Imparzialità di Giulio Marcon Il principio di imparzialità è presente in

Transcript

Imparzialità di Giulio Marcon Il principio di imparzialità è presente in
Imparzialità
di Giulio Marcon
Il principio di imparzialità è presente in diversi ambiti del diritto nazionale ed internazionale,
della politica, delle relazioni sociali. Tra questi, il procedimento penale e civile, il buon
funzionamento dell’amministrazione pubblica, le pari opportunità, le procedure democratiche,
l’informazione, i diritti umani. Nella pubblica amministrazione il principio di imparzialità è
legato a quelli del buon funzionamento, della razionalità, dell’impersonalità degli uffici e
dell’azione burocratica. Nel procedimento giuridico il principio di imparzialità è un requisito
modale relativo all’attività giurisdizionale ed è garantito da altri principi quali quelli della
terzietà, dell’indipendenza e della naturalità del giudice. L’art. 10 della dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo recita: “Ogni individuo ha diritto, in posizione di eguaglianza, ad una equa
e pubblica udienza, davanti ad un tribunale indipendente e imparziale”. In campo politico,
economico e sociale, il principio di imparzialità si lega esplicitamente al principio di
eguaglianza. Infatti non potrebbe darsi azione ispirata ad imparzialità, senza il preventivo
riconoscimento di eguale condizione e trattamento tra i soggetti. La Costituzione italiana
ricorda questo principio nell’art. 2: “ tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali
davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali”. E’ solo con l’avvento dello stato di diritto e della
democrazia, che l’imparzialità diviene principio ispiratore del legislatore, della politica, delle
relazioni sociali. Ovviamente il principio di imparzialità –concepito in modo dinamico- dovrebbe
assicurare non solo il rispetto dell’ideale ed eguale trattamento e la pari dignità dei soggetti,
ma anche tenere conto della diversità delle condizioni di partenza (geografiche, economicosociali, di genere, educative, ecc.) che pongono i soggetti in condizioni di diseguaglianza e
disparità. Non a caso molti dizionari riportano come sinonimi di imparzialità i termini di equità e
giustizia. In questo contesto, per essere imparziali bisognerebbe essere attivamente impegnati
nel ristabilimento di una condizione di pari dignità, senza la quale l’imparzialità rischia di essere
solo una fotografia delle disparità. Ancora la Costituzione italiana all’art. 3 recita: “è compito
della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la
libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Come
conclusione a questa premessa si può dire che il principio di imparzialità può essere applicato
in varie direzioni, assumendo anche diversi significati: a) l’applicazione di norme, regole,
procedure –inderogabili e insindacabili- che rispettino la pari dignità e il pari trattamento dei
soggetti (di fronte ad un tribunale, alla pubblica amministrazione, ecc.); b) il trattamento
equidistante (e neutrale) in politica, in guerra o nella società di due e più parti in causa, c)
l’eguale considerazione dei soggetti, senza interesse della loro posizione e del merito delle loro
ragioni, d) il non prendere posizione tra parti in causa in un conflitto (sociale o armato), e) il
riferirsi, in via generale (politica, etica, ecc.) a norme di diritto internazionale e dei diritti umani
alle quali subordinare il giudizio o le posizioni delle parti in contesa. In concreto solo l’esistenza
di norme incontrovertibili e certe (versione “a” e in parte “e”) dà all’imparzialità una sua
dimensione “oggettiva” cui richiamare l’inderogabilità erga omnes della sua applicazione. Negli
altri casi è invece argomento di confronto e di dibattito politico, culturale, sociale, etico: implica
giudizi di valore e, appunto, di natura politica.
Imparzialità, neutralità, equidistanza
Il principio di imparzialità richiama il concetto di non essere “parziali”, di non assumere
posizioni “di parte” e prevede come minimo la non identificazione con i punti di vista delle
“parti” e al massimo un punto di vista “generale” (legato all’esistenza di norme e regole cui
riferirsi) che trascende e supera le posizioni di ciascuna parte nell’applicazione di principi di
equità e giustizia. Si è imparziali –di fronte alle parti- nel rispetto di un principio di giustizia che
regola comportamenti e decisioni. In alcuni casi –come abbiamo visto in precedenza- il principio
di imparzialità rischia di essere parzialmente sovrapposto a quello di neutralità. Quest’ultimo
principio richiama l’atteggiamento equidistante di un terzo soggetto (di solito uno Stato o
un’autorità politica) verso altri due o più parti (senza curarsi più di tanto della natura e del
merito delle loro condizioni e posizioni), in cui si proclama l’estraneità e la non adesione alle
posizioni o comportamenti da questi espresse. L’imparzialità dovrebbe prevedere in modo
meno asettico un comportamento (equanime e ispirato a criteri di giustizia) nel trattamento dei
soggetti, di cui dovrebbe riconoscere la pari dignità. Mentre la neutralità (come forma di
equidistanza) sembra essere un principio statico negativo (astenersi da) e sostanzialmente
passivo (anche se in occasione della prima guerra mondiale si manifestò la corrente del
“neutralismo attivo”), l’imparzialità potrebbe e dovrebbe rappresentare un principio dinamico,
positivo (riconoscimento della pari dignità) e attivo nella promozione dell’eguaglianza dei diritti
e del pari trattamento, secondo principi di equità e giustizia. Si può, per altri versi, anche
affermare che nel diritto internazionale umanitario vi è una certa consequenzialità tra neutralità
ed imparzialità. Infatti, si può considerare la neutralità una premessa dell’imparzialità. Non si
può essere imparziali tra due parti, se non si è prima neutrali tra le stesse. Essere neutrali
sarebbe il modo migliore, ad esempio, per avere nel caso dell’intervento umanitario il libero
accesso all’aiuto di tutte le vittime.
In ogni caso, una certa differenza tra i due principi è evidente. Un tribunale può essere
imparziale nell’applicazione del trattamento penale o civile riservato alle persone condotte in
giudizio, ma non potrà mai essere neutrale di fronte alla commissione di un crimine. Un organo
di stampa dovrebbe essere imparziale nel riportare le fonti di una notizia (ad esempio, un caso
di pedofilia), ma potrebbe non essere neutrale nella posizione e nel commento che assume di
fronte a questo evento. Un’istituzione sovranazionale (ad esempio le Nazioni Unite) potrebbe
essere imparziale nella applicazione del diritto internazionale di fronte ad un conflitto
internazionale, dove ragioni e torti interessano entrambe le parti coinvolte, ma non potrebbe
essere neutrale in un conflitto dove è chiaro quale è il campo degli aggressori e quello delle
vittime.
E’ anche vero che il confine tra imparzialità e neutralità (soprattutto relativamente alle
situazioni di conflitto e di guerra) rischia nella pratica di essere sfumato e ambiguo. Si tratta di
due principi tutto sommato legati, anche se diversi: la neutralità si astiene dal giudizio, mentre
l’imparzialità giudica in base a norme e regole condivise (equità e giustizia). E’ opportuno in
questo senso richiamare la distinzione tra imparzialità relativa, o residuale (passiva) e
imparzialità assoluta, o generale (attiva). Nel primo caso, l’imparzialità è molto simile alla
neutralità: non si prende posizione -né dichiarata né attiva- di fronte alle parti/soggetti in
causa. Nel secondo caso, l’imparzialità –come evidenziato all’inizio- trascende le parzialità
esistenti (non le riconosce come un dato immodificabile), ponendosi come punto di vista
generale, modificando e intervenendo sul comportamento delle parti. In questo caso si può dire
che si tratta di un’imparzialità che si relaziona non tanto alle “parti”, quanto al “tutto”, cioè –in
base a principi di equità e giustizia- al bene comune, al diritto internazionale, ai principi
universali. L’imparzialità di fronte alle parti e ai soggetti –per funzionare come principio
regolativo- presuppone un quadro di regole condivise e situazioni (sociali, economiche, ecc.)
che ne permettano l’applicazione. Senza uno stato di diritto, dove invece prevalgano caste e
privilegi, l’imparzialità è impossibile. Come lo è impossibile in una guerra d’invasione tra
aggressori e aggrediti.
L’opposto della imparzialità è e dovrebbe essere la discriminazione, ma in condizioni di
disparità e diseguaglianze, la cosiddetta discriminazione positiva (cioè l’esistenza di condizioni
maggiormente favorevoli di accesso al lavoro, al reddito, alle istituzioni, ecc. per le categorie
svantaggiate) è condizione fondamentale per garantire una situazione di pari trattamento e di
imparzialità. Potrebbe sembrare paradossale, ma in questo caso l’imparzialità –quella generale
e attiva- per darsi e realizzarsi ha bisogno di “prendere parte”, favorendo le parti più deboli e
svantaggiate, mettendo in campo comportamenti, politiche, provvedimenti tesi a ristabilire le
condizioni di pari dignità e di pari trattamento dei soggetti. Non ci può essere imparzialità di
fronte a condizioni di diseguaglianza, di discriminazione, di violazione dei diritti umani, di
oppressione, fino a che queste non vengano rimosse.
Imparzialità, conflitti, diritti umani
Nelle situazioni di conflitti e di violazione dei diritti umani, il concetto di imparzialità viene
messo duramente alla prova. Le parti coinvolte in un conflitto non chiedono tanto l’imparzialità,
quanto di prendere posizione: ovviamente dalla loro parte. Esso può avere una applicazione
positiva e nello stesso tempo essere sospeso, quando questo coincida con i concetti di
neutralità ed equidistanza. Ad esempio un’applicazione positiva di imparzialità in un conflitto
etnico è quella che obbliga le organizzazioni umanitarie e le istituzioni internazionali a prestare
soccorso a tutte le vittime, senza discriminazione per la loro appartenenza etnica, politica,
religiosa. Un esempio di sospensione del principio è invece quello che avviene di fronte
all’esistenza di due parti in conflitto, in cui sono evidenti responsabilità diverse di fronte alle
violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani. Quando l’Iraq invase il Kuwait nell’agosto
del 1990, le Nazioni Unite non furono “imparziali” (cioè, in un’accezione residuale, neutrali ed
equidistanti) tra i due paesi, ma “presero parte”, condannando l’Iraq (paese aggressore) e
difendendo il Kuwait (paese aggredito). In realtà il principio di imparzialità (di fronte al diritto
internazionale) è sempre vivo, perché le Nazioni Unite applicano in modo imparziale quanto
previsto dalla Carta delle Nazioni Unite. In altri casi, queste ultime, vengono meno invece a
questa regola, quando –per motivi geopolitici e di veto dei governi più potenti- non si
comportano nello stesso modo di fronte ad altri conflitti che propongono analoghe violazioni
dei diritti umani (ad esempio quello israelo-palestinese). Le Nazioni Unite sono un tipico
esempio di potenziale “soggetto dell’imparzialità”, che presuppone, di fronte a due o più parti
(in guerra, in situazioni di contrasto, ecc.), l’esistenza di un “terzo” sovrastante gli altri,
autorevole, credibile, al quale sia possibile cedere il diritto/dovere di intervento e di risoluzione
delle controversie. A causa delle debolezze delle Nazioni Unite, queste sono state definite a suo
tempo da Norberto Bobbio, come il “terzo assente”.
Le organizzazioni umanitarie e dei diritti umani –come ricordato in precedenza- hanno dato
molta importanza al principio di imparzialità. La Croce Rossa, nata nel 1864, ha alla sua base
proprio il principio di non discriminazione, di imparzialità nel soccorso che viene prestato ai
feriti e alle vittime di una guerra, indipendentemente dalla loro appartenenza nazionale,
politica, religiosa, militare, ecc. Proprio questa “imparzialità” permette alla Croce Rossa di
avere accesso nelle zone di guerra per portare aiuti e soccorso. Per la Croce Rossa la neutralità
è un “modo per conservare la fiducia di tutti” e per ottenere ciò “si astiene dal prendere parte
alle ostilità, così come anche in tempo di pace, alle controversie di ordine politico, razziale,
religioso ed ideologico”. E’ – nella posizione della Croce Rossa- come se la neutralità possa
essere considerata il risvolto negativo di una stessa medaglia di cui l’imparzialità è il lato
positivo. Passando dalle dichiarazioni ai comportamenti la questione si fa più chiara. E’ ad
esempio opportuno ricordare che nel caso dell’esistenza dei campi di concentramento nazista,
l’applicazione del concetto di neutralità –che ha permesso alla Croce Rossa di mantenere aperta
la sua sede a Berlino per tutto il periodo della guerra- si è unito al silenzio e a pesanti omissioni
sull’esistenza delle persecuzioni degli internati e dell’olocausto degli ebrei. La Croce Rossa
sapeva, ma ha preferito tacere, per poter continuare la sua missione nella Germania nazista.
Diverso l’atteggiamento dell’organismo internazionale umanitario di fronte a conflitti più
recenti, quando ha condannato il trattamento dei detenuti dei civili in Bosnia (1992) o ha usato
la parola “genocidio” per descrivere e condannare il massacro dei civili in Ruanda (1994).
Anche la Convenzione di Ginevra del 1949 si basa sui principi di imparzialità e di neutralità
dell’aiuto ai feriti e delle vittime della guerra. Il codice di condotta delle agenzie e delle
organizzazioni umanitarie internazionali recita ai primi due punti: “1 L’imperativo umanitario
(salvare vite, alleviare sofferenze) è la priorità assoluta. 2 L’aiuto è imparziale e universale: non
discrimina per razza, religione, nazionalità. Le priorità vengono stabilite solo in base agli
effettivi bisogni.” Così continua il codice di condotta: “L’attuazione di tale politica, universale,
imparziale ed indipendente richiede la possibilità, per noi stessi e per i nostri partners, di avere
accesso alle risorse necessarie per portare soccorso in modo equo, così come la possibilità di
accedere a tutte le vittime delle catastrofi, senza distinzione”. Va ricordato che una nota ONG
(Organizzazione Non Governativa) internazionale come Medecins Sans Frontieres (MSF) nacque
nel 1968 proprio in reazione ad una certa applicazione del principio di imparzialità, da parte dei
funzionari e dei responsabili della Croce Rossa di fronte alla tragedia in Biafra che –per portare
soccorsi alla popolazione- tacevano sulle responsabilità del governo nigeriano sulla carestia e
la violazione dei diritti umani della regione. Nei documenti di MSF i principi di imparzialità
(come obbligo di portare aiuti a tutti, senza discriminazioni) e neutralità (come astensione dal
prendere posizione per una delle due parti in un conflitto) sono ampiamente ricordati, ma
l’organizzazione ricorda che “la testimonianza è parte dell’impegno che assumono i medici
senza frontiere; allorché i principi umanitari elementari vengono violati, essi considerano come
propria responsabilità farlo sapere”. In modo più esplicito Rony Brauman, ex presidente di MSF,
così si è espresso: “Se l’intervento umanitario non è una politica, non può pretendersi apolitico.
Che fare allora? Comprendere che la neutralità, in tali circostanze, non è altro che la faccia
presentabile della legge del più forte. Assumere più in generale il fatto che l’intervento
umanitario non può più situarsi a metà tra occupanti e occupati, aggressori e aggrediti; così
come non può più mantenere la stessa distanza tra quei poteri che difendono un’idea di libertà
quantomeno compatibile coi propri principi e quelli che ne hanno abolito le stesse
fondamenta”. In effetti, nel campo dell’azione umanitaria, l’applicazione del principio di
imparzialità, necessario per portare aiuti a tutte le vittime di ogni parte coinvolta, innesca un
vero e proprio “dilemma umanitario”: portare aiuti a costo del silenzio sulle responsabilità delle
violazioni dei diritti umani o invece denunciare le responsabilità e le violazioni al rischio di
vedersi impedita la possibilità di portare aiuto ai beneficiari?
In Italia, la ONG Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS) ha spesso unito i valori dell’attività
umanitaria imparziale ed indipendente con un’azione di denuncia e di critica. L’ICS si fonda
infatti su “un’azione umanitaria basata esclusivamente sui bisogni e i diritti delle vittime… per
questo opera secondo principi di indipendenza ed imparzialità, rispetto delle persone e piena
partecipazione delle comunità interessate”. Nello stesso tempo ICS rivendica “un profilo
politico che fa prevalere la coerenza sull’appartenenza e si costruisce su pratiche fondamentali
quali l’incondizionata indipendenza di giudizio, la capacità di denuncia e di mobilitazione”. E’
quello che è successo nel 1999, quando l’ICS fu tra le organizzazioni più attive nel portare aiuto
alle vittime kosovare in fuga verso l’Albania e nello stesso tempo fu promotrice delle
manifestazioni pacifiste contro l’intervento della NATO in Serbia, rifiutandosi nel contempo di
partecipare all’iniziativa umanitaria governativa, denominata “missione arcobaleno”.
Come evidenziato da molti studiosi dell’azione umanitaria, i concetti di imparzialità e di
neutralità sono oggetto di sempre più frequenti dibattiti. Secondo l’unità di ricerca che si
occupa di aiuti umanitari per il Transnational Institute sono cinque i motivi che stanno alla base
di questa crisi: 1) le emergenze umanitarie sono non solo la conseguenza, ma anche l’obiettivo
di molti conflitti e gli attori umanitari sono ben in grado di individuarne le cause, 2) vi è una
crescente consapevolezza che l’aiuto umanitario ha un impatto politico, e non beneficia solo
vittime, 3) soprattutto nei “conflitti interni” gli aiuti vanno a tutti –civili e militari- aiutando così
anche i responsabili delle violenze, 4) per far arrivare gli aiuti alle vittime, certe volte bisogna
fare “patti” con le parti in lotta, 5) l’azione umanitaria sostituisce sempre di più (diviene cioè
l’alibi di) l’assenza di una politica per risolvere i conflitti. In questo contesto che significato ha
essere neutrali, cosa significa essere imparziali? L’asetticità dell’aiuto umanitario rischia di
essere solo un mito: gli attori umanitari –volenti o nolenti- fanno politica. Sono sempre
imparziali verso le vittime, ma è sempre più difficile sottrarsi al ruolo di denuncia e di critica di
fronte alle responsabilità dei crimini di guerra e di violazioni dei diritti umani.
Di fronte ai conflitti nazionali ed etnici degli anni ’90, le elaborazioni e le sperimentazioni del
pensiero e della pratica pacifista, hanno portato a trasformare e a sviluppare il concetto di
imparzialità in senso diametralmente opposto alla sua declinazione riduttiva, equidistante e
neutrale. I pacifisti sono arrivati a proporre di fronte ai conflitti e alle guerre, di “mettersi in
mezzo”, di stare “nelle” e non “tra” le parti, di essere “equivicini” e non “equidistanti”, di
“prendere parte” e non di essere “neutrali”. Si tratta di un approccio derivante dalla teoria e
dalla pratica della nonviolenza, fondata sull’ascolto, l’empatia, la condivisione. La strategia qui
non è quella della distanza e della separazione da ciascuna parte coinvolta, quanto quella della
prossimità e della identificazione con ciascun soggetto e parte interessata (con le sue ragioni, le
sue aspettative, le sue frustrazioni, ecc.). L’autorevolezza e la credibilità (dell’imparzialità) del
soggetto “terzo”, sta non tanto nel mantenimento della sua estraneità, quanto nella
contaminazione con le parti interessate. E’ nondimeno vero che questo processo di
identificazione e di prossimità con le parti in causa, presuppone una maggiore capacità di
indipendenza, autonomia e forza di giudizio, che ovviamente la prossimità tende ad incrinare o
ad affievolire. Tutto ciò, a testimonianza che il principio di imparzialità è oggetto di una
trasformazione dinamica di fronte alle sfide dei nuoci conflitti e delle relazioni internazionali.
-
Norberto Bobbio, Il terzo assente, Edizioni Sonda 1994
-
Jean-Mariè Muller, Vincere la guerra, Ed. Gruppo Abele 1999.
-
La Costituzione della Repubblica Italiana, Senato della Repubblica, Roma 1948
-
Humanitarian Studies Unit/TNI, Reflections on Humanitarian Action, Pluto Press 2001
-
A. Gambino, L’imperialismo dei diritti umani, Editori Riuniti, Roma 2001
-
N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Il Dizionario di Politica, Utet, Torino 2004
-
Aavv, L’arte del conflitto, Regione Marche, Ancona 1997
-
ICS, Dove va l’aiuto umanitario?, Provincia di Lucca, Lucca 2003
-
J. Habermas, Morale, diritto, politica, Einaudi, Torino 1992
-
L. Bonanate, Etica e politica internazionale, Einaudi, Torino 1992
-
B. Hours, L’ideologia umanitaria. Lo spettacolo dell’alterità perduta, Harmattan, Torino 1999
-
A. Langer, Pacifismo tifoso, pacifismo dogmatico, pacifismo concreto in A. Drago, M. Soccio
(a cura di) Per un modello di difesa non violento, Quale Vita, Venezia 1993