo cendo un esempio, per un libro di cento pagine si devono stampare dodici fogli da otto facciate piegate in quattro, più un foglio da quattro facciate. I fogli piegati sono detti segnature e queste vengono poi cucite a filo refe, unendole l’una con l’altra lungo la schiena. Cucite le segnature si procede all’incollaggio della copertina che fissa saldamente il tutto. La prima macchina tipografica piano cilindrica, è state inventate nel 1814 da Koenig e Bauer ed è rimasta in uso, con vari ammodernamenti, fino a pochi anni fa. La piano cilindrica è costituita da un piano, detto carro, che si muove avanti e indietro, sul quale è fissata la forma in piombo, e da un cilindro che, grazie a delle pinze, afferra e trasporta il foglio fino a farlo aderire alla forma posizionata sul carro. Quest’ultima, durante il movimento di avanti e indietro, prima di venire a contatto col foglio, passa sotto una serie di rulli che la inchiostrano. I fogli devono essere posizionati a 104 mano e a perfetto registro, sul piano di stampa, quindi la macchina prende il foglio, lo stampa e lo fa scivolare sopra dei cordini (fili sottili e robusti) posizionati sul piano di pareggiatura. Il lavoro di messa a registro a mano dei fogli, trattandosi di un’operazione di massima precisione e velocità, veniva svolta dall’operaio esperto; la piano cilindrica è infatti in grado di stampare fino a 1200 fogli/ora. L’apprendista aveva il compito di mettere un foglio bianco fra i fogli stampati che uscivano sul piano di pareggiatura, per evitare la controstampa, cioè che i fogli stampati, toccandosi l’uno con l’altro con l’inchiostro ancora fresco, si imbrattassero a vicenda. L’apprendista si preoccupava anche di controllare l’intensità dell’inchiostratura e la qualità di stampa in uscita, cose che lo stampatore esperto non poteva controllare se non fermando la macchina. La macchina stampava ovviamente un solo colore alla volta. Nel caso si volessero stampare più colori, la macchina andava lavata e preparata con il nuovo colore. Il foglio stampato a più colori doveva quindi fare un passaggio in macchina per ogni colore. Lo smontaggio della forma di stampa dal carro porta forma, la lavatura e la preparazione della macchina erano compito dell’apprendista, che in questa maniera imparava l’arte. Il montaggio della forma era invece compito dello stampatore esperto, che posizionava nella posizione corretta la forma, serrandola con i 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI Il mestiere del tipografo margini ed i serraforme in maniera perfetta, affinché il foglio risultasse stampato a perfetto registro. Nel caso in cui questo lavoro non fosse eseguito a regola d’arte, c’era il pericolo di rompere la forma e di danneggiare la macchina da stampa, oltreché i caratteri in piombo. Altre mansioni più delicate, come il cambio della maestra (il rivestimento di fogli di carta e cartone posizionati sul cilindro di stampa) e la registrazione dell’altezza dei rulli inchiostratori, erano compito dello stampatore esperto. La maestra doveva essere sostituita ad ogni nuovo lavoro in quanto i caratteri mobili nel loro passaggio, schiacciavano i fogli producendo un avvallamento, che, nel caso di stampa di una nuova forma, provocava una mancanza di pressione al carattere ed una stampa imperfetta. Anche la registrazione del calamaio dell’inchiostro e la realizzazione di colori particolari, attraverso la mescolatura di varie tinte era compito dell’operaio esperto. Durante queste operazioni l’apprendista faceva da aiutante per impratichirsi gradualmente. L’apprendista, dopo i primi mesi, incominciava a fare i primi esperimenti sotto l’occhio vigile dello stampatore, iniziando con lavori di poche copie in cui la quantità di inchiostro e carta richiesti è molto poca. La prima macchina da stampa utilizzata dall’apprendista era solitamente la platina a libro, macchina di piccolo formato per lavoro di poIL FURORE DEI LIBRI 2011/3 che copie. La macchina è costituita da un piano mobile (platina), che si chiude a libro su un piano fisso, dove è posizionata la forma in piombo. Quando il piano a libro si apre sulla forma passano dei rulli inchiostratori, poi il piano a libro si chiude portando il foglio di stampa a contatto diretto con la forma. Quando il piano a libro si apre, lo stampatore deve levare il foglio stampato e in contemporanea posizionarne uno nuovo da stampare. Il piano a libro mobile è munito di una leva, che, se abbassata crea la pressione necessaria perché avvenga la stampa. Questa leva la si utilizza anche per saltare un turno di stampa nel caso non si riesca a coordinare il movimento di levata del foglio stampato e posizionamento del foglio da stampare. Le regole di stampa della platina a libro sono simili a quelle della macchina piano cilindrica, ma l’inchiostrazione più limitata, dovuta alla presenza di cilindri più piccoli e meno numerosi, rende la qualità di stampa inferiore. Infatti, finché si tratta di biglietti da visita dove lo scarico dell’inchiostro è limitato va tutto bene, ma se si devono stampare dei fondi o dei caratteri grandi, allora ci sono grossi problemi. Anche la pressione di stampa non ha certo la qualità della macchina piano cilindrica. La qualità di stampa si può paragonare a quella del vecchio torchio, eccettuato per l’inchiostrazione che sulla platina a libro è più regolare. L’apprendista usa la platina a libro per stampare un po’ di tutto, dal biglietto da visita, all’annuncio di matrimonio, al volantino, all’invito. Gli inchiostri usati dall’apprendista normalmente sono: il nero, il rosso, il blu violaceo, il grigio e il seppia. Quando prepara mescolanze di colori ne usa una noce (piccola quantità) in quanto le tirature di stampa che deve fare sono piccole tirature e nel caso il colore non risulti quello voluto, lava la macchina e ne mescola di più corrispondente con poco spreco di inchiostro, viste le piccole quantità usate. Difficilmente realizza colori a campione del cliente, in quanto in questo caso le quantità diventano importanti, per poterne disporre anche per le successive ristampe. Le registrazioni sono simili a quelle della piano cilindrica. Il piano mobile di stampa deve venire fornito di maestra (rivestimento misto di carta e cartoncini) nuovo per ogni lavoro. La macchina viene anche usata per fare cordonature (pieghe) nei cartoncini e per fustellare etichette (tagliare in forme irregolari). In questo caso si levano i rulli inchiostratori in quanto l’inchiostro non serve. Nei cinque anni di apprendistato deve imparare i vari formati di carta e cartoncini che si possono ricavare da un foglio (di solito fogli di cm 70x100). Deve anche imparare a tagliare la carta con la taglierina in quanto spesso mancano dei fogli per finire la tiratura di stampa. Conoscere i vari tipi di carta e i formati di buste e impa105 Il mestiere del tipografo rare la posizione nel magazzino. Imparare l’assorbimento della quantità d’inchiostro, di ciascun tipo di carta. Il lato della fibra della carta, in quanto la copertura dell’inchiostro e la pressione di stampa, allunga la carta. Deve anche capire le varie lavorazioni successive. Se si realizzano dei blocchi si dovrà, oltre che stampare il foglio, anche forarlo e così via per le varie lavorazioni. La pulizia del posto di lavoro è una cosa che l’apprendista stampatore deve tenere particolarmente presente, infatti una piccolissima quantità d’inchiostro tipografico sporca una quantità enorme di cose, non ultimi i fogli stampati che in questo caso sono da buttare. Lo stampatore esperto riprende aspramente l’apprendista specialmente quando lascia le sue impronte (a somiglianza delle impronte prese dal- 106 la polizia) sui fogli stampati. Per mantenere le mani pulite, oltre che lavandole si usa anche il talco (saponaria). Lo stampatore aveva spesso le mani bianche di talco. Infatti le macchine possono essere sia unte di olio che sporche di inchiostro, per questo bisogna sempre essere muniti di straccio pulito. Lo stampatore usa anche la gomma morbida come ultimo rimedio per pulire le impronte. L’apprendista dopo i cinque anni di apprendistato dovrebbe avere tempi certi e veloci di realizzo dei lavori; buone capacità nella preparazione di colori speciali; precisione e qualità nella stampa; conoscenza di tutti i tipi di carta e delle loro caratteristiche; conoscenza delle varie lavorazioni successive della stampa e buon occhio per gli errori degli altri, in quanto essendo l’ultima lavorazio- ne è anche l’ultimo controllo, che non è propriamente il compito dello stampatore, ma l’errore penalizza soprattutto lo stampatore, che sarà costretto poi a ristampare il lavoro. Gli stampatori moderni usano in maniera massiccia il colore. A differenza degli stampatori passati, quelli attuali usano in sostituzione della stampa tipografica con i caratteri mobili, la stampa indiretta (offset) che raggiunge una qualità decisamente impensabile con i caratteri mobili e la stampa diretta. Anche gli inchiostri sono migliorati molto, aiutando gli stampatori, senza parlare della carta. Comunque l’arte dello stampare rimane un’arte difficile con mille problemi sempre nuovi che sorprendono anche lo stampatore esperto.❧ Marco Zamboni 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI Notizie dal furore Eventi del Furore Due nuove edizioni de Il Furore dei Libri I mercoledì del Furore Con settembre sono ripresi gli incontri del mercoledì che hanno visto la presentazione da parte degli autori di un libro di poesie e di un saggio. Il socio Italo Bonassi, noto poeta oltre che anima del gruppo “Poesia ‘83” e felice conduttore del Gruppo di lettura di poesia, ha presentato la sua ultima opera dal titolo piuttosto intrigante “Cominciamo dalla formica”. Numerosi e apprezzati gli interventi seguiti alla presentazione e alla lettura di alcune poesie tra le più significative, proposte con molta partecipazione dall’autore e da Giuliana Raffaelli. Altrettanto intrigante per il contenuto l’altro libro presentato: il saggio di Peter Disertori dal titolo “I segreti dei manoscritti di Qumran”. L’autore, anch’esso Socio del Furore, presenta il frutto delle sue ricerche sui “misteriosi” rotoli, condotte anche in loco e sulle interpretazioni e sui quesiti irrisolti che ancor oggi, a più di 60 anni dal loro ritrovamento, si affacciano nelle menti di chi se ne occupa. Dato il tema, il dibattito successivo non poteva che essere vivace e partecipato. La questione del Trentino La celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, ha visto il Furore partecipare con la riedizione di un’operetta che all’epoca ben rappresentava lo spirito patriottico dei trentini. Questa nostra regione che avrebbe dovuto aspettare quasi 60 anni per diventare italiana, già allora era patria di spiriti illuminati e sinceramente patriottici. Antonio Gazzoletti, deputato al primo Parlamento italiano, fu particolarmente attivo nel promuovere l’annessione delle terre trentine allo stato italiano e la sua opera La questione del Trentino [1860] fu ampiamente diffusa e commentata in tutta l’Europa. La sua tesi di un confine a Salorno e non sullo spartiacque alpino, riconoscendo che le terre del Tirolo del Sud non potevano dirsi italiane, non prevalse sullo spirito di chi pensava più ad un territorio meglio difendibile che ad un paese pacificamente più vivibile. La ristampa ha potuto godere dell’introduzione dello storico Fabrizio Rasera, Presidente dell’Accademia degli Agiati, che ben introduce Gazzoletti e ne fa capire il valore e l’importazza anche al giorno d’oggi. IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 L’Ebraica Tipografia Uscita in occasione della visita a quella cittdina e al suo Museo della Stampa con il titolo Indagini sull’epoca della fondazione dell’Ebraica Tipografia in Soncino. E altre notizie tratte dalla Biografia soncinate di Paolo Ceruti [1834] riporta, oltre alle cronache di Soncino dal 388 al 1814, una sintesi delle principali notizie riguardo alle prime edizioni a stampa in lingua ebraica. Nathan Samuele, i suoi figli e i loro discendenti appartengono alla storia della stampa per aver prodotto alcune delle più belle edizioni della Bibbia e di altri testi sacri in lingua ebraica. La loro storia rivive oggi presso il Museo della stampa di Soncino Frutto di una operosa ricerca del socio Giuseppe Gottardi, il libretto ha suscitato il vivo interesse del direttore del Museo della Stampa di Soncino e Presidente dell’Associazione Musei della stampa e della Carta che si farà cura di ristamparla per proporla ai visitatori di quel Museo. Entrambi i libretti sono stati stampati in tirature limitate e numerate per la distribuzione ai soci e agli appassionati.❧ MariaLuisa Mora 107 Hanno scritto per noi Sumaya Abdel Qader Nasce a Perugia da genitori immigrati giordano-palestinesi. Laureata in biologia, collabora con Università e scuole italiane tenendo conferenze, lezioni e corsi sul mondo arabo-islamico. È una dei fondatori dell’associazione GMI (Giovani Musulmani d’Italia). Nel 2008 ha pubblicato Porto il velo, adoro i Queen. Nuove italiane crescono. Chiara Agonigi Vive e lavora a Pisa dov’ è nata quarant’ anni orsono: fa l’ avvocato per vivere – civilista con lo sfizio da penalista – e scrive per sognare. Potrebbe vivere meglio ma sogna tanto. Collabora occasionalmente con la rivista “Diritto e formazione”; ha collaborato con il quotidiano on line “Il Cassetto.it”, nonché con la rivista “Nuove tracce” per la quale ha pubblicato alcuni racconti brevi. Carlo Andreatta È nato, e tuttora vive, nella città della Quercia. Insegna Lettere al “Marconi” di Rovereto. Versatile ed eterogeneo lettore, disdegna la scrittura sperimentale: insomma, gusti “classici” sia in letteratura che nel vestire. Oltre ad amare il cinema è un solitario camminatore. Scrive da sempre, e da sempre predilige tematiche care al “sociale” e alla critica letteraria. Andrea Angiolino È nato a Roma, giornalista, autore di giochi da tavolo, di ruolo, per radio e televisione, per riviste, per pubblicità, per eventi, per computer, per Internet... Ha all’attivo numerosi libri, tra cui Costruire i libri gioco e il Dizionario dei giochi Zanichelli con B. Sidoti. Le sue opere sono tradotte in una quindicina di lingue. Gianmario Baldi Nato a Mori nel Trentino è direttore della Biblioteca Civica - Archivi storici di Rovereto. Autore di saggi sulla storia delle bi108 blioteche e sulla gestione delle istituzioni culturali. Appassionato di montagna, ha scritto due guide di sci alpinismo. È uno dei soci fondatori del Furore Italo Bonassi Nato in Alto Adige da genitori istriani. Poeta, scrittore, saggista, critico e giornalista pubblicista, ha vinto con un saggio su Lionello Fiumi (L’altra metà) il secondo premio nel 1996 nel Premio Internazionale Letterario Jean Monet, di Genova. Presidente del Premio Nazionale di Poesia “La Rondine” e direttore responsabile di Quaderni, bimestrale di poesia e critica del Gruppo Poesia 83. Maurizio Casagranda Nato a Trento, ingegnere elettrico. Nel 2000 ha fondato lo Studio Bibliografico Adige che cura la ricerca, lo studio e la diffusione di libri e materiale cartaceo antico e usato. Con il Museo nazionale della Montagna, ha realizzato Dal Garda alle Dolomiti: alpinismo, viaggi, guerra e lavoro nelle montagne del Trentino Alto Adige e dei territori confinanti di Veneto e Lombardia: itinerario fotografico. David Cerri È nato, vive e lavora a Pisa, e tra la sua città e Roma alterna l’ attività professionale – è avvocato civilista – agli impegni nel campo della formazione forense. Autore di note e articoli su varie riviste giuridiche, ha curato alcuni volumi collettanei ed è l’ autore dei saggi raccolti in “Giustizia civile e formazione forense” (2009). Diego Cescotti Roveretano. Violinista, musicologo e docente di Conservatorio. Ha pubblicato volumi, saggi, articoli, cataloghi; organizzato convegni; tenuto conferenze; tradotto testi; ordinato fondi; ideato eventi; allestito mostre; realizzato spettacoli. È socio dell’Accademia degli Agiati, classe Lettere ed Arti. Dirige il Labora- torio Permanente e il Centro Studi «Riccardo Zandonai». Annamaria Cielo Nasce a Rovereto, vive a Volano. Scrive in italiano e in francese di poesia, di narrativa, critica e saggistica da più di trent’anni. Sette i libri pubblicati: sei in versi e un romanzo. Due sillogi e un romanzo sono inediti. Nel 2008, a Roma, ha ricevuto il Premio alla carriera e alla cultura “Omaggio a Giosuè Carducci”. Irene Comisso Diplomata in organo e composizione organistica, si è laureata in Musicologia e Beni musicali all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Attualmente svolge il dottorato di ricerca presso la Freie Universität di Berlino. Ha pubblicato contributi in lingua italiana e tedesca. Danilo Curti Nato a Rovereto. Musicologo, allievo di Laurence Feininger ha collaborato alle ricerche di partiture musicali del ‘400 e del ‘600, alle pubblicazioni della “Societas Universalis Sanctae Ceciliae” e alla costituzione della Biblioteca musicale Feininger, curandone nove monografie. Pubblicista, saggista e promotore di eventi musicali e artistici è presidente del Conservatorio musicale di Trento e socio fondatore del Furore. Igor De Amicis Scrive di diritto per Il Sole 24 Ore e ha curato diverse raccolte di saggi giuridici. Per la narrativa ha pubblicato svariati racconti in antologie. Ha partecipato alla realizzazione del Dizionoir e del Dizionoir del fumetto. Collabora con il portale Thrillermagazine e con la rivista Sherlock Magazine. Daniela Dalla Valle Trento. Laureata in Letteratura italiana con diplomi e varie specializzazioni rela2011/3 IL FURORE DEI LIBRI tive ai libri. Direttore dell’Ufficio per il Sistema bibliotecario trentino ha fondato e diretto la Biblioteca professionale specializzata in Biblioteconomia, Bibliografia e Promozione culturale e la Biblioteca provinciale specializzata in Letteratura giovanile. Peter Disertori Nato a Trento si è trasferito sul lago di Garda dove tuttora vive e lavora. Ha pubblicato romanzi e saggi con diversi editori: La panchina, Osteria al porto, Storia contro, La figura di Cristo tra ombre e luci, Naja l’ultima vacanza e Dolomiti di piombo. È co-autore delle antologie di argomento alpino: In punta di Vibram e Dna alpino. Sandro Dise È nato a Vienna. Di padre trentino e di madre giuliana, è cresciuto a Trento. Ufficiale degli Alpini, è stato prigioniero dei Tedeschi in alcuni Lager della Baviera e della Bassa Sassonia. Ha pubblicato due scritti a sapore storico-autobiografico, Un interno mitteleuropeo, dopo e Mondi in catene. Antonella Dorigotti Medico, pittrice, scrittrice. La brezza sussurra, 2003, premio Itas giuria; Arabeschi del mio cuore, 2009, libro di poesie finalista al Premio internazionale Autori per l’Europa e nello stesso anno ha pubblicato il libro per ragazzi Coccole di bisnonna. Anna Maria Ercilli Nata a Trento, vi abita. Studi tecnici e professionali. Ha lavorato nel Servizio Sanitario. Pubblica poesie e racconti, cinque plaquette dal 1983. Presente in antologie, riviste e festival di poesia. Collabora con la rivista R&S. Fotografa per passione. Cura il blog dopoilmattino. blogspot.com. Gabriele Falcioni Nasce ad Ancona. Ha pubblicato racconti in svariate antologie e, con il collettivo di scrittori Paolo Agaraff, ben tre romanzi: Le rane di Ko Samui, Il sangue non è acqua e Il quinto cilindro; con il collettivo Pelagio D’Afro I ciccioni esplosivi. IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 Federica Fortunato Diplomata in pianoforte e laureata in Lingue e Letterature Straniere, insegna Storia della Musica in conservatorio, dove conduce anche corsi di Espressione corporea secondo il metodo Martinet. È vicepresidente del Centro Internazionale di Studi “Riccardo Zandonai”. Contemporaneamente all’attività musicologica, ha sempre seguito progetti nell’ambito dell’educazione alla mondialità. Fernanda Gabrielli Mezzosangue trentino-tedesca (radici predazzane e berlinesi). Diploma di psicologa scolastica. Diploma di interprete per le lingue francese e inglese. Università di lettere ma insegnante per poco. Traduttrice per una casa editrice piemontese. Moglie e madre a tempo pieno. Renzo Galli Roveretano, si dedica al cross-publishing, all’editoria giuridica e al Furore dei Libri. Convinto che uno scrittore (così come un poeta), per definirsi tale deve essere posseduto dal relativo Demone, ha inutilmente cercato presso esorcisti e anche su eBay chi gliene potesse procurare uno (anche usato), così scrive per autocostrizione senza alcun afflato e spesso anche senza fiato. Francesca Garello Veneziana, vive a Roma. Scrivere, leggere e giocare sono le sue occupazioni preferite. È autrice di libri-gioco, giochi didattici a sfondo storico e moduli di ambientazione per giochi di ruolo. I suoi racconti sono comparsi su diverse antologie. È membro del collettivo di scrittori Carboneria Letteraria. Giuseppe Maria Gottardi Nato a Rovereto, medico, odontoiatra, medico-legale e medico volontario del Soccorso Alpino. Nel 1987 ha pubblicato: Anàmnesis – Colloquio Medico-Paziente in 5 lingue e I Mitocondri. A seguire nel 1999: Dottore mi fa male qui – Frasario e Dizionario per Turisti in 5 lingue; Mocca Cecca; Manuale per demòni di II° classe e nel 2007 Eroi o Traditori: I soldati trentini nella I Guerra Mondiale; nel 2011 Camminando nella storia. Gianfranco Grenar Contastorie multistrato, racconta storie in ogni forma lecita; racconti, romanzi, testi di canzoni, soggetti e sceneggiature. Come videomaker ha prodotto corti, booktrailer, spot, videoclip, documentari, sperimentazioni Giacomo Manzoni di Chiosca Nato a Milano. Ingegnere chimico, amante della vita semplice e della natura, nei momenti tranquilli e solitari compone poesie, racconti e favole. Dagli ultimi anni ‘90 ha iniziato a partecipare a concorsi letterari, ottenendo lusinghieri risultati Patrizia Marzadro Nata a Rovereto frequenta il liceo scientifico Rosmini. Ha tante passioni e tra queste anche quella di scrivere. Luca Matassoni È nato a Rovereto e risiede Isera (TN), lavora in banca. Ogni tanto, nelle ore notturne scrive racconti per mettere alla prova la sua immaginazione. MariaLuisa Mora Nata a Rovereto. È presidente de Il Furore dei Libri dalla sua fondazione Alessandro Morbidelli Progetta architetture e scribacchia per dispetto. Tutti progetti presi di petto e trattati allo stesso modo, con passione. Suoi racconti sono apparsi su antologie M-la rivista del Mistero, Bloody Hell. Storie di demoni e angeli caduti”, Uomini a Pezzi, Racconti Erotici. Ideatore del concorso grafico-letterario CisInTandem e curatore dell’antologia Onda d’Abisso. È membro della Carboneria Letteraria. Andrea Nicolussi Golo È nato a Trento. Troppo tardi per vivere l’antico mondo perduto dei contadini di montagna, ha appena avuto il tempo di respirare l’odore dei filò cimbri e l’aria densa di umori delle stalle nelle notti invernali. Pubblica i suoi racconti in lingua cimbra e tiene laboratori di lettura e scrittura cimbra presso l’Università di Trento. Franco Panizza È nato a Campodenno nella valle di Non. Lettore, scrittore, autonomista, è Assessore alla Cultura, rapporti europei e coo109 perazione della Provincia autonoma di Trento, responsabile del Sistema bibliotecario trentino. Ben Pastor Pseudonimo di Maria Verbena Volpi. Nata a Roma, cittadina italiana e statunitense. Docente di Scienze Sociali presso numerose Università (Ohio, Illinois, Vermont), accanto a un’intensa attività saggistica e didattica, si cimenta nel giallo storico vincendo numerosi premi internazionali. I suoi romanzi e i suoi personaggi (da Elio Sparziano a Martin Bora) sono letti in decine di lingue. Biagio Proietti Autore e regista romano. Negli anni ’70 protagonista della stagione dei grandi gialli televisivi Rai, con Coralba, Come un uragano, Lungo il fiume e sull’acqua, Philo Vance e altri, compreso Dov’è Anna? record d’ascolto nel ’76. Ha diretto Storia senza parole, film tv trasmesso in tutto il mondo, e per il cinema L’armadio, La casa della follia, La mezzatinta, Miriam e Sound con Peter Fonda. Autore per radio e teatro, ha scritto tre romanzi: Una vita sprecata, Io sono la prova e Il drago e la rosa. Alessandra Ravelli Torinese, lavora per il Museo Nazionale della Montagna ed è responsabile del servizio della Biblioteca Nazionale CAI. Ha collaborato con diversi periodici di settore. Chiara Ribaga Roveretana, ragioniera laureata in Lettere moderne, appassionata cacciatrice di refusi e di errori tipografici. Socia de Il Furore dei Libri fin dall’inizio e referente per il Gruppo di lettura. Mario Ricca Siciliano, ingegnere, editore. Esperto di 110 energie alternative e di edilizia sostenibile, si occupa di pubblicazioni tecniche e testi universitari. Con la sua casa editrice Edizioni Rendi pubblica Domus AureA, il magazine dell’edilizia sostenibile. Tersite Rossi Pseudonimo che nasconde due giornalisti/scrittori impegnati nella cosiddetta narrativa d’inchiesta. Ha pubblicato nel 2010 il romanzo È già sera, tutto è finito, ambientato nell’Italia delle trame: dal ‘68 al G8 di Genova, passando per le stragi dei primi anni ‘90. Rossella Saltini È nata a Milano e vive a Rovereto. Lettrice onnivora e scrittrice compulsiva coltiva la propria passione per la parola scritta frequentando laboratori e stages di scrittura creativa. Vincitrice di concorsi e premi letterari, nel 2010 è uscito il suo primo romanzo Il tempo dei quadrifogli di seta. Daniela Savoia Nata a Cesena dal 1998 è Dirigente del Settore Istituzione Biblioteca Malatestiana di Cesena. Autrice di saggi e di ricerche, curatrice di mostre, ha ricevuto nel 2010 Riconoscimento Fidapa 2010 per l’impegno per la valorizzazione moderna della biblioteca Memoires du Monde dell’Unesco. Maurizio Scudiero È nato e vive a Rovereto. Architetto e storico dell’arte moderna interessato particolarmente alle avanguardie storiche del novecento e soprattutto al Futurismo, nell’ambito del quale è divenuto specialista dell’opera di Fortunato Depero, R.M.Baldessari, ed altri. Ha organizzato oltre cento mostre in musei e gallerie private e ha pubblicato circa 200 tra libri, cataloghi e pubblicazioni di critica d’arte e grafica applicata. Giuseppe Tulli Vive a Roma dove è nato nel 1913. Si avvia al lavoro già all’ età di 12 anni e, frequentando le serali, arriva al diploma di ragioniere. Nel 1928 si impiega presso un grande Ente dal quale si congeda dopo 45 anni con la qualifica di Direttore Centrale, avendo conseguito, intanto (1945), la laurea in economia e commercio. e diventando Maestro del lavoro. In tempo di guerra è stato tenente dei bersaglieri. Negli anni 20,30 e 40 ha praticato molti sport. Bruno Zaffoni Roveretano, grafico di lungo corso per mestiere; narratore (e altro) per diletto. Suoi racconti sono presenti in rete e in varie antologie. Ha progettato e realizzato in successione le riviste di narrativa online I Vedovi Neri, Orient Express ed Exotica. Coinvolto in operazioni losche come Criminalcivico (col Museo Civico) e Rovereto in giallonoir e Parole per strada (con Il Furore dei Libri). Marco Zamboni Roveretano, tipografo di professione. Si è dedicato tutta la vita al lavoro nella ditta di famiglia fondata dal suo bisnonno nel lontano 1910 ed oggi in mano ai suoi figli. Ha una grande passione per la storia, che ama in tutte le sue sfaccettature Zia Camilla Roveretana. Scrittrice di fiabe per bambini Le storie di Distratto e Le prime storie di Distratto; di giochi didattici collettivi La fiaba delle 7 fontane. Si diletta di ricerche linguistico-gastronomiche con la collana I sapori del dialetto, pubblicando Pulinèra ‘n cusena. Lessico gastronomico romagnolo. 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI L’ ultima pagina a cura di Carlo Andreatta G iovanni Giudici è nato a Le Grazie (Porto Venere) il 26 giugno 1924; è scomparso a La Spezia il 24 maggio 2011. Trascorse i primi anni dell’infanzia nel paese natio, tra la casa dei genitori e quella dei nonni. La prematura morte della madre, l’8 novembre del 1927, ha lasciato nel poeta una “voragine di privazione” che con il passare degli anni si allargherà sempre di più. Giudici – nel 1933 – seguì il padre, che nel frattempo si era risposato, a Roma. Nonostante la famiglia si trovasse in gravi ristrettezze economiche, Giovanni si iscrisse al Liceo Classico «Giulio Cesare”». Nel 1942 decise di cambiare corso di laurea (inizialmente era iscritto a Medicina) e si trasferì alla Facoltà di Lettere, dove incontrò docenti che avrebbero segnato in modo indelebile la sua formazione umana e intellettuale: uno di questi era Natalino Sapegno. A Roma strinse amicizia con Ottiero Ottieri. Antifascista convinto, dopo l’8 settembre del 1943 Giudici partecipò alla clandestinità. Nel 1945, a Roma, si laureò discutendo una tesi in letteratura francese. L’esistenza di Giudici è piuttosto a zigzag: l’educazione cattolica, l’adesione al partito socialista e poi a quello comunista, l’amore per la poesia, le assidue letture (Montale, Quasimodo, Sereni, Penna, Saba), le prime traduzioni, l’esperienza nella Guardia di Finanza, l’impiego presso la Olivetti, la collaborazione a giornali e a riviste, l’interesse per la politica. A proposito della politica, negli anni Sessanta del secolo scorso, Giudici si definì un intellettuale non comunista che aveva sperato di trovare nel Pci una possibilità per realizzare la socialdemocrazia in Italia. Alla Olivetti di Ivrea il poeta ligure giunse nel 1956, e lì conobbe intellettuali come Nello Ajello, Giovanni Arpino, Beppe Fenoglio, Franco Momigliano, Luciano Gallino, Roberto Guiducci, Paolo Volponi, Franco Fortini, Giorgio Soavi, Leonardo Sinisgalli, Geno Pampaloni. Se i primi tentativi poetici risalgono al 1935, la prima raccolta in versi di Giovanni Giudici –“Fiorì d’improvviso”– venne pubblicata nel 1953. Da Ivrea a Torino, da Torino a Milano: Giudici collabora a giornali e a riviste, incontra Eugenio Montale, Vittorio Sereni, Giovanni Raboni, Elio Vittorini. La Milano del boom economico diventerà la sua città. Nel 2000, nei Meridiani, uscì “I versi della vita”, una silloge nella quale l’editore Mondadori ha riepilogato la lunga stagione del lavoro poetico di Giudici: da “La vita in versi” alle “Protostorie e poesie disperse” (la seconda edizione è del 2008). Giudici poeta, Giudici prosatore: nel 1996 è uscito il florilegio di saggi “Per forza e per amore” (Garzanti) e nel 1989 Mondadori ha pubblicato la miscellanea di prose “Frau Doktor”. Nel 1987 Giudici vinse il Premio (per la poesia) Librex Guggenheim-Eugenio Montale con il volume “Salutz”, un intenso e singolare poema d’amore pubblicato da Einaudi l’anno precedente. Giudici Carlo Andreatta Giudici, lo sgomento di esistere IL FURORE DEI LIBRI 2011/3 111 l’ ultima pagina è stato pure un attento e sensibile traduttore (di Shakespeare, Donne, Milton, Dickinson, Yeats, Frost, Stevens, Pound, Eliot, Plath e molti altri): “A una casa non sua” (Mondadori 1997); “Eugenio Onieghin (Evgenij Onegin) di Aleksandr Sergeevic Puškin” (Garzanti 1999); “Addio, proibito piangere e altri versi tradotti” (Einaudi 1982); “Vaga lingua strana” (Garzanti 2003). Ai bambini, per avvicinarli al mondo della poesia, Giudici ha dedicato “Scarabattole” (Mondadori 1989). Nel 1991, per le edizioni “costa&nolan” è uscito “Il Paradiso. Perché mi vinse il lume d’ esta stella”. La parola poetica di Giudici è colloquiale, caratterizzata da una “controllata inquietudine”, capace di trasmettere, con una forte dose di ironia, la solitudine angosciante – quasi kafkiana – di un individuo, smarrito e alienato, che è costretto a confrontarsi con le dinamiche del lavoro all’interno di un contesto urbano-industriale. Anche se a Giudici non piacevano categorie e tematiche rigide – che avrebbero potuto soffocare la “sua parola” – credo che per meglio comprendere il suo percorso poetico, si possano individuare tre direttrici: l’ostinata ricerca di una vita in versi; l’esplorazione del lavoro, soprattutto quello dell’impiegato; il padre, “quel padre specializzato nel nascondersi, nello scantonare dall’esistenza, nel tentativo di sfuggire ai creditori: ‘Il male dei creditori’ è un altro suo canonico titolo” (Franco Cordelli). Sempre Cordelli ha definito “prodigiosa” la tecnica poetica di Giudici: “una delle più elaborate e delle meno visibili del secondo Novecento”. Giudici è stato anche un ottimo giornalista: ha collaborato con “Comunità”, “Rinascita”, con il “Corriere della Sera”, con “L’Espresso”, “L’Unità”, il “Secolo XIX”. Molti i critici e gli studiosi che si sono occupati della poesia di Giudici: Franco Fortini, Giansiro Ferrata, Fernando Bandini, Mario Picchi, Alfonso Berardinelli, Costanzo Di Girolamo, Carlo Ossola, Pietro Citati, Massimo Bacigalupo, Rodolfo Zucco. Anche i poeti Andrea Zanzotto e Giovanni Raboni hanno dedicato intense e luminose pagine alle raccolte di Giudici. Lasciata Milano quasi un decennio fa, il poeta-traduttore era tornato a Le Grazie, dove era nato 87 anni fa.❧ Carlo Andreatta La storia Lo spazio di ogni vita di uomo dura la storia – non è vero che dura millenni.* * giovanni giudici, “Pantomime di Praga”, da I versi della vita, Mondadori, Milano, 2000, pag. 227. 112 2011/3 IL FURORE DEI LIBRI