Tempus San Petronio, 27 settembre Da Rainer Maria Rilke, Sonetti

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Tempus San Petronio, 27 settembre Da Rainer Maria Rilke, Sonetti
Tempus
San Petronio, 27 settembre
Da Rainer Maria Rilke, Sonetti a Orfeo
Sii prima d’ogni addio, come se fosse
già dietro a te: come ora è già l’inverno.
Perché, fra i mille inverni, uno resiste
nel cuore a primavera, senza fine.
Sii morto in Euridice: canta, prega
più forte, sino al più perfetto amore.
Ombra fra l’ombre, in questo regno effimero,
sii il calice che un solo tocco infrange.
Sii e sappi sempre la tua inesistenza,
l’interminato fondo dei tuoi sensi,
così che in una volta essa s’adempia.
A queste esauste, informi e silenziose
vene terrestri, eternità indicibili,
dona te stesso in gioia, innumerevole.
Francesco Guccini, Autunno (2000)
Un'oca che guazza nel fango,
un cane che abbaia a comando,
la pioggia che cade e non cade,
le nebbie striscianti che svelano e velano strade.
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Profilo degli alberi secchi,
spezzarsi scrosciante di stecchi,
sul monte ogni tanto gli spari,
e cadono urlando di morte gli animali ignari.
L'autunno ti fa sonnolento,
la luce del giorno è un momento
che irrompe e veloce è svanita,
metafora lucida di quello che è la nostra vita.
L'autunno che sfuma i contorni
consuma in un giorno più giorni,
ti sembra sia un gioco indolente
ma rapido brucia giornate che appaiono lente.
Odori di fumo e foschia,
fanghiglia di periferia,
distese di foglia marcita
che cade in silenzio lasciando per sempre la vita.
Rinchiudersi in casa a aspettare
qualcuno o qualcosa da fare,
qualcosa che mai si farà
qualcuno che sai non esiste e che non suonerà.
Rinchiudersi in casa a contare
le ore che fai scivolare
pensando confuso al mistero
dei tanti "io sarò" diventati per sempre "io ero”.
Rinchiudersi in casa a guardare
un libro, una foto, un giornale,
ignorando quel rodere sordo
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che cambia "io faccio" e lo fa diventare "io ricordo”.
La notte è di colpo calata
c'è un'oscurità perforata
da un'auto che passa veloce
lasciando soltanto al silenzio la buia sua voce.
Rumore che appare e scompare,
immagine crepuscolare
del correre tuo senza scopo,
del tempo che gioca con te come il gatto col topo.
Le storie credute importanti
si sbriciolano in pochi istanti,
figure e impressioni passate
si fanno lontane e lontana così è la tua estate.
E vesti la notte incombente
lasciando vagare la mente
al niente temuto e aspettato
sapendo che questo è il tuo autunno che adesso è arrivato.
Francesco Guccini, Canzone di notte, n. 4 (2012)
Ehi notte che mi arrivi di soppiatto,
notte senza rumori e senza imprese,
ehi notte che ti strusci come un gatto
contro gli angoli più oscuri del paese,
ehi notte che ti insinui in ogni anfratto,
notte pavanese.
Ehi notte che improvvisa sei discesa
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ferina e silenziosa come il lupo
e non permetti difesa né resa
e tutto avvolgi in un mantello cupo,
ehi notte che mi hai avvinto di sorpresa
nel tuo viluppo.
Il fiume muglia sempre laggiù in fondo
e nel silenzio bevi la sua voce:
racconta questo eterno vagabondo
storie del viaggio da sorgente a foce,
ma lo interrompe un camion errabondo
che romba veloce.
Ehi notte che ricalchi l’atmosfera
svagata e dolce di quand’ero bambino
e la battola ritmica sbatteva
in casa giù dai ruoti all’abbaino
e sentivi le macine frusciare
dentro il mulino.
Ehi notte, quante notti ti ho incontrato
quando tutti eravamo ancora ignari
di quel che ci sarebbe capitato,
notti senza traguardi e cellulari,
e immortali avevamo forza e fiato
come corsari.
La notte la lasciavi scivolare
e poi svaniva col primo barlume,
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età acerba e una gran voglia d’andare
a parlare coi boschi e con il fiume,
mentre adesso quel mondo ti scompare
sotto il bitume.
Ehi notte che sussurri lentamente
le rime di poeti ormai scordati:
pagine lette a vuoto, tutto e niente,
giorni e ricordi già dimenticati,
chimici giochi erosi dalla mente
via, frantumati.
Ehi notte, larva oscura di altre notti
rabbiose, fatte a morsi, divorate,
prendendo a gabbo ipocriti e bigotti,
lunghe d’inverno, eterne nelle estati,
chitarre e vino e via come cazzotti,
notti passate.
Ma tutto cambia attorno e già lo sai,
ti gira dentro e fuori la tua età.
E allora notte che mi porterai
rimpianto, quiete, noia o verità?
O indifferente a tutto te ne andrai
senza pietà?
Notte di stelle a correre nel cielo,
o son le nubi che spinte dal vento
sbatacchiano impazzite come un telo
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che cambia forma e posa ogni momento?
E la luna scompare dietro a un velo
d’ombra e d’argento.
Le poche luci accese sulle coste
figurano un presepio di maniera,
immagini animali nelle roste
e voci d’altri tempi e d’altra era,
senti domande, accennano risposte
e una preghiera.
Ehi notte che mi lasci immaginare,
fra buio e luci, quando tutto tace,
i giorni per la quiete e per lottare,
il tempo di tempeste e di bonacce.
Notte tranquilla che mi fai trovare
forse, la pace.
Francesco Guccini, L’ultima Thule (2012)
Io che ho doppiato tre volte Capo Horn
e ho navigato sette volte i sette mari
e ho visto mostri ed animali rari,
l’anfesibena, le sirene, l’unicorno.
Io che tornavo fiero ad ogni porto
dopo una lotta, dopo un arrembaggio,
non son più quello e non ho più il coraggio
di veleggiare su un vascello morto.
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Dov’è la ciurma che mi accompagnava
e assecondava ogni ribalderia?
Dove la forza che ci circondava?
Ora si è spenta ormai, sparita via.
Guardo le vele pendere afflosciate
con i cordami a penzolar nel vuoto,
che sbatton lenti contro le murate
con un moto continuo, senza scopo.
E vedo in aria un’insensata danza
di strani uccelli contro il cielo bigio
cantare un canto in questo mondo grigio,
un canto sordo ormai, senza speranza.
E qui da solo penso al mio passato,
vado a ritroso e frugo la mia vita,
una saga smarrita ed infinita
di quel che ho fatto, di quello che è stato.
Le verità non vere in cui credevo
scoppiavano spargendosi d’intorno,
ma altre ne avevo e giorno dopo giorno
se morivo più forte rinascevo.
E ora son solo e non ho più il conforto
di amici andati e sempre più mi assale
la noia a vuotar l’ultimo boccale
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come un pensiero che mi si è ritorto
Ma ancora farò vela e partirò
io da solo, e anche se sfinito,
la prua indirizzo verso l’infinito
che prima o poi, lo so, raggiungerò.
L’Ultima Thule attende al Nord estremo,
regno di ghiaccio eterno, senza vita,
e lassù questa mia sarà finita
nel freddo dove tutti finiremo.
L’Ultima Thule attende e dentro il fiordo
si spegnerà per sempre ogni passione,
si perderà in un’ultima canzone
di me e della mia nave anche il ricordo.
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