fiscalità - Fisco e Tasse

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fiscalità - Fisco e Tasse
FISCALITÀ
ESTERA n. 3 • 2015
•Aspetti ed elementi contrattuali
•Aspetti fiscali
•Imposte e tasse
•Doganale
•Societario
•Giurisprudenza
•Varie
•Quesiti
FISCALITÀ
ESTERA
Fiscalità Estera
Rivista telematica mensile
Registrata al Tribunale
di Padova n. 1466
del 23-05-2012
Direttore responsabile
Luigia Lumia
Coordinamento scientifico
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Comitato scientifico
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Francesca Romana Bottari
Sara Martucciello
Paolo Battaglia
Progetto grafico
Niki Caragiulo
Canone
di abbonamento annuale
€ 150,00 + IVA
Fiscoetasse s.r.l.
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Indirizzo web
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Tel.
051-223459
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2015
Sommario
ASPETTI ED ELEMENTI CONTRATTUALI
Garanzie bancarie internazionali: autonome o accessorie?.......................................» 4
uu Sara Martucciello
ASPETTI FISCALI
Lavoro estero: la compilazione del Modello Semplificato 770/2015.........................» 6
uu Luigi Rodella
Assunzione cittadino residente in Italia con contratto internazionale........................ »13
uu Ana Maria Pérez Magdalena
MOSS – I cambi sull’applicazione dell’Iva nell’e-commerce.................................... »16
uu Francesca Romana Bottari
Le nuove black list dopo la Legge di Stabilità 2015.................................................. »19
uu Giulio Mazzotti
La fiscalità degli immobili detenuti in Francia........................................................... »24
uu Chiara Porrovecchio
Voluntary Disclosure. Confronto tra VD e nuovo ravvedimento operoso................... »27
uu Paolo Battaglia
DOGANALE
Cina: import-export e adempimenti doganali............................................................ »29
uu Giorgio Riccardi, Lorenzo Riccardi
VARIE
Ungheria: opportunità per fare impresa.................................................................... »32
uu Marco Casanica
Il rendiconto finanziario secondo gli standard internazionali (IAS n.7)...................... »34
uu Alessandro Garlassi, Luca Fornaciari
E-commerce oggi: un canale distributivo per la vendita su Mercati stranieri............. »37
uu Stefano Grigoletti
Il contratto di lavoro................................................................................................. »39
uu Giorgio Riccardi, Lorenzo Riccardi
Investire in paraguay................................................................................................. »43
uu Francesco Capoccia
QUESITI
Domande & Risposte................................................................................................ »45
ASPETTI ED ELEMENTI CONTRATTUALI
Fiscalità estera n. 3 • 2015
Garanzie bancarie internazionali:
autonome o accessorie?
Le garanzie bancarie sono strumenti che nell’ambito di operazioni con
l’estero sono volti a garantire le obbligazioni di un debitore. Più precisamente si parla di garanzie personali, rilasciate da banche per
conto di propri clienti nelle forme
di fidejussione o di contratto autonomo di garanzia. Una garanzia è
personale quando colui che la presta si obbliga, con tutto il suo patrimonio, nei confronti di un creditore all’adempimento di un’obbligazione di un altro soggetto. Rientrando nella categoria dei crediti
di firma, le fidejussioni e le garanzie internazionali non costituiscono un prestito immediato di denaro
da parte della banca, bensì un impegno a far fronte all’eventuale insolvenza o inadempienza del cliente per cui viene richiesta. Di norma
le garanzie sono regolate dal diritto nazionale della banca emittente.
Nell’ambito della legislazione italiana, i rapporti di fidejussione sono
disciplinati dagli articoli che vanno
dal 1936 al 1957 del Codice Civile, nonché dagli articoli 700, 701
e 702 del codice di procedura civile che stabiliscono che il debitore
può impedire alla banca emittente,
in caso di escussione, l’esecuzione
della propria obbligazione. Il Codice Civile all’art. 1936 definisce il fidejussore come “… colui che, obbligandosi personalmente verso il
creditore, garantisce l’adempimento di una obbligazione altrui”. La
fidejussione ha carattere accessorio rispetto all’obbligazione principale e giuridicamente ne segue le
sorti. Il fidejussore può dunque opporre al creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, rifiutando il pagamento qualora il creditore ne abbia il diritto e
non sia in difetto. La garanzia autonoma è una fidejussione atipica
perché completamente astratta, slegata dal contratto tra debitore e creditore e dal rapporto di debito principale. È l’impegno irrevocabile assunto da una banca di eseguire una
prestazione finanziaria a prima richiesta qualora un terzo non assolva una determinata obbligazione, sempreché siano state adempiute le condizioni contenute nel testo
della garanzia. Non possono dunque essere opposte le eventuali eccezioni che avrebbe potuto opporre l’obbligato principale e la banca non può rifiutare il pagamento.
Qualora il fornitore non adempia o
adempia parzialmente agli impegni
assunti contrattualmente, il beneficiario escuterà la garanzia, salvo la
possibilità per il debitore, con tutte le implicazioni del caso, di ricorrere all’art. 700 del nostro Codice
di procedura civile. La garanzia autonoma di pagamento è, per la sua
caratteristica di astrattezza, la forma
più diffusa e preferita dal creditore
in campo internazionale. La garanzia autonoma è però indipendente
dalle norme di cui agli articoli 1936
e seguenti del Codice civile.
Come possono
essere utilizzate
Le garanzie bancarie internazionali possono essere utilizzate come
strumenti alternativi al credito documentario per ridurre il rischio di
credito.
Nonostante i tentativi di rendere
più agevole il recupero crediti, ad
esempio in ambito UE attraverso
l’istituto dell’ingiunzione di pagamento europea, molto spesso il recupero continua ad essere difficile,
dispendioso e con una notevole incertezza in merito al risultato.
Le garanzie bancarie internazionali possono costituire un valida alternativa al credito documentario, soprattutto in due casi:
Sara Martucciello
Avvocato esperto in Diritto Societario. Ha conseguito due Master di specializzazione
presso la Scuola di Formazione Ipsoa in Diritto Societario e Contratti D’Impresa. Vive e
lavora a Salerno dove dal 2006 gestisce in modo autonomo il suo Studio Professionale. Socio e Membro del CDA della Spa Aristea leader nel settore del monouso in plastica con sede legale a Napoli.
Relatrice in Convegni presso Confindustria Salerno e presso il Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Salerno, sull’internazionalizzazione alle imprese, sul tema specifico della
contrattualistica internazionale.
www.studiomartucciello.it
[email protected]
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FISCO e TASSE
Fiscalità estera n. 3 • 2015
• mercati restii all’utilizzo del credito documentario;
•nelle relazioni commerciali in
cui i rapporti di forza non sono a
favore dell’esportatore.
La natura della prestazione della
banca garante, eventuale rispetto
a quanto accade invece nel credito documentario, rende più agevole
l’operazione senza compromettere
l’elemento che più sta a cuore all’esportatore: la pronta risoluzione e la
sicurezza dell’incasso.
Il termine “garanzia bancaria” genera spesso confusione in quanto
con tale espressione ci si può riferire ad istituti che, seppur apparentemente simili e diretti a svolgere la
stessa funzione, possono avere caratteristiche diverse e, soprattutto,
avere una struttura giuridica che diverge completamente. È importante
quindi, a prescindere dalla denominazione, comprendere la struttura
giuridica di riferimento, il contenuto obbligatorio e le modalità operative di una garanzia bancaria, al fine di poter riuscire, di volta in volta, ad individuare in quale “modello” inquadrare lo strumento proposto ed utilizzato.
Bisogna essere certi della natura
della prestazione promessa dalla
banca garante che potrebbe essere:
- sia accessoria (l’esempio classico
è quello della fideiussione bancaria secondo il diritto italiano);
- sia autonoma, cioè svincolata dal
contratto (l’obbligazione del garante sorge direttamente nei confronti del beneficiario).
Soltanto in caso di contratto autonomo di garanzia quindi il beneficiario è realmente sicuro di riuscire ad ottenere, senza complicazioni
ulteriori, il pagamento da parte della banca.
Il contratto autonomo di garanzia
è quel contratto attraverso il quale
un soggetto, garante, si obbliga di-
FISCO e TASSE
ASPETTI ED ELEMENTI CONTRATTUALI
rettamente nei confronti di un beneficiario, al pagamento di una somma predeterminata nel caso in cui
si verifichi un determinato evento,
cioè il mancato o inesatto adempimento dell’obbligazione del debitore principale.
Nonostante la menzione del rapporto principale non si configura
una garanzia con il vincolo dell’accessorietà come in precedenza visto
per la fideiussione ma, all’opposto,
la prestazione è totalmente svincolata, autonoma appunto, in quanto
il rapporto obbligatorio nasce direttamente tra il garante ed il beneficiario ed è verso quest’ultimo che
si crea il vincolo obbligatorio della
banca. Sulla base di una semplice
richiesta di pagamento inoltrata dal
beneficiario al garante, ove si manifesti l’inadempimento (o adempimento inesatto, o parziale, a seconda dei casi) il garante verserà al beneficiario la predeterminata somma
(totale o parziale) di cui all’obbligazione assunta al momento dell’emissione della garanzia.
Quali sono le garanzie
bancarie internazionali
Esistono vari tipi di garanzie bancarie internazionali, esse si distinguono in base a quello che è l’obbligo che viene assicurato, le più usate sono:
• la lettera di garanzia contro il rischio di mancato pagamento
(payment guarantee);
• la garanzia dell’offerta (bid bond);
• la garanzia di esecuzione (performance bond);
• la garanzia di restituzione dell’acconto (advance payment bond).
Le lettere di garanzia o garanzie
contrattuali, chiamate comunemente anche con il termine di fideiussione bancaria, si possono definire
come un impegno, assunto da una
banca, di eseguire una prestazione
a favore di un beneficiario, qualora l’obbligato principale non adempia ai suoi impegni fissati contrattualmente e richiamati nella garanzia stessa.
Nelle operazioni internazionali hanno assunto sempre maggiore
importanza, in quanto l’acquirente
di una merce, il committente di un
servizio ed il fornitore di una merce
– a seconda dei casi – si assicurano
l’adempimento di un obbligo contrattuale assunto dalla controparte.
Le garanzie bancarie possono assumere due diverse caratteristiche,
essere cioè a prima domanda o
fidejus­sorie.
Le garanzie a “prima domanda” sono impegni autonomi, indipendenti
ed astratti rispetto al contratto sottostante da cui traggono origine.
Le garanzie fidejussorie sono, invece, operazioni che dipendono
dal contratto da cui traggono origine, quindi ne seguono le sorti, non
avendo esse una vita propria.
La differenza, dunque, tra la garanzia bancaria e la fideiussione consiste nel fatto che con la prima è
possibile escutere, cioè farsi pagare
dalla banca a prima e semplice richiesta, mentre con la seconda occorre dimostrare di aver adempiuto
ai propri obblighi contrattuali.
A differenza dell’’apertura di credito documentario e delle “stand by
Letter of credit”, le garanzia bancarie non sono regolamentate da una
specifica disciplina internazionale;
più precisamente, le pubblicazioni
elaborate dalla Camera di Commercio Internazionale ed in particolare
la n. 458 “Le Norme Uniformi per
domanda di garanzia” del 1992 non
rappresentano ancora una disciplina uniforme che possa essere accettata a livello internazionale, così
come lo sono invece le norme relative ai crediti documentari e le norme relative agli incassi.
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ASPETTI FISCALI
Fiscalità estera n. 3 • 2015
Lavoro estero: la compilazione
del Modello Semplificato 770/2015
Esame di alcuni aspetti particolari
Introduzione
Con il provvedimento Prot. n.
2015/4793 del 15 gennaio 2015,
l’Agenzia delle entrate ha approvato il modello 770/2015 semplificato,
relativo agli emolumenti corrisposti
nel corso dell’anno 2014. Quest’anno la scadenza è prevista per 31 luglio, sia per la versione semplificata
che per quella ordinaria.
In questi ultimi giorni i datori di lavoro hanno terminato la procedura di trasmissione telematica della
Certificazione unica; questo adempimento ha rappresentato una assoluta novità rispetto al Cud poiché
in precedenza il documento veniva fornito solo al lavoratore; inoltre
il contenuto del documento è stato
ampliato rendendolo quasi una duplicazione del modello 770. Rispetto a questa duplicazione di dati, si
sperava che il modello 770/2015 risultasse più alleggerito; invece ha
mantenuto le vecchie caratteristiche, con qualche ulteriore implementazione.
In questa sede mi limiterei ad affrontare gli adempimenti di carattere fiscale, che riguardano il lavoro
estero, approfondendo alcuni temi
specifici.
Innanzi tutto vorrei evidenziare che
il lavoratore può operare all’estero
per brevi periodi, come nelle ipotesi
di trasferte o missioni; in questi casi,
nell’ambito della certificazione, non
vengono richieste particolari informazioni. Gli emolumenti riconosciuti rientrano nel punto 1 della parte B (Dati fiscali) e gli imponibili si determinano in base a quanto previsto dall’articolo 51 comma 5 del Tuir. Analogo discorso vale gli emolumenti corrisposti ai trasfertisti (art. 51 comma
6 del Tuir) e per gli “assegni di sede”
(articolo 51, comma 8, del Tuir); anche in queste ultime ipotesi, gli importi soggetti rientrano nel punto 1
della parte B (dati fiscali).
Invece, il modello 770 richiede particolari informazioni nelle ipotesi in
cui il lavoro estero venga svolto non
in modo transitorio ma in modo duraturo, come nelle ipotesi di distacco o di trasferimento. In queste circostanze è importante comprendere se il lavoratore rimane residente fiscale in Italia, oppure acquisisce la residenza all’estero o ancora,
se il lavoro viene svolto in un Paese con il quale l’Italia ha stipulato
una convenzione contro le doppie
imposizioni.
In determinati casi, quando il lavoratore rimane residente fiscale in Italia, sorge il problema della duplice
imposizione, con il conseguente credito d’imposta da riconoscersi successivamente al lavoratore, quando
l’imposta estera risulta essere definitiva e quindi non più ripetibile.
Tutte queste particolari ipotesi, richiedono particolari avvertenze affinché l’Erario possa acquisire le informazioni indispensabili per procedere alle verifiche.
Inoltre, la dichiarazione prevede la
gestione di particolari lavoratori per
i quali vengono richieste informazioni ad hoc:
• lavoratori frontalieri;
• retribuzioni corrisposte a dipendenti residenti nel territorio dello Stato
da Enti e Organismi internazionali nonché da rappresentanze diplomatiche e consolari e missioni;
• ricercatori e docenti residenti
all’estero;
• rientro dei cervelli in Italia.
Parte a (dati relativi
al dipendente, pensionato
o altro percettore)
Nei confronti dei lavoratori operanti all’estero si compilano in modo
Luigi Rodella
Consulente del lavoro.
Già Responsabile di “Amministrazione dirigenti e compensation” in Indesit Spa, da oltre
venti anni si occupa della gestione del rapporto di lavoro estero, collaborando con Istituti di formazione alla redazione di pubblicazioni, all’attività di formazione e consulenza
sugli expatriates. Dal 1998 fa parte del Comitato tecnico scientifico della rivista “EUROPER NOTIZIE”, edito da ISPER NOTIZIE, periodico mensile dedicato al personale all’estero, fornendo articoli sulla previdenza e sulla fiscalità dei lavoratori inviati all’estero.
[email protected]
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FISCO e TASSE
ASPETTI FISCALI
Fiscalità estera n. 3 • 2015
specifico i punti 8 (Categoria particolari) ed il punto 10 (Casi di esclusione dalla precompilata).
La tabella SD – categorie particolari – prevede che si debba inserire il
codice L per i dipendenti all’estero.
Nel punto 10 deve essere inserito
il codice 2 qualora siano stati certificati solo dati previdenziali e assistenziali.
Rammento che in taluni casi, qualora il dipendente inviato all’estero,
acquisisca la residenza fiscale nel
Paese estero, qui in Italia non è più
soggetto d’imposta, per cui il datore non è più sostituto d’imposta ma
deve pur sempre versare in contributi previdenziali e assistenziali in
Italia; in questa ipotesi si limiterà a
compilare la parte C del modello
770/2015 (Dati assistenziali e previdenziali).
Lavoratore operante all’estero
e residente fiscale in Italia
Il distacco o il trasferimento all’estero, può avvenire in due modi diversi:
a) La prima ipotesi si riferisce a quei
lavoratori che sono stati distaccati o trasferiti all’estero con un
contratto che prevede la continuità e l’esclusività; inoltre devono
prestare la propria attività all’estero per un superiore a 183 giorni calcolato nell’ambito di dodici
mesi. Per questi lavoratori si applica l’articolo 51, comma 8-bis
del Tuir, che prevede la determinazione dell’imposta sulle retribuzioni convenzionali.
b)L’altra ipotesi riguarda quei lavoratori ai quali non si può applicare il sopra citato articolo 51
comma 8-bis), causa del contrat-
FISCO e TASSE
to non esclusivo/continuativo oppure permanendo all’estero per
periodi inferiori a 183 giorni negli ultimi 12 mesi.
I risvolti pratici sono significativi in
quanto ai primi possiamo applicare una fiscalità quasi sempre privilegiata, che prevede la determinazione delle imposte sulle c.d. “retribuzioni convenzionali”; mentre agli
altri lavoratori che non rientrano nel
comma 8-bis dell’articolo 51 del Tuir, si devono applicare le retribuzioni reali.
In questa sede, affronto gli aspetti
che riguardano la compilazione del
modello 770/2015 in merito alle
ipotesi di determinazione dell’imposta sulle retribuzioni convenzionali, della duplice tassazione nonché la determinazione del credito
d’imposta.
L’articolo 51, comma 8-bis del Tuir,
stabilisce che il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via
continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che,
nell’arco di dodici mesi, soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni
convenzionali definite annualmente con un decreto del Ministero del
Lavoro.
Nella presente ipotesi, il datore di
lavoro dovrà indicare nel campo 1
del modello 770/2015 l’ammontare delle retribuzioni convenzionali
sulle quali sono state calcolate le ritenute fiscali.
Qualora il reddito sia stato prodotto
in più Stati esteri, l’ammontare del
reddito prodotto in ciascuno Stato
sarà stato indicato separatamente
nelle annotazioni della Certificazio-
ne unica 2015, utilizzando la tabella G per individuare il codice Stato.
Nella sezione Annotazioni del modello 77/2015, con il codice AD, si
dovrà riportare:
Codice ANNOTAZIONI. Dati relativi
AD
al reddito prodotto all’estero:
Stato estero (A) Reddito
prodotto……………….
Stato Estero (B) Reddito
prodotto ………………
Voglio evidenziare che nello Stato
estero di destinazione, i medesimi
redditi saranno assoggettati, in base al principio di territorialità, applicando la tassazione prevista nel
loro ordinamento fiscale. Tutto ciò
comporta un duplice assoggettamento: in Italia secondo l’articolo 51, comma 8-bis del Tuir, e nello Stato estero in base alle loro regole interne.
Per evitare il duplice assoggettamento, per questi redditi è prevista
dalla nostra legislazione italiana,
l’attribuzione di un credito di imposta, regolato dall’articolo 165 del
Testo unico.
Le retribuzioni convenzionali
In base a quanto sopra evidenziato,
qualora si perfezionino tutti i requisiti previsti nel comma 8-bis, dell’articolo 51 del Tuir, il datore di lavoro
dovrà determinare la tassazione sui
redditi corrisposti, in base alla c.d.
“retribuzioni convenzionali”.
Le retribuzioni convenzionali vengono determinate applicando le tabelle fissate ai sensi dell’art. 4 della legge 398/1987. Tali importi devono rispecchiare le retribuzioni
nazionali, contenute nei contrat-
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ASPETTI FISCALI
ti collettivi nazionali di categoria,
raggruppati per settori omogenei. Il
Ministero del lavoro con telex prot.
n. 10850 / EI4 – PG – Divisione II –
in data 14 marzo 1990, ha precisato che, per “retribuzione nazionale”
deve intendersi il trattamento mensile determinato dividendo per 12 il
trattamento da contratto collettivo
previsto per il lavoratore, comprensivo degli emolumenti riconosciuti
per accordo fra le parti, con esclusione dell’“indennità estero”.
Compilazione della parte B
del modello 770/2015
Nei confronti di quei lavoratori rimasti fiscalmente residenti in Italia,
il datore di lavoro deve indicare nel
modello 770/2015, al punto 1 della parte B, i redditi soggetti, determinati sulle retribuzioni convenzionali, in base all’articolo 3 della legge 398/1987, per i quali è possibile
fruire della detrazione di cui all’art.
13, commi 1, 2, 3 e 4 del Tuir.
Al punto 11, il sostituto d’imposta indicherà il totale delle ritenute d’acconto che il sostituito dovrà
esporre nella propria dichiarazione
dei redditi. Le ritenute indicate in
questo punto, devono essere esposte al netto delle detrazioni e del
credito d’imposta, eventualmente
riconosciuto per le imposte pagate
all’estero a titolo definitivo, indicate
al successivo punto 114.
Il credito d’imposta previsto
dall’articolo 165 del Tuir
Il lavoratore residente in Italia, ed
operante all’estero, dovrà corrispondere le imposte sia in Italia (determinate sulle retribuzioni convenzionali) che all’estero, determinate
in base alla normativa locale.
In quest’ultima ipotesi, a fronte della duplice imposizione, è prevista al
lavoratore l’attribuzione di un credito di imposta, disciplinato dall’articolo 165 del Tuir.
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Fiscalità estera n. 3 • 2015
Determinazione del credito
d’imposta
È determinato dall’articolo all’articolo 165 del Tuir: commi 1 e 10.
Una importante precisazione, rispetto all’applicazione del comma 10, è stata fornita dell’Agenzia delle entrate, con la risoluzione n. 48/E del 2013; devo rilevare
che quest’anno, questa risoluzione
è stata specificamente citata sia nelle istruzioni alla compilazione della
Certificazione unica 2015, che nelle istruzioni alla compilazione del
modello 770/2015.
L’articolo 165 del Tuir comma 1
prevede:
“Se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi
pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione
dall’imposta netta dovuta fino alla
concorrenza della quota d’imposta
corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito
complessivo al netto delle perdite di
precedenti periodi di imposta ammessi in diminuzione”.
Per fruire del credito d’imposta è indispensabile che:
• Il reddito sia prodotto all’estero
ed esista una doppia imposizione;
• Il reddito estero concorra alla formazione del reddito complessivo
del soggetto residente in Italia;
• Le imposte siano pagate all’estero a titolo definitivo.
ni dell’assoggettamento fiscale, sulla base delle retribuzioni convenzionali.
Articolo 165 Tuir comma 10
La norma prevede che:
“Nel caso in cui il reddito prodotto
all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera va ridotta in misura corrispondente”.
Questa previsione trova dunque applicazione anche in relazione ai
crediti d’imposta riferiti a redditi di
lavoro dipendente, determinati ai fi-
Credito d’imposta –
Compilazione della parte B
del modello 770/2015
Nel modello 770/2015, trovano la
propria collocazione le informazioni sulla determinazione del credito
di imposta, nei confronti dei lavoratori residenti in Italia, sottoposti a
tassazione, sia nel Paese di origine
che in quello di destinazione.
Nel punto 114 deve essere indicato
Risoluzione n. 48/E del 8 luglio
2013
Riporto la conclusione della Risoluzione che di fatto ne riassume il
contenuto:
“In conclusione, per le motivazioni sopra esposte, ai fini del calcolo dell’imposta estera detraibile, si
ritiene più aderente al dettato normativo dell’articolo 165, comma 10,
del Tuir, rapportare il reddito estero,
determinato in misura convenzionale, al reddito che risulterebbe tassabile, in via ordinaria, se la medesima attività lavorativa fosse prestata
in Italia”.
Questa precisazione, comporta
la revisione da parte delle aziende dell’operato sino a questo momento adottato, poiché non avevano mai raffrontato in precedenza
i criteri di determinazione dell’imposta all’estero con le nostre regole interne.
Le istruzioni della Certificazione
unica 2015 dispongono che il sostituto d’imposta, tramite le annotazioni, con il codice AQ, informi il
contribuente che l’imposta estera, è
stata ridotta proporzionalmente al
rapporto tra il reddito estero, determinato in misura convenzionale, ed
il reddito tassabile in via ordinaria,
se la medesima attività venisse svolta in Italia.
FISCO e TASSE
ASPETTI FISCALI
Fiscalità estera n. 3 • 2015
il credito d’imposta eventualmente riconosciuto in occasione delle
operazioni di conguaglio per le imposte pagate all’estero a titolo definitivo.
Relativamente all’importo evidenziato in questo punto, nelle annotazioni (cod. AQ) deve essere data
distinta indicazione di tutti gli elementi utili ai fini del calcolo del credito spettante. In particolare, con riferimento a ciascuno Stato estero ed
a ciascuna annualità in cui il reddito prodotto all’estero è stato assoggettato a tassazione in Italia.
Codice ANNOTAZIONI – Dati
AQ
relativi al credito d’imposta
per i redditi prodotti
all’estero:
- Reddito complessivi
tassato in Italia:
(.................)
- Imposta lorda italiana:
(...........)
- Imposta netta italiana:
(..................)
- L’imposta estera è stata
ridotta proporzionalmente al
rapporto tra il reddito estero,
determinato in misura
convenzionale, ed il reddito
che risulterebbe tassabile,
in via ordinaria, se la
medesima attività lavorativa
fosse svolta in Italia.
Nel punto 115 di nuova istituzione,
il codice stato estero.
Nel punto 116 l’anno di percezione
del reddito estero.
Nel punto 117 Reddito prodotto
all’estero.
Nel punto 118 Imposta estera definitiva.
FISCO e TASSE
Lavoratore operante
all’estero e non più residente
fiscale in italia
In questi casi il datore di lavoro oltre che compilare i punti 8 e 10, sopra citati, dovrà compilare il punto 43, evidenziando il codice Stato estero di residenza da desumere
dalla tabella SG posta in appendice
alle istruzioni della compilazione
del modello 770/2015 (Elenco dei
paesi e territori esteri).
Ricordo che nella Certificazione
unica 2015, oltre al codice Stato estero (punto 43) erano presenti anche i punti: Codice di identificazione fiscale estero (Punto 40);
località di residenza estera (punto 41); via e numero civico (punto 42).
In queste circostanze, il datore di
lavoro italiano, che ha distaccato
un lavoratore all’estero non più residente fiscale in Italia, dovrà indicare l’importo dei redditi prodotti
all’estero esclusivamente nelle annotazioni con il codice BW.
Credo che in questo caso, non
si debba compilare il punto 180
(con codice 3), né il punto 181,
in quanto in questa ipotesi non si
tratta di esenzione da imposizione
perché il percipiente risiede in uno
Stato estero con cui è in vigore una
convenzione per evitare le doppie
imposizioni in materia di imposte
dirette, bensì molto più semplicemente si tratta di un dipendente
non più residente fiscale in Italia.
Codice ANNOTAZIONI – Redditi
BW
esenti da imposizione in
Italia in quanto il percipiente
risiede in uno Stato estero:
importo del reddito esente
percepito (...........)
L’esenzione da imposizione
in base all’applicazione delle
convenzioni internazionali
Occorre evidenziare che la normativa contenuta nelle Convenzioni
internazionali contro le doppie imposizioni, ha la prevalenza rispetto
a quella fiscale interna, per cui, il
sostituto d’imposta che ha rilasciato la Certificazione unica, in caso
di redditi totalmente o parzialmente esenti da imposizione fiscale in
Italia, in quanto il percipiente risiede in uno Stato estero con cui è in
vigore una convenzione per evitare
le doppie imposizioni in materia di
imposte dirette, deve indicare nelle
annotazioni:
Codice ANNOTAZIONI – Redditi
AJ
totalmente o parzialmente
esenti da imposizione in
Italia in quanto il percipiente
è residente in uno Stato
estero con cui è in vigore
una convenzione per evitare
le doppie imposizioni
in materia di imposte
dirette: importo del reddito
totalmente o parzialmente
esentato percepito nell’anno
€ ………………….
Le istruzioni alla compilazione del
modello 770/2015 prevedono inoltre che, in caso di corresponsione
di reddito totalmente o parzialmen-
9
ASPETTI FISCALI
te esente da imposizione fiscale in
Italia, in quanto il percipiente risiede in uno Stato estero con cui è in
vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni in materia
di imposte dirette nei campi “redditi
esenti” 180 (codice) e 181 (ammontare) si dovranno indicare:
• Punto 180 il codice 3, che assume il significato: nel caso di redditi esentati in tutto o in parte in
Italia in quanto il percipiente risiede in uno stato estero con cui
è in vigore una convenzione per
evitare le doppie imposizioni in
materia di imposte dirette;
• Punto 181, deve essere indicato l’ammontare corrispondente
al codice esposto nel precedente punto 180.
Frontalieri
Ai fini fiscali, il Ministero delle finanze ha voluto tracciare la figura
del lavoratore frontaliero indicandone le caratteristiche: quei lavoratori dipendenti che sono residenti in Italia e quotidianamente si recano all’estero (zone di frontiera o
paesi limitrofi) per svolgere la prestazione di lavoro. Non rientrano in
tale previsione le ipotesi di lavoratori dipendenti, anch’essi residenti in Italia che, in forza di uno specifico contratto che prevede l’esecuzione della prestazione all’estero in via continuata e come oggetto
esclusivo del rapporto, previa sistemazione nel ruolo estero, soggiornano all’estero per un periodo superiore a 183 giorni. Per questi ulti-
10
Fiscalità estera n. 3 • 2015
mi lavoratori si applica la tassazione prevista dall’articolo 51, comma
8-bis del Tuir.
I redditi derivanti da lavoro dipendente, prestato all’estero in zone di
frontiera, in via continuativa e come
oggetto esclusivo del rapporto, concorrono per l’anno 2014 a formare
il reddito complessivo, per l’importo eccedente € 6.700.
Giova peraltro ricordare che una
nuova franchigia è prevista dal
1.1.2015, dalla Legge di stabilità
2015 (L. 23 dicembre 2014, n. 190
commi 690-691), che ha elevato i
limiti di esenzione a € 7.500,00.
Qualora esistessero delle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, le eventuali disposizioni ivi previste, si sostituiscono
alla nostra legislazione interna.
Cito a questo proposito le Convenzioni stipulate con Austria e Francia, dove l’articolo 15 prevede che
il reddito percepito per tali prestazioni, sia tassato solo nello Stato di
residenza del lavoratore.
Nella istruzioni alla compilazione
del modello 770/2015 viene previsto che nel punto 175 va indicato l’ammontare dei redditi di lavoro
dipendente, corrisposti al dipendente residente nel territorio dello Stato
che presta in via continuativa la propria attività nelle zone di frontiera e
in altri paesi limitrofi. Tale importo
deve essere considerato al lordo della quota esente (€ 6.700,00).
L’importo da indicare nel campo 175
deve essere considerato al lordo della quota esente di € 6.700,00. Qua-
lora ci fossero somme che eccedessero l’esenzione, le medesime devono essere ricomprese al punto 1 parte
B (dati fiscali) del modello 770/2015.
Rammento inoltre che l’importo riferito alle sole esenzioni deve essere specificato nelle annotazioni con
il codice AE
Preciso inoltre che nel punto 1 devono essere indicate le retribuzioni soggette (Totale delle retribuzioni
imponibili al netto di € 6.700,00);
mentre le “quote esenti” dovranno
essere indicate nelle Annotazioni:
Codice ANNOTAZIONI – Reddito
AE
prodotto in zona frontaliera:
importo della quota esente €
6.700,00
Altre categorie esenti
Anche quest’anno, il sostituto d’imposta è tenuto a certificare nel modello 770/2015 ulteriori categorie di
reddito esente da imposizione fiscale.
- Retribuzioni corrisposte a dipendenti residenti nel territorio delle
Stato da Enti e Organismi internazionali nonché da rappresentanze diplomatiche e consolari e
missioni.
Le istruzioni alla compilazione del
770/2015 prevedono che per tale
esenzione dovrà essere data specifica indicazione nel campo annotazioni utilizzando il codice BQ – Tabella C:
Codice ANNOTAZIONI – Redditi
BQ
totalmente esentati da
contribuzione: importo del
reddito percepito (.....)
FISCO e TASSE
ASPETTI FISCALI
Fiscalità estera n. 3 • 2015
Nel modello 770/2015, nella sezione ALTRI DATI, al campo al campo
180 “Codice” deve essere indicato:
• 4 – in caso di retribuzioni corrisposte a dipendenti residenti nel
territorio dello Stato da enti e Organismi internazionali nonché
da rappresentanze diplomatiche
e consolari e missioni;
• 6 – in caso di somme corrisposte per borse di studio o per attività di ricerca esenti sulla base
di specifiche disposizioni normative (ad esempio per le borse di studio per il dottorato di ricerca corrisposte dalle università e dagli istituti d’istruzione universitaria previste dalla legge 30
novembre 1989, n. 398; le borse di studio per attività di ricerca
post-lauream, previsti dalla legge 210/1998, gli assegni di ricerca previsti dalla legge 240/2010);
• nel caso di erogazione di somme
esenti o che non hanno concorso a formare il reddito imponibile Inail;
• nel caso di erogazione di somme
esenti o che non hanno concorso a formare il reddito imponibile Inps.
Al campo 181 dovrà essere indicato
l’ammontare corrispondente al codice esposto nel precedente punto
180.
Ricercatori e docenti
residenti all’estero
L’articolo 17, comma 1 del d.l.
185/2008, prorogato con il d.l.
FISCO e TASSE
78/2010, ed attualmente prorogato
dalla recente Legge di stabilità per
tutto il 2015, ha previsto incentivi
fiscali volti al rientro in Italia dei ricercatori scientifici residenti all’estero.
Nella ipotesi in cui questi soggetti diventino residenti fiscali in Italia, sono imponibili solo per il 10%,
ai fini delle imposte dirette, e non
concorrono alla formazione del valore della produzione netta dell’imposta regionale delle attività produttive (IRAP). L’incentivo si applica
nel periodo d’imposta in cui il ricercatore diviene fiscalmente residente in Italia e nei tre periodi d’imposta successivi, ferma restando la residenza in Italia. (Così come modificato dalla recente Legge di stabilità 2015).
Nella Certificazione Unica 2015 le
istruzioni prevedono che l’importo
soggetto del 10% dovrà essere indicato nel campo 1; nelle annotazioni, utilizzando il codice BC della tabella C, doveva essere data indicazione dell’ammontare delle somme
che non hanno concorso alla formazione del reddito imponibile (Il
rimanente 90%).
Pertanto nel modello 770/2015 dovrà essere indicato:
• Campo 1 il 10 per cento dei redditi corrisposti;
• Campo 180 deve essere indicato
il codice 1;
• Campo 181, deve essere indicata la rimanente parte di reddito
(90%) che non è stata assogget-
tata ad imposizione, ammontare già indicato nel campo annotazioni della Certificazione unica
2015, tramite il codice BC;
• Nella sezione Annotazioni deve
essere riportato il codice BC.
Codice ANNOTAZIONI – Somme
BC
corrisposte dai docenti
e dai ricercatori che non
hanno concorso a formare il
reddito imponibile, importo
(......). Il 90% delle somme
percepite dai docenti e dai
ricercatori che non hanno
fruito dell’abbattimento
della base imponibile
importo (.......) Per usufruire
dell’agevolazione il
contribuente è tenuto a
presentare la dichiarazione
dei redditi.
Rientro dei cervelli in italia
La legge 238 del 30 dicembre 2010
ha stabilito degli incentivi fiscali,
sotto forma di minor imponibilità
del reddito, per favorire il rientro in
Italia dei cittadini dell’Unione Europea, con esperienze lavorative e di
studio maturate all’estero, utili al rilancio della nostra economia.
Il regime fiscale agevolato prevede
una tassazione ridotta, secondo le
seguenti percentuali:
a)20%, per la lavoratrici;
b)30%, per i lavoratori.
La durata del beneficio è prevista sino al 31 dicembre 2015.
Le istruzioni per la compilazione
della Certificazione Unica, prevedeva che al campo 1 deve essere
indicato il 20% o il 30% della re-
11
ASPETTI FISCALI
tribuzione corrisposta, rispettivamente alla lavoratrice o al lavoratore.
Nel campo Annotazioni, utilizzando il codice BM – tabella C, doveva essere data indicazione dell’ammontare delle somme che non hanno concorso a formare il reddito imponibile (80% o 70% dell’ammontare erogato, rispettivamente alla lavoratrice o al lavoratore, non soggetti ad imposta).
Pertanto nel modello 770/2015 dovrà essere indicato:
• Campo 1 il 20 ovvero il 30 per
12
Fiscalità estera n. 3 • 2015
cento dei redditi corrisposti rispettivamente alla lavoratrice o
al lavoratore;
• Campo 180 deve essere indicato
il codice 2;
• Campo 181, deve essere indicata la rimanente parte di reddito (il
restante 80% o il 70% dell’ammontare erogato, rispettivamente alla lavoratrice o al lavoratore) che non è stata assoggettata
ad imposizione, ammontare già
indicato nel campo annotazioni
della Certificazione unica 2015,
tramite il codice BM;
• Nella sezione Annotazioni deve
essere riportato il codice BM.
Codice ANNOTAZIONI – Somme
BM
che non hanno concorso
alla formazione del reddito
imponibile, importo (.......).
L’80% o il 70% delle somme
percepite rispettivamente
dalle lavoratrici o dai
lavoratori che non hanno
fruito dell’abbattimento
della base imponibile
importo (......). Per usufruire
dell’agevolazione il
contribuente è tenuto a
presentare la dichiarazione
dei redditi.
FISCO e TASSE
ASPETTI FISCALI
Fiscalità estera n. 3 • 2015
Assunzione cittadino residente in Italia
con contratto internazionale
Specificità settoriali
L’attività lavorativa soggetta a contratto collettivo nazionale del lavoro presenta particolari aspetti contributivi e fiscali che devono essere approfonditi qualora detta attività
venga svolta all’estero e/o per conto di soggetto non residente, poiché non è speculare
all’attività che viene svolta in Italia.
Il contribuente italiano che svolgerà attività all’estero deve tenere conto del concetto di
residenza fiscale, della particolare assoggettabilità del contratto di lavoro a contributi
esteri e/o nazionali e delle normative in materia di doppie imposizioni.
Il contribuente dovrà infatti tenere conto della normativa in materia di distacco e/o trasferte all’estero, oppure dovrà valutare se la propria posizione è soggetta a tassazione in
un paese diverso da quello di residenza e pertanto, dovrà attuare la normativa in merito
relativamente a quanto disposto per evitare le doppie imposizioni.
Di seguito viene trattato il caso di un contribuente italiano assunto da società non residente; il contribuente viene assunto con contratto a tempo indeterminato in base al
CCNL dei marittimi, per essere in servizio a terra ma anche sulle navi battenti bandiera estera per lunghi periodi di tempo. Il contribuente mantiene la residenza in Italia, per
motivi affettivi e di famiglia. Si analizzano le particolarità fiscali e contributive relative a
questa fattispecie.
Prima di iniziare l’esame della tassazione dei lavoratori italiani all’estero conviene chiarire il concetto
dello “status” di “residente”, il quale comporta la tassazione della persona fisica sui redditi ovunque prodotti (in Italia e all’estero), salve le
deroghe convenzionali.
Quando la persona fisica deve considerarsi fiscalmente residente in
Italia? L’art. 2 Tuir n. 917/86 così recita:
“Ai fini delle imposte sui redditi si
considerano residenti le persone che
per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel
territorio dello Stato il domicilio o la
residenza ai sensi del codice civile”.
Si ipotizza quindi una situazione
in cui un cittadino residente in Italia e contribuente italiano stipula un
contratto che appartiene alla categoria dei “lavoratori marittimi”.
Tale categoria di lavoratori è disciplinata dal d.lgs. 108/05, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 145
del 24 giugno 2005, più precisamente nell’articolo 2 troviamo anche una definizione ovvero:
“il lavoratore marittimo» è qualsiasi persona facente parte dell’equipaggio che svolge, a qualsiasi titolo,
servizio o attività lavorativa a bordo
di una nave adibita alla navigazione
marittima.
Ana Maria Pérez Magdalena
Spagnola, dopo diverse esperienze professionali all’estero arriva a Trieste nel 1997.
Ha maturato 18 anni di esperienza nel settore della pianificazione e dell’internazionalizzazione
d’impresa, particolarmente nei Paesi dell’Est Europa, dove ha gestito diversi progetti di carattere
imprenditoriale. Tra i paesi “incrociati” nel proprio percorso professionale, caratterizzato da costanti esperienze maturate all’estero, si citano la Russia, la Bulgaria, la Slovenia, la Croazia, l’Ungheria, che l’hanno vista impegnata nel coordinamento di progetti di insediamento, delocalizzazione, sviluppo di Model Farm, creazione di incubatori per le aziende, predisposizione di Studi settoriali di carattere commerciale o servizi di carattere legale/fiscale sul territorio. Ha coordinato e
partecipato anche in qualità di relatrice a convegni e incontri di Studio nel settore dell’internazionalizzazione d’impresa. Ana Maria è amministratore di A.M.I.C.A. Int.nal Services, società di servizi di supporto alle aziende che svolgono attività in ambito internazionale.
FISCO e TASSE
13
ASPETTI FISCALI
La società che lo assume (con contratto di lavoro subordinato) ha la
sede in un altro paese. Al momento non ci interessa capire se detto
paese ha sottoscritto con l’Italia una
convenzione bilaterale in materia di
previdenza sociale, questione che
potrebbe essere approfondita successivamente, qualora fosse opportuno per il caso specifico.
La società non residente che assume il lavoratore italiano inserisce
nel contratto la possibilità/necessità di avvalersi dei servizi del dipendente per lunghi periodi all’estero,
a bordo di navi o simili. Nel contratto non è specificato quale sarà il
periodo di tempo che verrà trascorso all’estero. Il cittadino residente
in Italia, nonostante passi all’estero
lunghi periodi (imprevedibili al momento) manterrà la propria residenza in Italia ai fini fiscali e civilistici
poiché il suo centro di interessi affettivo resta in Italia.
Di seguito si espone un quadro relativo alla fiscalità cui sarà sottoposto
il contribuente che rientra in questa
casistica.
Descrizione normativa
Nell’ordinamento italiano esiste
una particolare previsione tributaria
che consiste nella esenzione fiscale dei redditi da lavoro prodotti da
lavoratori marittimi imbarcati su navi battenti bandiera estera. L’articolo 136 del codice della navigazione italiana (approvato con decreto
n 327 del 30 marzo 1942), specifica che:
“Per nave s’intende qualsiasi costruzione destinata al trasporto per acqua, anche a scopo di rimorchio, di
pesca, di diporto, o ad altro scopo.
Le navi si distinguono in maggiori
e minori. Sono maggiori le navi alturiere; sono minori le navi costiere, quelle del servizio marittimo dei
porti e le navi addette alla navigazione interna.
14
Fiscalità estera n. 3 • 2015
Le disposizioni che riguardano le
navi si applicano, in quanto non
sia diversamente disposto, anche ai
galleggianti mobili adibiti a qualsiasi servizio attinente alla navigazione
o al traffico in acque marittime o interne”.
Le navi italiane in alto mare e in
luogo non soggetto a sovranità di
altro Stato straniero sono considerate territorio italiano (cfr articolo 4).
Se la volontà delle parti non indica
diversamente, l’articolo 9 disciplina
la prevalenza della legge dello Stato della bandiera della nave. Ai fini
fiscali la nave diventa il corrispondente del territorio estero nel quale
il dipendente si reca a lavorare.
La navigazione effettuata su navi
battenti bandiera estera deve essere dimostrata con documentazione
(contratto di arruolamento o ingaggio) vidimata dalla competente Autorità straniera dello Stato ove l’unità è iscritta, e successivamente autenticata dall’Autorità consolare Italiana presente sul territorio estero.
Si precisa al riguardo che documentazione idonea deve considerarsi quella che attesti inequivocabilmente il servizio reso su nave estera e che, comunque, contenga i seguenti elementi:
• le complete generalità del marittimo;
• il suo numero di matricola ed
il Compartimento marittimo di
iscrizione ovvero gli estremi del
documento d’imbarco;
• la data di imbarco e di sbarco;
• la retribuzione effettiva, dettagliata nelle sue componenti, percepita mensilmente;
• la qualifica rivestita a bordo;
• il tipo, l’attività ed il tonnellaggio
della nave estera, sulla quale l’interessato è stato imbarcato.
Il documento anzidetto, ai fini della sua validità, deve essere stato rilasciato dall’armatore ovvero dal
suo rappresentante raccomanda-
tario ovvero dal comandante della
nave. Qualora provenga da persona straniera, l’attestazione deve essere omologata dall’Autorità diplomatica o consolare italiana all’estero oppure dall’Autorità diplomatica o consolare estera in Italia;
in quest’ultimo caso e ad eccezione delle autorità degli Stati membri
della Comunità europea, la firma di
chi ha sottoscritto il documento deve essere legalizzata con marca da
bollo di € 16,00 dalla competente
Prefettura italiana.
Una volta accertata la natura “estera” delle imbarcazioni straniere
(cioè, non battenti bandiera italiana) bisogna analizzare il comma
5 dell’articolo 5 della legge n 88
del 16 marzo 2001, dispone che il
comma 8-bis dell’articolo 51 del
Tuir in deroga alle disposizioni dei
commi da 1 a 8, il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero
in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi
soggiornano nello Stato estero per
un periodo superiore a 183 giorni,
è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza
sociale di cui all’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 31 luglio
1987, n. 317, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre
1987, n. 398.
I lavoratori marittimi percettori del
suddetto reddito non possono in
alcun caso essere considerati fiscalmente a carico e, se richiedono prestazioni sociali agevolate alla pubblica amministrazione, sono comunque tenuti a dichiararlo
all’ufficio erogatore della prestazione, ai fini della valutazione della propria situazione economica.
Quindi possiamo fare una distinzione per l’applicazione del comma 8-bis.
FISCO e TASSE
ASPETTI FISCALI
Fiscalità estera n. 3 • 2015
A chi si applica il comma 8-bis
Il comma 8-bis si rivolge a:
• Persone fisiche fiscalmente residenti in Italia;
• Che svolgono la propria attività
lavorativa, in maniera continuativa ed esclusiva, in un Paese in
cui non esiste una convenzione
che prevede la tassazione esclusiva nel Paese estero;
• Con uno specifico contratto che
prevede l’esecuzione della prestazione in via esclusiva all’estero;
• Dipendenti collocati in uno speciale ruolo estero;
• Permanenza all’estero per un
periodo minimo di 183 giorni
nell’arco di 12 mesi.
A chi non si applica il comma
8-bis
Il comma 8-bis non si rivolge a:
L’art. 5, comma 5, della l. 16 marzo
2001, n. 88 (Disposizioni concernenti i marittimi imbarcati), nell’interpretare il comma 8-bis dell’art.
51 del Tuir, ha sancito che per i marittimi imbarcati su navi battenti
bandiera estera “... non è applicabi-
FISCO e TASSE
le il calcolo sulla base della retribuzione convenzionale, continua ad
essere escluso dalla base imponibile fiscale il reddito derivante all’attività prestata su tali navi per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di dodici mesi...”.
La Circolare del Ministero delle Finanze n 207 del 16 novembre 2000
spiega cosa si intende per “arco di
12 mesi”;
“Per quanto concerne il computo dei giorni di effettiva permanenza del lavoratore all’estero, si fa presente che il periodo da considerare non necessariamente deve risultare continuativo: è sufficiente che
il lavoratore presti la propria opera all’estero per un minimo di 183
giorni nell’arco di dodici mesi. Appare opportuno precisare che il legislatore con l’espressione “nell’arco di dodici mesi” non ha inteso far
riferimento al periodo d’imposta,
ma alla permanenza del lavoratore all’estero stabilita nello specifico
contratto di lavoro, che può anche
prevedere un periodo a cavallo di
due anni solari. Per l’effettivo con-
teggio dei giorni di permanenza del
lavoratore all’estero rilevano, in ogni
caso, nel computo dei 183 giorni, il
periodo di ferie, le festività, i riposi
settimanali e gli altri giorni non lavorativi, indipendentemente dal luogo
in cui sono trascorsi.
Diversamente, sono applicabili le
regole ordinarie per la determinazione del reddito di lavoro dipendente con l’eventuale possibilità di
avvalersi dalla normativa internazionale nel caso in cui, per il combinato disposto dell’articolo 169
del Tuir e dell’articolo 75 del d.P.R.
600/1973, risulti più favorevole di
quella interna.
Resta fermo, comunque, che la normativa non troverà applicazione,
qualora il contribuente presti la propria attività lavorativa in uno Stato
con il quale l’Italia ha stipulato un
accordo per evitare le doppie imposizioni e lo stesso preveda per il
reddito di lavoro dipendente la tassazione esclusivamente nel Paese
estero. In questo caso la normativa
della convenzione prevale sulle disposizioni fiscali interne.
15
ASPETTI FISCALI
Fiscalità estera n. 3 • 2015
MOSS – I cambi sull’applicazione
dell’Iva nell’e-commerce
Problemi pratici da risolvere e domande
per la corretta applicazione
Dal 1° gennaio 2015, in applicazione della Direttiva 2008/8/CE, l’Iva
sulle vendite europee di telecomunicazioni, broadcasting e forniture
di servizi elettronici (Telecomunications, broadcasting electronically
– supplied services TBES) è presa in
carico nel paese in cui il consumatore è collocato.
Il regime Iva che evita al fornitore
di doversi registrare presso ogni Stato membro di consumo è il MOSS
(Mini One Stop Shop). È facoltativo
e possono aderirvi i soggetti passivi identificati ai fini Iva in uno Stato membro dell’Unione europea
e quelli stabiliti al di fuori (il regime non UE). Se un soggetto passivo sceglie di avvalersene, dovrà applicarlo in tutti gli Stati membri. La
decisione presa vincola per l’anno
della decisione e per i due anni successivi.
Il soggetto passivo registrato al
MOSS nello “Stato membro di identificazione” trasmette telematicamente le dichiarazioni Iva trimestrali, in cui fornisce informazioni dettagliate sui servizi di telecomunicazione, teleradiodiffusione ed elet-
tronici prestati a persone che non
sono soggetti passivi in altri Stati
membri (Stati membri di consumo),
e versa l’Iva dovuta. Le dichiarazioni, assieme all’Iva versata, vengono
poi trasmesse dallo Stato membro
di identificazione ai rispettivi Stati
membri di consumo mediante una
rete di comunicazioni sicura.
Nel regime UE, lo Stato membro è
quello in cui il soggetto passivo ha
fissato la sede della propria attività economica. Se la sede della propria attività economica nell’UE non
è stata fissata, si tratterà allora dello
Stato membro in cui dispone di una
stabile organizzazione. I soggetti
passivi che dispongono di più stabili organizzazioni nell’UE hanno
la facoltà di scegliere lo Stato membro di una delle stabili organizzazioni come Stato membro di identificazione.
Nel regime non UE, si può scegliere
qualunque Stato membro come Stato membro di identificazione. In entrambi i casi (regime UE e non UE),
il soggetto passivo può avere solo
uno Stato membro di identificazione e un solo mini sportello unico.
I fornitori dunque non devono registrarsi in tutti e 27 i paesi della UE.
Devono scegliere di operare sotto
l’ampio schema denominato MOSS
Mini One Stop Shop da una sola nazione.
Quali passi devono seguire le imprese?
Ovviamente le imprese ed i loro consulenti fiscali devono identificare innanzitutto il tipo di servizio prestato e capire e decidere se
il servizio prestato è TBES e quindi
rientra nelle nuove regole Iva. Un
esempio se il sito web offre musica
da registrare e il consumatore scarica la musica dalla Francia, la forniture è sotto Iva nel paese di fruizione del servizio cioè la Francia.
Passo successivo, l’impresa deve
identificare chi è il fornitore del servizio. Molti servizi e-commerce sono venduti da piattaforme, uscite
(gateways) o mercati che non è detto che siano i fornitori finali del servizio.
La diretta identificazione del fornitore del servizio – soggetto passivo vale per lo più solo per le grandi
compagnie di fornitura.
Francesca Romana Bottari
Si laurea in Economia e Commercio nel 1985 con il massimo dei voti alla L.U.I.S.S. di Roma, discutendo una
tesi sperimentale in Matematica Finanziaria sulla diversificazione e ottimizzazione del portafoglio investimenti
nel mercato internazionale. Matura una significativa esperienza aziendale lavorando nel Controllo di Gestione di
multinazionali. Come Direttore Finanziario di una nota compagnia aerea, si occupa di Internal Auditing e riorganizzazione amministrativa e attua il processo di privatizzazione per la sede italiana. Si iscrive all’Albo Commercialisti di Roma nel 1989. Matura diverse esperienze professionali all’estero, principalmente per gestire progetti di carattere imprenditoriale. Prima di rientrare in Italia, svolge la propria attività a Tripoli in Libia ove anche
insegna Business Administration. Dal 2007 svolge la propria attività di Commercialista a Roma. Dal 2010 ha
organizzato ed è docente di Business English per Commercialisti alla Fondazione Telos (ODCEC Roma). È relatrice in convegni su tematiche legate all’utilizzo delle metodologie angloamericane di contabilità e controllo ed è
autore di pubblicazioni e articoli su tematiche contabili e fiscali. Oltre alla lingua italiana, parla correntemente,
russo, francese e inglese, quest’ultima conosciuta e utilizzata anche ai fini lavorativi.
[email protected]
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FISCO e TASSE
ASPETTI FISCALI
Fiscalità estera n. 3 • 2015
I piccoli operatori generalmente lavorano spesso senza una piattaforma o un mercato identificabile. Ecco dunque che si rischia di accedere al MOSS senza essere il soggetto passivo che deve registrarsi effettivamente.
Altro punto importante, gli intermediari devono identificare se loro
agiscono come agente principale o
quale agente non dichiarato (undisclosed agent) nella vendita del servizio.
Questo per il fatto che, se sono l’agente principale della fornitura del
servizio, sono loro a cadere sotto la
regola dell’Iva che va applicata nel
paese in cui il servizio viene fornito
e non è il soggetto che ha sviluppato il servizio e lo vende tramite loro
a doversi registrare.
Molto spesso accade infatti che gli
intermediari aiutano gli sviluppatori
nel procedimento di download o di
pagamento, ma ciò non necessariamente deve essere inteso come una
piattaforma digitale o un mercato in
cui il servizio viene reso.
Ecco dunque una lacuna che ci dovrebbe essere colmata: in questo
caso, ci si domanda, quali parametri ed identificativi definiscono chi
rende effettivamente il servizio?
Andando avanti nella analisi delle
problematiche il MOSS comporta a
livello applicativo, c’è anche da sottolineare che ci sono regimi fiscali
in cui ci sono soglie di ingresso al
regime Iva. Ad esempio in UK è fissata la soglia di turnover di 81,000
sterline per aprire la partita Iva, per
le vendite MOSS non è stata prevista la soglia e ciò ovviamente porta problemi a chi è sotto il limite di
81,000 e deve per esempio accedere comunque alla partita Iva.
La guida pubblicata in dicembre
2014 in Inghilterra dà una agevolazione per risolvere questo caso.
È stabilito infatti che se un’impresa
che non ha Iva aperta decide di re-
FISCO e TASSE
gistrarsi per VAT (Iva) e MOSS, potrà
presentare una dichiarazione VAT
pari a zero e recuperare proporzionalmente una parte del VAT a costo
che ha subito. Che si fa in Italia?
Rimane comunque la constatazione
che queste nuove regole non sono
di semplificazione, come scrive l’Agenzia delle Entrate, ma hanno imposto un peso burocratico alle imprese di servizi di fornitura elettronica (TBES).
In un Paese come l’Italia, dove
non c’è una soglia d’ingresso di
Turnover per l’apertura della Partita
Iva, la procedura da seguire è complicata. Le imprese che si registrano
al MOSS, ora partono dalla percentuale Iva applicata in Italia per il servizio, ma poi devono andare a controllare quale è la percentuale corrispondente da applicare nel paese
fra i 27 in cui viene fornito il servizio al consumatore.
Questo significa quindi la necessità di un software che possa traslare
le percentuali Iva italiane con quelle degli altri paesi e che abbia aggiornati e previsti tutti i codici Iva di
tutti i paesi di riferimento.
Ovviamente ciò comporta più lavoro ma anche inevitabilmente più
esposizione all’errore.
C’è un altro grosso problema pratico da evidenziare e per il quale non
ci viene fornita alcuna soluzione. È
il luogo di fornitura del servizio. Come fare affinché possa essere identificato facilmente e con certezza?
La guida all’identificazione del paese di residenza del cliente non offre un pratico aiuto. Infatti il cliente può utilizzare un provider, un
browser che non è locato nello stesso paese in cui il cliente stesso effettivamente risiede. Ecco allora che
l’unico identificativo dovrebbe essere la mail del cliente che dovrebbe essere di appartenenza al paese in cui effettivamente il cliente risiede e che serve dunque ad iden-
tificarne con certezza la residenza
stessa.
Quando registrarsi al MOSS? La registrazione va effettuata entro il
giorno 10 del mese successivo a
quello in cui la vendita tassabile
viene effettuata.
Per quanto tempo vanno mantenute
le registrazioni?
Le registrazioni al MOSS devono essere conservate per 10 anni, a differenza delle registrazioni Iva che
vanno conservate per 6.
Le imprese che optano per il MOSS
devono fare la liquidazione e dichiarazione Iva e in più liquidazione e dichiarazione MOSS.
È molto importante che le imprese
assumano delle politiche commerciali di determinazione dei prezzi
di vendita tenendo conto delle varie percentuali Iva che applicheranno nei vari paesi in cui effettueranno le vendite ai consumatori.
Va di fatti considerato che il carico
Iva varia in ogni paese.
Ci sono dunque due soluzioni o
modificare il prezzo in ogni paese
a seconda della percentuale dell’Iva da applicare, oppure fissare un
prezzo con un “blended VAT rate”,
cioè un prezzo fisso che comprenda
una maggiorazione Iva media, così
che in alcuni paesi l’Iva sarà del tutto compresa nel prezzo di vendita,
in altri paesi il prezzo sarà inferiore all’importo comprensivo dell’Iva
da caricare, perché di percentuale
più alta.
Tutto sommato per esperienza di
campo, mi rendo conto che le nuove regole MOSS potrebbero essere
un deterrente all’internazionalizzazione. Un’impresa che realizza il
98% dei suoi affari con clienti basati in Italia ed effettua solo occasionalmente vendite in altri paesi UE
può decidere di non fare le vendite
UE così da evitare il problema del
MOSS, sempre che si trovi una soluzione definitiva per individuare do-
17
ASPETTI FISCALI
ve sono realmente residenti i clienti (cioè se il sistema della mail è tale
da identificare con certezza la nazione di residenza).
Molte piccole e medie imprese europee hanno già deciso in buona
percentuale di concentrare le vendite EU non nazionali in uno o due
paesi dove il livello di vendita è consistente, registrarsi ai fini Iva solo interni ed ignorare il MOSS. Altre hanno optato per lavorare solo in una
nazione. Il principio quindi comunitario della libera circolazione sembra sia stato ignorato con il MOSS
18
Fiscalità estera n. 3 • 2015
e anzi non viene affatto facilitato.
È pur vero che ogni impresa dovrà
prendere decisioni in merito ed anche celermente. Rendiamoci conto
che l’OECD sta ora predisponendo
guidelines per determinare a livello
internazionale la tassazione Iva nel
luogo di fornitura del servizio. Sono 160 i paesi che hanno Iva, VAT
o GST. Questo vuol dire che l’impresa che commercia sul web potrebbe dover aprire 160 postazioni
contabili Iva, VAT e GST. La Commissione Europea vuole estendere il
principio di tassazione nel luogo di
fornitura a tutti i servizi e poi a tutti i beni e anche alle altre categorie
di forniture. Vale a dire che qualsiasi attività imprenditoriale o professionale applicherebbe l’Iva del paese in cui l’attività è resa. È pur vero
che ci sono paesi come il Sud Africa che già operano secondo questo
principio.
Il lato buono della medaglia sarebbe che se si arrivasse a questa modifica, si eliminerebbe l’attuale problema che si ha nell’identificare se
il servizio è effettivamente di fornitura elettronica TBES o no.
FISCO e TASSE
ASPETTI FISCALI
Fiscalità estera n. 3 • 2015
Le nuove black list dopo la Legge
di Stabilità 2015
Modifiche al regime della deducibilità dei costi
e alla normativa CFC
La Legge di Stabilità ha modificato i criteri di localizzazione territoriale delle norme di
contrasto ai regimi fiscali privilegiati, ma per la concreta attuazione occorre attendere
l’intervento ministeriale
La legge 23 dicembre 2014, n. 190
(“Legge di Stabilità 2015”), con l’articolo 1 commi 678 e 680, modifica in parte i presupposti territoriali
dell’applicazione di due normative
dedicate a contrastare pratiche elusive ed evasive condotte mediante regimi fiscalità privilegiata: l’indeducibilità dei costi sostenuti verso operatori (imprese e professionisti) localizzati nei c.d. “paradisi fiscali” e la disciplina sulle controlled
foreign companies (“CFC”).
Tali modifiche sono state apportate intervenendo sui criteri di individuazione degli Stati e territori a fiscalità privilegiata, indicati dal Ministero delle Finanze mediante i decreti del 21 novembre 2001 (ai fini
della disciplina CFC) e del 23 gennaio 2002 (con riguardo all’indeducibilità dei costi ex articolo 110,
comma 10, del Tuir).
Prima di entrare nel merito delle norme, è interessante osservare come
dette modifiche intervengono su ar-
gomenti che sono al contempo oggetto di revisione nell’ambito della
legge delega di riforma fiscale1.
Peraltro, un riordino dei riferimenti territoriali per le norme di contrasto all’evasione ed elusione internazionale è stato già previsto
nell’ambito della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (“legge finanziaria
per il 2008”), secondo cui, ai sensi dell’articolo 168-bis del Tuir, l’attuale sistema di “black lists” dovrebbe essere sostituito da un elenco di
“Paesi e territori che consentono un
adeguato scambio di informazioni”
(“white list”)2. Secondo tale impo1. La legge 11 marzo 2014, n. 23 “Delega al
Governo recante disposizioni per un sistema
fiscale più equo, trasparente e orientato alla
crescita” prevede, infatti, all’articolo 12,
lett. b), uno specifico intervento sul “regime
di deducibilità dei costi di transazione
commerciale” dei soggetti insediati in Stati
a regime fiscale privilegiato e sul “regime di
imputazione per trasparenza delle società
controllate estere e di quelle collegate”.
2. Al comma 1 dell’articolo 168-bis citato,
infatti, si stabilisce che “Con decreto del
Ministro dell’economia e delle finanze sono
individuati gli Stati e territori che consentono
un adeguato scambio di informazioni, ai
fini dell’applicazione delle disposizioni
contenute negli articoli 10, comma 1, lettera
e-bis), 73, comma 3, e 110, commi 10 e
12-bis, del presente testo unico, nell’art.
26, commi 1 e 5, nonché nell’articolo 27,
comma 3-ter, del decreto del Presidente
della Repubblica 29 settembre 1973, n.
600, e successive modificazioni, nell’articolo
10-ter, commi 1 e 9, della legge 23 marzo
1983, n. 77, e successive modificazioni,
negli articoli 1, comma 1, e 6, comma 1,
del decreto legislativo 1 aprile 1996, n. 239,
e successive modificazioni, nell’articolo 2,
comma 5, del decreto legge 25 settembre
2001, n. 351, convertito, con modificazioni,
dalla legge 23 novembre 2001, n. 410”. Al
comma 2 del medesimo articolo è altresì
previsto che “Con lo stesso decreto di
cui al comma 1 sono individuati gli Stati
e territori che consentono un adeguato
scambio di informazioni e nei quali il
livello di tassazione non è sensibilmente
inferiore a quello applicato in Italia, ai
fini dell’applicazione delle disposizioni
contenute negli articoli 47, comma 4,
68, comma 4, 87, comma 1, 89, comma
3, 132, comma 4, 167, commi 1 e 5, e
168, comma 1, del presente testo unico,
nonché negli articoli 27, comma 4, e 37-bis,
comma 3, del decreto del Presidente della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e
successive modificazioni”. Per una compiuta
descrizione degli effetti dell’atteso passaggio
da un sistema di puntuale individuazione
degli ordinamenti a fiscalità privilegiata
a uno di “esclusione” rispetto agli
ordinamenti ritenuti virtuosi, si rinvia ai vari
Giulio Mazzotti
Laureato con lode in Economia e Commercio presso l’Università degli studi di Firenze,
è Dottore Commercialista iscritto all’ODCEC di Firenze e Revisore legale dei conti dal
2009. Ha conseguito il dottorato di ricerca in “Diritto tributario delle società” presso
l’Università di Roma LUISS Guido Carli nel 2013. Esercita la professione a Roma, presso un prestigioso studio di consulenza legale e tributaria con sedi in Italia e all’estero,
occupandosi di consulenza fiscale e societaria a imprese e gruppi multinazionali italiani ed esteri. Nel corso del 2014 è stato visiting advisor presso la sede di Shanghai di
uno dei più importanti studi legali della Repubblica Popolare Cinese.
e-mail: [email protected]
FISCO e TASSE
19
ASPETTI FISCALI
stazione programmatica, i c.d. “paradisi fiscali” – o “tax havens” – saranno individuati in modo speculare rispetto alle modalità attuali, non
più per espressa menzione, ma per
esclusione dall’elenco di Stati considerati “ordinari”.
Vista la “tempistica” di interevento del legislatore, non si può quindi escludere che le disposizioni in
oggetto possano essere nuovamente
riviste nel prossimo futuro3.
1. La nuova black list per
l’indeducibilità dei costi
sostenuti in Paesi a fiscalità
privilegiata
Come noto, ai sensi dell’articolo
110, comma 10 e seguenti del Tuir, i
costi sostenuti nei confronti di operatori localizzati in Stati o territori a
regime fiscale privilegiato non sono deducibili, salva l’applicazione
di apposite esimenti e tenuto conto
di una disciplina ad hoc in materia
di dichiarazione e di accertamento
per tali oneri.
Con il comma 678 della Legge di
Stabilità 2015 si prevede che “l’individuazione dei regimi fiscali privilegiati è effettuata, con decreto del
Ministro dell’economia e delle finanze, con esclusivo riferimento alla mancanza di un adeguato scambio di informazioni”.
Pertanto, gli Stati e territori inclusi
nella c.d. black list – oggi elencati
nel d.m. 23 gennaio 2002 – dovranno essere individuati solo in base alcontributi elaborati in dottrina; inter alia,
cfr. G. Maisto, Il metodo delle liste positive
(white lists) e negative (black lists) ai fini
dell’imposizione nei rapporti con Stati aventi
regime fiscale privilegiato, in “Saggi sulla
riforma dell’IRES”, Quaderni della Rivista
di diritto tributario, a cura di M. Beghin,
Milano, 2008, p. 291 ss.
3. Si ricorda anche come il regime CFC
sia pure al centro dei lavori di modifica
delle normative contro l’elusione e
l’evasione fiscale sviluppati nel progetto
BEPS promosso dall’OCSE e, in particolare,
costituisce uno dei punti di intervento
delle azioni 1 (con riferimento alla digital
economy) e 3 (la cui pubblicazione è
prevista nell’autunno del presente anno).
20
Fiscalità estera n. 3 • 2015
la mancanza di un adeguato scambio di informazioni, senza più far
riferimento al “livello di tassazione
sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia” né ad “altri criteri
equivalenti”.
Tale intervento era stato da più parti
invocato, vista la finalità della norma in questione e gli annosi problemi che ha comportato – e tutt’oggi
comporta – per le imprese sotto il
profilo degli adempimenti dichiarativi e dell’incertezza derivante dalla necessità di dimostrare condizioni afferenti soggetti che, sovente,
rappresentano soltanto controparti
contrattuali, senza alcun legame di
carattere partecipativo.
Il richiamo al “livello di tassazione”
a cui sono soggette dette controparti costituiva, infatti, un’ipotetica sovrapposizione (per lo più concettuale) con i presupposti della disciplina CFC, rendendo però in tal modo complesso distinguere l’effettiva
finalità e la portata della norma.4
Gli effetti della riduzione dei criteri
di individuazione dei Paesi black list dipenderanno, tuttavia, dall’intervento regolamentare del Ministero
dell’Economia e delle Finanze che
dovrà modificare il d.m. attualmente vigente.5
4. La dottrina ritiene per lo più che la norma
in esame abbia natura essenzialmente
“antievasiva” piuttosto che antielusiva, in
quanto mira a evitare possibili pratiche
fraudolente mediante operatori “opachi” –
la cui identità è difficilmente identificabile
negli ordinamenti “a rischio” – per
l’addebito di costi senza utilità economica
(da cui l’esimente dell’ “interesse effettivo”)
se non addirittura del tutto fittizi per
l’abbattimento della base imponibile. Da
qui, l’esigenza che gli Stati di ubicazione
di tali operatori garantiscano uno scambio
effettivo di informazioni così da evitare
che, dietro a questi ultimi, si celino catene
di controllo o alternativi elementi di
collegamento con i contribuenti italiani.
5. Si ritiene, infatti, che visto l’espresso
rinvio a un apposito decreto ministeriale
da parte del comma 678 della Legge di
Stabilità 2015, nelle more dell’emanazione
di quest’ultimo, la black list di cui al d.m.
23 gennaio 2002 resti vigente, nonostante
i criteri di individuazione degli Stati e
territori ivi elencati siano stati modificati. In
sostanza, la norma in esame non sarebbe
“immediatamente applicabile” senza le
Il Ministero potrebbe, infatti, da un
lato limitarsi ad “aggiornare” l’attuale lista contenuta nel d.m. del
20026 e, per l’effetto, espungere
dall’elenco gli ordinamenti con cui
– nel frattempo per effetto di accordi bilaterali – sia possibile “un adeguato scambio di informazioni”:
in tal caso, l’ambito di applicazione della disciplina ex articolo 110
comma 10 del Tuir sarebbe senz’altro ridotta, dal momento che non
troverebbe più attuazione nei confronti di quei Paesi che, pur avendo
un livello di tassazione ridotto, sono
effettivamente “collaborativi”.
Sotto questo profilo, si può già agevolmente prevedere l’esclusione
dalla nuova black list di alcuni Stati
che, nel corso degli anni, hanno garantito uno scambio di informazioni in virtù di trattati in vigore e che,
per tale motivo, sono già stati inseriti nella white list di cui al d.m. 4 settembre 1996 (in materia di trasferimento della residenza delle persone fisiche): è il caso di Emirati Arabi Uniti, Ecuador, Filippine, Isole
Mauritius e Singapore.
A questi Stati potranno poi aggiungersi quelli che, più di recente, hanno siglato – o debbano a breve siglare – con l’Italia un trattato bilaterale che preveda lo scambio di informazioni in materia fiscale: è il
caso della Svizzera, per esempio,
a cui dovrebbe far seguito la regione amministrativa speciale di Hong
Kong (con cui la relativa convenrelative disposizioni attuative. Sul tema e
sugli effetti delle “nuove black list” cfr. tra
i commentatori, M. Belinazzo, Black List se
non c’è scambio dati, in “Il Sole 24 Ore”
del 23 ottobre 2014; L. Miele, “CFC”, taglio
alla black list, in “Il Sole 24 Ore” del 24
dicembre 2014; G. Rolle, Legge di Stabilità:
quali prospettive per CFC e costi “black
list”?, Corriere Tributario n. 5/2015, p. 341
ss.
6. Per completezza, si rammenta che
all’individuazione degli Stati e dei territori
aventi un regime fiscale privilegiato si era
originariamente provveduto con D.M. 24
aprile 1992, successivamente sostituito
con il D.M. 23 gennaio 2002, modificato
dal D.M. 22 marzo 2002 e dal D.M. 27
dicembre 2002.
FISCO e TASSE
ASPETTI FISCALI
Fiscalità estera n. 3 • 2015
zione è in attesa di essere ratificata)
e, da ultimo, il Principato del Liechtenstein, il Principato di Monaco,
Guernsey e l’Isola di Man, con cui
sono stati raggiunti accordi in tempi
recentissimi7.
D’altro lato, il Ministero potrebbe però seguire un approccio totalmente differente e redigere una
nuova black list basata su un’indagine maggiormente analitica (se non
proprio empirica) degli ordinamenti che dovrebbero garantire lo scambio di informazioni richiesto: in tal
senso, potrebbero risultare compresi nell’elenco dei Paesi “non collaborativi” anche Stati che – pur avendo un significativo livello di tassazione – non garantiscano una collaborazione ritenuta “adeguata” per
mancanza di un trattato bilaterale
ovvero per effetto di trattati risalenti
nel tempo e limitati sul piano dello
scambio di informazioni.
In quest’ultimo caso, potrebbe addirittura prefigurarsi un ampliamento degli Stati e territori inclusi nella
lista nera; d’altro canto, il livello di
approfondimento che una tale analisi comporterebbe sul piano regolamentare rende difficile ipotizzare una pubblicazione della lista in
tempi ragionevolmente brevi, con
l’effetto (non desiderabile) di lasciare in prorogatio la disciplina attualmente vigente.
2. Le novità in materia di
Controlled Foreign Companies
Con il comma 680 dell’articolo 1
della Legge di Stabilità 2015 è stato modificato l’articolo 167, quarto
comma, del Tuir che si occupa di individuare il presupposto territoriale
7. A questo riguardo, si rileva anche come
una significativa “accelerazione” alla
conclusione di trattati per lo scambio di
informazioni sia stata impressa dall’entrata
in vigore della disciplina italiana sul
rimpatrio dei capitali detenuti all’estero da
società e persone fisiche, c.d. voluntary
disclosure, oggetto di analisi in altri
contributi di questa Rivista.
FISCO e TASSE
del regime CFC previsto per le società controllate estere localizzate
in Stati a fiscalità privilegiata.
Come nel caso del regime ex articolo 110, comma 10, sulla deducibilità dei costi, tale norma era stata
(ad oggi solo formalmente) abrogata
dalla legge finanziaria per il 2008,
in base alla quale anche per la disciplina CFC è prevista la sostituzione del sistema della black list con
quello della white list di cui al successivo articolo 168-bis.
Anche in questo caso il legislatore
interviene quindi nelle more della riforma attesa dal 2008, rivedendo la
definizione di “regime fiscale privilegiato” con due importanti novità:
1)da un lato, viene individuata (ed
elevata) quantitativamente la soglia di tassazione ritenuta rilevante per l’applicazione della
norma CFC, che deve essere inferiore al 50 per cento di quella
italiana;
2)dall’altro lato, viene stabilito che
potranno essere individuati, mediante un elenco “non tassativo”
elaborato dall’Agenzia delle Entrate, regimi speciali che consentono di ottenere, anche in Paesi
ritenuti a fiscalità “ordinaria”, un
livello di tassazione inferiore al
50 per cento di quello italiano.
2.1. La soglia di tassazione
rilevante ai fini delle CFC
black list
In base al nuovo comma 4 dell’articolo 167 del Tuir “si considera livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia un
livello di tassazione inferiore al 50
per cento di quello applicato in Italia. Si considerano in ogni caso privilegiati i regimi fiscali speciali che
consentono un livello di tassazione
inferiore al 50 per cento di quello
applicato in Italia, ancorché previsti
da Stati o territori che applicano un
regime generale di imposizione non
inferiore al 50 per cento di quello
applicato in Italia”.
Con l’intervento normativo viene,
quindi, specificata nel testo unico la
soglia ritenuta “critica” ai fini della tassazione per trasparenza delle
società estere controllate – fatta salva naturalmente l’applicazione delle relative esimenti – pari alla metà del livello di tassazione italiano.
Sotto un primo profilo, va detto che
l’attuale formulazione è senz’altro
migliorativa, sia in termini di chiarezza – quindi di certezza applicativa – sia in quanto, elevando la soglia
di riferimento, riduce significativamente il novero dei casi che potenzialmente rientrano nel regime CFC.
Sino a ora, infatti, il riferimento normativo era generico – “livello di tassazione sensibilmente inferiore a
quello applicato in Italia” – e solo
grazie a un preciso ordine del giorno della Camera dei Deputati, il governo e l’Amministrazione finanziaria fissarono tale soglia nel 30 per
cento del livello di tassazione medio applicato in Italia8.
Sul piano operativo, il decreto regolamentare attuativo della novità
in commento – tenuto a modificare la black list del d.m. 21 novembre 2001 – dovrebbe così ridurre il
numero di ordinamenti che ricadono nella disciplina CFC: prima facie, l’innalzamento della soglia di
riferimento al 50 per cento dovrebbe per esempio portare a escludere
Stati come il Sultanato dell’Oman,
Singapore e le Filippine9.
8. Cfr. ordine del giorno approvato dalla
Camera dei Deputati nella seduta del
4 ottobre 2000, durante la quale venne
approvata la legge n. 342 del 2000, con cui
inter alia fu introdotta la disciplina CFC.
9. Si ricorda come anche l’attuale black
list sia stata nel corso del tempo oggetto di
diverse modifiche, al fine di aggiornarla ai
cambiamenti dei Paesi in essa compresi,
che di volta in volta adottavano regimi non
più ritenuti “privilegiati” in base ai suddetti
criteri. E’ il caso, per esempio, di Cipro e di
Malta – a seguito dell’ingresso nell’Unione
Europea – così come pure della Corea
del Sud ovvero, da ultimo, di specifiche
tipologie societarie come le holding del
21
ASPETTI FISCALI
Sotto un secondo profilo, occorrerà
però valutare come il futuro decreto definirà in concreto la soglia di
tassazione inferiore al 50 per cento
e se sarà rivista nel complesso l’individuazione dei regimi a fiscalità
privilegiata. L’attuale black list, infatti, è stata strutturata tenendo conto non solo del livello delle aliquote
vigenti nei diversi Paesi, ma anche
“delle caratteristiche strutturali dei
tributi, la cui applicazione comporti, di fatto, una tassazione inferiore
in capo al contribuente. Esempi di
tali regimi fiscali privilegiati possono
essere quelli che interessano un solo settore economico o determinati
tipi di società”10.
Nel d.m. 21 novembre 2001 il livello della tassazione estera è soltanto uno dei criteri guida per l’individuazione dei regimi a fiscalità privilegiata, assieme alla “mancanza di
un adeguato scambio di informazioni” e ad “altri criteri equipollenti”11;
1929 di diritto lussemburghese, espunte
dall’articolo 3 del d.m. 21 novembre 2001
in virtù del d.m. 16 dicembre 2014.
10. cfr. Ministero delle finanze, circolare n.
207/E del 2000.
11. Sul piano quantitativo, peraltro, il d.m.
21 novembre 2001 prende espressamente
in considerazione, ai fini del computo del
livello di tassazione estera da paragonare con
quello italiano sia le imposte sui redditi sia
l’IRAP. A questo riguardo, l’emanazione del
nuovo decreto ministeriale potrebbe essere
l’occasione per correggere taluni difetti di
natura sistematica che l’evoluzione – talvolta
“disordinata” – della normativa ha fatto
emergere nella disciplina CFC. Il riferimento
all’IRAP, in particolare, rappresenta una
possibile distorsione nel sistema: in primis,
in quanto – come noto – non costituisce
un’imposta sul reddito (bensì un’imposta
reale e non personale), ma a quest’ultima è
correlata per analogie nella determinazione
della base imponibile e, quindi, per
convenienza nell’accertamento; in secundis,
in quanto – più pragmaticamente – in
base alle linee guida dell’Amministrazione
finanziaria, l’IRAP non rileva ai fini
dell’individuazione della soglia (del 50 per
cento) prevista ai fini delle CFC “white list”
e, di conseguenza, sembra incoerente con
la ratio della disciplina antielusiva il fatto
che, invece, concorra all’integrazione del
presupposto delle CFC “black list”; con
riferimento a quest’ultimo punto, cfr. Agenzia
delle Entrate, circolare 6 ottobre 2010, n.
51/E; R. Papotti-N. Saccardo, L’estensione
della disciplina CFC alle società controllate
localizzate in Stati o territori non black list,
Bollettino Tributario, n. 6/2010, p. 428 ss.
22
Fiscalità estera n. 3 • 2015
tali ultimi due criteri restano immutati a seguito della Legge di Stabilità 2015, pertanto anche la nuova
black list dovrà adeguatamente tenerne conto.
Inoltre, sarà necessario valutare l’eventuale impatto del nuovo d.m.
sulla prassi dell’Amministrazione
finanziaria sinora prodotta, ovvero d’altro canto se, e quanto, questa influirà comunque nella definizione dei regimi fiscali privilegiati.
In specie, l’approccio dell’Agenzia
delle Entrate è stato per lo più volto a identificare gli aspetti “sostanziali” della tassazione estera; in tal
modo, le tipologie societarie incluse nella black list ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del d.m. 21 novembre 2001 in quanto soggette a
regimi fiscali “sostanzialmente analoghi” a quelli privilegiati (grazie ad
accordi o provvedimenti dell’amministrazione finanziaria locale) debbono essere valutate guardando all’
“effettivo trattamento fiscale […] in
base a specifiche disposizioni negoziali o amministrative, non essendo
determinanti le previsioni generali
dettate per la categoria societaria di
appartenenza”12.
A parità di condizioni, una data tipologia societaria oggi ritenuta rientrare tra quelle a fiscalità privilegiata (ad esempio in base a un
apposito ruling dell’autorità finanziaria locale) potrebbe, in base
al nuovo d.m., in futuro risultare
esclusa dalla disciplina CFC, nella
misura in cui comporti una tassazione (almeno nominalmente) non
inferiore al 50 per cento di quella
italiana.
Questa conclusione deve però essere confrontata con quanto previsto
nell’ultima parte del nuovo comma
4 dell’articolo 167 del Tuir, aggiunta
dalla Legge di Stabilità 2015.
12. Cfr. Agenzia delle Entrate, circolare 12
febbraio 2002, n. 18/E par. 2.3.
2.2. I regimi “speciali” che
consentono una tassazione
inferiore alla metà di quella
italiana
La seconda parte del comma 680
della Legge di Stabilità 2015, trasfusa nel comma 4 dell’articolo 167
del Tuir, stabilisce che: “Si considerano in ogni caso privilegiati i regimi
fiscali speciali che consentono un
livello di tassazione inferiore al 50
per cento di quello applicato in Italia, ancorché previsti da Stati o territori che applicano un regime generale di imposizione non inferiore al
50 per cento di quello applicato in
Italia. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate viene
fornito un elenco non tassativo dei
regimi fiscali speciali”.
In prima battuta, quest’ultima previsione sembra avere la funzione di
precisare che dovranno considerarsi alla stregua dei regimi “black list”
anche quegli ordinamenti che – presumibilmente attraverso disposizioni specifiche, leggi speciali ad hoc
per determinate categorie di soggetti ovvero provvedimenti di carattere amministrativo – garantiscono un
trattamento più favorevole di quello
considerato “minimo”, pur avendo
in generale i tratti delle legislazioni
fiscali ordinarie13.
Se così fosse, tale previsione avrebbe essenzialmente la funzione di
una “clausola di chiusura” non dissimile da quanto oggi previsto ai
sensi dell’articolo 3, comma 2, del
d.m. 21 novembre 2001 a proposito dei regimi “sostanzialmente analoghi” a quelli privilegiati.
Una lettura più attenta, però, porta
a conclusioni differenti.
In primo luogo, il fatto che sia la
norma stessa ex articolo 167, com13. In quanto, per esempio, prevedono
l’imposizione del reddito sulla base
di aliquote nominali non “meramente
figurative” e comunque pari ad almeno il
13,75 per cento (ossia la metà dell’aliquota
dell’IRES in Italia).
FISCO e TASSE
ASPETTI FISCALI
Fiscalità estera n. 3 • 2015
ma 4, a includere tali regimi “speciali” pare preludere a una sorta di
deroga rispetto a ciò che potrà essere stabilito nella futura black list: in
sostanza, altri criteri (come la sussistenza di accordi per lo scambio
di informazioni) non saranno rilevanti rispetto a regimi che abbiano
il carattere della “specialità”, se al
tempo stesso consentano di ottenere una tassazione inferiore al 50 per
cento di quella italiana.
Di conseguenza, il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate che
contemplerà i “regimi speciali” potrà (teoricamente) del tutto scostarsi dai principi guida della black list,
potendo – in base alla disposizione
di legge – focalizzarsi sulla natura
“non ordinaria” di un certo regime
rispetto quelli “normali”, ammesso
che ciò comporti una tassazione inferiore alla metà di quella italiana.
Inoltre, il fatto che l’elenco redatto dall’Amministrazione finanziaria
avrà carattere “non tassativo” comporterà per i contribuenti un notevole sforzo interpretativo (e quindi operativo), visto che verosimilmente saranno chiamati a una lettura “dinamica” della norma e del
provvedimento, dovendo applicarne i principi in via analogica sugli
ordinamenti di insediamento delle
società controllate.
In secondo luogo, occorrerà poi
valutare se questa categoria di regimi speciali rischi di sovrapporsi
con l’attuale regime delle c.d. CFC
“white list” 14.
14. È noto che l’attuale disciplina CFC,
risultante dalle modifiche apportate dal
d.l. n. 78/2009, prevede due tipi di società
controllate estere soggette al regime
antielusivo della tassazione per trasparenza:
(i) le CFC “black list”, ossia le società
FISCO e TASSE
Da un lato, la modifica in oggetto
allinea la soglia di tassazione estera al di sotto della quale scatta l’imposizione per trasparenza sia per le
CFC black list (in caso di insediamento in un regime fiscale privilegiato) sia per le CFC white list (qualora i proventi siano prevalentemente formati da passive income o ricavi da servizi intercompany): per entrambe sarà pari al 50 per cento di
quella applicabile in Italia.
La differenza sta però nel fatto che
mentre per le CFC black list è il legislatore – tramite il rinvio ai provvedimenti regolamentari o amministrativi – a valutare se il livello di
tassazione estera sia al di sotto della
metà di quello italiano, per le CFC
white list spetta al contribuente calcolare il tax rate della controllata
per verificare se rientri o meno nella disciplina in oggetto.
Dall’altro lato, le società soggette a
regimi speciali individuati dal provvedimento dell’Agenzia delle Entrate si collocherebbero “a metà” tra le
due specie di CFC: potrebbe, infatti,
accadere che una controllata estera
già oggi considerata CFC “white” rientri un domani tra i regimi speciali in base al provvedimento dell’Agenzia delle Entrate. In tal caso, in
base all’articolo 167, comma 8-bis
del Tuir, tale società dovrebbe uscire dal regime delle CFC white list ed
residenti in uno Stato o territorio a regime
fiscale privilegiato, e (ii) le CFC “white
list”, ossia quelle individuate ai sensi del
comma 8-bis dell’articolo 167 del Tuir
che, pur se localizzate in ordinamenti a
fiscalità “ordinaria”, sono sottoposte a una
tassazione inferiore alla metà rispetto a
quella che, corrispondentemente, sarebbe
applicabile in Italia e i cui proventi sono
costituiti per oltre il 50 per cento da passive
income ovvero da ricavi derivanti da servizi
intercompany.
essere invece considerata tra quelle black list, con le relative conseguenze sul piano della dimostrazione delle (diverse) condizioni esimenti mediante l’interpello15.
Tale passaggio potrebbe, tuttavia, risultare complesso – e quindi foriero di incertezze – laddove il regime
speciale non sia tra quelli elencati dal provvedimento dell’Agenzia
delle Entrate, ma debba essere individuato dal contribuente in via analogica. Sul piano operativo, ciò potrebbe dar luogo a difficoltà interpretative, sia per il contribuente sia
per l’Amministrazione finanziaria,
tanto in sede di accertamento quanto nell’analisi degli interpelli disapplicativi del regime CFC16.
15. Le categorie di CFC black list e
white list si distinguono, oltre che per il
diverso presupposto applicativo, anche
per le condizioni esimenti richieste ai
fini della disapplicazione del regime
antielusivo. Infatti, in caso di CFC “black
list” il contribuente deve, alternativamente,
dimostrare – mediante apposito interpello
preventivo all’Agenzia delle Entrate – che:
a) la società controllata svolge un’effettiva
attività commerciale o industriale nel
mercato dello Stato o territorio in cui è
insediata oppure b) che dalle partecipazioni
non consegue l’effetto di localizzare i
redditi in regimi fiscali privilegiati (cfr.
articolo 167, comma 5). Diversamente,
nel caso di CFC “white list” l’esimente da
dimostrare tramite l’interpello consiste nella
prova che “l’insediamento all’estero non
rappresenta una costruzione artificiosa volta
a conseguire un indebito vantaggio fiscale”
(cfr. articolo 167, comma 8-ter).
16. Tali difficoltà potrebbero portare, nella
prassi operativa, a redigere gli interpelli
prospettando addirittura due diverse ipotesi,
quella in cui la società controllata sia
considerata CFC black list e quella in cui
sia considerata CFC white list, ciascuna
con differenti argomentazioni circa la
sussistenza delle esimenti da dimostrare.
È evidente, quindi, come la chiarezza dei
criteri per individuare i “regimi speciali” in
base al provvedimento dell’Agenzia delle
Entrate assuma una rilevanza critica, sia ai
fini della certezza del corretto regime CFC
applicabile sia, non da ultimo, per ridurre
per quanto possibile la complessità degli
adempimenti a carico degli operatori.
23
ASPETTI FISCALI
Fiscalità estera n. 3 • 2015
La fiscalità degli immobili detenuti
in Francia
La tassazione degli immobili in
Francia è sostanzialmente diversa
dal sistema in vigore nel nostro paese. La principale differenza, dalla
quale derivano notevoli conseguenze, consiste nell’inesistenza in Francia di una tassazione basata sul valore catastale del bene così come la
conosciamo noi.
L’imposizione sugli immobili prevede il pagamento di numerose imposte, alcune simili tra loro per natura:
si va dalla Taxe Foncière (tassa fondiaria), alla Taxe d’Habitation (tassa sull’abitazione), all’Impôt de solidarieté sur la fortune (ISF, imposta
di solidarietà sul patrimonio) e, oggi, anche all’imposizione sulle PlusValues Immobilières (plusvalenze
immobiliari) senza esenzione prima
casa per i non residenti.
Lo scopo del presente lavoro è quello di illustrare un quadro sintetico
della fiscalità immobiliare francese
argomentando nei limiti del possibile i diversi principi fiscali alla base del sistema della tassazione di tale Paese.
(formalité fusionnée) che è fissata al
4,8%1 ed è a carico del compratore.
I contratti di locazione di immobili ad uso abitativo non sono invece
soggetti all’obbligo di registrazione
e pertanto non scontano nessuna
imposta di registro.
Generalmente l’investimento immobiliare è effettuato per mezzo di:
- Persona fisica (Personne physique).
- SCI: Società Civile Immobiliare
(Société Civile Immobilière), forma giuridica largamente utilizzata che da la possibilità ad almeno
2 persone di associarsi per acquistare e gestire uno o più beni immobiliari. Tale forma, permette di
abbattere gli inconvenienti legati
all’acquisto di un bene cointestato e consente di vendere più facilmente la propria “quota”.
All’atto dell’acquisto il venditore
deve obbligatoriamente fornire al
compratore al momento della firma
del compromesso di vendita il dossier de diagnostic technique (DDT).
Si tratta un insieme di documenti
che riguardano:
L’imposta di registro
All’atto di acquisto di un immobile localizzato in Francia si è soggetti ad un’unica aliquota di imposta
1. Di cui il 3,60% spetta al Dipartimento
e 1,2% spetta al comune (inoltre il 2,37%
dell’importo spettante al dipartimento viene
versato allo Stato a titolo di “rimborso
spese”).
• l’accertamento del rischio di
esposizione al piombo (CREP);
• l’accertamento indicante la presenza o l’assenza di amianto;
• l’accertamento relativo alla verifica della presenza di termiti
nell’immobile;
• lo stato dell’impianto elettrico;
• l’accertamento circa lo stato degli impianti domestici funzionanti a gas;
• l’esposizione ai rischi naturali e
tecnologici (ERNT);
• il diagnostico relativo ai consumi
energetici (EPB);
• lo stato dell’impianto di recupero
delle acque pluviali (se presente).
All’atto della vendita di un bene immobiliare situato in Francia, le persone fisiche non residenti, devono
designare un rappresentante accreditato dall’amministrazione fiscale francese, per la tassazione delle
plusvalenze immobiliari2.
La plusvalenza (La Plus-Value
Des Particuliers)
Per gli italiani non residenti fiscalmente in Francia, la plusvalenza viene calcolata al momento della vendita e colpisce tutti gli immobili, qua2. A carico della parte venditrice.
Chiara Porrovecchio
Funzionario dal 2006 presso una Agenzia Fiscale. Attualmente svolge attività di Audit
Interno nell’ambito della Direzione Regionale del Piemonte. È stata consulente telefonico tributario presso il Call Center di Torino.
Abilitata all’esercizio delle professioni contabili e alla Revisione legale (tuttavia non esercita poiché pubblico dipendente).
Ricercatore in Economia tributaria e materie giuridico - fiscali dal 2008, anno in cui ha
conseguito il Dottorato presso l’Università degli Studi di Palermo.
Autrice di numerosi articoli per il sito web www.fiscoetasse.com, collabora dal 2013
alla Rivista Fiscalità Estera.
24
FISCO e TASSE
ASPETTI FISCALI
Fiscalità estera n. 3 • 2015
lunque ne sia l’uso (residenza principale, secondaria, immobile locato).
Per gli italiani che invece sono residenti fiscalmente in Francia, la residenza principale non è colpita, al
momento della vendita, da questo
tipo di tassazione mentre ne rimangono assoggettate le vendite che riguardano eventuali ulteriori residenze o immobili locati.
La plusvalenza è uguale alla differenza tra il prezzo di vendita e quello di acquisto; sono deducibili dal
prezzo di vendita, a titolo esemplificativo, le commissioni di vendita, la
manleva d’ipoteca, gli onorari d’architetto, le spese di ristrutturazione
(debitamente documentate con fattura) o in alternativa una percentuale a forfait che può andare fino a un
massimo del 7,5% per le spese di
acquisizione dell’immobile e fino a
un massimo del 15% dell’immobile
per le spese di miglioria, oltre a un
abbattimento fisso di 1.000€.
La tassazione delle plusvalenze immobiliari è cambiata recentemente.
Fino al 31.01.2012 si applicava un
abbattimento del 10% a partire dal
5° anno dall’acquisto dell’immobile; questo abbattimento faceva si
che, indipendentemente dalle altre
condizioni di cui sopra, al 15° anno di acquisto dell’immobile, l’immobile stesso era di fatto esonerato
dalla tassazione della plusvalenza.
Dall’1 febbraio 2012: a partire dal
5° anno di possesso dell’immobile
l’abbattimento è ora calcolato come segue:
- 2% dal 6° al 17° anno;
- 4% dal 18° al 24° anno;
- 8% dal 25° al 30° anno.
L’immobile è pertanto esonerato a
partire dal 30° anno di acquisto del
bene.
A partire dal 01/01/2013 le cessioni
di immobili (e delle quote delle società immobiliari) a titolo oneroso
sono soggette a una tassa sulla plusvalenza istituita seguendo le stes-
FISCO e TASSE
se regole già esistenti per l’IR3. Tale nuova tassa si applica per le plusvalenze immobiliari superiori a
50.000 euro e la percentuale oscilla
tra il 2% ed il 6%.
Taxe Foncière
La Taxe foncière sottopone a imposizione tutti gli immobili costruiti.
Soggetto passivo di tale imposizione è il proprietario del bene.
Nella “Guide pratique du contribuable” si specifica che la TF è
un’imposta diretta locale calcolata
sulla base del 50% del valore locativo cadastrale dell’immobile. Il suddetto valore è teoricamente corrispondente all’ammontare del totale
annuo dell’affitto percepito se l’immobile fosse locato in “condizioni
normali”.
Tale valore viene stabilito ogni anno
dall’Amministrazione. Questo importo viene poi diviso per un coefficiente di rendimento stabilito dalle singole amministrazioni locali e
determinato evidentemente anche
in funzione delle loro necessità di
bilancio. È questa la base imponibile “definitiva” per l’applicazione
dell’aliquota impositiva.
Sempre nella citata Guida si specifica che in tale imposta è compresa
anche l’imposizione sulle “ordures
ménagères” corrispondente alla nostra Tassa sui Rifiuti.
Ad eccezione della quota che fa riferimento alle ordures ménagères,
questa tassa è interamente deducibile dal reddito da locazione: la ragione di tale eccezione risiede nella
possibilità del proprietario di ripetere la tassa sul locatario.
È di tutta evidenza, quindi, che la
Taxe foncière non ha la natura d’imposta patrimoniale ma di Imposta
diretta locale, grazie alla quale le
diverse amministrazioni fanno fronte ai loro bisogni, e questo spiega
anche la facoltà, già ricordata, che
3. Imposta sul reddito delle persone fisiche.
le singole amministrazioni locali
hanno in merito alla determinazione della tassa.
Taxe d’Habitation
Alla Taxe foncière si affianca la Taxe
d’Habitation (Tassa sull’abitazione).
Anche in questo caso siamo di fronte ad un’imposizione diretta locale:
è una tassa che si applica su tutti gli
immobili che hanno destinazione
abitativa, il soggetto inciso è la persona, fisica o giuridica, che ha la disponibilità dell’immobile.
Questa tassa è a carico del soggetto che abita l’immobile, a qualunque titolo lo utilizzi proprietario o
conduttore, ed è dovuta anche nel
caso in cui l’immobile sia dato in
uso gratuito.
La base imponibile si calcola col
medesimo metodo della Taxe foncière, le differenze consistono nella possibilità di utilizzare in detrazione sulla tassa quanto previsto
per carichi di famiglia e, nel caso,
per l’utilizzo come abitazione principale.
Quest’ultima possibilità ci conferma come la Taxe d’Habitation debba essere pagata anche quando il
proprietario dell’immobile vi abiti.
Con l’avviso di pagamento della
Taxe d’Habitation viene notificata anche la richiesta di pagamento della tassa corrispondente al nostro canone RAI (Redevance audiovisuelle).
In generale si può quindi affermare che la Taxe d’Habitation è un’imposta che colpisce, nella sua totalità, le residenze secondarie (immobili “vacants”, si ricorda l’esistenza
di uno sgravio per l’abitazione principale).
La tassa è dovuta da colui che al
1° di gennaio deteneva l’utilizzo
dell’abitazione, anche se nel corso
dell’anno d’imposta l’immobile viene alienato o cambia l’utilizzatore.
In questa situazione la tassa grava
25
ASPETTI FISCALI
comunque su chi deteneva l’immobile al 1° gennaio e, da sottolineare,
per l’intero suo ammontare.
Esenzioni
Le uniche esenzioni previste per la
Taxe d’Habitation, riguardano le situazioni di non abitabilità dell’immobile, caratteristica che deve essere dimostrata dal contribuente (inesistenza di contratti per la fornitura di acqua, gas o energia elettrica,
totale assenza di arredi, evidente e
conclamato stato di degrado che ne
impedisca l’utilizzo) mediante dichiarazione all’Amministrazione. È
sempre il contribuente, mediante
dichiarazione, che deve informare
l’Amministrazione quando l’immobile di sua proprietà viene concesso
in comodato gratuito e si vuole ottenere lo sgravio dalla Taxe d’Habitation imputandola al comodatario.
Entrambe le dichiarazioni devono
essere periodicamente rappresentate se le condizioni previste continuano a sussistere nel tempo.
Impot de solidaritè sur
la fortune (ISF)
È un’imposta progressiva dovuta
dalle persone fisiche sul patrimonio
detenuto, quando il valore netto del
patrimonio è superiore a un determinato ammontare stabilito annualmente4.
L’ISF è dovuta indipendentemente dalla localizzazione dei beni se
i debitori sono fiscalmente domiciliati in Francia ovvero solo sul patrimonio localizzato in Francia se i
contribuenti sono fiscalmente domiciliati all’estero. Le persone fisiche che trasferiscono il domicilio in
Francia sono assoggettate a ISF nei
i cinque anni successivi al trasferimento solo in relazione ai beni situati in Francia a condizione però
che non siano già state fiscalmen4. Attualmente pari a 800.000,00 euro.
26
Fiscalità estera n. 3 • 2015
te domiciliate nel territorio francese nel corso dei cinque anni precedenti5.
L’imposta è calcolata a livello di
foyer fiscal sulla base del valore netto tassabile al 1° gennaio dell’anno
d’imposta. La base imponibile è costituita dall’insieme dei beni, diritti e
valori che compongono il patrimonio alla data del 1° gennaio dell’anno d’imposta in modo da limitare la
deduzione del passivo ai soli debiti afferenti ad attivi imponibili: immobili edificati e non edificati, beni
detenuti in usufrutto, liquidità, investimenti finanziari, beni strumentali
non espressamente esclusi, mobili e
oggetti di antiquariato, automobili e
altri automezzi (aerei e imbarcazioni privati), cavalli da corsa, gioielli,
oro e metalli preziosi.
Non concorrono, in tutto o in parte,
alla determinazione del valore netto tassabile taluni beni come i beni
strumentali (imprese individuali di
cui il contribuente è effettivamente a
capo, partecipazioni non inferiori al
12,5% nella società in cui il contribuente esercita funzioni di direzione), i titoli oggetto di un patto collettivo di conservazione, i titoli relativi alla sottoscrizione del capitale di
PMI o di taluni fondi di capitale rischio, i diritti di proprietà letteraria
o artistica detenuti dal loro autore,
gli oggetti di antiquariato, d’arte o da
collezione e taluni beni rurali.
Le persone fisiche che non hanno domicilio fiscale in Francia non
devono includere nella base imponibile gli investimenti finanziari ad esclusione dei titoli, azioni o
partecipazioni in società non quotate a prevalenza immobiliare (ad
es. le società civili immobiliari –
SCI) in proporzione al valore dei
beni detenuti in Francia dalla società rispetto all’attivo totale della
5. Art. 23 della Convenzione Francoitaliana.
società, le partecipazioni che rappresentano almeno il 50% del capitale di una società e le azioni o
partecipazioni detenute direttamente o indirettamente da persone
giuridiche proprietarie di immobili o diritti reali immobiliari situati
in Francia.
In linea generale, i beni che concorrono alla determinazione della base
imponibile sono valutati in base alle stesse regole previste in materia
di successione, cioè il valore venale stimato al 1° gennaio dell’anno
d’imposta. Per l’immobile adibito
ad abitazione principale è previsto
un abbattimento del 30% del relativo valore venale reale. L’ammontare dell’imposta dovuta è determinata applicando alla base imponibile
le seguenti aliquote:
Fino a 800.000 €
Da 800.000 € a 1.300.000 €
Da 1.300.000 € a 2.570.000 €
Da 2.570.000 € a 5.000.000 €
Da 5.000.000 € a 10.000.000 €
Oltre 10.000.000 €
0%
0,50%
0,70%
1,00%
1,25%
1,50%
Fonti informative:
Sito ufficiale del Ministero delle Finanze: www.economie.gouv.fr.
Sito con informazioni dettagliate
sulle imposte: www.impots.gouv.fr.
Sito Ufficiale della Camera di Commercio di Nice, Antibes, Sophie Antinopolis: www.ccinice.org;
“Tassazione immobili posseduti
all’estero” – con riferimento alla determinazione della base imponibile – profili di doppia imposizione –.
Autore Alessandro Tomeo. Scuola
Superiore Economia e Finanze (tesi
di master in diritto Tributario Internazionale). Anno: 2013;
“Fondamenti di fiscalità immobiliare francese per gli italiani” Autore Mauro Michelini. Anno: 2013.
Pubblicato in Camera di Commercio italiana di Nice, Antibes, Sophie
Antinopolis. www.ccinice.org.
FISCO e TASSE
ASPETTI FISCALI
Fiscalità estera n. 3 • 2015
Voluntary Disclosure. Confronto tra VD
e nuovo ravvedimento operoso
Dal 2013 è stata prevista una sanzione di 258,00 euro nel caso di presentazione entro i 90 giorni successivi alla scadenza del termine. Entro
il 30 settembre 2014, è stato possibile beneficiare delle (ridotte) sanzioni
in caso di utilizzo del Ravvedimento operoso lungo per correggere errori commessi in sede di compilazione del quadro RW del mod. Unico 2014, da effettuarsi con i nuovi
importi delle sanzioni e unicamente per la Sezione II. Il termine ultimo
per sanare Unico 2014 è stato quindi il 29 dicembre 2014 e si è potuto,
entro tale data, scegliere se accedere al vecchio Ravvedimento operoso per sanare le irregolarità commesse in Unico 2014 o se rinviare la sanatoria accedendo alla Voluntary Disclosure. È poi sempre possibile, come precisato dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 11/2010, ricorrere al Ravvedimento operoso
entro il 30 settembre 2015 per regolarizzare gli illeciti riguardanti il quadro RW, purché la violazione non sia
stata già contestata dai verificatori e
applicando le sanzioni secondo le
regole ordinarie.
Il rinnovato Ravvedimento operoso in vigore dal 1 gennaio 2015 ha
cambiato notevolmente lo strumen-
to. Prima delle modifiche introdotte
dalla legge di Stabilità per il 2015,
per poterne usufruire occorreva rispettare determinati limiti di tempo.
Inoltre, era necessario che la violazione non fosse già stata constatata
e notificata a chi l’avesse commessa, che non fossero iniziati accessi,
ispezioni e verifiche e che non fossero iniziate altre attività di accertamento (notifica di inviti a comparire, richiesta di esibizione di documenti, invio di questionari) formalmente comunicate all’autore. Tali preclusioni oggi non operano più
e il ravvedimento non è ammesso
solo a seguito di notifica degli atti di liquidazione e di accertamento (comprese le comunicazioni da
controllo automatizzato e formale
delle dichiarazioni).
Gli errori, le omissioni e i versamenti carenti possono essere regolarizzati eseguendo spontaneamente il pagamento dell’imposta dovuta, degli interessi, calcolati al tasso
legale annuo dal giorno in cui il versamento avrebbe dovuto essere effettuato a quello in cui viene effettivamente eseguito e della sanzione,
ovviamente in misura ridotta.
Nel caso di dichiarazione infedele
la sanzione è pari al 100%, senza
riduzione. Le altre sanzioni minime
per il Quadro RW sono pari al 3%
(o al 6% a seconda se l’omessa dichiarazione riguardi asset presenti in Paesi collaborativi o non collaborativi).
La sanzione ridotta per effetto del
nuovo Ravvedimento operoso è pari ad 1/8 del minimo, se la regolarizzazione avviene entro il termine
per la presentazione della dichiarazione dell’anno in cui è stata commessa la violazione, ad 1/7 del minimo, se la regolarizzazione avviene entro il termine per presentare la
dichiarazione relativa all’anno successivo a quello in cui è stata commessa la violazione, ad 1/6 del minimo, se la regolarizzazione avviene oltre il termine per presentare la
dichiarazione relativa all’anno successivo a quello in cui è stata commessa la violazione. La somma dovuta in caso di Ravvedimento operoso sarà quindi pari al 12,5% della sanzione minima entro il termine
per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del
quale è stata commessa la violazione, al 14,28% della sanzione minima entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello nel
Paolo Battaglia
Esercita la professione di dottore commercialista e revisore contabile in Sicilia presso lo studio da lui diretto dal 1994, con sede a Ragusa, specializzato in pianificazione fiscale e finanziaria. È presidente della Commissione per la consulenza di direzione
aziendale presso l’ODCEC di Ragusa, relatore in convegni su tematiche relative alla pianificazione internazionale di business.
FISCO e TASSE
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ASPETTI FISCALI
Fiscalità estera n. 3 • 2015
Voluntary Disclosure
Dichiarazione infedele: sanzione minima
100% ridotta di 1⁄4 (quindi 75%).
SANZIONI Sanzioni quadro RW:
riduzione alla metà del minimo o riduzione
solo di 1⁄4 (Paesi collaborativi o non
collaborativi)
1/6 o 1/3 della sanzione a seconda che
si aderisca all’invito al contraddittorio o
all’accertamento.
Nuovo Ravvedimento
Dichiarazione infedele: sanzione minima 100% senza riduzione.
Sanzioni quadro RW:
minimo 3% o 6% (Paesi collaborativi o non collaborativi)
1/8 del minimo, se la regolarizzazione avviene entro il termine
per la presentazione della dichiarazione dell’anno in cui è stata
commessa la violazione.
1/7 del minimo, se la regolarizzazione avviene entro il termine per
presentare la dichiarazione relativa all’anno successivo a quello in
cui è stata commessa la violazione.
BENEFICI
12,5% della sanzione minima in caso
di adesione all’invito al contraddittorio
25% della sanzione minima in caso
di adesione all’accertamento
COSTO
1/6 del minimo, se la regolarizzazione avviene oltre il termine per
presentare la dichiarazione relativa all’anno successivo quello in
cui è stata commessa la violazione.
12,5% della sanzione minima entro il termine per la presentazione
della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata
commessa la violazione.
14,28% della sanzione minima entro il termine per la presentazione
della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello nel corso
del quale è stata commessa la violazione (nuova norma).
16,67% della sanzione minima oltre il termine per la presentazione
della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello nel corso
del quale è stata commessa la violazione (nuova norma).
corso del quale è stata commessa la
violazione e al 16,67% della sanzione minima oltre il termine per la
presentazione della dichiarazione
relativa all’anno successivo a quello
nel corso del quale è stata commessa la violazione.
Se paragoniamo quindi i costi della Disclosure, anche Interna, con
quelli del nuovo Ravvedimento
operoso, possiamo notare che con
il primo strumento abbiamo la riduzione a metà delle sanzioni, anche
se a determinate condizioni (in assenza di tali condizioni, se il Paese non è White List) e la possibilità
di definizione ad 1/3 di quanto determinato dall’Ufficio, mentre con
il Ravvedimento operoso abbiamo
una riduzione proporzionale a seconda del momento della sanatoria.
Quindi è opportuno effettuare qualche calcolo di convenienza mettendo a confronto i due strumenti.
Va osservato che l’accesso alla Voluntary Disclosure viene inibito se
28
il contribuente abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni,
verifiche o dell’inizio di qualunque
attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali per
violazione di norme tributarie, relativi all’ambito oggettivo di applicazione della procedura di collaborazione volontaria. Questo non accade con il Ravvedimento operoso
cui, come abbiamo visto, è inibito
l’accesso solo se sono stati notificati
atti di liquidazione o accertamenti
compresi gli avvisi bonari. Per accedere al nuovo Ravvedimento operoso non v’è il termine stringente del
30 settembre 2015, né viene richiesta la mole di documenti prevista
per la disclosure, essendo sufficiente la presentazione della dichiarazione corretta.
Ancora, nel caso di Paesi Black List, in caso di Ravvedimento operoso non si applica la presunzione di
redditività di cui al D.L. 78/2009, in
base alla quale le attività detenute
in Paesi Black List si intendono costituite con redditi sottratti a tassazione e pertanto assoggettabili ad
Irpef in Italia e, in questi casi, l’azione di controllo dell’Agenzia viene posticipata.
Per quanto riguarda il pagamento del
dovuto, mentre con la Collaborazione Volontaria si dovrà pagare in un’unica soluzione o in tre rate mensili (a
scelta del contribuente), con il nuovo
Ravvedimento operoso si dovrà pagare in un’unica soluzione ma sarà ammessa la compensazione, che non è
possibile con la disclosure.
Un aspetto molto importante da valutare, al di là dei calcoli sui costi
complessivi, è che il Ravvedimento
operoso non offre nessun ombrello
penale, a differenza della Voluntary Disclosure che, come vedremo
nel capitolo successivo, fornisce
un’ampia copertura sia per le violazioni tributarie che per quelle non
tributarie (riciclaggio, autoriciclaggio ed evasione tributaria).
FISCO e TASSE
DOGANALE
Fiscalità estera n. 3 • 2015
Cina: import-export e adempimenti
doganali
Il sistema doganale cinese è regolato dalla Customs Law, mentre l’autorità competente
per la gestione dei controlli di sicurezza sulle merci importate o esportate dalla Cina è lo
State Administration of Import and Export Commodity Inspection. Il sistema dei controlli sulle merci in entrata ed in uscita dal Paese rappresenta un notevole ostacolo al commercio internazionale in Cina, tanto per la complessità delle procedure, quanto per la
non completa trasparenza dei metodi adottati nell’espletamento delle stesse. Qualunque bene importato od esportato dalla Cina può essere discrezionalmente sottoposto a
controllo, sulla base di determinati standard, da parte delle competenti autorità. Vi sono
invece alcune categorie di beni per i quali tale controllo è obbligatorio: si tratta delle categorie elencate in una lista predisposta e periodicamente aggiornata dalle autorità competenti.
Il sistema doganale cinese è regolato dalla Customs Law, mentre l’autorità competente per la gestione
dei controlli di sicurezza sulle merci importate o esportate dalla Cina
è lo State Administration of Import
and Export Commodity Inspection
of the PRC (SAQI). Questo organismo governativo per l’effettuazio-
ne delle ispezioni si serve dei propri
uffici decentrati, che fanno capo al
China Commodities Inspection Bureau. Quest’ultimo coordina, infatti, le attività di ispezione dei beni in
entrata ed in uscita dalla Cina e risponde del proprio operato al SAQI.
L’autorità competente a rilasciare
le licenze è il MOFTEC ma, su de-
lega di quest’ultimo, anche i COFTEC (le sedi periferiche del MOFTEC) ed altri enti a livello locale
possono rilasciarle: esse permettono di monitorare l’attività di importazione; attualmente alcune di esse
sono in via di eliminazione al fine
di ottimizzare i flussi commerciali
internazionali.
Giorgio Riccardi
È un dottore commercialista specializzato in aspetti fiscali e regolamentari relativi agli
investimenti esteri nella regione asiatica. Ha conseguito un master in economia presso l’Università UIBE di Pechino e pubblicato con regolarità articoli sulle economie emergenti del Far East. Lavora tra l’Italia e la Cina, occupandosi di diritto commerciale e
tributario e ha maturato una significativa esperienza inerente la pianificazione della fiscalità persone fisiche e giuridiche dall’Italia all’Asia. È socio dello Studio di consulenza
RSA, specializzato in Asia e paesi emergenti ed è membro dell’ordine dei Dottori Commercialisti e del Registro dei Revisori Legali in Italia.
[email protected]
Lorenzo Riccardi
È Professore Associato presso Xian Jiao Tong-Liverpool University. Ha insegnato taxation alla
Tonjin University, Shanghai Jiao Tong e Hult Business School. È un Dottore commercialista specializzato in fiscalità internazionale ed è autore di articoli e saggi su tematiche di vario genere relative agli investimenti stranieri in Asia Orientale. Vive e lavora a Shanghai, dove si occupa di diritto commerciale e tributario, seguendo gli investimenti stranieri in Cina e Sud Est Asiatico. Ricopre il ruolo di sindaco e consigliere per diversi gruppi societari ed è socio dello Studio di consulenza RSA, specializzato in Asia e paesi emergenti. Ha pubblicato Guida alla Fiscalità di Cina, India e Vietnam per Il Sole24Ore ed è membro del Consiglio Direttivo della Camera di Commercio
Italiana in Cina e della Camera Italia-Vietnam. Per Maggioli Editore è responsabile della sezione
Asia del portale Fisco e Tasse.
[email protected]
FISCO e TASSE
29
DOGANALE
La gestione dell’importazione/
esportazione di merci segue un percorso stabilito in base alle seguenti fasi:
• nomina di un agente specializzato per le operazioni commerciali
con l’estero;
• registrazione doganale;
• domanda per le licenze e le quote di import-export;
• firma di un contratto di commercio con l’estero;
• ultimazione delle formalità relative al cambio estero;
• domanda di ispezione per i beni
importati o da esportare soggetti all’ispezione o alla quarantena;
• formalità doganali (dichiarazione
doganale, pagamento di eventuali tariffe doganali, ispezione e
spedizione);
• verifica e cancellazione delle formalità.
La documentazione richiesta per
esportare in Cina è:
1)copia del contratto commerciale;
2)distinta di carico;
3)fattura commerciale (per il computo dei diritti doganali sulla
base del valore delle merci);
4)altro specificatamente richiesto
in base al prodotto (ad esempio
certificati sanitari).
A seconda del tipo di prodotto
possono essere richiesti certificati
emessi nel paese d’origine e/o effettuate delle ispezioni in caso i prodotti da importare in Cina necessitino di superare certificazioni di idoneità.
Il sistema dei controlli sulle merci in
entrata ed in uscita dal Paese rappresenta un notevole ostacolo al commercio internazionale in Cina, tanto
per la complessità delle procedure,
quanto per la non completa trasparenza dei metodi adottati nell’espletamento delle stesse. Qualunque
bene importato od esportato dalla
Cina può essere discrezionalmente sottoposto a controllo, sulla ba-
30
Fiscalità estera n. 3 • 2015
se di determinati standard, da parte delle competenti autorità. Vi sono invece alcune categorie di beni
per i quali tale controllo è obbligatorio: si tratta delle categorie elencate in una lista predisposta e periodicamente aggiornata dalle autorità
competenti.
Come avviene la procedura di controllo? Nel caso delle importazioni,
se le merci rientrano nella citata lista, spetta all’importatore registrare
l’arrivo delle stesse presso l’autorità
competente, e richiedere il rilascio
del certificato che dimostra l’avvenuta ispezione. Senza tale certificato, o in caso di esito negativo dell’ispezione, le merci non possono essere sdoganate.
Nel caso delle esportazioni, la società cinese deve presentare la merce presso l’autorità competente entro un termine antecedente alla data di spedizione, stabilito da questo ultimo. L’esportazione deve avvenire entro 60 giorni dal rilascio
del certificato di ispezione, pena
la necessità di rinnovare la procedura. L’export di beni “pericolosi”
e di sostanze alimentari è soggetto
a previsioni particolarmente severe:
la società interessata deve ottenere una positiva valutazione da parte dell’autorità competente con riferimento all’idoneità del packaging e
dei containers.
A titolo esemplificativo, riportiamo il procedimento di controllo dei
prodotti vinicoli. Innanzitutto l’importazione necessita della preliminare registrazione delle etichette
presso le autorità cinesi competenti: i documenti richiesti dalla General Administration for Quality Supervision and Inspection and Quarantine (“AQSIQ”, ufficio di quarantena)
sono sia relativi al prodotto, come
il certificato di produzione, le modalità di manifattura e dei campioni dello stesso, sia inerenti al produttore italiano (certificati societa-
ri, paese di origine, certificato di registrazione del marchio) che al distributore cinese (business license);
inoltre, sono richieste l’etichetta ed
eventuali addizionali certificati di
qualità. Riguardo le procedure doganali, i documenti necessari sono
i seguenti:
• contratto di compravendita;
• dichiarazione doganale di Import/Export;
• licenze di Import/Export;
• documento di carico;
• fattura di spedizione;
• packing list;
• certificato dell’”AQSIQ”, certificato di origine.
In genere, al fine di velocizzare e semplificare le procedure di
esportazione è possibile per gli
esportatori italiani affidare le pratiche di esportazione (registrazione dell’etichetta compresa) al proprio partner/distributore cinese o
ad un’agenzia di servizi che si occuperà di far tradurre i documenti
in lingua cinese prima di presentarli agli uffici governativi di competenza, poiché pratiche o documenti in lingua inglese non vengono accettati.
In materia di certificazione dei prodotti destinati al mercato cinese è di
fondamentale importanza ricordare il c.d. Compulsory Product Certification System (“CPCS”), un sistema di certificazione obbligatoria relativo alla sicurezza del prodotto, di
recente istituzione, che prevede la
necessità, per alcuni prodotti, di ottenere il c.d. marchio CCC (China
Compulsory Certification) prima di
poter essere importati o commercializzati in Cina.
La lista dei prodotti soggetti a tale
sistema di certificazione viene periodicamente aggiornata.
In particolare dal 2003 è entrato in
vigore in Cina un regolamento che
impone la Certificazione Obbligatoria (China Compulsory Certifica-
FISCO e TASSE
DOGANALE
Fiscalità estera n. 3 • 2015
tes – CCC) per molteplici tipi di prodotti per poter essere importati o
commercializzati in Cina. La procedura per l’ottenimento del marchio
CCC prevede l’esame di campioni di prodotto presso laboratori autorizzati in Cina, la presentazione
di una serie di documenti tecnici,
nonché di ispezioni annuali da par-
FISCO e TASSE
te di funzionari delle autorità cinesi competenti presso gli stabilimenti
del produttore. Interessa un’ampia
serie di prodotti: da quelli elettronici a quelli audio e video, agli apparecchi per le telecomunicazioni, alle automobili, e non appare del tutto conforme con i princìpi di trattamento nazionale, proporzionalità e
trasparenza posti dal Technical Barriers to Trade Agreement del WTO.
L’ente preposto all’amministrazione
di questo tipo di certificati è il Certification and Accreditation Administration of the People’s Republic of
China (CNCA), istituito nel 2002,
alcuni mesi prima dell’ingresso della Cina nel OMC.
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VARIE
Fiscalità estera n. 3 • 2015
Ungheria: opportunità per fare impresa
Le favorevoli condizioni economico sociali, i regimi fiscali vantaggiosi, l’alto rapporto
costo del lavoro/qualifiche professionali e non ultimo la localizzazione permettono lo
sviluppo di imprese sia in fase di startup che nella fase di ricerca di nuovi mercati.
L’Ungheria è collocata in modo
strategico nell’Europa centro orientale, paese con circa 10 milioni di
abitanti, entra a far parte dell’UE il
1 maggio 2004. Tale evento cambia inevitabilmente le sorti economiche ed imprenditoriali dell’Ungheria permettendogli di sfruttare al
meglio le sue potenzialità.
Le favorevoli condizioni economico
sociali, i regimi fiscali vantaggiosi,
l’alto rapporto costo del lavoro/qualifiche professionali e non ultimo la
localizzazione permettono lo sviluppo di imprese sia in fase di startup che nella fase di ricerca di nuovi mercati.
Strutture societarie
La presenza di società di capitali
con personalità giuridica e società
di persone rende il panorama societario molto simile al ns., è possibile
infatti per l’imprenditore poter valutare la miglior veste societaria al fine di sviluppare il suo progetto di
impresa.
Tale scenario societario viene a costituirsi con la classificazione delle
forme societarie stabilito dalla leg-
ge IV del 2006 sulle società entrata
in vigore il 1 luglio 2006.
Tra le forme societarie senza personalità giuridica troviamo:
Società in nome collettivo, acronimo KKT, tale forma societaria comporta l’assunzione della responsabilità solidale ed illimitata della compagine sociale.
Società in accomandita semplice,
acronimo BT, in tale contesto societario come nel ns. ordinamento
esistono soci accomandatari e soci
accomandanti, rispettivamente con
responsabilità solidale ed illimitata
e con responsabilità limitata al capitale sociale conferito.
Tra le forme societarie con personalità giuridica troviamo:
Società a responsabilità limitata,
acronimo KFT, equivalente della
nostra SRL ha la possibilità di essere costituita anche senza pluralità di
soci pertanto come unipersonale, i
soci inoltre possono essere sia persone fisiche che giuridiche. Il capitale sociale minimo al fine di procedere con la costituzione dal 15
marzo 2014 è stato portato HUF
3.000.000 dai precedenti 500.000.
Tale società limita la responsabilità dei soci al capitale sociale conferito.
Società per azioni, acronimo ZRT,
NyRt nel caso la società fosse
pubblica(quotata o non quotata). Tale
forma societaria viene costituita con
capitale sociale sottoscritto e composto da azioni. Anche in questo caso il socio azionista limita la propria
responsabilità al valore delle proprie
azioni. Ai fini della costituzione si necessita per la società ZRT di un capitale minimo di 5.000.000 HUF mentre tale capitale sale a 20.000.000 per
società quotate NYRT
Sistema fiscale
In riferimento al sistema fiscale ungherese la prima impressione è quella di un sistema fiscale semplice, sono previste le seguenti imposte:
- Imposta sui redditi delle società
di capitali, denominata TAO, tale
imposta è calcolata con aliquota fissa del 10% fino alla soglia
di 500 milioni di fiorini, oltre tale
soglia l’aliquota al 19%;
- Imposta sui redditi delle persone fisiche, denominata SZjA, tale
Marco Casanica
Rag. Commercialista. Amministratore di società e socio fondatore dello studio Rosano
Casanica in Rieti. Opera sul territorio nazionale si tematiche prevalentemente di carattere societario e tributario. Ha svolto diverse collaborazioni con professionisti in Uk ed
Ungheria assistendo i clienti nello sviluppo di investimenti in tali paesi. Membro di diverse commissioni dell’ODCEC di Rieti, riveste incarichi di tesoriere in diverse associazioni e fondazioni operanti nel territorio. Vanta esperienza in gestioni di carattere patrimoniale, finanziario e tributario. Svolge inoltre quale CTU del Tribunale di Rieti amministrazioni, custodie e liquidazioni di aziende.
[email protected]
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FISCO e TASSE
VARIE
Fiscalità estera n. 3 • 2015
imposta dal 2011 è determinata
con una flat tax del 16% fino a
2.424.000 fiorini, oltre tale soglia
l’aliquota sale al 20,32%;
- Imposta sul valore aggiunto, denominata AFA, tale imposta prevede tre aliquote del 5%, 18% e
la principale del 27%.
Esistono inoltre due regimi fiscali opzionali studiati per le piccole imprese conosciuti come KATA, destinato ai contribuenti minimi e KIVA al quale possono accedere le piccole società.
L’accesso al KATA è consentito
alle microimprese con fatturato
annuo sotto i 6 mil. di fiorini e
permette di pagare imposte forfettarie nella misura di 25.000 o
50.000 fiorini a seconda delle tipologie di reddito.
L’accesso al KIVA è previsto invece per le società aventi volumi
di affari inferiori a 500 milioni di
fiorini e permette l’applicazione
di una flat tax del 16%;
- Altre imposte.
Imposta sulle donazioni dal 2,5%
al 40%.
Imposta sul gioco d’azzardo dal
25 al 33% sulle vincite.
FISCO e TASSE
Contributi previdenziali 18,5%
in capo ai lavoratori e 27% per
i datori.
Contributo per l’istruzione 1,5%
su retribuzione lorda.
Obblighi fiscali e incentivi
L’esercizio fiscale/contabile in Ungheria coincide con l’anno solare,
la documentazione contabile dei vari esercizi è potenzialmente soggetta
a controllo per gli ultimi 5 anni, tale documenti vanno pertanto mantenuti a disposizione per tale periodo.
I controlli fiscali ai quali i contribuenti possono essere soggetti sono la revisione dell’esercizio in corso e la verifica degli esercizi contabilmente chiusi.
Sul fronte degli incentivi il Ministero
delle Finanze riconosce vari crediti di
imposta in funzione della tipologia di
progetti sviluppati dall’impresa, principalmente sono interessati progetti
che abbiano investimenti rilevanti e
la creazione i nuovi posti di lavoro.
Ricerca e sviluppo, protezione ambientale, nuove tecnologie, risparmio energetico e turismo sono i principali settori per i quali vengono riconosciuti dei crediti di imposta.
Dal 13 febbraio 2013 vengono poi
riconosciuti degli incentivi fiscali per imprese che investono in zone dell’Ungheria libere da imprenditoria, tale intervento finalizzato allo
sviluppo di tutto il territorio e non solo dell’area intorno a Budapest consente alle imprese di avere una detrazione per la formazione del personale dipendente, nonché avere sgravi contributivi per un quinquennio.
Chi può investire in Ungheria?
Allo stato tutti gli operatori economici hanno la possibilità di sfruttare
l’opportunità messa a disposizione
dall’Ungheria in ogni settore, unico
limite attualmente in essere è la impossibilità per gli operatori esteri di
acquistare terreni agricoli, la Costituzione tutela i terreni agricoli poiché considerati patrimonio nazionali da tutelare evitando speculazione sugli stessi.
Tale divieto, oggetto in sede di atto
di adesione alla Comunità Europea
di attenta osservazione poiché limitante in merito alle regole europee
della libera circolazione di capitali, sarà comunque inevitabilmente
rivisto.
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VARIE
Fiscalità estera n. 3 • 2015
Il rendiconto finanziario secondo
gli standard internazionali (IAS n.7)
La rendicontazione della dinamica finanziaria
per le società che applicano i principi contabili
internazionali
A seguito della crisi finanziaria degli ultimi anni, l’attenzione sulle dinamiche finanziarie delle imprese è diventata sempre maggiore anche da parte delle Istituzioni nazionali
ed internazionali. Qualunque azienda che voglia espandere il proprio business all’estero
non ha solo la necessità di calcolare i propri cash flow attesi per valutare la bontà degli
investimenti effettuati ma si trova “costretta” ad evidenziare i propri andamenti di cassa
e patrimonio liquido attraverso la rappresentazione di rendiconti finanziari da redigere
rispettando regole e layout istituzionali.
Le normative nazionali ed
internazionali di riferimento
Le società che redigono il bilancio
d’esercizio applicando la normativa del codice civile, presentano un
documento composto da stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa.
Le società che applicano per facoltà
o opzione i principi contabili internazionali (Reg. UE 1606/2002 e d.lgs.
38/2005) pubblicano un bilancio
composto da stato patrimoniale, conto economico, rendiconto finanziario, prospetto delle variazioni di patrimonio netto e nota integrativa.
Il bilancio IAS compliance pertanto
consente al lettore di approfondire
anche la dinamica finanziaria della
società, informativa che invece non
trova rappresentazione obbligatoria nei bilanci redatti applicando la
normativa nazionale.
Per completezza si evidenzia che i
Alessandro Garlassi
Dottore Commercialista e Revisore Contabile, è membro del Consiglio Direttivo dell’Unione Giovani Commercialisti di Reggio Emilia di cui è anche Presidente della Commissione di Studio. Specializzato in Consulenza aziendale in materia di controllo di gestione e sviluppo internazionale delle
imprese, è il creatore della metodologia di controllo “MMC” ed il Fondatore della start up innovativa Map Managing Control Srl, che si occupa di progetti di Business Plan, nazionali ed internazionali, Controllo e Pianificazione d’impresa, Analisi e Implementazione di Sistemi di Controllo gestione Strategico e Direzionale per il Management.
Scrittore e Pubblicista in numerose riviste specializzate, svolge attività di docenza per l’Ordine dei
Commercialisti di Reggio Emilia e per i principali Istituti di formazione privata e pubblica nazionale.
[email protected]
Luca Fornaciari
Ricercatore a tempo determinato presso il Dipartimento di Economia dell’Università
degli Studi di Parma e docente nei corsi di Programmazione e Controllo, di Controllo e
Sviluppo Internazionale delle Imprese e di Contabilità e Bilancio. È docente per la formazione continua per l’Ordine Dottori Commercialisti di Reggio Emilia e di Parma su tematiche di bilancio, controllo di gestione e fiscalità d’impresa. È autore di numerose pubblicazioni in tema di bilancio, controllo di gestione e fiscalità d’impresa. Dottore Commercialista iscritto all’Ordine di Reggio Emilia e membro della Società Italiana di Storia
della Ragioneria e della European Accounting Association.
[email protected]
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FISCO e TASSE
VARIE
Fiscalità estera n. 3 • 2015
principi contabili nazionali (OIC), da
tempo promuovono la redazione del
rendiconto finanziario anche per le
società che applicano il codice civili. Infatti, il nuovo OIC 10 ne promuove la redazione facoltativa e la
sua inclusione nella nota integrativa.
Tornando alle società che applicano gli IAS/IFRS, queste redigono il
rendiconto finanziario applicando
quanto disciplinato dallo IAS 7.
Da un punto di vista informativo, questo documento risulta complementare al conto economico. Quest’ultimo
infatti descrive la determinazione del
risultato d’esercizio, informando sulla dinamica economica dell’impresa.
Il rendiconto finanziario, invece, contrappone le entrate alle uscite, informando il lettore sulla dinamica finanziaria della società.
In generale, il rendiconto finanziario descrive l’evoluzione di una specifica risorsa finanziaria/monetaria,
illustrando le cause che ne giustificano la variazione nel tempo.
In particolare, lo IAS 7 individua le
disponibilità liquide e quelle equivalenti come risorsa di riferimento
del rendiconto finanziario.
Secondo lo IAS 7, le “disponibilità liquide ed equivalenti” risultano
dalla somma algebrica:
- della cassa e i depositi a vista;
-degli investimenti finanziari a
breve termine, ad alta liquidità,
prontamente convertibili in cassa
e soggetti a un irrilevante rischio
di variazione del loro valore;
- degli scoperti bancari rimborsabili a vista.
Il principio prevede inoltre di illustrare le variazioni di tale risorsa di
riferimento classificandole in:
- attività operative;
- attività di investimento;
- attività di finanziamento.
Le Attività Operative
In questa classe, lo IAS 7 prevede di
illustrare tutti i flussi finanziari che
FISCO e TASSE
derivano dall’attività caratteristica
dell’impresa.
La sintesi dei flussi dell’attività operativa sono un indicatore importante per valutare se il core business
dell’azienda assorbe o produce liquidità. In particolare, questo indicatore sintetizza anche la capacità
dell’azienda di far fronte alle uscite
per investimenti e finanziarie.
Esempi di tali flussi sono:
- gli incassi per la vendita di prodotti e la prestazione di servizi;
- gli incassi da compensi, royalties
e altri ricavi;
- i pagamenti ai lavoratori per le
loro prestazioni;
- gli incassi e i pagamenti per i risarcimenti ricevuti e corrisposti,
nonché per i premi pagati;
- il pagamento e l’incasso sulle imposte sul reddito inerenti l’attività caratteristica;
-tutti i pagamenti derivanti da
contratti stipulati a scopo commerciale e di negoziazione;
- i pagamenti ai fornitori di merci e
servizi.
Lo IAS 7 fa rientrare anche in tale
categoria gli incassi ed i pagamenti inerenti le operazioni su titoli mobiliari posseduti al solo scopo commerciale o di negoziazione.
La determinazione del flusso di cassa dell’attività operativa può essere
determinato secondo due metodi.
Il metodo diretto, che risulta il preferito in quanto maggiormente informativo, descrive analiticamente tutte
le entrate e le uscite dell’attività operativa classificandole per natura.
Il secondo è invece il metodo indiretto che, partendo dal risultato d’esercizio, elimina tutti i costi ed i ricavi non monetari ottenendo il flusso di capitale circolante dell’attività operativa. A questo occorre poi
sommare o sottrarre le variazioni del capitale circolante netto. In
particolare, l’aumento delle attività
correnti e la diminuzione delle pas-
sività correnti vanno a ridurre il flusso di capitale circolante dell’attività operativa e la riduzione delle attività correnti e l’aumento delle passività correnti vanno ad incrementare il flusso di capitale circolante
dell’attività operativa.
I due metodi portano al medesimo
risultato ma quello diretto, illustrando la natura dei flussi finanziari, risulta più informativo ed utile per i
destinatari del bilancio.
Le attività di investimento
In tale ambito rientrano tutti i flussi
finanziari che derivano dalle operazioni di acquisto e cessione di immobilizzazioni immateriali e materiali e di strumenti finanziari in generale.
Questa informazione è importante poiché esprime la misura in cui i
costi sono stati sostenuti per acquisire risorse destinate a produrre futuri proventi e flussi finanziari.
Esempi di flussi finanziari da attività
di investimento possono essere:
- i pagamenti per acquisire immobili, impianti, macchinari, marchi, brevetti e altre attività ad utilità pluriennali;
- le entrate per la vendita di beni di
cui al punto precedente;
- i pagamenti per l’acquisto di partecipazioni e titoli;
- le entrate per la vendita di strumenti finanziari;
- il pagamento per l’acquisto di
strumenti derivati;
- le entrate dalla vendita di strumenti derivati;
- gli incassi di dividenti e interessi
attivi derivanti da partecipazioni
e titoli posseduti.
Lo IAS 7 precisa che, se i contratti
derivati sono stati acquisiti a fini di
copertura, il flusso finanziario ad essi connesso (uscita e/o entrata) deve essere iscritto in modo coerente ai flussi derivanti dal sottostante.
Pertanto se quest’ultimo riguarda at-
35
VARIE
tività operative, allora anche i flussi
del derivato di copertura deve essere
iscritto tra queste attività.
Le attività di finanziamento
In questa categoria rientrano tutti i flussi finanziari che riguardano
la gestione delle risorse finanziarie.
Nello specifico si tratta delle entrate e delle uscite di risorse derivanti
dalla gestione dei rapporti con i finanziatori e con i soci.
Queste informazioni sono utili nella
previsione di richieste sui futuri flussi finanziari da parte di chi fornisce i
capitali alla società.
Esempi di flussi da classificare tra le
attività di finanziamento sono:
- gli incassi derivanti dall’emissione
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Fiscalità estera n. 3 • 2015
di azioni o altri strumenti rappresentativi del capitale di rischio;
- i pagamenti ai soci derivanti dalla riduzione del capitale sociale;
- gli incassi che derivano dall’emissione di obbligazioni, prestiti e di altri strumenti di finanziamento a breve termine;
- i pagamenti per il rimborso di
prestiti;
- i pagamenti per la riduzione delle passività esistenti a leasing finanziari;
- i pagamenti di dividenti ed interessi passivi sui finanziamenti ricevuti;
- gli incassi per l’accensione di finanziamenti a lungo termine e di
mutui.
Tutti i flussi illustrati tra le attività
di investimento e di finanziamento devono essere iscritti ricomprendendovi anche gli oneri accessori sostenuti. Ad esempio, all’uscita
per l’acquisto di una partecipazione deve essere sommata la commissione bancaria sostenuta per
l’acquisto. L’entrata derivante dalla vendita di un titolo va indicata
al netto della commissione bancaria pagata per l’operazione di cessione.
I flussi finanziari inerenti alle imposte sul reddito devono essere classificati tra i flussi dell’attività operativa, a meno che possano essere specificati con l’attività di finanziamento e di investimento.
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VARIE
Fiscalità estera n. 3 • 2015
E-commerce oggi: un canale distributivo
per la vendita su Mercati stranieri
L’Italia è oggi considerata un Paese emergente in fatto di e-commerce. La penetrazione è
ancora ridotta ma i tassi di crescita molto elevati. Esistono cioè ampi spazi di crescita in
questo settore, visti i trend positivi a livello globale ed europeo e le performance che lo shopping online sta registrando nei Paesi nostri Partner. Il Mercato dell’e-commerce, soprattutto
straniero, è un Mercato che cresce e che, in buona parte, è fatto anche di e-shopper attenti al Made in Italy. Oggi le nostre aziende possono intercettare questa Domanda straniera e
cogliere l’opportunità di vendere online all’estero. Esistono tanti strumenti e servizi accessibili, che permettono di mettere in campo progetti incrementali ma sempre con un’ottica di
medio periodo, facendo leva sulla nostra caratteristica specializzazione e qualità.
L’e-commerce nell’Economia
globalizzata
Contrariamente agli andamenti “relativamente” negativi dell’economia globale prima e, in parte ancora oggi, Europea l’e-Commerce ha
continuato a segnare tassi di crescita importanti, tali da rendere il canale sempre più strategico per le
imprese.
Nel 2013 il volume di affari generato a livello globale dall’e-commerce
ha superato i 1.170 miliardi di Euro e soprattutto ha registrato un tasso di crescita di oltre 13 punti percentuali sul 2012 (dati Netcomm).
L’Europa, con un volume di 363 miliardi di Euro nel 2013, di tutto rispetto se confrontato con il 333 miliardi di Euro di volume registrato
nell’America Settentrionale, segna
un +16,3% sul 2012 a dimostrazio-
ne di come il terreno del commercio digitale attorno a noi sia particolarmente fertile. In Europa, in effetti, degli oltre 800 milioni di residenti circa 1/3 sono e-shopper, oltre
260 milioni al 2013.
Paese che vai, e-commerce
che trovi
Esistono ad oggi diverse disparità tra
Paesi in cui l’e-commerce è considerato maturo e Paesi dove l’acquisto online sta vivendo una prima fase di sviluppo. La maturità dell’ecommerce incide soprattutto sulla
penetrazione che hanno gli acquisti online sul totale degli acquisti, in
particolare retail.
Ad esempio, nei Paesi dove l’ecommerce è in assoluto più maturo
come UK, USA, Corea e Giappone,
si hanno tassi di penetrazione com-
presi tra l’11% e il 15% sul totale
delle vendite retail e tassi di crescita percentuali nell’intorno del 10%
all’anno.
Guardando al nostro Paese e ai partner commerciali europei, la penetrazione in Italia è solo del 3,5%
contro il 14% in UK, il 9% in Germania e il 7% in Francia. Il valore
del mercato e-commerce italiano
rappresenta solo 1/7 di quello UK,
1/5 di quello tedesco e 1/3 di quello
francese. L’italia è quindi considerata un Paese “emergente” in termini
di e-Commerce e il settore è in pieno sviluppo: infatti, nel 2014 il mercato e-commerce B2C italiano (Business to Consumer, vendita di prodotti destinati al consumatore finale) ha registrato un volume di affari
di 13,3 miliardi di euro spinto da un
significativo +17% sul 2013.
Stefano Grigoletti
Consulente e formatore in Marketing B2B, strategico e mobile. Certified Social Marketing Associate (CSMA) e Certified Mobile Marketer (CMM) presso eMarketing Association
(U.S.). Lavora come consulente marketing presso aziende di diversi settori ed in particolare dei servizi di Information Technology Business to Business, Calzaturiero, Design e Arredo urbano. Dal 2013 segue il progetto SportelloMarketing.com inerente a nuovi servizi di
digital e mobile marketing per PMI. Professore a contratto per l’insegnamento di Economia
e Gestione delle Imprese alla Facoltà di Lettere e Filosofia / Dipartimento Studi Linguistici
e Letterari dell’Università degli Studi di Padova, dal 2009 al 2013. Collabora dal 2005 con
Venice International University - Centro TeDIS, nell’ambito di progetti formativi e consulenziali relativi allo sviluppo d’impresa e alla gestione di progetti complessi, sia per aziende private sia nella Pubblica Amministrazione.
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VARIE
Proprio in questo trend positivo per
l’e-commerce nel nostro Paese, si
inserisce l’interesse da parte degli eshopper stranieri, che riconoscono
e ricercano alcuni prodotti Made in
Italy come abbigliamento, calzature, accessori, moda, arredo, design,
vino e prodotti alimentari di qualità. Per l’Italia, secondo dati Netcomm, i Paesi Europei da cui arrivano i maggiori acquisti online sono Spagna, seguita da Regno Unito
e Germania.
Gli strumenti dell’e-commerce
per vendere all’estero
Senza dubbio, lo sviluppo del proprio sito di e-commerce è la strada
che tendenzialmente ogni impresa
pensa di intraprendere quando volge la propria attenzione al mondo del
commercio online. Anche per il commercio online verso l’estero, le attuali soluzioni per lo sviluppo del proprio shop online sono perfettamente
allineate alle principali questioni organizzative e fiscali che vanno attentamente considerate. Piattaforme come Shopify o soluzioni “auto-gestite” come Wordpress (con riferimento in particolare al plug-in WooCommerce), prevedono funzionalità molto estese per gestire il multilingua, le
diverse destinazioni di spedizione, i
correlati costi e annessi aspetti fiscali.
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Tuttavia non è da escludere la possibilità di utilizzare i marketplace
per la vendita anche all’estero dei
propri prodotti. Il riferimento è alle piattaforme come eBay, Amazon, Privalia etc. Gestire la vendita attraverso i marketplace significa
in modo pratico creare inserzioni
dei propri prodotti, spesso raggruppabili sotto un proprio “negozio”,
scegliendo tra i profili di pagamento del servizio che più si adattano
alle proprie esigenze, tra cui la distribuzione dei prodotti su mercati stranieri.
Infine, un altro canale che vale la
pena considerare è Google Shopping che permette di utilizzare il sistema di online advertising basato
sul pay per click con un format specifico per l’acquisto online. In sintesi, è possibile costruire schede prodotto, con immagini e prezzo, riferite a specifici Mercati così da comparire nei risultati di ricerca pertinenti e geo-referenziati.
Gli attuali Mercati in cui è disponibile il servizio sono: Australia, Austria, Belgium, Brasile, Canada, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Germania, India, Italia, Giappone, Messico, Norvegia, Polonia,
Paesi Bassi, Russia, Spagna, Svezia,
Svizzera, Turchia, Regno Unito e
Stati Uniti.
E-commerce e distribuzione
Un aspetto strategico per l’e-commerce è la gestione della spedizione, in termini di tempi e costi. Esistono diverse soluzioni per gestire la distribuzione del prodotto, sia
che ci si muova su Mercati domestici sia Esteri. Tali soluzioni sono
inoltre pensate per “scalare” il proprio servizio. Ad esempio, per un
e-commerce ad un primo stadio di
sviluppo, la distribuzione può essere gestita appoggiandosi a trasportatori esterni, ai quali viene reso disponibile il prodotto da spedire e
le informazioni sulla destinazione. A questo scopo esistono portali
che supportano nella scelta del corriere, come packlink.it. In una fase più matura, il servizio distributivo può essere anche esternalizzato
in toto, utilizzando i servizi di fulfillment dei più noti Carrier (MBE,
GLS, TNT, etc.). A questo scopo, anche Amazon ha disponibile un servizio di magazzino e spedizione in
conto terzi.
Le soluzioni non mancano, il tema
chiave è riuscire a trovare il giusto
equilibrio tra prezzi, costi e margini, considerando che la gestione interna tende ad essere un costo fisso mentre in conto terzi esiste una
buona componente di costo legata
all’effettiva vendita del prodotto.
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Il contratto di lavoro
Il contratto di lavoro può risolversi in vari modi, sia in seguito ad una decisione unilaterale di una delle parti, che per accordo tra le parti o per motivazioni indipendenti da esse.
Mentre la risoluzione del contratto per consenso delle parti per natura s’intende non
presentare particolari problemi, in quanto si verifica in seguito ad una precisa volontà di
entrambi i contraenti, i casi di risoluzione unilaterale del contratto presentano caratteristiche e peculiarità più intricate.
Analizziamo le varie tipologie di
cessazione del rapporto di lavoro
dipendente.
1. Cessazione alla scadenza
Nel momento in cui ha intenzione
di far cessare un contratto di lavoro,
il datore di lavoro deve, in primis,
verificare se la durata del contratto
è prossima alla scadenza.
Nel caso in cui si tratti del primo contratto di lavoro a tempo determinato,
il datore di lavoro ha il diritto di non
rinnovare il contratto alla scadenza
ma, in ogni caso lo stesso dovrà comunque corrispondere una liquidazione “severance” al dipendente.
Se invece il contratto non è prossimo alla scadenza, ma il datore di
lavoro è ugualmente intenzionato
a interrompere la collaborazione,
trattasi in tal caso di risoluzione anticipata del contratto.
Secondo le leggi sul lavoro in Cina,
alla scadenza del secondo contratto a tempo determinato, il lavoratore ha il diritto di richiede la stipula di un nuovo contratto di lavoro a
tempo indeterminato.
Al verificarsi di detta circostanza, il
datore di lavoro non avrà altra scelta che accettare tale richiesta. Tuttavia, tale circostanza pare non essere
applicata in modo uniforme, tanto
che in alcune città (come ad esempio Shanghai), è prassi comune che
un datore di lavoro si possa rifiutare
di rinnovare il contratto anche dopo
un secondo contratto a tempo determinato.
2. Risoluzione anticipata
In Cina, diversamente da altri Paesi, non esiste il concetto di “at will”,
il che vale a dire che, in caso di risoluzione anticipata del contratto di
lavoro dipendente, il datore di lavoro può interrompere tale contratto solamente in base al verificarsi di
determinate circostanze previste da
leggi e regolamenti in materia.
Giorgio Riccardi
È un dottore commercialista specializzato in aspetti fiscali e regolamentari relativi agli
investimenti esteri nella regione asiatica. Ha conseguito un master in economia presso l’Università UIBE di Pechino e pubblicato con regolarità articoli sulle economie emergenti del Far East. Lavora tra l’Italia e la Cina, occupandosi di diritto commerciale e
tributario e ha maturato una significativa esperienza inerente la pianificazione della fiscalità persone fisiche e giuridiche dall’Italia all’Asia. È socio dello Studio di consulenza
RSA, specializzato in Asia e paesi emergenti ed è membro dell’ordine dei Dottori Commercialisti e del Registro dei Revisori Legali in Italia.
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Lorenzo Riccardi
È Professore Associato presso Xian Jiao Tong-Liverpool University. Ha insegnato taxation alla
Tonjin University, Shanghai Jiao Tong e Hult Business School. È un Dottore commercialista specializzato in fiscalità internazionale ed è autore di articoli e saggi su tematiche di vario genere relative agli investimenti stranieri in Asia Orientale. Vive e lavora a Shanghai, dove si occupa di diritto commerciale e tributario, seguendo gli investimenti stranieri in Cina e Sud Est Asiatico. Ricopre il ruolo di sindaco e consigliere per diversi gruppi societari ed è socio dello Studio di consulenza RSA, specializzato in Asia e paesi emergenti. Ha pubblicato Guida alla Fiscalità di Cina, India e Vietnam per Il Sole24Ore ed è membro del Consiglio Direttivo della Camera di Commercio
Italiana in Cina e della Camera Italia-Vietnam. Per Maggioli Editore è responsabile della sezione
Asia del portale Fisco e Tasse.
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FISCO e TASSE
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Se ciò non accade, la risoluzione
del contratto è da considerarsi illegale e ben potrebbe dare avvio ad
una controversia di lavoro, assai costosa e con un forte rischio di condanna al risarcimento.
3. Risoluzione Legale
Risoluzione di comune accordo
Questo tipo di cessazione del rapporto si verifica nel momento in
cui il datore di lavoro ed il lavoratore dipendente, di comune accordo, decidono di risolvere il rapporto di lavoro.
In detta fattispecie il datore corrisponde un’indennità al lavoratore il
quale presta il suo consenso ad interrompere il rapporto di collaborazione. Le parti solitamente negoziano la data di cessazione, l’importo
dell’indennità ed altri dettagli relativi alla cessazione.
In questa circostanza, l’indennità riconosciuta viene concordata in un
importo ricompreso tra il minimo
legale e l’importo che il lavoratore ben potrebbe rivendicare in sede
di giudizio. Nel caso in cui l’importo della predetta indennità sia stato precedentemente concordato in
sede di sottoscrizione del contratto
di lavoro, è stato più volte riscontrato che i tribunali cinesi tendono a
riconoscere questa modalità come
legittima.
Generalmente, la risoluzione di comune accordo è la scelta preferibile al fine di evitare un contenzioso
di lavoro che, come più sopra detto, ben potrebbe rivelarsi assai lungo ed oneroso.
4. Risoluzione unilaterale
Qualora il datore di lavoro non fosse in grado di raggiungere un accordo con il dipendente, ben si potrebbe verificare un caso di risoluzione
unilaterale del contratto di lavoro.
Come predetto, le leggi sul lavoro
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in Cina non consentono al datore di
lavoro di recedere liberamente ed
unilateralmente dai contratti di lavoro.
Il datore di lavoro, per poter licenziare un proprio dipendente, deve
infatti riscontrare almeno una delle
motivazioni previste dalla legge vigente.
Se, pertanto, è intenzione del datore di lavoro intraprendere tale strada, deve preventivamente informare
il sindacato del dipendente; in questo modo il sindacato avrà la possibilità di sollevare osservazioni sulla
denuncia proposta.
Il datore di lavoro dovrà poi analizzare tali osservazioni e replicare.
A seconda dei motivi addotti alla risoluzione, la rescissione unilaterale da parte del datore di lavoro potrà essere di due tipi: licenziamento
per giusta causa ovvero risoluzione
senza giusta causa.
(A) Risoluzione per giusta causa
Il licenziamento per giusta causa si
riferisce ad una risoluzione derivante da colpa o cattiva condotta del
dipendente ed ha effetto immediato dal momento della notifica della lettera di licenziamento al dipendente.
Questo tipo di conclusione del contratto di lavoro dipendente non implica la corresponsione da parte del
datore di lavoro di un’indennità di
fine trattamento al lavoratore e può
essere attuato nei seguenti casi, legalmente riconosciuti:
- il lavoratore, durante il periodo
di prova, non soddisfa i requisiti di assunzione previsti;
- il dipendente ha sostanzialmente violato norme di disciplina o
altre norme interne previste dal
datore di lavoro (che sono debitamente portate a conoscenza di
tutti i dipendenti);
- il dipendente ha commesso un
atto di grave negligenza e ha
quindi causato un danno agli interessi del datore di lavoro;
- il dipendente, attraverso rapporti
con un altro datore di lavoro o società, ha causato un danno al proprio datore di lavoro e si rifiuta di
porre rimedio all’accaduto una
volta venutone a conoscenza;
- il contratto di lavoro è stato invalidato per colpa del dipendente;
- il dipendente è soggetto a responsabilità penale.
(B) Risoluzione senza giusta
causa
Nel momento in cui un dipendente
non ha tenuto nessuno dei comportamenti più sopra elencati, al datore
di lavoro è ancora consentito risolvere unilateralmente il contratto solamente al verificarsi di determinate
circostanze. Tuttavia, il datore di lavoro sarà tenuto ad inviare un preavviso scritto di 30 giorni al lavoratore, ovvero al pagamento, in favore
del lavoratore, di una somma pari a
quanto costui avrebbe percepito come stipendio durante il periodo di
preavviso. Il lavoratore avrà diritto
ad un’indennità prevista per legge.
Le circostanze necessarie affinché
ciò si verifichi, sono le seguenti:
- il lavoratore subisce un infortunio o una malattia non inerenti al lavoro e non è in grado di
svolgere la mansione a cui è stato assegnato o anche qualsiasi altro compito alternativo assegnatogli dal datore di lavoro al termine del congedo per malattia/
infortunio;
- il dipendente è ritenuto incompetente per la mansione assegnatagli e, tale incompetenza, non
muta nonostante la formazione a
cui è stato sottoposto;
-si è verificato un importante
cambiamento delle circostanze
oggettive che hanno contribuito
alla stipula del contratto di lavoro, che ha causato l’impossibilità
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dell’esecuzione del contratto di
lavoro e le parti non sono riuscite a raggiungere un accordo sulla
modifica al contratto.
Anche se si verifica una delle casistiche sopra descritte, il contemporaneo verificarsi di quanto sotto
elencato blocca la possibilità di licenziamento:
- il dipendente è sospettato di aver
contratto una malattia professionale ed è in attesa di diagnosi;
- il dipendente ha completamente
o in parte perso la sua capacità
lavorativa a causa di una malattia
professionale o infortunio sul lavoro;
- il dipendente resta in congedo di
malattia a causa di una malattia/
infortunio non strettamente correlato al proprio lavoro;
- la dipendente è incinta, in congedo di maternità o nel periodo
di allattamento;
- il dipendente ha continuamente lavorato per il datore di lavoro
per più di 15 anni ed è a meno di
5 anni dal periodo di pensionamento.
(C) Risoluzione illecita
Al di fuori delle circostanze previste dalla legge e più sopra illustrate, qualsiasi altro tipo di risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro
è da considerarsi illecita e può dare avvio, al fine della composizione
della vertenza, a procedure di arbitrato, contenzioso o di regolamento (che possono comportare elevati
costi legali e di liquidazione).
Dalla risoluzione illecita ben potrebbero derivare le seguenti conseguenze legali:
- il dipendente potrebbe chiedere la reintegrazione nel proprio
posto di lavoro (fattispecie assai
onerosa per il datore di lavoro);
- il riconoscimento di una doppia
indennità al dipendente nel caso
in cui costui non intenda con-
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tinuare a lavorare ovvero se la
reintegrazione risulti impossibile;
- il datore di lavoro ben potrebbe
dover corrispondere somme a titolo di stipendio per il periodo
intercorrente tra il licenziamento e l’eventuale reintegro; somme che potrebbero risultare assai
superiori rispetto a quelle effettivamente dovute a titolo di liquidazione.
Indennità di licenziamento
La formula per poter calcolare una
liquidazione è la seguente:
“Severance” =
una mensilità ×
numero di anni di servizio
La mensilità di stipendio viene calcolata prendendo il compenso medio mensile guadagnato dal dipendente nel corso dei dodici mesi precedenti la cessazione del rapporto lavorativo. Tuttavia, a seguito dell’entrata in vigore della nuova
legge sul lavoro, partire dal 1 gennaio 2008, le indennità sono limitate ad un massimale pari a tre volte il
salario medio mensile nel luogo determinato.
Nota: questo vale solamente se lo
stipendio del dipendente risulta essere superiore a tre volte il salario
medio locale, e non si applica al lavoro prima del 1° gennaio 2008.
Ad esempio, a Shanghai, il salario
mensile locale medio nel 2012 è
stato di RMB 5.036 (* 3 = 15.108
RMB). Così, un dipendente il cui
rapporto di lavoro dipendente è stato regolarmente cessato a Shanghai,
non poteva che ricevere fino a
15.108 RMB come trattamento di
fine rapporto per ogni anno di lavoro dopo il 1° gennaio 2008.
Ad esempio: un periodo di lavoro
ricompreso tra sei mesi e un anno
viene conteggiato come un intero
anno. Il lavoratore avrà pertanto di-
ritto ad un’indennità pari ad un mese di stipendio.
Un periodo di occupazione inferiore a sei mesi è invece considerato
come metà anno. Il lavoratore avrà
pertanto diritto ad un’indennità pari
allo stipendio di metà mese.
Ad esempio, per un dipendente che
ha lavorato per 13 mesi per la stessa società, l’importo dell’indennità
sarà calcolato come se avesse lavorato per un anno e un mese. Quindi
per 12 mesi sarà considerato come
un anno, di conseguenza il dipendente riceverà una indennità di un
mese di stipendio; il restante mese
sarà considerato come metà anno
e il lavoratore avrà diritto alla metà del mese di stipendio in indennità. Quindi, in totale, l’indennità sarà pari ad un mese e mezzo di stipendio.
Guida pratica
Fase 1. Anzitutto si deve determinare se la risoluzione è di tipo anticipato o no. Se il contratto di lavoro è un primo contratto a tempo determinato, che è scaduto e il datore di lavoro non intende rinnovarlo, il datore di lavoro dovrà effettuare un pagamento al dipendente una
tantum, come previsto per legge. Se
invece il datore di lavoro decide di
cessare il rapporto di lavoro prima
della scadenza del primo contratto
a tempo determinato, ciò verrà considerato come una “risoluzione anticipata” e, come più sopra esposto,
alcune condizioni dovranno venir
soddisfatte.
Fase 2. In caso di scioglimento anticipato del contratto, è bene cercare
di giungere ad un accordo di rescissione con il dipendente, negoziando la data di cessazione, l’indennità e altri dettagli necessari. Questa
è spesso l’opzione più sicura, anche nel caso in cui vi possano essere motivi per una cessazione unilaterale. Se un datore di lavoro sceglie
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una risoluzione unilaterale del rapporto prima che il contratto di lavoro sia scaduto, la questione ben potrebbe finire in tribunale, e il giudice potrebbe ritenere che non sussistano motivi sufficienti per una risoluzione unilaterale. Naturalmente,
se si arriva ad un accordo con un dipendente, costui ha meno probabilità di portare la questione in tribunale. Se il caso finisce comunque in
tribunale, il giudice valuterà la validità del contratto di rescissione ma
non la cessazione stessa.
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Fase 3. Se con il dipendente non
si riesce a giungere ad un accordo
sulla cessazione, si deve considerare se vi siano dei motivi per poter
effettuare l’immediata cessazione
del rapporto per giusta causa ovvero la cessazione senza motivo con
un preavviso di 30 giorni. Senza dimenticare i relativi risvolti legali.
Con queste circostanze, si dovrebbe inviare il preavviso anche al sindacato. Se il sindacato ritiene che
la cessazione sia ingiustificata, fornirà un suo parere sul punto. Se la
risoluzione viola leggi, regolamenti
amministrativi o il contratto di lavoro, il sindacato ha il diritto di chiedere che il datore di lavoro effettui
le relative rettifiche. Il datore di lavoro dovrà quindi valutare le opinioni rese dal sindacato e informarlo dell’esito di tale valutazione per
iscritto.
Se, di contro, non potrà venir adottata nessuna delle misure di cui sopra, è probabile che la cessazione
del rapporto di lavoro verrà considerata illecita.
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Investire in paraguay
Prospettive per l’investitore straniero
Lo stato del Paraguay, basato almeno fino alla metà degli anni 90 su un modello economico fortemente incentrato sull’agricoltura e sull’allevamento, ha conosciuto negli ultimi
anni un notevole sviluppo con riferimento ai principali settori economici.
La flessione del PIL registrata dal
Banco Centrale del Paraguay nel
2012, ha interrotto il trend di crescita che nell’ultimo decennio si andava registrando in maniera più o meno costante.
Tale interruzione è stata attribuita
al trascorso periodo di forte siccità
che ha irrimediabilmente danneggiato il comparto agricoltura oltre
che all’epidemia di afta epizootica
del 2011 che ha provocato la caduta delle vendite di carne (in proposito si consideri che il Paraguay
è tra i primi esportatori di carne bovina).
Tuttavia, in termini di crescita economica (favorita anche da una posizione geografica strategica) il paese ha ripreso a far registrare numeri
positivi già dal 2013.
Nonostante il Paraguay non abbia un
accesso diretto al mare,infatti, di primaria importanza risultano i collegamenti fluviali, intorno ai quali sono sorte numerose strutture portuali pubbliche e private, queste ultime
disciplinate dalla legge 414/94.
Ma l’agroalimentare non è l’unico
settore economico a suscitare l’attenzione degli investitori negli ultimi anni.
È un dato non trascurabile che attraverso la lottizzazione di vaste aree
rurali, nell’ultimo decennio si sia registrato un incremento degli immobili destinati ad uso abitativo, con
conseguente allargamento delle zone “urbanizzate”.
Ciò ha determinato un prevedibile incremento della valutazione dei
terreni, variabile a seconda delle diverse destinazioni d’uso, della valutazione dei terreni oltre che un considerevole aumento degli investimenti nel settore immobiliare.
Le analisi di mercato effettuate negli ultimi anni parlano chiaro: è un
settore, quello immobiliare, in forte
crescita, spinto dalla crescente domanda di alloggi abitativi (in parte
dovuta all’aumento del numero delle famiglie censite nel 2013) ed incentivato certamente dalle numerose agevolazioni fiscali e burocratiche previste a sostegno degli investimenti.
Oltre che nella capitale, la distribu-
zione della popolazione paraguaiana è principalmente concentrata in
altre quattro zone, e solo intorno alla città di Asunciòn vi sono più di
dieci grandi imprese che operano
nel settore immobiliare.
Nelle zone urbanizzate situate a
Nord del Paese, si registra un notevole aumento degli investimenti nel
settore dell’immobiliare commerciale, con la costruzione e lo sviluppo di numerosi centri commerciali,
ciò anche grazie ad un aumento dei
fondi erogati dall’agenzia per lo sviluppo Finanziario (AFD).
Francesco Capoccia
Avvocato, partner dello studio Legale Galoppi e Partners, svolge la propria attività principalmente nel settore del diritto commerciale, societario e immobiliare. Specializzato
nell’assistenza di clientela internazionale.
Lo studio Galoppi e Partners, tra i primari studi del Foro di Roma, è specializzato soprattutto nell’ambito del diritto civile, sia giudiziale che stragiudiziale, in modo particolare nel campo del diritto societario e commerciale.
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Nel 2013 in particolare vi sono stati prestiti destinati all’acquisto di
case per oltre 44 milioni di dollari mentre oltre 17 milioni sono stati erogati per la costruzione di nuove strutture.
L’edilizia residenziale continuerà
a rappresentare dunque un grande
potenziale di sviluppo per il settore immobiliare, poiché tra le principali sfide affrontate dal Paese vi è
sicuramente quella del deficit abitativo, considerato che secondo i dati riportati dalla Banca Interamericana di Sviluppo oltre 800.000 famiglie paraguaiane sono sprovviste di
un alloggio adeguato e che tale numero è in costante aumento.
Tra i settori produttivi a maggior crescita si consideri poi il settore delle
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comunicazioni e dei servizi finanziari per i quali è stato stimato un
incremento negli ultimi 5 anni superiore al 10%.
Per ciò che riguarda gli scambi commerciali con l’UE il Paraguay è stato ammesso al Sistema di Preferenze
Generalizzato Plus, in base al quale vengono concesse tariffe agevolate supplementari con riferimento ad
una vastissima gamma di prodotti.
Volgendo lo sguardo al sistema societario paraguaiano, le tipologie
societarie maggiormente diffuse sono la Società Anonima (SA) seguita
dalla Società a Responsabilità Limitata e dalla Società Cooperativa.
Le società straniere intenzionate
ad investire in Paraguay, dopo aver
prodotto la necessaria documen-
tazione atta a certificare la regolare costituzione nel Paese d’origine,
devono necessariamente deliberare l’apertura di una succursale, di
un ufficio o di un’agenzia all’interno del territorio paraguaiano.
La legge 117/1991 sugli investimenti regola la costituzione di società a
capitale locale e straniero, dando facoltà alle persone fisiche straniere o
paraguaiane, nonché alle persone
giuridiche domiciliate in Paraguay di
costituire società a capitale misto.
Nel quadro generale degli incentivi
promossi dal governo nei confronti degli investitori stranieri vi è l’esonero totale dalle imposte doganali, l’abbattimento di tasse relative alle importazioni di beni da impiegare nel processo di investimento, e la
detrazione del 95% delle imposte
sul reddito per i primi 5 anni.
In ultimo, la legge 1064/97 ha disciplinato la creazione di imprese c.d.
“di assemblaggio”, finalizzate cioè
all’importazione di beni e materie
prime, nonché macchinari da utilizzare nei processi finalizzati all’assemblaggio e alla successiva esportazione di beni assemblati.
In riferimento al sistema bancario, infine, si consideri che nel paese operano regolarmente 16 banche commerciali oltre ad alcune filiali di banche
straniere. L’istituto bancario principale è il Banco Central del Paraguay.
Trattasi dunque di una realtà economica nella quale si registra una forte prospettiva di crescita e sviluppo,
non soltanto nei settori che da sempre prevalenti, ma anche e soprattutto in quei settori che, come l’edilizia,
rappresentano ad oggi una sfida per
il Paraguay, poiché è anche dal loro
progressivo sviluppo che dipenderà
il futuro economico del Paese.
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QUESITI
Fiscalità estera n. 3 • 2015
Quesito
Secondo la circolare 9/E/2015 quali sono le imposte estere che danno diritto al credito d’imposta?
Risposta
Il credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero è organicamente inserito nella disciplina delle imposte
sui redditi ed è condizionato dalla
presenza di redditi esteri nel reddito
complessivo. Ciò implica che l’operatività dell’istituto è limitata ai tributi stranieri che si sostanziano in
un’imposta sul reddito o, quanto
meno, in tributi con natura similare.
Non sempre è agevole stabilire se
il tributo estero rientri tra quelli accreditabili ai fini dell’articolo 165
del Tuir. In via di principio, si ritiene
che la verifica sulla natura del tributo estero vada effettuata alla stregua
dei principi e delle nozioni evincibili dal nostro ordinamento tributa-
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rio, per cui si ritiene accreditabile
la prestazione patrimoniale dovuta
ex lege e il cui presupposto consista
nel possesso di un reddito.
In linea di massima, si è esonerati
da tale indagine se, ai sensi di una
Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata dall’Italia, il tributi rientra nell’oggetto del trattato. Infatti, le Convenzioni ispirate
al Modello OCSE elencano i tributi
rientrati nell’ambito del trattato nel
momento della sua stipula. Come
precisa il Commentario al Modello
di Convenzione OCSE, nella versione modificata da ultimo nel 2010,
“In linea di principio… si tratterà
di una lista completa delle imposte
considerate dalla Convenzione e
prelevate in ciascuno Stato alla data
della firma”.
Nel caso via sia un’obiettiva incertezza il contribuente può presentare
istanza di interpello ordinario ai sensi della legge 27 luglio 2000, n. 212,
recante “Disposizioni in materia di
Statuto dei diritti del contribuente”.
Analogamente, il contribuente potrà presentare un’istanza di interpello nel caso in cui non sia stata stipulata una Convenzione contro le
doppie imposizioni con lo Stato della fonte e sussistano obiettive condizioni d’incertezza sull’ambito applicativo dell’articolo 16 del TUIR, causate dalla natura del tributo estero.
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