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Sommario
Articoli
2
Rubriche
editoriale
49
Conversazioni
bibliofile
Sulla bibliomania
(quater)
Giuseppe Maria Gottardi
4
Lettori al bivio
Andrea Angiolino
16
La formazione di una
cultura personale:
infanzia e adolescenza
Sandro Dise
26
Tridentini scriptores
prohibiti III
Giuseppe Canestrini
58
libri di confine
Also sprach Winnetou
Peter Disertori
61
musicobibliofilia
Una rarità musicale
Irene Comisso
66
libro chiama libro
Un progetto di nome libro
Giuseppe Maria Gottardi
David Cerri
40
71
Suggestioni marine
nella musica d’arte
Diego Cescotti
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
parlando di libri...
Cartolina dalla fossa
Anna Maria Ercilli
73
lo scaffale
Italiano:
una storia da conoscere
Italo Bonassi
82
E
Quando il libro è
un giocattolo
Francesca Garello
87
galeotto fu il libro
S’ ei piace, ei lice
Antonella Dorigotti
88
topi di biblioteca
Le ore del mattino...
I tesori della
Biblioteca civica III
Giuseppe Maria Gottardi
101
promuovere lettura
Amministrare cultura
Franco Panizza
103
i mestieri del
tipografo
L’ apprendista stampatore
Marco Zamboni
107
attività del furore
Vita dell’ Associazione
Rossella Saltini Due nuove edizioni del Furore
Hanno scritto per noi
90
111
biblioteca mon amour
In memoriam
Stefano Piffer e
Giovanni Caliò
l’ ultima pagina
Giudici, lo sgomento di
esistere
Gianmario Baldi
Carlo Andreatta
1
Editoriale
N
umero 3.
Il mio primo incontro con i “bivi” risale agli anni
‘60 quando, sognando un futuro da psicologo, mi imbattei nell’ opera di B.F. Skinner e nei primi prodotti delle sue teorie sull’ apprendimento. I volumetti della collana di apprendimento programmato (la famosa Tutor della Vallecchi) erano neri, pesanti, eleganti: non si potevano leggere come un normale manuale
dalla prima all’ ultima pagina, ma i “salti” erano guidati dalla
correttezza delle risposte che veniva chiesto di dare. Da allora la
lettura non-lineare ne ha fatti di passi: dal mondo “seriosamente”
scientifico a quello “gioiosamente” più gradevole della narrativa
come ben ci illustra Andrea Angiolino, il maggior esperto italiano
di questo genere letterario, con un articolo/saggio “a bivi” che rappresenta un unicum nel panorama delle riviste come la nostra. E
se dopo averlo letto (o sarebbe meglio dire “esplorato”?) qualcuno
si chiederà “Ma dove si andrà a finire?”, si può solo consigliargli di
aspettare i prossimi numeri de «La Rivista del Furore»...
Questo numero intanto, prosegue nel suo intento di scoprire ed
esplorare le varie facce del mondo dei libri e delle esperienze di lettura, antiche e futuribili.
Quanto può influire la lettura sulla formazione di una cultura
personale? La risposta proveremo a darla in tre puntate. Nella prima, su questo stesso numero, avremo anche modo di riflettere come l’ aver a disposizione libri e un ambiente favorevole al loro impiego non supplisca alla volontà e all’interesse personale del giovane che cresce.
Si continua con un invito a passeggiare sulle affascinanti rive di
un mare nel quale le onde sonore di sinfonie immortali si mesco-
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2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
lano con versi altrettanto immortali e, leggendo oltre, potremo anche immaginare di sentire in lontananza là, dalle remote isole dei
tropici, il Canto degli Antropofaghi. Di questa chicca musicobibliofila potete anche farne una suoneria o semplicemente ascoltarla scaricandola dal nostro sito.
Per il resto: bibliomanie, gioielli bibliofili da riscoprire sotto casa, progetti di lettura, un Salgari di lingua tedesca, innamoramenti letterari, ricordi di quando l’italiano non era ancora lingua, ritratti, libri giocherecci e le fatiche per imparare l’arte dello stampatore. Anche questa volta ce n’ è per tutti i gusti o, almeno, lo
speriamo.
S
tanno arrivando i primi racconti brevissimi sul tema “Il libro
perduto” per il nostro concorso «Parole per strada - 2011».
Ricordiamro che i Soci del Furore sono “naturalmente” invitati a partecipare e che quest’anno la Mostra dei racconti vincitori avrà anche una versione “light” e sarà portata nei comuni
trentini e presso alcune biblioteche di altre regioni.
I racconti partecipanti saranno pubblicati nell’ Antologia di
Parole per strada. Partecipate!
Il Canto degli Antropofaghi nell’ esecuzione di un coro virtuale,
trascrizione ed elaborazione digitale di R. Galli
http://www.ilfuroredeilibri.org/download/antropofaghi.mp3
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
3
Lettori al bivio
Andrea Angiolino
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2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
lettori al bivio
1
Racconti e romanun solo inizio ma molti
I diritti imprescindibili del lettore
zi, di norma, sono
finali, scritte apposta per
fatti per essere letti
essere fruite secondo perI. Il diritto di non leggere
dall’ inizio alla fine. Il letcorsi zigzaganti e saltaII.
Il
diritto
di
saltare
le
pagine
tore rispettoso dell’ opera
beccanti che portano a
III.
Il
diritto
di
non
finire
un
libro
ben si guarda dal saltarleggere solo una parte di
ne dei pezzi, leggere i paquanto l’ autore ha scritIV. Il diritto di rileggere
ragrafi balzando avanti e
to.
V. Il diritto di leggere qualsiasi cosa
indietro per le pagine,
Progettate per essere
VI. Il diritto al bovarismo
abbandonare la lettura
magari lette ripetuta(malattia testualmente contagiosa)
prima di averla portata a
mente, dando ogni volta
VII. Il diritto di leggere ovunque
termine, salvo gravi casi
vita a una trama diversa.
di eccessivo tedio o reSi tratta di libri che
VIII. Il diritto di spizzicare
pulsione per quanto si è
ramificandosi sviluppaIX. Il diritto di leggere a voce alta
letto. Nonostante che fra
no tanti possibili futuri
X. Il diritto di tacere
i diritti del lettore Pennac
di una stessa vicenda:
Daniel Pennac, Come un romanzo
annoveri quelli di saltare
ma non è un labirinto
le pagine, non finire il licostruito per far perdebro, spizzicare.
re il lettore, come in
Ma questo modo ordinato di leggere non è scontato e certe fantasticherie di Borges, perché un filo di
universale. Gli anni ‘80 del secolo scorso hanno visto il Arianna costituito da paragrafi numerati e rimandi
successo dei libri-gioco: un filone di storie curiose, con lo guida a costruire la storia.
2
Se vuoi un esempio di come funzionano i libri-gioco, vai al paragrafo 12
Se credi che un esempio non ti serva, vai al paragrafo 10
Se l’ accenno a Borges ti stuzzica, vai al paragrafo 4
Mozart, per citare un caso illustre, aveva preparato più di una conclusione per il proprio Don
Giovanni, da usare a seconda dell’ umore del
pubblico: lui stesso lo diresse sia con un epilogo drammatico che con un lieto fine. Il cinema ha ereditato questa tradizione, che in tempi relativamente recenti è attestata dal film Signori, il delitto è servito (di Jonathan
Lynn, USA 1985) non a caso ispirato al gioco da tavolo
Cluedo: sono stati infatti girati ben tre finali diversi, che
all’ uscita erano proiettati in sale differenti. L’ edizione
per l’ home video, così come la localizzazione per i cinema italiani, prevede invece la visione di tutte e tre le
conclusioni l’ una dopo l’ altra. Pare che varie telenovelas via cavo siano state realizzate negli Stati Uniti predi-
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
sponendo per ogni puntata due finali, tra cui il pubblico
sceglieva in diretta il preferito; la puntata successiva veniva poi girata di conseguenza.
Da noi, un meccanismo del genere è stato proposto
tra il 1969 e il 1970 da Gianni Rodari in una trasmissione radiofonica dove raccontava favole che avevano appunto più finali, tra cui i piccoli ascoltatori potevano selezionare quello che preferivano. Si trattava di una scelta esplicita fra più possibilità, esattamente come quella
dei libri-gioco: l’ unica differenza è che in questi ultimi i
bivi nella trama si succedono l’ uno dopo l’ altro, mentre
nelle favole di Rodari vi era uno solo snodo fra l’ inizio
e la fine della storia. Le vicende narrate durante la trasmissione sono state successivamente raccolte in Tante
5
Andrea Angiolino
storie per giocare (Editori Riuniti, Roma, 1971), assieme
anche alle considerazioni dell’ autore – talvolta alquanto
3
moraleggianti – su quale sia ogni volta l’ epilogo che i
bambini dovrebbero preferire e perché.
o9
Se vuoi scoprire cosa avevano fatto nel frattempo i colleghi stranieri di Rodari 14
Se vuoi sapere cosa abbia davvero ispirato direttamente i libri-gioco o
Ad oggi, il libro-gioco è un fenomeno che conta
soprattutto numerosi appassionati collezionisti,
alla continua ricerca dei libri pubblicati ai tempi
d’oro del millennio scorso. Ma anche se le uscite sono
assai più rade che un tempo, il filone è ancora vivace.
Per i più piccoli, nel 2005 è uscito un libro-gioco per
chi non sa laggere: Il Mischiastorie - Osvaldo e i cacciatori (di Andrea Angiolino, illustrazioni di Valeria De
Caterini, Edizoni Lapis), composto da schede esclusivamente illustrate che vanno affiancate l’ una all’ altra con
un meccanismo che ricorda quello del domino, per garantire storie sempre coerenti che dallo stesso inizio
portano a uno dei sette possibili finali tramite molti
percorsi possibili.
Al di fuori della narrativa, nel 2006 è stato dato alle
stampe il libro di Antonio Tabucchi L’ oca al passo - notizie dal buio che stiamo attraversando (ed. Feltrinelli)
che a cura di Simone Verde raccoglie articoli ripresi da
quotidiani e altri interventi dell’ autore sull’ attualità;
ogni singolo pezzo è lineare, così come era precedentemente apparso sui periodici, ma è l’ antologia nel suo
complesso ad essere costruita come un libro-gioco perché i raccordi consentono di balzare da un brano all’ altro a seconda delle proprie scelte, componendo così
percorsi di lettura differenti.
Nel 2006 Mondadori ha tradotto in italiano alcuni libri-gioco dedicati ai personaggi delle Superchicche,
mentre l’ anno dopo Piemme ha inaugurato la collana
per ragazze La Protagonista sei Tu della scrittrice Elena
Mora. Sempre nel 2007 è uscito È un gioco da ragazze di
Heather McElhatton (Sperling & Kupfer Editori, Mila-
no, 2007): un romanzo per un pubblico relativamente
più adulto composto da oltre 700 pagine, che le lettrici
percorrono saltabeccando secondo il più classico meccanismo del libro-gioco. Peccato che non sia invece
pubblicato in Italia LifÈs Lottery di Kim Newman (Simon & Schuster, 1999), meno superficiale romanzo su
un bimbo inglese degli anni ‘50 alle prese con la crescita
e l’ età adulta, in cui la struttura della narrazione a bivi è
anche occasione di riflessioni sulla predestinazione, i
casi della vita, i privilegi di essere nato in un certo tempo e in un certo luogo piuttosto che in altri.
Nel 2009 Frank J. Martucci ha pubblicato il librogioco Huntik - Librogame - La città di Atlantide (ed.
Fabbri), tratto dal cartone animato Huntik, mentre nello stesso anno è uscito Minaccia su Gorm (di Fabio Fracas, ed. De Agostini) nel modo dei Gormiti. A dicembre 2009 per Lineadaria è uscito nella biblioteca Libramanti di Giliana e Giovanna Casagrande e Marzio Dal
Tio. Gli ultimi arrivati, nel 2011, sono due semplici libri
a bivi per bimbi: I Mille e una storia – Duevolte e l’ unità
d’Italia di Emiliano Di Marco (Nuova Frontiera) sul
nostro Risorgimento e Il cavaliere Coraggio di Delphine Chedru (Panini), ricco anche di piccoli enigmi.
Che si tratti di un passatempo per bambini o adulti, o
anche di una possibile forma di espressione letteraria, il
libro-gioco ha evidentemente ancora qualcosa da dire.
Può essere poco alla moda, ma certo saprà dare soddisfazione ai suoi nuovi lettori: soprattutto a chi vorrà andare a scavare negli scaffali di biblioteche e librerie
dell’ usato, alla ricerca dei molti ipertesti cartacei di questo genere già realizzati in passato.
FINE - Ma se vuoi puoi tornare indietro e cominciare l’ esplorazione da capo.
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2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
lettori al bivio
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Spesso la realtà è prefigurata dalla fantasia e gli
scrittori immaginano cose che solo più tardi
verranno realizzate. Di libri che sviluppano una
stessa vicenda in più modi possibili aveva già fantasticato Jorge Luis Borges immaginando autori bizzarri e
opere curiose. Nel racconto “Il giardino dei sentieri che
si biforcano”, apparso ne La Biblioteca di Babele (Einaudi, Torino, 1955, poi ripubblicato nel 1961 come Finzioni), aveva vagheggiato di un romanzo che è una labirintica metafora del tempo:
“In tutte le opere di immaginazione, ogni volta che un
uomo ha davanti diverse alternative, ne sceglie una e
5
scarta le altre; in quella del quasi inestricabile Ts’ui Pen,
sceglie - simultaneamente - tutte le alternative. Crea, così,
diversi futuri, diversi tempi che a loro volta proliferano e
si biforcano.”
La stessa antologia include anche “Esame dell’ opera
di Herbert Quain”, dove lo scrittore argentino descrive
un altro libro immaginario: April March (Marcia di
Aprile, ma anche Aprile Marzo) che questa volta si biforca all’ indietro, proponendo per una vicenda tre possibili antefatti che a sua volta ne hanno ciascuno altri
tre, annoverando così nove possibili punti di partenza
per uno stesso episodio.
o 18
o9
Se ti piace sapere a cos’altro possa portare la fantasia degli intellettuali Se preferisci invece qualcosa per il fanciullino che è in tutti noi Anche gli autori italiani si dedicano comunque
alla stesura di libri-gioco. I primi due titoli sviluppati in Italia appaiono contemporaneamente
nel giugno del 1987. In Cerca di Fortuna di Andrea Angiolino (edizioni Ripostes) è un libro gioco classicamente fantasy, sviluppato “a rete” anziché “ad albero”: si
può quindi tornare più volte a esplorare gli stessi luoghi
in cerca di un mitico tesoro, ma gli eventi precedenti influenzano ciò che vi si trova e che accade. Di ambientazione più inconsueta è Il presidente del consiglio sei tu di
G&L, (Oscar Mondadori), decisamente dedicato a un
pubblico adulto: provate a tentare la fortuna in politica,
scegliendo innanzi tutto se schierarvi con la maggioranza o con l’ opposizione. L’ intento satirico è forte:
all’ inizio occorre scegliere per il proprio personaggio
alcune caratteristiche, ma avere “competenza” è pericoloso perché si rischia di diventare stimati professori
universitari e vedere così naufragare le proprie aspirazioni alla massima carica politica italiana. Non si sa se il
volume abbia ispirato la discesa in campo di futuri premier estranei alla politica: certo è che ha avuto successo,
tanto che l’ anno successivo gli stessi autori pubblicano
nella medesima collana Carriere, libro gioco dedicato
alla ricerca del successo nella vita. Seguono poi negli
Oscar diversi volumi-gioco fantascientifici dedicati al
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
Ciclo della fondazione di Isaac Asimov, che la Mondadori lascia credere scritti da quest’ultimo benché siano
in realtà l’ italianissima creazione di Leonardo Felician.
La Giunti Marzocco si getta nella produzione autoctona di libri-gioco affidandosi all’ abile autrice Stefania
Fabri. A lei si deve una collana con titoli specificamente
dedicati a lettori o lettrici: i primi quattro titoli sono Tu
sei il principe; Tu sei la principessa; Tu sei il mago e Tu sei
la maga. La medesima casa editrice non disdegna comunque le traduzioni: pubblica infatti sia libri che hanno per protagonista bambini di paesi remoti, sia volumetti più adulti a tema poliziesco e sportivo, tutti di fattura forestiera.
La stessa Stefania Fabri inserisce, in fondo ad alcuni
libri di lettura scolastica da lei curati, brevi raccontigioco a tema: non è la sola, perché altri ne appaiono in
diversi sussidiari e libri di testo. La potenzialità didattica di questo strumento è in effetti forte e numerose classi usano lo schema del libro-gioco per attività di scrittura collettiva dove non è necessario far prevalere a ogni
momento un solo suggerimento sullo sviluppo della
storia, ma se ne possono accogliere contemporaneamente più di uno.
Nel 1998 l’ Assessorato alle Politiche Giovanili del Comune di Roma arriva a realizzare un concorso di scrit7
Andrea Angiolino
tura di libri-gioco nelle scuole per sensibilizzare sul
problema del vandalismo grafico su muri e monumenti: l’ esperienza ha successo e viene ripetuta per esempio
a Lucca, su temi ambientali legati alla raccolta e al riciclio dei rifiuti.
Alla fine anche la E.Elle, editore esterofilo quant’altri
mai, decide di aprirsi agli autori nostrani, ma solo in
una collana di prime letture: Paola Sacchi rivisita così
Cenerentola, Il gatto con gli stivali e Il soldatino di stagno consentendo a chi ha appena imparato a leggere di
personalizzarle secondo il proprio gusto, o anche di
stravolgerle completamente.
o
6
3
Per scoprire come ancora oggi gli autori italiani e stranieri si diano da fare Per vedere come abbiano esplorato possibilità più tecnologiche rispetto a libri e riviste Fra traduzioni e creazioni locali, nella seconda
metà degli anni ‘80 e nei primi anni ‘90 il fenomeno dei libri-gioco diventa veramente di massa anche in Italia. Editori grandi e piccoli si buttano nel
settore con titoli dai soggetti più diversi. Alcuni volumi
fotografici consentono di immedesimarsi in una lontra,
un cervo, una volpe, uno scoiattolo; decine di foto d’epoca illustrano un titolo sugli aerosiluranti Savoia Marchetti della seconda guerra mondiale; un libro propone
di effettuare o di sventare (dipende dalla prima scelta)
un attentato dinamitardo al Parlamento inglese.
Il libro-gioco arriva in edicola, non soltanto con la distribuzione di agili volumetti Mondadori dedicati ai
bambini. La rivista “Storia e Dossier” allega, per tre
estati consecutive, altrettanti libretti di ambientazione
storica sul medio evo, sull’ antico Egitto e sulle imprese
di Lawrence d’Arabia scomodando perfino lo storico
7
Jacques Le Goff per poterne apporre il nome in copertina. Brevi racconti iniziano ad apparire su riviste di ogni
genere tra cui “L’ Espresso”, “Nuova Ecologia”, “L’ Eternauta”, “Kaos” e il supplemento giochi di “Sorrisi e Canzoni TV”. Il giornale “Il Manifesto” ritrova la vocazione
divulgativa dello strumento dei rimandi e pubblica due
articoli-gioco: il primo è “La sorpresa di Ulisse”, il 28
maggio 1989, sulla letteratura potenziale e le sue applicazioni, cui fa seguito “Simulandia”, il 24 dicembre 1989,
che guida il lettore tra le novità ludiche da regalare a Natale. Perfino il settimanale “Topolino” pubblica diverse
storie a bivi che hanno per protagonisti topi e paperi disneyani; volumi-gioco che mescolano testo e fumetto
sono invece dedicati ad Asterix, a Lupo Alberto e a
Dudley Serious, improbabile supereroe creato appositamente in America per diventare il protagonista di fumetti-gioco.
o 11
Se credi che il meccanismo delle biforcazioni non sia solo adatto a libri e fumetti 3
Se ti pare che parliamo di un fenomeno ormai vecchio e fuori moda L’ abolizione della lettura sequenziale non è confinata alla saggistica: anche la letteratura se ne
appropria, benché assai tardi. Attorno al 1960
appare per esempio Cent mille milliards de poèmes di
Raymond Queneau: un libro che contiene appunto centomila miliardi di sonetti, ma in sole 10 pagine. Ognuna
di esse è infatti divisa in 14 strisce, ciascuna contenente
un verso, che possono essere girate separatamente dalle
altre: è così per esempio possibile leggere in sequenza il
primo verso della terza pagina, il secondo verso della
8
o 11
o
nona, il terzo verso della prima pagina e così via. Le
combinazioni, tutte formalmente corrette, sono appunto 100.000.000.000.000; parlando di questo originale sistema per generare testi, nella postfazione, François Le
Lionnais conia la definizione di “letteratura combinatoria”.
Il trucco di suddividere una trama su più cartoncini
verrà poi utilizzato anche da alcuni scrittori per bambini che invitano a prendere uno dei possibili inizi, uno
dei possibili proseguimenti e così via fino a uno dei pos2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
lettori al bivio
sibili finali, per combinare ogni volta una favola diversa.
Altre opere combinatorie non pongono vincoli su cosa debba costituire l’ incipit, cosa il corpo centrale, cosa
il finale.
1962, Marc Saporta pubblica ad esempio il romanzo
Composition numéro n. 1: comprende 150 pagine non
numerate che il lettore dovrebbe rimescolare casualmente come un mazzo di carte prima di cominciare la
lettura.
Proprio alle carte da gioco si ispira fin dal titolo Juego
de cartas di Max Aub, pubblicato un paio di anni dopo
e realizzato sotto forma di un mazzo di 106 carte che riportano sul retro gli arcani minori dei tarocchi. Occorre mescolarle e leggerle in un ordine casuale: ogni carta
riporta una diversa lettera di un disordinato carteggio,
che a ciascuna lettura assume diversi significati a seconda di quelle che sono state lette prima di essa. A tradurre in italiano quest’ opera curiosa sono Arnaldo Cecchini e Rosa Sodero, che ai tarocchi sostituiscono le tessere
del domino: il risultato di questa fatica si trova allegato
al prezioso saggio di Beniamino Sidoti Giocare con le
storie – modi, esercizi e tecniche per leggere, scrivere e
raccontare (La Meridiana, Molfetta, 2001).
Al rimando da un paragrafo all’ altro, che come ab-
biamo visto è proprio il meccanismo che caratterizza i
libri-gioco, ricorre invece Julio Cortazar che nel 1963
pubblica Rayuela: un romanzo combinatorio i cui 155
capitoli si possono leggere seguendo due differenti percorsi, di cui uno procede lungo la normale successione
delle pagine mentre l’ altro viene suggerito indicando
una diversa sequenza dei numeri dei vari paragrafi. Nel
1966 viene tradotto in inglese con il titolo di Hopstotc
mentre in Italia è pubblicato da Einaudi intitolandolo Il
gioco del mondo: come nelle altre lingue citate il riferimento è al gioco detto anche campana, paradiso, settimana o in altri modi ancora, dove su una serie di caselle tracciate al suolo si lancia un sasso da recuperare balzando su un piede solo.
Seguendo suggestioni enciclopediche, Milorad Pavic
crea invece un’ opera letteraria dove il lettore non si trova davanti a uno o più percorsi imposti ma si crea i propri: Il Dizionario dei Chazari, dato alle stampe da Garzanti nel 1988.
Questi esperimenti letterari non si configurano però
come narrazioni a bivi, e quindi come libri-gioco in
senso proprio. I quali hanno piuttosto fra i loro antenati le opere con finali multipli, presenti ad esempio nella
lirica.
o
2
Se il discorso dei finali alternativi ti interessa iSe ai passatempi più tradizionali come domino, campana e carte
13
preferiresti qualche gioco più innovativo 18
Se vuoi saperne di più su Queneau e i suoi compagni di gioco Se ti pare che un bibliotecario argentino non possa essere lasciato fuori da un discorso del genere o
8
Giochi di ruolo e avventure per computer influenzano lo sviluppo del filone dei libri-gioco,
rendendoli ancora più “gioco” e più attraenti
per giovani e adulti. Il primo libro-gioco di questo tipo
che arriva in Italia è Lo stregone della montagna infuocata, di Steve Jackson e Ian Livingstone: pubblicato in Inghilterra nel 1982 dalla Puffin Books, editore da grande
distribuzione, appare da noi tre anni più tardi grazie alla Supernova di Milano. Risolvere l’ avventura raggiungendo uno dei finali vittoriosi è complicato e impegna-
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
o
o4
tivo quanto in un’ avventura per computer; il racconto è
ricco di ostacoli, trappole, mostri e magie quanto un’ avventura di gioco di ruolo. La differenza fra i tre modi in
cui il giocatore interagisce con la storia è che nel gioco
di ruolo egli può improvvisare qualunque azione gli
venga in mente ed è il narratore a inserirla coerentemente nella vicenda; nell’ avventura per computer il
giocatore può ovviamente fare solo ciò che ha previsto
l’ ideatore del gioco, ma le possibilità non sono palesi ed
esplicite; nel libro-gioco sceglie fra le diverse opzioni che
9
Andrea Angiolino
gli sono esplicitamente presentate, anche se un bravo autore sa dissimulare le conseguenze ultime di ogni scelta e
salvare così i colpi di scena e la difficoltà di soluzione del
gioco.
La derivazione di libri-gioco come questo dai giochi
di ruolo si vede anche nella presenza di alcune regole simulative che si affiancano al semplice meccanismo dei
rimandi: prima di cominciare la partita il lettore deve
determinare i punteggi di alcune caratteristiche del proprio personaggio e sceglierne l’ equipaggiamento; regole apposite e lanci di dado intervengono durante la lettura in caso di combattimenti, lancio di incantesimi e
altre eventualità, proprio come nei giochi di ruolo.
La traduzione che la Supernova fa de Lo stregone della
montagna infuocata è viziata da alcuni errori di stampa,
che in un libro-gioco possono essere assai deleteri minando l’ affidabilità del meccanismo e rendendo impossibile il corretto passaggio da un paragrafo all’ altro. Inoltre
la casa editrice non è particolarmente robusta e presto
chiude. Il successo nostrano del filone arriva quindi piuttosto da un altro analogo titolo, anch’esso tradotto dall’ inglese: I signori delle tenebre (E.Elle, Trieste 1985) di Joe
Dever e Gary Chalk, che inaugura la saga fantasy di Lupo
Solitario ad oggi composta di 28 volumi.
o
9
17
Se vuoi approfondire il fenomeno originato da questa collana Se preferisci guardare a titoli più inconsueti proposti da altre case editrici Il 1967 vede nascere il primo autentico librogioco, grazie all’ editore Anthony Blond di
Londra. Scritto da Edmund Wallace Hildick, si
rivolge ai bambini e si intitola Lucky Les: The Adventures
of a Cat of Five Tales. Un prodigioso gattino è protagonista di mirabolanti avventure determinate dalle scelte
di chi legge. Il volume viene tradotto in tedesco.
Seguono altri libri analoghi: nel 1970 è la volta di Betty Orr-Nilsson, che pubblica in Svezia il libro-gioco per
bambini Den mystiska påsen su un misterioso caso di
furto di gioielli. Anche questo libro viene tradotto al di
fuori della terra di origine, sia in tedesco che in danese.
10
Pure in Italia il libro-gioco si rivolge inizialmente al
pubblico infantile, ma grazie a una traduzione e non a
un prodotto autoctono: si tratta di Sugarcane Island, che
la Vermont Crossroads Press ha pubblicato nel 1976.
L’ avvocato Edward Packard, lo ha scritto per i propri figli nel 1969: racconta le vicende di un ragazzino naufragato come un novello Robinson Crusoe su un’ isola misteriosa, alle prese con i problemi di sopravvivenza e
con tutte le insidie di una simile situazione. Le Nuove
Edizioni Romane lo danno alle stampe in italiano nel
1982 con il titolo Avventure nell’ Isola, importando così
per la prima volta questo filone nel nostro paese.
Se ti chiedi se questi giochini infantili possano interessare anche i più grandi Se la provenienza estera di questi libri ti ha deluso
5
e pensi che anche in Italia saremmo in grado di produrne Che tu conoscessi già i libri-gioco o no,
non ti occorrono esempi: ne hai uno in
mano, questo articolo stesso. In breve
parliamo di un testo che procede per bivi ponendo al
lettore scelte ripetute, rimandando ogni volta a paragrafi o pagine diverse fino a una delle conclusioni previste.
I libri-gioco sono i frutti recenti di una lunga evoluzione. Agli inizi, infatti, il libro era un prodotto assolu10
o6
o 16
o
tamente lineare: un lunghissimo rotolo di fogli di papiro incollati l’ uno all’ altro, che spesso superava i 18 metri. Agli estremi erano fissate due bacchette: il testo era
arrotolato attorno a una di esse e lo si leggeva srotolandolo, mentre lo si riavvolgeva man mano sull’ altra. Il
volumen era fatto dunque per una lettura sequenziale,
dall’ inizio alla fine: ogni salto in avanti o all’ indietro era
operazione lunga e laboriosa.
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
lettori al bivio
Passando dal più fragile papiro alla più robusta pergamena, attorno al II secolo si arrivò però al concetto di
pagina. Chi realizzava il libro prese a cucire tra loro i fogli su un lato, così da poterli sfogliare: dal volumen si
passò al codex. A questo punto la lettura può farsi errabonda: balzare da un punto all’ alto del testo è più facile.
I testi si arricchiscono di note e rimandi. L’ Enciclopedia
di Diderot e D’Alembert, secoli dopo, è il massimo
11
o7
o 14
Se questa rottura della linearità ti interessa anche per le sue potenzialità narrative Se vuoi esplorare applicazioni divulgative più recenti della letteratura per salti La narrazione a bivi viene applicata anche
ad altri media. Diverse sale cinematografiche sono state attrezzate per la proiezione di
film ad albero: primo fra tutti il Lowes Theater di New
York. Lo “Herald Tribune” del 14 gennaio 1993 ne annuncia in prima pagina l’ inaugurazione con il thriller
intitolato I’m Your Man. Il protagonista si volta spesso
verso la sala, chiedendo per esempio se debba saltare dal
tetto di un palazzo a quello accanto oppure no; gli spettatori paganti possono votare per il corso d’azione preferito grazie a un bottone verde, uno giallo e uno rosso
presenti su ciascun bracciolo, divertendosi magari se la
sala non è piena a correre da un posto vacante all’ altro
per votare più volte. In Europa, il primo cinematografo
di questo tipo è stato aperto al pubblico a Bruxelles.
La televisione italiana introduce la narrazione a bivi
nel 1995 con la trasmissione di Rai Tre Ultimo minuto,
12
esempio di testo costruito per una fruizione non lineare: i due curatori sono del resto ben consci delle potenzialità del rimando e della lettura per salti, come sottolineano nel loro “Discorso preliminare”.
Chi invece legge un’ enciclopedia dall’ inizio alla fine,
come se fosse un antico volumen, non può che essere
considerato un matto, come sottolinea Edgar Lee Masters e Fabrizio De André con lui.
dedicata a situazioni di emergenza: ad ospiti illustri come Alba Parietti e Pippo Baudo vengono proposti racconti-gioco realizzati dalla cooperativa C.UnS.A. in cui
essi interpretano se stessi impegnati a fronteggiare improvvisi pericoli; seguono commenti di esperti sulla
correttezza delle loro scelte. Non è un caso isolato: il
1997 vede per esempio la realizzazione di sarcastici racconti-gioco televisivi di Olcese e Margiotta dedicati ai
segreti d’Italia. Nel 1999, Stream TV (oggi Sky) usa come gadget promozionale il cartone animato a bivi
GiòGatto, sceneggiato da chi scrive e animato da Gianni
Peg, già illustratore dei libri-gioco per bambini di Paola
Sacchi.
Ma tutta questa tecnologia non ha reso i libri-gioco di
carta obsoleti: se ne scrivono e se ne pubblicano ancora
oggi, per la gioia di grandi e piccini. L’ invito è andarli a
scoprire in librerie e biblioteche.
FINE - Ma se vuoi puoi tornare indietro e cominciare l’ esplorazione da capo.
Per capire il meccanismo prendiamo la
storia di Marco, un ragazzino romano del
303 d.C. che con il suo amico Lucio attende l’ ora di cena girando per il proprio quartiere:
“... Qui vicino ci sono molti posti interessanti. Uno è il
Monte dei Cocci: un intero colle fatto di pezzi d’anfora,
che i commercianti hanno buttato lì per secoli fino a formare un mucchio enorme. Un posto davvero speciale! In
realtà i vostri genitori non vorrebbero che ci metteste pieIL FURORE DEI LIBRI 2011/3
de: in fondo sono cumuli di rifiuti, e poi è sempre possibile qualche crollo... Altrimenti ci sono le rive del Tevere, un
altro luogo pieno di curiosità.
Se decidi di andare al Monte dei Cocci nonostante il divieto, vai al
paragrafo 120;
se preferisci fare un salto in riva al Tevere vai al paragrafo 73.”
Così finisce il primo paragrafo de I misteri delle catacombe (ed. LDC, Leumann, 2000). Il lettore non continua la lettura al secondo, ma decide come far procedere
11
Andrea Angiolino
la vicenda e prosegue, a sua scelta, con uno dei due paragrafi indicati: il centoventesimo o il settantatreesimo.
Ciascuno dei quali finirà con una decisione da prendere, che rimanderà a un altro paragrafo e a un’ altra scelta, e così via sino a uno dei molti possibili finali. Insomma, esattamente come l’ articolo che stai leggendo ora.
A volte le opzioni offerte per una scelta sono due, a
volte tre o più; talvolta, se funzionale all’ economia della
vicenda e all’ evitare un’ eccessiva proliferazione di pagine, vi possono essere rimandi obbligati e privi di opzioni. Talvolta il paragrafo termina senza rinvii: siamo allora davanti a uno dei finali. Con la possibilità, se si
vuole, di ricominciare da capo, magari decidendo altre
strade e generando così una storia differente.
o
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Se ti piace l’ idea di un “tu narrante” che ti renda protagonista della storia Se ti pare che questi giochini siano poco letterari e se mai più adatti alla manualistica 13
A metà degli anni ‘70 una vera rivoluzione
ha attraversato il mondo ludico. Nel 1974,
la Tactical Studies Rules di Lake Geneva
(USA) ha pubblicato Dungeons & Dragons: Rules for
Fantastic Medieval Wargames Campaignes Playable
with Paper and Pencil and Miniature Figures, di Gary
Gygax e Dave Arneson. È il primo “gioco di ruolo”: un
nuovissimo modello ludico con caratteristiche inusuali
di creatività, durata illimitata, assenza di competizione.
Si tratta di un’ attività di gruppo: ciascuno si immedesima in un avventuriero che con gli altri forma una compagnia di esploratori di sotterranei, che vanno assieme
a caccia di tesori in un magico mondo fantasy di sapore
tolkieniano. Il gioco è puramente orale: i partecipanti
raccontano in prima persona quello che fanno e un master o narratore, che ha progettato la situazione e che interpreta le “comparse” della storia, ne determina e descrive le conseguenze. Se un giocatore vuole fare
un’ azione facile, come salire a cavallo, basta che la racconti e la si considera portata a termine. Se tenta
un’ azione dall’ esito incerto, come saltare da una finestra su un cavallo in corsa che vi passa sotto, il narratore
applica le regole e fa lanciare dadi: il racconto continua
con il personaggio effettivamente a cavallo o magari a
terra con una gamba rotta, a seconda dell’ esito del lancio. Le regole garantiscono verosimiglianza, così che le
azioni risultano di più o meno facile attuazione come lo
sarebbero nella “realtà” simulata dal gioco. In una sessione si dà vita a una storia, cercando di portarla a un fi-
12
o 14
nale che sia lieto per tutti, ma nelle successive gli stessi
personaggi vivono ulteriori avventure: la saga non ha
termine che quando i giocatori decidono di concluderla. Le “miniature” citate nel sottotitolo, figurini alti
25/30 millimetri che rappresentano guerrieri e maghi
così come orchi e altri mostri, non sono in realtà necessari: il tutto assume più che altro l’ aspetto della creazione corale di un racconto.
I giochi di ruolo hanno folgorante successo e presto coprono ogni possibile ambientazione. Nel 1991, il saggio di
Luca Giuliano In principio era il drago. Guida al gioco di
ruolo (ed. Proxima) già ne censisce oltre trecento che spaziano dal fantasy alla fantascienza, dal giallo alla storia, dai
cartoni animati allo spionaggio e altro ancora.
Dungeons & Dragons, capostipite del filone, resta ancora oggi il titolo più diffuso e influenza anche altri generi ludici. Ispira per esempio William Crowther che
attorno al 1975 programma Adventure, primo gioco di
avventura per computer noto anche come Colossal Cave Adventure. Da esso derivano i Multi-User Dungeon o
MUD, giochi collettivi su Internet inaugurati da Richard Bartle e Roy Trubshaw nel 1979 proprio con una
versione di Adventure che poteva essere giocata da più
persone contemporaneamente.
Per una generazione di appassionati giocatori, immaginare di essere eroi fantasy all’ esplorazione di un mondo diventa una consuetudine: non importa se davanti
allo schermo di un computer o al tavolo del tinello, se
da soli o in compagnia di altri.
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
lettori al bivio
o8
o 11
Se hai difficoltà a trovare compagni di gioco o comunque preferisci letture solitarie Se piuttosto che metterti a giocare preferisci andare al cinema o accendere il televisore 14
Al di là delle fantasticherie e delle sperimentazioni letterarie in cui si è giocherellato con più trame in uno stesso volume,
il libro-gioco si ispira in maniera diretta alla saggistica
divulgativa. A metà del ventesimo secolo il celebre B. F.
Skinner scrive manuali di auto-apprendimento dedicati
a varie materie: prevedono domande di verifica a cui il
lettore deve rispondere all’ interno di appositi spazi.
Norman Allison Crowder riprende questo sistema per
scrivere i suoi scrambled book, o libri strapazzati: analoghi volumi in cui però aggiunge il concetto di “programmazione intrinseca”. Le domande sono cioè corre-
date da alcune risposte fra cui va scelta quella che si ritiene esatta, e a seconda della scelta effettuata si continua a leggere in differenti riquadri così da poter passare
a un tema diverso se si è risposto bene piuttosto che approfondire quanto si è sbagliato in caso contrario. Nel
1958 The Arithmetic of Computers di Crowder inaugura
la collana dei TutorText della Doubleday di New York,
la più popolare raccolta di libri di questo tipo, che arriverà in Italia grazie a Vallecchi.
Il meccanismo del rimando esplicito a un punto del
volume piuttosto che all’ altro, come effetto di una scelta
fra più possibilità, diventa così un uso consolidato.
o
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18
Se ti chiedi come ciò possa aver ispirato una narrazione Se da una rivista come questa ti attendevi argomenti meno aridamente tecnici
4
e più fantasiosamente letterari o
Al di là delle teorizzazioni, chi davvero realizza un racconto-gioco è Raymond
Queneau. Lo presenta all’ ottantatreesima
riunione dell’ OULIPO e lo pubblica sul numero di luglio-settembre 1967 di Lettres Nouvelles, a pagina 28 e
29. L’ operetta è breve ma completa: si intitola “Un conte
à votre façon”, o “Un racconto a vostro piacimento” ed è
direttamente ispirato ai manuali di autoapprendimento
di Crowder. La breve e ironica vicenda si apre proprio
chiedendo al lettore di esprimere le sue preferenze
16
o Vai al paragrafo 9
I libri-gioco più semplici, per bambini, si
limitano a consentire a chi legge una lettura secondo i propri gusti. Altri chiedono invece al lettore di immedesimarsi nel protagonista:
gli presentano la vicenda con il punto di vista del personaggio principale e gli chiedono di determinarne il
comportamento. In tal caso alcuni dei finali sono negativi, altri positivi: raggiungerà questi ultimi chi saprà
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
sull’ argomento da trattare:
“ 1. Desiderate conoscere la storia dei tre vispi pisellini? Se sì,
passate a 4. Se no, passate a 2.”
Sulla rivista ove appare per la prima volta, i 21 paragrafi di questa surreale storiella sono pubblicati in altrettante caselle rettangolari, disposte a spirale come nel
classico percorso del gioco dell’ oca.
Il raccontino di Queneau è una bizzarra sperimentazione, ma nello stesso anno appaiono veri e propri librigioco messi regolarmente in commercio.
davvero comportarsi da autentico ragazzino dell’ antica
Roma, cavaliere fantasy, pilota di astronavi, investigatore vittoriano, viaggiatore del tempo o altro ancora, a seconda dell’ ambientazione.
È questo elemento di vittoria o sconfitta l’ aspetto più
ludico del libro-gioco, che li rende strettamente affini
alle avventure per computer: ma senza necessità di supporti tecnologici.
13
Andrea Angiolino
o
17
Se vuoi approfondire questi aspetti più schiettamente ludici 13
Se vuoi scoprire alcuni dei più bizzarri punti di vista che può assumere il lettore
6
grazie a questo stratagemma Il titolo dà il via a un vero e proprio fenomeno di costume: i libri-gioco invadono
le librerie, le biblioteche e perfino le scuole, diventando un interessante strumento per avvicinare
i ragazzini più restii alla lettura. Sulla scia di Lupo Solitario, l’ editore triestino inizia a pubblicare numerose altre serie dando una contiguità anche grafica e stilistica a
saghe dalle caratteristiche e dai target più diversi. Tutte
rigorosamente di autori esteri perché, come spiega eloquentemente il responsabile di collana Giulio Lughi,
“avere un testo in italiano avrebbe significato non poterci
mettere le mani e lasciare il taglio così come voluto
dall’ autore.” L’ operazione è invece quella di semplificare e appiattire il linguaggio, nonostante la risposta entusiasta arrivi anche da studenti e adulti: non solo, come
l’ editore ipotizzava inizialmente, da giovanissimi.
Le varie sottocollane della E.Elle hanno le ambientazioni più diverse: non soltanto fantasy ma anche fantascienza, horror, western, poliziesco, spionaggio, rosa.
o
Dai Templari ai viaggi nel tempo, dai mondi post-catastrofe atomica alla direzione di una squadra di calcio, i
temi trattati sono dunque i più diversi. Non mancano
coppie di libri studiate per giocare in due, libri da leggere in gruppo e anche una serie realizzata in modo da incrociare la lettura di tre o più volumi, uno per ciascuno
dei lettori che così condividono tutti la medesima influenzando ciò che accade agli altri.
Il marchio registrato dalla E.Elle per questi prodotti è
“librogame”, un ibrido fra italiano e inglese che diventa
etichetta generica per tutto il filone.
Viceversa è il caso di notare che “libro gioco” non è un
termine di significato del tutto univoco: vi sono per
esempio alcuni bibliotecari e addetti ai lavori che intendono la categoria in senso più ampio, includendovi anche libri per piccolissimi raffiguranti veicoli e trainabili
grazie a ruote, o da aprire e montare come edifici. Titoli
che sarebbe tutto sommato più corretto definire “libri
giocattolo”.
o
5
Se la scarsa fiducia della E.Elle negli italiani ti ha colpito Se vuoi conoscere ambientazioni anche più originali di quelle proposte dalla casa editrice triestina 18
L’ OULIPO, Ouvroir de Littérature Potentielle, è un gruppo che raduna in Francia
alcuni creativi e giocosi scrittori e matematici. Il consesso nasce il 24 novembre 1960 durante
una cena al ristorante “Au Vrai Gascon”, con lo scopo di
esplorare le potenzialità della matematica applicata alla
letteratura, ma presto si allarga ad altre forme di sperimentazione letteraria attirando nomi come Georges Perec, Marcel Duchamp e Italo Calvino. Un classico esempio di opera oulipiana è Cent mille milliards de poèmes
di Queneau: la proposta di fondare il gruppo parte anzi
proprio da lui, che la suggerisce a François Le Lionnais
proprio durante la preparazione di questo libro.
L’ OULIPO si riunisce periodicamente per proporre e
14
o6
valutare sperimentazioni di ogni genere. Nel corso della
settantanovesima riunione, Le Lionnais propone per la
prima volta una storia a bivi: Une nouvelle policière en
arbre, o Un racconto poliziesco ad albero. La sua idea,
progettata e mai realizzata come molte delle provocazioni oulipiane, è quella di una storia investigativa che si
interrompa fin dall’ inizio per chiedere al lettore: “Preferite un enigma poliziesco? Seguito a pagina x. Preferite
un seguito suspense? Seguito a pagina y. Preferite un seguito erotico-brutale? Seguito a pagina w “. A ogni scelta
corrisponde un diverso sviluppo che presto si interrompe per offrire una nuova scelta, e così via: è il progetto di
un libro-gioco a tutti gli effetti.
Gli oulipiani Paul Fournel e Jean-Pierre Ènard trasla2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
lettori al bivio
no l’ idea al di fuori del campo strettamente letterario.
Ipotizzano dunque “L’ arbre à théâtre. Comédie combinatoire” o “L’ albero a teatro - Commedia combinatoria”:
uno spettacolo teatrale dove al termine di ogni scena gli
attori si interrompono per proporre al pubblico alcune
alternative su come procedere, recitando poi lo sviluppo votato dalla maggioranza. Siamo di nuovo davanti a
una struttura analoga al libro-gioco: il tutto si basa in-
fatti su quindici scene già pronte e perfettamente definite nel proprio copione, legate tra loro da una griglia di
decisioni. Non è un semplice sistema di improvvisazione guidata, come ne sono state realizzate da altri. Così
come nel titolo della proposta poliziesca di Le Lionnais,
il termine “albero” si riferisce alle diramazioni della trama in seguito alle scelte: l’ opera si struttura come un albero decisionale.
Va bene chiacchierare e far castelli in aria, ma se vuoi sapere se l’ OULIPO
15
abbia davvero prodotto un racconto a bivi 9
Se più che le sperimentazioni intellettuali ti interessano i libri veri e propri Se l’ idea del teatro a bivi ti fa pensare ad applicazioni cinematografiche e televisive o
o
o 11
Nel web si possono trovare alcune versioni informatiche dei
Cent mille milliards de poèmes di Raymond Queneau. Il codice
QR (a sinistra) vi può portare direttamente a una di queste:
http:www.bevrowe.info/Queneau/QueneauRandom_v4.htm
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
15
La formazione
di una cultura
personale
Infanzia
e adolescenza
di Sandro Dise
16
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
sandro dise
L
e letture dei nostri primi vent’anni sono vera
cultura o solo preparazione? Mi sono spesso
domandato e non credo di essere il solo, come ed in quale misura abbiano influito sulla mia iniziazione culturale ed umana alla vita, anzitutto le favole che a me, incantato bambinello, la nonna raccontava
a braccio e, di seguito, anche le sue serate dedicate alla
lettura per farmi felice e soprattutto per tenermi quieto.
Ovvio che questo valesse anche per i libri e per
quant’altro di scritto sia passato per le mie mani di
bambino, di adolescente e, infine, di studente liceale. Il
tutto naturalmente si intrecciava, anche se in modo disordinato tuttavia costruttivo, con quanto io stessi via
via apprendendo a scuola all’ombra inevitabile di un
nozionismo, più o meno valido a seconda di chi, a caso, me lo fornisse. Ritengo però, a questo proposito,
che pure il desiderio ed una forte tendenza al voler capire, due qualità comuni in tutto od in parte in ogni ragazzo abbiano giocato una parte importante in questo
processo. Esso era però molto più facile da raggiungere
per quanti ai miei tempi provenissero da un ambiente
famigliare culturalmente più preparato.
Per fortuna devo dire che nei riguardi delle due ultime generazioni in pratica tale vantaggio nel mondo
occidentale si è ridotto al minimo ed è caduta anche
ogni vera barriera sociale ed economica, sperando, ben
presto succeda anche a quelle del colore della pelle e
della lingua parlata. Però è chiaro che in questa sorta di
saggio sulla cultura giovanile, considerata ad angolo
giro, io possa essere portato senza volerlo a dar magari
troppo peso, nel mio giudizio, al mio personale percorso.
Un modo così angusto di cercare una risposta che
valga per tutti, non mi porterebbe di certo da alcuna
parte. Quanto invece mi appare fino a questo momento certo è di aver fatto una scoperta inaspettata tutta
mia che forse ha nulla a che fare con l’argomento in
esame, ma che mi mette in pace con me stesso.
Ho scoperto di provare infatti una grande ammirazione, anche se magari un po’ velata dall’invidia, per
quanti siano riusciti a farsi una vera cultura a tutto tonIL FURORE DEI LIBRI 2011/3
do, nel loro caso quindi più radicata e più sofferta e
quindi ancora più godibile, all’interno di un modesto
ambiente familiare, scarso di mezzi e di preparazione
scolastica.
Intendo dire un interno familiare che non aveva potuto anticipare loro alcuna integrazione culturale ma
offrire solo il dono, peraltro impagabile, di trasmettere
con l’esempio e spesso con grandi sacrifici, la spinta, la
forza morale e la costanza necessarie affinché riuscissero a completare con successo la loro preparazione,
spesso, anche alla grande. Lo posso confermare di persona, perché so di avere avuto un percorso molto più
agevole di quello di alcuni miei compagni di infanzia e
di scuola. Ho potuto avere maggiori occasioni di spalancare senza limiti i miei occhi alla fantasia, di apprendere a leggere ed a scrivere ed alla fine di iniziare
ad usare la parola in modo sempre più appropriato, poco dopo aver cominciato a camminare.
Non immaginavo ancora che però la parola sarebbe
stata in grado di trasformarsi, a seconda in una rosa
profumata, in un conforto liberatore, in un utile consiglio, ma anche sulle prime in un elegante fioretto, poi
in una tagliente sciabola e, non di rado ed in certi casi
estremi, in un pugnale da puntare alle spalle del prossimo, magari ignaro e disarmato.
C
ome io sia entrato nel mondo della conoscenza,
è semplice e ben poco originale.
La sorella di mia nonna che mi ha fatto da madre, viveva paralizzata alle Laste di Trento nella Villa
degli Ulivi, l’unica proprietà della città ad avere olivi
produttivi, in quanto l’ultimo alito dell’Ora, il vento tipico del Garda proveniente dal Bus de Vela finiva esausto del proprio calore, proprio nel suo giardino.
Essa è stata in verità il mio primo Omero epico. Fra i
libri del marito, l’editore Monauni, sparpagliati su un
comodino accanto al letto, molto grande e carico di
medicine, vi erano libri carichi di preziose stampe che
essa mostrava con fierezza a tutti i suoi visitatori.
Fra questi ne teneva però uno per mio uso privato,
meraviglioso e divenuto anche il suo vero livre de
17
sandro dise
chévet. Anche gli altri, a parte le stampe, erano quasi
tutti di contenuto storico-religioso, essendo lei assai
devota ma non bigotta, questo forse solo perché era
immobilizzata da anni nel proprio letto.
Più tardi, già alfabetizzato, ho potuto conoscerne il
titolo: La Storia sacra.
Lei mi raccontava a memoria ma rifacendosi a quel
volume, le gesta del Popolo di Israele, la incredibile cattiveria dei poveri Filistei, la protervia degli Egiziani ed
il Mar Rosso che io immaginavo fatto di sangue. Mentre parlava, spesso ripetendosi, guardavo le incisioni
che trovavo sempre più affascinanti.
Soprattutto stupenda era quella di una coppia di
ebrei che portavano a Mosè, uno in fila all’altro, appeso
ad lunga stanga collocata a bilancia sulla spalla, un
grappolo d’uva che toccava quasi terra.
Secondo la prozia, che adoravo con tutto il cuore
perché sapeva trasmettermi subito un gran senso di
amorosa gioia, quel magnifico frutto proveniva dalla
Terra promessa.
Ero stupito però che nei vigneti della nonna i grappoli fossero invece molto più modesti e pertanto ero
contento di ciò per gli Ebrei, secondo la prozia tanto
vituperati da tutti, che alla fine Dio avesse concesso loro un definitivo foyer che del resto aveva loro promesso da molto tempo. Ero sicuro che esso fosse molto simile alla casetta di Hänsel und Gretel, quale descritta
dai fratelli Grimm. Quest’ultima casa era però di un altro genere perché tanto miracolosa che la si poteva
mangiare.
Q
uesto tipo di storie era invece la nonna a farmele conoscere quando mi leggeva la famosa
raccolta di favole di quei due Tedeschi, un volume arricchito di incredibili illustrazioni a colori,
scritto in un curioso tedesco, per me ancora illeggibile
ma di straordinaria eleganza.
Come ho già detto, a differenza della sorella lei era
molto portata al laico, al pratico e, ancora più, agli affari. Non voglio però farle torto affermando questo perche devo sottolineare che a sera, quando mi leggeva Pi-
18
nocchio in italiano, lo faceva alla perfezione pur avendo passato come le altre sorelle, una dietro l’altra, i suoi
anni di preparazione alla vita in un collegio in Baviera.
Premetto come in realtà la sua prima lingua fosse
quella trentina, sonora, senza la famosa tendenza al
miagolio e ricchissima di vocaboli, sempre pertinenti.
La sua terza lingua invece, l’italiana, era anch’essa
perfetta come grammatica e fluidità, ma discutibile come dizione e scritta in caratteri gotici. La seconda era
la francese, di alto rango sia come scrittura, sia come
dizione. La nonna mentre leggeva Pinocchio, variando
da consumata attrice i toni di voce ed inserendo pause
affascinanti e di effetto, lavorava con i ferri da calza tenendo le proprie mani sul grembo, quindi invisibili,
come fossero quelle di un’altra persona. Il ticchettio dei
ferri produceva una dolce musica di sottofondo, quasi
una berceuse, con la quale finivo per addormentarmi
continuando, nel sogno, a detestare Lucignolo, il Gatto
e la Volpe e ad amare Geppetto e la Fata turchina.
Arrivammo un po’ alla volta anche al Cuore del De
Amicis ma, in questo caso, nel sonno era Enrico l’antipatico che detestavo e Garrone che amavo di tutto cuore. Chissà perché ma mi ero messo in testa che i due
fossero di Bressanone e non di Torino, forse a causa
dell’accento della nonna quando mi leggeva dei loro
piccoli e grandi problemi.
Fin qui non credo che per i coetanei del mio tempo
le cose fossero, in fondo, tanto diverse.
A
ll’ingresso del primo decennio di vita per
tutti noi entrava in gioco Emilio Salgari,
l’uomo che raccontava in modo asciutto
ma convincente le avventure più incredibili, vissute da
altrettanti straordinari protagonisti che si muovevano
sui più favolosi palcoscenici del Pianeta che però Salgari non aveva mai visto. Solo dopo mezzo secolo dalle
prime letture dei suoi scritti, saprò rendermi conto della grandezza di Salgari e della sua visione sociale della
vita ancor oggi valida.
I suoi racconti oltre che coinvolgenti mettevano in
rilievo un suo fermo amore per la libertà e per gli ina2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
la formazione di una cultura personale - infanzia e adolescenza
lienabili diritti a conservarla sia del singolo individuo
sia, in generale, dei popoli. Ciò è tanto vero che i veri
nemici da battere, per Salgari erano sempre, senza alcun distinguo, a parte il sacrificio di qualche povera tigre o altri animali esotici colpevoli solo di doversi sfamare, i delegati sul posto dei dominatori europei, inglesi, spagnoli
od olandesi che fossero. L’inglese James
Brook era, nella fattispecie, il nemico mortale da battere di Sandokan e di Yanez de
Gomera, quelli del
Corsaro nero, di sua figlia Iolanda e di tutti i
filibustieri della Tortue
erano per contro dei
duchi spagnoli od
olandesi e così via.
È il caso di aggiungere come anche i nostri coetanei di cultura
germanica avessero il
loro Salgari. Si chiamava Karl May ed era
adorato, come da noi il
Salgari, senza limiti da Koenigsberg a Salorno. Sono
convinto che il piacere che provavamo noi ragazzi nel
leggere le loro pagine, soprattutto per l’ampiezza degli
spazi che esse offrivano alle nostre fantasie, i nostri figli
videodipendenti, tanto facilitati come sono nel poter
girare il mondo con estrema facilità, neanche se lo possono sognare.
H
o due ricordi di quegli anni così belli, nei
quali la conversazione era anch’essa un’autentica fonte di piacere ed un dono di Dio.
Del primo che però non so ancora oggi decifrare,
non ricordo la mia prima reazione. Avevo 10 anni ed
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
ero nel pieno delle mie estasi salgariane. Mio padre mi
regalò per il mio compleanno un libro molto appariscente e ben presentato, con dedica scritta con la sua rigorosa grafia di altri tempi. Era l’Iliade tradotta dal Parini, il famoso “traduttor dei traduttor d’Omero”.
Mi domando appunto ancora oggi
come potesse pensare, lui profondo
umanista, come a
quell’età potessi essere all’altezza non
solo di gustarlo ma
anche di capirlo,
con tutta la buona
volontà.
Mi sono a mia
volta
finalmente
vendicato di quella
lontana delusione,
perché mi aspettavo
ben altro, regalandolo a mia volta a
mio nipote Alessandro. In questo caso
però pregandolo di
metterlo in stand by,
come usa purtroppo
dire adesso, nella sua piccola biblioteca ancora in fieri.
Forse anche lui, fra mezzo secolo, emetterà un giudizio altrettanto critico sul proprio nonno.
Il secondo ricordo è invece molto più umano e comprensibile.
Stavo insistendo nel dire con vivacità al nostro medico di casa in visita da noi, ammalato tanto gravemente
di cuore che la nonna pensava già di trovare il modo di
sostituirlo senza offenderlo, che non avrei mai più saputo vivere senza i romanzi del Salgari. Gli dissi anche
che senza Mendoza il bucaniere-filibustiere, senza Tremal Naik ed il suo fedele servo Kammamuri, non ce l’avrei fatta a vivere.
19
sandro dise
La risposta del medico fu così fredda e ferma che
scoppiai in un piano dirotto. Mi aveva risposto: Figurati! Fra un paio di anni riderai di questa tua passione e
leggerai ben altro. Anzi, comincia subito con Jules Verne.
Mi vergogno ancora ma, dentro di me, gli augurai di
morire subito. Purtroppo fui fin troppo facile profeta!
G
li anni della scuola media e quelli del Liceo, il
vero centro emotivo dei quali è il difficile momento della pubertà, stavano già aprendomi
altri percorsi letterari e ben altri confini.
Ne avevo avvertita già in modo vago la presenza. Tuttavia la Preistoria, la Grecia, Roma e non solo, assieme
al fatto di venire all’improvviso interpellato con l’uso
del Lei, resero via via ancor più affannosa la mia inesauribile curiosità di ragazzo tanto da spingermi verso
un nuovo modo di essere e di comportarmi.
Debbo ancora insistere per onestà che nel mio caso
come in quello di qualche altro mio condiscepolo,
l’ambiente culturale familiare e le maggiori possibilità
economiche favorissero in un certo senso un apprendimento più fluido che però, come logico, negli anni
prossimi alla maturità tendeva ad un tempo sia a collocarsi allo stesso livello dei meno fortunati sia in generale di accettare anche la fisiologica esistenza dei più dotati.
Anche la buona conoscenza di altre lingue tendeva,
in generale, a migliorare i risultati.
A parte questo, il fatto è che l’aver già sentito parlare
in casa, tanto per dirne una, di Manzoni e del suo capolavoro, quando esso divenne parte del nostro programma scolastico, aumentava in effetti la possibilità di poterne captare subito e senza complessi il senso e l’importanza.
Anche il latino spesso citato in casa, utilizzandolo
per arricchire la conversazione, quando arrivò in aula
potevamo considerarlo non un mostro indigeribile ma
solo molto noioso e magari anche inutile.
Già prima della maturità mio padre, quando mi vedeva sul punto di prendere una decisione di qualche
peso, era uso ripetermi: “Deciditi dunque, sed respice
finem.!”. Queste tre parole con le quali termina un
20
massima molto stringata ed altrettanto saggia, credo
appartenente a Solone, ed arrivata a noi chissà perché
soprattutto in latino, allora mi infastidivano. In seguito
sono invece diventate parte del mio intendere, anche se
oggi non sappia ancora bene se esse significhino ma attento al risultato piuttosto che ma attento al fine, allo
scopo, oppure se affermino entrambe le cose.
Lo zio libraio mi dava da leggere, consigliandomene
perfino i titoli, ogni sorta di scritti, solo che li chiedessi.
Pertanto la mia mente caricava in continuazione
ogni sorta di notizie nel suo capace magazzino.
Questa specie di superattività però non mi impediva
di studiare con lena e talora con un vero piacere.
Erano tempi però nei quali la possibilità di evasione
dal quotidiano, che non fosse quella dello sport il quale
per noi trentini voleva dire in pratica nuoto e montagna,
erano quasi nulle, favorendo in tal modo una maggiore
e continua concentrazione della nostra mente.
Era però la lettura di evasione e la storia romanzata,
in modo speciale, che ci spingevano a prediligere, ad
esempio, i romanzi pseudo-storici di Alexandre Dumas con la loro sfilza dei Re capetingi, numerati come
le case di una strada di città. Eravamo ancora lontani
anni luce dal domandarci quanto di vero ci fosse in
quelle pagine così affascinanti. Cosa rappresentassero e
chi fossero in verità la Reine Margot, D’Artagnan ed i
suoi tre amici moschettieri, Cagliostro, Caterina de
Medici con i suoi sinistri lacché fiorentini, ci lasciava
freddi.
A
noi bastava leggere e basta.
Ritenevamo proprio I promessi sposi, il romanzo del quale comunque ne intuivamo il
peso letterario, interessante ma una sorta di camomilla.
Ci voleva ben altro per noi, a quell’età. Infatti solo dopo molti decenni, rileggendolo e non solo una volta, ne
ho captato il valore umano e storico e la sua eleganza
formale. Di esso a scuola avevamo imparato a memoria solo alcuni lunghi periodi senza dubbio perfetti come i celebri Monti sorgenti dall’acque e il Carneade, chi
era costui? e così via, ma neppure di sfuggita ci era stato
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
la formazione di una cultura personale - infanzia e adolescenza
messo in luce come nell’Europa di quegli anni, specie
da noi, avesse imperversato la peste, la fame e la violenza della cosiddetta guerra dei Trent’anni.
Non avevano ancora capito che una vera Italia, come
tale, fosse ancora solo una espressione geografica come
avrebbe affermato più tardi il cinico Metternich.
Nessuno si curava di spiegarcelo chiaramente oppure
se sì, non avevamo ancora gli strumenti per potercene
rendere conto.
In effetti, nel racconto
quella celebre guerra era
solo citata in modo vago e
quindi per Renzo Tramaglino e compagni non esisteva anche se le sue personali disavventure si dipanavano proprio attorno all’anno 1630, dunque nel pieno
di quel conflitto. Anche
D’Artagnan, il quarto de I
tre Moschettieri, del quale
leggevamo, e lo facciamo
ancora, una delle più divertenti storie mai scritte, era
entrato a cavallo in Parigi alla ricerca della fortuna, nel
1625, quindi agli inizi di quella guerra.
Infatti lo ritroveremo qualche tempo dopo all’assedio
del porto di La Rochelle ancora in mano agli Inglesi.
Non credo che leggendolo ci sia stato qualcuno di
noi che abbia pensato, come il Renzo manzoniano, di
legare in qualche modo il nostro Guascone, Richelieu e
Mazzarino alla Guerra citata ed alle sue immani tragedie. Su queste ci avrebbero pensato a farlo Schiller e
Brecht, entrambi tedeschi.
I
l Liceo ci aveva resi solo un po’ più selettivi nella
scelta dei libri da leggere. Da allora protagonisti
del nostro sognare ad occhi aperti divennero
Gulliver, Robinson Crosue, i romanzi di Dickens e di
Jack London, da una parte e di Victor Hugo con Jean
Valjean, Cosetta e la rivoluzione francese del 1830,
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
Quasimodo e L’uomo che Ride, dall’altra. Tutti questi
eroi, mischiati alle Odi di Orazio, alla Divina commedia, al Petrarca, al Boccaccio ed all’Orlando furioso,
hanno dissetato e nutrito le nostre fameliche fantasie
con ben poche varianti.
Fanno però eccezione, almeno nel mio caso personale, Le memorie di un Italiano del giovanissimo garibaldino friulano Ippolito Nievo ed il Don Chisciotte del
Cervantes.
A differenza degli altri
capolavori, è stato proprio
Nievo, con quel suo stupendo affresco sulla lenta e
sofferta fine dalla Repubblica dei Dogi, la parte di
storia, quella spalmata a cavallo del 17° e del 18° secolo,
ad insegnarmela.
Lo ha fatto alleggerendola e rendendola toccante
con la struggente storia d’amore fra Carlino e l’imprevedibile Pisana. Non ho
certo avuto alcun bisogno
di rileggerlo nella mia maturità per poter capirne il valore, pur avendolo fatto più volte in quanto, come per
certe musiche (anzitutto quelle di Bach) per le quali
non vi sono limiti al riascolto, anche per Nievo non ne
esistono per le sue riletture.
Questo discorso valeva anche per il Don Chisciotte,
ma la nostra reazione in questo caso era un po’ diversa.
Nessuno si permetteva di metterne in discussione la
sua valenza nel quadro della imponente cultura iberica, essendo a ragione considerato senza eccezioni come un capolavoro in assoluto. Noi, accettavamo in modo acritico questa valutazione pur ritenendo che fossero un po’ ridicole sia l’impostazione stessa dell’opera,
sia il Ronzinante, sia la figura di Sancho Panza e di Dulcinea del Toboso. Sentivamo però, almeno io in modo
particolare, come la appassionata lettura fatta dal nostro professore della scena dei mulini a vento andava,
21
sandro dise
non c’era dubbio, ben oltre il ridicolo e si imponeva come opera d’arte definitiva e senza tempo.
Mi ero messo in testa di leggerlo tutto e lo ho fatto con
molta fatica ma alla fine devo dire di essere rimasto piuttosto deluso di me stesso per non essere stato all’altezza
di capirlo fino in fondo, comunque non ancora. Per
molti anni però mi sono frullate in testa le ultime scene,
forse risolutive ma impervie da interpretare con esattezza. Don Chisciotte, rinsavito, e si vergognava della propria quasi follia. A questo punto era stata la volta di Sancho Panza di uscire di senno ed a pregare il proprio padrone di continuare a soccorrere i deboli, a salvare le
donzelle in pericolo e a non far appendere al muro, per
sempre, la penna che raccontava la sua storia. Ho pensato per molto tempo che in quel finale ci fosse un vero e
proprio messaggio esoterico del Cervantes.
A
l culmine del mio viaggio terreno lo ho riletto, questa volta con altro spirito e con
maggiore umiltà ed ho capito che nella storia della cultura dell’Occidente, sviluppatasi per millenni ai bordi opimi del Mediterraneo, il mare più famoso del mondo, il Don Chisciotte trova di diritto degno posto fra gli inarrivabili versi dei Lirici greci, l’Iliade, l’Odissea, le Mille e una notte, i Dialoghi di Platone,
le Odi di Orazio e la Divina Commedia. Nel Don Chisciotte infatti alloggia il cuore dell’intera Umanità con
le sue grandezze e le sue meschinità.
Il filosofo Miguel de Unamuno, grande personaggio
spagnolo del 20° secolo, scrittore ed uomo politico democratico fino alle midolla, ha scritto un libro su Don
Chisciotte che consiglierei a tutti, anche se il consigliare non sia mia abitudine. Perfino il titolo è provocatorio: Commento alla vita di Don Chisciotte, traduzione
di Carlo Candida, Dall’Olio Editore, Milano. Dico questo perché non si tratta di un commento alla sua immaginaria carriera di Cavaliere errante, ma alla vita
precedente, quando era ancora savio, o meglio a quella
che sarebbe in realtà stata se fosse esistito. Unamuno
l’ha descritta seguendo le sue orme di cavaliere errante
che offriva tenero aiuto e proteggeva i deboli, stroncan22
do con durezza la protervia dei forti. La lettura di entrambe le opere non fa che confermare la grandezza
della Hispanidad e la valenza di due grandi scrittori
iberici, vissuti con tre secoli di differenza uno dall’altro.
D
i norma con i vent’anni la preparazione
culturale scolastica ad ogni livello potrebbe considerarsi come acquisita. Non si arresta però l’altra, quella complementare, costruita oltre
i muri della scuola.
La grande massa di dati, di notizie, di nozioni le più
disparate, ottenuti in contemporanea sia nelle aule, sia
all’esterno di esse e già immagazzinati dentro di noi ma
ancora in disordine, fermi sul limitare della porta ideale
della nostra mente per risultare utili e costruttivi, occorre anzitutto che vengano riordinati. Questa operazione ideale, diventa essenziale per quanti, dopo la
maturità,vogliano indirizzarsi verso ulteriori studi accademici.
Quando però si prova a farlo ci si accorge con stupore come il nozionismo puro con cui ci sono stati serviti non ci ha offerto alcun sistema adeguato per farsi anche critico ed operante. Studiare o leggere la storia dei
Romanov fatta solo di nudi numeri, di aridi nomi di
personaggi e non saperla legare nel tempo e nello spazio, non apre alcun vero varco alla conoscenza della
storia della Russia zarista.
Studiare il Rinascimento italiano, la Rivoluzione dei
contadini tedeschi del 1525 in Germania, la Riforma, la
sanguinosa battaglia di Pavia ed il Sacco di Roma del
1527 e non legarli insieme come lo sono in effetti, significa non saper poi trarre i debiti giudizi e, nei fatti, non
apprendere alcunché di utile dalla vera Storia.
Solo una totale revisione al sistema di insegnamento
impartitoci finora ed una seria scelta di metodo di analisi riuscirebbe a sbloccare la situazione. Questo vale,
ed è essenziale, non solo per la Storia, ma anche per le
Scienze, studiate con criterio, per la Filosofia e non solo. Su questa base e non per mio merito, mi sono imposto una scelta che oggi ritengo essere risultata molto
indovinata e fortunata.
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
la formazione di una cultura personale - infanzia e adolescenza
Ho fatto mie La storia dell’Europa dell’inglese H.A. L.
Fisher, Edizioni Laterza, 1948 ed il Bilan de l’Histoire di
René Grousset de l’Académie française, Librairie
Plon-8, rue Garancière-Paris 6°.
Si tratta invero di due opere a mio avviso uniche nel
loro genere, soprattutto per la geniale ed attenta concatenazione dei fatti e della vita delle nazioni del Mondo
occidentale e, per Grousset, anche del l’intero Pianeta.
Nel geniale collegamento generale insito in esse, viene
usato per di più un linguaggio stringato e tacitiano tanto
da rendere assai godibile la lettura anche dal punto di vista letterario. Dopo avere un po’ alla volta acquisito fino
in fondo il loro magistrale modo di interpretare i fatti nel
loro insieme, sempre con adeguato riferimento al resto
del mondo, ho ripreso con rinnovato entusiasmo e con
profitto a rileggere i molti scritti dei quali nel passato mi
erano spesso sfuggiti quasi tutti i messaggi ed i riferimenti soprattutto se ad ampio raggio.
Solo in questa maniera sono stato in grado di conoscere con profondo interesse, ovviamente con la rilettura, I Promessi sposi, I Malavoglia di Verga. Solo così,
nel riordinare i ricordi ancora vivi su quanto avevo letto ed imparato a scuola, non di rado in modo svogliato,
con grande piacere e meraviglia ho constatato come
anche i classici fossero più che degni di venir ripresi e
letti con lo stesso entusiasmo avuto per i romanzi di
Salgari.
H
o pertanto realizzato senza rendermene
conto come le Guerre del Pelopponeso di
Tucidide in molti punti risultassero quasi
più attuali del D-Day sulla Manica ed in Normandia. Il
fatto è che avevo imparato nel frattempo ad inquadrare
con senso critico i relativi protagonisti. Avevo pertanto
compreso che gli Spartani non erano poi tanto diversi
dai Neozelandesi e dagli Americani; che gli Alpini
dell’Adamello e i Contadini abruzzesi del Carso non
erano molto dissimili degli Inglesi caduti a Burma in
Estremo Oriente, fra il ’41 ed il ’45, anzitutto perché
tutti pronti, senza distinzione, a battersi e morire per la
libertà sempre in pericolo e non certo erano ultimi i
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
trecento Spartani di Leonida, alle Termopili.
Nella cattedrale di Salisbury, la città dove è conservato l’originale della Magna Charta, un giorno ho avuto
modo di leggere, su una solitaria lastra di marmo, il seguente struggente epitaffio che traduco alla lettera:
Quando andate a casa
raccontate di noi e dite a tutti:
per il vostro domani
noi abbiamo dato il nostro oggi.
Alle Termopili, dove sono transitato per ragioni di
lavoro, una colonna di marmo porta scritto:
Viandante, annuncia agli Spartani
che qui
siamo obbedienti alle nostre comuni leggi
I versi, a detta di Erodoto sarebbero del poeta greco
Simonide.
All’entrata del Sacrario di Redipuglia una mia dovuta
visita venne fulminata per un momento, da un monito
sconvolgente:
O Viventi che entrate,
se per Voi non duri e non cresca
la gloria della Patria
Noi saremo morti invano
Anche per gli Uomini di Carlo Pisacane, un poeta ha
potuto scrivere con cordoglio, assieme ad altri versi, ai
piedi della bellissima statuetta rappresentante la Spigolatrice di Sapri, quei due famosi dall’indimenticabile
ritmo ripetitivo, simile al Bolero di Ravel:
Eran trecento, erano giovani e forti
e sono morti
Esempi di questa maniera di interpretare con l’aiuto
di una cultura ben assimilata, di coordinare se possibile le varie vicende umane e di entrare con pertinenza e
con umiltà la Scienza in generale, sono infiniti e spesso
molto semplici.
Prendiamo un altro esempio, magari poco comune
ma dirompente come è la peste. Essa è stata uno dei più
nefasti e terribili flagelli dell’Umanità per migliaia di
anni. Di quella di Atene del 429 a.C, durante la quale
morì anche Pericle, avevano scritto, in modo molto
particolareggiato, sia Tucidide nel suo capolavoro le
23
sandro dise
Guerre del Pelopponeso, sia Lucrezio Caro nel suo De rerum
natura. Le novelle del Decamerone, coeve della peste degli
anni 1348-51 che in Europa aveva ridotto ad un terzo la popolazione, sono state concepite e godute in campagna per
sfuggire al flagello che allora infuriava in Firenze città.
La peste, durante la Guerra dei Trent’anni è stata anche
il terribile coprotagonista dei Promessi sposi manzoniani.
Volendo andare nel sottile e nella finzione, la peste ha
condizionato in qualche modo perfino la tragedia amorosa di Giulietta e di Romeo. Il messo di frate Lorenzo
doveva recarsi a Mantova ad avvertire Romeo del giochetto della finta morte di Giulietta ma rimase bloccato,
cosi racconta Shakespeare, alle porte di quella città, in
quei giorni in preda a quel contagio. Romeo, non infor-
24
mato del trucco, all’annuncio ufficiale della morte in
quel momento ancora finta, dell’amata, corse a Verona
per morire vicino a lei con tutto quel che ne è seguito.
Il problema che mi sono posto con questo breve scritto
è appunto quello di capire e far capire, se possibile, almeno secondo la mia personale esperienza, quale importanza possano aver avuto gli scritti e le storie letti od uditi negli anni fondamentali dedicati alla nostra formazione culturale grande o piccola che sia divenuta, che è poi
quella dei miei e dei nostri primi vent’anni di vita. Parlo
però di un temp0 ormai remoto nel quale, a differenza di
oggi, la scuola era l’ autentica protagonista del nostro
quotidiano. Partita facendo le aste con le relative macchie
di inchiostro sui quaderni e sulle dita, malgrado tutto ha
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
la formazione di una cultura personale - infanzia e adolescenza
fatto sì che perfino la mia grafia di mancino integrale sia
quasi leggibile al contrario di quella dei miei nipoti che
hanno imparato a scrivere direttamente le parole, privi di
ogni senso dell’ordine e della gradualità, non essendo ancora in possesso della necessaria manualità.
Esse sembrano l’impronta di un pulcino con le zampette intinte di inchiostro che abbia passeggiato con allegria sopra un foglio di carta.
Sono ben lontano dall’ avere trovato una risposta soddisfacente a tutto questo ma, di certo, esiste. I parametri di
tale problema sono infatti molti e troppo diversi per riuscirci. Essi vengono inquinati anche dall’ambiente familiare, dal momento storico e dalla stessa salute morale e
psichica e soprattutto dal carattere di ogni individuo. So-
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
prattutto gli insegnanti, in cui si incappa, possono diventare il punto forte nella preparazione di un ragazzo ma anche quello debole, quindi sono in ogni caso determinanti.
Mi accorgo di non aver mai accennato alla memoria
che è considerata da tutti essenziale. In effetti essa lo è ma
in modo solo parziale. È l’adozione del ragionamento cartesiano la vera leva finale che sa spingere in alto la cultura
dell’uomo. Di questo sono sicuro. Di certo la lettura, anche se disordinata può avere un peso considerevole nel
consolidamento della sua preparazione, ma unicamente
quando sia sostenuta da una curiosità mai esausta e dal
piacere estetico che essa sappia sollecitare in noi.❧
Sandro Dise
25
Tridentini scriptores
prohibiti III
Giuseppe Canestrini
di Giuseppe Maria Gottardi
26
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
giuseppe canestrini
N
el 2002, a
cura del
Prof. Marco Palma, docente di
Paleografia Latina all’
Università di Cassino
e studioso di manoscritti medievali, la
Casa Editrice Viella di
Roma, pubblicò la
“Bibliografia
degli
scritti del Prof. Armando Petrucci”, filologo e paleografo italiano.
Uno dei massimi
studiosi italiani di paleografia, diplomatica
e storia del libro.
All’interno di questa splendida ricerca
è riscontrabile l’impegno profuso dal
Prof. Petrucci nel
1975 per la descrizione biografica del nostro Giuseppe Canestrini, apparsa nel
“Dizionario biografico degli italiani”; pubblicazione
curata
dell’Istituto della Enciclopedia Italiana,
Treccani di Roma.
Giuseppe Canestrini è il secondo degli
Scrittori Tridentini
Proibiti e di lui parleremo in questo numero della nostra rivista.
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
∏
Se un dopopranzo di qualche tiepida giornata ottobrina, piena d’abbandono e di melanconia, voi prendete il viale dei colli a Firenze e
piano piano riuscite in faccia a S. Miniato al Monte, troverete spesso
dei gruppi di Italiani e di forestieri, i quali forse ancora suggendo con
voluttuosa lentezza l’eloquenza d’un bacio o il ritmo di parole calde,
innamorate, si fermano davanti a due tombe, a due iscrizioni e restano colpiti e pare raccolgano tutti i loro ricordi, tutte le loro memorie
per riconoscere meglio la voce de’ due morti: di Giuseppe Canestrini,
storico, e di Albano Tomaselli, pittore. E mentre tutt’intorno cascano
a una, a due, a dieci, a cento, a stormi le foglie degli alberi, frullando
leggermente come ali stanche, e laggiù lontano verso la marina pisana
muore il sole rosso come il sangue, le ombre de’ due morti escono dal
buio, prendono consistenza, guardano e sorridono, l’una con l’occhio
scintillante e smanioso della giovinezza vigorosa e speranzosa, l’altra
con l’occhio tranquillo e serio della vecchiaia. Italiani e stranieri, salutate riverenti quelle due ombre; esse vengono di lontano, ma col sorriso
d’Italia e con la lingua di Beatrice; esse vengono a ricordare la loro
terra natale, il Trentino, qui a Firenze, dove più pura suona la lingua
italiana e più limpido è il sorriso vivificatore di fratellanza; esse sono
le ombre che ricordano la storia e l’arte italiana, che rammentano i
fasti della loro comune madre, l’Italia.
Ma... pur troppo quanti Trentini stessi rimarrebbero sorpresi davanti
a que’ due nomi, a quelle due figure e ripeterebbero dentro il loro cervello la nota domanda di Don Abbondio! Eppure il nome d’uno di
que’ due morti un tempo era conosciuto in Italia e in Francia e in
Germania e in Inghilterra, e la parola di Giuseppe Canestrini era
ascoltata con rispetto e con deferenza; eppure durante le epiche lotte
del nostro risorgimento la sua voce risonò ne’ consigli toscani piena di
fuoco e d’ entusiasmo. È proprio cosi; noi Trentini dimentichiamo
troppo presto i nostri migliori figli e non badiamo più al frutto che s’ è
staccato dall’albero poderoso di nostra gente e lo lasciamo marcire
nell’oblio immeritato. Per ciò anche la voce del povero Canestrini s’ è
affiochita e spenta sotto le macerie degli anni,
e la sua figura è svanita nelle tenebre
del tempo.
∑
[Benvenuti Edoardo: Di Giuseppe Canestrini e delle sue opere, Trento, Giovanni Zippel ed., 1909, pag.5-6]
[Albano Tomaselli, pittore, Strigno(tn) 1833 - Firenze 1856]
Canestrini, Giuseppe
Nacque a Trento il 17
luglio 1807, da una modesta famiglia originaria della Val di Non.
Dopo aver compiuto le
scuole secondarie a
Trento, studiò statistica ed economia politica all’università di
Vienna, senza conseguirvi la laurea; quindi, per ragioni che restano ignote, si trasferì
a Parigi fra il 1830 e il
1832, ove visse miseramente con lavori saltuari di copista, di segretario, di ricercatore
d’archivio, dapprima
per conto di Antonio
Marsand [1765-1842],
quindi alla Biblioteca
nazionale; ivi si giovò
anche degli aiuti e della protezione di Niccolò Tommaseo [18021874], di Vincenzo
Gioberti [1801-1852] e
di altri, fra cui Cesare
Cantù [1804-1895], e
tentò invano di collaborare alla grande impresa di raccolta e di
edizione di documenti
inediti per la storia
francese avviata nel
1833 dalla Société de
l’histoire de France.
Nel 1837 fu incaricato
ufficialmente da Louis
27
giuseppe maria gottardi
Adolphe Thiers [1797-1877] di trasferirsi a Firenze per
raccogliervi e trascrivervi materiale documentario sulla storia fiorentina dalle origini delle arti sino al 1530,
con particolare riguardo agli aspetti organizzativi e finanziari dell’amministrazione del Comune.
Fu questa la svolta decisiva della vita del Canestrini,
non soltanto perché lo liberò da ogni assillo economico; non soltanto perché gli permise di rientrare in Italia
e di stabilirsi a Firenze ma, soprattutto, perché la missione affidatagli dal Thiers lo consacrò per sempre ricercatore d’archivio e studioso di storia.
Firenze, meglio assai di Milano, di Roma e di Napoli,
era allora il centro più attivo della ricerca storica in Italia; ivi Gino Capponi [1792-1876] aveva iniziato la pubblicazione di importanti raccolte documentarie e, col
Vieusseux [GianPietro 1779-1863], veniva preparando
l’uscita di quella che sarebbe stata la massima rivista
storica italiana; ivi archivisti, bibliotecari, letterati, librai ed editori costituivano un ambiente sufficientemente omogeneo e prevalentemente orientato agli studi storici, ambiente in cui il Canestrini non ebbe difficoltà ad inserirsi, favorito sin dall’inizio sia dalla esperienza europea (viennese e parigina) che poteva vantare, sia dall’esito fortunato delle ricerche condotte a Parigi e a Firenze, sia, infine, dal proprio atteggiamento
politico liberale e anticlericale. Date queste premesse,
era fatale che il Canestrini dovesse diventare collaboratore attivo del primo Archivio storico italiano, cui offrì
subito la cronaca milanese del Cagnola [Zoan Petro]
(pubblicata nel tomo I [1842], 2, pp. 1-215, con prefazione di C. Cantù), e di cui compare fra i compilatori fin
dal 1843. Nel 1842 egli ottenne che fosse fatto venire a
Firenze Tommaso Gar [1808-1871], trentino come lui,
per partecipare all’impresa dell’Archivio. Sin dal 1843 il
Canestrini cominciava a pubblicare nell’Archivio testi
ed articoli, per giungere, fra il 1849 e il 1851, all’edizione
di due importanti raccolte di documenti, da tempo in
gestazione, dedicate l’una alle relazioni fra Avignone e
i Comuni italiani nel Trecento e l’altra alla storia militare italiana fra Duecento e Cinquecento.
Il biennio 1848-49 rappresentò per il Canestrini un pe28
riodo di vivace impegno politico. Già nel 1847 egli aveva pubblicato un opuscolo sulle funzioni della guardia
nazionale (Della legge sulla Guardia civica Toscana, Tipografia Nistri, Pisa 1847, pag. 8); nel 1848 si iscrisse al
Circolo politico di Firenze e tra il febbraio e il maggio
del 1849 fu rappresentante ufficiale in quella città del
governo repubblicano romano.
Dopo la restaurazione del governo granducale, il Canestrini si dedicò alla compilazione di nuove, imponenti sillogi documentarie relative alla storia fiorentina, e all’edizione delle opere inedite del Machiavelli e del Guicciardini, costituite rispettivamente dal carteggio ufficiale del
primo, conservato nell’Archivio di Stato di Firenze, e dal
carteggio e dagli scritti minori del secondo, custoditi dagli eredi nel palazzo di famiglia. Gli Scritti inediti di N.
Machiavelli riguardanti la storia e la milizia (1499-1512),
editi a Firenze nel 1857, consistono in una raccolta di lettere ufficiali del Machiavelli, scelte dal Canestrini e riunite sotto diverse rubriche ordinate per argomento; nell’introduzione il Canestrini si limitava ad offrire notizie sugli
ordinamenti militari fiorentini. L’opera cui egli dedicò il
massimo impegno per parecchi anni (e certamente la sua
maggiore in senso assoluto) fu costituita dalla monumentale edizione delle Opere inedite di Francesco Guicciardini, pubblicata in dieci volumi a Firenze fra il 1857 ed
il 1867 sotto la supervisione dei conti Luigi e Piero Guicciardini.
In quest’opera il maggiore impegno personale il Canestrini lo pose certamente nell’elaborazione delle lunghe
introduzioni premesse ai volumi I, II, III, VI, VII, VIII,
IX e X della raccolta, nelle quali, prendendo occasione
dai testi che veniva pubblicando, trovò modo di enunciare le sue teorie di storia delle dottrine politiche e di
esprimere i suoi sentimenti liberali e anticlericali.
In particolare, le introduzioni ai volumi VI-VIII sono
tutte dedicate a durissimi attacchi contro il dominio
temporale della Chiesa e quella dell’ultimo volume a
un ritratto, piuttosto convenzionale ed astratto, del
Guicciardini.
Nel 1860 il Canestrini fu eletto deputato della VII legislatura per il collegio di Montepulciano, e rieletto per il
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
giuseppe canestrini
medesimo collegio nelle successive elezioni del 1861.
Il 15 luglio 1862 fu fatto direttore della nuova grande Biblioteca Nazionale di Firenze, succedendo all’amico
Atto Vannucci [1808-1883]; in tale qualità nel 1869 fece
parte della commissione di nomina ministeriale che
sconsigliò la creazione in Italia di un’unica, grande Biblioteca nazionale. Morì a Firenze il 28 novembre 1870,
due mesi appena dopo la definitiva caduta di quel dominio temporale della Chiesa contro il quale aveva
tanto lungamente lottato.
L
a stampa dell’opera del Canestrini iniziata
nel 1857 vide il termine nel 1867 ma già nel
1859 essa era incorsa, con decreto del S. Uffizio del 20 gennaio, nell’interdizione. A questo aveva
anche contribuito la pesante stroncatura da parte della
rivista Civiltà Cattolica uscita con un articolo di fondo
il 18 settembre 1858. L’articolo considerava solo il primo
volume, riferendosi con ciò a quasi solo il Guicciardini
e non erano ancora apparse le pesanti prefazioni anticlericali del Canestrini.
Nei riguardi del Canestrini, la critica non fu mai tenera. Benché il Thiers lo avesse consacrato per sempre ricercatore d’archivio e studioso di storia, circondandolo
di una fama, che ne avrebbe fatto un attore di primo
piano in molte delle vicende, erudite ed intellettuali
della cultura italiana del secolo e a sua volta Abel
Desjardins [1814-1886], nel pubblicare a Parigi la silloge dei documenti diplomatici raccolti dal Canestrini
per incarico del governo francese e quindi riveduti e
trascelti dallo studioso francese (Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane..., I, Paris 1859) scrivesse nella premessa1 che il Canestrini veniva indicato
1 - Alleghiamo solo la nostra traduzione: Veniva spontaneo pensare che
Firenze aveva raccolto e possedeva dei documenti preziosi per la nostra storia; era quello che sembravano garantirlo, e il ruolo che questa celebre città
aveva giocato e la perseverante fedeltà con la quale questa città era stata nostra alleata. Spinti da questa doppia considerazione, alcuni eruditi insistettero perché venissero indagati gli archivi della Toscana. A quel tempo, c’era in
Firenze un meritevole e sapiente uomo, autore di opere giustamente stimate,
che conosceva questi archivi quasi come un contadino conosce il campo che
coltiva da più di vent’anni: era il Signor Giuseppe Canestrini. Con l’appoggio
dei più eminenti membri del Comitato della lingua, della storia e delle arti,
che avevano avuto modo di apprezzare la sua vasta erudizione e la sua rara
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
come il miglior conoscitore vivente degli archivi toscani e come storico di fama, pur tuttavia già il Tommaseo
lo giudicava un topo d’archivio, buono soltanto a cercare e trascrivere documenti. Anche Capponi e Vieusseux erano, a dir poco, insoddisfatti del suo attivismo
frenetico, accompagnato da scarsa costanza nel lavoro,
dell’eccessiva prolissità delle introduzioni e delle note
ai testi e della frettolosità e a volte la scorrettezza delle
trascrizioni. Anche il Prof. Armando Petrucci, nella
sua biografia2 non è tenero con lui.
Edoardo Benvenuti3, colui che ha dedicato la più ampia
sagacia, il Signor Canestrini venne incaricato di cercare nei depositi delle
principali città del Gran Ducato, i documenti che avevano attinenza con la
Francia. Questi documenti erano innumerevoli; i più importanti si riferivano alla copiosa corrispondenza degli ambasciatori fiorentini. Il successo di
questa indagine preliminare spinsero il Signor Ministro dell’Istruzione
Pubblica alla decisione di sottoporre ad un attento esame le Negoziazioni diplomatiche della Francia con la Toscana, allo scopo di trarne le parti più meritevoli d’interesse e quindi porle in pubblicazione nella collezione dei documenti inediti. Sua Eccellenza si degnò di conferirmi la direzione di questo
progetto confermandomi l’indispensabile concorso del Signor Canestrini; e
m’inviò a Firenze, dove dovevo approntare il piano di lavoro distribuendone
gl’impegni.
2 - Posto di fronte ai gravi problemi critici che la trasmissione dei testi guicciardiniani inediti, spesso tramandati in più recensioni d’autore, offriva, il
Canestrini rivelò una totale mancanza di ogni esperienza propriamente filologica. Per quanto riguarda il Reggimento di Firenze (vol. II) egli riprodusse una sola delle tre prefazioni lasciate dal Guicciardini e contaminò arbitrariamente due diversi testimoni del testo; per le Storie fiorentine fuse e rimaneggiò arbitrariamente i capitoli dell’opera; per i carteggi fuse più lettere in
una, omise i passi cifrati, mutò datazioni e destinatari; per i Ricordi (e fu forse il guasto più grave) riunì in una serie unica, arbitrariamente ordinata, due
serie differenti di pensieri, che rappresentavano fasi diverse di elaborazione
del testo; inoltre molto spesso modificò l’ortografia, eliminò brani interi senza
avvertire il lettore, commise o lasciò commettere ai suoi collaboratori gravi
errori di trascrizione.
3 - A chiusura della serie degli studi su Firenze [Canestrini] pubblicò, per
cura dei discendenti di Francesco Guicciardini, le Opere inedite del grande
storico in 10 volumi. La pubblicazione, che gli procurò non poche noie con gli
editori e che non gli fu pagata neppur troppo lautamente, e certo una delle
più importanti della seconda metà del secolo XIX e suscitò subito de’nuovi e
più ampi studi in Italia e fuori; ricorderò soltanto gli articoli comparsi nella
Rivista di Firenze ecc., diretta da Atto Vannucci (anno II, vol. IV, pag. 93),
nella The Edimburg Review (july 1809, pag. 1 e seg.), nella Revue des deux
Mondes (agosto 1869 pag. 901 e seg.) e nell’Archivio storico italiano: ricorderò pure l’interesse che vi prese Eugenio Benoist, il noto studioso della vita del
Guicciardini, Matteo Augusto Geffroy il migliore critico di tutta la pubblicazione, Giovanni Armingaud, Adolfo Thiers nella sua magnifica storia
dell’impero (vol. XII) e Luciano Banchi. Basterebbero questi nomi per dire
che l’opera deve esser non solo utile ma storicamente notevole. Noi pero spassionatamente diremo che la pubblicazione non è all’altezza né del suo autore,
né delle richieste del pubblico. La figura del Guicciardini delineata nelle vario
prefazioni è come un mosaico malandato, tutta a pezzi, piena di lacune, piena di punti oscuri: invece del Guicciardini vero e reale troviamo un
29
giuseppe maria gottardi
ed appassionata biografia al Canestrini, e il cui incipit
abbiamo messo all’inizio di questo lavoro, a sua volta,
nel descrivere le Opere inedite del Guicciardini non lesina le sue critiche ed anzi le rafforza con il pensiero del
Geffroy [Mathieu Auguste, 1820-1895]. Anche le conclusioni del Benvenuti4 riconsiderano tutta l’opera di
Giuseppe Canestrini.
Occorre comunque dire che il Canestrini s’ impegnò
grandemente in questo lavoro di cui, alla fine, era anche molto orgoglioso. Nella prefazione al IX volume è
interessante leggere quello che lui ne pensava5.
Guicciardini creato secondo la mente del Canestrini, il quale innamoratosi
del suo autore non volle più vedere né difetti, né contraddizioni, né incongruenze. La più bella, e vera critica a quest’opera fu fatta da un suo fervente
ammiratore e io non posso esimermi dal riportarla tutta intera per la sua
precisione e verità. [«Delle difficoltà che noi ignoriamo, possono forse spiegare perch’egli non abbia rispettato, nel distribuire questi dieci volumi, ne
la cronologia, ne, così sembra, alcun ordine logico. Documenti dissimili
sono riuniti in modo confuso; anche la corrispondenza non rispetta le date. Dove, all’inizio del volume, è presente una prefazione, questa serve solo a glorificare la politica italiana attuale, e poco c’istruisce sulla politica del
Guicciardini e del XVI secolo. Non vi sono note abbastanza per potersi districare in mezzo a questi documenti, spesso di difficile comprensione.
Tutto ciò che rimane delle opere inedite del Guicciardini non è stato precisato e addirittura neanche menzionato in questa raccolta; alcun accenno è
stato fatto delle arringhe conservate alla Biblioteca Magliabecchiana, in
mezzo alle quali si trovano delle chiose atte da sole a spiegare svariati enigmi di quest’opera oggi pubblicata. Ora ci ha lasciato la premura, qualche
volta pericolosa, di rinnovare la trama morale di questa vita.» (Revue de
deux Mondes, 1874, vol. I, pag. 656-657.) op. cit. pag. 63-65. ]
4 - Il suo valore come storico è certamente, innegabilmente grande sia per la
novità delle ricerche sia per l’acutezza delle osservazioni; ma non posso tacere
l’impressione che si ha dopo aver letto tutte le sue numerose opere. Il Canestrini
risulta piuttosto un acuto e zelante ricercatore e raccoglitore di documenti che
non un vero storico; anzi non arrivò mai a quella vasta concezione della storia né a quelle sintesi geniali a cui arrivarono altri storici suoi amici primo fra
tutti Pasquale Villari. Forse questo dipendeva dal metodo stesso con cui il
Canestrini lavorava: cioè da quel metodo disordinato, inarmonico. confuso
che rende quasi completamente inadoperabili ai vari studiosi gli appunti storici da lui lasciati fra le sue carte. Certo poteva ricavar molto più dai suoi studi eruditissimi e assorgere anch’gli alla sintesi storica e non rimanere un semplice illustratore di documenti. In secondo luogo troppo spesso adopera i fatti del passato per l’esaltazione del presente allontanandosi da quella severità e
serenità che è il primo requisito d’uno storico. [pag. 75.]
5 - Né senza alcuno compiacimento di questi assidui studi e diligenti fatiche di dieci anni e più, ci vediamo ora quasi al termine di un lavoro, non
per il numero grande dei volumi mirabile, ma per la profondità dei concetti, per l’utilità degli ammonimenti e per gl’inesausti tesori di civile sapienza che in questi nuovi scritti ha riposti la mente sovrana del Guicciardini;
e ne andiamo tanto più lieti considerando che mercé le nostre lunghe cure
e le superate difficoltà, che soltanto gl’intendenti sanno giustamente estimare, abbiamo disvelato allo studio e alla meditazione dei moderni statisti
un nuovo monumento, e che sarà in tra i maggiori enumerato, della sapienza politica degli italiani; giacché questi volumi delle Opere inedite da
noi pubblicati ed illustrati, essendo stati non solo in Italia ma anco fuori
30
In realtà le cose non andarono com’ egli aveva vagheggiato; di quest’opera si ebbe solo quest’unica edizione e
gli studiosi del Guicciardini non si sono mai fidati ciecamente del Canestrini.
G
iunto quasi al termine di questo modestissimo
lavoro mi rendo conto che il Guicciardini,
questo “campione” dell’Italia nostra è rimasto
un po’ in disparte, eppure tutto è cominciato da lui.
Poiché il nostro intendimento è quello di raccogliere
informazioni che ci aiutino a capire cosa ne pensassero
coloro ch’erano deputati al controllo degli autori, ci viene incontro Giovanni Casati con il suo: “L’ Indice dei libri proibiti : saggi e commenti.”, Milano-Roma, Pro Familia, 1936 (Milano, Tip. Artigianelli).
Guicciardini Francesco (1505-1540). Nato in Firenze da
nobile e antica famiglia ; occupò cariche importanti,
come governatore sotto i Papi e sotto la Repubblica,
più volte, per cattiveria di eventi, sbalestrato nella sua
fortuna. Negli ultimi anni si ritirò nella sua villa di Arcetri, ove attese a scrivere la storia d’Italia.
«Se v’ha materia e arte che da sé voglia la più perfetta
obiettività, è dessa la storia, fedele espositrice delle passate cose, maestra della vita. La storia che veramente si
onori di tal nome, non può essere tuttavia nuda narrazione di fatti, bensì di fatti quali si manifestano, come
derivanti da cause bene esaminate e feconde di maggiori
effetti in avvenire; la storia è perciò filosofia. L’elemento
soggettivo dello storico non può disgiungersi affatto
dall’obiettivo, dato dai fatti; anzi questo secondo, perché
la storia sia veramente tale e interessi un popolo, è mezzo a dar luce a quel primo, il quale avrà tanto maggior
valore, quanto più sarà colto dalla giusta osservazione
dello scrittore.»
Francesco Guicciardini, se si prescinde dal valore della
sua moralità subiettiva, è a ragione chiamato il principe degli storici italiani, perché d’ogni fatto narrato ha
con interesse e curiosità grandissima accolti, e fatti in Germania in
Inghilterra e in Francia subbietto di nuovi e più intimi studi sopra la scuola degl’italiani statisti, e principalmente sul Guicciardini come scrittore politico ed uomo di Stato, è segno non dubbio della grande importanza e del
sommo pregio in cui è tenuta la presente pubblicazione.
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
giuseppe canestrini
investigato le ragioni, perché a larga mano diffuse negli
avvenimenti un tesoro di considerazioni morali e politiche, frutto di esperienza, di profondità e acume d’ingegno. E in ciò si spinse alla esagerazione, con l’introdurre troppi discorsi, i quali riflettessero il modo di
considerare lo stato degli avvenimenti, discorsi fabbricati talora di sana pianta, benché non discordi dai veri
tenuti nelle medesime occasioni; e riuscì, per la esagerata cura dei particolari che servissero a dimostrare il
valore degli asserti, prolisso e sovente stucchevole, se
non fiacco.
Chi voglia ben giudicare la Storia del Guicciardini, non
può prescindere da due considerazioni.
La prima, che il Guicciardini non fu uno spassionato
giudice né dell’opera né delle persone dei Papi. I Papi
furono larghi a lui, governatore pubblico al loro stipendio, di favore, e specialmente quel Clemente VII da lui
tanto vilipeso. Ma il Guicciardini non si ritenne sufficientemente rimunerato, e si ritirò a vita privata, dove
attese a scrivere la sua Storia. Questa, pubblicata ventun anno dopo la sua morte, dapprima in sedici libri,
poi in venti, non portava i passi più ingiuriosi verso i
romani pontefici; ma le stampe eterodosse furon sollecite a farne più tardi avida incetta.
Il periodo vissuto dal Guicciardini (1482-1540) e la storia da lui narrata (1490-1534) son contraddistinti da tre
fatti di un’importanza notevole per le conseguenze nei
secoli futuri: sulla Cattedra di S. Pietro quattro pontefici umanisti, sempre severamente ma quasi mai imparzialmente giudicati, oppure giudicati con giudizi
troppo assoluti e astratti dalle condizioni dei tempi,
Alessandro VI, Giulio II, Leone X, Clemente VII; tempi che vanno dal Valentino e dal Savonarola al Sacco di
Roma e all’assedio di Firenze. Il delinearsi, e lo scatenarsi della riforma politico-religiosa di Lutero. Il preponderare, dopo la scoperta dell’America, dei grandi
stati europei, e la lotta tra Francia e Spagna per la conquista dell’Italia, la quale vedeva per interne discordie
sfasciarsi a una a una le libertà comunali e repubblicane, e andava a cadere tutta sotto la dominazione francese dapprima, spagnola dappoi.
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
Il Guicciardini non vede che una trista fatalità che incombe sull’Italia, e ne incolpa prevalentemente i Papi;
così è più severo con Giulio II, l’unico principe italiano
che sognò di liberane l’Italia dai barbari, che non sia
con Lodovico il Moro, il primo, il vero principe che
chiamò in Italia per ambiziose mire personali Carlo
VIII di Francia, funestissimo esempio per tutti gli stranieri di poi.
Il Guicciardini non risparmia insulti all’indirizzo particolare dei pontefici, per lui tutti scellerati a un modo,
e ostenta, anche attraverso pagine magnifiche, le bellezze della religione cattolica, di cui si professa figlio
deferente, affin di biasimare al confronto gli ecclesiastici.
L’ altra considerazione di fatto è data dal temperamento stesso del Guicciardini. Francesco De Sanctis6, dopo
averlo portato al cielo quale antesignano, insieme al
Machiavelli, della concezione laicista a oltranza dello
stato moderno, cosi lo giudica:
«La corruttela italiana era appunto in questo: che la coscienza era vuota e mancava ogni degno scopo alla vita.
Machiavelli ti addita in fondo al cammino della vita terrestre la patria, la nazione, la libertà... Il Guicciardini
ammette anche lui questi fini, come cose belle e buone e
desiderabili; ma li ammette sub conditione, a patto che
siano conciliabili col tuo particolare, cioè col tuo interesse personale. Non crede alla virtù, alla generosità, al patriottismo, al sacrificio, al disinteresse... Nel Guicciardini
comparisce una generazione già rassegnata. Non ha illusioni. E perché non vede rimedio a quella corruttela, vi
si avvolge egli pure e ne fa la sua saviezza e la sua aureola.
I suoi Ricordi sono la corruttela italiana codificata e innalzata a regola di vita. Il Dio del Guicciardini è il suo
particolare ... Tutti gli ideali scompariscono. Ogni vincolo religioso, morale, politico, che tiene insieme un popolo,
è spezzato. Non rimane sulla scena del mondo che l’individuo. Ciascuno per sé, verso e contro tutti. Questo non
è più corruzione, contro la quale si gridi: è saviezza, è
dottrina predicata e inculcata, è l’arte della vita».
Questo severo giudizio è tratto piuttosto dai Ricordi,
6 - Storia della Letteratura Italiana, cap. XV.
31
giuseppe maria gottardi
nei Brani inediti; tutto il livore antipapale del Guicciar- Un ulteriore opera ascritta al “povero” Guicciardini
dini si manifesta in quelle pagine, dov’egli si augura an- compare nel 1569 e poi nel 1602:
che di appartenere alla Riforma. Ma pure la Storia ne è Loci duo ob rerum, quas continent gravitatem, cognitioispirata e come pregna. E l’occasione che spinse il Guic- ne dignissimi, qui ex ipsius historiarum libris III et IIII
ciardini a scriverla, cioè il suo personale malcontento, dolo malo detracti in exemplaribus hactenus impressis
ne diede una ragione, come il suo testamento politico, non leguntur, nunc tandem ab interitu vindicati et latiche lasciò cosi concepito nei Ricordi: “Tre cose desidero ne, italice, galliceque editi. Seorsum accesserunt Francivedere innanzi la mia morte, ma dubito ancora che io sci Petrarchae epistolae XVI quibus plane testatum relivivessi molto, non ne vedere alcuna: un vivere di Repub- quit, quid de pontificatu et de rom. Curia senserit. Item
blica bene ordinato nella città nostra; Italia liberata da pontificis maximi Clementis VIII anno MDXCVIII Fertutti i barbari; e liberato il
rariam petentis et ingremondo dalla tirannide di
dientis apparatus et pompa.
A
questi scellerati preti.”»
[Genève ?], Petrus AntoGIUSEPPE CANESTRINI
nius, 1602, in-8°, 169; [4],
DA TRENTO
Francesco Guicciardini era
80 p.
CITTADINO OTTIMO ISTORIOGRAFO INSIGNE
ben conscio del suo delicaEdizione anterieure: Loci
COMMENDATORE DELL’ORDIN MAURIZIANO
to ruolo e mai e poi mai
duo, senza le Epistolae del
CAVALIERE DELLA LEGION D’ONORE
avrebbe permesso la pubPetrarca. Basel, s.i., 1569,
DUE VOLTE DEPUTATO
blicazione dei suoi pensieri
AL PARLAMENTO ITALIANO
in-8°, 116 p.
DIRETTORE
più reconditi che tali si legLa prima edizione sfugge
DELLA
BIBLIOTECA
NAZIONALE
gono nei suoi Ricordi. Inalla censura ma la seconda
DI FIRENZE
fatti benché la sua “Histoincappa nel decr. S. Off. 21MORTO IL 28 NOVEMBRE 1870
ria” fosse incorsa nell’Index
07-1603.
TEMISTOCLE PAMPALONI
di Parma per l’edizione fioEd infine l’immane lavoro
AMICO SUO DOLENTISSIMO
rentina di Lorenzo Torrendel Canestrini:
A PERPETUA TESTIMONIANZA
D’AFFETTO E D’ONORE
tino del 1561, essa era stata
Opere inedite di Francesco
tuttavia expurgata nell’InGuicciardini, illustrate da
Q. M. P.
dex di Roma del 1596. Ma
Giuseppe Canestrini e pub___
ecco che a Ginevra compablicate per cura dei conti
re una nuova versione con
Pietro e Luigi Guicciardini.
GIUSTISSIM’ALMA IN GENEROSO PETTO
aggiunte:
- Firenze, Barbèra-Bianchi,
CALDO, LEALE, AUSTERO, INTEMERATO
La historia d’Italia, con le
COR GENTILE, DRITTO SENNO, ALTO INTELLETTO
1857-1867, in-4°, 10 vol. LiMAGGIOR DELLA SUA FAMA E DEL SUO FATO
postille in margine, con la
vorno, rimette il Guicciarvita dell’autore di nuovo ridini con decr. 20-01-1859
veduta et corretta per Frannel novero degli autori
cesco Sansovino, con l’agbanditi.
giunta de’quattro ultimi libri lasciati indietro dall’autore. Una fine imprevista per chi, a lungo, aveva evitato
Genève, Jacob Stoer, 1621, in-8°, 2 vol.
qualsiasi polemica.❧
Questa incorre nella sanzione con decr. 07-01-1627 che
rimarrà valido fino ai giorni nostri.
Giuseppe Maria Gottardi
32
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
giuseppe canestrini
CIVILTÀ CATTOLICA
Rubrica: rivista della stampa italiana
Guicciardini Francesco, Opere Inedite, illustrate da Giuseppe Canestrini, e pubblicate per cura dei Conti
Piero e Luigi Guicciardini. Firenze, Barbèra, Bianchi e Camp. 1857. Un volume in 8° di pagine 399.
Molte sono le Opere inedite che del
loro antenato qui si promettono dai
Conti Piero e Luigi Guicciardini:
ma questo primo tomo contiene
soltanto le Considerazioni intorno
ai Discorsi del Machiavelli,
i Ricordi politici e civili e i
Discorsi politici, preceduti
da una prefazione del Canestrini, ove rende ragione di codeste tre Opere, e
si conclude con un elogio
del Guicciardini tessuto
dal Thiers nella Storia del
Consolato e dell’Impero,
degno panegirista di quel
Guicciardini già conosciuto abbastanza e pel
merito letterario e per lo
spirito irreligioso che procacciò alla sua Storia poco
onorevole
ricordanza
nell’Indice dei libri proibiti. Non potrà dunque recar meraviglia che lo spirito medesimo si manifesti anche in queste Opere
e nella Prefazione ed osservazioni
che le accompagnano nel loro presentarsi al pubblico. Il Guicciardini
incorre qui nella sventura di molti
uomini illustri, la cui fama postu-
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
ma, promettendo ad ogni loro
scritto favorevole accoglienza, stimola chi ne ereditò i manoscritti a
gittare in palese ciò che l’Autore
avea forse riserbato o alla confiden-
za degli amici o alla severità della lima. Cosi avvenne alla memoria
dell’Alfieri, la cui autobiografia che
l’amico di lui, il dotto Abbate di Caluso, avrebbe voluto sottrarre per
onore dell’Astigiano agli occhi del
pubblico, non fu certo il monumento più onorato per la gloria del
Tragico italiano.
Altrettanto crediamo potersi dire,
(e lo dice infatti l’Autore
stesso proemiando al
dialogo del Reggimento di
Firenze) 1 per rispetto a
molti passi, di questa
pubblicazione, nella quale confessiamo candidamente di non aver ravvisato né la delicatezza dei
pronipoti verso la riputazione del loro antenato,
né l’accortezza d’uomini
italianissimi nel non
compromettere gli interessi del partito. Codeste
opere postume noceranno, a parer nostro, e al
Guicciardini e all’italianismo. Al primo col mostrarlo privo, non solo di
onore e lealtà civile quale
tutti già lo conoscono,
ma anche di religione e di sentimento cattolico, qual’egli si mostra
1 - Dallo scrivere mio, massime fatto per mio
piacere e recreazione, né con intenzione di
pubblicarlo, non si può, né si debbe inferire
che ecc. (Tom. II, pag. VI.)
33
giuseppe maria gottardi
in parecchi tratti di queste Opere postume: all’italianismo poi parte discreditandone le teorie politiche, parte
mostrandolo complice della sua incredulità irreligiosa.
E in quanto allo spirito irreligioso di messer Francesco,
noi non sappiamo come la riverenza degli Editori verso il loro antenato non abbia cancellato quel ricordo
CXXIII, ove l’Autore dà prima per certissimo che ogni
religione ha avuto e suoi miraculi (il che potrebbe tollerarsi supponendo che parli di miracoli finti ); e poi soggiunge mostrano bene forse e miraculi la potestà di Dio,
ma non più di quello de’ Gentili che di quello de’ Cristiani; e anche non sarebbe
forse peccato dire, che
questi, così come anche e
vaticinii, sono secreti della natura, alle ragioni
de’ quali non possono gli
intelletti degli uomini aggiugnere (pag. 129). Il lettore ammirerà qui del pari e la forza filosofica di chi
spiega vaticinii e miracoli co’ segreti della natura, e la
fede di questo buon cristiano che trova ugual potestà
nel Dio de' cristiani e in quello de’ gentili.
Gli Editori ci promettono (pag. 173 e seg.) che nell’autobiografia il Guicciardini, professando apertamente
sentimenti di vera religione, ci autorizzerà a spiegare
benignamente certe frasi che sembrano putire dell’empio: e questo vien detto da essi a proposito del Ricordo
CCLIII : Non combattere mai con la religione né con le
cose che pare che dipendono da Dio; perché questo obbietto ha troppa forza nella mente delli sciocchi. Noi auguriamo agli Editori un buon esito; ma mentre aspettiamo l’edificante biografia, crediamo dover giudicare
il libro per quel che suona: e questa volta il suono è si
stridulo, che ha fatto accartocciare gli orecchi agli Editori medesimi. La religione ha troppa forza nella mente
delli sciocchi ! Sarà dunque sciocchezza dare a Dio la
suprema importanza sopra tutte le cose umane; ed ecco perché il Guicciardini, che non era sciocco, dà
agl’interessi umani maggiore importanza che alla giu34
stizia, alla buona fede, alla morale onestà.
Non sappiamo se a questi passi ponesse mente il Canestrini, quando trovava e nel Machiavelli e nel Guicciardini il linguaggio SEMPRE reverente verso la vera religione (pag. XXXV) : ma intendiamo benissimo che
con tali idee tutta la potenza della fede si voglia ridurre
(pag. 83) alla potenza dell’ostinazione.
E tanto basti intorno ai sentimenti irreligiosi del Guicciardini: i quali, abbiam detto, poco gioveranno a ristabilirne la riputazione nell’animo degli onesti.
Un solo vantaggio ci sembra poterne risultare: ed è che,
sebbene un tal modo irreligioso di parlare sempre sia deplorabile, in
quanto avvezza il volgo
de’lettori al cinismo
dell’empietà e ne fa perdere il naturale orrore;
pure non è senza qualche utilità, in quanto riduce al suo giusto valore le rabbiose maledizioni del Politico fiorentino contro il clero
e il papato; contro i quali egli parla non dirado un linguaggio da disgradarne il Bianchi-Giovini e la Gazzetta del popolo.
Non abbiamo il coraggio di trascrivere in prova della
nostra asserzione molti di questi passi, ove la rusticità
delle maniere fa degno accompagnamento alla rabbia
irreligiosa; sembrandoci che il lettore cattolico avrebbe
a rinfacciarci la castigatezza di quel poeta che del linguaggio diabolico di Ismeno non osò ripetere le parti
più empie, dicendo:
. . . quelle che vi aggiunse orribil note,
Lingua, s’ empia non è, ridir non puote.
Ci si permetterà peraltro di darne un piccolo saggio,
affinché il lettore possa giudicarne per sé medesimo: e
il saggio presenta un misto di rabbia contro i preti e di
viltà nel servirli, che fa onore ugualmente e alla pietà di
Messer Francesco e al coraggio civile di sua coscienza.
Ecco il ricordo CCCXLVI. Io ho sempre desiderato naturalmente la ruina dello Stato Ecclesiastico, e la fortuna
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
giuseppe canestrini
ha voluto che sono stati due pontefici
tali che sono stato sforzato desiderare e affaticarmi per la grandezza loro; se non fussi questo rispetto, amerei più Martin Lutero che me medesimo, perché spererei che la sua setta
potessi ruinare o almanco tarpare le
ale a questa scellerata tirannide di
preti (pag. 203). Queste ed altre simili maledizioni che tenterebbero
il lettore incauto a concepire mal
animo o disprezzo contro i ministri
della sua religione, perdono gran parte del loro
veleno, quando escono
da una penna che non
rispetta più il Dio
de’Cristiani che quello
dei pagani. E chi le
ascolta, conosciuta l’empietà dell’autore, dice
naturalmente fra sé stesso : La botte dà di quel che ha. Chi
non crede in Dio, qual inerenza
può avere ai suoi ministri ? Non ti
curar di lui, ma guarda e passa.
Tal è il sentimento che si desta
nell’animo di un Cattolico al leggere codeste declamazioni; sentimento, come ognun vede, poco favorevole alla memoria, già non troppo
onorata, del defunto Politico fiorentino. Ma qual sarà l’impressione
che produrrà codesto libro, rispetto
a quel partito moderato e italianissimo che dissotterra dalla polvere
degli archivi e avventa in pubblico
gli sfoghi postumi di codesta rabbia? Se le dottrine politiche del
Guicciardini fossero liberali, si po-
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
trebbe dire che l’empietà gli fu condonata in grazia della politica. Ma
al vederle tanto contrarie alle idee
correnti, ognuno dirà, essersi condonati i dissentimenti politici in
grazia della pretofobia irreligiosa: di
che non sappiamo quanto dovrà
vantaggiarne, specialmente in Toscana, il partito italianissimo o nella stima pubblica o negl’interessi
politici.
Quel popolo (come tutta general-
mente l’Italia) a dispetto di tutte le
insidie dell’eterodossia, serba vivo
tuttora e tenacemente radicato il
Cattolicesimo. In quale stima avrà
egli dunque la sedicente scuola politica italiana, che presenta al pubblico il suo maestro in codeste turpi
fattezze di irreligiosa stizza antipretina? Dubitiamo forte che la pubblicazione di codeste invettive, cui
la discrezione e la decenza comandavano di cancellare, potrà sembrare in Toscana un facsimile della
pubblicazione del Marnix fra i Cattolici belgi. Questa annunziava colà
la speranza di trasformare i protestanti e libarli in giacobini scannapreti: le giaculatorie luterane del
Guicciardini mostreranno ai Toscani la speranza di condurli, sotto
apparenze politiche, all’apostasia
dalla fede e all’odio de’Papi. Or questo non ci sembra molto giovevole
a ingagliardire tra i Toscani la riverenza verso la pretesa scuola politica italiana.
Abbiamo detto le dottrine politiche
del Guicciardini poco conformi alle idee correnti: e gli Editori che
l’hanno sentito al par di noi, sono
stati costretti più d’una
volta a correggere con le
loro note i poco liberali
sentimenti del loro caporione. Chi può p. e. tollerare, in un tempo, in cui
non è barattiere che non
vanti la lealtà del suo procedere e il coraggio delle
sue opinioni, che Messer
Francesco venga a dirci: Nega pure
sempre quello che tu non vuoi che si
sappia, o afferma quello che tu vuoi
che si creda; perché ancora che in
contrario siano molti riscontri e
quasi certezza, lo affermare o negare
gagliardamente mette spesso a partito il cervello di chi ti ode (Ricordo
XXXVII, pagg. 100-101). Non ti par
qui sentire il Voltaire: Mentez
toujours, mentez hardiment : il en
reste toujours quelque chose. E che
dirà il popolo dei moderati al vedere biasimati i Medici per la generosa imparzialità con la quale distribuivano largamente gli onori e utili
della città senza favorire gli amici e
mostrando equalità verso ognuno ?
35
giuseppe maria gottardi
Il che, dice Messer Francesco, tolse
loro ogni fondamento di amici,
giacché ai repubblicani nessuna
mansuetudine, nessuna dolcezza,
nessuno piacere che si facessi al populo bastava ; gli amici poi sperando di potersi salvare erano disposti
in uno frangente più presto a lasciare correre che a sostenere una grossa
piena (pag. 94). Bel documento
davvero di moderazione e di buon
Governo! Ma sentite come viene
commentato nel Ricordo XLI. Se gli uomini
fussino buoni e prudenti,
chi è preposto a altri legittimamente arebbe a
usare più la dolcezza che
la severità ; ma essendo
la più parte o poco buoni
o poco prudenti, bisogna
fondarsi più in sulla severità ; e chi la
intende altrimenti, s’ inganna. Confesso bene che chi potessi mescolare e
condire bene l’una con l’altra, farebbe quello ammirabile concerto e
quella armonia, della quale nessuna
è più suave ; ma sono grazie che a
pochi il Cielo largo destina, e forse a
nessuno (pag. 102). Oh poveri moderati! sentite come si fa parlare in
pubblico il vostro Caposcuola? Che
tale sia nel partito la dottrina acroamatica, sapevamcelo; basta vedere
come si governano i libertini in
Piemonte verso i Conservatori, i
Preti, i Cattolici. Ma che codesta
dottrina di severità e di parzialità
venga cosi pubblicata fra gli aurei
ricordi politici (pag. XX) !...
36
Avete udito il parlare del Guicciardini intorno alla moderazione ; volete ora udire ciò che egli pensa dei
vantatori dì libertà e promotori di
rivoluzione? Non crediate a costoro
che predicano sì efficacemente la libertà, perché quasi tutti, anzi non è
forse nessuno che non abbia l’obbietto agli interessi particolari ; e la esperienza mostra spesso, ed è certissimo, (sentite! sentite! qui non ci è alcun dubbio) è certissimo che se cre-
dessimo trovare in uno Stato stretto
miglior condizione , vi correrebbono
per le poste (Ricordo LXVI, pag.
110).
Bravo Messer Francesco! Si direbbe che scriviate nel 1850. Ma quando è cosi, gran babbuassi furono
quegl’ltaliani che a codesti ciurmadori diedono retta tracciando libertà.
Qual dubbio che babbei furono
tutti, tranne i Capi? Chi si travaglia
... di mutare Stati, se non lo fa per
necessità, o che a lui tocchi diventare
capo del governo, è poco prudente:
perché mette a periculo sé e tutto il
suo, se la cosa non succede; succedendo, non ha a pena una piccola
parte di quello che aveva designato
(Ricordo LI. pag. 105).
Peraltro dovreste scusarci per amore del nostro patriottismo che voleva una e felice l’Italia: né questo potevasi senza mutare Stato.
—
Oibò! Oibò ! Cotesto patriottismo non capiva i suoi interessi. Il venire in unità se sotto una republica poteva essere glorioso al
nome d’Italia e felicità a quella città
che dominassi: era all’altre tutte calamità, perché oppresse dalla ombra
di quella non avevano facultà di pervenire a grandezza alcuna, essendo il
costume delle republiche
non participare e frutti
della sua libertà e imperio a altri che a’suoi cittadini proprii. E se bene la
Italia divisa in molti dominii abbia in vani tempi patito
molte calamità che forse in uno dominio solo non ebbe patito, ... nondimeno in tutti questi tempi ha avuto
al riscontro tante città floride che
non avrebbe avuto sotto una republica; ché io reputo che una monarchia gli sarebbe stata più infelice che
felice (Considerazione sul cap. XII
sui discorsi del Machiavelli pag.
28.)
Quand’è cosi, non avevano dunque
torto quelle tante città che ricusavano la pretesa unità.
No certo: giacché o sia per qualche
fato d’Italia, o per la complessione
degli uomini temperata in modo che
hanno ingegno e forze, non è mai
questa provincia stata felice a ridursi
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
giuseppe canestrini
sotto uno imperio, eziamdio quando
non ci era la Chiesa ... Però se la
Chiesa romana si è opposta alle monarchie, io non concorro facilmente
essere stata in felicità di questa provincia, poi che l’ha conservata in
quello modo di vivere che è più secondo la antiquissima consuetudine
e inclinazione sua (Cons. sul cap.
XIV, pagg. 29-30).
Almeno non negherete che il Papa
fu iniquamente ambizioso coll’arrogarsi un governo temporale, invece di attendere alla cura delle anime.
Troppa severità, cari
miei! Io confesso essere
proprio ufficio del papa
la cura spirituale .... Ma
essendo il mondo pieno
di malignità, chi dubita
che se uno pontefice non
ajutassi le cose sue con
ogni specie d’armi e di
potenza, che sarebbe annichilato
non manco nello spirituale che nel
temporale? (Seppure, aggiungeremo noi, non fosse prodigiosamente
assistito, come sempre fu nei bisogni, da provvidenza speciale, alla
quale poco pare che credesse il
Guicciardini).
(Discorsi politici pag. 386.)
Tali sono i principii politici del
Guicciardini espressi per la più
parte nell’intimità confidenziale di
quei Ricordi e di quelle annotazioni, nelle quali egli poteva parlare il
linguaggio più schietto della libertà. Or dite voi, lettore, se codeste
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
dottrine favoriscano il sistema che
ci si va predicando dalla scuola italianissima: dite se doveva tornare
conto a questa scuola di mettere in
voga quelle Opere fra i popoli italiani. Ma il Guicciardini era incredulo, era nemico dei preti e del Papa: tanto basta perché debba aggregarsi alla scuola italianissima e servirle di banderaio. Egli, dice nella
prefazione il Canestrini, ha emancipata la politica dall’autorità, ren-
dendola indipendente dalla Teologia (pag. XXXIV) ossia dal Cattolicesimo. E ripete nuovamente nella
prefazione al secondo volume pagina X: Il carattere distintivo e notabilissimo di quella scuola (politica
italiana) è lo avere insegnato la benefica distinzione delle cose politiche
dalle ecclesiastiche. Vi par poco merito in faccia agl’Italianissimi, in
faccia ai grandi promotori della separazione fra la Chiesa e lo Stato?
Ciò nondimeno siccome cotesto
frasario, codesta emancipazione
dalla Teologia potrebbe dar sospetto di dottrine poco cattoliche e
mettere in guardia i lettori contro la
scuola che vorrebbe ateismo nella
politica, si soggiunge tosto, a modo
di correttivo, che il Machiavelli e il
Guicciardini, ai quali è dovuta l’emancipazione della scienza dall’autorità, riconoscono nel medesimo
tempo la necessità della religione,
siccome mezzo efficacissimo nel governo delle società (tomo I, pag.
XXXIV). E nel secondo volume
dopo le parole sopraccitate, Gli statisti d’Italia, dicesi, come
si applicarono ... a riforme politiche e civili a pro
della libertà, e dello Stato,
così nello stesso tempo
consigliarono il riordinamento delle cose religiose
col ritornarle ai loro veri
e santi principii (pag. XI).
Vedete con che balsamo
di devozione in quelle
ultime parole il frasario
italianissimo ha saputo dire ai buoni Toscani, non solo senza impaurirli, ma compungendoli per edificazione, che la pretesa scuola italiana è stata la gran maestra dei Re sagrestani e la prima ispiratrice di
quel giansenismo che, sotto pretesto di ritornare alla venerabile antichità, cospirò in Pavia, in Pistoia
per ammanettare Clero, Episcopato e Pontefice. E quasi con gli stessi
termini si ripete poco appresso
(pag. XXI) una giaculatoria all’indipendenza della politica potestà ....
con ispirito di rinnuovare la Chiesa
richiamandola ai primitivi ordina-
37
giuseppe maria gottardi
menti. Non sappiamo, a dir vero,
quanto codesti correttivi potranno
appagare un lettore cattolico : e temiamo forte che, considerate le già
note dottrine dei due autori, esso
venga preso come una professione
d’ipocrisia aggiunta a quella d’incredulità. In codeste poche parole
la scuola italianissima dice in sostanza ai suoi lettori cattolici : «La
politica che noi professiamo, nata
dalla ribellione all’autorità, continua le tradizioni di due
autori, i quali, se pagano
talvolta un tributo al comune errore mostrando
d’avere in qualche conto
la religione, lo fanno soltanto (e noi da buoni
scolari saremo con essi)
perché sperano con codesta finzione governare
le plebi; e sotto pretesto di richiamare la Chiesa ai suoi primitivi ordinamenti, incatenarla sotto una tirannide simile a quella del despotismo pagano». E questa professione
di fede enigmatica degli italianissimi sarà tanto più agevolmente indovinata e interpretata, quanto furono più coerenti i fatti del 1848
agl’insegnamenti dei capiscuola.
E qui permettete, cattolici e gentili
Toscani, che a voi specialmente
volgiamo una parola di affettuosa
sollecitudine, rimeritando cosi come solo possiamo l’inestimabile
cortesia, di che, più forse che
niun’altra contrada d’Italia, ci onorano le sponde dell’Arno, del Ser-
38
chio e dell’Ombrone : e come meglio potremmo attestarvi il sentimento vivissimo di gratitudine, che
con un grido di all’erta! quando a
voi s’ accosta il pericolo? Già sono
parecchi mesi che la rabbia dell’inferno si sforza con mille arti di tornare in onore que’principii funesti
di civile discordia e di spirito anticattolico che, nel malaugurato sinodo di Pistoia, vennero fulminati
e conquisi in nome dell’’Autore e
Consumatore della fede dal suo Vicario in terra. E poiché la sapienza
del Governo, concorde con le recenti sentenze del Vaticano, riprovò altamente i tentativi più audaci
dei tipi toscani, si tenta oggi o di
fingere tipi stranieri, o di mascherare con l’ipocrisia della divozione
la tirannia del vecchio errore. Ma o
mascherati o audaci, gl’intendimenti sono sempre i medesimi : si
vuole protestante, o, a dir meglio, si
vuole incredula l’Italia. Lascerete
voi che o l’audacia vi vinca, o l’ipocrisia v’illuda? Ecco ciò che si tenta
con bieche arti, sotto pretesto di risuscitare la scuola politica italiana e
di disseppellire dagli archivii i ca-
polavori. Solo ci duole che, confondendo in tal guisa sotto un medesimo nome di Scuola di Politica italiana due cose totalmente diverse,
l’inimicizia cioè al Papato e alla religione cattolica coll’amore dell’autonomia d’Italia e di un Governo
temperato, si pretenda associare a
codeste empietà anche il sì caro
all’Italia e cattolico Balbo (pag. X), e
si costringa in certa guisa ogni sincero Cattolico, qualunque sia il suo
amore per l’autonomia e
per la libertà, a protestare contro tal nome, per
non essere complice
dell’apostasia: il che non
sappiamo quanto sia per
riuscire vantaggioso alla
causa che da costoro si
appella italiana.
Ma se non è utile alla
causa loro, utilissimo può tornare
alla causa cattolica che tali si mostrino quali sono veramente, spasimanti di Martin Lutero, benché tedesco, e pronti a correre per le poste alla schiavitù, benché liberali.
Quello che ad ogni buono Italiano
riuscirà intollerabile è l’arrogante
burbanza di decorare codesta scarsa genia e codesta dottrina, esecrata
da venticinque milioni d’Italiani
cattolici, col mentito nome di scuola italiana, e il darle Dante per primo e Balbo per ultimo rappresentante (pag. XII). Se si trovarono fra i
grandi Intelletti italiani alcuni audaci o fanatici che scossero ogni giogo
d’autorità e di fede, riducendo per
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
giuseppe canestrini
necessaria conseguenza ogni bene
pubblico all’interesse, ogni politica
alla frode, ogni diritto alla forza; codesta scuola che si trova in ogni paese2 ove sono uomini e passioni e
prepotenze, solo per vitupero di nostra nazione potrebbe prendere il
nome d’italiana per vanto, e Dante e
Balbo per suo alfa ed omega. Se l’Alighieri fu trascinato dalle sue passioni politiche a tratti poco riverenti
verso la persona di qualche Pontefice, a torto fu accusato e
validamente difeso nella
piena sincerità del suo
Cattolicesimo3. Il Balbo
poi, lungi dal riputare
italiana la scuola macchiavellesca,
disse anzi anticittadina, antipopolana, antinazionale la parte, a cui l’iroso Guelfo servì per ira, pur ripudiando il nome di Ghibellino, e
chiamò sul suo capo le maledizioni
degl’italianissimi con la sua intemerata divozione al governo e spirituale e temporale dei Papi. Anzi deplorò fino all’ultimo come viltà imperdonabile, come unico fallo pubblico
2 - Lo nota il chiarissimo Balbo nei Pensieri
sulla Storia d’Italia, libro II, capo 22. «Furono
tutti questi (Macchiavelli, Guicciardini,
Bembo ecc.) più o meno, impronti delle medesime virtù e dei medesimi vizii di quell’elegantissima corruzione, che fu il carattere di
quel secolo. Ma affrettiamoci a dirlo, nol fu in
Italia sola, ché questo fu pure il tempo di
Filippo di Commines in Francia » ecc.
3 - Senza parlare dei libri recentemente scritti
in tal proposito, d’alcuno de’quali diede conto
anche la Civiltà Cattolica, ricordiamo, che, a
parere dell’Alighieri, regola di fede
Avete il vecchio e ‘l nuovo Testamento
E il Pastor della Chiesa che vi guida :
Questo vi basti a vostro salvamento
Paradiso C. V.
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
della sua vita politica l’avere cooperato per ambizione giovanile all’invasione di Roma nel 1809. I maestri
poi della scuola italianissima, in
qual conto si avessero dal valente
pubblicista piemontese, uditelo da
lui medesimo; « Machiavello e Guicciardini, storici tutti e due ..... ammirabili per l’arte, sono poi, per la indifferenza loro ai vizi e alle virtù narrate, la mancanza assoluta d’ogni senso
del bello, del grande e del giusto, per
le lodi loro, serbate alla sola riuscita
con qualunque mezzo e più co’più
artifiziosi e più perfidi, sono, dico, i
più miserandi, i più scellerati storici
che sieno stati mai ». E poco appresso : «Machiavello che ha il peggior
nome dei due nol merita forse, né come uomo, né come storico. Come uomo non tradì la patria, come Guicciardini ... ; comparando solamente
le due storie, Guicciardini è più politicamente immorale.4» Ecco come il
Balbo giudicava i due caporioni di
codesta scuola di politica eterodossa, della quale si vorrebbe mostrarlo
ultimo continuatore. No vivaddio!
non sarà italiana mai, ad onta di lutti i suoi panegiristi, la scellerata politica del Principe: eterodossia,
giansenismo, febbronianismo, giuseppismo saranno sempre tra noi
4 - BALBO Pensieri sulla Storia d’Italia, lib. II,
cap. 22, pagg. 466-467.
merci straniere. Chi la pensa altrimenti, chi prende la Croce e la santa
bandiera, non come obbietti di riverenza e devozione, ma come strumenti d’interessi politici; costui, rinunziando al Cattolicesimo, rinunzia ad essere veramente italiano. E
se a questo intendono invitare l’Italia gli Editori delle Opere postume
del Guicciardini, essi rendono (ripetiamolo nel fine, come lo dicemmo al principio) un pessimo servigio al loro antenato, alla
loro famiglia, al loro
partito chiamando sopra di essi la riprovazione e il vitupero d’ogni
buon Italiano, meno que’pochi i
quali fanno staffilare i pontefici
pubblicamente in Torino sul Teatro
Carignano per obbedire alla Gazzetta del Popolo5.
5 - I nostri italianissimi han voluto celebrare la
festa di S. Pietro regalando al pubblico torinese
LE FANATISME, tragedia di Voltaire, e la declamazione di due canti di Dante, dove il ghibellino si scatena contro Roma pontificale. Lo
scopo dello spettacolo era, secondo la
GAZZETTA DEL POPOLO, di staffilare i
Pontefici (Armonia 1 luglio 1858).
39
Suggestioni marine
nella musica d’arte
di Diego Cescotti
40
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
suggestioni marine nella musica d’arte
I
mitare con i suoni organizzati i più diversi fenomeni della natura è un’aspirazione – o un’ingenua pretesa – che l’arte musicale ha spesso manifestato nel corso della storia, rivelandosi nella maggior parte dei casi un sogno impossibile. E d’altronde
come pensare di riprodurre entro un’architettura di
percorsi formalizzati e di linguaggi precostituiti una realtà che obbedisce solo a leggi imprevedibili e casuali?
Il discorso però cambia se anziché di imitazione o di
descrizione, che sono operazioni meccaniche apportatrici di tante interpretazioni fuorvianti, si parla di evocazione, di suggestione, di allusione, che sono modi di
rappresentazione indiretta e rimandano piuttosto a
un’atmosfera emozionale e spirituale situata ben oltre
la mera apparenza oggettiva. La musica, arte asemantica per eccellenza, risulta favorita in questo processo
perché ha modo più delle sue consorelle di sfruttare i
meccanismi dell’immaginazione e del sentimento,
quando pur non arrivi, come voleva una bella definizione romantica, ad “esprimere l’inesprimibile”, senza
contare che essendo arte del movimento può meglio ricreare con felicità di esiti la mobilità che è propria a
tutti i fenomeni naturali.
La piena consapevolezza di questo suo privilegio è
una conquista abbastanza recente in termini storici e si
collega al momento in cui il processo di affinamento di
mezzi e strumenti ha permesso al compositore di dar
corpo a simboli pregnanti avendo a disposizione organici strumentali di ricca e variegata sostanza timbrica
da combinare in fantasiosi accostamenti, impasti e miscelazioni proprio come fa il pittore con la sua tavolozza. Non sarà un caso se per designare molti pezzi ‘descrittivi’ di soggetto naturalistico i compositori ricorrano spesso a termini mutuati dal linguaggio pittorico
come “schizzi”, “quadri”, “stampe” e simili. E dunque, se
fino a tutto il Settecento una rapida scaletta di violini,
un guizzo di ottavino, un colpo di grancassa e simili altri interventi di stilizzazione convenzionale potevano
bastare a simulare un accettabile temporale in musica,
nell’orchestra moderna, emancipatasi anche nei parametri fraseologici, armonici e ritmici, l’illusione natuIL FURORE DEI LIBRI 2011/3
ralistica avviene con un grado incomparabilmente
maggiore di verosimiglianza e profondità. Sta di fatto
che non esiste quasi elemento di vita naturale che negli
ultimi due secoli non sia stato ricreato con mezzi musicali: le albe e i tramonti, le vette incontaminate, lo
scorrere di ruscelli, i mormorii della foresta, il canto
degli uccelli, le nuvole in movimento, il vento impetuoso, le bufere di neve...
Ma un fenomeno c’ è che per potenza intrinseca di significati ha avuto un impiego tra i più felici e ricorrenti
in arte, e questo è il mare. Il mare, elemento archetipico
in cui ognuno vede riflessa una gran parte del mistero
dell’esistente, si presta benissimo ad essere interrogato
nelle sue insondate profondità, e quand’anche sia sogguardato nella sua apparenza più materiale e vacanziera o invogli a darne una pittura realistica, esso impone
sempre una considerazione non superficiale. La polisemanticità che lo caratterizza si presta benissimo a modalità di approccio plurime che vanno dalla più astratta
contemplazione a distanza fino al contatto diretto, ingenerando di volta in volta pensieri sublimi, sentimenti indefiniti, istinti di fuga verso l’altrove, moti di entusiasmo e sfida, timor panico o senso di perdita di sé, di
annullamento in una dimensione remota e misteriosa
che può assumere carattere angoscioso ma anche propiziare l’elevazione mistica, come avviene quando si
fronteggia l’infinito.
N
ella poesia europea colta il simbolo marino
è stato adattato a tutte le circostanze, non
di rado banalizzandolo. Il cliché del mare
in burrasca come corrispettivo di uno stato d’animo
turbato è ad esempio un mezzo espressivo dei più funzionali nel contesto melodrammatico, così come ben ci
insegna Pietro Metastasio, rappresentante autorevole
del regolato e razionale Settecento cittadino ed esperto
conoscitore di effetti teatrali.
Sue sono le sistematiche applicazioni del modello alle arie cosiddette ‘di paragone’ che costellano i suoi libretti d’opera («Vo solcando un mar crudele / senza vele e senza sarte: / freme l’onda, il ciel s’imbruna, / cresce
41
diego cescotti
il vento e manca l’arte; / e il voler della fortuna / son costretto a seguitar...»)1: dove, s’intende, la turbolenza atmosferica dà adito a tutto un florilegio di virtuosismi
canori e di agitazione orchestrale.
Nei soggetti che trattano di vicende antiche direttamente connesse al mare come le peripezie di Ulisse o
gli abbandoni crudeli di Didone e di Arianna, il mare
assume i caratteri di un
nume ostile e vendicativo
che interrompe legami
umani creduti indissolubili. Sarà tuttavia la temperie romantica a cogliere
con efficacia di esiti la
possibilità di unire la turbolenza marina con analoghe criticità psicologiche di un personaggio.
La maledizione del wagneriano Olandese volante e la funesta gelosia del
verdiano Otello hanno entrambi il mare in burrasca
come corrispettivo analogico. Verdi offre, proprio
all’inizio di questo suo
tardo capolavoro, un saggio di come, con i mezzi
dell’epoca, si potesse ottenere un’infallibile combinazione tra i due aspetti oggettivo e soggettivo: tuoni, lampi e fulmini sono indicati
specificamente in partitura tra guizzi balenanti di strumenti acuti, colpi di piatti sospesi, incalzare di archi a
imitazione dei cavalloni, mentre all’organo è affidato un
inedito effetto rumoristico consistente in un’aspra dissonanza mantenuta per ben 256 battute: probabilmente
il più lungo cluster della storia della musica.
Il frasario ottocentesco, qui abilmente manipolato da
quel versatile poeta-librettista che era Arrigo Boito,
contribuisce da par suo a definire la situazione richiesta
1 - Dall’opera Artaserse
42
(Otello, condottiero della marina veneziana, sta rientrando in porto dopo avere sconfitto la flotta turca):
...Lampi! tuoni! gorghi! turbi tempestosi e fulmini!
Treman l’onde, treman l’aure, treman basi e culmini.
Fende l’etra un torvo e cieco spirto di vertigine,
Iddio scuote il cielo bieco, come un tetro vel...
Un uso non dissimile dei
lessici si riproporrà più
avanti, quando si tratterà
di illustrare la furia di
Otello messo in sospetto
dalle perfide insinuazioni
di Jago.
Con tutte le risorse dell’alchimia sonora tardo-ottocentesca messe in campo, l’effetto che la tempesta ne sortisce è indubbiamente clamoroso e audace, e infallibile la presa
emotiva che se ne ottiene,
pur convenendo che si
tratta ancora e sempre di
una tempesta ‘organizzata’ secondo la quadratura
imposta dalla logica formale e dalla norma estetica: il caos della natura, come già si diceva, non è in alcun modo realizzabile con gli strumenti dell’arte che
l’uomo si è creato per abbellire la propria vita, e dunque è necessario attivare il filtro stilistico per apprezzare pagine come queste.
N
on diversamente che in Otello avverrà in
tanti altri testi del sinfonismo ottocentesco, tra cui merita la menzione quello
esemplare della suite Šeherazada (1888) del russo Nikolaj Rimskij-Korsakov, ispirata ai racconti delle Mille e
una notte. All’ascolto del quadro iniziale raffigurante la
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
suggestioni marine nella musica d’arte
nave di Simbad che solca le acque di un Oriente fantastico non si può fare a meno di ricordare che l’autore di
queste note aveva fatto carriera come guardiamarina
dell’impero zarista e che dunque l’esperienza diretta di
navigazione sui grandi oceani gli aveva dato una conoscenza molto precisa di quanto doveva esprimere.
E difatti questa pagina è rimasta una delle più idiomaticamente felici nella rappresentazione del moto
ondoso, sia quando la narrazione prevede una navigazione tranquilla, sia quando, più oltre, subentra una rovinosa tempesta che scaraventa l’imbarcazione sugli
scogli. Immesso nella dimensione fiabesca, l’elemento
di natura viene reso in maniera splendidamente variopinta e smagliante come un’incisione su una porcellana, rimandando una visione di realismo sonoro di immancabile presa dovuto in massima parte al magistrale
trattamento degli strumenti d’orchestra.
Il corruccio del mare è un registro comune in queste
ricreazioni sinfoniche, e d’altronde come esprimere
poeticamente una bonaccia? Sta poi alla particolare indole dell’artista privilegiare la condizione esterna e anche la localizzazione che più gli conviene. Felix Mendelssohn, il romantico sereno che viaggiò per diporto
fin nelle deserte isole della Scozia nord-occidentale, offre una bellissima cartolina di soggetto marinaro con
l’ouverture Die Ebriden, conosciuta anche con il titolo
Fingalshöle (La grotta di Fingal, 1829), dove prende vita
un paesaggio nordico di incontaminata, selvaggia bellezza pervaso dallo spirito di leggenda. In sintonia con
questo è l’altro affresco sinfonico che Mendelssohn trae
da Goethe, intitolato Meerestille und glückliche Fahrt
(Calma di mare e felice viaggio, 1828), che già Beethoven aveva trattato in forma di cantata.
E
sistono anche casi in cui la presenza marina
perde il primo piano e diventa elemento di
sfondo di un ambiente umano a cui fornisce un
complemento sensoriale, con caratteri spesso di grande sofisticatezza. Il mare come preziosa esperienza
estetizzante da vivere con sensi raffinati e senza alcuna
compromissione diretta è tipico di certe rappresentaIL FURORE DEI LIBRI 2011/3
zioni dell’arte del decadentismo, dove l’immagine si
compone in una visione antidrammatica e antiteatrale
e si volge ad un lirismo gentile e comunicativo che la
rende elemento decorativo e rassicurante, con valorizzazione particolare della funzione sinestetica.
Assaporiamo almeno un frammento del testo del
poeta Maurice Bouchor che ha fornito a Ernest Chausson il materiale per un mirabile Poème de l’amour et de
la mer (1890), rimasto nella letteratura musicale come
esempio emblematico di questa sensibilità:
L’air est plein d’une odeur exquise de lilas
Qui, fleurissant du haut des murs jusques en bas,
Embaument les cheveux des femmes.
La mer au grand soleil va toute s’embraser,
Et sur le sable fin qu’elles viennent baiser
Roulent d’éblouissantes lames.
Mauves ou violets, rouges et blancs, ils sont
Le sourire enfantin de la vieille maison
Que leur grâce a toute fleurie ;
Les femmes Dieu sait où vont les cheveux au vent,
Et la mer étincelle au clair soleil levant
Comme une immense pierrerie.2
Dalla serenità di queste visioni ineffabili si può passare
a situazioni del tutto opposte, quando l’elemento acquatico si fa presenza concreta, tangibile e lo si esperimenta di persona entrandoci dentro e affrontandone
con trepidazione o con fiducia la navigazione. L’abbandono del noto per l’ignoto non è cosa per tutti, e se fatto con lo spirito dell’esploratore o di chi non ha nulla da
perdere non può che assumere una tonalità felice per
via della libertà conquistata e della prospettiva di un
nuovo inizio, come potrebbero esprimere le opere di
2 - L’aria è piena di un profumo squisito di lillà / Che, fiorendo
dall’alto dei muri fino a terra, / Versano effluvi sui capelli delle donne. / Il mare al gran sole tutto s’infiamma, / E sulla sabbia fine che
vengono a baciare / Corrono rotolando abbaglianti lame.
Malva o viola, rossi o bianchi, sono / Il sorriso fanciullesco della vecchia casa / Che la loro grazia ha fiorito tutta; / Dio sa dove vanno le
donne coi capelli al vento, / E il mare scintilla al chiaro sole nascente / Come un’immensa colata di gemme.
43
diego cescotti
tanti artisti-navigatori sulle lunghe distanze, da Steven- ria del bello estetico. Ma intanto il fascino dell’avventuson a Gauguin, da Conrad a Kipling... Ancora una vol- ra per mare è entrato nel mondo dei salotti cittadini e
ta la musica, arte del movimento, ha buon gioco nel solletica più di uno spirito inquieto che ha da soddisfasincronizzarsi con il ritmo della navigazione, ben più re «molte grandi partenze inappagate». Quest’ultimo
di quanto possa fare un’immagine fissa, per quanto bel- verso si legge ne L’horizon chimérique di Jean de la Villa. E musicisti che si occupano di viaggi per mare ve ne le de Mirmont su cui Gabriel Fauré compose nel 1913
sono davvero molti, specie di area francese.
un ciclo di mélodies tutte percorse da vascelli in moviAlbert Roussel, che avemento come in una stamva pure lui precedenti copa d’epoca e riecheggianti
me ufficiale di marina,
l’antico tema del viaggio
nelle sue poetiche Évocaper mare come fuga dalle
tions (1912) guida l’ascolangustie presenti e anelito
tatore in un’India dalle
a una sorte migliore, ossia
magiche suggestioni ricome volontà di cambiaspecchiate in reali espemento interiore.
rienze di viaggi in quei
a la ‘pittura’
mari. A sua volta, Jacques
marina più
Ibert ci offre con la suite
memorabile
Escales (1922) una crocieè senz’altro quella, antora in tre diversi approdi
nomasica fin dal titolo,
del Mediterraneo facendo
che propone Claude Decogliere di ciascuno i sabussy nel brano sinfonico
pori e le note dominanti.
La mer (1905). Il senso di
Con attitudine più lettequesto capolavoro si chiararia, ma in forma musirisce già dalla sua definicalmente mirabile, Mauzione di ‘schizzi sinfonici”
rice Ravel trae dai versi
che lo dichiara non pittudel poeta simbolista TriClaude
Debussy,
La
mer,
1905,
frontespizio
della
prima
edizione
ra compiuta ma successtan Klingsor gli spunti
per una sua Shéhérazade (1903) che percorre fantasio- sione di impressioni fuggevoli e abbozzi estemporanei,
samente tutta l’Asia sognata dai tempi dei racconti d’in- così come la natura marina suggerisce e impone: un
fanzia (…Je voudrais m’en aller avec la goëlette / Qui se modo di cogliere l’attimo che continuamente si rinnoberce ce soir dans le port, / Mystérieuse et solitaire / Et va e di inseguire tutti i mutamenti che via via si svolgoqui déploie enfin ses voiles violettes / Comme un immen- no sotto gli occhi dell’osservatore.
È la prima volta che in una pagina musicale viene
se oiseau de nuit dans le ciel d’or...3).
L’eleganza dell’espressione è irrinunciabile nei testi espressa con tale pertinenza linguistica e formale la nafrancesi sull’argomento, e si può ben dire che il mare tura capricciosa e imprevedibile del mare aperto, qui
per quei poeti sembra non dissociarsi mai dalla catego- còlto in tre momenti topici per angolo d’osservazione e
momento della giornata, partendo da una visione d’in3 - ...Vorrei andarmene con la goletta / che si culla stasera nel porto
sieme nelle ore che vanno «de l’aube à midi», per poi se/ misteriosa e solitaria / e che spiega infine le sue vele violette / come
guire il danzante «jeux des vagues» e concludere con l’eun immenso uccello notturno nel cielo dorato....
M
44
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
suggestioni marine nella musica d’arte
saltante «dialogue du vent et de la mer». In questo preclaro esempio di impressionismo musicale si riflette
tutta una nuova sensibilità fatta di ariosità e di luce: il
fraseggio orchestrale si impronta ormai ai caratteri di
mobilità, varietà, spezzatura, rapsodicità, superando
molti schemi del passato. In più Debussy, che fu un vero cantore dell’acqua in tutte le sue manifestazioni, si
pone di fronte al mare con la chiara percezione della
sua maestà e con l’intento di andare al fondo del suo
mistero regalando all’ascoltatore un’immagine di solenne grandiosità. Così facendo si conferma nella linea
estetica un giorno da lui espressa, in cui rivendicava ai
musicisti «il privilegio di captare tutta la poesia della
notte e del giorno, della terra e del cielo, di ricostruirne
l’atmosfera e di ritmarne l’immensa palpitazione».
I
l mistero del mare non si sottrae né a un’interpretazione di segno ‘laico’ come questa, né ad altra
che legga in esso un chiaro riflesso del divino. Una
connotazione religiosa in accezione panteistica promana
da una grande opera orchestrale di quegli stessi anni modellata sugli alati versi di un poeta-profeta quale fu Walt
Whitman ed espressa musicalmente in forme convenientemente ampie ed eloquenti. Stiamo parlando della
Prima Sinfonia del britannico Ralph Vaughan-Williams
denominata «A Sea Symphony» (1903-09), che non è propriamente una sinfonia in senso classico ma un grande
poema, anzi un oratorio con solisti di canto e massa corale, il quale si offre come un unico grande inno di lode
alla maestà del mare, spirito benigno e talora intimorente
ma sempre meritevole del rispetto degli uomini.
Il montaggio dei testi recuperati dall’opus magnum del
patriarca americano mantiene tutta l’originale impronta
dell’entusiastico stile predicatorio, del registro trionfalistico, dell’alone trascendentalistico da lui immessovi, e la
musica che se ne affianca arricchisce le immagini pregnanti di vaghe armonie e accattivanti sonorità. Tutta la
composizione si mantiene in un tono di solenne sublimità anglicana, consapevole dell’altezza del messaggio e della possibilità della musica di accrescerne i tratti salienti.
Testi e contenuti vengono dal compositore adattati alla
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
logica strutturale della sinfonia in quattro movimenti, sì
da farne una specie di racconto o di peripezia spirituale.
Si ha così un iniziale momento di descrizione oggettiva
di bianche vele in controluce e di menzione di uomini
che a vario titolo operano nel mare sacrificando a volte la
loro stessa vita, per passare poi a un’inquadratura notturna del mare visto dalla spiaggia sotto un cielo di stelle
propizio a più alte considerazioni sull’infinito e sul destino dell’umanità. Non manca, al terzo posto, una divertita
osservazione del capriccioso gioco delle correnti e del
moto ondoso che prepara alla riflessione finale, solenne
ed emotivamente elevata, sull’anelato viaggio dell’anima
verso l’infinito, che contiene in sé anche una magnificazione del ruolo del poeta:
After the seas are all cross’d, (as they seem already
cross’d,)
After the great captains and engineers have accomplish’d their work,
After the noble inventors, after the scientists, the chemist, the geologist, ethnologist,
Finally shall come the poet worthy that name,
The true son of God shall come singing his songs.4
Seguìta a una lenta, graduale spogliazione di tutto, che
vale come presa di coscienza e accettazione del proprio destino, ecco infine la fiduciosa partenza verso
l’ultima meta:
O my brave soul!
O farther farther sail!
O daring joy, but safe! are they not all the seas of God?
O farther, farther, farther sail!5
4 - Dopo che i mari saranno stati tutti solcati (e pare che già lo siano),
Dopo che i grandi capitani e ingegneri avranno compiuto l’opera loro,
Dopo i nobili inventori, gli scienziati, i chimici, i geologi e gli etnologi,
Verrà infine il poeta che è degno di questo nome,
Il vero figlio di Dio verrà a cantare i suoi canti.
5 - Anima coraggiosa!
Salpa, salpa più al largo!
Audace gioia, eppure sicura! non son forse d’Iddio tutti i mari?
Oh, più al largo, più al largo, ancor più al largo!
[trad. it. di Enzo Giachino, ed. Einaudi, 1993].
45
diego cescotti
Questa composizione di Vaughan-Williams non costituisce di per sé un’eccezione nel panorama della musica
britannica, in quanto gli Inglesi sono tra i popoli che
per ovvie ragioni storiche e geografiche hanno intrattenuto rapporti tra più intensi con l’elemento marino.
Di questa consuetudine privilegiata è esempio e conferma la figura di Benjamin Britten, musicista interamente novecentesco che nacque e visse affacciato alla
costa orientale del Suffolk battuta da mareggiate impareggiabili, nutrendo le proprie giornate della carezza delle risacche, del rombo delle tempeste e del sapore di salsedine. Ebbe in dotazione una scrittura orchestrale dalle risorse smisurate e con queste seppe
esprimere in musica alcune tra le pagine più esemplari in materia per verità di ambientazione ed efficacia
di suggestione.
Con la sua opera Peter Grimes, interamente intrisa
di atmosfere marinaresche, si torna, in forma ancora
più marcata, alla condizione identitaria tra il mare
burrascoso e le tempeste interiori, e in più si afferma
la funzione purificatrice del mare, secondo una simbologia ritualistica di antichissima origine.
È appunto questo il destino del protagonista eponimo, personaggio ‘maledetto’ di stampo byroniano,
che, bandito e braccato dalla comunità del villaggio,
viene infine obbligato ad uscire al largo e lì lasciarsi
affondare con la sua barca. Il mare, nella sua primigenia sapienza, saprà far giustizia di ogni colpa commessa, non gli uomini il cui giudizio è fallace.
E poco importa se a noi spettatori quella fine sembra ingiusta e non poco ipocrita (ma la critica sociale
era nei progetti dell’opera): l’efficacia del mare come
fattore di equilibrio e di ristabilimento della pace rimane intatta. Quattro «interludi marini» intercalano
altrettanti momenti del lavoro e costituiscono il più
perfetto compendio orchestrale della marineria in
musica, snodandosi tra un’alba idilliaca, una mattina
serena di vento frizzante, una visione notturna cupa e
desolata e una tempesta in piena regola, di proporzioni ed effettistica sonora raramente uguagliate per forza evocativa.
46
N
on meno emblematico è l’altro testo britteniano di carattere marinaro, Billy Budd,
che venne attinto dalla narrativa di un
epico cantore del mare quale Herman Melville. L’originalità del lavoro, che vale anche come elemento di
sfida, consiste nello svolgersi interamente a bordo di
una nave da guerra, definendo in tal modo una sorta
di non-luogo ostile e plumbeo, propizio allo scatenarsi dei conflitti tra esseri umani di cui resterà vittima il
povero gabbiere di parrocchetto che dà il titolo al racconto. Come nel caso di Otello e di Jago, è ancora una
volta il confronto tra bene e male ad essere messo in
campo, ma il male qui, più ancora che in Shakespeare,
ha caratteri talmente assoluti da non poter essere
spiegato con mezzi razionali. Così nel microcosmo di
umanità vessata che costituisce l’equipaggio belligerante, e che nei nostalgici shanties intonati al calar
della sera trova l’unica provvisoria consolazione della
giornata, si consuma la storia di un povero e buon ragazzo che subirà la condanna per impiccagione e troverà anch’egli negli abissi del mare la sua tomba e il
suo riscatto, come ben s’incaricheranno di narrare le
ballate propagate da generazioni di marinai.
Ben altro mare ritroviamo nell’ultima opera dello
stesso Britten: quello fermo, stagnante, malato di una
Venezia decadente in preda al colera su cui scivola nera e ‘lugubre’ una gondola con tutto il suo sinistro carico simbolico. La storia è quella raccontata da Thomas
Mann in Morte a Venezia, ed è proprio il degrado organico della natura acquatica ad essere preso ad emblema
della parallela discesa di Aschenbach, professore tedesco dai rigidi principi, nei gorghi di una passione proibita, inseguita nell’intrico dei canali o negli appostamenti al Lido sotto l’impulso di una tardiva e fatale liberazione degli istinti. La conseguenza non potrà che
essere la morte, e questa avviene in faccia al mare, con
il fascinoso efebo polacco che compare per l’ultima
volta come epifania di bellezza irraggiungibile. Priva
affatto dei tratti realistici usati da Luchino Visconti
nell’omonimo film prodotto in quegli stessi anni, l’opera di Britten sceglie di muoversi in una dimensione
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
suggestioni marine nella musica d’arte
onirica, deformata, assumendo il punto di vista alterato del protagonista. Il mare non ha più alcuna connotazione vitalistica e salubre, non comunica più simboli
di rigenerazione, ma partecipa anch’esso del disfacimento umano del borghese mitteleuropeo e con lui di
tutto un mondo che si appresta al redde rationem della
guerra imminente.
M
a il mare è un simbolo maschile o femminile? Nella comune percezione si tende generalmente a connetterlo con l’universo femminile, al pari di tutti i simboli che hanno a
che fare con l’acqua. E tuttavia, esso deve uno dei suoi
fascini più capziosi proprio all’ambiguità di genere che
lo accompagna e che varia a seconda della lingua che lo
esprime: maschile in italiano e in portoghese, femminile in francese e in tedesco, entrambe le cose in spagnolo. Questa particolarità della lingua ispanica viene
giocata poeticamente da Rafael Alberti in un suo breve
testo tratto dalla raccolta Marinero en tierra, a cui Luciano Berio nel 1952 ha dato voce nel brano cameristico
El mar la mar:
El mar. La mar.
El mar. ¡Sólo la mar!
¿Por qué me trajiste, padre,
a la ciudad?
¿Por qué me desenterraste
del mar?
En sueños, la marejada
me tira del corazón.
Se lo quisiera llevar.
Padre, ¿por qué me trajiste
acá?6
L’attaccamento al mare, la nostalgia o il rimorso di
averlo lasciato, la voglia di ritornarvi sono sentimenti
noti a tutte le narrazioni sull’argomento. S’è già visto
6 - *** / Perché, padre, mi hai portato / in città? / Perché mi hai dissotterrato / dal mare? / In sogno la mareggiata / mi trascina il cuore. / Se lo vorrebbe portar via. / Padre, perché mi hai portato / qui?
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
in Whitman come questa attrazione sveli anche una
tensione verso l’annullamento finale. Una lunga divagante navigazione in acque remote, quasi ai confini
del mondo, con scarsa o inesistente presenza umana,
può acuire il senso di questo smarrimento esistenziale. Ed è in atmosfere simili che si muovono molte pagine del Moby Dick di Melville, uno dei testi di mare
più esemplari della letteratura mondiale, che è insieme narrazione epica e trattazione scientifica, e dove la
dimensione metafisica si fa più forte che altrove.
A fare la cronaca delle peripezie disperate del «Pequod» e dei deliri maniacali del capitano Achab è, come noto, Ishmael, il narratore onnisciente che nasconde nel nome la condizione dell’esule, del senza
casa. A lui si deve un appunto inserito in nota al capitolo 42, quasi un racconto nel racconto, che sebbene
mantenuto su un tono volutamente oggettivo si offre
a noi come una compiuta pagina di poesia. Letta nella famosa traduzione italiana di Cesare Pavese7, questa pagina ispirò a un compositore italiano del Novecento, Giorgio Federico Ghedini, un brano per trio e
orchestra: il Concerto dell’Albatro (1945). La voce recitante che interviene in ultimo suggellando l’intera
composizione e avvolgendola di un ineffabile clima
sospeso, racconta dell’incontro mistico – quasi un
muto dialogo – intercorso tra il navigante smarrito e
un sublime esemplare di uccello marino che assume
indubbie connotazioni ultraterrene.
La pagina riposa in un registro ormai lontanissimo
da ogni descrittivismo o lusinga impressionistica e si
mantiene in una sorta di astrattezza fredda, bianca (il
bianco è il colore dominante dell’intero capitolo, di
cui partecipa lo stesso mare glaciale), ma ricca di tensione interiore nel rappresentare lo sgomento dell’uomo al cospetto di un fenomeno sublime che gli fa conoscere la propria nuda essenza. Le citazioni bibliche
contribuiscono a definire l’ambito quasi religioso in
cui avviene la scena accrescendone così il sottinteso
metafisico:
7 - Herman Melville, Moby Dick, trad. it. di Cesare Pavese, Mondadori
1976
47
diego cescotti
Ricordo il primo albatro che vidi. Fu durante un
lungo colpo di vento in acque remote nei mari antartici. Ero salito sul ponte coperto di nubi e là vidi,
gettato sulle boccaporte di maestro, un essere regale,
pennuto, d’immacolata bianchezza e dal sublime e
romano rostro adunco. A intervalli esso allargava le
ali immense da arcangelo, come per abbracciare
qualche arca santa. Stupefacenti palpitazioni e sussulti lo scuotevano. Quantunque incolume materialmente, esso cacciava strida come il fantasma di
un re in preda a una soprannaturale disperazione.
Attraverso i suoi inesprimibili, stranissimi occhi mi
pareva di scorgere segreti che giungevano a Dio. Co-
48
me Abramo dinanzi agli angeli io m’inchinai: l’essere
bianco era tanto bianco, le sue ali tanto immense, e in
quelle acque del perpetuo esilio io avevo perduto le
meschine memorie di tradizioni e di città, che ci distraggono. A lungo contemplai quel prodigio di penne.
Alla fine il capitano ne fece un messaggero, legandogli attorno al collo uno scritto e poi lasciandolo fuggire. Ma io non ho nessun dubbio che il messaggio
indirizzato all’uomo fosse portato in Cielo, quando
l’uccello bianco volò a raggiungere i cherubini alati,
invocanti, adoranti! ❧
Diego Cescotti
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
Conversazioni Bibliofile
a cura di Giuseppe Maria Gottardi
Quo innumerabiles libros et bybliothecas,
quarum dominus vix tota indices perlegit?
A che scopo libri innumerevoli e biblioteche
delle quali il padrone a mala pena nell’intera sua vita
legge per intero i cartellini dei titoli?
Seneca, De tranquillitate animi 9,[4]
O
ltre a ciò, ti voglio pregare in gran maniera per la nostra amicizia, e per quella amorevolezza, che mi hai sempre mostrato, che duri anche fatica in questa cosa, la quale ti dirò.
Dionisio, mio servo, il quale haveva in custodia una mia libreria di gran valore; trasfurati molti libri, sapendo che di questo, grave pena gliene dovea seguire, se n’è fuggito; e è nella tua provincia. Marco Bolano, mio famigliare, e molti altri l’hanno veduto in Narona, ma, dicendo egli, che
(io) lo haveva fatto franco, gliel cedettero. Non posso dire, quanto mi sie a grado, se tu farai opera,
ch’ei mi sia restituito. La cosa è di poca importanza, ma il dispiacere dell’animo mio è grande, Bolano t’insegnerà, dove egli è, e che si può fare. Io, se per opera tua il ricupererò, grandissimo beneficio havere da te ricevuto riputerò. Sta sano. [Epistola lxxvii a Publio Sulpicio Imperatore, Annus Romae 708, de Cicer. 62.] [traduzione di aldo manuzio, nell’edizione: Le Epistole Famigliari di Cicerone, appresso gli Heredi di Pietro Deuchino, in Venezia mdlxxxvii, pag. 645-646.]
C
ome forse tutti avranno già
compreso, in questo numero
della nostra rubrica sul tema
della bibliomania, parleremo di un
altro aspetto di questa forma patologica: il furto di libri.
La letteratura italiana non dimentica certo il mondo del ladro o dei ladri. Esempi sono a disposizione
nell’Inferno di Dante Alighieri, nel
Decamerone di Giovanni Boccaccia, nella Gerusalemme liberata del
Tasso. Tuttavia non ci sono grandi
testi che parlino di questa comune
usanza e nessun grande autore ha
dedicato il suo talento per descrivere questo mondo. È un argomento
che ha sempre interessato quasi tutti i lettori. Alzi la mano chi non ha
mai pensato, almeno una volta nella sua vita, di appropriarsi di un libro altrui.
Qualcuno ne ha scritto, quasi sempre in forma anonima perché: non
sia mai che i nodi vengano al pettine.
Internet, una vetrina privilegiata
per pensieri liberi ed inattaccabili
ce ne fornisce un’ampia scelta e tra i
tanti ne abbiamo scelto uno che si
presenta particolarmente dotato. È
firmato Narcolella Spleen, nome che
già nelle sue prime cinque lettere
ben descrive l’autrice. Alla fine, abbiamo inserito anche un piccolo
commento di un altro anonimo, un
Giulio qualsiasi.
Giuseppe Maria Gottardi
Sulla bibliomania (quater)
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
49
conversazioni bibliofile
...Ieri pomeriggio, mentre mi recavo
al lavoro, sono entrata in una libreria della catena Xyz. Ho curiosato
un po’. Ho osservato copertine. Ho
letto nomi di autori e titoli. Avevo
intenzione di comprare il romanzo
di Laura Pugno. Non c’era.
Sullo scaffale dei libri ordinati per
autore, cercando “Pu” ho trovato
solo Pulsatilla. A quel punto ero
ferma ad un bivio: 1) ordinare lì, subito, il libro di Laura Pugno oppure
2) recarmi, un altro giorno, presso
la piccola libreria in cui lo avevo visto esposto in vetrina giorni prima.
Ho scelto la seconda opzione. Ammetto che mi rende più felice far
guadagnare una piccola libreria a
conduzione familiare piuttosto che
una grande catena commerciale.
Presa la mia decisione, per curiosità, ho sfogliato il libro di Pulsatilla:
“La ballata delle prugne secche”.
Non avevo mai letto nulla di Pulsatilla. Sapevo che era una blogger
che aveva pubblicato un libro. Ne
ero venuta a conoscenza leggendo
“Sono l’ultimo a scendere e altre
storie credibili” di Giulio Mozzi.
Di Pulsatilla e del suo libro non
avevo altre informazioni. Ho dato
un’occhiata alla quarta di copertina
e l’ho trovata esageratamente euforica. In quel momento il mio sesto
senso mi ha detto che dovevo assolutamente leggere quel libro perché
mi avrebbe fornito diverse occasioni
per esprimere il mio pensiero critico. In quello stesso momento il mio
portafoglio mi ha detto che non
aveva nessuna intenzione di sborsa50
re più di 3 Euro per quel libro che,
nell’edizione più economica, ne costava 7,90. Che fare? A quel punto
ero ferma al secondo bivio della
giornata: 1) spendere Euro 7,90 per
un libro che molto probabilmente,
una volta letto, avrei rivenduto o
utilizzato per accendere il fuoco
nella stufa a legna oppure 2) trafugare furtivamente l’oggetto in questione. Ho scelto la seconda opzione. Come fare? Dove imboscare il libro? All’uscita della libreria c’erano
le barriere antifurto. In qualsiasi
posto io avessi nascosto il libro,
quelle avrebbero fatto scattare l’allarme!
Mentre mi spremevo le meningi, fissavo la quarta di copertina. Spremevo e fissavo. Fissavo e spremevo.
All’improvviso il codice a barre s’illuminò! La soluzione stava davanti
ai miei occhi. Dovevo rimuovere il
codice a barre. “Senza codice a barre le barriere antifurto non faranno
suonare l’allarme!”, pensai. Mi assicurai che nessuno mi stesse guardando e strappai via l’angolo della
copertina su cui era stampato il codice. La canzone “Like a virgin” di
Madonna, in audiodiffusione all’interno della libreria, coprì il rumore
provocato dal mio atto vandalico.
Nascosi il codice a barre tra le pagine di un libro di Tiziano Scarpa e
infilai velocemente “La ballata delle
prugne secche” dentro la borsa. Subito dopo uscii dalla libreria soddisfatta.
Oggi ho iniziato a leggere il libro di
Pulsatilla. Il mio sesto senso aveva
ragione. Presto pubblicherò tutto
ciò che il mio pensiero critico avrà
partorito durante la lettura di quello che ricorderò sempre come “il
primo libro che ho rubato”.
Nota:
poco fa ho cercato informazioni sul
funzionamento delle barriere antifurto. Ho scoperto che i codici a barre non c’entrano nulla!
Narcolella Spleen.
Mah. Alla tua età, noi si rubava
Kant, Hegel, Marx.
Giulio.
Per quanto possiamo commentare,
speriamo che anche questi libri non
siano finiti nella stufa a legna!
Ma tornando ai ladri di libri, ahimè
dobbiamo ammettere che il più famoso, il più astuto e devastante, per
le biblioteche s’intende, è stato un
italiano. Un personaggio unico, dal
nome altisonante che tuttavia si
conclude con “Libri”.
La biografia di Guglielmo Brutus Icilius Timeleone Libri
Carucci dalla Sommaja è materia per un romanzo:
Libri (Libri Carucci), Guglielmo.
- Nacque a Firenze il 2 genn. 1802
da Giorgio, conte di Bagnano, e
da Rosa Del Rosso, entrambi appartenenti a famiglie dell’antica
nobiltà toscana. Per quanto fosse
di salute cagionevole e sebbene la
sua infanzia fosse stata turbata dal
difficile rapporto tra i genitori, il
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
conversazioni bibliofile
Libri ebbe un’educazione eccellente e si iscrisse all’Università di
Pisa all’età di 14 anni. Dopo aver
intrapreso studi giuridici, si rivolse ben presto alle scienze naturali,
addottorandosi nel giugno 1820.
In quell’anno pubblicò il primo
lavoro
scientifico,
Memoria sopra la teoria dei numeri (Firenze 1820), che lo fece conoscere in Italia
e all’estero. Appena
ventunenne, nel 1823,
il Libri fu chiamato a
insegnare fisica matematica all’Università di Pisa, ma nell’ottobre dell’anno successivo chiese e ottenne di essere sollevato
dall’insegnamento, con conservazione del titolo e dello stipendio, per poter visitare i principali centri scientifici
europei.
Si recò allora a Parigi
facendo tappa a Torino e a Ginevra, dove
si trattenne per sei mesi e dove
entrò in contatto con importanti
personaggi della Chiesa e della
politica, fra i quali F. Guizot
[1787-1874], con cui iniziò una
duratura amicizia.
Tornato in Toscana nell’estate del
1825, nel giro di pochi anni pubblicò un buon numero di memorie matematiche e fisiche sceIL FURORE DEI LIBRI 2011/3
gliendo come lingua il francese
allo scopo di dare maggiore diffusione ai suoi risultati.
In questo periodo il Libri iniziò a
interessarsi di storia della scienza
allo scopo, soprattutto, di riportare alla luce scoperte e fatti scienti-
fici del passato dimenticati o sconosciuti. Gli interessi storici lo indirizzarono in modo naturale alla
ricerca di manoscritti e documenti d’archivio e alimentarono
la sua grande passione per i libri.
Al ritorno dal viaggio a Parigi
l’Accademia dei Georgofili lo aveva nominato direttore della biblioteca, ma dopo poco più di un
anno, nel dicembre 1826, il Libri
rassegnò le dimissioni e si rifugiò
in campagna per dedicarsi esclusivamente allo studio. Nei pochi
mesi del suo mandato erano venuti a mancare parecchi volumi e,
invitato a rendere conto di ciò, il
Libri si giustificò in
modo non troppo
convincente; tuttavia l’Accademia preferì evitare lo scandalo e mise a tacere
la vicenda.
Nel giugno 1830
raggiunse
Parigi,
dove riallacciò le
amicizie annodate
durante il primo
soggiorno e riprese
gli studi matematici
continuando anche
a coltivare gli interessi storici.
Il clima politico parigino era notevolmente mutato. Carlo X [1757-1836]
aveva
introdotto
misure via via più
reazionarie provocando un crescente e generale
malcontento che culminò nella
rivoluzione del luglio 1830. Il Libri vi partecipò attivamente con
molti altri intellettuali, e nel gennaio 1831 fece ritorno in Toscana
imbevuto di spirito rivoluzionario. Nel febbraio 1833 il Libri ottenne la cittadinanza francese e,
nel marzo successivo, iniziò, co51
conversazioni bibliofile
me supplente di S.-F. Lacroix
[1765-1843], l’insegnamento al
Collège de France, tenendo il corso di calcolo infinitesimale e anche lezioni sulla storia delle scienze. Nel 1843, alla morte di
Lacroix, divenne titolare
del corso e il suo insegnamento affrontò temi di
geometria differenziale e
di teoria dei numeri e delle funzioni ellittiche. L’interesse per la matematica
pura poco a poco lasciò il
posto alle ricerche sulla
storia della scienza ed è
soprattutto in questo settore che il Libri diede i
contributi più rilevanti.
Ritornò al suo primitivo
progetto, e lo ampliò fino
a comprendere lo studio
della storia della scienza
in tutta l’Italia fino al Seicento. La sua Histoire des
sciences mathématiques
en Italie, depuis la renaissance des lettres jusqu’à la fin du XVIIe siècle
(Paris 1838-41) per quanto
incompiuta - dei 6 volumi
progettati solo 4 furono pubblicati - è un’opera classica nel settore.
Nell’Histoire non solo si intrecciano la passione del bibliofilo e l’erudizione storica, ma si assiste
anche allo sforzo di conciliare la
tradizione erudita con una visione dello sviluppo storico delle
scienze in Italia, dagli Etruschi e i
Romani sino a Galilei, inquadrato
52
nella storia civile e politica. La
grande passione di bibliofilo consentì al Libri di portare alla luce
importanti raccolte di manoscritti. A Parigi il Libri aveva ormai
acquisito una forte posizione accademica e sociale, ma si era anche procurato dei nemici sia per
lo spirito polemico, sia per le posizioni politiche e il suo dichiarato anticlericalismo. Anche se la
sua fama di matematico era un
po’ offuscata, al contrario, la sua
abilità a localizzare, leggere e datare i manoscritti e gli studi da lui
pubblicati continuavano a essere
apprezzati. Quando nell’estate del
1841 fu creata una speciale commissione con il compito di stendere un catalogo dei fondi manoscritti delle biblioteche
e degli archivi francesi,
il Libri ne fu nominato
segretario. Il lavoro
svolto da allora fino
agli inizi del 1846,
quando rassegnò le sue
dimissioni, risulta dal
primo volume del Catalogue général des manuscrits
des
bibliothèques publiques
des départements (Paris
1849). Alla metà degli
anni Quaranta la biblioteca del Libri contava oltre 1800 manoscritti e 40.000 volumi
a stampa provenienti
da aste, da acquisizioni
di importanti fondi privati e, in parte, come fu
provato in seguito, da
appropriazione indebita. Dopo la prima denuncia anonima di furto, il Libri mise in vendita la sua
preziosa collezione di manoscritti, che fu acquistata da lord B.
Ashburnham [1797-1878]. Nuove
denunce anonime indussero il
procuratore del re ad avviare indagini, ma il dossier prodotto per la verità privo di prove consistenti - fu archiviato da Guizot.
La situazione cambiò drastica2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
conversazioni bibliofile
mente quando la rivoluzione del
febbraio 1848, che portò alla proclamazione della seconda Repubblica, privò il Libri della protezione di Guizot. Il dossier fu pubblicato in Le National, il giornale di
Arago, ministro del governo repubblicano provvisorio, e il Libri
fu costretto a partire precipitosamente per l’Inghilterra, dove poteva contare sull’appoggio di amici quali A. Panizzi [1797-1879],
conservatore al British Museum,
e il matematico A. De Morgan
[1806-1871]. Pur nella fretta, egli
riuscì a portare con sé la parte più
importante della sua biblioteca.
I procedimenti legali contro il Libri furono istituiti ufficialmente
nel marzo 1848 e fu creata un’apposita commissione di indagine.
Nel maggio 1850 fu pubblicato
l’Acte d’accusation nei suoi confronti, nonostante egli avesse
scritto in sua difesa vari pamphlet
in cui, presentandosi come un
perseguitato politico, evidenziava
gli errori contenuti nel dossier e
sottolineava la totale mancanza
di prove. In giugno fu aperto il
processo che comminò al Libri
in contumacia la condanna a dieci anni di reclusione. L’Acte era
sicuramente meglio argomentato
del dossier, ma dava adito a dub-
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
bi sulla regolarità dell’istruttoria.
Comunque il Libri non poté evitare
le conseguenze immediate della
condanna e fu rimosso dai ruoli
della Légion d’honneur, dell’Università, del Collège de France e
dell’Académie des sciences.
In quell’anno ottenne la cittadinanza britannica e sposò l’amica
Mélanie Double Collins che lo
aveva raggiunto a Londra e che
generosamente lo sostenne fino
alla sua morte. Grazie a Mélanie e
all’aiuto incondizionato dei vecchi amici P. Mérimée [1803-1870]
e Guizot, il Libri riuscì infatti alla
fine del 1857 a rientrare in possesso delle sue carte e dei libri - circa
15.000 volumi - di origine non sospetta ancora conservati a Parigi.
La petizione inviata al Senato imperiale con la richiesta di riabilitazione
ebbe, invece, esito negativo.
Nonostante il tempo e le energie
dedicate alla sua difesa, durante
gli anni londinesi il Libri continuò il commercio di libri, e per le
dieci aste che tenne fra il 1849 e il
1865 preparò egli stesso i cataloghi, inaugurando un nuovo stile:
la descrizione era arricchita con
note storiche sull’autore e sullo
stampatore, con dettagli sconosciuti e curiosità che fanno dei
suoi repertori delle fonti utili per
bibliofili, ma anche per storici.
Il Libri morì a Fiesole il 28 settembre 1869 e fu sepolto a San
Miniato.
Le responsabilità penali del Libri
furono provate in modo decisivo
solo dopo la sua morte grazie al
lavoro puntuale e alle ricerche
minuziose di Léopold Delisle
[1826-1910], amministratore generale della Bibliothèque nationale, che riuscì a ricostruire i furti
e le falsificazioni e a riportare in
Francia nel 1888 i manoscritti rubati negoziandone l’acquisto
dall’erede di lord Ashburnham. Il
resto della collezione Libri posseduta dagli Ashburnham era
stato acquistato nel 1884 dallo
Stato italiano e depositato a Firenze nella Biblioteca Medicea
Laurenziana.
Di tutta la lunga diatriba tra Guglielmo Libri e i suoi accusatori,
della quale presentiamo solo le immagini dei testi, abbiamo scelto alcuni passi dell’Atto di Accusa che
definirà il futuro del signor Libri . Il
testo francese appare solo in traduzione: data la facile comprensione,
abbiamo tralasciato di tradurre i titoli dei libri rubati).❧
Giuseppe Maria Gottardi
53
conversazioni bibliofile
ATTO D’ACCUSA CONTRO
LIBRI-CARRUCCI
Il Procuratore Generale presso la
Corte d’ Appello di Parigi attesta che,
con decisione del 12 aprile 1850, la
pubblica accusa di detta corte ha rinviato alla Corte d’Assise del Dipartimento della Senna, al fine di essere
giudicato in conformità di legge, il
nominato Guglielmo-Bruto-Timeleone Libri-Carrucci, nato a Firenze,
di 46 anni, membro dell’Istituto, professore al Collegio di Francia, domiciliato a Parigi, assente;
Dichiara il Procuratore Generale
che dai documenti processuali risultano i fatti seguenti:
Nel 1816, una denuncia anonima,
redatta in presenza del prefetto di
polizia, e una lettera firmata con lo
pseudonimo di Henri de Baisne, furono trasmesse alla Procura Reale.
Libri vi era denunciato per avere
sottratto nelle biblioteche del sud,
soprattutto a Carpentras, libri rari,
manoscritti e autografi, per un valore da 3 a 400.000 franchi. Si precisava anche, che per evitare sospetti,
Libri, dopo aver grattato via i timbri
di questi libri o manoscritti, li aveva
poi inviati in Italia per farli rilegare,
rivestendoli all’italiana, e che poi li
aveva venduti in Inghilterra. Un solo volume era stato comprato dal
Museo di Londra a un prezzo di
6.000 fr. Il G.I.P., in una corrispondenza puramente informale con i
suoi colleghi a Montpellier, Grenoble e Carpentras, chiese se fossero
54
state commessi furti nelle biblioteche di quelle città. Il nome di Libri
non era stato fatto; nessuna imputazione era diretta contro di lui. Questo modo di indagare dipendente
dalla tipologia delle accuse (anonime) ed anche dalla posizione di chi
ne era in causa, rendevano le investigazioni difficili: nessun risultato
fu ottenuto. Le indagini furono sospese. Vennero riattivate a seguito
di una nuova denuncia inviata il 13
luglio 1847, al Procuratore generale
presso la Corte di Parigi. Questa
volta, le informazioni raccolte sembravano degne di attenzione. La biblioteca di Troyes aveva perso delle
preziose opere. Non potevano essere state rimosse, così diceva il bibliotecario che “da uno di quei visitatori sfrontati, ostinati, la cui posizione sociale prevede una completa
fiducia, e che giungono muniti, se
non proprio di ordini, nondimeno
di superiori raccomandazioni.”
Ora, nell’elenco di queste persone vi
era Libri, che aveva visitato due volte i manoscritti in modo molto speciale. Un Teocrito, nell’edizione aldina (Aldo Manuzio) del 1495, era
scomparso dalla biblioteca di Carpentras, ed era stato ritrovato in una
vendita fatta da parte dell’accusato
nel mese di agosto del 1847. Questi
fatti ed altri furono descritti in un
rapporto che era stato messo a disposizione del Ministro della giusti-
zia e trasmesso al presidente del
consiglio, quando giunse la rivoluzione di Febbraio. [Nel corso degli
anni la monarchia di Filippo d’Orleans, che aveva conquistato il potere nel 1830, aveva sempre più acuito
il suo carattere antioperaio e antidemocratico; ciò era avvenuto malgrado la politica di compromesso
(detta del “giusto mezzo”) attuata
dal ministro Guizot, che finì per
scontentare sia l’alta borghesia finanziaria, corrotta e sfrenatamente
affarista, sia la media e piccola borghesia e, principalmente, i ceti operai. Questi ultimi vennero di fatto
esclusi politicamente e costretti alla
disoccupazione e alla fame; infatti la
politica inflazionistica e corrotta dei
gruppi al potere aveva provocato
una profonda crisi economica che
investiva la produzione industriale.
L’opposizione delle masse piccolo borghesi e operaie si muoveva rivendicando una riforma elettorale a
suffragio universale e non più ristretta ai possidenti e ai ricchi borghesi. La rivoluzione scoppiò il 22
febbraio 1848 proprio a seguito di
un divieto, da parte delle forze
dell’ordine, di una manifestazione
per la riforma elettorale. Come nelle tradizioni della storia francese
dalla grande rivoluzione in poi, in
pochi giorni Parigi fu in mano al
popolo; in testa all’insurrezione
questa volta erano le forze repubbli-
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
conversazioni bibliofile
cano - radicali e socialiste.] Il 28 febbraio, un redattore del National per
la parte scientifica, il signor Terrien,
che aveva letto il rapporto, vide entrare l’imputato all’Istituto il cui
​​
sguardo raggiante contrastava, dice
egli, con l’atteggiamento
calmo e riflessivo dei suoi
colleghi. Gli consegnò un
biglietto firmato da lui
che diceva: “Signore, Voi
ignorate senza dubbio la
scoperta che è stata fatta
sul rapporto giudiziario
concernente la Vostra
ispezione nelle biblioteche pubbliche. Credetemi, risparmiate alla nuova
direzione delle risoluzioni
che imbarazzano; non venite più all’Istituto.” Libri
si ritirò immediatamente;
quello stesso giorno
scomparve dal suo domicilio. Il 20 marzo venne
avviata un’istruzione giudiziaria contro di lui. Il 22,
la polizia trovava il suo
appartamento deserto; si
vedevano solo alcuni
grossi armadi; tutti erano
aperti, contenenti qualche
oggetto che era stato abbandonato.
Nei focolari, si osservavano i rimasugli di una grande quantità di documenti bruciati. La biblioteca del
Libri, composta da circa 30.000 volumi, era stata spostata in fretta e furia, e i suoi libri preziosi erano stati
ammassati alla rinfusa in depositi
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
diversi; rue de Sèvres, n. 23, e Rue
d’Enfer, n. 45 e 78 °. Diciotto casse
di libri, assicurate per 25.000 franchi erano state dirottate su Le Havre. Una nave le avrebbe trasportate
a Londra, quando un magistrato, in
seguito a rogatoria, ne imponeva il
sequestro. Il signor Crosnier, su indicazione di Libri, che lo impiegava
alla classificazione dei suoi libri gli
aveva consegnato una cassa, tre canestri e tre pacchetti contenenti autografi e un sacco di lettere. Gli era
stato ordinato di bruciare tutte que-
ste carte; ma egli mise, così racconta, gli autografi a parte, e si fermò
anche dal distruggere le lettere, essendo venuto a conoscenza attraverso i giornali delle accuse addebitate all’imputato. Diversi libri sono
stati trovati nelle mani dei
suoi acquirenti e di varie
persone che lavoravano per
lui. La Giustizia fece sigillare
i libri, i manoscritti, i documenti e tutti gli oggetti che
avrebbero potuto essere utilizzati per scoprire finalmente la verità. Dal 27 marzo,
delle vetture erano state inviate per riportare nella casa
del Libri la sua biblioteca, i
suoi autografi ed altri documenti. Per questa operazione, i sigilli sono stati regolarmente rimossi e rimessi. È su
questi diversi oggetti che si
sono indirizzate le indagini
della giustizia; è qui che occorre trovare degli indizi e
delle prove che si avrà ben
presto l’opportunità di apprezzare. In questo nuovo
procedimento, in cui l’inchiesta è attualmente in corso, se le manomissioni non
erano più possibili, dall’altra parte,
non era più permesso di basarsi su
denunce anonime o documenti non
controllati. Occorreva sottoporre
tutte le imputazioni ad un severo
controllo, esaminare i fatti freddamente, risalire attraverso un attento
studio della corrispondenza e dei
55
conversazioni bibliofile
documenti del Libri, alla fonte delle
sue acquisizioni, trovare nei suoi libri, nel suoi autografi, segnali certi
della loro origine, prove materiali di
un trafugamento; occorreva superare molti ostacoli, eludere precauzioni artefatte, abili stratagemmi. Superando queste difficoltà e queste tenebre, il corso della giustizia doveva
necessariamente essere più lento per
essere più veritiero. Questo era lo
scopo che si proponeva l’indagine.
Si vedrà se lo si è raggiunto. Libri
non si è presentato davanti al giudice dell’indagine preliminare, ma ha
inviato la sua difesa. Questa difesa, a
volte violenta, sempre intelligente, si
perde nei dettagli dove la verità è
troppo spesso distorta e mostra tutte le risorse di una mente arrende-
vole quanto audace. C’è del preciso
calcolo nella sua temerarietà. I suoi
ricordi stampati contrastano con
quello ch’egli ha prodotto davanti la
Camera d’accusa: nei primi, a carico
dei gravami delle indagini, i dettagli
abbondano; nell’altro, quando occorre rispondere ai capi d’accusa, il
suo riserbo è assoluto; nella incompletezza delle sue informazioni si
sente non la baldanza di un uomo
senza colpa, ma la paura di tradirsi
per colpa della chiarezza e precisione. La difesa del suo onore doveva
condurlo davanti alla giustizia, egli
lo ha compreso. Così vuol diventare
un emarginato, vittima della vendetta popolare. “I dittatori, ha detto,
non hanno mai avuto una lunga vita; i tempi cambieranno. Allora, qua-
§§ Premièrement, dans la bibliothèque Mazarine, à Paris,
Les imprimés:
§§ Pétrarque, gli Triomphi, 1475, Bologne, in-folio.
§§ A. Cinthio, Origine delli volgari Proverbi, Venise, 1526, in-folio.
§§ Homerus, de Bello trojano, Paris, 1498, in-4°.
§§ Faccio degli Uberti, opera chiamato, ditta Mundi, Venise, 1501, in-4°.
§§ Boccaccio, la Teseïde, Venise, 1528, in-4° (recueil).
§§ Pulci, il Briadeo, in-4° (recueil.)
§§ Cornazani, de Fide et vite Christi, 1472, in-4° (recueil).
§§ Laurent de Médicis, Canzone a Ballo, Florence, 1568 in-4° (recueil).
§§ Justus de Comitibus, la Bella Mano, Venise, 1474, in-4° (recueil).
§§ Boiardo, Sonetti e Canzone, Reggio, 14», in-4° (recueil).
§§ Boiardo, Timone, Scandiano, 1500, in-4° (recueil).
§§ F. de Lodovici, l’Antheo gigante, Venise, 1524, in-4°.
§§ Ariosto, Orlando Furioso, Milan, 1524, in-4°.
§§ P. Bembo, Rime, 1535, Venise, in-4°
§§ Galeomyomachia.
§§ Æneas Silvius, Historia de duobus amantibus, in-4° (recueil).
§§ Petrarque, Epistola de Historia Griseldis, in-4° (recueil).
§§ Libro del Esforçado Cavallero Partenuples, Burgos, 1547, in-4° gothique.
§§ Dante, Convivio, Florence, 1490, in-4°.
§§ Phalaris Epistole, traducte del latino da Bartol. Fontio, 1471, in-4°.
§§ Seneque Epistole, in-4°, Rome, 1475.
§§ Pamphyli, poetæ lepidissimi, Epigrammatum libri quatuor.
§§ Antonio di Tempo, de Rhythmis vulgaribus, Venise, 1509, in-8° gothique (recueil).
§§ N. Rossi : Discorsi intorno alla tragedia, Vicence, 1589, in-8° (recueil).
§§ N. Rossi : Discorsi intorno alla comedia, Vicence, 1589, in-8° (recueil).
§§ Boccace : Dialogo d’amore, in-12°, Paris, 1624 (arraché d’un recueil).
§§ Laurent de Médicis : Poesie vulgari, Venise, 1554, in-8°.
§§ Angelo Politiano, Cose vulgari, Venise, 1538, in-8°.
56
lunque cosa accada, io andrò a Parigi.” Libri è sempre a Londra. La giustizia gli chiede conto di numerosi
trafugamenti commessi nei depositi
pubblici; essa mostra le sue prove;
occorre rispondervi e non gridare
alla persecuzione.
Ora, dopo essere stati sottoposti ad
un controllo il più attento, il più rigoroso, i capi d’imputazione a carico di
Libri sono esattamente specificati.
In conseguenza di ciò, GuglielmoBruto-Timeleone Libri, assente, è
colpevole di avere, in tempi diversi,
risalenti a meno di dieci anni, sottratto fraudolentemente, vari articoli contenuti in depositi pubblici, e
consistenti in libri a stampa, manoscritti e autografi, e cioè:
§§ Rinaldo appassionato, Venise, 1538, in-8°.
§§ Tarchagnota, l’Adone, 1550, in-8° (arraché d’un recueil).
§§ Strac. Campana, Lamento soprà el malo incognito, Venise, 1523, in-8° (arraché d’un recueil).
§§ Clitia : L’infelice Amore..., Venise, 1553.
§§ Ceno da Pistoia et Buonaccorso da Montegnano, Rome, 1559, in-8°.
§§ Et 23 pièces suivantes, formant un volume sous le n° 21,960 de la bibliothèque
Mazarine:
§§ Ariosto Stanze tramudade por el dottor Partesanon, Venise, 1594, in-8°.
§§ G. C. Croce, Vita, Gesti... dal gigante dello Sgarmigliato, in-8°.
§§ G. P. Baglione, Lamento..., Pérouze, 1595, in-8°.
§§ Li nomi et cognomi di tutte le provincie e Citta d’Europa, Sienne, in-8°.
§§ V. Nicolai Opera nova molta bella dimandata, in-8°.
§§ Ant. da Jose : La Speranza di poveri, Naples, in-8°.
§§ Successo bellissimo d’amore d’un Giardiniera, 1594, in-8°.
§§ Lamento e morte di Bened. Mangone, in-8°.
§§ Vanto et Lamento della Cortigiana Ferrarese, in-8°.
§§ G. Accolti lo grande ammazzamento de Papari, etc., Rome, 1595, in-8°.
§§ P. di Fabritio, Opera nova sopra l’abbondanza, in-8°.
§§ G. Accolti Allegrezza de poveri, Roma, 1593, in-8°.
§§ Capitolio di Cuccagna, in-8°.
§§ R. Cieco, Fioretto e scielta di Vilanelle, Perouze, in-8°.
§§ Canzone et Barzelette ridiculose, in-8°.
§§ G. C. Croce: Canzone di Maddona disdignosa, Bolo¬gne, 1594, in-8°.
§§ J. Simon Martini: Arpaliceamorosa, Orvieto, 1594, in-8°.
§§ G.-G. Brunetto: Opera nova di dui amanti, Naples, 1595, in-8°.
§§ B. Bellini, Opera nuova, vaga e bella, in-12°.
§§ Opera nella quale si contiene un bellissimo capitolo, in-8°.
§§ Ravanello: La piacevole Astrologia.
§§ Opera nuova dove si contiene due mattinale bellissime, Florence, in-8°.
§§ Antonio di Palma, Opera nuova dove si contiene le astutie delle cortegiane.
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
conversazioni bibliofile
§§ Opera quale contiene le diece tavole de proverbi, Turin, 1535, in-8° (recueil).
§§ Operetta nella quale si contengono proverbi, in-8° (recueil).
§§ Libretto copioso di bellissimi proverbi, in-8° (recueil).
§§ L’Ariosto herbolato, in-8°, Venise, 1545.
§§ L. Malclavelli Compendium, in-8°.
§§
Deuxièmement, dans les bibliothèques et archives de l’institut,en autographes:
§§ De nombreuses lettres faisant partie de la collection de Godefroy, notamment des lettres de Henri IV a Marguerite sa première femme, de l’avocat
général Servin, du maréchal d’Ancre, du connétable de Luynes, de Balzac,
d’Anne d’Autriche au chancelier Séguier, de M.lle de Montpensier au
même, d’Arnaud d’Andilly, au même, de Christine de Suède è Mazarin, de
Channt, ambassadeur en Suède; des lettres écrites aux Godefroy par Dupuy, Michel de Marillac, Ducange, Gobelin, Pellisson, Bergeron, le ministre
de Lionne, Colbert, Mathieu Molé, de Harlay, Peiresc, les frères SainteMarthe, Camuzat, le maréchal Fabert, etc.
§§ Des lettres adressées aux Valois et à Guichenon.
§§ Une lettre de J. de la Scala à Scevole de Sainte Marthe.
§§ De nombreux feuillets, écritures et dessins de Léonard de Vinci.
§§ 48 rapports de l’Académie, écrits ou signés par Buffon, d’Anville, Vaucanson, Cassini, d’Alembert, Laplace, Condorcet, Legendre, Fourcroy, Silvestre
de Sacy et autres.
§§ Plusieurs lettres adressées à Bignon, Mairan et Lebeau, secrétaires de l’Académie, diverses notes et pièces, six lettres de ministres, adressées aux
présidents ou directeurs de l’Académie des sciences de 1775 à 1799.
Un procès-verbal des expériences de Lavoisier, déposé à l’Académie le 7 décembre 1773.
§§ Cinq lettres autographes de Renaldini à Roberval, de Torricelli au P. Mersenne et de Borda.
§§ Diveses autres lettres de Torricelli à Carcavi, à Roberval et au P. Mersenne.
§§ Des manuscrits autographes du géomètre Frénicle.
Troisièmement, dans la Bibliothèque nationale :
En autographes:
§§ Collection Baluze.
§§ Des pièces et lettres faisant partie de cette collection, sa¬voir: lettres de la
correspondance politique de M. de Marca, de Malherbe à de Bullion, un
opuscule de Beroaldus, intitulé de Labyryntho; lettres de divers officiers à
la reine de Na¬varre Jeanne d’Albret; lettre à la même par Catherine de
Médicis; Remarques sur diverses pièces, au sujet du Règle¬ment du Roi sur
les maisons religieuses (1667); lettres écrites au duc Bernard de SaxeWeymar, par Hugo Grotius, Bouthillier de Chavigny et Gaston d’Orléans;
une lettre de Chrestienne de Croï, princesse de Salm, au même; plusieurs
lettres de Servin à M. de Sabran; une lettre de Victor Amédée, duc de Savoie, au même; plusieurs lettres à Gaston d’Orléans par Marie de Médicis
et par Anne d’Autriche; plusieurs lettres écrites à Baluze par Mabillon et
autres sa¬vants; plusieurs lettres bibliographiques entre Colbert mi¬nistre,
Colbert coadjuteur et Baluze.
§§ Correspondance Boulliau.
§§ Cinq lettres faisant partie de cette correspondance.
§§ Collection Peiresc.
§§ Plusieurs lettres faisant partie de la collection Peiresc; notamment une lettre de Saumaisc, deux lettres de Rigault, deux de Dupuy, une de Naudé,
une de Chifflet, une de Diodati, deux de Duchesne et une de Godefroy.
§§ Collection des frères Dupuy.
§§ Divers documents et lettres faisant partie de cette collec¬tion; notam-
ment cinq lettres de Casaubon au président de Thou; plusieurs lettres de
Rubens à Dupuy; des lettres de Galilée, Barclay, Camden, Heinsius; des
traités astronomiques de Gassendi, un alphabet cophte; deux lettres du
président de Thou à Casaubon; quatre lettres de Saumaise au même; des
manuscrits, des lettres de Peiresc à Dupuy, et autres papiers du même savant.
Quatrièmement, dans la bibliothèque de Troyes :
En imprimés:
§§ Capitoli del P. Aretino, etc., Venise, 1540, in-8°.
§§ Cancionero de Pomances, etc., in-4?, 1550.
§§ l Pecorone di ser Giovanni Fiorentino, Milan, 1558, in-8°.
§§ L’illustre e famosa historia di Lancillotto del Lago, etc., Venise, 1558, 2 vol.
in-8°.
§§ Homeri Ilias in versus vulgares translata, Venise, 1526, in-4°.
§§ Canzoni overo mascherate carnascialesche, Florence, 1560, in-8°.
§§ Historia dei due nobilissimi et valorosi fratelli…. Venise, 1612, in-8°.
§§ Venturino Pisauro. Il Cavaliere, Milan, 1530, in-4°.
§§ La Obsidione di Padua, in-4°, Venise, 1510 (recueil).
§§ La Historia di tutte quante le guerre, etc., in-4° (recueil).
§§ Libro de Palvano, Venise, 1508, in-4° (recueil).
§§ Ludovicus Sfortunatus artibus studens, ou Rime di Ludovico Sfortunato,
Venise, 1489, in-4° (recueil).
§§ Matheolus, in-4°.
§§ Recueil des histoires de Troyes, composé par vénérable homme Raoul Lefebvre.
Cinquièmement, dans la bibliothèque de la ville de Grenoble:
En imprimés:
§§ Dictionnaire du patois du Bas-Limousin, Tulle, in-4°.
§§ Ant. Cornazani opus... de proverbiorum origine, 1503, Milan, in-4°.
§§ El sanguinolento et incendioso assedio del Gran Turcho, in-4°.
§§ Stramboti... da Sasso modonese, Milan, 1551, in-4°.
§§ Libro Chiamato Buovo d’Antona, Milan, in-4°.
§§ Alcibiade Fanciullo a Scola, Orange, 1652, in-12°.
§§ Opera Joconda; G. Alioni, 1521, in-8°.
Sixièmement, dans la bibliothèque de la Faculté de médecine de Montpellier
:
En imprimés:
§§ Catullus, Tibullus, Propertiu; Alde, Venise, 1515, in-8°.
§§ C. Sallustii Conjuratio Catilinæ et Bellum Jugurthinum; Alde, Venise, 1519,
in-8°.
§§ Libro dell’arte della guerra, di Nicolo Machiavegli; Alde, Venise, 1540, in8°.
En autographes:
§§ Plusieurs lettres, un cahier entier de Christine de Suède, et une lettre de P.
Arétin à Manuce.
Septièmement, dans la bibliothèque de la ville de Carpentras :
En manuscripts:
Il Cortegiano di Castiglione, in-folio, con note del tempo e correzioni, in-folio.
§§ Dante, Divina Commedia di Tommaseo Spinelli, in-16°, vélin, XV° siècle.
En autographes:
§§ De nombreuses pièces de Peiresc, notamment 295 feuillets des manuscrits
de ce savant et diverses lettres écrites à de Mazaugues par Montfaucon,
Spon et le P. Lelong.
Crimes prévus par les art. 254 et 255 du Code pénal. Fait au parquet de la cour d’appel de Paris, le 2 mai 1850.
Le procureur général,
E. DE ROYER.
La cour d’assises du département de la Seine a rendu, par contumace, le 22 juin 1850, l’arrêt dont la teneur suit :
. . . . (omissis) Condamne Guillaume-Brutus-Timoléon Libri-Carrucci à dix ans de réclusion.
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
57
Libri di confine
a cura di Peter Disertori
O
gni qualvolta osservo i ragazzini di oggi giocare,
vengo colto da un
vago senso di tristezza.
Sembrano automi, ghermiti da aggeggi infernali,
che emettono suoni e luci
ancora più infernali, ai
quali restano appiccicati
per ore con aria spiritata.
Quando poi sembrano
scuotersi da questo torpore mentale e si mettono a
giocare a quello che noi
chiamavamo “alla guerra”,
invece di soldatini, maneggiano mostri, robot e altre
creature che non immaginavo potessero esistere
nemmeno nell’inconscio
delle menti più malate.
Penso allora ai tempi della
mia infanzia, poco meno
di mezzo secolo fa, in cui
piccoli cortili diventavano
praterie sconfinate, qualche cespuglio spinoso giungle impenetrabili, i
fossi, fiumi maestosi e cataste di cas-
sette della frutta fortezze inespugnabili. I bastoni diventavano fucili, che
si tramutavano all’occorrenza in scimitarre e spade, qualche drappo ricucito alla meno peggio dalla nonna
un vessillo glorioso. E la fantasia galoppava, attraversava oceani e montagne, deserti e foreste tropicali, canyon e volte stellate, ci faceva esplorare caverne misteriose e castelli
inaccessibili,
profanare
templi perduti e boschi incantati.
Non c’era posto per la tecnologia, tutto era determinato dalla natura, dalle sue
bellezze ed i suoi misteri e,
in ogni gioco che iniziavamo, il nemico da battere era sempre l’assassino, il traditore, il malvagio, il bandito, il pusillanime. Un
grande senso di giustizia,
di eroismo senza macchia
e paura, di abnegazione e
di senso dell’onore caratterizzava gli eroi che nella
nostra fantasia interpretavamo.
Letture come i Ragazzi della via Paal,
Cuore e altre del genere, ma soprattutto gli insegnamenti scolastici e faPeter Disertori
Also sprach Winnetou
58
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
libri di confine
miliari avevano certamente contribuito a condizionare in tal senso la
nostra fantasia. Resto però dell’avviso che, nel mondo di lingua italiana,
a plasmare definitivamente l’universo della nostra immaginazione fu
certamente Emilio Sàlgari (che per me rimarrà
sempre Sàlgari e non
Salgàri come invece sarebbe corretto dire). I
suoi personaggi infatti erano per definizione degli
strenui difensori dei più
deboli, non mancavano
mai alla parola data ed erano sempre pronti anche
all’estremo sacrificio pur
di far trionfare la giustizia. Tra l’altro, se ci si pensa bene, Salgari è stato di
una modernità sorprendente in quanto, in pieno
periodo coloniale, si era
sempre schierato con i
popoli oppressi.
Vorrei ricordare, a questo
punto, di essere cresciuto
a Bolzano, in una famiglia di forte impronta
mitteleuropea in cui si
parlava e si leggeva indifferentemente in italiano e
tedesco. Noi ragazzi, parlo di mio fratello e di me,
giocavamo, a seconda del caso, con
coetanei di entrambi i gruppi linguistici. Allora non me ne rendevo conto, o meglio non ci pensavo e quindi
per me era del tutto naturale, ma
quando giocavo con i miei amici di
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
madrelingua tedesca, lo spirito eroico e giustizialista che alimentava le
nostre fantasie era lo stesso degli italiani, variava semmai, e poi nemmeno tanto, lo sfondo scenico: le giungle
diventavano praterie, i pirati malesi i
pellerossa, cambiavano i nomi degli eroi ma i loro ideali ed il loro comportamento rimaneva lo stesso.
Il fatto che, ancora in età liceale avessi dovuto lasciare Bolzano, mi aveva
fatto quasi dimenticare che a casa a-
vevamo anche i libri di Karl May, definito non a caso una sorta di Salgari
germanico, e che, come tutti i ragazzini di lingua tedesca e quindi anche
quelli bilingui come me, lo avevamo
letto voracemente.
Karl
Friedrich
May (1842-1912)
è stato uno degli
scrittori germanici
più popolari, noto
soprattutto per i
suoi romanzi di
ambiente western.
I suoi eroi per antonomasia, per intenderci i suoi
Sandokan e Yanez,
erano il pellerossa
Winnetou, capo
della tribù degli Apaches Mescaleros, e il “bianco”
Old Shatterhand,
suo fratello di sangue, con i loro leggendari rifles. Vi
sono parecchie foto che ritraggano
May vestito da
Old Shatterhand.
Questo dimostra
di quanto lo scrittore tedesco si fosse immedesimato
nei suoi personaggi e con quale passione ne avesse descritto il carattere,
esaltandone le virtù ed enfatizzandone l’aspetto eroico. E questo lo fa assomigliare in maniera impressionante a Salgari.
59
libri di confine
Ma non è l’unica similarità: esattamente come quella dello scrittore veronese, la vita di Karl May fu in realtà poco
avventurosa. Di salute cagionevole, ebbe anche guai con
la giustizia e subì delle condanne per reati di poco conto,
certo è che tutto ciò lo condizionò pesantemente.
Questo spiega anche quanto la scrittura lo avesse aiutato
ad evadere dalla poco gloriosa quotidianità e perché lo avesse portato spesso a confondere fantasia con realtà.
Altra caratteristica in comune con Salgari è il fatto che
pare non avesse mai viaggiato e quindi avesse supplito alla mancanza di conoscenza diretta dei luoghi descritti nei
suoi libri con la sua creatività e immaginazione, aiutandosi con mappe, libri di viaggio e guide, e avvalendosi di
studi linguistici e antropologici.
L’ultima, e forse la più rilevante peculiarità che avvicina i
due scrittori, è l’assoluta mancanza di razzismo, la grandezza di pensiero di porre l’uomo, con i suoi pregi e difetti, al di sopra del colore della pelle. Nei fitti dialoghi, di cui
i racconti di Karl May sono intrisi, gli appellativi Roter
Bruder (fratello rosso) e Weißer Bruder (fratello bianco)
non si contano.
Nella Bolzano degli Anni Sessanta, teatro di tensioni etniche e scossa di continuo da attentati e repressioni poliziesche, poter assaporare parole di fratellanza non era cosa da poco. Mi piace pensare che più di uno le abbia fatte
sue e che poi, da adulto, le abbia applicate nella vita.
Non ricordo solo con affetto le trame e la magia della
narrazione di Karl May, ma anche la forma, il peso e il colore dei volumi: erano in formato tascabile anche se spesso superavano le seicento pagine, rilegati in similpelle color cuoio con un’illustrazione a colori sotto il titolo e con
dettagliate mappe del selvaggio West nordamericano
stampate all’interno delle copertine.
La lettura poi, scorrevole e ricca di dialoghi, prendeva subito e spesso, grazie al loro formato, ci si portava dietro
quei libri facili da imboscare, per leggerli nei posti e nei
momenti più disparati.
Di uno mi rammento in modo particolare: l’ho ritrovato
per puro caso, pochi mesi fa, facendo ordine in libreria, si
tratta di “Winnetou”, edito dal Karl-May-Verlag-Bamberg; è la saga per antonomasia dell’eroe pellerossa.
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A poche pagine dalla fine del libro (per l’esattezza a pagina 583) una frase pronunciata da Winnetou sintetizza lo
spirito di tutta l’opera. Il capo Apache, parlando in terza
persona alla maniera indiana dice: «Winnetou sagte nur
das eine Wort (Winnetou ha [detto] solo una parola)»
Per me Karl May resta un grande, ha allietato generazioni di ragazzi che, grazie alla sua arte narrativa, hanno potuto fantasticare e indirettamente assimilare degli ideali
che, ogni giorno di più, sembrano appartenere ad un altro mondo.
Spesso le lingue costituiscono delle barriere, tolte le quali
ci si accorge che gli uomini, le loro abitudini ed i loro sogni si assomigliano ovunque ed Emilio Salgari e Karl
May ne sono un luminoso esempio.❧
Peter Disertori
KARL MAY traduzioni italiane [elenco parziale]
Nelle terre del profeta, Tip. Vecchi, Milano, 1934
Il tesoro del Lago d’Argento, traduzione di Angelo Treves,
Sonzogno, Milano, 1939
La fattoria nel deserto: romanzo di avventure, Traduzione di
F. Federici, V. Bompiani e C. , Milano,1955
Le avventure di Mano-di-Ferro, Traduzione di Rita Banti, A.
Salani, Firenze,1956
I figli del sole, A. Salani, Firenze,1959
Mano-di-Ferro sul sentiero di guerra , A. Salani, Firenze, 1961
L’invincibile Mano-di-ferro, Traduzione di R. Banti, A. Salani,
Firenze, 1962
Da Baghdad a Istanbul, Edizioni Paoline, Catania, 1972
Una battaglia nel deserto, Edizioni Paoline, Catania, 1973
Gli adoratori del diavolo, Traduzione di G. Cadeggianini,
Edizioni Paoline, Catania, 1973
La grotta dei gioielli, Traduzione di Franco Manci, Edizioni
Paoline, Catania, 1973
Il padre della sciabola,Traduzione di G. Cadeggianini,
Edizioni Paoline, Catania, 1973
Li chiamavano il Trifoglio (Der Ölprinz vol. 1), Traduzione di C.
Lindt, Edizioni Paoline, Catania, 1974
Il Principe del Petrolio (Der Ölprinz vol. 2), Traduzione di C.
Lindt, Edizioni Paoline, Catania, 1974
Tre farabutti e un banchiere (Der Ölprinz vol. 3), Traduzione di
C. Lindt, Edizioni Paoline, Catania, 1974
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
Musicobibliofilia
Rubrica a cura di Diego Cescotti
N
el 1826, un anno prima
che il termine Musikwissenschaft (Musicologia) fosse utilizzato per la prima volta da Johann Bernhard Logier1 nella storia di questa disciplina, veniva pubblicato uno dei più
importanti dizionari di lessico
musicale, che ancor oggi costituisce in Italia un testo di riferimento
per lo studio dell’evoluzione terminologica in campo musicale.
Opera di Peter (italianizzato in
Pietro) Lichtenthal, medico e cultore della musica di origine ungherese, ma di formazione
viennese,2 il Dizionario e bibliografia della musica3 offriva un’esposi1 - Il termine comparve nel titolo di un’opera di
Johann Bernhard Logier, System der
Musikwissenschaft und der praktischen
Komposition mit Inbegriff dessen was gewöhnlich
unter dem Ausdruck General-Bass verstehen
wird, Berlin, 1827. Cfr. Bernarr Rainbow, Johann
Bernhard Logier and the Chiroplast Controversy,
in: The Musical Times, vol. 131, n° 1766 (Apr.,
1990), p. 195.
2 - Pietro Lichtenthal (Pressburg [Bratislava],
10-V-1780 – Milano, 18-VIII-1853), cfr. la voce
Lichtenthal, Peter in: DEUMM, Le biografie, vol.
IV, Torino: UTET, p. 398.
3 - Pietro Lichtenthal, Dizionario e bibliografia
della musica, 4 voll., Milano: Antonio Fontana,
zione organica ed analitica di quelle discipline che, di lì a poco, sarebbero divenute oggetto d’indagine sistematica da parte della nascente scienza musicologica. In tal
senso l’opera testimonia, anticipandone i tratti essenziali, quel
diffondersi nelle discipline musicali di una coscienza ‘scientifica’,
non soltanto tecnico-pratica o storico-estetica, che si affermò nella
seconda metà dell’’800 prevalentemente in quegli ambienti, soprattutto tedeschi e francesi, influenzati
dal positivismo.
Personalità poliedrica, Lichtenthal
fu scrittore e compositore prolifico4. Con l’incarico di censore del
Regno Lombardo-Veneto, egli si
era trasferito a Milano nel 1810, dove si era affermato in particolare
come compositore di balletti, tutti
rappresentati alla Scala. Amico della famiglia Mozart, si adoperò, anche attraverso l’organizzazione di
concerti nella propria abitazione,
per la diffusione delle composizioni
del grande salisburghese e, più in
generale, della scuola viennese. I
suoi resoconti come corrispondente da Milano per l’Allgemeine Musikalische Zeitung di Lipsia rappresentano una testimonianza preziosa sulla vita musicale della Milano
del primo Ottocento5.
Tra i numerosi suoi scritti degna di
nota è la traduzione in italiano di
un trattato sugli effetti della musica
sulle malattie6, che testimonia come l’autore affrontasse la materia
musicale con lo stesso grado di
scientificità riservato alla medicina.
Nel suo Dizionario, infatti,
Lichtenthal espone le tematiche,
1826 (II ed. 1836, copia anastatica dell’edizione
del ’36, Bologna: Forni, 1970).
4 - Oltre al Dizionario, Lichtenthal produsse
una serie di scritti dedicati alla figura di Mozart
e all’estetica musicale. Particolarmente attivo come compositore di balletti, scrisse anche lavori
per orchestra, pianoforte e per piccolo organico.
V. Lichtenthal, Peter in: DEUMM, Le biografie,
vol. IV, Torino: UTET, p. 398.
5 - Claudia Cesari, Peter Lichtenthal e la vita
musicale milanese nella prima metà dell’Ottocento, in: Sergio Martinotti (a cura di), La musica a
Milano, in Lombardia e oltre, vol. 2, Milano: Vita
e pensiero, 2000, pp. 233-249.
6 - Pietro Lichtenthal, Trattato dell’influenza
della musica sul corpo umano e del suo uso in certe malattie, Milano, 1811; cfr. Claudia Cesari,
Peter Lichtenthal, 2000, p. 234.
Una rarità musicale
Irene Comisso
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
61
musicobibliofilia
con il peculiare rigore
trattatistico degli studiosi
di area austro-tedesca,
perseguendo quell’ideale
di scientificità, tipico
dell’ ’800, che prevedeva
il ricorso a criteri e metodologie derivate da altre
scienze, in particolare
dalla filologia, dalla linguistica, dalla paleografia, dalle scienze naturali
e psico-fisiche.
Nella parte dedicata alla
letteratura della musica
(II volume), l’autore, citando il proprio dizionario, ne riassume le caratteristiche sostanziali; esso contiene “la spiegazione delle voci della Musica
teoretica e pratica, de’
termini tecnici musicali
antichi e moderni, la descrizione degli strumenti
musicali, ed un ordine sistematico-cronologico delle Opere
letterarie scritte sulla Musica dai
tempi più remoti fino al giorno
d’oggi, corredato d’annotazioni”7.
Questo Dizionario, oltre ad avere
un notevole pregio come documento storico e fonte primaria di
consultazione, costituisce un importante strumento per lo studio
della lessicografia musicale. Esso
compare, infatti, tra le opere che gli
studiosi di questo ramo della musicologia hanno indicato come opere
7 - Cfr. Letteratura generale della musica, vol. II,
parte prima, cap. VII, sez. III, p. 319.
62
di riferimento per l’ elaborazione di
un glossario storico-sistematico
(quello che oggi si direbbe Lexikon)
della terminologia musicale8.
Nella Prefazione al primo volume
l’autore, dopo aver elencato i dizio-
nari sino a quel momento pubblicati a partire dal
Terminorum musicae diffinitorium del Tinctoris9
(1474) sino al Dictionnaire de musique moderne di
F. H . J. C a s t i l - B l a z e 1 0
(1821), spiega le ragioni
che lo spinsero ad intraprendere tale sforzo compilativo. In quest’opera,
afferma l’autore, “si espone
enciclopedicamente
tutto ciò che è relativo alla
Musica propriamente detta (parte teoretica e pratica, sì antica che moderna,
non esclusi i rami della fisica e matematica), alla
parte istorica (generale, e
de’ varj popoli in particolare), ed alla parte filosofica (antropologica ed
estetica)”11.
Intendendo la definizione di dizionario enciclopedico nell’ accezione moderna,
quella in uso dal 1751 a partire dalla celebre opera di Diderot-d’Alembert Enciclopédie, ou Dictionnaire universel des arts et des sciences..., ovvero in un’accezione che
8 - Cfr. Fabio Rossi, Qualche problema di lessicografia e di lessicologia musicali, in: Fiamma
Nicolodi/Paolo Trovato, Tra le note. Studi di lessicologia musicale, Fiesole: Edizioni Cadmo,
1996, pp. 1-21.
Nel 1993 ha preso avvio un progetto (LESMU)
di ricerca lessicografica, il cui obiettivo è la realizzazione di un vocabolario elettronico, una
banca dati di schede lessicografiche ricavate da
testi italiani e latini dal 1600 al 1960, articolata
in generi e filoni eterogenei; cfr. Presentazione a
cura di Nicolodi/Trovato al volume Tra le note,
1996, pp. VII-IX.
9 - Joannis Tinctoris, Terminorum musicae diffinitorium, Treviso, 1474; in considerazione
dell’importanza e della brevità del volumetto,
Lichtenthal riporta l’intero testo del Tinctoris,
cfr. Letteratura generale della musica, vol. II, parte prima, cap. VII, sez. III, pp. 298-313.
10 - F.H.J. Castil-Blaze, Dictionnaire de musique
moderne, Paris: au Magasin de musique de la
lyre moderne, 1821 (A. Egron imprimeur), 2
voll.; per la parte relativa ai dizionari musicali
cfr. Letteratura generale della musica. Parte prima, vol. I, cap. VII, sez. III, pp. 297-319.
11 - Pietro Lichtenthal, Dizionario, vol. 1, p. V.
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
musicobibliofilia
esalta il connubio tra lessico e
biografia, si può certo affermare
che l’opera di Lichtenthal si colloca tra i lavori di maggiore valore
sotto il profilo scientifico.
Il Dizionario, concepito “enciclopedicamente” e, perciò
volto a contemplare in
maniera sistematica tutte le scienze legate alla
musica, riunisce i caratteri dei lessici e dei dizionari biografici raccogliendo alfabeticamente
e illustrando, con una
trattazione più o meno
ampia, termini tecnici,
forme, espressioni e, nel
contempo, trattando le
vite e le opere di artisti,
critici, letterati e via discorrendo.
Da un punto di vista
cronologico, esso si colloca nell’ampio quadro
dei dizionari in lingua
italiana, tra il Dizionario
della musica sacra e profana di Pietro Gianelli (1801) e il
Piccolo lessico del musicista di
Amintore Galli12 (1891), colmando, così l’intervallo temporale tra
queste due opere. Lo stesso
Lichtenthal, nella dedica del suo
Dizionario al Conte Cavaliere
Carlo Cicogna, è consapevole del12 - Per uno studio puntuale sul Piccolo lessico di
Galli in rapporto al Dizionario di Lichtenthal cfr.
Letizia Putignano, Primi appunti sul «Piccolo lessico del musicista» di Amintore Galli, in: Fiamma
Nicolodi/Paolo Trovato, Tra le note. Studi di lessicologia musicale, Fiesole: Edizioni Cadmo,
1996, pp. 105-128.
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
la lacunosità della situazione italiana in questo campo, prefiggendosi,
quale scopo primario della propria
opera, di “riempire un vacuo nell’italiana musicale letteratura”13.
Fiore all’occhiello e pregio indi-
scusso di questo dizionario risulta
essere l’apparato bibliografico, approntato scrupolosamente, proprio per sopperire a quelle lacune
riscontrate dall’autore in molti
precedenti dizionari.
E ancora: nella Prefazione al primo volume l’autore, quasi a voler
suffragare sul piano scientifico il
proprio lavoro (di storico), provvede ad elencare puntualmente le
13 - Pietro Lichtenthal, Dizionario, vol. 1, p.
[III].
fonti dalle quali ha tratto maggior
ispirazione, riservando a ciascuna
un breve commento: il Lessico
musicale di Koch (1802), la Storia
della Musica di Forkel (1788,
1801), le gazzette musicali di Lipsia, Berlino e Vienna, l’Estetica di Krug e De
l’Opéra en France (1820)
di Castil-Blaze, il trattato
sulla Musica degli Indù di
Jones e opere di altri autori, che vengono menzionati soltanto per nome.
Per quanto concerne invece la lingua utilizzata,
Lichtenthal dichiara di
aver preso come riferimento i dizionari della
Crusca e dell’Alberti, discostandosene se non
per pochi termini tecnici, nei casi in cui si trattava di «svolgere le più minute particolarità in materia di arti».
Una breve descrizione
della struttura e del contenuto
del dizionario chiarirà meglio i
termini e la portata del suo contributo.
I quattro volumi che compongono l’opera sono ripartiti in due tomi intitolati: Dizionario di musica, che racchiude i volumi I e II, e
Letteratura generale della musica,
che comprende i volumi III e IV,
denominati “parte prima” e “parte
seconda”.
63
musicobibliofilia
Volume primo
Dizionario di musica
vol. I [parte prima]
Prefazione e Dizionario A–K
vol. II [parte seconda]
Dizionario L–Z e Esempi musicali
I lemmi che formano il Dizionario
sono distribuiti in ordine alfabetico
e sono riconducibili alla terminologia propria della materia. In questo
contesto non rientrano i nomi e le
biografie, cui sono dedicati invece i
capitoli del secondo volume.
Volume secondo
Letteratura generale della musica
Parte I
Letteratura della storia musicale
antica e moderna
Parte II
Letteratura della teoria e della
pratica della moderna musica
La Letteratura generale ricomprende la parte bibliografica e biografica
ed è organizzata per tematiche,
elencate analiticamente all’inizio
del secondo volume. Per ciascun argomento sono ordinati secondo il
principio cronologico tutti quegli
autori che hanno contribuito con i
loro scritti ad approfondire lo studio della materia. Ogni tematica,
secondo una classificazione gerarchica, è suddivisa in capitoli, sezioni e sottosezioni. L’elenco dei riferimenti bibliografici prevede la citazione dell’autore, alcuni cenni biografici e la bibliografia seguita da
un breve commento sull’opera.
64
Riporto l’incipit dell’indice del secondo volume, come esempio di
ripartizione della materia:
L’articolazione del contenuto,
nonché la presenza di particolari
tematiche testimoniano una notevole varietà d’interessi da parte
dell’autore, che va dalla musica etnica alle grandi tradizioni storiche del passato. Questo modus
operandi è riconducibile a due atteggiamenti tipici dell’epoca: da
una parte l’approccio scientifico,
teso ad approfondire, quasi a
scandagliare la materia trattata,
dall’altra una visuale estremamente ampia, che si estende sino
alle tradizioni extra-europee: dal-
la Storia musicale degli Egizj, Etiopi e Chinesi alla Letteratura della
Storia musicale presso gli Ebrei e
alla musica degli Indù. Un esempio singolare, che denota il gusto
e la curiosità per l’elemento esotico, è rappresentato dalla voce
“Antropofagi” riportata nel Dizionario, dove, per un momento, fa
capolino la schietta indole di corrispondente del Lichtenthal, piuttosto che – come oggi si direbbe –
di musicologo. Il lemma, infatti,
consiste nella semplice citazione
di una cronaca dalle isole di S.
Cristina, correlato ad un esempio
musicale, la Canzone degli Antropofaghi.
Volume II, parte I
Letteratura della storia musicale antica e moderna
1.
Origine, elogio, utilità, scopo ed effetto della musica
I.
Origine ed invenzione della Musica
II. Bellezza ed Utilità della Musica
III. Natura e Scopo della Musica
IV. Effetti morali della Musica
V. Effetti fisici della Musica
2. Letteratura della storia generale della musica
3. Storia di alcuni popoli in particolare
1. Storia musicale degli Egizi, Etiopi e Cinesi
2. Letteratura della storia musicale presso gli Ebrei
I. Libri che trattano della musica ebraica per esteso
II. Libri sopra singole parti della Musica ebraica
III. Sugli accenti ebraici, considerati come note musicali
IV. Sulla Musica del Tempio degli Ebrei in particolare
V. Libri di contenuto vario
3. Della musica degli antichi Etruschi
...ecc.
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
musicobibliofilia
Con quest’opera, l’autore mira a
soddisfare diverse tipologie di lettore: dall’erudito, al critico al cultore della musica.
Dovendo adattare il contenuto e il livello linguistico del testo alle diverse
esigenze dei lettori, l’autore, confeziona inevitabilmente un prodotto
ibrido, sia sotto il profilo dello stile
che dell’impianto strutturale.
Tuttavia, malgrado alcuni difetti, come, ad esempio, le ingenuità di certe
argomentazioni o di certi lemmi, la
commistione dei livelli di stile e di
linguaggio, che trapassa dal discorso
popolare a quello tecnico-specialistico, la mancanza di un approccio
metodologico uniforme, questo dizionario rimane un testo essenziale
per la storiografia musicale italiana.
Tracciando la parabola evolutiva dei
lemmi musicali nell’arco della storia
e ricostruendo la storia-bibliografica
delle principali tematiche musicali,
Lichtenthal ha contribuito a gettare
con quest’opera le basi per una storiografia musicale ante litteram.❧
Irene Comisso
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
65
Libro chiama libro
a cura di David Cerri
T
ra le iniziative della Scuola
Superiore dell’ Avvocatura1
una delle più recenti e di
maggior successo è quella di “Progetto Libro”, un invito alla lettura
per le Scuole Forensi, che preparano i neolaureati alla professione.
“L’obiettivo è quello di fare delle
scuole forensi dei centri di diffusione della cultura attraverso la lettura del libro, al fine di offrire ai giovani uno strumento di formazione
come cittadini e come avvocati, ed
ai meno giovani una occasione di
approfondimento della conoscenza
di realtà sociali e culturali di crescente complessità”2.
Il profilo che crediamo possa interessare maggiormente i lettori de Il
Furore è quello che è stato sviluppato in particolare da una Scuola –
quella della Fondazione Alto Tirre1 - La Scuola Superiore dell’ Avvocatura è una
Fondazione istituita dal Consiglio Nazionale
Forense per le attività formative della categoria
2 - Come si legge nel sito della Scuola: www.
scuolasuperioreavvocatura.it, al quale rimandiamo chi voglia approfondire i suggerimenti
dati e confrontarsi con una realtà professionale
culturalmente più ricca di quel che comunemente si possa credere .
no, che riunisce gli Ordini degli avvocati di Pisa, Lucca, Livorno, Massa-Carrara e la Spezia – con la sottolineatura dell’importanza della
letteratura anche nella preparazione del giurista; considerazione unita alla necessità di attirare i giovani
alla lettura tout court ricordando
che essa deve essere in primo luogo
un piacere, e che la “metodologia”
migliore è leggere direttamente, dai
grandi classici ai contemporanei,
purchè abbiano la capacità di coinvolgerci; poi… libro chiama libro…
con unico criterio: la qualità.
Chi scrive, con l’amico Giovanni
Vaglio, direttore della Scuola forense della Fondazione Alto Tirreno, ha
provato a redigere una serie di proposte di lettura, ad integrazione di
quelle del Progetto Libro, individuando - nei due settori della “grande letteratura” e della storia del novecento - due temi, tra gli infiniti
che si potevano scegliere:
• la tragedia dei totalitarismi
del novecento e della Shoah
• la sensibilità tipica dei “gran-
di russi” per l’uomo e la natura, che (oltre che nei classici
come Tolstoj) si ritrova intatta in un contemporaneo russo
che scrive in francese, come
Andrei Makine, e in un modernissimo brasiliano, Guimarães Rosa,
volutamente escludendo opere che
avessero ad oggetto o comunque
trattassero esplicitamente sotto
qualche riguardo temi attinenti al
diritto od ai giuristi (ma non, evidentemente, alla giustizia ed alla
storia).
Alla base vi sono, come è ovvio,
preferenze e convinzioni personali.
Provo a precisarne alcune.
La prima è quella a favore della
letteratura “alta”, se non ”altissima”,
per le motivazioni icasticamente e
sprezzantemente riassunte da Celine, come ci ricorda Roberto Saviano
nel brano che segue:
fare letteratura
Una risposta credo risolutiva la
diede l’autore del Viaggio al termine della notte e di Morte a credito.
David Cerri
Un progetto di nome libro
66
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
libro chiama libro
Una giovane giornalista andò a
trovare un ormai vecchio, isolato e
sempre più accidioso Louis Ferdinand Céline. Andò a Meudon, a
pochi chilometri da Parigi, dove lo
scrittore si era rintanato con sua
moglie e i suoi animali. La giornalista dopo le solite domande di circostanza trovò il coraggio e gli
chiese, quasi come se stesse pretendendo che lo scrittore gli svelasse il
segreto del suo mestiere:
— Ma quanti modi ci sono di fare
letteratura?”.
Céline rispose, secco senza titubare:
— Ci sono solo due modi di fare
letteratura”.
La giornalista così si aspettava lo
scibile umano delle lettere divise in
due correnti e Céline diede la sue
sintesi insuperabile:
— Fare letteratura o costruire spilli per inculare le mosche”.3
La seconda è la predilezione per la
qualità della “scrittura”, per la cifra
dello stile individuale.
La terza è la considerazione della
capacità di “commozione” della lettura; al di là delle ricadute auspicate
in termini di qualità della scrittura e
di abilità cognitive, la com-passione
che i testi indicati dovrebbero suscitare nel lettore non dovrebbe rimanere estranea a chi esercita la professione che più di ogni altra – con l’eccezione forse di quella medica – ha
come caratteristica essenziale quella
del rapporto con gli altri.
Chi non si commuove a leggere dell’
3 - R. Saviano, Se lo scrittore morde, La
Repubblica 3 maggio 2007.
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
”urlo di lupo” di Rosa nello scialle di
Magda4, o la descrizione di sapore cinematografico della rivelazione di
Aleksej alla tastiera5, o lo svelamento
di Diadorim6, potrà anche fare lo
stesso l’avvocato: ma c’è da tremare
all’idea di come lo farà.
La quarta, e quella che più la avvicina al mondo professionale, concerne l’importanza in sé della letteratura
per i giuristi, come dimostrata dal
proliferare di corsi di studio e convegni, di associazioni, di siti e blog dedicati al tema dei contatti tra il mondo del diritto e quello delle humanities (concetto che va esteso quindi
anche alla musica, all’architettura, alla pittura, al cinema, alle altre arti).
Basti qualche nome per far comprendere quale interesse vi si raccolga, come quelli di Ronald Dworkin7,
o di Richard A. Posner8 (seppur critico), od un altro a noi più vicino,
quello già ricordato anche su il Furore, di Gustavo Zagrebelsky.
Anche in Italia infatti non mancano
né corsi universitari (due per tutti,
quelli della facoltà di Giurisprudenza di Torino diretto da Pier Giuseppe Monateri, e quello di Roma Tre,
che ha visto tra gli altri gli interventi
– oltre che di Emanuele Conte che lo
4 - C.Ozick, Lo scialle, Milano, Feltrinelli, 2003.
5 - A.Makine, La musica di una vita , Torino,
Einaudi, 2003.
6 - J.Guimarães Rosa, Grande Sertão, Milano,
Feltrinelli, 1999.
7 - Di Dworkin si può godere su YouTube la lezione inaugurale del corso biennale Frederic R.
and Molly S. Kellogg al Coolidge Auditorium
della Libreria del Congresso (26.10.2009): Is
There Truth in Interpretation? Law, Literature
and History.
8 - R.A. Posner, Law and Literature (3a Ed),
Harvard University Press, 2009.
dirige – di Eligio Resta, di Vincenzo
Zeno Zencovich, di Mario Aschieri)
né associazioni (come l’ AIDEL –
Associazione Italiana Diritto e Letteratura, e la SIDL - Società Italiana
di Diritto e Letteratura9) alle cui attività partecipano giuristi come Francesco Galgano, Luigi Lombardi Vallauri, Eugenio Ripepe, Umberto
Breccia, e che si caratterizzano, tra
l’altro, per una forte interazione con
analoghe esperienze europee.
Riprendiamo le parole di un giurista statunitense che insegna nella
Law School di Charlotte, (e che è
anche avvocato), Will Terpening:
“Essere il migliore avvocato possibile
richiede di più che saper padroneggiare i testi di base e “ragionare come un “avvocato”, nel modo che consuetudinariamente viene insegnato
nelle facoltà di giurisprudenza ed ai
giovami avvocati.
Essere un avvocato di alto livello richiede stile, passione, una forte “bussola etica”, creatività, abilità argomentative maggiori di quelle che possono essere tratte dal mero studio dei
casi; un’abilità di scrittura “stellare”,
compassione, ed ancor di più”.❧
David Cerri
Ecco quindi di seguito i “consigli
di lettura”, con brevi commenti per
indirizzare il lettore, ed iniziando
dalla “grande letteratura”.
9 - I rispettivi siti internet: www.aidel.it e
www.lawandliterature.org .
67
libro chiama libro
Charles Dickens (1812-1870),
Casa Desolata, Einaudi.
Pubblicato a dispense tra il 1852 e il
1853, “Casa Desolata” narra, sovrapponendo molte vicende, di
una pluriennale causa fra i componenti della famiglia Jarndyce, che
dura da molti anni e che ha portato
alla rovina quasi tutti coloro che ne
sono stati coinvolti. La descrizione
della società londinese dell’ Ottocento è anche critica spietata del sistema dell’ “equity”. Considerato da
Harold Bloom il “romanzo canonico” dell’Età democratica, Nabokov
vi ha individuato l’intreccio da libro giallo ed il tema “Corte di Giustizia-nebbia-follia”.
Vasilij Grossman (1905-1964),
Vita e destino, Adelphi.
Il grandioso affresco corale di
Grossman, il più famoso reporter
di guerra russo, bolscevico della
prim’ora e progressivamente disilluso dallo stalinismo (ebbe a coglierne e provarne, anche per le sue
ascendenze ebraiche, le affinità con
il nazismo) ha in Guerra e pace un
riferimento diretto. L’epopea della
battaglia e dell’assedio di Stalingrado e la saga familiare dei Saposnikov vedono due totalitarismi in
apparenza antagonisti, ma sostanzialmente speculari. L’opera ha rischiato di non veder mai la pubblicazione per l’irruzione del KGB che
nel 1961 sequestra a Grossman il
manoscritto, le brutte copie, la carta carbone, le carte veline, la mac-
68
china da scrivere ed anche i nastri.
L’autore non ha visto in vita l’uscita
del libro, che però riuscirà ad essere
edito all’estero grazie alle copie custodite da amici fidati, ed apparire
finalmente in Russia negli anni ’90.
Josè Guimarães Rosa (19081967), Grande Sertão, Feltrinelli.
Il “Joyce brasiliano”, diplomatico di
carriera, scrisse nel 1956 uno dei capolavori assoluti del ‘900, ambientato nelle veredas, le valli di terreno
argilloso che si aprono tra gli altipiani dei Campos Gerais in Brasile
e che costituiscono oasi naturali
ricche di vita animale e vegetale, tra
le cui forme si distingue la pianta
simbolica del buritì, palma che dà
anche il nome ad un altro famoso
racconto della raccolta Corpo di
ballo. Lo stile straordinariamente
ricco ed originale si unisce in
quest’opera ad un’avvincente narrazione con tanto di struggente finale
a sorpresa.
Vladimir Nabokov (1899­­1977), Lolita, Adelphi.
Lo scrittore russo divenuto il maggior prosatore in lingua inglese del
secolo scorso ebbe la sua notorietà
principalmente per l’aria di scandalo
che circondò il romanzo sin dall’uscita nel 1955. Il tema dell’amore senza limiti tra il maturo professore di
letteratura francese e la ragazzina
dodicenne (magistralmente rielaborato nel celebre film di Stanley Kubrick) sollecitò l’attenzione prurigi-
nosa dei media, prima di esser riconosciuto come un’ opera perfetta
nello stile, nella impareggiabile descrizione dell’America degli anni
cinquanta, e di un sentimento così
profondo e totalizzante da non tollerare aggettivi. Il dato maggiore del
testo è peraltro la maestria stilistica
che lo avvicina, come altre opere nabokoviane, alla poesia, e che si ritrova anche nelle short stories.
Philiph Roth (1933, vivente),
L’animale morente, Einaudi.
Protagonista David Kepesh, del ciclo di romanzi “Professor desiderio”. Roth esplora l’avanzare della
vecchiaia, tanto più potentemente
perché a proposito di soggetto noto
ai suoi lettori per una prorompente
sessualità, e registra il declino di
una simile personalità a confronto
con la giovane cubana Consuelo,
bellissima e sensuale, che dopo
averlo trascinato alla gelosia, si rivela da un lato un fortissimo stimolo alla memoria del carismatico
professore, e, dall’altro, lo disillude
coinvolgendolo forzatamente nella
propria tragedia personale. Roth
anno dopo anno sforna opere sempre all’altezza della sua impareggiabile scrittura che illustra probabilmente meglio di qualsiasi trattato
di sociologia la vita americana degli ultimi decenni.
Albert Camus (1913-1960), Lo
straniero, Bompiani.
Pubblicato nel 1940, quest’opera
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
libro chiama libro
narra la vicenda di un uomo che,
nel suo rifiuto di mentire trova la
sua condanna: la verità diventa incomprensibile in un mondo governato dall’assurdo. Nicola Chiaromonte dice di Camus: “trae le ragioni di non cedere alla facilità di
una logica negatrice e distruttiva,
trovando proprio nel riconoscimento di quell’assurdità prima e
non eliminabile il senso della misura ragionevole e dell’umano”.
Henrik Ibsen (1828 -1906), La
donna del mare, Einaudi.
Pubblicato nel 1888, questo dramma mette in luce la sospensione tra
lo scorrere di una vita interiore e
quello di una vita esteriore; due
mondi paralleli, indipendenti che,
allo stesso tempo, si incrociano nel
tentativo di una comprensione reciproca. La storia di una donna che
costruisce il proprio cammino verso la libertà.
Leo Perutz (1882 - 1957), Dalle
nove alle nove, Adelphi.
Pubblicato nel 1918, la trama, che si
dipana nell’arco di dodici ore nella
Vienna dell’immaginario collettivo, segue l’avventura dello studente
Demba oggetto di una caccia al
colpevole dal risultato inaspettato.
Definito romanzo fantastico, come
del resto gran parte dell’opera di
Perutz, non per la creazione di entità soprannaturali, ma per la capacità di sviluppare la contraddizione
tra verosimile e reale, Dalle nove al-
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
le nove mette in luce tutta l’abilità
dell’autore nel creare quell’atmosfera di sospensione, di esitazione, fino a “l’ultimo fotogramma [che]
decide il montaggio di una
vita”(Pasolini)
Della storia del ‘900 abbiamo cercato i riscontri nella letteratura a
proposito dei totalitarismi e della
Shoah:
Varlam Ŝalamov (1907-1982),
“La resurrezione del larice”, (da I
racconti di Kolyma), Einaudi.
La Kolyma è la regione di paludi e
di ghiacci dell’estremo nord siberiano, che ha ospitato i più temibili
campi del gulag staliniano. L’esperienza personale di Ŝalamov, rimastovi prigioniero per lunghi anni, si
condensa in una scrittura molto diversa da quella di Solzenicyn, nel
registro oggettivo di uno studio antropologico di carcerieri e carcerati, nel quadro di una natura incombente e terribile. La liricità in
Ŝalamov stranamente tanto più
emerge quanto più il linguaggio
sembra cronachistico; il contrasto è
meno forte nel singolare apologo
che costituisce questo racconto,
dove un prigioniero invia alla vedova del poeta Mandel’štam, morto nel gulag, un rametto di larice;
rametto secco, posto nel barattolo
riempito con “la morta acqua dei
rubinetti di Mosca”, sul quale però,
miracolosamente, nel giro di pochi
giorni appaiono i primi germogli.
“Il larice respirava nell’appartamento moscovita per ricordare a
ognuno il proprio dovere, perché
nessun uomo dimenticasse i milioni di cadaveri, i milioni di persone
che avevano perso la vita nella
Kolyma…Aiutate gli altri a ricordare, togliersi dall’anima questo
peso così gravoso: vedere tutto
quanto, trovare il coraggio non di
raccontare ma di ricordare”.
Il larice immortale di Šalamov è lo
stimolo alla memoria.
Katherine Kressmann-Taylor (1903-1995), Destinatario
sconosciuto, B.U.R.
La Kressmann, scrittrice americana non professionista, pubblicò su
una rivista nel 1938 questo epistolario tra Max e Martin, due amici
fraterni e soci in affari negli Stati
Uniti, l’uno ebreo e l’altro tedesco.
Tornato il secondo in patria, lo
scambio di lettere rivela la sua progressiva seduzione da parte del nazismo, al punto di rendersi indisponibile anche quando Max, disperato, gli raccomanda di vegliare
sulla sorella Griselle, un’attrice che
è stata amante di Martin e che va
incontro da sola ad una tragica fine. La raffinata vendetta di Max è
orchestrata come in un giallo fino
al colpo di scena finale. Del breve
romanzo è del tutto particolare lo
scarno stile epistolare e il significato profetico (come ricordato, è
scritto nel 1938, nella provincia
americana).
69
libro chiama libro
Cynthia Ozick (1928, vivente),
Lo scialle, Feltrinelli.
Le quasi insopportabili sette pagine
della prima parte riescono forse a
“dire l’indicibile” sulla Shoah. Racconti “tutti al femminile” – nel primo dei quali appunto la breve storia della piccola Magda e del suo
scialle, nel quale la madre, Rosa, la
nasconde fino all’inevitabile destino – sono il prologo alla ricerca e ritrovamento di quello scialle, che
Rosa perseguirà nella sua nuova vita in Florida, nel dopoguerra.
Andrei Makine (1957, vivente),
La musica di una vita, Einaudi.
Makine, nato in Russia e naturalizzato francese, ha seguito un processo simile a quello di Nabokov. Introiettando, per così dire, le atmosfere del paese natale (nel periodo
post-staliniano) ha acquisito una
tale maestria con la lingua d’adozione da meritare (con Il testamento
francese) il Premio Goncourt, e poi
anche il Médicis.
Il racconto ricostruisce con la tecnica del flash back la storia moscovita
del giovane musicista Aleksej Berg,
che alla vigilia del suo primo importante concerto assiste nel 1941
all’arresto dei suoi familiari da parte
della polizia segreta, cui riesce a
sfuggire. Aleksej per salvarsi assume l’identità di un soldato morto
Autista di un generale ne viene accolto in casa, per avergli salvato la
vita; Stella, la figlia del militare, se ne
sentirà attratta nonostante l’enorme
70
differenza “sociale” tra la nomenklatura di cui fa parte ed il giovane, e si cimenterà ad insegnargli
(a lui !) la musica. Proprio la forza
inarrestabile della musica tradirà
Aleksej e lo trascinerà nel gulag.
Peter Weiss (1916-1982), L’istruttoria, Einaudi.
Weiss assistette nel 1965 ad un processo contro un gruppo di SS e di
funzionari del Lager di Auschwitz,
a Francoforte. L’ “oratorio in 11 canti” che ne è il frutto artistico usa letteralmente i verbali del processo, le
deposizioni dei testimoni (anonimi) e le difese degli accusati (individuati invece nelle loro caratteristiche), in modo incalzante ed in
un crescendo di orrore descrittivo
che ricorda i gironi danteschi (e nel
quale uno strumento importante è
l’assenza di qualsiasi punteggiatura). Per la pubblica accusa la tesi difensiva dell’ “obbedienza agli ordini
superiori” è insufficiente, perché
chi eseguì il programma della soluzione finale lo fece perché “Al fronte/ avrebbero avuto la vita in pericolo/ Così rimasero/ dove avevano solo
nemici inermi”.
Dietrich Bonhoeffer (19061945), Chi resta saldo? (da “Dieci
anni dopo”, in Resistenza e resa,
San Paolo.
Il teologo protestante impiccato dai
nazisti a Flossemburg alla fine della
guerra, poco prima dell’arresto fa
un bilancio della propria vita e dei
tempi allora correnti. L’alta riflessione del cristiano che non si è tappato gli occhi all’ascesa del Fuhrer
si ferma sulla “mascherata del male” che ha sconvolto la Germania e
il mondo e sul fallimento delle
“persone ragionevoli”; e soprattutto sulla presunta giustificazione del
“dovere”: “L’uomo del dovere alla fine dovrà compiere il proprio dovere
anche nei confronti del diavolo”, facile profezia, col senno di poi.
Art Spiegelmann (1948, vivente), Maus, Einaudi (graphic novel).
Romanzo autobiografico a fumetti
pubblicato tra il 1973 ed il 1991, meritando il Pulitzer, Maus narra la
storia di Vladek, padre dello scrittore, ebreo polacco sopravvissuto alla
Shoah, ed è composto da due parti:
nella prima (Mio padre sanguina
storia) si apprende del peggioramento della vita degli ebrei negli
anni precedenti la guerra, e nella seconda - E qui sono cominciati i miei
guai – si entra direttamente nella vita dei deportati nei lager.
L’allegoria vede gli ebrei disegnati
come topi, ed i nazisti come gatti;
ma nel racconto c’è anche il rapporto tra padre e figlio, sempre con l’assenza di ogni espressione retorica
come consentito da una grafica
estremamente “oggettiva” contraria
ad ogni emozione (ma capace di
suscitarne di intense).
David Cerri
Giovanni Vaglio
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
Parlando di libri...
a cura di Anna Maria Ercilli
“I serbi di solito li lasciavano arrivare alla meta, poi al ritorno,
quando la gente era sfinita dal
viaggio e dal peso che portava, li
aspettavano vicino alla linea di demarcazione: abbastanza vicino
perché la sparatoria si sentisse nei
villaggi circostanti, ma troppo lontano perché i soldati bosniaci delle
postazioni più prossime potessero o
si arrischiassero a correre in aiuto.
Nella notte, sotto l’assordante fragore delle mitragliatrici, dei lanciagranate a mano e delle ‘vespe’, si
potevano sentire anche le ultime
urla dei disperati e degli affamati” 1
Questo brano è uno dei tanti passaggi descritti con cruda semplicità, di quanto accadde a pochi km.
in linea d’aria dalle nostre pacifiche città.
“L’appello più drammatico per fermare quel massacro fu pronunciato
da Elie Wiesel, nel 1993. Durante la
cerimonia dell’apertura del Museo
dell’Olocausto a Washington, rivol1 - Emir Suljagić, Cartolina dalla fossa - Diario di
Srebrenica, Beit casa editrice, Trieste, 2010, pag.45
se un accorato appello al presidente
americano Bill Clinton: “Signor
presidente, c’è una cosa su cui io
non posso tacere. Sono stato nell’ex
Jugoslavia e non riesco a dormire
per quello che ho visto. Come ebreo,
Le chiedo di fare qualcosa per fermare le uccisioni. Qualcosa deve
essere fatto. Là ammazzano la gente, uccidono i bambini. Più di 60
capi di Stato erano presenti in
quell’occasione. Neanche queste parole smossero le loro coscienze.”2
Era il mese di luglio 1995 quando i
militari serbo bosniaci entrarono
nella città assediata, classificata
inutilmente “area protetta” dalle
Nazioni Unite. I caschi blu olandesi dovevano proteggere i suoi
abitanti, ma non fecero nulla per
impedire il massacro della popolazione maschile della città.
“Il maggiore olandese R.A. Franken firmò la dichiarazione attestante che l’evacuazione dei civili
bosniaci era avvenuta nei termini
della convenzione di Ginevra, seb-
bene i serbi avessero sgozzato le
prime vittime proprio davanti ai
caschi blu.”3
Il diario della sopravvivenza di
Srebrenica assediata, è uno stillicidio di sofferenze e fame, la morte
raggiunse gli abitanti nelle file per
procurarsi il cibo, nell’attesa di riempire un secchio d’acqua alla
fontana, nel gioco dei bambini al
campo della scuola.
I mig serbi bombardarono la città
per giorni, poi arrivarono le ‘zanzare’, i piccoli aerei da turismo armati di mitragliatrici e bombe. Si
vedevano i volti dei piloti, quando
gli aerei scendevano verso terra in
cerca dei bersagli da colpire.
Per sfamare la popolazione accerchiata dalle truppe di Mladić, le
forze Onu iniziarono a lanciare i
viveri dagli aerei. I pacchi cadevano nelle zone meno accessibili dove gli uomini li raccoglievano con
fatica, innestando la caccia al prezioso bottino.
“Per noi era l’unico modo di distin-
2 - ivi pag 12
3 - ivi pag 14
Cartolina dalla fossa
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
Anna Maria Ercilli
71
parlando di libri
guerli e anche di misurare chi fra
noi avesse fatto una caccia migliore
e più ricca. I pacchetti americani in
quel senso erano i meno valutati,
perché non erano diversificati;
quelli tedeschi o italiani erano sempre considerati un piccolo premio
“per la fatica investita”, perché erano i più ricchi; quelli britannici non
entravano neppure in lizza”.4
La guerra continua: “Nei due mesi
seguenti i serbi si ripresero ogni
palmo di terra, lentamente, ma
stringendo sempre più forte il cappio intorno all’enclave. Ben presto
partì anche la loro offensiva invernale...Sembrava che fosse giunta la
fine. Avevo poco più di diciassette
anni, stavo seduto in cantina e leggevo il Principe di Machiavelli; di
tanto in tanto uscivo nel corridoio
fino alla porta d’entrata per sbirciare fuori senza interesse”.5
I serbi entrarono in città l’undici
luglio, i soldati olandesi non riu-
scirono ad opporsi, deposero le
armi, lasciando gli abitanti della
città al loro destino.
“Eravamo stati ingannati un’altra
volta. Mentre guardavo impietrito i
veicoli che entravano nell’abitato,
chiesi a un ufficiale olandese che
cosa stesse accadendo, più per la
necessità che smentisse i miei timori che per avere una vera risposta.
Sogghignando, mi rispose: ‘Ratko
Mladić arriva per farvi evacuare’”.6
“La fine della storia. In tutta questa
vicenda, rimane un solo aspetto
positivo: il fatto che gli stermini
della Bosnia sono e rimarranno gli
stermini meglio documentati della
seconda metà del xx secolo. Non è
di alcuna consolazione per i sopravvissuti di Srebrenica, ma è pur
sempre qualcosa. Questo libro costituisce un pezzo, non irrilevante,
della documentazione.”7❧
4 - ivi pag. 65
5 - ivi pag. 92
6 - ivi pag. 139
7 - ivi pag. 250
Anna Maria Ercilli
Emir Suljagić Sopravvissuto al massacro di
Srebrenica, dopo la guerra studia Scienze politiche a Sarajevo. Lavora come corrispondente per
il settimanale “Dani” di Sarajevo. Tra il 2002 e
2004 segue le vicende del Tribunale internazionale penale dell’Aja per “Dani” e l’ Institute for
War and Peace Reporting.
Di alcuni libri che trattano della terra degli Slavi
Bibliografia [parziale] dei Balcani fra Letteratura e Storia
Almerigoti Francesco. – Dell’estensione dell’antico Illyrico
ovvero della Dalmazia e della primitiva situazione
de’ popoli Istri e Veneti, T. II. Venezia s. a. in-8°
Ivo Andrić, Il ponte sulla Drina, Mondadori, 2001
An historical and geografical account of the ancient
Ringdom of Hungary and Provinces adjoining to it viz :
Croatia Slavonia, Transilvania, Molda¬via, Valachia,
Servia and Bulgaria. London 1717. in-8
Fulvio Tomizza, Materada, Bompiani, 2000
Ankershofen Gottlieb Fr. Des Abtes Zaharias Gröblacher
Annales Ozziacenses. Klagenfurt, s. a. in-8
72
Srebrenica
…
Come possiamo vivere il presente?
Come possiamo non guardare al passato?
Una sorella nostra c’è, non è fra noi,
ma è viva!
Una tomba si è fatta, qui a Sarajevo.
Da un alloggio. Le finestre non apre,
da lì guardare non osa,
tanto meno uscire in strada! Quattro
figli ha perso! Se
per strada un ragazzo o una fanciulla
incontrasse, e uno di loro
per lei somigliasse a uno dei suoi - il
cuore le scoppierebbe, in
quattrocento pezzi!
È questa la Pace?
È così che finisce la Guerra?
Abdulah Sidran
Claudio Magris, Danubio, Garzanti Libri, 2006
Marco Dogo, Storie balcaniche, Popoli e stati nella
transizione alla modernità, Goriziana, 1999
Edgar Hösch, T. Orlando, M. Zampetti e G. Perazzoli,
Storia dei paesi balcanici. Dalle origini ai giorni nostri, Einaudi. Storia, 2005
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
Lo scaffale
a cura di Italo Bonassi
U
na lingua, la Un omaggio doveroso al centocinquantesimo anniversa- che oggi possiamo scrinostra, che vi- rio del primo Parlamento italiano, con Camillo Benso vere qui, su questa rivide i suoi primi Conte di Cavour primo Presidente del Consiglio (Torino, sta, anche poesia e di poalbori come una specie 17 marzo 1861), penso sia quello di ricostruire la lunga esia discutere. La lingua
di storpiatura e inquina- lenta e sofferta evoluzione della lingua che in tale fatidica ci accomuna assai di più
mento del latino subito data venne proclamata la lingua nazionale del nuovo della religione, dei confidopo la caduta dell’ Im- Stato: la lingua italiana. Raccogliendo in una sintesi ni, della bandiera, o di
pero Romano d’ Occi- commentata i frutti del lavoro di autorevoli ricercatori e che altro. Siamo italiani
dente (470 d. C.), e che di divulgatori di successo si è voluto venire incontro ai non perché abitiamo in
cominciò a imporsi co- lettori interessati e curiosi di conoscere le fonti della no- Italia, bensì perché parme lingua del popolino
stra lingua e di offrire agli appassionati la possibilità di
liamo l’ italiano, noi, di(il volgare) grazie al porinfrescare i ricordi e magari rinnovare
scendenti dell’ ignoto che
polo minuto dei contadistimoli e interessi.
incise s’ una parete della
ni, degli artigiani, dei
Catacomba di Commominatori, degli operai, dei piccoli commercianti, e dai dilla (Roma, 850 d. C.): Non dicere ille secreta a bboce.
preti di campagna, costretti a parlarlo per farsi intende- Un periodo importantissimo, diciamo pure decisivo,
re dai loro fedeli, che il latino non lo conoscevano, per l’ affermazione e lo sviluppo della lingua protoitatroppo difficile per la loro scarsa cultura e anche perché liana, il volgare, progenitore del nostro attuale idioma,
veniva insegnato nelle scuole, che non potevano per- è stato quello che va dal 1200 al 1300, praticamente il
mettersi di frequentare. Una lingua, quella che oggi Medioevo. Periodo che corrisponde anche alla nascita
parliamo, nata da una piuttosto rapida mutazione del e all’ evoluzione della poesia, nata quasi contemporavolgare, il protoitaliano che veniva parlato ancora pri- neamente alla nascita del volgare. Infatti i poeti, non i
ma degli anni Mille, poi ufficializzato da Dante. È gra- prosatori, sono stati i primi ad esprimersi nella lingua
zie a questa lingua, nobile nipote del latino (se si consi- parlata dal popolino, che si andava sempre più diversidera figlio il volgare), che oggi noi possiamo esprimer- ficando dal latino, ancora parlato dalle classi colte, dai
ci e comprenderci, è grazie al Sao ke kelle terre del 960 nobili, dai notai, dagli uomini di legge e dai religiosi.
d. C., e all’ alba pratalia araba dell’ inizio del 700 d. C., Chi non scriveva in poesia, usava il latino.
Italo Bonassi
Italiano: una storia da conoscere
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
73
lo scaffale
Pur cadendo via via in disgrazia, il
latino non si decompose scomparendo presto dalla scena. Anzi, tenne la scena ancora per svariati secoli, tanto da potersi giustamente fregiare del titolo di lingua nazionale
(e anche internazionale, come oggi
l’ inglese), mentre già l’ italiano nascente, il volgare, muoveva i suoi
primi passi (e già stavano evolvendosi il francese, lo spagnolo e il germanico). In quanto dominante, il
latino, da solo o mescolato alle lingue degli invasori (goti, longobardi,
franchi, bizantini) confinava il neonato volgare a ruolo di dialetto, cioè
di una lingua socialmente inferiore,
subalterna. Ma questa particolarità
fu la sua fortuna, perché poté, così
semplice, umile e adattabile, attraversare indenne un travagliato periodo della nostra storia sociale.
La nascita della lingua italiana (anche se sotto forma di volgare) si indica comunemente col “Placito
Cassinese o di Capua” del Sao ke
kelle terre (marzo 960 d. C.), la famosa “Carta di Capua”, un documento notarile. Ma straordinaria
importanza hanno anche, tanto per
citare solo le testimonianze più famose, l’ indovinello Boves se paraba, alba pratalia aràba della Biblioteca Capitolare di Verona (III
secolo d. C.), la Postilla amiatina
del 1087 (S. Salvatore di Monte
Amiata), il Ritmo Laurenziano
(Ascoli Piceno, 1157), il Ritmo su S.
Alessio (XII secolo) e l’ Elegia giudeo-italiana (Le ienti de Sion), tra
la fine del 1100 e l’ inizio del 1200, le
74
ultime tre di struttura poetica. Si
può con ciò affermare che la lingua
italiana ha, poco più o poco meno,
mille anni.
M
a nei cinque secoli
che vanno dalla caduta dell’ Impero Romano (datata nel 476 d. C.) fino a
Sao ke kelle terre, quel qualcosa
che diverrà italiano, quel dialetto
ancora dipendente dal latino eppure così deciso a staccarsene, visse
quasi in apnea. Poco o quasi nulla si
sa di quel periodo, poiché erano secoli bui, pochi scrivevano e quei
pochi, laici o religiosi, usavano il latino, non il dialetto. Mancando il
materiale, possiamo solo intuire
l’ evolversi del linguaggio. Ci fu una
lenta ma ininterrotta violazione
delle regole che costituivano la
struttura del latino. Questo perché
la lingua popolare tende ad essere
semplice e anche perché allora non
c’ era più nessuno che si dedicasse
all’ insegnamento del latino classico. E anche se ci fosse stato, chi
avrebbe dovuto istruire?
Non che ci sia stato un solo unico
buio pesto; per fortuna qualche documento permette di farci un certa
idea di quale fosse la lingua, ancora
bastarda, che si parlava e si scriveva
nell’ Alto Medioevo (anche se chi
sapeva scrivere, scriveva quasi assolutamente in latino, nel tardo-latino di allora)
Abbiamo ad esempio il giuramento
di Strasburgo del 14 febbraio 842,
stipulato tra Carlo il Calvo e Ludo-
vico il Germanico, figli di Ludovico
il Pio, successore di Carlomagno,
con il quale rafforzavano l’ alleanza
contro il terzo dei fratelli, Lotario.
Pro Deo amur et pro christian poblo et nostro commun salvament,
d’ ist in avant, in quant Deus savir
et podir me dunat, si salvarai eo
cist meon fradre Karlo et in aiudha
et in cadauna cosa, si cum om per
dreit son fradra salvar dift, in o
quid il mi altresì fazet et ab Ludher
nul plaid nunquam prindrai, qui,
meon vol, cist meon fradre Karle
in damno sit.1
Non era sufficiente che Carlo si impegnasse di fronte a Dio e di fronte
a lui. Dovendo farlo anche e soprattutto davanti al popolo, non giura
in latino, ma nella lingua popolare
francese, allora chiamata romana
lingua: .
Naturalmente anche Ludovico giurerà in lingua “povera”: In Godes
minna ind in thes christianes Folches ind unser bedhero gehatnissi…, cioè il teodisco, l’ antico altotedesco.
Ecco dunque qual’ era la situazione
che precedette la nascita della nostra lingua nazionale: la lingua ufficiale, quella della burocrazia, degli
affari, della chiesa e della politica
era il latino. La lingua della “gente”,
estranea al mondo della lingua lati1 - Per amor di Dio e per la salvezza del popolo
cristiano e nostra comune, da questo giorno avanti, per quanta saggezza e potere Dio mi dà, sì, salverò questo mio fratello Carlo, tanto in aiuto come in ciascuna cosa, solo che egli faccia lo stesso
con me. E con Lotario giammai stringerò alcun
accordo che, coscientemente, sia in danno del mio
fratello Carlo
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
lo scaffale
na, era il dialetto che diverrà l’ italiano. Al principio un unico dialetto,
omogeneizzato da quello che restava
della struttura sociale e statale ereditata dall’ Impero Romano, poi, man
mano che detta struttura si sgretolava dietro l’ incalzare delle invasioni
barbariche, delle guerre, delle carestie e delle pestilenze, e man mano
che le città si svuotavano e la popolazione si disperdeva in migliaia di
centri piccoli, il dialetto si scisse in
tanti dialetti che si differenziavano
tra loro a seconda delle influenze linguistiche dei popoli aggressori o
confinanti. Il lombardo e il siciliano,
ad es., si svilupparono in modi diversi, pur sempre riconducili alla stessa
matrice, il latino
P
er spiegare questa lenta
evoluzione della nostra
lingua, si risale a quella
che è stata non la sua madre, il latino,
ma la sua nonna, la lingua indoeuropea, parlata da un popolo seminomade, il Kurgàn, di cui si sa solo il
nome e che viveva nelle regioni della
Russia meridionale circa 4000 anni
prima di Cristo, e che cinque secoli
dopo invase l’ Europa. Era una lingua semplice, tanto che fu la madre
della stragrande maggioranza delle
lingue europee d’ oggigiorno. Una
delle tante lingue figlie dell’ indoeuropeo fu dunque anche il latino, che
si installò in un’ Italia dove si parlavano più lingue (il messapico, il siculo, il
falisco, il venetico, l’ umbro, il sabino,
l’ osco, il gallico, l’ etrusco, ecc.) E così
queste lingue vennero a scontro col
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
latino che aveva cominciato a sopraffarle. Tanto per fare un esempio, per
dire fuoco in latino si diceva ignis, in
umbro pur (da cui la parola pirofilo,
pirico, ecc.); per i latini acqua era
aqua, per i sabini udor (pensiamo a:
idrico, idrogeno), ecc.
Fino al V secolo avanti Cristo queste
lingue battagliarono tra di loro per
imporsi; all’ inizio del III secolo a. C.,
Roma ebbe finalmente ragione di
galli, siculi, etruschi, venetici, ecc., e
il latino si impose sugli altri idiomi
locali.
Vinse, ma portò con sé diverse spoglie dei vinti:
Roma e populus sono termini etruschi, bos, lingua, lupus, sono sabini,
bracae (calzoni) e carrus sono gallici,
pater e mater addirittura indoeuropei. I vecchi idiomi si fusero nel latino senza scomparire del tutto. Quel
che sopravvisse del vecchio, divenne
dialetto.
L’ equivalente latino del Sao ke kelle
terre è un’ iscrizione del lapis niger
(la pietra nera) indicante il presunto
luogo di sepoltura di Romolo, primo
re di Roma: quoi…sakros esed…recei
…kalatorem…iuoxmenta…iouvestod (più o meno: a chi…sarà sacrificato…al re…araldo… carri…giustamente ). Per altri il certificato di nascita del latino è invece un monile, la
Fibula predestina (700 a. C.), dove si
legge: Manios med fhefhaked Numasiol, ossia: mi fece Manio in onore
del dio Numasio, ma alcuni pensano
che sia un falso.
Ma del latino non ce ne fu uno solo,
così come non c’ è un solo italiano,
quello colto (si pensi ad una dissertazione di Vittorio Sgarbi) e quello
semplice, domestico, usuale, di un
pastore del Supramonte. E dalla forma parlata (volgare) del latino, “inquinato” dalle parlate popolari locali,
si svilupperanno le lingue romanze:
oltre all’ italiano, il francese, lo spagnolo, il portoghese, il romeno (e il
sardo, il ladino, l’ occitano e il catalano). Da qui s’ intuisce come mai il latino abbia generato in Italia l’ Italiano, in Francia il Francese, in Spagna
lo Spagnolo, in Romania il Romeno,
lingue distinte fra di loro. E anche il
latino lentamente si trasformò (basti
pensare a quello aulico, retorico, di
Cicerone e a quello, più vicino a noi,
di Catullo). Il politico, il filosofo, lo
scrittore, dicevano: os, equus, pulcher
(bocca, cavallo, bello), il popolano
usava termini quasi uguali ai nostri:
bucca, caballus, bellus. Così si ebbe
un progressivo “imbarbarimento”
del latino, soprattutto tra il IV e il V
secolo dopo Cristo, nella piena crisi
dell’ Impero: un notevole deterioramento della lingua parlata e scritta
da milioni di sudditi, che fu costante
e sempre più evidente, coinvolgendo
pure tutto il sistema nervoso della
lingua che a poco a poco si faceva
scabra e si liberava da certe imposizioni grammaticali e sintattiche e di
una grande quantità di vocaboli di
difficile pronuncia oppure troppo
dotti.
Un’ opera di semplificazione scelta
dal popolino e non dettata da grammatica e sintassi, che portò all’ introduzione degli articoli (il, lo, la, ecc.),
75
lo scaffale
prima assenti, e ad eliminare del tutto i dittonghi, così frequenti nel latino (la ae e la oe divennero semplicemente “e”) e le finali in t (amabat trasformato in amaba) m, s (rosam e rosas diventate semplicemente rosa).
Altrettanto accadde ai monosillabi:
fax divenne facula (fiaccola), os, come già detto, bucca (che originariamente significava guancia), tot divenne tanti (ancor oggi si dice: un tot
da pagare), la guancia non si chiamò
più bucca ma gabata (già ciotola),
che in italiano diventò gota. Vir (uomo, maschio, sopravvissuto ancor
oggi nelle forme di virile, virago,
ecc.) lasciò il posto a homo. A tal proposito si racconta che nel 585 la Chiesa, riunitasi a Maicon per dibattere
sull’ anima, sancì che “solo l’ homo ha
l’ anima”. Ma in latino homo non è
vir, ma ha un senso lato (così come
intendiamo noi, quando diciamo
che l’ uomo vive sulla terra da milioni
di anni). Da qui il malinteso, poiché
il protofrancese non aveva e non avrà
più un termine per distinguere il sesso maschile da quello femminile (come ce l’ ha il tedesco, che ha il Mann
e la Frau), cosicché alla parola homo
venne dato (così si racconta) il significato di vir.
Per altri termini latini, c’ era in queste
nuove generazioni dei nostri antenati, la difficoltà ad es. di articolare la tr,
tanto che parole come matrem e patrem, oltre a perdere la m finale e diventare matre e patre, per evitare
quel tr in mezzo, cambiarono in seguito definitivamente in madre e padre. Fratrem (fratello), invece,
76
pur’ esso con una tr in mezzo, non
divenne fradre, ma, per via di tutte
quelle erre, mutò in frate. Una fine
naturale ebbe la pronuncia della dm
(come in admittere, che divenne
amittere, quinque si mutò in cinque,
la domina in domna e quindi in donna, e così via.
Tramontato l’ Impero, sparirono anche le parole dalla struttura fragile,
sostituite da termini più robusti. La
bisaccia, il sacco, era chiamato pera.
Ma bisaccium, bis saccium, era una
doppia sacca divisa in due (una cadeva dietro la schiena e l’ altra poggiava sul petto). E la pera finì col mutare nome e chiamarsi saccum. Sparì
come già detto la parola os (diventando bucca), perché os significava
anche osso, che si trasformò in ossum. Per dire mangiare, si diceva
edere (persiste ancora nel termine
edule, mangereccio: funghi eduli),
che si mutò in manducare (termine
che proviene da Manducus, un personaggio di una commedia popolare); a capus si affiancò testa (come
detto in altra occasione, la testa era
un vaso di coccio (e si dice cocciuto
per intendere testardo); la parola desiderare significava fare la conta dei
morti dopo una battaglia (i desiderati
erano gli scomparsi), e cambiò significato; la stella era sidus, sideris, da
cui il termine desiderare; scrutare le
stelle (si soleva aspettare l’ alba prima
di fare la conta definitiva dei morti).
Contemporaneamente entrarono
nell’ uso comune termini stranieri:
guerra (dal germanico werra) al posto di bellum, facenda (dallo spagno-
lo hacienda, cosa da fare), congedus
(dal francese congiet) al posto di
commeatum, e così via.
Quando Costantino legalizzò, con
l’ Editto di Milano, nel 313 d. C., il cristianesimo, il latino venne sommerso da nuovi grecismi, come monaco,
prete, chierico, vescovo, battesimo,
parola (che viene da parabola), eremita, bestemmia. Dove già esisteva
un termine, quello nuovo lo sopraffà:
testis diventa martyr, e altre parole
assunsero nuovi significati: fides, humilitas, saeculum presero ad indicare
“vita mondana”, “vita laica” in contrapposizione a quella religiosa. Captivus (prigioniero) finì per significare
“cattivo” (perché i preti si scagliavano
contro il peccatore, prigioniero del
diavolo (captivus diaboli) e con massa (pasta per fare il pane o impasto
d’ argilla) si denominò una certa
quantità di gente (per via della metafora di Dio che trae dalla massa le
anime buone).
C
ome anzi detto, ben altro
scossone ricevette quel che
restava del latino quando
Odoacre mise fine all’ Impero d’ Occidente (470 d. C.). Ci furono anni
terribili, nella nostra penisola s’ installarono nuclei di Stati germanici
di fatto indipendenti e l’ Italia venne
devastata da sempre più massicce invasioni barbariche. La stessa Roma
fu messa a sacco prima dai Visigoti e
poi dai Vandali. Un secolo più tardi,
la lunga e sanguinosa guerra goticobizantina ridusse in pezzi quello che
restava dell’ Italia (si pensi che la tre2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
lo scaffale
gua del 680 segnò confini che solamente 1200 anni dopo, col Risorgimento, verranno rimossi!). Ciò favorì
il dilagare dei Longobardi di Alboino
che instaurarono un Regno durato fino al 773, quando Carlomagno, dopo
averli sconfitti, si proclamò re d’ Italia,
di loro e di quant’ altro.
Fu dunque un periodo buio, tanto
che si finì col perdere l’ uso della
scrittura, non essendoci niente che
valesse una trascrizione, una memoria.
Solo fatti di guerra,
di stermini, di sangue. Orde di stranieri sù e giù per l’ Italia,
stragi, razzie. La gente finì con l’ isolarsi, a
vivere in piccole comunità, in villaggi
fortificati abbarbicati
su alture inespugnabili. E fu il tramonto
delle città, importantissimi centri di scambio e diffusione anche linguistica.
Non comunicando che tra di loro, le
popolazioni autoctone utilizzarono
la propria lingua fino all’ estremo:
scomparve la parola domus, sostituita da casa (che indicava la capanna, il
ricovero di campagna; ancor oggi in
alta Val Badia, isola ladina in Alto Adige, la ciasa, ossia la casa, è la stalla,
mentre la casa è la mason), la machina
(macina del mulino), unico congegno
tecnologico disponibile, assunse il significato universale di congegno, strumento, l’ hortus (originariamente orto,
ma anche giardino), visto che nessuno
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
poteva darsi al giardinaggio, finì con
l’ indicare solo l’ orto.
Erano tempi davvero duri, e la lingua, oramai quasi solo parlata, divenne una mescolanza di termini
rozzi e raffinati, con classicismi e barbarismi fusi insieme, povera lessicalmente da parere quasi infantile. Sintomatico quanto si racconta dell’ arcivescovo Grazioso, che, avendo
Carlomagno ospite a pranzo, lo invi-
tò a servirsi del cibo dicendogli: Pappa, domine mi Rex, pappa (Mangia,
signore mio re, mangia).
Gli italiani intanto stavano costruendosi, come detto, una loro lingua,
non imposta dall’ alto, e che aveva
come unico scopo quello di poter comunicare con gli altri. Non si curavano di eleganza né di purezza d’ espressione, badavano al sodo e vano fu il
tentativo di un rinnovamento culturale sotto Carlomagno, denominato
Schola palatina. La Chiesa invece si
andava muovendo in direzione opposta, tanto che nell’ 813 (Concilio di
Tours), finì col permettere nella liturgia l’ uso della parlata popolare, questo latino inquinato sempre più dal
volgare).
Centinaia di parole vennero perdute,
altre furono adottate dai soldati di
ventura e dai momentanei invasori,
che le esportarono nel loro Paese
d’ origine, e dove ebbero fortuna.
Scomparvero, come già detto, regole
grammaticali e sintattiche, scomparve anche il genere
neutro. Ma è da
questo pentolone
zeppo di scarti che
uscirà la nuova lingua, inizialmente
ancora informe, il
volgare, che, crescendo e raffinandosi, diventerà l’ italiano.
Che fine avrebbe fatto l’ italiano se si fosse mantenuto fedele
al latino? Sarebbe diventato un latino nuovo, più moderno, ma sempre latino. Grazie invece
ai Goti, ai Longobardi, ai Franchi e ai
Bizantini che dominarono nel nostro Paese, al loro contributo linguistico, non è diventato un dialetto del
latino ma ha cominciato a diventare
una lingua nuova, autonoma. Parlo
dell’ italiano parlato, poiché a lungo
si continuò a scrivere in latino.
S
olo verso il Mille gli imprestiti dalla lingua parlata passeranno in quella scritta.
Dai Goti (che si trattennero in Italia
77
lo scaffale
solo una ventina d’ anni) provengono parole come elmo, guardia,
schietto, arengo, albergo (da hari
esercito e berg riparo), arredare, recare, fiasco, astio, briglia, stanga,
smaltire, Goito, Rovigo (Rotheigs:
vittorioso), ecc.
Dai Longobardi (che vi rimasero
due secoli) abbiamo parole come
bianco, bruno, scaffale, scranno,
stamberga, staffa, sguattero, palla,
trappola, greppia, milza, scherzare,
russare, spaccare, duca, ricco, perfino stronzo, e tante tante altre ancora. Poi nomi di località: Marengo,
Pozzolengo, Martinengo e nomi
propri, come Anselmo, Baldovino,
Bernardo, Federico, Umberto, Guido, Guglielmo.
Dai Franchi abbiamo feudo, barone,
marca, marchese, guanto, tregua,
guadagnare.
Dai Bizantini, infine, molo, sartie,
galea, ormeggio, androne, mastello,
argano, lastrico, bambagia, gondola e località come Capitanata, Basilicata, ecc.
Ma ritorniamo alla caduta dell’ Impero Romano d’ Occidente, avvenimento importantissimo che gettò le
basi per un lento ma costante sgretolamento del latino.
La grandezza di Roma era in declino, travolta dalla storia. Fino ad allora si parlava e si scriveva in latino in
quasi tutte le regioni conquistate,
78
non certo quello di Cicerone ma assai più semplice e colloquiale. Una
varietà insomma di latino popolare
con differenze sostanziali di struttura e di stile, definita “lingua degli
abitanti delle province” (sermo provincialis), “gergo militaresco” (sermo
militaris) “lingua di persone incolte”
(sermo vulgaris : da qui, il nome
dell’ italiano primitivo, il volgare), ed
anche “lingua da illetterati” (sermo
rusticus).
Questa sorta di lingua popolare era
ad esempio ricca di diminutivi e
vezzeggiativi (auricula invece di auris, filiolus anziché filius , fraterculus
– oggi: fratello – e non frater), e oltre
a ciò si tendeva a semplificare, con
l’ uso di metafore, come nel caso di
testa, che si sostituì a caput (perché
la testa ha la forma di un vaso di coccio, che chiamavano appunto testa),
o nel caso di equus (cavallo), parola
ambigua, perché la si poteva scambiare con aequus (equo), e così si
passò al caballus (comune in tutte le
lingue neolatine : il francese cheval,
lo spagnolo caballo, il portoghese cavalo, il romeno car).
E fu questo latino volgare chiamato
sermo vulgaris o sermo provincialis il
padre delle lingue romanze.
La lingua dei vinti e dei vincitori si
stava mescolando insomma in un
continuo interscambio di lessico e
pronunce, come risulta dalle testi-
monianze che ci restano dalla fine
dell’ Impero Romano alla famosa
Carta di Capua.
Non tutti i linguisti sono d’ accordo
nel dare all’ Indovinello Veronese,
degli inizi del 700, la palma della
prima testimonianza scritta in volgare. Certi sostengono che si tratta
di un testo latino con elementi volgari, altri un testo volgare con elementi latini.
Qualcuno la palma la dà all’ Iscrizione della catacomba di Commodilla
(della metà dell’ 800, o anche prima), quella cioè del Non dicere ille
secreta a bboce, altri alla Carta di
Capua (Sao ke kelle terre), del 960.
Quest’ ultima non è in un latino infiorato di volgare o viceversa, ma
una vera lingua sufficientemente autonoma, scritta da un notaio che ha
usato tale e quale la si parlava.
Una lingua che in quei tempi non si
chiamava ovviamente italiano, ma
volgare o lingua romana oppure rusticis verbis (lingua agreste), ma anche nativa voce, per contrapporla al
patrio ore, ossia il latino.
Comunque, un fatto è certo: almeno
dal 923 (data della carta in cui si accenna alla “nativa voce”) si parlava
l’ italiano arcaico e almeno dal 960
(data della Carta di Capua) lo si scriveva.❧
Italo Bonassi
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
lo scaffale
GLI ESEMPI CITATI
Tra quelli più famosi e rappresentativi, per ordine di
tempo, si ricorda l’ Indovinello Veronese della Biblioteca Capitolare di Verona, degli inizi del 700:
Boves se paraba / alba pratalia aràba / et albo versorio teneba / et negro semen seminaba (Si spingeva
avanti buoi, arava bianchi prati, teneva un bianco aratro, seminava nera semente). Soluzione dell’ indovinello: la penna che scrive s’ un foglio.
La metafora fa parte dell’ enigmistica medioevale e, se
pur d’ origine dotta, venne redatta da un chierico copista in un latino maccheronico con dei volgarismi (se al
posto di sibi, negro invece di nigro, paraba e non parabat, versorio anziché versorium.). Era un ragazzino, e
lasciò il suo scritto sul margine di un vecchio codice liturgico che utilizzava, dopo aver appuntito la penna
d’ oca, per prove di scrittura. E non immaginava di certo che quel suo indovinello buttato giù per divertimento sarebbe diventato così famoso nella storia della letteratura italiana.
L’ indovinello era già allora noto, tanto che il monaco
Radulfus, addetto allo scriptorium di Sant’ Aniano ne
fece cenno in una nota a margine di una pergamena in
un misto di latino e volgare (tradotto in italiano così
dice: Cinque servi aravano, tre lavoravano a fare i solchi.
Alludendo alle cinque dita, con medio, indice e pollice
che impugnano la penna). Lo stesso Radulfus aveva
scritto s’ un’ altra pergamena in un puro latino: “La
scrittura! Che pesante fatica! Spezza la schiena, rovina
gli occhi e frattura le costole.” (783). Ma grazie a gente
come lui si è salvata una piccola parte della memoria
dei nostri antenati.
A poco a poco, tra il secolo VII e quello X, cominciano
a comparire sempre più documenti e testi scritti interamente o parzialmente in volgare. Fra queste testimonianze, l’ iscrizione della catacomba di Commodilla
in Roma (850), un graffito che dice: Non dicere ille secreta a bboce (non dire quei segreti a voce alta). Un in-
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
vito al celebrante a non dire a voce alta le preghiere della sera, chiamate secrete. In latino si dice: ne diceas,
congiuntivo esortativo, non di certo non dicere. Un latino quindi già pronto al volgare italiano.
Il famoso Sao ke kelle terre della Carta di Capua, datato 960 d.C., è riconosciuto, come detto, la data di nascita del volgare italiano.
Con la formula Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki
contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti,
fu risolta nel marzo del 960 una lite tra il Monastero di
Montecassino ed un uomo di nome Aquino. Tre testimoni erano comparsi a Capua davanti al giudice Arechisi, tenendo una carta in cui erano segnati i confini
del luogo discusso e toccandola con l’ altra mano, per
deporre a favore del Monastero. Preoccupazione
dell’ abate era avere una carta notarile in cui si dichiarasse il possesso trentennale di quelle terre. Da notare
che queste poche parole sono state ripetute più e più
volte in un lungo atto notarile, e che tutto il resto è stato scritto in latino. Questo perché l’ Aquino non conosceva il latino, e la parte che più importava doveva essere scritta in una lingua che lui conosceva, tutto il resto non contava. E all’ abate interessava dichiarare in
modo chiaro e inequivocabile che erano trent’ anni che
il Monastero occupava il terreno in questione, e che
quindi l’ Aquino non poteva più reclamarlo.
Questo documento registra dunque l’ atto di nascita
della lingua italiana scritta, pur se in una specie di dialetto. Si nota che il latino quod è mutato in ke (che più
avanti diventerà che) e che il kelle e il ki diventeranno
in seguito i nostri quelle e qui. Resta la stranezza del latinismo del que.
Dopo il 960, la mappa geografica delle testimonianze
comincia a registrare diversi punti nuovi: Formule simili a quelle della Carta Capuana furono trascritte nel
963 a Sessa Aurunca e poi a Teano.
79
lo scaffale
Nota e originale è la Postilla Amiatina, di San Salvatore
di Monte Amiata, vicino a Grosseto, del 1087, in cui si
legge: Ista cartula est de caput coctu. / Ille adiuvet de
ill(u) rebottu / qui mal consiliu li mise in corpu.
Tre endecasillabi misti di latino e di volgare, scritti da
un notaio, dal significato controverso. Si tratta di una
donazione fatta da un certo Ricciarello in favore
dell’ abbazia per evitare guai, e magari sortilegi, che un
mal consiliu di rebottu (un cattivo consiglio di un diavolo) poteva procurare a un certo caput cottu (testa
cotta, probabilmente un soprannome). Altri parlano
di una donazione fittizia, fatta per evitare aggravi fiscali (il mal consiglio sarebbe la frode).
Abbiamo poi l’ Iscrizione di San Clemente, della fine
dell’ anno 1000, un affresco dove due personaggi, Albertello e Gosmario, trascinano una colonna mentre
un terzo, Carboncello, la spinge; Sisinnio, un patrizio
romano, pare li comandi. La scritta dice:
Sisinius: —Fili dele pute, traìte! Gosmarius: —Albertel, trai! Fàlite de reto colo palo, Carvoncelle!
San Clemente: —Duritia cordis vestris, saxa traère
meruistis. 2
L’ affresco ricorda il miracolo di S. Clemente: invece del
santo, viene trascinata e martirizzata una pesante colonna.
Da ricordare anche la Testimonianza di Travale (Grosseto, 6 luglio 1158), un documento giudiziario, scritto
in latino maccheronico, con l’ accorato appello di tal
Malfredo, in cui appare la seguente frase: Guaita,
guaita male, non mangia ma mezzo pane (Guardia,
fa la guardia male! Io non mangiai mai mezzo pane).
Pare che Malfredo abbia espresso il proprio disagio a
fare il servizio militare di guardia, data la sua estrema
indigenza, e con tale documento lo si sia dispensato
dal farlo.
2 - Sisinnio: —Figli di puttana, trascinatelo qui !
Gosmario: —Alberello, tira! Dagli dietro con il palo, Carboncello!
San Clemente: —Per la durezza del vostro cuore avete meritato di trasportare un
sasso.
80
Interessanti alcune testimonianze che ci provengono
in forma poetica, il che ci fa capire l’ importanza che allora si dava a questa forma di scrittura. Fra gli autori,
dei menestrelli o dei giullari di cui non si sa neppure il
nome.
Abbiamo i Ritmi bellunesi del 1193, quattro versi che
trattano della vittoria di Belluno e Feltre contro Treviso. La metrica, perfetta, fa pensare che forse sono solo
l’ inizio di un poemetto andato perso.
De Castel d’ Ard avi li nostri bona part. / I lo geta tutto intro lo flumo d’ Ard. / E sex cavaler de Tarvis li plui
fer / con se duse li nostre cavaler.3
Più noto il Ritmo Laurenziano (1157), il primo testo poetico “che mostri intenzioni in largo senso letterario”
(Franco Contini), con il quale un giullare in 20 versi
tesse le lodi di più vescovi per ottenerne doni, fra cui
un cavallo. Sono versi ottonari monorime doppi, con
dei gallicismi che dimostrano la cultura del giullare.
Salva lo vescovo senato – lo mellior c’ umque sia nato
(….) – ora fue sagrato – tutt’ allumma ‘ l cericato…
Ossia: (Dio) salvi il vescovo saggio - il migliore che sia
mai nato; - (che dall’ ) ora in cui fu consacrato - illumina
tutto il clero.
Senato (assennato) e alluma sono francesismi (sené e
allumer).
Interessante anche il Ritmo Cassinese (inizio 1100), altro testo giullaresco, di 90 versi, di ambiente monastico. Si tratta di un dialogo tra un monaco occidentale,
alquanto dedito ai piaceri mondani, pur se leciti, ed
uno orientale, più ligio ai doveri dello spirito. Altri vi
vedono invece un contrasto tra questa nostra vita materiale e quella dell’ aldilà, un dialogo tra un vivo e un
morto.
Eo, sinjuri, s’ eo fabello, / lo bostru audire compello; /
de quista bita interpello / e ddell’ altra bene spello…
(Signori, io, se parlo, / sollecito la vostra attenzione; / vi
3 - Di Castel d’ Ardo ebbero i nostri buon partito. / Essi gettarono tutto entro il fiume d’ Ardo / E sei cavalieri di Treviso, i più fieri, /con loro condussero i nostri cavalieri.
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
lo scaffale
parlo di questa vita / e cerco di spiegare bene anche l’ altra…)
La lingua è quella della zona di Montecassino (la v che
diventa b, la u finale, la au usata come u, e latinismi
quali compello e interpello).
Abbiamo anche, tra i Ritmi, il Ritmo su Sant’ Alessio (fine 1100), anch’ esso di carattere religioso, dell’ Abbazia
di Santa Vittoria in Matenano, nelle Marche, ma conservato nella Biblioteca Comunale di Ascoli Piceno).
Vi si narra la vita di Alessio, santo girovago caro al Medioevo (circolavano anche testi in francese in cui si
narrava che Pietro Valdo si convertì nel 1173 sentendo
recitare in una piazza di Lione la vita di Alessio). Ci resta un frammento di 257 versi in ottonari e novenari
monorime.
Dolce, nova consonanza, / facta l’ aio per maestranza; / ed ore odite certanza / de qual mo mostre semblanza / per memoria retenanza…
(Dolce e nuova poesia / io l’ ho fatta per maestria; / ed
ora ascoltate una cosa certa, / di cui io vi mostro l’ immagine / per tenerla bene in mente…)
Di questo documento si è scritto che appartiene ad un
dialetto della parte orientale dell’ Italia Centrale, con
quel pronome pleonastico aio al posto di io e il bl di
sembianza.
Abbiamo già accennato all’ Elegia giudeo-italiana (fine
1100 - inizio 1200), nota come Le ienti de Sion.
Un frammento in terzine monorime di versi di natura
non ben definita e conservato in un codice trecentesco
del tempio israelitico di Ferrara (e una copia si trova a
Parma), in caratteri ebraici. L’ elegia fu scritta per il digiuno del mese di Ab, e si lamenta la distruzione e la
disperazione del popolo ebraico.
Le jenti de Siòn piange e lutta; / dice: “Taupina, male
so’ condotta / em manu de lo nemicu ke m’ ào strutta.
(La gente di Sion piange ed è in lutto; / dice: Ahimè, male
sono finita / nelle mani del nemico che mi ha distrutta.)
È la storia di due giovani fratelli, nobili e ricchi finiti in
schiavitù, e si prega Dio perché guardi con occhio benevolo il suo popolo, riconducendo tutti. leviti e sacerdoti e tutta ienti / entro Siòn, benedicendo / il Tuo
santo nome. Da notare il francesismo tuta jenti nonché il plange, con la elle al posto della i , che si ritrova
anche nel flumo dei Ritmi bellunesi , nella semblanza
del S. Alessio, ecc.
Per terminare, il frammento in volgare del Lamento
della Vergine Maria della Passione Cassinese (verso la
fine del 1100), facente parte di una rappresentazione
scenica in latino, un dramma di 317 versi .
…Te portai nillu meu ventre, / quando te beio moro
presente, / nillu teu regnu agime a mmente…
(Ti portai nel mio ventre, / se ti vedo, muoio subito, / nel
tuo regno ricordati di me).
Questo dramma deve essere considerato il più antico
testo teatrale in Italia, e forse il più antico della Chiesa
d’ Occidente.
Alcune opere di riferimento per chi volesse approfondire
Luca Serianni, Italiano comune e lingua letteraria, UTET,
1988
Adam Ferguson, Saggio sulla storia della nostra civiltà civile,
Zanichelli, 1988
Gerhard Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana,
Einaudi, 1969
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
Giuliano Bonfante, Latini e Germanici in Italia, Paideia, 1968
Giacomo Devoto, Avviamento alla etimologia italiana,
Mondadori, 1995
Massimo Montanari, Storia medioevale, Laterza, 2009
Fedriga e Puggioni, Logica e linguaggio del Medioevo, LED
edizioni universitarie, Milano, 1993
81
1
E
*
a cura di Francesca Garello
Q
uesto numero del
Furore si apre con
un articolo dedicato al genere letterario
dei cosiddetti libri-gioco.
Abbiamo pensato quindi
che sarebbe stato un appropriato pendant dedicare questa rubrica ai “libri-giocattolo”. Il due termini sono simili, ma
identificano cose diverse.
La prima prevede un’attività ludica veicolata
esclusivamente attraverso il testo, la seconda
vuole il libro come oggetto di gioco, pur non
escludendo l’importanza
del testo.
In italiano in realtà questo termine non viene
molto utilizzato. Chiedere in una libreria un “libro-giocattolo” fa emergere libri di peluche
per lattanti, pupazzetti di varie forme (pompieri, cavalieri, poliziotti
ecc) che aprendosi rivelano un paio
di pagine con qualche filastrocca,
addirittura qualcuno montato su
ruote o con le ali a seconda del sog-
getto. Non veri libri ma
giocattoli.
Il termine inglese “popup” invece, benché non
troppo preciso (vuol dire
genericamente
“saltar
fuori” e come tale è usato
anche per le finestre a
comparsa dei siti web),
schiude una miriade di
pubblicazioni per l’infanzia, alcune veramente
meravigliose: non posso
scordarmi la prima volta
che ho sfogliato una versione delle opere di Leonardo da Vinci in formato pop-up da cui spuntavano in completa tridimensionalità e mobilità
le macchine, i ponti, insomma le opere più famose dell’artista. Troppo
bella per regalarla a un bambino!
In realtà i libri tridimensionali o
animati, per usare termini non
troppo legati al mondo infantile,
* orizzontali 1 - Tra libro e gioco
Francesca Garello
Quando il libro è un giocattolo
82
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
Tra libro e gioco
hanno un’origine intellettuale e nascono per una ristretta cerchia di
studiosi. Ma dobbiamo fare un passo indietro.
In principio fu il volvelle
numerosissime combinazioni di
idee dottrinali o qualità divine che
rimandavano a concetti espressi
nell’opera e basati sulla dottrina cristiana. Per tali meccanismi, il catalano venne considerato dai primi
Il termine è sconosciuto
alla maggior parte di noi,
eppure tutti ne abbiamo
almeno uno: il disco orario. Un volvelle, infatti, è
genericamente un disco
mobile che, ruotato in
questa o quella posizione,
aiuta a combinare dati.
Il primo volvelle compare
nel mondo occidentale in
un’opera filosofico-religiosa, la Ars generalis ultima, o Ars Magna, pubblicata nel 1305 da Raimondo Lullo (latinizzazione
di Ramon Llull), eclettico
filosofo, poeta e mistico
catalano. Convinto che
fosse possibile portare alla conversione musulmani ed ebrei attraverso la
pura logica (invece che
con spade o roghi, come usava tra i
suoi contemporanei), Lullo aveva
sviluppato un sistema basato su
combinazioni di attributi divini
“innegabili” (bontà, grandezza,
eternità, potere, saggezza, volontà,
virtù, verità e gloria), sui quali anche ebrei e musulmani non avrebbero potuto che convenire condividendo simili idee di divinità. L’opera conteneva dei dischi di carta che
potevano essere ruotati generando
informatici come il precursore dei
loro studi, essendo in qualche modo l’inventore di un sistema di logica combinatoria. Probabilmente
però Lullo non inventò i dischi ma
si ispirò a simili dispositivi di origine persiana, detti zairja, con i quali
venne forse in contatto attraverso
opere di astrologi arabi.
I dischi di Lullo si prestavano molto
ad opere astronomiche o matematiche. L’ edizione veneziana (1482) del
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
Kalendarium di Regiomontano (Johannes Müller da Könisberg), usa
diversi volvelles per illustrare le fasi
lunari; l’Astronomicun Caesareum
di Pietro Apiano (Peter Apian), dedicato nel 1540 dal matematico e
astronomo tedesco all’
imperatore Carlo V si
avvale di ben 18 complessi volvelles dipinti a
mano per illustrare l’uso
dell’astrolabio. Essendo
un’opera concepita per
un sovrano l’Astronomicum è splendido anche
dal punto di vista artistico: su Internet sono accessibili riproduzioni ad
alta definizione degli
esemplari della Bodleian
Library di Oxford
(http://www.rarebookroom.org/Control/
appast/index.html)
e
della Biblioteca nazionale Braidense di Milano
(http://www.atlascoelestis.com/ApianusPaginabase1.htm).
Nei libri scientifici troviamo anche
anticipazioni di molti altri sistemi
in seguito utilizzati nei libri-giocattolo. Nel De Humani Corporis Fabrica Librorum Epitome di Andrea
Vesalio (Basilea, 1543) il corpo umano è mostrato in successioni di
“strati” (pelle, muscoli, sistema circolatorio, scheletro ecc) con un sistema simile a quello del “lift-theflap”; la prima traduzione inglese di
Euclide (Londra, 1570) contiene
83
Tra libro e gioco
diagrammi tridimensionali relativi
alla geometria solida, una sorta di
pop-up da aprire manualmente.
Ma con questi libri non si giocava.
Il libro era un oggetto troppo costoso per destinarlo ad attività frivole,
men che meno ai bambini. È solo
nel XVIII secolo, con carta e stampa di produzione industriale, che si
comincia a pensare di produrre libri per bambini.
Nasce il libro-giocattolo
La storia del libro-giocattolo inizia
in Inghilterra. A partire dal 1765 lo
stampatore e libraio londinese Robert Sayer produce una serie di libri
“lift-the-flap”, gli Harlequinades.
Ogni “libro” in realtà è composto
soltanto da due scene sovrapposte,
simili come impostazione ma con
buffe varianti: quella superiore è
suddivisa in quattro alette di carta
(flaps) che alzate o abbassate rivelano o nascondono parte della scena
sottostante. Agendo sulle alette si
producono divertenti modifiche al
tema principale. I libri hanno grande successo tra i bambini delle classi elevate e ne vengono prodotti
moltissimi che, dal tema principale
di Arlecchino, si allargano ai vari
soggetti amati dai bambini: pirati,
avventure eccetera. Con lo stesso
sistema del lift-the-flap nel 1820
inizia la produzione di un soggetto
che diverrà molto caro a tante generazioni di bambine, quello
dell’abbigliamento. Il pittore William Grimaldi prepara per la figlia
una serie di tavole comprendenti
84
diversi elementi di abbigliamento
che possono essere combinati per
vestire una figura femminile. Pubblicato nel 1821 con il titolo The Toilet, il libro viene dotato di un corrispettivo maschile nel 1823, Suit of
Armour for Youth, incentrato su un
giovane cavaliere e i vari elementi
della sua armatura.
Si tratta di una produzione molto ristretta e certamente dedicata a un
mercato d’elite. Essendo destinate ai
bambini le figurazioni vengono dipinte a mano dopo la stampa. Le
parti mobili, inoltre, sono tagliate
una per una, e con lo stesso sistema
si procede all’incollaggio. Nonostante ciò il libro-giocattolo diventa sempre più popolare e il movimento delle varie parti sempre più sofisticato.
Evoluzione della specie
A partire dal 1880 l’artista tedesco
Lothar Meggendorfer introduce
nei libri-giocattolo un cambiamento rivoluzionario. Con un sistema
di linguette stacca le immagini dal
fondo, conferendo tridimensionalità alle scene (tecnica detta “scenic
book”) e utilizza rivetti per connettere alcune parti mobili. Questo accorgimento espone il meccanismo
al danneggiamento (il metallo consuma la carta e la strappa), ma consente maggiore varietà di movimenti sfruttando un sistema simile
a quello degli ingranaggi creando
fino a 6 movimenti simultanei in
varie parti della scena, alcuni anche
in direzioni opposte, mentre fino a
quel momento al massimo si arri-
vava a due. Inizialmente anche
Meggendorfer colora a mano, ma
presto passa alla cromolitografia.
Questo velocizza la produzione ma
non abbassa tanto il costo ed il
prezzo di ogni libro si mantiene sui
6 marchi, una bella cifra per l’epoca.
I libri di Meggendorfer, pubblicati
in Germania da Braun & Schneider
di Monaco, furono editi in italiano
da Hoepli, anche se in numero molto minore di quelli tedeschi.
L’Inghilterra è anche il primo paese
in cui i libri-giocattolo diventano
finalmente accessibili al vasto pubblico. Nel 1929 Louis Giraud e Theodore Brown lanciano la collana Bookano del Daily Express, che prosegue fino al 1949. Sono i primi libri
completamente tridimensionali,
con figurazioni mobili visibili efficacemente da ogni lato (“standups”): non a caso la parola Bookano
abbina “book” e “meccano”. Non
sono libri costosi: gli editori utilizzano carta spessa anzichè cartoncino, la stampa cromolitografica è
grossolana e le rilegature di qualità
piuttosto bassa. Le parti mobili sono tagliate da macchine fustellatrici, ma l’assemblaggio è ancora a
mano. Giraud però porta di persona i pezzi già tagliati a una serie di
lavoranti che li montano a casa e
costano quindi assai poco, poi ritira
le scene già montate e pronte da inserire in fase di allestimento. Inoltre, i pop-up sono ridotti a uno o
due, solitamente le ultime pagine
del libro in modo da costituire il
colpo di scena finale, e il testo è più
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
Tra libro e gioco
preponderante nell’opera rispetto
alla parte mobile.
Tra pop-up e pop art
A questo punto il libro-giocattolo
approda in America, dove assume il
nome con cui attualmente lo conosciamo, “pop-up”. Nel 1930 la casa
editrice Blue Ribbon dà inizio alla
collana Blue Ribbon Pleasure Books,
disegnata da Harold Lenz. Non è un
buon momento: la depressione ha
colpito gli Stati Uniti, non ci sono
molti soldi da spendere per i bambini. Lenz non si scoraggia e decide di
andare sul sicuro: le fiabe di Mamma Oca, Cenerentola, l’Orfanella
Annie, addirittura Pinocchio e per-
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
sonaggi Disney. Anche dal punto di
vista tecnico non rischia: praticamente copia il sistema Bookano senza tanto curarsi dei brevetti. Le due
collane in effetti si assomigliano in
modo impressionante. Nonostante
ciò, o forse proprio per questo, i libri
Blue Ribbon diventano un elemento
immancabile nella stanza dei giochi
dei bambini americani.
La strada è ormai tracciata e i popup cominciano a diventare interessanti anche per gli adulti. A Praga,
nei tardi anni ’40, l’architetto
Vojtěch Kubašta rimane affascinato
dalle possibilità artistiche e tecniche offerte dall’ingegneria cartotecnica. Negli anni ’50 progetta car-
toncini pubblicitari in 3-D per reclamizzare all’estero prodotti cecoslovacchi come macchine da cucire,
occhiali da sole, la birra Pilsner. Nel
1956 dà alle stampe il suo primo
pop-up, Cappuccetto Rosso, con la
casa editrice ARTIA di Praga. Seguiranno molti altri, tutti con la tecnica
dei “multiple layers” che moltiplica i
piani di ogni scena in modo da
renderla ricca e vivace. Usa soggetti originali, e diventano presto famosi i due bambini Tip e Top e i
piccoli indigeni Moko e Koko. L’aspetto grafico delle illustrazioni è
moderno e dinamico, influenzato
dalla cultura pop e piace molto anche all’estero: i libri di Kubašta
85
Tra libro e gioco
hanno venduto 35 milioni di copie in 24 lingue diverse.
Anche l’Italia contribuisce al progresso del pop-up.
Nel 1977 Mondadori illustra alcuni fumetti Disney
inventando il “bilibro”, un libro tridimensionale che
contiene due storie in contemporanea. La prima si
legge aprendo la copertina al modo consueto e procedendo verso la fine; arrivati all’ultima pagina si può
ruotare il libro di 180° e ricominciare in senso opposto, leggendo un’altra storia. Entrambe sono illustrate
con pop-up del tipo “v-fold” (chiusi sono piegati a
metà a formare una “v”); la particolarità è che essi sono sempre contemporaneamente fruibili sicchè,
quando è aperta una certa scena, se si ruota il libro
aperto di 180° si trova dall’altra parte una scena relativa all’altra storia, perfettamente visibile.
Piccoli pop-up crescono
Dagli anni ’80 in poi il libro pop-up ha la sua definitiva
consacrazione. Tra gli anni ‘80 e ‘90 sono stati prodotti
nel mondo 25 milioni di libri tridimensionali. La semplificazione nella produzione rende possibile sfruttare
tutte le tecniche di ingegneria cartotecnica nello stesso
libro, con effetti sempre più sofisticati. La stampa a colori, nel frattempo, è sempre più economica. L’assemblaggio avviene ancora a mano, ma viene affidato a
86
manodopera a basso prezzo in paesi emergenti: l’America latina per gli editori americani, l’Asia per gli editori europei.
Il libro pop-up diventa grande, non solo in termini di
diffusione numerica. Il merito della sue diffusione,
infatti, non va soltanto al miglioramento tecnologico
nella produzione, ma anche nell’ampliamento ad un
pubblico non solo infantile. Questo si deve soprattutto a Waldo H. Hunt, fondatore dell’azienda di servizi
editoriali americana Intervisual Communications.
Hunt ha prodotto libri tridimensionali (non si possono definire libri-giocattolo, stavolta) su qualunque
argomento, dai film di cassetta (soprattutto Disney,
ma anche Guerre Stellari e Harry Potter) ai dinosauri,
dall’anatomia umana alla pop art: c’è persino un libro
su Andy Warhol con la celebre scatola di zuppa
Campbell in 3D.
L’unico tema tralasciato da Hunt è il sesso, lacuna
presto colmata da altri. La casa editrice Harper Collins nel 2006 ha realizzato l’istruttivo The Pop-Up Book of Sex, che illustra con figure tridimensionali e dinamiche le dieci migliori posizioni per... be’, avete capito.
E con questo il pop-up diventa roba da grandi.❧
Francesca Garello
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
Galeotto fu il libro
a cura di Bruno Zaffoni
“L’amor che move il sole e l’altre stelle“
così termina il Paradiso di Dante Alighieri. Torquato Tasso (1544-1595)
nel suo poemetto lirico “Aminta“
tesse una sorta di commedia pastorale o “fiaba boschereccia” in madrigali dove tutto è imperniato sulla potenza e magnificenza dell’Amore. Il
Poemetto si apre con un Prologo di
Amore in abito pastorale e il tema del
libro è l’amore del pastorello Aminta
per la ninfa Silvia. Amore contrastato sia per il lungo disdegno di Silvia
sia per l’intervento di un satiro, pure
innamorato della ninfa. Aminta è
un’azione fuori del teatro, narrata da
testimoni o da partecipi con le impressioni e le passioni in loro suscitate. È presente l’intreccio amore, vita e
morte. Il poemetto ha come sfondo
la fastosa corte dei d’Este di Ferrara.
Il motivo è lirico, sviluppo raffinatissimo di motivi idillici in un ritmo
quasi musicale. Trionfa l’amore, dopo vicende intricate e il Coro celebra
l’unione amorosa di Aminta e Silvia:
“ Non so se il molto amaro
Che provato ha costui servendo, amando,
piangendo e disperando,
raddolcito puot’esser pienamente
d’alcun dolce presente;
ma, se più caro viene
e più si gusta dopo
‘l male il bene,
io non ti cheggio, Amore
questa beatitudine maggiore;
bea pur gli altri in tal guisa…
Tipico del poemetto e del Tasso è la
massima: “S’ei piace, ei lice”. Si intravvedono reminescenze di Ovidio, Catullo, Virgilio, Poliziano, Dante e Petrarca. Malgrado abbia letto l’Aminta
in età giovanile, solo nella maturità le
ho riconosciuto un valore fondamentale: l’Amore non solo del Divino ma
anche tra umani è conforto , consolazione, motivo di entusiasmo nella
mia vita. Anche l’amicizia così ben
delineata per Silvia da parte di Dafne
e di Tirsi per Aminta è un valore nella
mia vita insostituibile. Le Bucoliche
di Virgilio e le Stanze di Poliziano
hanno, a mio parere, delle affinità con
Aminta. Il tema agreste, il primo, l’idillico della natura e il tema dell’amore il secondo. Le avversità, incontrate
da Aminta e Silvia, sono tipiche della
vita di ognuno e pure nella mia vita
difficoltà e amarezze hanno preceduto l’incoronamento dell’amore, il dispiegarsi di amicizie. Anche I promessi sposi del Manzoni sviluppano seppur in chiave cristiana e provvidenziale e in prosa il tema dell’amore
contrastato. La forza di Aminta è anche nella dolcezza e raffinatezza della
stesura in madrigali, dopo la sua lettura e rilettura, l’amore per mio marito mi pare circonfuso di un alone di
maggior dolcezza e purezza.
“S’ei piace, ei lice”
Questo verso, ripetuto nel testo
dell’Aminta mi richiama le teorie filosofiche sul desiderio, su ciò che
piace e dovrebbe essere realizzato di
Deleuze, Guattari. Questi filosofi
francesi hanno sviluppato il pensiero
che ciò che piace è lecito, il desiderio
necessita una risposta. Anche in questo Aminta mi pare un poemetto
moderno nella linea del pensiero. A
mio parere, però, il desiderio deve
incontrare dei limiti, non tutto ciò
che piace è lecito.❧
“S’ei piace, ei lice”
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
Antonella Dorigotti
Antonella Dorigotti
87
Topi di biblioteca
a cura di Rossella Saltini
“L
e ore del mattino han
l’oro in bocca”.
Sarà, in fondo ogni
proverbio porta con sé un fondo di
verità. E arrivare in biblioteca alle 9
del mattino non fa che confermarlo.
Se da un lato gli ospiti della sala di
lettura languono, dall’altro gli appassionati dei quotidiani fremono.
A quest’ora del giorno la sala che
ospita periodici, riviste e giornali è
già in fermento.
Le colonne, che dietro una lastra
di plexiglas mostrano la prima pagina dei quotidiani, sono prese
d’assalto da una schiera di utenti:
uomini di mezza età, capelli grigi,
radi sulle tempie e sulla fronte, occhiali da presbite scivolati sul naso.
Gli sguardi dei più sono puntati
sui quotidiani locali e allora decido di avvicinarmi per indagare su
questa categoria di topi di biblioteca.
Lo adocchio subito il topo ideale:
tuta da ginnastica, scarpe sportive,
fermo davanti all’espositore sbuffa
come una locomotiva. “Adesso
chissà quanto mi tocca aspettare”,
borbotta.
Sconsolato afferra “Il Resto del
Carlino” e “La Nazione” e si dirige
verso una poltroncina. Non gli
concedo neppure il tempo di leggere la prima pagina, butto lì una
domanda e avvio la conversazione.
— Non le piacciono questi giornali? — chiedo, ostentando interesse.
Il topo mi lancia uno sguardo a
metà strada tra il diffidente e il seccato. Forse devo correggere il tiro.
— Volevo dire, non li legge volentieri? Sono due testate storiche.”
— Sì, sì.— balbetta.
Si gratta la testa e mi spiega.
— È solo che…cosa vuole che le
dica? Di solito inizio la mia giornata con gli articoli dei quotidiani
locali. È una sorta di rito.
Prosegue affermando che “il rito” è
cominciato quando l’ingranaggio
lavorativo del quale faceva parte si
è inceppato.
— Dalla sera alla mattina mi hanno messo in mobilità: 35 anni di
onorato servizio, una settimana di
malattia in tutto, forse. Poi tutti a
casa con la scusa della crisi.”
Un duro colpo per lui. Giornate da
reinventare, ore vuote da riempire.
— In biblioteca sono entrato per
caso – confessa – all’inizio mi sembrava un santuario, sa com’ è? abituato ai rumori della fabbrica…
E candidamente dichiara che da
quel santuario sarebbe anche uscito se non avesse scorto un ex-collega chino sulle pagine di un quotidiano.
Fino a quel momento per lui l’informazione passava soltanto attraverso il mezzobusto dei giornalisti
del TG. Assaggi di realtà deglutiti
distrattamente assieme alla cena in
famiglia, finestre sul mondo chiuse fra uno sbadiglio e l’altro prima
di andare a dormire.
Poi la magia della carta stampata,
l’odore inconfondibile dell’inchiostro, le notizie che non fuggono
veloci sulle ali di una voce.
— Quando sfogliavo un quotidiano, le prime volte mi soffermavo
Rossella Saltini
Le ore del mattino...
88
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
topi di biblioteca
sui titoli degli articoli, non riuscivo a concentrarmi sulle parole.
Leggevo qualcosa una pagina qua
e una pagina là, eppure finito un
giornale ne prendevo un altro e
poi un altro ancora.”
Dice che dopo qualche settimana di
allenamento era in grado di leggere
un quotidiano dalla prima all’ultima pagina; qualche mese dopo, invece, ha cominciato a formarsi uno
spirito critico sulle varie testate.
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
— Sentivo di essere tornato in fabbrica: durante le riunioni sindacali
ogni organizzazione diceva la sua.
Chi stava di più dalla parte dei padroni, chi meno. E lo stesso ho ritrovato su quelle pagine. Chi criticava il Governo e le sue scelte, chi
lo osannava.”
Penso che il topo avrebbe ancora
molto altro da dirmi, ma il suo
sguardo si fa inquieto.
Molla lì “Il Resto del Carlino” e “la
Nazione” e si congeda allungandomi una mano.
— Scusi, adesso la saluto. I quotidiani si sono liberati– si giustifica.
—Mi trova qui tutti i giorni, alle
nove in punto – aggiunge prima di
allontanarsi.
Lascio il topo da quotidiano al suo
rito e, anche questa volta, me ne
vado soddisfatta.❧
Rossella Saltini
89
Biblioteca mon amour
Questa rubrica è a disposizione della Biblioteca civica «G.Tartarotti» di Rovereto
Al momento di andare in stampa con la Rivista ci giunge improvvisa la comunicazione della scomparsa di Giovanni Caliò, giovane archivista impiegato presso la nostra Biblioteca Civica. La notizia ci lascia sgomenti: la malattia
non gli ha dato scampo. Il lutto della Biblioteca è doppiamente grande: sono passati solo pochi giorni dalla perdita
improvvisa di Stefano Piffer, altro noto archivista della “Girolamo Tartarotti”.
Anche Il Furore dei Libri è in lutto: ci sono venuti a mancare due preziosissimi collaboratori che al bisogno hanno
aiutato la nostra Associazione con la loro competenza e disponibilità, sempre sottolineata dall’inconfondibile sorriso, timido l’uno, aperto l’altro. La perdita di Giovanni ci ha colpiti due volte perché figlio della nostra socia Maria Cristina. Alle due famiglie vada il nostro commosso pensiero. Ciao Stefano. Ciao Giovanni!❧
MariaLuisa Mora
Presidente de Il Furore dei Libri
Stefano Piffer (1957-2011) e Giovanni Caliò (19802011) sono due archivisti che hanno lavorato presso la
Biblioteca Civica – Archivi storici di Rovereto. Nonostante la loro giovane età, appartengono a due generazioni diverse: Stefano ha iniziato a lavorare quando
l’impiego dei computer negli archivi era solo una prospettiva; per Giovanni, invece, il computer era non
solo uno strumento normale di lavoro, ma anche il
mezzo per inserirsi in un circuito professionale e culturale molto più ampio.
Nella loro esperienza umana hanno intrapreso percorsi formativi e di lavoro diversi, ma alla fine si sono
ritrovati a lavorare nello stesso istituto, arricchendolo
con la loro personalità, professionalità ed entusiasmo.
Li accomunava il rispetto per il lavoro e per quelle
tracce di umanità che riuscivano a ritrovare e a riannodare attraverso le carte che quotidianamente rior-
dinavano, inventariavano e descrivevano in inventari
che oggi sono le chiavi di accesso ai numerosi archivi
da loro riordinati.
Comune era anche il desiderio di porsi al servizio dei
ricercatori o dei semplici curiosi delle “cose d’archivio” senza nessuna ritrosia o gelosia, ma con la consapevolezza della forza della loro professionalità basata
sul rigore etico con il quale si relazionavano con gli
utenti e sul metodo utilizzato nel lavoro, arricchita altresì - grazie anche alle loro doti personali - dall’umanità che sapevano cogliere in ogni documento.
Stefano Piffer si è diplomato al Liceo classico Prati
di Trento e ha conseguito la laurea in Filosofia presso
l’Università di Padova con il massimo dei voti e la lode.
Dal 1986 lavorava presso la Biblioteca Civica e il suo
lavoro si è intrecciato con la storia recente dell’istituGianmario Baldi
Stefano Piffer - Giovanni Caliò
90
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
biblioteca mon amour
zione roveretana. A metà degli anni Ottanta la Biblioteca che il lavoro fisico svolto con spirito di servizio negli
si trova a riorganizzare i propri servizi e, grazie a Stefano, innumerevoli trasferimenti e traslochi degli archivi.
riesce a dare particolare spazio all’Archivio comunale, il I suoi interessi culturali, nonché le numerose ricerche
più vasto (ca. 7 km di documenti) e importante archivio storiche, sono raccolti in circa cinquanta pubblicazioni.
che racconta la storia della nostra città ad iniziare dal
sec. XV. Il lavoro svolto impone di trovare una sede per Giovanni Caliò ha condotto gli studi classici presso il
queste carte che vengoLiceo Rosmini di Roveno dapprima depositareto, poi l’Università a
te presso il Palazzo
Ravenna dove si è lauredell’Istruzione (nel piaato con una tesi in arno interrato e al primo
cheologia sulla Magna
piano del lato Nord).
Grecia. Proprio la ricerAnni impegnativi e difca per la tesi gli ha conficili che hanno persentito di studiare i promesso di dare una
fondi legami che interstruttura e un corpo a
corrono tra la Sicilia,
questo immenso giaciterra d’origine, e Rovemento. L’apertura della
reto, città dove è crenuova sede nel Polo
sciuto e si è formato.
culturale e museale e i
Durante l’esperienza del
lavori di restauro di PaServizio Civile presso la
lazzo Annona hanno
Biblioteca “Tartarotti”
comportato l’indispoha scoperto la passione
nibilità temporanea di
per i documenti d’arconsultare alcuni archichivio e ha affinato le
vi e sezioni dell’Archidoti di studioso, frevio comunale trasferiti
quentando la Scuola di
provvisoriamente in
archivistica, paleografia
nuovi depositi posti
e diplomatica a Bolzaall’esterno dell’edificio
no, dove si è diplomato
della Biblioteca.
con successo. Giovanni
La cartolina del Furore emessa in occasione della conversazione bibliofila
Recentemente questi
è cresciuto professiotenuta da Stefano Piffer per I Mercoledì del Furore nell’ ottobre 2006.
documenti hanno tronalmente come archivivato collocazione desta riordinando e infinitiva nel nuovo magazzino realizzato dall’Ammini- ventariando fondi di persone – le carte di Renato Dionistrazione comunale presso l’ex-Aticarta e l’ultima sua si, Mario Untersteiner, Riccardo Maroni ... –, ma anche
fatica consisteva proprio nel dare nuovamente voce a fondi di natura economica come quello della Manifattuqueste carte che per troppo tempo erano rimaste cela- ra Tabacchi di Rovereto e vari progetti seguiti a Padova,
te in casse.
Bolzano e Trento.❧
Del suo lavoro oggi rimangono gli inventari, gli elenchi, gli opuscoli realizzati con e per le scuole, ma anDirettore della Biblioteca Civica - Archivi storici di Rovereto
Gianmario Baldi
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
91
biblioteca mon amour
Notitia librorum est dimidium studiorum.
La conoscenza dei libri dimezza gli studi.
N
ella mirabile
Biblioteca Civica “Girolamo Tartarotti” in
Rovereto, stante il
CBT1, vi sono 29 edizioni del De Imitatione Christi delle
355, in più esemplari,
che compaiono nel
catalogo trentino.
Tra quelle roveretane vi è la seconda
per data di stampa:
Incipit liber primis
Joannis Gerson Cangellarij parisienses
De imitatione Christi
[et] de co[n]te[m]ptu
o[mn]iu[m] vanitatum mundi
Liber Primus
Admonitiones ad Vitam spiritualem
utiles
cap. i
De imitatione Christi et contemptu mundi
omniumque eius vanitatum.
1. Qui sequitur me non ambulat in tenebris dicit Dominus. Hæc sunt verba Christi, quibus admonemur quatenus vitam eius et mores imitemur, si volumus veraciter illuminari, et ab omni cæcitate cordis liberari.
Summum igitur studium nostrum, sit in vita Jesu meditari.
2. Doctrina Ejus omnes doctrinas Sanctorum præcellit, et qui spiritum haberet absconditum ibi manna inveniret. Sed contingit quod multi ex frequenti auditu
Evangelii parvum desiderium sentiunt, quia spiritum
Chrisi non habent. Qui autem vult plene et sapide verba Christi intelligere, oportet ut totam vitam suam illi
studeat conformare.
3. Quid prodest tibi alta de Trinitate disputare, si care-
Venetijs:per Bernardinu[m]
as humilitate unde displiceas Trinitati? Vere alta ver-
benaliu[m], 1486
ba non faciunt sanctum et justum, sed virtuosa vita
Venezia: Benali, Bernardi-
efficit Deo carum. Opto magis sentire compunctionem
no:[50]c.; 4°(21 cm)
quam scire definitionem. Si scires totam Bibliam, et
omnium philosophorum dicta quid totum prodesset, si-
1 - Catalogo Bibliografico
Trentino
ne charitate et gratia? Vanitas vanitatum et omnia
•
Gli altri incunaboli
trentini di quest’ opera
si trovano a Trento alla Biblioteca Capitolare con data [1483], alla
Biblioteca Diocesana Tridentina [1491]
e alla Biblioteca della Soprintendenza
Beni Librari della
Provincia Autonoma
di Trento nel Fondo
Thun con data 1491.
P
er poter
parlare
dell’ Imitazione, occorre armarsi di grande
prudenza e della
necessaria delicatezza in quanto
equivale affrontare
il libro che ha costituito per secoli un
preciso punto di riferimento per la
spiritualità cristia-
Giuseppe Maria Gottardi
I tesori della Biblioteca civica III
92
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
biblioteca mon amour
na. Esso si può benissimo considerare
“il libro più letto dopo il Vangelo, meditato nei monasteri,
letto nella vita religiosa e sacerdotale,
tenuto come manuale di formazione
cristiana robusta per
tante generazioni di
laici, di cristiani nel
Imitamondo”2. L’ zione di Cristo, costituisce un semplice e concreto tracciato di vita ascetica. La tensione spirituale che lo anima, ne fa un testo
fondamentale nel
tracciare una via alla ricerca di Dio,
all’ abbandono
dell’ uomo vecchio
per costruire l’ uomo nuovo, per radicare interiormente
una profonda spiritualità personale.
C
•
vanitas præter amare Deum et illi soli fervire. Ista est
summa sapientia per contemptum mundi tendere ad
regna cælestia.
4. Vanitas igitur est divitias perituras quærere, et in
illis sperare. Vanitas quoque est honores ambire, et in
altum se extollere. Vanitas est carnis disideria sequi,
et illud desiderare unde postmodum graviter oportet
puniri. Vanitas est longam vitam optare, et de bona
vita modicum curare. Vanitas est præsentem vitam
solum attendere, et quæ futura sunt non prævidere.
Vanitas est diligere quod cum omni celeritate transit,
et illuc non festinare ubi sempiternum manet gaudium.
5. Stude ergo cor tuum ab amore visibilium abstrahere, et ad invisiblia te transferre. Nam sequentes suam
sensualitatem maculant conscientiam, et perdunt Dei
gratiam.
L’imitazione di Cristo e il disprezzo
di tutte le vanità del mondo
1.
“Chi segue me non cammina nelle tenebre” (Gv 8,12),
dice il Signore. Sono parole di Cristo, le quali ci esortano ad
imitare la sua vita e la sua condotta, se vogliamo essere veramente illuminati e liberati da ogni cecità interiore. Dunque, la nostra massima preoccupazione sia quella di meditare sulla vita di Gesù Cristo. Già l’insegnamento di Cristo è
eccellente, e supera quello di tutti i santi; e chi fosse forte
nello spirito vi troverebbe una manna nascosta. Ma accade
on questa
precisa attenzione ci siamo addentrati nel
mistero di quest’ opera raccogliendo una
grande messe di arti-
che molta gente trae un ben scarso desiderio del Vangelo
2 - Antonio Royo Marin,
Teologia della Perfezione
Cristiana, Edizioni Paoline,
Roma, 1963.
zioni che fanno santo e giusto l’uomo; ma è la vita virtuosa
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
dall’averlo anche più volte ascoltato, perché è priva del senso di Cristo. Invece, chi vuole comprendere pienamente e
gustare le parole di Cristo deve fare in modo che tutta la
sua vita si modelli su Cristo. Che ti serve saper discutere
profondamente della Trinità, se non sei umile, e perciò alla
Trinità tu dispiaci? Invero, non sono le profonde dissertache lo rende caro a Dio. Preferisco sentire nel cuore la com-
coli, documenti, testi. Più si allargava
lo scavo e sempre
più subentrava la
difficoltà di raggiungere un sunto
equilibrato di tutte
queste nuove conoscenze, allo scopo
di strappare ai nostri benevoli lettori
il tempo e la pazienza necessaria per
entrare in questo, a
nostro avviso, fantastico mondo.
Alla fine ci siamo
fermati su Gustave
Brunet ed il suo
Dictionnaire de Bibliologie Catholique
(foto), tomo unico
dell’ Encyclopédie
Théologique del Migne editore, Paris,
1860 che dedica a
questo libro (pagg.
869-880), oltre alle
informazioni generali, anche sue specifiche osservazioni
che ci hanno intrigato (in modo particolare la citazione
del Libri3!).
Di questo testo riportiamo solo i primi due capitoli nella
3 - Si veda in questo stesso
numero “Sulla bibliomania
(quater)”
93
biblioteca mon amour
sola nostra traduzione per esclusivi motivi di spazio.
Scrive dunque il
Brunet:
«Quest’ opera parla,
a ragione veduta,
del più ammirevole
libro che una penna
umana abbia mai
scritto (dato che il
Vangelo non è certo
l’ opera di un uomo); questo testo,
che conta più edizioni di qualsiasi altra opera, occupa
nella bibliografia e
nella letteratura religiosa un posto
troppo importante
perché qui noi ne
facessimo l’ oggetto
di un articolo necessariamente assai
ridotto, ma tuttavia
nel quale ci sforzeremo di raccogliere
qualche dato poco
conosciuto.
L’ autore
dell’ Imitazione
Non abbiamo alcuna intenzione di occuparci dell’ autore
dell’ Imitazione; è
una questione che,
senza dubbio, rimarrà per sempre
senza alcuna rispo94
punzione che saperla definire. Senza l’amore per Dio e senza la sua grazia, a che ti gioverebbe una conoscenza esteriore di tutta la Bibbia e delle dottrine di tutti i filosofi? “Vanità delle vanità, tutto è vanità” (Qo 1,2), fuorché amare Dio
e servire lui solo. Questa è la massima sapienza: tendere ai
regni celesti, disprezzando questo mondo.
2.
Vanità è dunque ricercare le ricchezze, destinate a
finire, e porre in esse le nostre speranze. Vanità è pure ambire agli onori e montare in alta condizione. Vanità è seguire desideri carnali e aspirare a cose, per le quali si debba
poi essere gravemente puniti. Vanità è aspirare a vivere a
lungo, e darsi poco pensiero di vivere bene. Vanità è occuparsi soltanto della vita presente e non guardare fin d’ora
al futuro. Vanità è amare ciò che passa con tutta rapidità e
non affrettarsi là, dove dura eterna gioia. Ricordati spesso
di quel proverbio: “Non si sazia l’occhio di guardare, né mai
l’orecchio è sazio di udire” (Qo 1,8). Fa’, dunque, che il tuo
cuore sia distolto dall’amore delle cose visibili di quaggiù e
che tu sia portato verso le cose di lassù, che non vediamo.
Giacché chi va dietro ai propri sensi macchia
la propria coscienza e perde
la grazia di Dio.
sta: il pio eremita
che ha lasciato queste pagine così piene di forza persuasiva e di bellezza, se
ha voluto rimanere
anonimo; ha raggiunto il suo scopo.
Ogni traccia di costui è cancellata; le
ricerche, anche le
più erudite e le più
ostinate, sono rimaste al palo.
La controversia insiste principalmente su tre personaggi,
Tommaso da Kempis, Jean Gerson, il
celebre cancelliere
dell’ Università di
Parigi, e Giovanni
Gersen, abate di
Vercelli nel XIII° secolo, a riguardo del
quale non si ha alcuna notizia. Gerson ha avuto, tra altri zelanti difensori,
M. Gence (vedi: la
Biographie universelle, tom. XXII, e
Nouvelles considérations sur l’ auteur et
le livre de l’ Imitation, e M. O. Leroy:
Gerson auteur de
l’ Imitation de JesusChrist, 1844, in-8.
vedi anche il lavoro
di M. de Cazère:
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
biblioteca mon amour
Un dernier mot sur Gerson, auteur
de l’ Imitation, Paris 1845.)
Da Kempis è stato supportato, in
Belgio, da caparbi sostenitori: M.
Bormans ha registrato nei Bulletins de la Société royale d’ Histoire
stampati a Bruxelles, molti
aspetti in favore di questa
ipotesi. Monsignor J.-B.
Malou, Arcivescovo di
Malines, nelle sue Recherches historiques et critiques
sur le véritable auteur de
l’ Imitation, Louvain, 1828,
s’ impegna a respingere uno
dopo l’ altro tutti quegli
scrittori che hanno sostenuto Gersen o Gerson. Egli
considera i diritti di Tommaso da Kempis come incontestabili: essi sono riconosciuti da alcuni suoi contemporanei; diversi manoscritti e prime edizioni
dell’ Imitazione recano il suo
nome; anche la dottrina e le
esternazioni usate in questo
libro sono comuni ad altri
scritti di Tommaso.
Riandando indietro alle origini di questa controversia,
Monsignor Malou non tralascia le giustificazioni delle due
posizioni avverse, e ne aggiunge alcune inedite che, a suo parere, sembrano confermare più o meno direttamente la mano di Tommaso da
Kempis. Questo lavoro trasuda erudizione; numerose note esplicative
precisano le fonti consultate.
I tedeschi, in generale, si sono sbiIL FURORE DEI LIBRI 2011/3
lanciati in favore del da Kempis;
uno di essi, Eusèbe Amort, a riguardo, ha scritto diverse opere con
titoli altisonanti: Causa Kempensis
victrix, Monachii, 1729; Moralis certitudo pro Ven. Thoma Kempensi.
Gersen ha avuto dalla sua un caloroso difensore nella persona di un
anziano magistrato piemontese, M.
G. de Gregori, autore di un Mémoire sur le véritable auteur de l’ Imitation, Paris, 1827, in-12, e di una Histoire du livre de l’ Imitation et de
son véritable auteur, 2 vol. in-8.
Con questo non dimentichiamo le
Gersoniana collectanea di J. Spenser Smith; Caen, 1843, in-8. (Vi si
trova a p. 241-304, un catalogo di
238 edizioni dell’ Imitazione stampate in Francia nel lasso di tempo
dal 1812 al 1841).
Un lungo elenco di opere,
relative a questa interminabile controversia è riportato nel catalogo Van
Hulthem, n° 1572 e segg.
Si veda anche la Dissertation sur 60 traductions, del Barbier, Paris, 1812; essa riporta un
centinaio di opere, e
questa lista potrebbe essere ben ampliata; limitiamoci a ricordare le
“Nouvelle Recherches”
di M. Guénebault nella
Revue
archéologique,
agosto 1854, e una lettera
di M. de Baecker a
dom Pitra nella Revue de
l’ art chrétien, gennaio
1858.
MM. L. Moland e CH.
d’ Héricault4, osservano a ragion veduta che
in assenza di prove precise, occorre tener conto
di questa imponente notorietà che
attribuisce l’ Imitazione a Gerson,
delle testimonianze di manoscritti
e delle edizioni della seconda metà
del XV° secolo. Questa tradizione
accolta quasi da tutti in Francia, adot4 - L. MOLAND et CH. D’ HÉRICAULT, Le livre
dell’ Internelle Consolacion, P. Jannet, libraire,
Paris, MDCCCLVI.
95
biblioteca mon amour
tata in altri paesi, attesta che Gerson
ha certamente contribuito almeno in
qualche parte a quest’ opera immortale.
M. Paravia, professore all’ Università
di Torino, ha pubblicato una memoria allo scopo di riportare in auge
l’ antica opinione che l’ Imitazione è
opera di Jean Gersen, abate
di Vercelli; il canonico Weigl, M. Renan, membro
dell’ Istituto, hanno condiviso questa posizione, mentre
M. Gence ha dedicato a
Gersen nella Biographie universelle (tom. XVII, p. 220)
un articolo destinato a mostrare che di trattava di un
personaggio mai esistito.
Quérard nelle sue Supercheries littéraires dévoilées,
art. Thomas A Kempis, riporta la lista di 91 Memorie e
Dissertazioni sulla questione inerente l’ autore dell’ Imitazione.
Edizioni e traduzioni
dell’ Imitazione
A questo riguardo si troveranno dei lunghi dettagli nel
Manuel du libraire; noi ci
proponiamo solamente di aggiungere qualche indicazione. Il Dictionnaire de Bibliographie catholique offre ugualmente, tom. IV, col.
297-309, un lungo elenco di edizioni dell’ Imitazione in diverse lingue.
L’ edizione originale del testo latino
fu pubblicata a Augsburg senza data
(circa 1471) per Guntherum Zainer
96
ex Reutlingen; essa è descritta nella
Bibliotheca Spenseriana, n° 723, tom.
III, p. 405.
Alcune edizioni (Brescia, 1485, in8), s.d. in-8 (Lyon, circa 1490) sono
rimarchevoli, in quanto l’ opera è
impressa con il nome di San Bernardo.
Il Repertorium dell’ Haïn segnala,
n° 9078-9114, 46 edizioni anteriori
all’ anno 1500; dodici sono menzionate senza essere descritte, indice
certo della loro grande rarità.
I bibliofili ricercano con premura
l’ edizione, senza data, apud Joh. et
Dan. Elsevirios; si tratta di uno dei
capolavori di questi celebri tipogra-
fi; ottimi esemplari sono stati pagati
da 60 a 120 fr.5 In diverse vendite, e
anche 155 fr. De Bure nel 1849.
L’ edizione che fa parte della collezione Barbou e che è stata rivista da
Valart (1758, riprodotta nel 1764 e
1773) è di splendida esecuzione, ma
non è molto stimata; essa è stata oggetto di critiche da
parte di un preparato
bibliografo, Mercier
de Saint-Léger, nella
rivista l’ Année littéraire, 1788, t. I. Questa
versione, con poca accortezza è stata usata
come base nella bella
edizione di Didot figlio (1789, in-4, troppo piena di errori) e in
quella di Bodoni, Parma, 1792, gr. in-fol.
Ha suscitato molte
polemiche l’ edizione
rivista da Gence, Paris, 1826, in-8. (Si veda
“Un articolo di M.
Louis Barbier “nel Bulletin des scien­ces historiques de Férussac, t. VI,
p. 325-330).
Non possiamo dimenticare la sontuosa edizione dell’ Imitazione, eseguita nel 1855 dalla stamperia
Imperiale, per l’ Esposizione Universale. La traduzione, nella versione
di Pierre Corneille si confronta con
il testo latino in questo esemplare
in-folio di 872 pagine, ornato di un
grande numero d’ incisioni su le5 - Questa e le successive sono quotazioni dell’epoca.
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
biblioteca mon amour
gno, di vignette e di iniziali, impresse in oro e a colori.
Tutto quello che di più sublime, la
grafica d’ ornamento e la tipografia
potevano offrire, è stato unito in questo
splendido volume, che
è stato editato in soli
103 esemplari numerati
in stampa con l’ aggiunta di una breve introduzione per mano
di M. Victor Leclerc,
membro dell’ Is­tituto.
Tra gli estratti che sono
stati fatti dell’ Imitazione, il Delectus Imitationis (Paris, Desprez,
1784, in-64.), si raccomanda per la sua rarità;
non ne furono stampati che 30 esemplari a
spese del duca di
Penthièvre.
La prima edizione in
francese (cy co­mance le
liure tressalutaire de la
ymitacion Jhesu Christ
et mesprisement de ce
monde), Tholose, Henric Mayer, 1487, in-4, è talmente rara che l’ esemplare conservato alla
bi­blioteca Imperiale è ritenuto come l’ unico conosciuto. In questa
versione, l’ opera è attribuita a sainct Bernard ou maistre Iehan Gerson,
così come nella ristampa (con qualche diversità, Paris, 1493, in-4) descritta nel secondo Catalogue des livres sur vélin da parte di Van Praet,
tom. I°, p. 197.
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
La traduzione (per M. P. P.), stampata per la prima volta a Parigi nel
1621, in-12, è di Michel de Marillac
che fu guardasigilli sotto Louis
XIII; la si considera come una delle
migliori; essa è stata frequentemente ristampata fino agli inizi dell’ ultimo secolo; una sola edizione, Paris, 1643, riporta al frontespizio il
nome del traduttore (le lettere iniziali M. P. P. significano, così ci
sembra, Marillac, Povero Peccatore).
Dopo essere stata dimenticata per
molti anni, questa traduzione è sta-
ta riproposta da M. de Sacy (Paris,
Techener, 1854, in-12, XVI e 491 p.):
questa nuova edizione è molto curata; se ne è parlato nella rivista Athenaeum français, il 6
maggio 1854.
È al libraio Jean Cusson che occorre attribuire la traduzione,
più e più volte ristampata sotto il nome di
P. Gonnelieu, il quale
si è invece limitato a
comporre le preghiere e
le pratiche di pietà messe in aggiunta a questo
volume la cui prima
edizione è del 1673.
L’ Imitazione, tradotta
dall’ abate di Choisy,
Paris, 1692, in-12, ha
creato qualche scompiglio nel mondo dei
bibliografi a causa di
una stampa, peraltro
molto bella, al frontespizio, che si prestava
ad offensive allusioni
per M.me de Maintenon; l’ edizione fu sequestrata e la stampa rimpiazzata
da una croce grossolanamente incisa in legno. (Si veda Barbier, Dictionnaire des Anonymes, t. II, p. 160;
J.-Ch. Brunet, Manuel du libraire.)
Gli esemplari che si possono trovare sono di discreta rarità, ma non
hanno alcun valore.
M. Ch. Nodier dice di non averne visti che due nella sua primitiva versione. Egli ne possedeva uno che, messo
97
biblioteca mon amour
in vendita nel 1844, aveva spuntato
un prezzo di 100 fr.; si trattava di un
volume dalla rilegatura ordinaria di
M.me de Maintenon in mo­desta pelle marrone, con una ricercata croce
dorata impressa ai piatti.
La traduzione di Beauzée è quella che è stata riproposta nella rivista Panthéon littéraire.
Ci rifacciamo per questo alla curiosa Dissertation del A. A. Barbier, sur 60 traductions françaises de
l’ Imitation, Paris, 1812,
in-12. (Si veda anche la
Revue encyclopédique,
e un articolo di M. H.
de Launay nel Bulletin
du bibliophile, 12° série,
p. 441.)
Quanto alle traduzioni
in versi, esse sono molto numerose, ma poche vengono ricordate;
una sola è ancora in auge, grazie alla nomea
del suo autore, quella di
Pierre Corneille.
L’ edizione originale di
questa
tra­duzione,
Rouen, 1651, non contiene che i primi venti capitoli del
libro I, è molto rara così come la seconda parte datata 1652, e contenente i cinque ultimi capitoli del I
libro, e i primi sei del secondo. Vi
sono altre edizioni che compaiono
con la data del 1653 e del 1654. Quella del 1656, in-4, 551 pag., è la prima
98
con i quattro libri insieme; fu riproposta nel 1658 con un nuovo titolo.
L’ edizione del 1673, in-16, si raccomanda per delle belle incisioni impresse nel testo e all’ inizio di ogni
capitolo.
Qualche esemplare di questa traduzione, anche per le eleganti antiche
rilegature, ha realizzato recentemente nella vendita, dei prezzi
esorbitanti; nel 1853, all’ asta De Bure, è stato pagato 700 fr. un esemplare dell’ edizione del 1663 con rilegatura alle armi di Enrichetta, re-
gina d’ Inghilterra, e 500 fr. l’ esemplare dell’ edizione del 1690 che era
appartenuto al duca di La Vallière.
Ulteriori dettagli su queste prime
edizioni e sulle loro ristampe si
possono leggere nel Manuel du bibliographe normand, t.
I, pag. 279. La traduzione di cui si parla fa
parte delle Opere di
Corneille, tome XII
dell’ edizione di Palissot, 1801, t. XI di quella
di Renouard, 1818;
tom. X di quella di Lefebvre, 1856. Quest’ ultima contiene interessanti lettere di Corneille indirizzate ad un
canonico della chiesa
di Santa Genoveffa a
Parigi, le P. Bouland, a
riguardo dell’ autore
dell’ Imita­zione ch’ egli
pensa essere Tommaso
da Kempis.
Una traduzione ebraica, per J. Muller, Francfort, 1837, in-12, si limita al primo libro.
La traduzione basca,
impressa a Bayonne nel
1769, ha realizzato il
prezzo molto elevato di 100 fr., alla
vendita di M. Francisque-Michel nel
1858.
Una edizione di Pau, 1757, in-12 (415
pagine), sembra che non sia stata
registrata dai bibliografi che si sono
occupati della lingua basca. Ne abbiamo vista una nel dialetto soule2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
biblioteca mon amour
tano, impressa a Oléron, 1838, in-18;
è anonima.
Conosciamo anche una traduzione in
catalano, Perpignan, 1678, in-8, e una
in groenlandese, Copenhague, 1824.
Quanto alla rarissima versione in
valenciana lingua per Michel Perez
(1491, in-4, 107 pag.), si recupera in
una nota del catalogo Libri come
quella citata: Juan Gerson del Monyspren del mon (pagata 64. fr., nella detta vendita).
La traduzione araba, Halle, 1738, è
descritta in dettaglio nel catalogo
Silvestre de Sacy, n° 1373.»
E
con questa indicazione interrompiamo il Brunet, per
completare la rassegna con
le traduzioni in italiano.
La prima edizione italiana dell’ Imitazione, secondo De Backer6, è del 1488.
Joannes Gerson de imitatione Christi
et de contemptu mundi in vulgari sermone. Alla fine: Fine della devota operetta di Ioanne Gerson della Imitazione di Christo et del dispregio del mon-
6 - Augustin De Backer, Essai bibliographique
sur le livre De Imitatione Christi, imprimerie de l.
Grandmont-Donders, libraire, Liegi 1864, pag.
107-126 (Traductions Italiennes).
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
do. Et d’ una Epis­tola di Joanne Napoletano ad Silvia vergine : la qualle
exorta ala Religione. — Impressa a
Venetia per el diligente homo Joanne
Rosso da uercelle nel’ anno del Signor
M.CCCC.LXXXVIII, a di XXII de
marzo. Re­gnante lo inclyto principe
Augustino barbarico, in-4°.
«Non ha carte numerate, ma segnate da a a k, tutti quaderni, eccettuato
k, ch’ è terno.» (Gamba, Testi di lingue, Venezia, 1839, p. 338.) — «Il de
Gregory che registrò pure questa edizione, la suppose una replica d’ altra
che fosse stata ante­riormente fatta
nel 1478 dalla stesso stampa­tore Rosso; ma in ciò prese equivoco, come
gius­tamente ebbe ad osservare il ch.
Prof. Parenti, il quale ne diede per
saggio il capitolo XXVII lib. III, togliendone la cacografia dello spurio
dialetto, com’ egli dice (pag. VII
dell’ edizione in-8, 1844, e pag. X di
quella in-12, 1847), e che noi ripro­
ducemmo a pag. 408 colla ortografia
dell’ antica stampa veneta 1497, la
quale deve riputarsi copia litterale
della presente... » (Torri, p. 434, n, 33.)
M. Veratti, p. 81, aggiunge: «A
ciascuno dei quattro libri precede la
tavola dei capitoli in esso contenuti.
Alla fine del quarto si legge per errore di stampa: «Fine del terzo ed ultimo libro di Ioanne Gerson della
imitatione de Christo et del dispregio del mondo». Segue una «Epistola di Ioanni neapolitano ad Silvia
vergine honestissima nella quale
exhorta quella ala reli­gione». Hain
cita la stessa edizione, al n. 9126.
Questa traduzione sembra essere
fatta da un lombardo o da un veneziano; ne cito un passo dopo l’ edizione del 1497, al n° 1478;
[CHi me seqta nō camia ple tenebre
dice el signore. Queste sono parole de
xpo ple quale siamo admoniti che la
sua uita et costumi debito imitare et
sqre se noi uoleo ucracemete esser illuminati: et liberati da ogni eccitade
de core. Sia adunche tutto el nostro
studio di pesare et meditare nella uita de iesu xpo.].
Questa edizione è stata ristampata
a Venezia: da Matteo Codeca, 1489;
da de Zanis, 1489; da Bevilacqua,
1496, 1497; a Milano, da Sinzenzeler, 1500, 1504, etc.❧
Giuseppe Maria Gottardi
99
biblioteca mon amour
Note bibliofile
Ma questo incunabolo, quanto può valere?
Le offerte disponibili sul mercato sono diverse
ma riguardano solo edizioni dopo il 1500.
Nell’insieme proposto si può comunque osservare che pur essendo un’opera ristampata tantissime volte nel corso della storia, i prezzi si
mantengono discretamente alti. Un posto a
parte meritano le due bodoniane, la cui valutazione rispetta il pregio tipografico di queste edizioni. Bodoni, nella stampa, è considerato
come la “Ferrari”, un prodotto ricercato in tutto
il mondo.
Thomas a KEMPIS.- De Imitatione Christi.
Parisis, F. Muguet, 1669. In-32° (8 x 5 cm) : 304
pp. (pet. mouill. marg.). Rel. du 19e s. : pleine
basane rouge maroquinée, plats avec encadr.
doré, dos lisse orné et doré, emboîtage (pet. us.
en haut des plats et du dos). Joli minuscule de
l’éternelle “Imitation”, imprimé au 17e, habillé
au 19e siècle. Provenances : 4 mentions mss
d’ecclésiastiques allemands datées de 1886 à
1915 .
Vendita: 650 euro.
Kemphis, Tommaso da. De Imitatione Christi.
Parigi, S.Edwin Tross, 1858. In 64°. Incisione in
legno del Cristo in antiporta, legatura coeva in
pieno marocchino rosso, piatti riccamente decorati in oro “à la Fanfare”, dorso a cinque nervi con titoli e decorazioni in oro nei compartimenti, dentelles in oro, contropiatti in marrocchino blu con elaborata roulette in oro, tagli
dorati su marmorizzatura, guardie in seta blu,
solander case in marocchino rosso. Perfetto
esemplare.
Valutazione: 800-1000 euro.
THOMAS A KEMPIS (1380-1471). De imitatione
Christi libris quatuor, ad octo manuscriptorum
ac primarum editionum fidem castigati, &
mendis plus sexcentis expurgati. Paris: J.
Barbou, 1758.
Vendita a 2.350 euro
Thomas a Kempis, Santo. De imitatione Christi
libri IV. Anversa, B. Moreti, 1671. In 8°.
Frontespizio allegorico inciso in rame da Galle,
qualche brunitura e fioritura, graziosa legatura coeva in marocchino rosso, decorazione impressa in oro, sui piatti ampia bordura costitu-
100
ita da motivi fitomorfi e geometrici, filetti e
cuori, dorso liscio fittamente decorato con motivi del regno vegetale e tassello in pelle marrone con titolo impresso in oro, tagli dorati, appena sciupata agli angoli, delicati restauri al
dorso.
Valutazione tra 400 – 600 euro.
Corneille, Pierre. L’Imitation de Jesus Christ.
Rouen, L. Maurry per Robert Ballard, 1656. In
4°. 4 parti in un volume. Splendida antiporta
calcografica, marca tipografica al frontespizio,
4 tavole a piena pagina incise da Chaveau, legatura in marocchino rosso, cornice con triplice filetto in oro ai piatti, ricchi fregi e titoli in oro
al dorso a cinque nervi, dentelles interne,
sguardie in carta marmorizzata (Chambolle Duru). Ex libris al contropiatto e alla sguardia
anteriore.
Prima edizione collettiva completa, contiene i
quattro libri riuniti. Dalla biblioteca “La
Germonière” (1966, n°82) . Bella impressione
in carattere corsivo italico, con testo latino giustapposto al margine del francese. Picot,
n°128. De Backer, n°2727.
Valutazione tra 850 – 1000 euro.
Gerson, Jean Charlier de. Libellus de Imitatione
Christi. Venezia, Giovanni Patavino e
Venturino Ruffinelli, 1535. In 16°. Legato con
Papa Gregorio. Secundus dyalogorum liber
beati Gregorii papae de vita ac miraculis beatissimi Benedicti. Venezia, Lucantonio Giunta,
1537. In 24°. Tre incisioni xilografiche nel testo
a separare le diverse sezioni dell’opera. Legato
con Jacopo Sannazzaro. De partu virginis.
Venezia, Bindoni, 1530. In 24°. Legatura coeva
in pelle con impressioni a secco, sciupata ai
piatti e al dorso, contropiatto foderato con fogli pergamencei da codice del XIII sec. nota di
possesso manoscritta al frontespizio e al foglio
di guardia, datata 1663.
Bellissimo insieme di rarissime operette religiose degli anni Trenta del XVI sec., raccolte in
un tascabile ad usum di qualche abate o frate
itinerante.
Valutazione tra 950 – 1450 euro.
[BODONI.] [GERSON.] De Imitatione Christi.
Parma: Bodoni, 1793.
Legatura in mezza pergamena e carta mar-
morizzata blu con decorazione dorata, dorso a
cinque nervi e titolo in oro su tassello verde, taglio superiore rosso. Piccoli difetti, rossore.
Vendita 1.200 euro.
DE IMITATIONE CHRISTI LIBRI QUATUOR.
PARMA: IN AEDIBUS PALATINIS TYPIS
BODONIANIS, 1793.
Venduto a 2.400 euro
L’unico incunabolo proposto in Internet è stato
messo all’asta da: Alde Maison de Vente di
Parigi. Esso viene così descritto:
KEMPIS (Thomas a).
De Imitatione Christi. [Relié en tête :]
Meditationes super passionem Jesu Christi.
Milan, Léonard Pachel, 1488.
2 ouvrages en un volume in-8, veau fauve, triple filet en encadrement et se croisant en étoile
au centre des plats, traces d’attaches (Reliure
de l’époque). B.M., IA. 26623, IA. 26625. — Goff,
I-18 et M-430.
Édition incunable de l’Imitation du Christ, publiée pour la première fois à Augsbourg,
Gunther Zainer, en 1473.
Le colophon de notre édition porte le nom de
Gerson.
Les Méditations sont restées anonymes et
citées comme telles dans les bibliographies.
Jolie impression gothique sur 2 colonnes, incipit et première lettrine imprimés en rouge,
quelques initiales gravées sur bois.
Plusieurs ex-libris du XVIe siècle sur les
contreplats.
Papier ancien couvrant le dos avec auteur, titre
et cote de bibliothèque manuscrits.
Manque le dernier feuillet blanc (k4) de
l’Imitation.
Petits travaux de vers sur les 2 premiers feuillets du premier ouvrage, et les 4 derniers
du second (table), touchant le texte, quelques
mouillures et rousseurs.
Charnière supérieure fendue, dos décollé avec
manques, importants travaux de vers sur le second plat.
Il tentativo di vendita partiva da 75.000 euro
ma, ahimé, non siamo riusciti a conoscere, pur
avendo inviato richieste in tal senso, il prezzo
di aggiudicazione.
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
promuovere lettura
a cura dell’Ufficio per il sistema bibliotecario trentino
Per questo numero l’Assessore alla Cultura della Provincia autonoma di Trento, Franco Panizza, si è prestato
volentieri a rispondere ad alcune domande sulle caratteristiche delle biblioteche trentine, sulla loro organizzazione e come vede il loro futuro in una società sempre più digitale.
La Rivista del Furore: In
Trentino, fra le “buone abitudini”
civili ereditate dall’impero asburgico, l’alfabetizzazione generalizzata
“per legge” ha sicuramente favorito
un rapporto particolare tra la popolazione e le sue biblioteche, presenti
quasi da sempre fin nel più piccolo
comune. Oggi si parla di Sistema
bibliotecario trentino: una megabiblioteca provinciale o una rete di
biblioteche che mantengono un po’
dell’antica autonomia?
Franco Panizza: Le radici storiche, le nostre radici non si possono negare. Semplicemente ci sono. A me piace ribadire e ricordare
che – come testimoniano gli indici
di lettura, che sempre assegnano al
nostro territorio i primi posti,
quando non il primo assoluto in
Italia – il Trentino ama i libri e
ama leggere. È una passione indi-
viduale, prima di tutto. Che trova
poi la sua espressione pubblica in
una rete, quella del Sistema Bibliotecario Trentino, della quale andare
orgogliosi, che è cresciuta negli anni, che ci è riconosciuta a livello nazionale. Mi piace pensare che “Autonomia” voglia dire anche biblioteche diffuse ovunque. E, soprattutto, frequentate ed apprezzate.
Le biblioteche attive sul territorio
provinciale, peraltro, sono coordinate e sostenute dalla Provincia, ma
rispondono in primis agli indirizzi
degli Enti gestori, sia pubblici (Comuni, Università, Musei, ecc.) sia
privati (ordini religiosi, ecc.), di cui
sono emanazione. Godono pertanto di autonomia, pur modellando le
proprie politiche di incremento
delle collezioni, di prestito e culturali in genere sul principio della cooperazione che è alla base del Sistema bibliotecario trentino.
RdF: Qual è la peculiarità del Sistema bibliotecario della Provincia
autonoma di Trento ?
F.P.: La peculiarità del Sistema bibliotecario trentino consiste proprio in questo: biblioteche altamente specializzate e biblioteche
di pubblica lettura cooperano in
rete per garantire al cittadino
utente del piccolo paese come dei
principali centri la maggiore soddisfazione possibile alle esigenze
di informazione e di servizi, eguali opportunità nella ricerca, nel
prestito di documenti, nella consultazione di banche dati e Internet e nei servizi forniti dall’Ufficio per il Sistema (catalogo collettivo integrato o CBT, Prestito interbibliotecario,
monitoraggio
statistico, aggiornamento professionale e iniziative di promozione
della lettura.
Franco Panizza
Amministrare cultura
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
101
Promuovere lettura
RdF: Tra gli investimenti per la
cultura che posto occupano le biblioteche pubbliche?
F.P.: Un ruolo rilevante, anche se
la maggioranza dei finanziamenti
per le biblioteche pubbliche gravita in finanza locale, mentre sulla
legge di settore sono finanziate alcune biblioteche specialistiche.
Inoltre, vi sono finanziamenti
quantificabili indirettamente, in
quanto si tratta di servizi forniti
dalla Provincia: gestione e sviluppo del Catalogo bibliografico trentino e del servizio di Prestito interbibliotecario, organizzazione di
circuiti di iniziative di promozione
della lettura.
RdF: Prima con i punti di ascolto
per la musica, poi con il prestito di
videocassette e di DVD, ora con
l’accesso a Internet, la biblioteca
non è più solo un deposito di libri:
come vede questa evoluzione?
F.P.: È una evoluzione che va di
pari passo con i cambiamenti epocali che stiamo vivendo.
Però, a ben guardare, non dobbiamo perdere di vista l’elemento
centrale: che è quello della voglia
di conoscere, di sapere, anche di
svagarsi attingendo alla inesauribile fonte della creatività umana.
102
In questo senso i libri, i dvd, i supporti per ascoltare musica ci riconducono sempre e comunque
alla cultura.
Ad un sistema culturale che cambia magari i mezzi, non certo il fine: far crescere una comunità e chi
la abita, la vive, la interpreta.
RdF: Sembra che ormai il mercato
dei libri in formato elettronico (gli
e-book) abbia raggiunto, se non superato, quello dei libri stampati: le
biblioteche trentine come affronteranno questa rivoluzione culturale?
F.P.: Quella degli e-book è una rivoluzione in corso che le biblioteche trentine, chiamate ad essere
sempre al passo con la contemporaneità, stanno vagliando nei suoi
diversi aspetti con attenzione per
riuscire ad adattare la propria offerta alle nuove modalità di lettura
e consultazione che si stanno diffondendo nel pubblico.
E questo è uno degli impegni attuali della Provincia: studiare gli
aspetti tecnici e sperimentare questo nuovo tipo di offerta.
RdF: Questa rivista raggiunge non
solo gli iscritti all’associazione “Il
Furore dei Libri” ma, grazie al Sistema bibliotecario trentino, riesce
ad arrivare a quasi tutte le bibliote-
che della provincia, portandovi la
sua passione per il libro e per la lettura. Cosa pensa di questa forma di
volontariato culturale?
F.P.: Sono un lettore accanito
anch’io. E non posso che essere ammirato rispetto a una associazione
che rivendica con tale “furore” la
sua passione per i libri e la lettura.
Questo mi permette anche di ritornare su temi che hanno fatto
capolino in questa conversazione.
Perché certamente i grandi cambiamenti tecnologici in atto cambieranno, e di molto, il nostro approccio alla lettura.
Peraltro questo avverrà, penso, soprattutto riguardo all’informazione, alla saggistica scientifica, ai
giornali, alle notizie.
Certo, gli e-book sono già abitudine: ma il caro vecchio libro, con
quel suo profumo inconfondibile,
con quel piacere unico che è rappresentato dallo sfogliare le pagine, ovunque e senza il timore che
il supporto si “scarichi”, penso resterà a lungo.
Voi, con questa bella rivista – specchio di passione autentica, generosa, libera – ne siete i migliori testimoni.❧
Franco Panizza
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
Il mestiere del tipografo
a cura di Marco Zamboni
Nei primi del Novecento in tipografia l’alternativa per i giovani
all’apprendistato come compositore era quella di dedicarsi alla conoscenza dell’arte della stampa. Tale
apprendistato iniziava all’età di 14 e,
dopo le prime basi (comuni sia per
l’apprendista stampatore che per
l’apprendista compositore) di conoscenza della cassa dei caratteri e
della marginiera, il giovane si metteva a disposizione dello stampatore esperto. All’inizio questi lo adibiva ai servizi più semplici, come, ad
esempio, la pulizia e l’oliatura delle
macchine da stampa. Tale operazione rivestiva all’epoca una grande
importanza poiché, non essendo
ancora stati inventati i cuscinetti a
sfera, i movimenti delle macchine
avvenivano grazie a perni ed ingranaggi che quindi dovevano essere
perfettamente funzionanti. Proprio
grazie a questa pratica l’apprendista
capiva a fondo il funzionamento
delle macchine.
Allora in tipografia erano in uso tre
tipologie di macchine da stampa: la
platina a libro, la piano cilindrica
ed il torchio.
È bene ricordare che dopo il 18501880 il torchio classico perse la sua
caratteristica di stampatrice per libri, in quanto furono inventate le
macchine da stampa piano cilindriche (Koenig e Bauer) che meglio
rispondevano alle necessità di velocità e qualità di stampa. Ricordo
che nella tipografia di famiglia era
presente un torchio di marca
Dell’Orto della seconda metà
dell’800 con formato di cm 35x50,
che veniva utilizzato esclusivamente per la produzione di bozze di
stampa.
Tornando al lavoro in tipografia
quando la forma, tenuta insieme
con spago sottile (gavetta), era
pronta per la stampa, veniva inchiostrata a mano con un rullo,
utilizzando un inchiostro appositamente diluito con petrolio per
evitare che si seccasse. La bozza di
stampa veniva poi tamponata con
talco per l’asciugatura e quindi letta ad alta voce dal proto ed ascolta-
ta dall’apprendista che ne seguiva
la lettura sull’originale del cliente.
La bozza veniva poi eventualmente
corretta dal compositore, ristampata dall’apprendista e presentata
al cliente per l’approvazione finale.
Dopo l’approvazione e le eventuali
ultime correzioni, il lavoro passava
finalmente alle macchine da stampa. Lo stampatore esperto decideva con che macchina era più conveniente stampare quel tipo di lavoro. Le riviste ed i libri venivano
solitamente stampati in quartine
sulla piano cilindrica che aveva un
formato foglio di cm 50x70. Le
quartine sono dei fogli di formato
cm 50x70 o similari su cui sono
stampate quattro pagine del libro
da un lato e quattro dall’altro. Le
pagine, sul fronte e sul retro del foglio, devono essere stampate a registro, quindi, guardando il foglio in
trasparenza, si devono coprire perfettamente. I fogli stampati vengono poi piegati in quattro, badando
che i numeri di pagina vengano
posizionati in ordine crescente. FaMarco Zamboni
L’apprendista stampatore
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
103
Il mestiere del tipografo
cendo un esempio, per un libro di
cento pagine si devono stampare
dodici fogli da otto facciate piegate
in quattro, più un foglio da quattro
facciate. I fogli piegati sono detti segnature e queste
vengono poi cucite
a filo refe, unendole
l’una con l’altra lungo la schiena.
Cucite le segnature
si procede all’incollaggio della copertina che fissa saldamente il tutto.
La prima macchina
tipografica piano cilindrica, è state inventate nel 1814 da
Koenig e Bauer ed è
rimasta in uso, con
vari ammodernamenti, fino a pochi
anni fa.
La piano cilindrica
è costituita da un
piano, detto carro,
che si muove avanti
e indietro, sul quale
è fissata la forma in
piombo, e da un cilindro che, grazie a
delle pinze, afferra
e trasporta il foglio fino a farlo
aderire alla forma posizionata sul
carro. Quest’ultima, durante il movimento di avanti e indietro, prima
di venire a contatto col foglio, passa sotto una serie di rulli che la inchiostrano.
I fogli devono essere posizionati a
104
mano e a perfetto registro, sul piano
di stampa, quindi la macchina prende il foglio, lo stampa e lo fa scivolare
sopra dei cordini (fili sottili e robusti)
posizionati sul piano di pareggiatura.
Il lavoro di messa a registro a mano
dei fogli, trattandosi di un’operazione di massima precisione e velocità,
veniva svolta dall’operaio esperto; la
piano cilindrica è infatti in grado di
stampare fino a 1200 fogli/ora. L’apprendista aveva il compito di mettere un foglio bianco fra i fogli
stampati che uscivano sul piano di
pareggiatura, per evitare la controstampa, cioè che i fogli stampati,
toccandosi l’uno con l’altro con l’inchiostro ancora fresco, si imbrattassero a vicenda. L’apprendista si preoccupava anche di
controllare l’intensità dell’inchiostratura e la qualità di
stampa in uscita,
cose che lo stampatore esperto non
poteva controllare
se non fermando la
macchina.
La macchina stampava ovviamente un
solo colore alla volta. Nel caso si volessero stampare più
colori, la macchina
andava lavata e preparata con il nuovo
colore. Il foglio
stampato a più colori doveva quindi
fare un passaggio in
macchina per ogni
colore.
Lo smontaggio della forma di stampa
dal carro porta forma, la lavatura e
la preparazione della macchina erano compito dell’apprendista, che in
questa maniera imparava l’arte. Il
montaggio della forma era invece
compito dello stampatore esperto,
che posizionava nella posizione
corretta la forma, serrandola con i
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
Il mestiere del tipografo
margini ed i serraforme in maniera
perfetta, affinché il foglio risultasse
stampato a perfetto registro. Nel caso in cui questo lavoro non fosse
eseguito a regola d’arte, c’era il pericolo di rompere la forma e di danneggiare la macchina da stampa,
oltreché i caratteri in piombo.
Altre mansioni più delicate, come il
cambio della maestra (il rivestimento di fogli di carta e cartone posizionati sul cilindro di stampa) e la
registrazione dell’altezza dei rulli
inchiostratori, erano compito dello
stampatore esperto. La maestra doveva essere sostituita ad ogni nuovo
lavoro in quanto i caratteri mobili
nel loro passaggio, schiacciavano i
fogli producendo un avvallamento,
che, nel caso di stampa di una nuova forma, provocava una mancanza
di pressione al carattere ed una
stampa imperfetta. Anche la registrazione del calamaio dell’inchiostro e la realizzazione di colori particolari, attraverso la mescolatura
di varie tinte era compito dell’operaio esperto.
Durante queste operazioni l’apprendista faceva da aiutante per
impratichirsi gradualmente. L’apprendista, dopo i primi mesi, incominciava a fare i primi esperimenti
sotto l’occhio vigile dello stampatore, iniziando con lavori di poche
copie in cui la quantità di inchiostro e carta richiesti è molto poca.
La prima macchina da stampa utilizzata dall’apprendista era solitamente la platina a libro, macchina
di piccolo formato per lavoro di poIL FURORE DEI LIBRI 2011/3
che copie. La macchina è costituita
da un piano mobile (platina), che si
chiude a libro su un piano fisso, dove è posizionata la forma in piombo. Quando il piano a libro si apre
sulla forma passano dei rulli inchiostratori, poi il piano a libro si
chiude portando il foglio di stampa
a contatto diretto con la forma.
Quando il piano a libro si apre, lo
stampatore deve levare il foglio
stampato e in contemporanea posizionarne uno nuovo da stampare. Il
piano a libro mobile è munito di
una leva, che, se abbassata crea la
pressione necessaria perché avvenga la stampa. Questa leva la si utilizza anche per saltare un turno di
stampa nel caso non si riesca a coordinare il movimento di levata del
foglio stampato e posizionamento
del foglio da stampare. Le regole di
stampa della platina a libro sono simili a quelle della macchina piano
cilindrica, ma l’inchiostrazione più
limitata, dovuta alla presenza di cilindri più piccoli e meno numerosi,
rende la qualità di stampa inferiore.
Infatti, finché si tratta di biglietti da
visita dove lo scarico dell’inchiostro
è limitato va tutto bene, ma se si devono stampare dei fondi o dei caratteri grandi, allora ci sono grossi
problemi.
Anche la pressione di stampa non
ha certo la qualità della macchina
piano cilindrica. La qualità di stampa si può paragonare a quella del
vecchio torchio, eccettuato per l’inchiostrazione che sulla platina a libro è più regolare. L’apprendista usa
la platina a libro per stampare un
po’ di tutto, dal biglietto da visita,
all’annuncio di matrimonio, al volantino, all’invito. Gli inchiostri
usati dall’apprendista normalmente
sono: il nero, il rosso, il blu violaceo, il grigio e il seppia. Quando
prepara mescolanze di colori ne usa
una noce (piccola quantità) in
quanto le tirature di stampa che deve fare sono piccole tirature e nel
caso il colore non risulti quello voluto, lava la macchina e ne mescola
di più corrispondente con poco
spreco di inchiostro, viste le piccole
quantità usate. Difficilmente realizza colori a campione del cliente, in
quanto in questo caso le quantità
diventano importanti, per poterne
disporre anche per le successive ristampe. Le registrazioni sono simili
a quelle della piano cilindrica. Il
piano mobile di stampa deve venire
fornito di maestra (rivestimento
misto di carta e cartoncini) nuovo
per ogni lavoro. La macchina viene
anche usata per fare cordonature
(pieghe) nei cartoncini e per fustellare etichette (tagliare in forme irregolari). In questo caso si levano i
rulli inchiostratori in quanto l’inchiostro non serve. Nei cinque anni
di apprendistato deve imparare i
vari formati di carta e cartoncini
che si possono ricavare da un foglio
(di solito fogli di cm 70x100). Deve
anche imparare a tagliare la carta
con la taglierina in quanto spesso
mancano dei fogli per finire la tiratura di stampa. Conoscere i vari tipi
di carta e i formati di buste e impa105
Il mestiere del tipografo
rare la posizione nel magazzino.
Imparare l’assorbimento della
quantità d’inchiostro, di ciascun tipo di carta. Il lato della fibra della
carta, in quanto la copertura dell’inchiostro e la pressione di stampa,
allunga la carta. Deve anche capire
le varie lavorazioni successive. Se si
realizzano dei blocchi si dovrà, oltre che stampare il foglio, anche forarlo e così via per le varie lavorazioni. La pulizia del posto di lavoro
è una cosa che l’apprendista stampatore deve tenere particolarmente
presente, infatti una piccolissima
quantità d’inchiostro tipografico
sporca una quantità enorme di cose, non ultimi i fogli stampati che in
questo caso sono da buttare. Lo
stampatore esperto riprende aspramente l’apprendista specialmente
quando lascia le sue impronte (a somiglianza delle impronte prese dal-
106
la polizia) sui fogli stampati. Per
mantenere le mani pulite, oltre che
lavandole si usa anche il talco (saponaria). Lo stampatore aveva
spesso le mani bianche di talco. Infatti le macchine possono essere sia
unte di olio che sporche di inchiostro, per questo bisogna sempre essere muniti di straccio pulito. Lo
stampatore usa anche la gomma
morbida come ultimo rimedio per
pulire le impronte. L’apprendista
dopo i cinque anni di apprendistato
dovrebbe avere tempi certi e veloci
di realizzo dei lavori; buone capacità nella preparazione di colori speciali; precisione e qualità nella
stampa; conoscenza di tutti i tipi di
carta e delle loro caratteristiche; conoscenza delle varie lavorazioni
successive della stampa e buon occhio per gli errori degli altri, in
quanto essendo l’ultima lavorazio-
ne è anche l’ultimo controllo, che
non è propriamente il compito dello stampatore, ma l’errore penalizza
soprattutto lo stampatore, che sarà
costretto poi a ristampare il lavoro.
Gli stampatori moderni usano in
maniera massiccia il colore. A differenza degli stampatori passati,
quelli attuali usano in sostituzione
della stampa tipografica con i caratteri mobili, la stampa indiretta (offset) che raggiunge una qualità decisamente impensabile con i caratteri mobili e la stampa diretta. Anche gli inchiostri sono migliorati
molto, aiutando gli stampatori, senza parlare della carta. Comunque
l’arte dello stampare rimane un’arte
difficile con mille problemi sempre
nuovi che sorprendono anche lo
stampatore esperto.❧
Marco Zamboni
2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
Notizie dal furore
Eventi del Furore
Due nuove edizioni de Il Furore dei Libri
I mercoledì del Furore
Con settembre sono ripresi gli incontri del mercoledì che hanno visto la presentazione da parte degli
autori di un libro di poesie e di un
saggio. Il socio Italo Bonassi, noto
poeta oltre che anima del gruppo
“Poesia ‘83” e felice conduttore del
Gruppo di lettura di poesia, ha presentato la sua ultima opera dal titolo piuttosto intrigante “Cominciamo dalla formica”.
Numerosi e apprezzati gli interventi seguiti alla presentazione e alla
lettura di alcune poesie tra le più significative, proposte con molta partecipazione dall’autore e da Giuliana Raffaelli.
Altrettanto intrigante per il contenuto l’altro libro presentato: il saggio di Peter Disertori dal titolo “I
segreti dei manoscritti di Qumran”.
L’autore, anch’esso Socio del Furore,
presenta il frutto delle sue ricerche
sui “misteriosi” rotoli, condotte anche in loco e sulle interpretazioni e
sui quesiti irrisolti che ancor oggi, a
più di 60 anni dal loro ritrovamento, si affacciano nelle menti di chi se
ne occupa.
Dato il tema, il dibattito successivo
non poteva che essere vivace e partecipato.
La questione del Trentino
La celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, ha visto il Furore partecipare con la riedizione di un’operetta che all’epoca ben rappresentava lo spirito patriottico dei trentini.
Questa nostra regione che avrebbe
dovuto aspettare quasi 60 anni per
diventare italiana, già allora era patria di spiriti illuminati e sinceramente patriottici.
Antonio Gazzoletti, deputato al
primo Parlamento italiano, fu particolarmente attivo nel promuovere
l’annessione delle terre trentine allo
stato italiano e la sua opera La questione del Trentino [1860] fu ampiamente diffusa e commentata in tutta l’Europa. La sua tesi di un confine a Salorno e non sullo spartiacque alpino, riconoscendo che le terre del Tirolo del Sud non potevano
dirsi italiane, non prevalse sullo
spirito di chi pensava più ad un territorio meglio difendibile che ad un
paese pacificamente più vivibile.
La ristampa ha potuto godere
dell’introduzione dello storico Fabrizio Rasera, Presidente dell’Accademia degli Agiati, che ben introduce Gazzoletti e ne fa capire il valore e l’importazza anche al giorno
d’oggi.
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
L’Ebraica Tipografia
Uscita in occasione della visita a
quella cittdina e al suo Museo della
Stampa con il titolo Indagini sull’epoca della fondazione dell’Ebraica Tipografia in Soncino. E altre notizie tratte
dalla Biografia soncinate di Paolo Ceruti [1834] riporta, oltre alle cronache
di Soncino dal 388 al 1814, una sintesi
delle principali notizie riguardo alle
prime edizioni a stampa in lingua
ebraica.
Nathan Samuele, i suoi figli e i loro
discendenti appartengono alla storia
della stampa per aver prodotto alcune delle più belle edizioni della Bibbia e di altri testi sacri in lingua ebraica. La loro storia rivive oggi presso il
Museo della stampa di Soncino
Frutto di una operosa ricerca del socio Giuseppe Gottardi, il libretto ha
suscitato il vivo interesse del direttore del Museo della Stampa di Soncino e Presidente dell’Associazione
Musei della stampa e della Carta che
si farà cura di ristamparla per proporla ai visitatori di quel Museo.
Entrambi i libretti sono stati stampati in tirature limitate e numerate per
la distribuzione ai soci e agli appassionati.❧
MariaLuisa Mora
107
Hanno scritto per noi
Sumaya Abdel Qader
Nasce a Perugia da genitori immigrati
giordano-palestinesi. Laureata in biologia, collabora con Università e scuole italiane tenendo conferenze, lezioni e corsi
sul mondo arabo-islamico. È una dei fondatori dell’associazione GMI (Giovani
Musulmani d’Italia). Nel 2008 ha pubblicato Porto il velo, adoro i Queen. Nuove
italiane crescono.
Chiara Agonigi
Vive e lavora a Pisa dov’ è nata quarant’ anni orsono: fa l’ avvocato per vivere
– civilista con lo sfizio da penalista – e
scrive per sognare. Potrebbe vivere meglio ma sogna tanto. Collabora occasionalmente con la rivista “Diritto e formazione”; ha collaborato con il quotidiano
on line “Il Cassetto.it”, nonché con la rivista “Nuove tracce” per la quale ha pubblicato alcuni racconti brevi.
Carlo Andreatta
È nato, e tuttora vive, nella città della
Quercia. Insegna Lettere al “Marconi” di
Rovereto. Versatile ed eterogeneo lettore, disdegna la scrittura sperimentale: insomma, gusti “classici” sia in letteratura
che nel vestire. Oltre ad amare il cinema
è un solitario camminatore. Scrive da
sempre, e da sempre predilige tematiche
care al “sociale” e alla critica letteraria.
Andrea Angiolino
È nato a Roma, giornalista, autore di giochi da tavolo, di ruolo, per radio e televisione, per riviste, per pubblicità, per
eventi, per computer, per Internet... Ha
all’attivo numerosi libri, tra cui Costruire i
libri gioco e il Dizionario dei giochi Zanichelli con B. Sidoti. Le sue opere sono
tradotte in una quindicina di lingue.
Gianmario Baldi
Nato a Mori nel Trentino è direttore della
Biblioteca Civica - Archivi storici di Rovereto. Autore di saggi sulla storia delle bi108
blioteche e sulla gestione delle istituzioni culturali. Appassionato di montagna,
ha scritto due guide di sci alpinismo. È
uno dei soci fondatori del Furore
Italo Bonassi
Nato in Alto Adige da genitori istriani.
Poeta, scrittore, saggista, critico e giornalista pubblicista, ha vinto con un saggio su Lionello Fiumi (L’altra metà) il secondo premio nel 1996 nel Premio Internazionale Letterario Jean Monet, di Genova. Presidente del Premio Nazionale di
Poesia “La Rondine” e direttore responsabile di Quaderni, bimestrale di poesia e
critica del Gruppo Poesia 83.
Maurizio Casagranda
Nato a Trento, ingegnere elettrico. Nel
2000 ha fondato lo Studio Bibliografico
Adige che cura la ricerca, lo studio e la
diffusione di libri e materiale cartaceo
antico e usato. Con il Museo nazionale
della Montagna, ha realizzato Dal Garda
alle Dolomiti: alpinismo, viaggi, guerra e
lavoro nelle montagne del Trentino Alto
Adige e dei territori confinanti di Veneto
e Lombardia: itinerario fotografico.
David Cerri
È nato, vive e lavora a Pisa, e tra la sua città e Roma alterna l’ attività professionale
– è avvocato civilista – agli impegni nel
campo della formazione forense. Autore
di note e articoli su varie riviste giuridiche, ha curato alcuni volumi collettanei
ed è l’ autore dei saggi raccolti in “Giustizia civile e formazione forense” (2009).
Diego Cescotti
Roveretano. Violinista, musicologo e docente di Conservatorio. Ha pubblicato
volumi, saggi, articoli, cataloghi; organizzato convegni; tenuto conferenze;
tradotto testi; ordinato fondi; ideato
eventi; allestito mostre; realizzato spettacoli. È socio dell’Accademia degli Agiati, classe Lettere ed Arti. Dirige il Labora-
torio Permanente e il Centro Studi «Riccardo Zandonai».
Annamaria Cielo
Nasce a Rovereto, vive a Volano. Scrive in
italiano e in francese di poesia, di narrativa, critica e saggistica da più di trent’anni. Sette i libri pubblicati: sei in versi e un
romanzo. Due sillogi e un romanzo sono
inediti. Nel 2008, a Roma, ha ricevuto il
Premio alla carriera e alla cultura “Omaggio a Giosuè Carducci”.
Irene Comisso
Diplomata in organo e composizione organistica, si è laureata in Musicologia e
Beni musicali all’Università Ca’ Foscari di
Venezia. Attualmente svolge il dottorato
di ricerca presso la Freie Universität di
Berlino. Ha pubblicato contributi in lingua italiana e tedesca.
Danilo Curti
Nato a Rovereto. Musicologo, allievo di
Laurence Feininger ha collaborato alle ricerche di partiture musicali del ‘400 e del
‘600, alle pubblicazioni della “Societas
Universalis Sanctae Ceciliae” e alla costituzione della Biblioteca musicale Feininger, curandone nove monografie. Pubblicista, saggista e promotore di eventi
musicali e artistici è presidente del Conservatorio musicale di Trento e socio fondatore del Furore.
Igor De Amicis
Scrive di diritto per Il Sole 24 Ore e ha curato diverse raccolte di saggi giuridici.
Per la narrativa ha pubblicato svariati
racconti in antologie. Ha partecipato alla
realizzazione del Dizionoir e del Dizionoir del fumetto. Collabora con il portale
Thrillermagazine e con la rivista Sherlock
Magazine.
Daniela Dalla Valle
Trento. Laureata in Letteratura italiana
con diplomi e varie specializzazioni rela2011/3 IL FURORE DEI LIBRI
tive ai libri. Direttore dell’Ufficio per il Sistema bibliotecario trentino ha fondato
e diretto la Biblioteca professionale specializzata in Biblioteconomia, Bibliografia e Promozione culturale e la Biblioteca
provinciale specializzata in Letteratura
giovanile.
Peter Disertori
Nato a Trento si è trasferito sul lago di
Garda dove tuttora vive e lavora. Ha pubblicato romanzi e saggi con diversi editori: La panchina, Osteria al porto, Storia
contro, La figura di Cristo tra ombre e luci, Naja l’ultima vacanza e Dolomiti di
piombo. È co-autore delle antologie di
argomento alpino: In punta di Vibram e
Dna alpino.
Sandro Dise
È nato a Vienna. Di padre trentino e di
madre giuliana, è cresciuto a Trento. Ufficiale degli Alpini, è stato prigioniero dei
Tedeschi in alcuni Lager della Baviera e
della Bassa Sassonia. Ha pubblicato due
scritti a sapore storico-autobiografico,
Un interno mitteleuropeo, dopo e Mondi
in catene.
Antonella Dorigotti
Medico, pittrice, scrittrice. La brezza sussurra, 2003, premio Itas giuria; Arabeschi
del mio cuore, 2009, libro di poesie finalista al Premio internazionale Autori per
l’Europa e nello stesso anno ha pubblicato il libro per ragazzi Coccole di bisnonna.
Anna Maria Ercilli
Nata a Trento, vi abita. Studi tecnici e
professionali. Ha lavorato nel Servizio Sanitario. Pubblica poesie e racconti, cinque plaquette dal 1983. Presente in antologie, riviste e festival di poesia. Collabora con la rivista R&S. Fotografa per passione. Cura il blog dopoilmattino.
blogspot.com.
Gabriele Falcioni
Nasce ad Ancona. Ha pubblicato racconti in svariate antologie e, con il collettivo di scrittori Paolo Agaraff, ben tre
romanzi: Le rane di Ko Samui, Il sangue
non è acqua e Il quinto cilindro; con il
collettivo Pelagio D’Afro I ciccioni esplosivi.
IL FURORE DEI LIBRI 2011/3
Federica Fortunato
Diplomata in pianoforte e laureata in
Lingue e Letterature Straniere, insegna
Storia della Musica in conservatorio, dove conduce anche corsi di Espressione
corporea secondo il metodo Martinet. È
vicepresidente del Centro Internazionale
di Studi “Riccardo Zandonai”. Contemporaneamente all’attività musicologica, ha
sempre seguito progetti nell’ambito
dell’educazione alla mondialità.
Fernanda Gabrielli
Mezzosangue trentino-tedesca (radici
predazzane e berlinesi). Diploma di psicologa scolastica. Diploma di interprete
per le lingue francese e inglese. Università di lettere ma insegnante per poco. Traduttrice per una casa editrice piemontese. Moglie e madre a tempo pieno.
Renzo Galli
Roveretano, si dedica al cross-publishing, all’editoria giuridica e al Furore dei
Libri. Convinto che uno scrittore (così come un poeta), per definirsi tale deve essere posseduto dal relativo Demone, ha
inutilmente cercato presso esorcisti e anche su eBay chi gliene potesse procurare
uno (anche usato), così scrive per autocostrizione senza alcun afflato e spesso
anche senza fiato.
Francesca Garello
Veneziana, vive a Roma. Scrivere, leggere e giocare sono le sue occupazioni preferite. È autrice di libri-gioco, giochi didattici a sfondo storico e moduli di ambientazione per giochi di ruolo. I suoi
racconti sono comparsi su diverse antologie. È membro del collettivo di scrittori
Carboneria Letteraria.
Giuseppe Maria Gottardi
Nato a Rovereto, medico, odontoiatra,
medico-legale e medico volontario del
Soccorso Alpino. Nel 1987 ha pubblicato:
Anàmnesis – Colloquio Medico-Paziente
in 5 lingue e I Mitocondri. A seguire nel
1999: Dottore mi fa male qui – Frasario e
Dizionario per Turisti in 5 lingue; Mocca
Cecca; Manuale per demòni di II° classe e
nel 2007 Eroi o Traditori: I soldati trentini
nella I Guerra Mondiale; nel 2011 Camminando nella storia.
Gianfranco Grenar
Contastorie multistrato, racconta storie
in ogni forma lecita; racconti, romanzi,
testi di canzoni, soggetti e sceneggiature. Come videomaker ha prodotto corti,
booktrailer, spot, videoclip, documentari, sperimentazioni
Giacomo Manzoni di Chiosca
Nato a Milano. Ingegnere chimico, amante della vita semplice e della natura, nei
momenti tranquilli e solitari compone
poesie, racconti e favole. Dagli ultimi anni
‘90 ha iniziato a partecipare a concorsi
letterari, ottenendo lusinghieri risultati
Patrizia Marzadro
Nata a Rovereto frequenta il liceo scientifico Rosmini. Ha tante passioni e tra
queste anche quella di scrivere.
Luca Matassoni
È nato a Rovereto e risiede Isera (TN), lavora in banca. Ogni tanto, nelle ore notturne scrive racconti per mettere alla
prova la sua immaginazione.
MariaLuisa Mora
Nata a Rovereto. È presidente de Il Furore
dei Libri dalla sua fondazione
Alessandro Morbidelli
Progetta architetture e scribacchia per
dispetto. Tutti progetti presi di petto e
trattati allo stesso modo, con passione.
Suoi racconti sono apparsi su antologie
M-la rivista del Mistero, Bloody Hell. Storie di demoni e angeli caduti”, Uomini a
Pezzi, Racconti Erotici. Ideatore del concorso grafico-letterario CisInTandem e
curatore dell’antologia Onda d’Abisso. È
membro della Carboneria Letteraria.
Andrea Nicolussi Golo
È nato a Trento. Troppo tardi per vivere
l’antico mondo perduto dei contadini di
montagna, ha appena avuto il tempo di
respirare l’odore dei filò cimbri e l’aria
densa di umori delle stalle nelle notti invernali. Pubblica i suoi racconti in lingua
cimbra e tiene laboratori di lettura e scrittura cimbra presso l’Università di Trento.
Franco Panizza
È nato a Campodenno nella valle di Non.
Lettore, scrittore, autonomista, è Assessore alla Cultura, rapporti europei e coo109
perazione della Provincia autonoma di
Trento, responsabile del Sistema bibliotecario trentino.
Ben Pastor
Pseudonimo di Maria Verbena Volpi. Nata a Roma, cittadina italiana e statunitense. Docente di Scienze Sociali presso numerose Università (Ohio, Illinois, Vermont), accanto a un’intensa attività saggistica e didattica, si cimenta nel giallo
storico vincendo numerosi premi internazionali. I suoi romanzi e i suoi personaggi (da Elio Sparziano a Martin Bora)
sono letti in decine di lingue.
Biagio Proietti
Autore e regista romano. Negli anni ’70
protagonista della stagione dei grandi
gialli televisivi Rai, con Coralba, Come un
uragano, Lungo il fiume e sull’acqua, Philo
Vance e altri, compreso Dov’è Anna? record d’ascolto nel ’76. Ha diretto Storia senza parole, film tv trasmesso in tutto il mondo, e per il cinema L’armadio, La casa della
follia, La mezzatinta, Miriam e Sound con
Peter Fonda. Autore per radio e teatro, ha
scritto tre romanzi: Una vita sprecata, Io
sono la prova e Il drago e la rosa.
Alessandra Ravelli
Torinese, lavora per il Museo Nazionale
della Montagna ed è responsabile del servizio della Biblioteca Nazionale CAI. Ha collaborato con diversi periodici di settore.
Chiara Ribaga
Roveretana, ragioniera laureata in Lettere moderne, appassionata cacciatrice di
refusi e di errori tipografici. Socia de Il Furore dei Libri fin dall’inizio e referente per
il Gruppo di lettura.
Mario Ricca
Siciliano, ingegnere, editore. Esperto di
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energie alternative e di edilizia sostenibile, si occupa di pubblicazioni tecniche e
testi universitari. Con la sua casa editrice
Edizioni Rendi pubblica Domus AureA, il
magazine dell’edilizia sostenibile.
Tersite Rossi
Pseudonimo che nasconde due giornalisti/scrittori impegnati nella cosiddetta
narrativa d’inchiesta. Ha pubblicato nel
2010 il romanzo È già sera, tutto è finito,
ambientato nell’Italia delle trame: dal ‘68
al G8 di Genova, passando per le stragi
dei primi anni ‘90.
Rossella Saltini
È nata a Milano e vive a Rovereto. Lettrice
onnivora e scrittrice compulsiva coltiva la
propria passione per la parola scritta frequentando laboratori e stages di scrittura
creativa. Vincitrice di concorsi e premi letterari, nel 2010 è uscito il suo primo romanzo Il tempo dei quadrifogli di seta.
Daniela Savoia
Nata a Cesena dal 1998 è Dirigente del Settore Istituzione Biblioteca Malatestiana di
Cesena. Autrice di saggi e di ricerche, curatrice di mostre, ha ricevuto nel 2010 Riconoscimento Fidapa 2010 per l’impegno per
la valorizzazione moderna della biblioteca
Memoires du Monde dell’Unesco.
Maurizio Scudiero
È nato e vive a Rovereto. Architetto e storico dell’arte moderna interessato particolarmente alle avanguardie storiche del
novecento e soprattutto al Futurismo,
nell’ambito del quale è divenuto specialista dell’opera di Fortunato Depero,
R.M.Baldessari, ed altri. Ha organizzato oltre cento mostre in musei e gallerie private e ha pubblicato circa 200 tra libri, cataloghi e pubblicazioni di critica d’arte e
grafica applicata.
Giuseppe Tulli
Vive a Roma dove è nato nel 1913. Si avvia
al lavoro già all’ età di 12 anni e, frequentando le serali, arriva al diploma di ragioniere. Nel 1928 si impiega presso un grande Ente dal quale si congeda dopo 45 anni con la qualifica di Direttore Centrale,
avendo conseguito, intanto (1945), la laurea in economia e commercio. e diventando Maestro del lavoro. In tempo di guerra
è stato tenente dei bersaglieri. Negli anni
20,30 e 40 ha praticato molti sport.
Bruno Zaffoni
Roveretano, grafico di lungo corso per
mestiere; narratore (e altro) per diletto.
Suoi racconti sono presenti in rete e in
varie antologie. Ha progettato e realizzato in successione le riviste di narrativa
online I Vedovi Neri, Orient Express ed
Exotica. Coinvolto in operazioni losche
come Criminalcivico (col Museo Civico) e
Rovereto in giallonoir e Parole per strada (con Il Furore dei Libri).
Marco Zamboni
Roveretano, tipografo di professione. Si è
dedicato tutta la vita al lavoro nella ditta
di famiglia fondata dal suo bisnonno nel
lontano 1910 ed oggi in mano ai suoi figli.
Ha una grande passione per la storia, che
ama in tutte le sue sfaccettature
Zia Camilla
Roveretana. Scrittrice di fiabe per bambini Le storie di Distratto e Le prime storie
di Distratto; di giochi didattici collettivi
La fiaba delle 7 fontane. Si diletta di ricerche linguistico-gastronomiche con la collana I sapori del dialetto, pubblicando Pulinèra ‘n cusena. Lessico gastronomico romagnolo.
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L’ ultima pagina
a cura di Carlo Andreatta
G
iovanni Giudici è nato a Le
Grazie (Porto Venere) il 26
giugno 1924; è scomparso a
La Spezia il 24 maggio 2011.
Trascorse i primi anni dell’infanzia
nel paese natio, tra la casa dei genitori e quella dei nonni.
La prematura morte della madre,
l’8 novembre del 1927, ha lasciato
nel poeta una “voragine di privazione” che con il passare degli anni
si allargherà sempre di più. Giudici
– nel 1933 – seguì il padre, che nel
frattempo si era risposato, a Roma.
Nonostante la famiglia si trovasse
in gravi ristrettezze economiche,
Giovanni si iscrisse al Liceo Classico «Giulio Cesare”». Nel 1942 decise di cambiare corso di laurea (inizialmente era iscritto a Medicina) e
si trasferì alla Facoltà di Lettere, dove incontrò docenti che avrebbero
segnato in modo indelebile la sua
formazione umana e intellettuale:
uno di questi era Natalino Sapegno.
A Roma strinse amicizia con Ottiero Ottieri. Antifascista convinto,
dopo l’8 settembre del 1943 Giudici
partecipò alla clandestinità. Nel
1945, a Roma, si laureò discutendo
una tesi in letteratura francese. L’esistenza di Giudici è piuttosto a zigzag: l’educazione cattolica, l’adesione al partito socialista e poi a quello
comunista, l’amore per la poesia, le
assidue letture (Montale, Quasimodo, Sereni, Penna, Saba), le prime
traduzioni, l’esperienza nella Guardia di Finanza, l’impiego presso la
Olivetti, la collaborazione a giornali e a riviste, l’interesse per la politica. A proposito della politica, negli
anni Sessanta del secolo scorso,
Giudici si definì un intellettuale
non comunista che aveva sperato di
trovare nel Pci una possibilità per
realizzare la socialdemocrazia in Italia. Alla Olivetti di Ivrea il poeta
ligure giunse nel 1956, e lì conobbe
intellettuali come Nello Ajello, Giovanni Arpino, Beppe Fenoglio,
Franco Momigliano, Luciano Gallino, Roberto Guiducci, Paolo Volponi, Franco Fortini, Giorgio Soavi, Leonardo Sinisgalli, Geno Pampaloni. Se i primi tentativi poetici
risalgono al 1935, la prima raccolta
in versi di Giovanni Giudici –“Fiorì
d’improvviso”– venne pubblicata
nel 1953. Da Ivrea a Torino, da Torino a Milano: Giudici collabora a
giornali e a riviste, incontra Eugenio Montale, Vittorio Sereni, Giovanni Raboni, Elio Vittorini. La
Milano del boom economico diventerà la sua città. Nel 2000, nei
Meridiani, uscì “I versi della vita”,
una silloge nella quale l’editore
Mondadori ha riepilogato la lunga
stagione del lavoro poetico di Giudici: da “La vita in versi” alle “Protostorie e poesie disperse” (la seconda edizione è del 2008).
Giudici poeta, Giudici prosatore:
nel 1996 è uscito il florilegio di saggi “Per forza e per amore” (Garzanti) e nel 1989 Mondadori ha pubblicato la miscellanea di prose “Frau
Doktor”. Nel 1987 Giudici vinse il
Premio (per la poesia) Librex Guggenheim-Eugenio Montale con il
volume “Salutz”, un intenso e singolare poema d’amore pubblicato da
Einaudi l’anno precedente. Giudici
Carlo Andreatta
Giudici, lo sgomento di esistere
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è stato pure un attento e sensibile
traduttore (di Shakespeare, Donne, Milton, Dickinson, Yeats,
Frost, Stevens, Pound, Eliot, Plath
e molti altri): “A una casa non sua”
(Mondadori 1997); “Eugenio Onieghin (Evgenij Onegin) di Aleksandr
Sergeevic Puškin” (Garzanti 1999);
“Addio, proibito piangere e altri
versi tradotti” (Einaudi 1982); “Vaga lingua strana” (Garzanti 2003).
Ai bambini, per avvicinarli al
mondo della poesia, Giudici ha
dedicato “Scarabattole” (Mondadori 1989). Nel 1991, per le edizioni “costa&nolan” è uscito “Il Paradiso. Perché mi vinse il lume d’ esta
stella”. La parola poetica di Giudici
è colloquiale, caratterizzata da una
“controllata inquietudine”, capace
di trasmettere, con una forte dose
di ironia, la solitudine angosciante
– quasi kafkiana – di un individuo,
smarrito e alienato, che è costretto
a confrontarsi con le dinamiche
del lavoro all’interno di un contesto urbano-industriale. Anche se a
Giudici non piacevano categorie e
tematiche rigide – che avrebbero
potuto soffocare la “sua parola” –
credo che per meglio comprendere il suo percorso poetico, si possano individuare tre direttrici: l’ostinata ricerca di una vita in versi; l’esplorazione del lavoro, soprattutto
quello dell’impiegato; il padre,
“quel padre specializzato nel nascondersi, nello scantonare dall’esistenza, nel tentativo di sfuggire ai
creditori: ‘Il male dei creditori’ è un
altro suo canonico titolo” (Franco
Cordelli). Sempre Cordelli ha definito “prodigiosa” la tecnica poetica
di Giudici: “una delle più elaborate
e delle meno visibili del secondo Novecento”. Giudici è stato anche un
ottimo giornalista: ha collaborato
con “Comunità”, “Rinascita”, con il
“Corriere della Sera”, con “L’Espresso”, “L’Unità”, il “Secolo XIX”. Molti
i critici e gli studiosi che si sono occupati della poesia di Giudici: Franco Fortini, Giansiro Ferrata, Fernando Bandini, Mario Picchi, Alfonso Berardinelli, Costanzo Di Girolamo, Carlo Ossola, Pietro Citati,
Massimo Bacigalupo, Rodolfo Zucco. Anche i poeti Andrea Zanzotto
e Giovanni Raboni hanno dedicato
intense e luminose pagine alle raccolte di Giudici. Lasciata Milano
quasi un decennio fa, il poeta-traduttore era tornato a Le Grazie, dove era nato 87 anni fa.❧
Carlo Andreatta
La storia
Lo spazio di ogni vita di uomo dura la storia – non
è vero che dura millenni.*
* giovanni giudici, “Pantomime di Praga”, da I versi della vita, Mondadori, Milano, 2000, pag. 227.
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