Netter. Atlante di Anatomia Fisiopatologia e Clinica

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Netter. Atlante di Anatomia Fisiopatologia e Clinica
SEZIONE 3
NEOFORMAZIONI
CUTANEE MALIGNE
Tavola 3.1
CARCINOMA
Apparato tegumentario
ANNESSIALE
I carcinomi annessiali rappresentano una famiglia di tumori maligni cutanei derivati dalle diverse componenti degli annessi. Sono
estremamente rari; rappresentano infatti meno dell’1% di tutti i
tumori della cute diagnosticati in un anno. La loro diagnosi è difficile
in quanto il loro aspetto è simile a quello di altri tipi di tumore molto
più comuni, in particolare dei carcinomi basocellulari e squamocellulari; la certezza può essere pertanto fornita solo dall’esame
istopatologico. Le strutture di derivazione possono essere il follicolo
pilifero, la ghiandola sebacea, la ghiandola apocrina o l’epitelio della
ghiandola eccrina. Possono insorgere de novo o da un precursore
benigno preesistente come nel caso del porocarcinoma eccrino che
si sviluppa su un poroma eccrino.
Quadro clinico. Poiché sono molto rari, questi tumori non
vengono di solito considerati nella diagnosi differenziale di neoformazioni cutanee non meglio caratterizzate; la diagnosi è, anzi, quasi
impossibile nel caso in cui ci si basi sui soli segni clinici essendo
le caratteristiche specifiche molto esigue. Nella maggior parte dei
casi si manifestano come papule, placche o noduli dermici solitari
spesso asintomatici, ma che a volte causano prurito, sanguinamento
o dolore. Per la diagnosi è necessaria la biopsia, preferenzialmente
escissionale per poter fornire al patologo la maggior porzione
possibile di tessuto da valutare; una punch biopsy può però fornire
un aiuto importante per distinguere un carcinoma annessiale microcistico da un siringoma benigno essendo quest’ultimo situato
nel derma superficiale, al contrario del primo che presenta un
pattern di infiltrazione profondo non osservabile con una biopsia
di superficie.
Patogenesi. La patogenesi di questi tumori non è nota. Al contrario dei carcinomi basocellulari e squamocellulari, essi non sembrano indotti dall’esposizione alla luce ultravioletta; inoltre la loro
rarità li rende difficili da studiare. Non sembra essere coinvolto alcun
tipo di ereditarietà, con la sola eccezione del carcinoma sebaceo che
può essere associato alla sindrome di Muir-Torre, a trasmissione
autosomica dominante.
Istologia. Ogni tumore presenta caratteristiche uniche. Le varie
lesioni possono essere suddivise in base al tipo di epitelio dal quale
derivano: sebaceo, del follicolo pilifero eccrino o apocrino. I criteri
per la valutazione istopatologica sono ben definiti: i tumori mostrano
gradi variabili di atipia cellulare e un pattern di crescita invasivo;
sono inoltre poco circoscritti, con quantità variabili di mitosi, necrosi
e cellule di aspetto atipico. Strutture di tipo ghiandolare, quando
visibili, rendono la diagnosi più agevole. Vengono spesso usate
delle reazioni immunoistochimiche per differenziare i diversi sottotipi
tumorali.
Trattamento. Questi tumori devono sempre essere rimossi
con ampi margini chirurgici. La tecnica chirurgica di Mohs è stata utilizzata con successo, così come l’ampia escissione locale.
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L’asportazione del linfonodo sentinella con esame istologico non
viene eseguita di routine, ma alcuni clinici la ritengono utile soprattutto nei casi di sottotipi particolarmente aggressivi come il
porocarcinoma eccrino; non sono stati però ancora provati benefici
in termini di sopravvivenza con l’uso di questa tecnica.
La chirurgia di Mohs può permettere una diminuzione delle recidive, oltre che un certo grado di risparmio tissutale. È comunque
difficile valutare quale sia la tecnica di rimozione migliore, così
come anche la prognosi e il tasso di ricorrenza, a causa della rarità
di questi tumori e della mancanza di studi randomizzati. Dopo la
diagnosi e l’exeresi di questi tumori, il paziente dovrebbe sottoporsi a
follow-up prolungato nel tempo per valutare precocemente eventuali
recidive.
I tumori annessiali metastatici vengono trattati con chemioterapia
ed eventualmente radioterapia; la presenza di lesioni a distanza
depone comunque per una prognosi sfavorevole.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 3.2
Neoformazioni cutanee maligne
ANGIOSARCOMA
L’angiosarcoma è un tumore dei vasi sanguigni o linfatici raro,
aggressivo e maligno. Questi tumori possono presentarsi come
reperto isolato o in conseguenza di linfedema cronico di lunga data
secondario a radioterapia o a dissezione linfonodale ascellare o
inguinale. In quest’ultimo caso la lesione tende a presentarsi dopo
anni dal trattamento radioterapico o chirurgico. I sarcomi dei tessuti
molli sono estremamente rari e rappresentano una piccolissima
percentuale dei tumori maligni diagnosticati.
Quadro clinico. Gli angiosarcomi sono più comuni nella popolazione maschile anziana e non mostrano predilezione di razza.
Insorgono più frequentemente a livello di testa e collo e presentano
caratteristiche cliniche variegate, anche se spesso hanno l’aspetto
di placche di colore da rosso a viola con bordi poco definiti. A
causa della somiglianza frequente con un ematoma, la diagnosi
può essere tardiva: il tumore nel frattempo continua a espandersi
e a formare delle lesioni satellite, fino a ulcerarsi e in alcuni casi a
sanguinare. Per qualche motivo non ancora noto vengono coinvolti
più frequentemente cuoio capelluto e viso di uomini anziani, con
propensione a interessare le sedi fotoesposte. Il tumore mostra
un pattern di crescita aggressivo e una tendenza a metastatizzare
precocemente.
Gli angiosarcomi possono insorgere anche a livello di regioni
affette da linfedema cronico di lunga data causato più frequentemente da radioterapia o interventi chirurgici. Ogni procedura in
grado di causare alterazioni del drenaggio linfatico può causare
un linfedema cronico, il quale può indurre lo sviluppo dell’angiosarcoma. Le procedure chirurgiche più comunemente implicate
sono le mastectomie radicali e le dissezioni linfonodali ascellari e
inguinali dopo diagnosi di interessamento dei linfonodi da cancro
della mammella o da melanoma. Angiosarcomi insorti in queste
aree sono stati descritti inizialmente da Stewart e Treves e vengono denominati con l’eponimo sindrome di Stewart-Treves; sono
altamente aggressivi e la loro prognosi è infausta. La variante di
angiosarcoma di Stewart-Treves più frequentemente descritta è
quella che si manifesta nelle donne sottoposte a mastectomia
radicale o dissezione linfonodale per cancro mammario: a distanza
di anni dallo sviluppo di linfedema dell’arto omolaterale, la paziente
può sviluppare un’area rossastra simile a un ematoma che si accresce lentamente e nel cui contesto gradualmente si sviluppano
placche o noduli. È a questo punto che spesso viene sospettata la
diagnosi, confermata con una biopsia cutanea. La prognosi infausta
viene probabilmente influenzata dallo stadio avanzato raggiunto nel
momento in cui viene posta la diagnosi.
Gli angiosarcomi radio-indotti possono insorgere nel sito di trattamento o come conseguenza del linfedema cronico, causato a sua
volta dalla radioterapia se quest’ultima ha comportato l’interruzione
del drenaggio lnfatico. Anche in questo caso la diagnosi è tardiva
e la prognosi, di conseguenza, negativa. Il tempo di latenza tra la
radioterapia iniziale e lo sviluppo del tumore è di circa 4-10 anni.
Patogenesi. Gli angiosarcomi sono tumori dei tessuti molli derivati dal rivestimento endoteliale dei capillari o dei vasi linfatici. In
alcuni casi sono state riscontrate elevate concentrazioni di fattore di
crescita dell’endotelio vascolare (Vascular Endothelial Growth Factor,
VEGF) essenziale nella regolazione della proliferazione vasale. Altri
fattori potenziali nella patogenesi di questo tumore sono le mastcellule, che causano un aumento del fattore delle cellule staminali
(ligando per il recettore c-kit; Stem Cell Factor, SCF), l’espressione
del Fas e del Fas ligando e la carenza della caderina, proteina
endoteliale vascolare: tutti questi elementi possono interagire
in maniera ancora sconosciuta per indurre la genesi tumorale.
L’esatto meccanismo di formazione degli angiosarcomi è sconosciuto. L’angiosarcoma radio-indotto potrebbe essere causato da
effetto mutagenico diretto della terapia radiante sul DNA endoteliale.
Non è stato provato alcun legame con l’infezione da herpesvirus
umano 8.
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Istologia. Tutti gli angiosarcomi presentano caratteristiche istopatologiche analoghe. I lobuli tumorali si presentano scarsamente
circoscritti con un pattern di crescita infiltrativo e contengono una
notevole quantità di tessuto vascolare disorganizzato. Il rivestimento
degli spazi vascolari è costituito da cellule endoteliali di aspetto
atipico; tra i riscontri comuni si annoverano frequenti mitosi e lumi
intracitoplasmatici. Nel contesto dello stesso tumore è possibile
osservare porzioni più o meno differenziate.
Trattamento. Il trattamento standard è l’escissione locale,
abbastanza ampia da garantire margini puliti, seguita di solito da
radioterapia postoperatoria.
Il tasso di sopravvivenza a 5 anni è basso (dal 15 al 20%).
Tumori metastatici o non aggredibili chirurgicamente possono ricevere trattamento palliativo con diversi schemi di chemioterapia con tempo di sopravvivenza medio stimato dai 3 ai
6 mesi.
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Tavola 3.3
CARCINOMA
Apparato tegumentario
BASOCELLULARE
Il carcinoma basocellulare (Basal Cell Carcinoma, BCC) è il tumore
maligno più frequente in assoluto: la sua incidenza reale è sconosciuta, ma il numero di BCC diagnosticati in un anno, circa 1 milione
di casi, supera il numero di tutte le altre patologie tumorali maligne
osservate nello stesso arco temporale. Si stima che arrivi a interessare dal 25 al 33% degli abitanti degli USA di etnia caucasica. Il
BCC metastatizza o causa il decesso molto di rado, ma al contempo
presenta una morbilità e un costo rilevanti per il servizio sanitario.
Essendo situate nella stragrande maggioranza dei casi a livello di
testa e collo, queste lesioni localmente invasive causano notevole
disagio estetico, arrivando a sfigurare il paziente.
Quadro clinico. Il BCC tipo classicamente viene descritto come
una papula traslucida e di colore rosso con teleangectasie, che
presenta un bordo rilevato e una depressione o un’ulcerazione
centrale. Si osserva con maggior frequenza nelle zone fotoesposte.
In molti casi questi tumori si manifestano inizialmente come piccole
macule o papule rossastre che si accrescono lentamente in un arco
di tempo che va da qualche mese ad anni; in questo periodo può
divenire friabile in superficie e sanguinare facilmente anche per
traumatismi di lieve entità.
La dimensione varia di solito tra 1 mm e 1 cm, ma in alcuni casi,
se ignorati, possono assumere proporzioni gigantesche fino a casi
riportati di 60 cm2 e oltre. La frequenza non presenta differenze
relativamente al sesso, ma aumenta negli individui di fototipo I di
Fitzpatrick per diminuire gradualmente nei soggetti con fototipi più
alti. Infatti gli individui con fototipo IV di Fitzpatrick presentano la
minore incidenza. La frequenza aumenta, inoltre, con l’età: sono
rari durante l’infanzia, con l’eccezione dei casi con associazione
tra BCC dell’età infantile e la sindrome del nevo basocellulare (o
sindrome di Gorlin-Goltz).
I tumori si situano più frequentemente (>80% dei casi) a livello di
testa e collo e successivamente al tronco. Il margine libero delle labbra, le palme, le piante e il glande sono zone in cui non dovrebbero
osservarsi BCC in quanto sprovviste di peli; possono tuttavia essere
interessate dall’estensione diretta da parte di una lesione adiacente.
Questi tumori raramente metastatizzano; quando questo accade si
tratta quasi sempre di tumori molto grandi ignorati per lungo tempo
o apparsi in pazienti immunodepressi. Le metastasi più comuni
interessano i linfonodi regionali e il polmone.
Esistono molte varianti cliniche di BCC, le più frequenti sono:
la superficiale, la pigmentata, la nodulare e la sclerodermiforme
o morfeiforme. Dal punto di vista clinico, un BBC superficiale si
manifesta come una chiazza rosea o rossa a lento accrescimento,
non rilevata sul piano cutaneo e senza ulcerazioni; se ignorata per
un periodo abbastanza lungo svilupperà comunque aree nodulari
o ulcerate. I BCC nodulari rappresentano la variante probabilmente
più comune e si manifestano con la classica papula traslucida con
teleangectasie e ulcerazione centrale.
La variante pigmentata può essere confusa con il melanoma e
viene spesso descritta come una papula marrone o nera, con o senza
ulcerazione; nelle fasi iniziali le lesioni possono assumere l’aspetto
di papule o placche traslucide con piccole aree pigmentate marroni
o nere. I pazienti con la variante sclerodermiforme o morfeiforme
presentano alla diagnosi tumori relativamente più grandi a causa
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del loro pattern di crescita indolente, perché di colore carneo della
cute sana e con bordi non ben definiti: queste lesioni tendono a non
ulcerarsi finché non raggiungono dimensioni cospicue, motivo per
il quale il paziente richiede l’intervento del medico. Un altro motivo
per il quale la diagnosi viene posta in ritardo è la somiglianza con
il tessuto cicatriziale. In ogni caso, la comparsa di ulcerazioni o
erosioni superficiali permette di porre la diagnosi.
La sindrome genetica associata allo sviluppo di BCC è la sindrome del nevo basocellulare, autosomica dominante, causata da
mutazione del gene patched 1 o PTCH1, localizzato sul cromosoma
9q22, che codifica per una proteina oncosoppressiva che gioca un
ruolo nella via di trasduzione del segnale della proteina sonic hedgehog (SHH). Un difetto della proteina patched attiva numerose vie
di trasduzione del segnale che comportano proliferazione cellulare,
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 3.4
CARCINOMA
Neoformazioni cutanee maligne
BASOCELLULARE
(Seguito)
culminando nello sviluppo del BCC. I pazienti con sindrome del nevo
basocellulare possono inoltre presentare cisti odontogene della
mascella, pitting (depressioni puntiformi ) palmoplantare, diverse
anomalie ossee e calcificazioni della falce cerebrale. Altri segni
associati sono prominenza delle ossa frontali, ritardo mentale e
fibromi ovarici. Altre sindromi rare nel contesto delle quali è possibile osservare lo sviluppo di BCC sono lo xeroderma pigmentoso,
la sindrome di Bazek e la sindrome Rombo.
Patogenesi. Tra i fattori di rischio associati allo sviluppo di BCC
si annoverano l’esposizione cumulativa alla radiazione ultravioletta
e quella alle radiazioni ionizzanti; nel passato l’esposizione all’arsenico era una causa ben conosciuta e l’inquinamento dovuto a
questo metallo rappresenta ancora oggi una preoccupazione in
alcune aree del globo. A partire dall’avvento dei trapianti d’organo,
si è osservato un aumento dello sviluppo nei riceventi, sottoposti a
terapia immunosoppressiva, di tumori cutanei quali BCC, carcinomi
squamocellulari e melanomi. Nella patogenesi del BCC sono state
inoltre chiamate in causa mutazioni di diversi geni quali quelli
codificanti per le proteine PTCH1, p53 (TP53), sonic hedgehog
(SHH), smoothened (SMO) e glioma-associated oncogene homolog
1 (GLI1), anche se la maggior parte dei BCC viene ancora ritenuta
di natura sporadica.
La maggior parte delle informazioni a proposito della patogenesi
del BCC deriva dalla sindrome del nevo basocellulare, in cui il difetto
genetico di PTCH1 attiva differenti vie di trasduzione del segnale e in
particolare un aumento incontrollato della trasmissione di segnale da
parte dei fattori di trascrizione GLI1 con conseguente proliferazione
cellulare incontrollata.
Istologia. Sono state descritte diverse varianti istologiche e un
singolo tumore può mostrarne più di una; i sottotipi più comuni sono
la variante nodulare e quella superficiale. Questi tumori derivano
dalle cellule basali dell’epitelio follicolare e mostrano sempre una
connessione con l’epidermide sovrastante. Il tumore è costituito
da lobuli in contatto con l’epidermide. Questi ultimi sono basofili e
mostrano una fessura tra le cellule basofile e lo stroma circostante.
Le cellule alla periferia dei lobuli mostrano inoltre un aspetto a
palizzata, mentre quelle al centro sono disorganizzate. Il rapporto
tra il nucleo e il volume citoplasmatico è molto aumentato, le mitosi
sono presenti e i tumori più voluminosi presentano ulcerazione dell’epidermide sovrastante. Il tumore è contiguo e non presenta aree
di discontinuità. La forma nodulare si estende nel derma in grado
variabile, tanto più profondamente quanto più tempo è passato
dall’esordio della lesione.
La variante superficiale è a sua volta molto comune. Il tumore
in questo caso non si estende nel derma sottostante ma le masse
neoplastiche sembrano appese al margine inferiore dell’epidermide,
senza invasione della giunzione dermo-epidermica. Tra gli altri
numerosi sottotipi di BCC si annoverano le varianti micronodulare,
adenoide, cistica, pigmentata, infiltrativa e sclerodermiforme.
Trattamento. Le opzioni chirurgiche e mediche a disposizione
sono diverse e vanno scelte in base a localizzazione e dimensione del tumore e alla volontà del paziente. I tumori a livello del
volto vengono spesso trattati tramite chirurgia micrografica di
Mohs, più laboriosa di un’escissione ellittica di routine, ma che
permette il miglior rapporto tra efficacia e risparmio di tessuto,
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
con il risultato di una cicatrice più piccola possibile. La maggior
parte dei BCC può comunque essere trattata mediante escissione chirurgica o diatermocoagulazione e courettage. La terapia
medica con imiquimod o 5-fluorouracile si è rivelata efficace
in casi selezionati di BCC, quali i tumori di piccole dimensioni
della variante superficiale. Un’opzione molto recente è la terapia
fotodinamica, che si esegue mediante applicazione di acido
aminolevulinico sulla lesione e successiva esposizione a luce
visibile blu.
Un inibitore della proteina smoothened, detto GDC-0449,
somministrato per os, si è mostrato molto efficace nel trattamento dei pazienti con sindrome del nevo basocellulare.
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Tavola 3.5
MALATTIA
Apparato tegumentario
DI
BOWEN
La malattia di Bowen è una variante del carcinoma squamocellulare
(cutaneous Squamous Cell Carcinoma, SCC) in situ che si localizza
in aree non fotoesposte. Il termine non viene sempre usato in senso
stretto, tanto da essere divenuto ormai sinonimo di carcinoma
squamocellulare in situ. L’SCC in situ deriva spesso dalla cheratosi
attinica, una lesione considerata suo precursore che se ne differenzia per la mancanza di atipia cheratinocitaria a tutto spessore,
ritenuta invece tratto distintivo della malattia di Bowen, oltre che
dell’SCC in situ.
Quadro clinico. La malattia di Bowen può localizzarsi sulla cute
sia glabra sia con peli e l’aspetto clinico nelle diverse aree può essere completamente differente: nel caso della cute con peli la malattia
esordisce spesso con chiazze ben demarcate di colore da roseo
a rosso con squame aderenti. Le donne ne sono maggiormente
affette e il tumore insorge più tardivamente. È possibile osservare
lesioni multiple, ma l’evenienza di gran lunga più frequente è quella
di una manifestazione unica. L’eritroplasia di Queyrat è una variante
regionale della malattia di Bowen situata sul glande (questo termine
per molti autori è sinonimo dell’interessamento delle mucose, in
particolare di glande, lamina interna del prepuzio, faccia interna
delle piccole labbra). La lesione è di colore rosso brillante, con
un orletto rilevato e ben delimitata. La diagnosi è spesso tardiva
a causa della somiglianza con affezioni cutanee quali dermatiti,
psoriasi e infezioni fungine, tanto che andrebbe effettuata una
biopsia su tutte le lesioni o i rash situati nella regione dei genitali
non rispondenti a terapia medica. Si stima che fino al 5% delle
lesioni di Bowen non trattate sviluppi una componente invasiva.
La relazione tra malattia di Bowen e tumori maligni sistemici è
stata oggetto di studio: se esiste, è comunque con tutta probabilità
dovuta all’utilizzo di arsenico nel passato. I pazienti con anamnesi
positiva per assunzione di arsenico presentano un rischio maggiore
di sviluppare sia malattia di Bowen sia tumori maligni a carico di
organi interni, ma al giorno d’oggi, con la limitazione dell’esposizione
all’arsenico nei Paesi sviluppati, questa associazione viene ritenuta
improbabile.
La maggior parte degli SCC in situ viene riscontrata sulla cute
fotoesposta e si sviluppa a partire da cheratosi attiniche adiacenti;
in alcuni casi le lesioni si trasformano a loro volta in forme invasive
di SCC caratterizzate clinicamente da aumento di spessore, sanguinamento e dolore.
Patogenesi. L’esposizione all’arsenico e ad altri agenti carcinogeni potrebbe avere importanza nello sviluppo della malattia di
Bowen. Le radiazioni ultraviolette o di altro tipo invece giocano un
ruolo sicuro nella sua patogenesi. Il papillomavirus umano (HPV) è
stato chiamato in causa nell’induzione di molte varianti di SCC; in
particolare gli HPV oncogeni 16, 18, 31 e 33 causano notoriamente
mutagenesi e lesioni maligne a livello della cervice e in altri SCC
genitali. I vaccini contro l’HPV potrebbero, pertanto, diminuire in
futuro l’incidenza di questi tumori in maniera significativa.
Istologia. La malattia di Bowen è caratterizzata da atipia a tutto
spessore dei cheratinociti epidermici, che si estende all’epitelio
dei follicoli piliferi: questo segno non va scambiato per invasione
dermica, che è invece assente in queste lesioni. Il derma sottostante
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può mostrate infiltrato linfocitario perivascolare. L’atipia cellulare può
presentarsi in vari gradi.
Trattamento. I trattamenti possono essere distinti in chirurgici
e medici; la scelta tra le due opzioni dipende da vari fattori quali
localizzazione e dimensione delle lesioni: per alcuni tumori la terapia
migliore è quella chirurgica, per altri quella medica.
L’escissione semplice o la diatermocoagulazione e il courettage
sono trattamenti altamente efficaci; anche la crioterapia può essere
utilizzata con successo in casi selezionati. Le terapie mediche comprendono l’applicazione di 5-fluorouracile, di imiquimod o di acido
5-aminolevulinico seguita da esposizione a luce blu; tutte si sono
rivelate efficaci. Il rischio di recidiva viene calcolato tra il 3 e il 10%
in base al tipo di terapia utilizzata.
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Tavola 3.6
PAPULOSI
Neoformazioni cutanee maligne
BOWENOIDE
La papulosi bowenoide è considerata una variante particolare di
SCC in situ causata dall’HPV e localizzata prevalentemente a livello
della regione genitale, in particolare sull’asta del pene. Così come
in altri casi di lesioni tumorali cutanee indotte da HPV, i tipi virali più
comunemente chiamati in causa sono 16, 18, 31 e 33, per quanto
molti altri tipi siano stati riscontrati in queste lesioni. La papulosi
bowenoide è considerata da alcuni una lesione precancerosa, mentre altri la ritengono un vero e proprio SCC in situ. Queste lesioni
presentano comunque un basso rischio di trasformazione invasiva e,
se trattate, hanno una prognosi eccellente. Si ritiene che circa l’1%
delle papulosi bowenoidi si trasformerà in SCC invasivi.
Quadro clinico. La papulosi bowenoide è più comune tra i maschi dalla terza alla sesta decade di vita, senza predilezione razziale.
Si ritiene che le lesioni siano più frequenti nei pazienti sessualmente
promiscui a causa di un maggiore rischio di esposizione all’HPV ed
è ancora troppo presto per capire se la vaccinazione contro questo
virus abbia in qualche modo modificato l’incidenza della patologia.
Le localizzazioni più comuni sono l’asta per i maschi e la vulva per
le femmine; le lesioni sono di solito delle macule o papule ben circoscritte, modicamente iperpigmentate, a volte confluenti in placche di
dimensioni maggiori. È possibile osservare minime iregolarità sulla
superficie. Spesso si osservano in associazione con delle verruche
genitali e può essere difficile distinguerle dalle verruche più piccole.
Si ritiene che la papulosi bowenoide sia causata dalla trasformazione
dei cheratinociti indotta da HPV, pertanto le lesioni diffondono il virus
e sono contagiose. Le lesioni sono solo raramente sintomatiche e
giungono all’attenzione del medico a causa della preoccupazione
del paziente, che le scambia per verruche genitali. Per un qualche
motivo la circoncisione sembra aiutare a prevenire l’insorgenza del
cancro del pene; è stato ipotizzato che il rischio maggiore cui sono
esposti i maschi non circoncisi derivi dalla ritenzione di smegma e
dalla macerazione cronica, che congiuntamente all’infiammazione
di grado lieve ma cronica rappresentano una porta di ingresso per
l’infezione da HPV.
Patogenesi. Quasi tutte le lesioni mostrano la presenza di HPV
e il sottotipo in assoluto più frequente nella papulosi bowenoide è il
16. Le cellule della regione genitale infettate cronicamente da HPV
esprimono diverse proteine essenziali nella trasformazione maligna,
le più studiate delle quali sono le oncoproteine E6 ed E7, in grado
di alterare i segnali cellulari normali sulle vie di trasduzione della
proteina p16 (TP16) e del retinoblastoma (RB) con l’effetto di perdita
di controllo dei segnali cellulari e dell’apoptosi normale e, in ultima
istanza, di sviluppo del cancro.
Istologia. La papulosi bowenoide presenta un’istologia molto
simile a quella dell’SCC in situ: si nota atipia a tutto spessore dell’epidermide con coinvolgimento degli annessi e membrana basale
intatta con gradi variabili di acantosi e ipercheratosi epidermiche.
Le cellule sono spesso di dimensioni aumentate e pleomorfiche,
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con mitosi evidenti. L’infezione da HPV si rende evidente poiché
le cellule assumono l’aspetto di coilociti vacuolati; è comunque
possibile evidenziare oltre che tipizzare il virus mediante l’utilizzo
di tecniche come la PCR (Polymerase Chain Reaction).
Trattamento. Dopo che la biopsia ha evidenziato una componente invasiva del tumore, il trattamento più efficace consiste nel
rimuovere clinicamente le aree coinvolte. È molto importante inter-
venire sulla trasmissione dell’HPV agli eventuali partner mediante
l’uso del preservativo. La terapia medica di prima linea consiste
nell’applicazione topica di 5-fluorouracile o imiquimod; risultano
efficaci anche terapie fisiche quali diatermocoagulazione, crioterapia
e ablazione laser.
I pazienti e i loro partner sessuali andrebbero infine seguiti con
un follow-up di routine.
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Tavola 3.7
METASTASI
Apparato tegumentario
CUTANEE
Raramente tumori maligni di altri organi si manifestano con metastasi cutanee, che si osservano più di frequente in pazienti che
hanno già una diagnosi di malattia metastatica. La loro frequenza
dipende dal tipo di tumore primitivo: quasi tutti i tipi di tumori maligni
sono in grado di dare metastasi cutanee, per quanto solo pochi
siano all’origine di lesioni di grande volume. La distribuzione delle
metastasi dipende a sua volta dal tumore primitivo. Le metastasi
cutanee più frequenti derivano da un melanoma primitivo che abbia
già causato metastasi.
Quadro clinico. La maggior parte delle metastasi cutanee si
manifesta come noduli dermici a lento accrescimento, quasi sempre di consistenza dura e di vario colore; in alcuni casi sviluppano
necrosi, ulcerazione e sanguinamento spontaneo. Possono derivare
da un tumore maligno sottostante per contiguità o svilupparsi a
distanza; nonostante insorgano spesso non lontano dalla lesione
primitiva, la loro localizzazione non fornisce indicazioni affidabili
sul sito primitivo (criterio organo topografico). Il cuoio capelluto
è frequentemente sede di metastasi, forse a causa della ricca
vascolarizzazione.
Nodulo di Sister Mary Joseph è il nome con cui viene indicata
la metastasi paraombelicale da un tumore maligno addominale,
soprattutto dai carcinomi ovarico, gastrico e colico; si tratta di una
presentazione rara, descritta inizialmente da una suora all’ospedale
di St. Mary alla Mayo Clinic.
Le metastasi da melanoma sono spesso pigmentate e tendono
a presentarsi in gruppi; possono manifestarsi con l’eruzione improvvisa e continua di papule e macule multiple di colore nero che
può progredire fino allo sviluppo di melanosi generalizzata, un segno
prognostico infausto che compare molto tardi nel decorso della
malattia e che si ritiene venga causato dalla produzione massiva di
melanina con successiva deposizione cutanea.
Il carcinoma mammario rappresenta un’altra forma tumorale che
spesso causa metastasi cutanee che interessano di solito la regione
del seno per estensione diretta.
Patogenesi. La ragione esatta per la quale alcuni tumori metastatizzano alla cute è sconosciuta; questo processo è infatti complesso e dipende da molte variabili quali le dimensioni tumorali, la
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capacità di invadere le strutture adiacenti (compresi vasi sanguigni
e linfatici) e di crescere in siti diversi da quello del tumore primitivo, nonché dalla produzione di numerosi fattori di crescita e dalla
capacità di eludere il controllo da parte del sistema immunitario
dell’ospite.
Istologia. La diagnosi di metastasi cutanea viene quasi sempre
posta dall’istopatologo: ogni lesione presenta caratteristiche uniche
dipendenti dal tumore primitivo.
Trattamento. Le metastasi cutanee solitarie possono essere
rimosse chirurgicamente, ma a causa dell’alto rischio di recidiva
andrebbero considerati dei trattamenti con chemio- e radioterapia.
L’escissione chirurgica palliativa va intrapresa in tutti i casi di metastasi cutanee dolorose, ulcerate o causanti limitazione funzionale per
il paziente. La prognosi è infausta, con un tempo di sopravvivenza
aumentato dai trattamenti attuali ma comunque stimato tra i 3
e i 6 mesi.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 3.8
Neoformazioni cutanee maligne
DERMATOFIBROSARCOMA
PROTUBERANS
Il dermatofibrosarcoma protuberans è un tumore maligno cutaneo
raro e localmente aggressivo derivato dai fibroblasti dermici e
ritenuto non in continuità clinica con dermatofibromi preesistenti.
Questa lesione metastatizza solo di rado, ma mostra una tendenza
caratteristica a recidivare localmente.
Quadro clinico. Il dermatofibrosarcoma protuberans è un tumore maligno cutaneo a lenta crescita e localmente aggressivo; è un
sarcoma di basso grado e rappresenta l’1% circa di tutti i sarcomi
dei tessuti molli. Il tumore si presenta con la stessa frequenza in
tutte le razze e affligge in misura lievemente maggiore i maschi rispetto alle femmine; in molti casi cresce così lentamente da passare
inosservato per molti anni. L’esordio tipico è rappresentato da un
leggero ispessimento dello stesso colore della cute che, nel tempo,
mostra aumento volumetrico e assume una colorazione da rosea a
rossa, oltre a infiltrare lentamente il tessuto circostante, soprattutto il
sottocute. Se lasciato a se stesso abbastanza a lungo, questo tumore
può invadere anche il tessuto adiposo e dare luogo alla comparsa
sulla cute di noduli satellite attorno alla placca originaria: è per via
di una sintomatologia di questo tipo che i pazienti si presentano
dal medico. Dopo essere cresciuto lentamente per anni, il tumore
può infine mostrare una fase di rapida crescita durante la quale si
sviluppa verticalmente, da qui deriva il termine protuberans. Se non
si interviene neanche in questo momento, il tumore continuerà a
invadere le strutture più profonde fino ad arrivare a fasce, muscoli
e ossa.
Il dermatofibrosarcoma protuberans è di solito asintomatico nelle
fasi iniziali; a mano a mano che la crescita procede, il paziente può
avvertire una sensazione di prurito o, più raramente, di bruciore o
dolore e più tardi di costrizione, per quanto la velocità con cui il
tumore aumenta sia talmente lenta da condurre l’individuo a ignorarlo per mesi o anni. La diagnosi differenziale comprende cheloidi e
cicatrici ipertrofiche, o la morfea nel caso della variante atrofica. Una
chiave di lettura per il dermatofibrosarcoma protuberans è l’assenza
di follicoli piliferi, in quanto gli annessi vengono spinti alla periferia
dalla crescita tumorale. In caso di notevole aumento volumetrico
si svilupperanno ulcerazioni ed erosioni. I bordi della lesione sono
mal definiti e rendono la definizione dell’estensione molto difficile
se non impossibile. La diagnosi viene posta dopo biopsia ed esame
istopatologico. La malattia metastatica è rara, mentre la recidiva
locale dopo l’exeresi chirurgica è quasi la regola.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Patogenesi. L’esatta patogenesi è sconosciuta; le analisi
genetiche cromosomiche hanno dimostrato la presenza della traslocazione reciproca t(17;22)(q22;q13.1), ritenuta responsabile
della formazione del tumore. La traslocazione causa la fusione tra
i geni della catena B del PDGF (platelet-derived growth factor Bchain) e del COL1A1 (collagen type I B1) con conseguente controllo
del gene PDGFB da parte di quello COL1A1, con iperespressione
di PDGFB e stimolazione continua del suo recettore per la tirosin
chinasi.
Istologia. Il dermatofibroma protuberans mostra un pattern di
crescita infiltrativo con invasione del tessuto adiposo sottocutaneo:
le cellule tumorali tendono a invadere il tessuto adiposo. Il tumore
è poco circoscritto, con i bordi scarsamente distinguibili dal derma
normale ed è costituito da fibroblasti disposti “a tappeto intrecciato”.
Queste lesioni in immunoistochimica esprimono l’antigene CD34
ma non il fattore XIII, al contrario del dermatofibroma benigno che
si comporta in maniera diametralmente opposta. Anche la positività
alla stromelisina-3 è utilizzata nella diagnosi differenziale tra le due
patologie, essendo positiva nel caso del dermatofibroma e negativa
in quello del dermatofibrosarcoma protuberans.
Trattamento. A causa dei margini mal definiti del tumore e delle
sue dimensioni al momento della diagnosi, solitamente elevate, viene spesso intrapresa un’escissione locale ampia con un margine di
2 o 3 cm con radioterapia postoperatoria locale per diminuire il tasso
di recidiva. L’imatinib, inibitore della tirosin chinasi, si è dimostrato
promettente come trattamento preoperatorio nel ridurre lesioni
molto grandi o inoperabili; sono stati inoltre riportati casi aneddotici
di successo di questo farmaco in casi di malattia metastatica.
59
Tavola 3.9
Apparato tegumentario
MALATTIA
DI PAGET
MAMMARIA ED EXTRAMAMMARIA
La malattia di Paget extrammaria è un tumore maligno raro che
insorge più frequentemente in zone ricche di ghiandole apocrine.
È di solito primitivo ma può anche rappresentare un marker di
malattia maligna viscerale a carico dei tratti gastrointestinale o
genitourinario. La malattia di Paget è un adenocarcinoma intraepidermico limitato al seno associato di solito a carcinoma mammario
sottostante.
Quadro clinico. La malattia di Paget extramammaria si localizza
di solito a livello delle ascelle o dell’inguine, le due zone del corpo
umano più ricche di ghiandole apocrine, da cui si ritiene provenga
questo tipo di tumore. La patologia non mostra predilezione di razza
e compare solitamente tra la quinta e la settima decade di vita, più
frequentemente nelle donne. La diagnosi è spesso tardiva a causa
dell’aspetto eczematoso della lesione, scambiata spesso per una
micosi superficiale o per un’eczema; solo dopo la mancata risposta
alla terapia viene sospettata la diagnosi, poi confermata dalla biopsia
cutanea. Il tumore si presenta come una chiazza rosso-rosea con
la superficie lucente, a lenta crescita. Il sintomo più frequente è il
prurito, ma il paziente può lamentare comparsa di dolore, anche
puntorio, bruciore e sanguinamento. L’area è molto sensibile al tatto
e presenta emorragie puntiformi dopo frizione. Nel contesto della
lesione eritematosa spesso sono evidenti piccole chiazze biancastre,
aspetto questo caratteristico della malattia di Paget extramammaria,
descritto come “a fragole e panna”. Con la progressione tumorale
si sviluppano erosioni e ulcerazioni. La diagnosi differenziale comprende le dermatiti eczematose, la psoriasi inversa e l’infezione da
dermatofiti; tutte le sedi affette da rash che non risponde a terapia
specifica andrebbero sottoposte a biopsia cutanea.
Il tumore è solitamente singolo, ma può essere presente in associazione a un carcinoma sottostante quale un adenocarcinoma
dei tratti gastrointestinale o genitourinario, soprattutto un adenocarcinoma rettale. La percentuale di tale associazione non è nota, ma
si stima che sia bassa; a ogni modo è opportuno eseguire dei test
di screening al fine di escluderla. Di solito la diagnosi del tumore
sottostante precede o è contemporanea a quella della malattia di
Paget extramammaria.
Patogenesi. L’esatto meccanismo di trasformazione maligna
è sconosciuto. Esistono due teorie in tal senso: secondo la prima,
il tumore sarebbe un adenocarcinoma intraepidermico originato
da una ghiandola apocrina, mentre per la seconda sarebbe un
adenocarcinoma sottostante esteso all’epidermide sovrastante.
Sebbene la maggior parte degli autori ritenga che la prima ipotesi
sia quella corretta, gli studi mostrano risultati contrastanti. Non
esistono fattori predisponenti noti.
Istologia. L’istopatologia è diagnostica, ma può somigliare a
quella del melanoma in situ o a quella del carcinoma squamocellulare. Nell’epidermide sono presenti numerose cellule di Paget, con citoplasma chiaro, distribuite nei vari strati: questo tipo di disposizione
pagetoide viene spesso osservata anche nel melanoma. Le cellule
possono anche raggrupparsi a formare delle strutture di aspetto
ghiandolare. L’analisi immunoistochimica permette la diagnosi
differenziale tra melanoma, carcinoma squamocellulare e malattia
di Paget extramammaria: quest’ultima è positiva caratteristicamente
per l’antigene carcinoembrionario (Carcinoembryonic Antigen, CEA)
oltre che per alcune citocheratine a basso peso molecolare, men-
60
tre è negativa per S100, HMB-45 o per la melanina A. L’utilizzo
delle citocheratine 7 e 20 risulta predittivo per la presenza di un
adenocarcinoma sottostante; comunque, il loro uso non è ancora
entrato nella routine diagnostica.
Trattamento. La prognosi della malattia di Paget extramammaria dipende dallo stadio del tumore: la malattia localizzata alla cute
presenta una prognosi eccellente e viene trattata con un’escissione
locale ampia, per quanto il rischio di recidiva sia alto e sia pertanto
richiesto un follow-up a tempo indeterminato. La prognosi in caso
di malattia associata ad adenocarcinoma sottostante dipende dallo
stadio di quest’ultimo, ma è in generale peggiore.
La malattia metastatica ha una prognosi infausta e viene
trattata con vari schemi di chemioterapia associata o meno a
radioterapia.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 3.10
SARCOMA
Neoformazioni cutanee maligne
DI
KAPOSI
Il sarcoma di Kaposi è un tumore maligno raro delle cellule endoteliali dalle caratteristiche uniche. (L’origine del sarcoma di Kaposi è
controversa: infatti, le cellule del tumore esprimono anche marker
per macrofagi, fibroblasti e cellule muscolari lisce.) La variante classica si riscontra in pazienti anziani ed è più frequente nelle regioni
circostanti il Mar Mediterraneo, mentre la variante associata all’HIV
o all’AIDS si osserva prevalentemente negli uomini. Un’altra variante
si sviluppa nei pazienti cronicamente immunodepressi, quali quelli
sottoposti a trapianto di organo solido; ne esiste una forma ulteriore,
detta africana, che colpisce uomini nella terza e quarta decade di
vita. Si pensa che l’infezione da herpes virus di tipo 8 (HHV) abbia
un ruolo nella patogenesi di tutte le varianti di questa malattia. Il
sarcoma di Kaposi è un tumore localmente aggressivo che solo di
rado risulta fatale, se si eccettua la rara variante linfoadenopatica
africana, distinta dalla più comune variante cutanea africana.
Quadro clinico. A dispetto dei vari sottotipi clinici, l’aspetto di
questi tumori è abbastanza uniforme. Le lesioni appaiono come
macule, papule, placche o noduli di colore da roseo-rosso a viola.
La localizzazione tipica della forma classica è a livello delle estremità
inferiori in uomini anziani, che spesso muoiono per altri motivi vista
la tendenza del tumore a restare stabile per anni. In rare occasioni i
tumori possono crescere e presentare ulcerazioni, causando dolore
e sanguinamento. La forma disseminata può invece essere molto
aggressiva e richiede l’utilizzo di una chemioterapia sistemica.
Il sarcoma di Kaposi associato all’AIDS è la forma più comune e
viene spesso osservato in pazienti più giovani in cui si manifesta,
a differenza della forma classica, come macule, placche o noduli
violacei, caratteristicamente lanceolati, su testa, collo, tronco ed
estremità superiori. Questa patologia è caratteristica dell’AIDS
e i pazienti che ne sono affetti presentano un rischio più alto di
coinvolgimento sistemico. L’organo interno più frequentemente
colpito è l’intestino tenue, ma ciascun apparato può essere interessato. Dall’avvento della terapia combinata anti-HIV, l’incidenza del
sarcoma di Kaposi associato all’AIDS è diminuita drasticamente.
La forma cutanea africana di sarcoma di Kaposi si riscontra
più frequentemente in uomini giovani con segni piuttosto simili a
quelli della variante classica, ma i pazienti presentano con molta
più frequenza edema grave delle estremità inferiori, oltre che un
interessamento osseo maggiore che nelle altre forme. La differenza
maggiore tra la variante cutanea africana e quella classica rimane
l’età di insorgenza. La forma aggressiva di questa variante colpisce
pazienti in età pediatrica e risulta spesso fatale a causa della capacità di metastatizzare; i linfonodi risultano spesso coinvolti prima
della cute. Le ragioni del comportamento specifico della variante
cutanea africana non sono ben comprese.
Patogenesi. La patogenesi delle varianti classica e africana del
sarcoma di Kaposi è sconosciuta; la cellula originaria viene ritenuta
essere quella endoteliale. È stato dimostrato come le metalloproteinasi della matrice 2 e 9 incrementino l’angiogenesi e aumentino
l’invasione tissutale da parte delle cellule endoteliali affette. Il sarcoma di Kaposi associato all’AIDS o ad altri stati immunosoppressivi
a sua volta viene verosimilmente causato dall’azione dell’HHV8 in
individui geneticamente predisposti, mediante alterazione della
risposta immune che permette alle cellule endoteliali di proliferare
in maniera incontrollata.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Istologia. La biopsia del sarcoma di Kaposi mostra segni caratteristici quali il segno del promontorio, rappresentato da cellule endoteliali rigonfie che si aggettano nel lume dei capillari. Si osservano
inoltre molti spazi vuoti formati da vasi sanguigni dalle pareti molto
sottili, facilmente comprimibili e ripieni di globuli rossi. Il tumore è
di solito molto vascolarizzato, con lacune vascolari predominanti e
abbondante stravaso di globuli rossi nel derma.
Trattamento. La forma classica del sarcoma di Kaposi viene
trattata con radioterapia locoregionale, per quanto siano stati
utilizzati altri trattamenti locali quali alitretinoina, imiquimod, vincristina intralesionale e interferone. Le forme disseminate e aggressive vengono trattate con chemioterapia sistemica, di solito
secondo uno schema costituito da vinblastina, paclitaxel, bleomicina
o doxorubicina liposomiale pegilata.
61
Tavola 3.11
Apparato tegumentario
CHERATOACANTOMA
Il cheratoacantoma è un tumore cutaneo maligno a crescita rapida
derivato dal cheratinocita. Alcuni ritengono che questo tumore rappresenti un sottotipo del carcinoma squamocellulare cutaneo, ma
sia la sua storia naturale sia la sua morfologia sono sufficientemente
peculiari da permettere una trattazione separata. Nella maggior
parte dei casi si presenta come lesione unica; ne sono state descritte alcune varianti rare quali le sindromi di Ferguson-Smith,
Witten-Zak e Grzybowski.
Quadro clinico. Il cheratoacantoma classico e solitario esordisce come una papula piccola color carne che si ingrandisce
rapidamente fino alla formazione di un nodulo crateriforme con un
tappo cheratinico centrale. La caratteristica tipica di questo tumore
è la sua tendenza, quando ignorato, a risolvere spontaneamente in
un periodo che va da settimane a pochi mesi. Le varianti differenti
dalla classica non presentano questa caratteristica, tanto da impedire l’approccio osservazionale in quanto una percentuale alta
delle lesioni tenderà a crescere; inoltre, se non trattate, possono
mostrare comportamento aggressivo con invasione locale e a distanza, soprattutto a livello dei linfonodi regionali. La variante più
comune, ovvero quella solitaria, si riscontra quasi esclusivamente
nelle regioni fotoesposte, con un picco di incidenza durante la quinta
e la sesta decade di vita. Questi tumori sono più frequenti nella razza
caucasica e nei maschi.
Esistono molte varianti specifiche di cheratoacantoma, come il
cheratoacantoma centrifugo marginato, il quale si manifesta con
una cresta periferica di tessuto neoplastico in costante espansione
che determina una placca con un bordo rialzato caratteristico, che
può raggiungere dimensioni notevoli, tanto da coprire gran parte di
un arto e rappresentare una sfida terapeutica.
I cheratoacantomi sono raramente multipli e in tal caso si distinguono in tre sottotipi diversi. La sindrome di Gryzbowski è caratterizzata da cheratoacantomi multipli eruttivi distribuiti in maniera
generalizzata, quasi sempre nell’adulto. La forma di Ferguson-Smith
consiste in cheratoacantomi multipli ereditati secondo una modalità
autosomica dominante, di aspetto uniforme, diffusi, che esordiscono
in età pediatrica e mostrano maggiore tendenza alla regressione
spontanea. La sindrome di Witten-Zak, a sua volta autosomica
dominante e a esordio infantile, presenta maggiore variabilità per
quanto riguarda dimensioni e aspetto.
Patogenesi. L’esatta patogenesi è sconosciuta; la cellula
originaria è il cheratinocita, verosimilmente derivato dall’epitelio
del follicolo pilifero. L’incidenza è maggiore nei pazienti con storia
di esposizione cronica ai raggi ultravioletti e in quelli immunodepressi. La variante classica viene descritta come auto-risolvente, per
62
quanto il motivo di tale comportamento sia sconosciuto. Alcuni dati
suggeriscono che il tumore, così come il follicolo pilifero, presenti un
sistema di controllo per fasi predeterminate di crescita e involuzione:
il follicolo pilifero cresce fino a un certo livello, superato il quale
un segnale causa l’arresto della crescita, l’espulsione del follicolo
e la nascita di un nuovo fusto pilifero; forse il cheratoacantoma
presenta un comportamento ciclico analogo. I cheratoacantomi si
verificano con una maggiore frequenza nella sindrome di Muir-Torre;
è possibile che il difetto genetico alla base della sindrome giochi un
ruolo nella patogenesi di questi tumori.
Istologia. Il tumore si presenta caratteristicamente come un
nodulo simmetrico esofitico a forma di ciotola con un tappo di
cheratina prominente e bordi ben circoscritti. Un segno caratteristico
è la presenza di ascessi formati da neutrofili negli strati più esterni
dell’epidermide. I cheratinociti, che compongono gran parte della
massa tumorale, presentano un citoplasma di aspetto vitreo con
grandi quantità di glicogeno. Altri segni specifici sono la presenza
di plasmacellule ed eosinofili, nonché la scomparsa di fibre elastiche
nel derma che circonda la neoformazione epiteliale.
Trattamento. Dopo l’esecuzione della biopsia, il trattamento di
prima scelta è la rimozione chirurgica mediante escissione ellittica
o chirurgia micrografica di Mohs. In casi specifici non suscettibili
di terapia chirurgica sono state effettuate terapie a base di metotrexato intralesionale e retinoidi somministrati per via orale. Le
forme familiari richiedono terapie croniche a base di retinoidi per
il controllo delle lesioni.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 3.12
Neoformazioni cutanee maligne
MELANOMA
Il melanoma è uno dei pochi tumori la cui incidenza ha continuato
ad aumentare nel corso dell’ultimo secolo fino a raggiungere quella
attuale, che negli Stati Uniti è di 1 su 75 individui caucasici e viene
stimata in aumento anche per le prossime decadi. La mortalità,
al contrario, è diminuita, probabilmente per via della diagnosi e
dell’intervento chirurgico precoci. Il melanoma rappresenta la sesta
patologia tumorale negli uomini e la settima nelle donne, nelle quali
è il tumore più comune tra i 25 e i 30 anni. Nel 2009 negli Stati
Uniti sono stati diagnosticati circa 700.000 casi di melanoma e
circa 9.000 decessi a causa di complicanze direttamente legate
a questa patologia.
Quadro clinico. Il melanoma mostra un pattern di crescita
caratteristico. Insorge de novo su cute sana priva di lesioni pigmentarie nel 60% circa dei casi e da nevi melanocitici preesistenti
nel restante 40%; è raro che insorga nel bambino, se si eccettuano
i casi derivati da nevi congeniti giganti. L’incidenza raggiunge un
picco durante la terza decade di vita per poi rimanere stabile lungo
le successive cinque decadi. I due sessi sono affetti nella stessa
misura; la popolazione caucasica viene colpita più di frequente.
Esistono delle differenze regionali nella distribuzione delle lesioni:
il dorso è la sede più frequente negli uomini, le estremità inferiori,
posteriormente, nelle donne. Tuttavia il melanoma può insorgere in
qualunque zona della cute e delle mucose, nonché a livello della
retina, struttura in cui sono presenti melanociti; in questo caso il
riscontro è casuale durante l’esame oftalmologico di routine.
Il melanoma viene descritto utilizzando l’acronimo ABCDE: asimmetria, irregolarità dei bordi, variazioni di colore, diametro maggiore
di 6 mm ed evoluzione. Questi criteri rappresentano delle linee guida
di massima non elaborate per diagnosticare il melanoma, bensì per
aumentare la consapevolezza della popolazione e per permettere
uno screening. In alcuni casi le lesioni presentano tutte le caratteristiche ABCDE, in altri solo una o due; alcune varianti, per quanto
molto rare, non ne presentano alcuna.
Esistono quattro varianti principali di melanoma, tra le quali la più
comune è quella a diffusione superficiale (SSM) seguita dalla forma
nodulare, dalla lentigo maligna e dal melanoma acrale lentigginoso.
Tra le varianti rare si annoverano i tipi amelanotico e nevoide. La
forma a diffusione superficiale, la più diffusa, si manifesta come
una macula a lenta crescita, di forma irregolare e colorazione
non uniforme che, se non riconosciuta, continua ad aumentare
in dimensione sviluppando alla fine una componente verticale che
si manifesterà con una nodulazione nel contesto della lesione. La
variante nodulare insorge de novo senza che sia presente alcun
precursore. Le lesioni nodulari sono di solito piuttosto grandi al
momento della diagnosi, sono nella fase di diffusione verticale e
pertanto possono più facilmente dare metastasi.
Il melanoma acrale lentigginoso è stato a lungo associato a
una prognosi sfavorevole; questo è dovuto verosimilmente a una
diagnosi tardiva piuttosto che al sottotipo. Le lesioni si riscontrano
spesso sulle piante, sulle palme e alle dita sia dei piedi sia delle
mani; i pazienti spesso le sottovalutano o le scambiano per ematomi
subungueali o contusioni. Un aspetto particolare è la frequenza
maggiore con cui questa variante si presenta nella popolazione
afroamericana.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
La lentigo maligna si sviluppa più frequentemente sul viso di
pazienti nelle decadi di vita dalla quinta alla settima, soprattutto in
quelli con storia di esposizione solare intensiva e cronica. Questa
variante è difficile da trattare e presenta una spiccata propensione
alla recidiva locale. I bordi sono scarsamente definiti ed è difficile
distinguere i melanociti affetti da quelli semplicemente danneggiati
dall’esposizione solare.
Il melanoma amelanotico è il più difficile da riconoscere: spesso
presenta l’aspetto di una chiazza o di una placca a lenta crescita di
colore roseo, priva di pigmento e viene comunemente diagnosticato
inizialmente come una forma di eczema o di tigna o, ancora, di cheratosi attinica. La mancanza di pigmento priva il clinico della chiave
diagnostica più importante; queste lesioni vengono sottoposte a
biopsia dopo essere state trattate senza successo come affezioni
63
Tavola 3.13
Apparato tegumentario
MELANOMA
(Seguito)
di tutt’altra natura o dopo aver sviluppato delle papule o dei noduli,
e anche in questo caso spesso viene sospettato un carcinoma
basocellulare o squamocellulare. Il melanoma amelanotico non
viene quasi mai considerato nella diagnostica differenziale. I pazienti
affetti da albinismo o da xeroderma pigmentoso presentano un
rischio più elevato di sviluppare melanoma amelanotico e vanno
pertanto sottoposti a screening periodico e a biopsie ogniqualvolta
insorgano lesioni sospette.
Patogenesi. Non esiste un singolo difetto genetico che possa
spiegare lo sviluppo di tutti i melanomi. La teoria più plausibile è
che un melanocita epidermico venga danneggiato da un fattore
esterno quale l’esposizione cronica agli ultravioletti, o interno, quale
una mutazione spontanea in un gene chiave nella regolazione di
proliferazione o apoptosi cellulare. In seguito a tale evento, il melanocita anomalo comincia a proliferare originando un melanoma
in situ, per dare luogo successivamente alla formazione di nidi di
melanociti che continuano a proliferare e a espandersi finché le
caratteristiche cliniche non si rendano evidenti. Il tumore attraversa
una prima fase di crescita radiale e in seguito una fase di crescita
verticale con l’acquisizione di potenziale metastatico.
Si stima che circa il 10% dei melanomi sia di forma familiare.
Il gene che verosimilmente causa la suscettibilità maggiore è il
p16 (TP16 ) che, quando mutato, aumenta il rischio di sviluppare
un melanoma come anche un carcinoma pancreatico. TP16 è un
gene oncosoppressore ereditato in maniera autosomica dominante
per il quale esiste già un test in commercio.
Istologia. La diagnosi istologica del melanoma si basa su diversi
criteri quali asimmetria, atipia melanocitaria, mitosi, distribuzione
dei melanociti nell’epidermide, perdita di maturazione melanocitaria
all’aumentare della profondità nel derma, delimitazione della lesione
e disordine architetturale. Si ritiene che il melanoma origini da
una porzione in situ con conseguente distribuzione pagetoide dei
melanociti nell’epidermide: nel caso in cui non siano visibili componenti epidermiche del melanoma, viene ipotizzata la possibilità
di una metastasi.
Trattamento. Nel momento in cui ci si trova davanti a una
lesione cutanea pigmentata sospetta, la tecnica migliore è quella
della biopsia escissionale con margini di 1-2 mm di cute sana,
che permette di misurare accuratamente lo spessore di Breslow,
ovvero la distanza tra lo strato granuloso e il margine più profondo
del tumore. Ancora oggi questo parametro rappresenta il fattore
prognostico più importante per il melanoma.
La scelta della terapia dipende dallo spessore di Breslow, dalla
presenza di ulcerazione e dall’indice mitotico del tumore primitivo.
La cura standard prevede un’escissione locale ampia con margini
liberi stabiliti in base ai criteri precedentemente descritti. Nel caso
del melanoma in situ il trattamento prevede un allargamento con
5 mm di margine.
La biopsia del linfonodo sentinella viene effettuata routinariamente. (La biopsia del linfonodo sentinella, tecnica che permette
una migliore stadiazione, si effettua nei casi in cui lo spessore di
Breslow è superiore a 1 mm, o in presenza di ulcerazione, o con
64
indice mitotico maggiore o uguale a 1 mitosi × mm2.) Nel caso in
cui la biopsia risulti positiva viene eseguita una stadiazione mediante
la tomografia a emissione di positroni/tomografia computerizzata
(Positron Emission Tomography/Computed Tomography, PET/CT)
e la risonanza magnetica (Magnetic Resonance Imaging, MRI) del
sistema nervoso centrale. I pazienti che presentino metastasi solo
linfonodali verranno sottoposti a dissezione linfonodale locale e
a terapia adiuvante con interferone. Nel caso di malattia metastatica più estesa andranno adottati diversi regimi chemioterapici
o arruolamento in studi clinici sperimentali. Il tasso di mortalità per
il melanoma al IV stadio è molto elevato; il follow-up del paziente
dipende dallo stadio della malattia. Sono state pubblicate delle linee
guida internazionali dal National Comprehensive Cancer Network/
National Cancer Institute (NCCN/NCI).
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 3.14
CARCINOMA
A CELLULE DI
Neoformazioni cutanee maligne
MERKEL
Il carcinoma a cellule di Merkel è un tumore cutaneo neuroendocrino maligno a comportamento aggressivo derivato dalla cellula di
Merkel, che spesso è intimamente connessa a terminazioni nervose
cutanee specializzate, nella cui patogenesi è stata implicata l’infezione da poliomavirus. La prognosi del carcinoma a cellule di Merkel
è peggiore di quella del melanoma: questo tumore presenta un
tasso di recidiva alto e al momento della diagnosi presenta spesso
metastasi ai linfonodi regionali.
Quadro clinico. Il carcinoma a cellule di Merkel è un tumore
maligno raro la cui incidenza viene stimata attorno a 1 su 200.000;
è molto più comune negli individui caucasici e presenta una lieve
predilezione per il sesso maschile. L’età media di insorgenza si situa
tra la quinta e la settima decade di vita. Le localizzazioni più frequenti sono testa e collo, in accordo con la nozione che l’esposizione
solare cronica rappresenti un fattore di rischio predisponente allo
sviluppo di questa patologia, come succede anche per le terapie
immunosoppressive. L’aspetto clinico è quello di papule o placche
rossastre che aumentano rapidamente di dimensione, o di noduli
che si accrescono altrettanto velocemente. Il tumore può ulcerarsi.
Per la diagnosi differenziale si deve prendere in considerazione, oltre
al carcinoma a cellule di Merkel, il carcinoma basocellulare, la cisti
infiammata, il carcinoma squamocellulare e un tumore annessiale.
Questi tumori in realtà sono talmente rari da non essere inizialmente
neanche considerati nella diagnosi differenziale.
Si stima che fino al 50% dei pazienti con carcinoma a cellule di
Merkel svilupperà metastasi a livello dei linfonodi, seguiti da cute,
polmoni e fegato. La stadiazione si basa sulla dimensione (minore
o maggiore di 2 cm), sul coinvolgimento dei linfonodi regionali e
sulla presenza di metastasi. Uno stadio alto di malattia implica
una prognosi peggiore: pazienti con malattia metastatica (stadio
IV) presentano un tasso di sopravvivenza a 5 anni parti allo 0%.
Per contrasto, il tasso di sopravvivenza a 5 anni per gli stadi I e II è
compreso tra il 65 e il 75%, mentre per lo stadio III (coinvolgimento
linfonodale) scende al 50-60%. Se si considera la totalità dei pazienti, circa un terzo di essi morirà per la malattia.
Patogenesi. Il carcinoma a cellule di Merkel deriva da terminazioni nervose cutanee specializzate. Le cellule di Merkel sono dei
meccanocettori cutanei e derivano, così come i melanociti, dalla
cresta neurale. Uno dei principali fattori di rischio è l’immunosoppressione cronica, tanto che pazienti in cura a seguito di trapianto
d’organo presentano un rischio molto più elevato rispetto ai controlli
della stessa età. È stato ipotizzato un ruolo anche per l’esposizione
cronica al sole e per i suoi effetti depressori sull’immunità cutanea.
Inoltre si è accertato che l’infezione da poliomavirus delle cellule di
Merkel ha un ruolo nella patogenesi del tumore.
I poliomavirus sono simili per natura e struttura ai meglio conosciuti papillomavirus. Ne esistono almeno cinque tipi in grado di
causare malattia nell’uomo, la maggior parte dei quali colpisce
preferenzialmente pazienti cronicamente immunocompromessi.
Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che questo agente virale sia una
causa potenziale del carcinoma a cellule di Merkel; è stato in effetti
isolato da un’alta percentuale di questo tipo di lesioni, ma non da
tutte, pertanto è verosimilmente implicato nella patogenesi della
malattia, ma non può essere considerato l’unico fattore causale. La
scoperta di questo virus potrebbe comunque portare allo sviluppo
di nuove opzioni terapeutiche.
Istologia. Il carcinoma a cellule di Merkel è un tumore neuroendocrino composto da cellule basofile piccole e di morfologia
uniforme. Il tumore è scarsamente circoscritto e tende a infiltrarsi
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
tra i fasci di collagene e tra i lobuli di tessuto adiposo sottocutaneo.
La cromatina nucleare mostra un pattern caratteristico. In questo
tumore vengono utilizzate differenti colorazioni immunoistochimiche, la più importante delle quali è la citocheratina 20, che dà una
reattività concentrata in sede perinucleare caratteristica se non
patognomonica.
Trattamento. Il trattamento standard è l’escissione chirurgica
con margini ampi (2-3 cm); la biopsia del linfonodo sentinella si è
dimostrata utile nella stadiazione. I pazienti con malattia localizzata
vengono sottoposti a radioterapia locoregionale postoperatoria; quelli
con malattia metastatica vengono trattati con schemi chemioterapici
basati sull’utilizzo di cisplatino.
65
Tavola 3.15
MICOSI
FUNGOIDE
La micosi fungoide è un tumore raro, ma rappresenta la forma
più comune di linfoma cutaneo a cellule T, un gruppo assortito
di neoplasie con diversi genotipi e fenotipi. La micosi fungoide
è una malattia causata da linfociti CD4+ anomali che migrano
nella cute (epidermotropismo), causando le lesioni caratteristiche.
I recenti miglioramenti nell’immunofenotipizzazione e negli studi di
riarrangiamento genico hanno permesso di caratterizzare la malattia e vengono usati a scopo diagnostico e prognostico. La micosi
fungoide è una condizione rara che affligge approssimativamente
1 persona su 500.000.
Quadro clinico. La micosi fungoide si manifesta di solito come
un rash a progressione lenta che insorge in corrispondenza delle
pieghe quali l’inguine e il seno; i glutei sono un’area comunemente
coinvolta. Il rapporto tra maschi e femmine è di 2:1 e tutte le etnie
possono essere colpite, con una prevalenza della popolazione
afroamericana rispetto a quelle caucasica e asiatica. È di riscontro
raro in età pediatrica. La stadiazione si basa sulle manifestazioni
cliniche, sulla superficie cutanea coinvolta (Body Surface Area, BSA)
e sull’interessamento di linfonodi, sangue e altri apparati. Lo stadio
più frequente è l’IA.
Lo stadio IA è caratterizzato da prognosi eccellente; infatti, la
maggior parte dei pazienti conduce una vita normale e muore per
altre cause; è rappresentato da lesioni interessanti al massimo
il 10% del BSA senza coinvolgimento linfonodale. L’eruzione si
manifesta con chiazze sottili e atrofiche su natiche, seni o regione
interna delle cosce e spesso compaiono aree di poichilodermia
(iperpigmentazione e ipopigmentazione così come teleangectasie
e atrofia). L’atrofia è stata descritta come “a carta di sigaretta”: la
cute mostra increspature sottili simili a quelle della carta di sigarette
stropicciata. Il rash è di solito asintomatico, ma il prurito può essere in alcuni casi intenso. La diagnosi si basa su rilievi clinici e
istopatologici.
La micosi fungoide allo stadio di chiazza può non venire diagnosticata per anni a causa della natura indolente e dell’aspetto poco
caratteristico. Spesso somiglia alla psoriasi o a una forma aspecifica
di eczema e le stesse biopsie all’inizio non sono dirimenti. L’applicazione di steroidi topici prima dell’esecuzione di una biopsia
può alterare il quadro istopatologico tanto da rendere la diagnosi
corretta impossibile; spesso sono necessarie biopsie multiple nel
corso degli anni prima che queste mostrino i segni specifici della
patologia. A tale scopo è meglio effettuare la biopsia su un’area
non trattata. È possibile che la micosi fungoide, oltre a essere una
patologia tumorale a sviluppo molto lento, esordisca come una
forma di eczema che vada poi a trasformarsi in molti anni in un
processo maligno a cellule CD4+ .
La sindrome di Sézary, ad alto grado di malignità, si situa all’altra
estremità dello spettro dei linfomi cutanei. Questa patologia è una
variante eritrodermica della micosi fungoide con coinvolgimento del
sangue periferico. (Secondo numerosi autori la sindrome di Sézary
deve essere considerata un’entità nosologica distinta dalla micosi
66
Apparato tegumentario
fungoide.) Cellule di Sézary nel circolo periferico sono considerate
un segno distintivo; si tratta di linfociti di dimensioni aumentate con
nuclei cerebriformi osservabili al meglio in microscopia elettronica.
La sindrome di Sézary è considerata una fase leucemica della
micosi fungoide e ha una prognosi sfavorevole. Tra i due estremi si
trovano diversi stadi di malattia. La morfologia del linfoma cutaneo
può variare da chiazze a placche a noduli a tumori con gradi variabili
di ulcerazione. La storia naturale della progressione della micosi
fungoide è variabile e difficile da prevedere clinicamente.
Il modo più accurato per predirne l’evoluzione rimane la valutazione del tipo di coinvolgimento e della BSA. Più l’area è piccola,
più la prognosi è migliore. Al contrario, la prognosi peggiore si ha
per forme nodulari, contrapposte a quelle a chiazza o a placca della
micosi fungoide.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 3.16
MICOSI
Neoformazioni cutanee maligne
FUNGOIDE
(Seguito)
Patogenesi. L’eziologia della micosi fungoide e il meccanismo
patogenetico responsabile della trasformazione maligna dei linfociti
sono sconosciuti. Sono state ipotizzate varie cause possibili come
retrovirus, insulti ambientali, delezioni geniche e stimolazione antigenica cronica. Tuttavia l’esatto meccanismo della trasformazione
maligna di questa malattia, descritta originariamente nel 1806,
rimane nell’ombra.
Istologia. La malattia allo stadio IA mostra le caratteristiche
distintive della micosi fungoide: infiltrato lichenoide di linfociti anomali con nuclei cerebriformi ed epidermotrofismo di grado variabile
senza spongiosi. Le cellule epidermotropiche sono linfociti alterati
che hanno invaso l’epidermide. A volte i linfociti nell’epidermide si
organizzano in piccoli gruppi detti microascessi di Pautrier. L’immunofenotipizzazione delle cellule dimostra come l’infiltrato sia
composto prevalentemente da linfociti CD4+ che abbiano perso le
molecole di superficie CD7 e CD26. Con la tecnica del Southern blot
è possibile determinare la natura clonale dell’infiltrato, sebbene un
test negativo in tal senso non sia diagnostico; pertanto non viene
eseguito di routine.
Il sangue periferico può essere analizzato mediante citometria
a flusso per evidenziare la presenza di cellule tumorali: questo
reperto è raro nei linfomi di basso grado e quasi universale nella
sindrome di Sézary.
Trattamento. La scelta del trattamento si basa sullo stadio della
malattia. Lo stadio IA viene trattato con una combinazione di corticosteroidi locali, unguenti alla mostarda azotata, fototerapia con raggi
ultravioletti B a banda stretta o fototerapia con raggi ultravioletti A
dopo applicazione di psoraleni (PUVA). Più la superficie coinvolta è
estesa, più diventa difficoltoso l’utilizzo di creme; la fototerapia viene
utilizzata soprattutto nei casi di malattia in fase di chiazze diffuse.
I tumori isolati rispondono bene alla radioterapia locoregionale
così come a trattamenti sistemici che includono i retinoidi (bexarotene, acitretina e iso-tretinoina) e interferone sia A sia G. La fotoferesi
extracorporea è stata utilizzata per tutti gli stadi di micosi fungoide,
specialmente per la sindrome di Sézary: al paziente viene somministrato dello psoralene per via endovenosa, il sangue periferico viene
quindi rimosso e separato nei suoi componenti. I globuli bianchi
vengono isolati, esposti a luce UVA e quindi reintrodotti nel paziente.
Si ritiene che i leucociti esposti danneggiati da psoralene e UVA agiscano nel paziente stimolando una risposta immunitaria alla stessa
stregua di un vaccino.
L’elettron-terapia corporea totale può essere utilizzata in alcuni
casi e in strutture dotate della strumentazione necessaria. La
denileuchina diftitox, un farmaco creato mediante la fusione di
interleuchina 2 (IL-2) e tossina difterica, è stata approvata per
l’utilizzo in casi refrattari ad altre terapie. Con questo farmaco le
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
cellule che esprimono il CD25 (recettore di IL-2) vengono uccise
in maniera selettiva. La denileuchina diftitox può avere effetti collaterali molto gravi e va somministrata esclusivamente da medici
specializzati nel suo uso.
Esistono molti altri farmaci, introdotti di recente, utilizzati con
efficacia variabile quali anticorpi monoclonali anti-CD52; alemtuzumab e altri sono al momento in fase di studio. Il trapianto
di midollo osseo può essere considerato per i casi di malattia
multiresistente che minacci la sopravvivenza. A dispetto del grande
numero di terapie disponibili, nessun trattamento si è dimostrato
efficace nell’aumentare il tasso di sopravvivenza dei pazienti con
micosi fungoide. È pertanto sconsigliato l’uso di farmaci con effetti
collaterali acuti e potenzialmente fatali in pazienti con malattia allo
stadio IA.
67
Tavola 3.17
CARCINOMA
Apparato tegumentario
SEBACEO
Il carcinoma sebaceo è un tumore maligno raro derivato dalla
ghiandola sebacea localizzato più frequentemente a livello delle
palpebre. Può essere solitario o presentarsi nel contesto della sindrome di Muir-Torre, causata da mutazioni dei geni oncosoppressori
MSH2 e MLH1 e caratterizzata dalla presenza di tumori sebacei
multipli sia benigni sia maligni. Questa sindrome è inoltre associata
a un’alta incidenza di tumori maligni dei tratti gastrointestinale e
genitourinario.
Quadro clinico. Questi tumori si localizzano prevalentemente
a livello della cute e della rima palpebrale; la ragione risiede nella
grande quantità di tipi diversi di ghiandole sebacee modificate
quali le ghiandole di Meibomio e di Zeis presenti a questo livello,
oltre ad altri tipi meno comuni quali le ghiandole della caruncola e
quelle associate alle ciglia. Si ritiene che molti dei carcinomi sebacei
originino dalle ghiandole di Meibomio, ghiandole sebacee modificate
presenti a livello del piatto tarsale delle palpebre sia superiore sia
inferiore, mentre le ghiandole di Zeis rappresentano il secondo sito
di origine in termini di frequenza.
Il carcinoma sebaceo può insorgere in qualunque area del
corpo, ma la stragrande maggioranza è localizzata a livello delle
palpebre; altre zone particolarmente colpite sono il resto della testa e la regione del collo, probabilmente a causa dell’alta densità
di ghiandole sebacee. Questi tumori esordiscono di solito come
piccoli noduli sottocutanei o come ispessimenti della cute; all’inizio
sono asintomatici e possono essere confusi con orzaioli o calazi. La
diagnosi può essere agevolata dalla colorazione giallastra e dalla
caratteristica localizzazione perioculare; la differenza maggiore
risiede nell’insorgenza acuta, nonché nel dolore e nella risoluzione
spontanea in poche settimane delle due condizioni infiammatorie.
Il carcinoma sebaceo è un tumore a lenta crescita, persistente,
che continua a crescere fino allo sviluppo eventuale di erosioni
e ulcerazione; a questo punto la lesione diventa dolorosa e sanguina facilmente a seguito di traumatismi superficiali. La diagnosi
differenziale comprende, oltre al carcinoma sebaceo, i carcinomi
basocellulari e squamocellulari.
I carcinomi sebacei colpiscono in misura maggiore le donne di
età avanzata e gli individui di etnia caucasica, oltre che i pazienti
sottoposti a terapia immunosoppressiva cronica. I pazienti affetti da
sindrome di Muir-Torre presentano, rispetto ai controlli, un rischio
significativamente più elevato di sviluppare questo tipo di lesioni.
Anche la pregressa terapia radiante per il trattamento di tumori del
viso od oculari rappresenta un fattore predisponente.
Con la crescita, il tumore sviluppa un pattern localmente aggressivo. Può inoltre aumentare rapidamente di dimensioni e metastatizzare ai linfonodi regionali.
68
Patogenesi. I carcinomi sebacei solitari insorgono dalle ghiandole
sebacee con un meccanismo patogenetico non ancora chiarito; sono
stati individuati molti fattori di rischio, ma il modo in cui gli stessi si
traducano nello sviluppo tumorale è ancora in via di definizione. Per
quanto riguarda i tumori sebacei associati alla sindrome di Muir-Torre,
è noto che la causa risiede in un difetto a carico dei geni del mismatch
repair. In questa sindrome, a trasmissione autosomica dominante, i geni
alterati causano instabilità dei microsatelliti che può favorire direttamente
la trasformazione maligna delle cellule della ghiandola sebacea.
Istologia. Questi tumori derivano dalla ghiandola sebacea e sono
particolarmente infiltranti. La lesione invade in profondità il tessuto
sottocutaneo e, nel caso in cui sia localizzata nell’area perioculare,
il tessuto muscolare sottostante. Le lesioni sono poco circoscritte e
sono frequenti le figure mitotiche; le cellule tumorali sono di grandi
dimensioni e mostrano basofilia; inoltre all’interno dello stesso
tumore coesistono aree più o meno differenziate.
Trattamento. I tumori mostrano aggressività locale nonché
un alto tasso di metastatizzazione a livello dei linfonodi regionali, pertanto il trattamento di scelta è la rimozione chirurgica
mediante chirurgia micrografica di Mohs o escissione locale
ampia, assicurandosi che i margini siano liberi.
È comunque necessario un follow-up clinico a causa dell’alto tasso di recidiva. La radioterapia postoperatoria può essere necessaria
in alcuni casi; i pazienti con malattia metastatica possono trarre
beneficio da una combinazione di radioterapia e chemioterapia
sistemica.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
Tavola 3.18
CARCINOMA
Neoformazioni cutanee maligne
SQUAMOCELLULARE
Il carcinoma squamocellulare (SCC) della cute è il tumore cutaneo più comune dopo il carcinoma basocellulare; rappresenta
circa il 20% di tutti i tumori maligni cutanei diagnosticati negli
Stati Uniti. Questi due tipi tumorali vengono definiti come cancro cutaneo non melanoma (Non Melanoma Skin Cancer,
NMSC). L’SCC può presentare diverse varianti di tipo sia per le
forme in situ sia per quelle invasive: la malattia di Bowen, la papulosi bowenoide e l’eritroplasia di Queyrat sono forme di SCC
in situ; anche il cheratoacantoma rappresenta una variante specifica
di SCC. L’SCC viene definito invasivo quando ha superato la membrana basale e invade il derma, acquisendo di conseguenza la
capacità di metastatizzare, più frequentemente a livello dei linfonodi. La maggior parte delle forme di SCC cutaneo insorge a livello
della cute esposta e danneggiata dal sole ed è spesso preceduta
dalla cheratosi attinica, una lesione precancerosa estremamente
frequente.
Quadro clinico. L’SCC cutaneo si localizza prevalentemente a
livello di testa, collo, dorso delle mani e avambracci, ovvero nelle
zone maggiormente esposte alla luce ultravioletta solare nel corso
della vita. È inoltre più comune nella popolazione caucasica e negli
individui anziani, poiché insorge prevalentemente nelle decadi di
vita dalla quinta all’ottava e aumenta come incidenza di decade
in decade. Questa forma di cancro cutaneo non melanoma è indiscutibilmente legata alla quantità di radiazione solare alla quale
si è stati esposti nell’arco della vita. Gli individui dalla cute chiara
ne sono affetti più comunemente, così come i maschi rispetto
alle femmine. Altri fattori di rischio comprendono l’esposizione
all’arsenico, l’infezione da papillomavirus umano, la terapia a base
di psoraleni + luce ultravioletta (PUVA), i traumatismi cronici, l’immunosoppressione cronica e l’esposizione a radiazioni. I pazienti
che abbiano ricevuto trapianti d’organo e siano sottoposti a terapie
immunosoppressive croniche sviluppano spesso SCC che tendono
a situarsi non solo su testa, collo e braccia, ma anche su tronco e
regioni non fotoesposte.
L’SCC cutaneo può presentare diverse morfologie. Può esordire in
forma di chiazze sottili o placche; in superficie presenta spesso delle
squame ispessite e aderenti. È anche frequente il riscontro di gradi
variabili di ulcerazione. A mano a mano che il tumore aumenta di
dimensioni, la morfologia diventa spesso nodulare: i noduli sono di
consistenza dura e situati in profondità nel derma. Molti SCC derivano
da cheratosi attiniche preesistenti in pazienti che spesso presentano
danni cutanei da sole quali poichilodermia, lentiggini solari multiple
e cheratosi attiniche. Circa l’1% delle cheratosi attiniche presenta
evoluzione in SCC. L’SCC subungueale è difficilmente diagnosticato
senza una biopsia. Viene spesso preceduto da un’infezione da HPV e
trattato a lungo come se fosse una verruca. L’HPV è un fattore predisponente e con il tempo una piccola parte delle lesioni verrucose si
trasforma effettivamente in SCC con alterazioni morfologiche poco
evidenti, ma che portano comunque alla distruzione dell’unghia e a
uno sviluppo lento nel corso del tempo, senza risposta alla terapia
mirata per le verruche. Una biopsia e una diagnosi precoci possono
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA
risultare essenziali nel risparmiare al paziente l’amputazione del
dito affetto. Alcune dermatosi croniche quali il lichen sclerosus e
quello atrofico, la porocheratosi attinica disseminata superficiale, le
verruche, il lupus discoide, le ulcere inveterate nonché le cicatrici
possono predisporre allo sviluppo di SCC. Molte malattie genetiche
possono causare lo sviluppo di SCC: i due esempi più eclatanti sono
l’epidermodisplasia verruciforme e lo xeroderma pigmentoso.
Patogenesi. L’SCC è correlato all’esposizione cumulativa all’ultravioletto, soprattutto B (UVB). L’UVB è più potente della luce ultravioletta A e può danneggiare il DNA dei cheratinociti mediante
la formazione di dimeri di pirimidina, oltre ad altri tipi di mutazione. Il DNA danneggiato causa errori di trascrizione e traduzione
generando in ultima istanza lo sviluppo del cancro. Uno dei geni più
frequentemente interessati è il p53 (TP53), che codifica per una
69
Tavola 3.19
CARCINOMA
Apparato tegumentario
SQUAMOCELLULARE
(Seguito)
proteina essenziale nell’arresto del ciclo cellulare, che permette
la riparazione del DNA danneggiato o l’apoptosi nel caso in cui la
riparazione non sia possibile. Nel caso di anomalie del gene p53 la
fase del ciclo cellulare essenziale per il suo arresto viene bypassata
e la cellula può replicare senza che il meccanismo di riparazione del
DNA sia stato in grado di entrare in azione. Le conseguenze finali
sono una divisione cellulare sregolata e lo sviluppo tumorale.
Istologia. Le cheratosi attiniche mostrano atipia parziale a
carico delle porzioni più profonde dell’epidermide con risparmio
degli annessi, al contrario dell’SCC in situ, che mostra atipia a tutto
spessore con coinvolgimento degli annessi.
L’SCC deriva dai cheratinociti e le sue caratteristiche istopatologiche sono l’atipia a tutto spessore dell’epidermide e l’invasione di
epitelio squamoso tumorale nel derma. Sono visibili figure mitotiche
in numero variabile così come invasione del tessuto sottocutaneo
e frequenti perle cornee. I tumori vengono spesso descritti come
bene, moderatamente o scarsamente differenziati. Tra le numerose
varianti istologiche si annoverano quelle a cellule chiare, a cellule
fusate, verrucose, basosquamose e adenosquamose.
Trattamento. Le cheratosi attiniche possono essere trattate in
molti modi. La crioterapia con azoto liquido è molto efficace e può
essere ripetuta molte volte; nel caso in cui non avesse successo,
o se le lesioni sono numerose, è possibile instaurare una terapia
medica con 5-fluorouracile (5-fluorouracil, 5-FU) o imiquimod, che
agiscono rispettivamente distruggendo direttamente le cellule affette
o stimolando il sistema immunitario. Queste creme sono entrambe
molto efficaci, ma possono causare una risposta infiammatoria
anche grave, con eritema, formazione di croste e presenza di secrezioni che perdurano per l’intero tempo di applicazione, ovvero
circa 1 mese o più.
L’SCC in situ viene trattato mediante diatermocoagulazione e
courettage o escissione ellittica semplice. Anche creme locali a
base di 5-FU si sono dimostrate efficaci ma, rispetto alla chirurgia,
presentano tassi di recidiva maggiori. Il 5-FU è appropriato come
agente di prima linea nei confronti della papulosi bowenoide, seguito
dalla rimozione chirurgica di eventuali aree residue. In casi specifici
quali SCC in situ su grandi aree del viso è possibile utilizzare la
chirurgia micrografica di Mohs.
L’SCC invasivo andrebbe trattato chirurgicamente mediante
chirurgia micrografica di Mohs per le lesioni a livello del viso o
ricorrenti o mediante escissione ellittica standard negli altri casi.
Lesioni piccole e ben differenziate possono essere trattate con
successo mediante diatermocoagulazione e courettage. (Anche
per questo tipo di lesione è sempre consigliabile l’exeresi chirurgica
con esame istologico.)
Il tasso di metastatizzazione è basso, ma maggiore per alcune
localizzazioni quali labbra, padiglioni auricolari o aree sottoposte a
traumatismi cronici con cicatrizzazione o ulcerazione. Le recidive
70
di SCC, le lesioni maggiori di 2 cm di diametro e quelle che si sviluppano in pazienti sottoposti a terapia immunosoppressiva cronica
presentano un rischio di metastasi più elevato. I pazienti affetti da
leucemia linfatica cronica (Chronic Lymphocytic Leukemia, CLL) sono
a loro volta più a rischio di sviluppo di metastasi; il motivo non è noto
ma si ritiene sia legato allo stato immunosoppressivo dovuto alla
loro patologia di base. Le metastasi si localizzano prevalentemente
a livello dei linfonodi regionali e del polmone. Le metastasi cutanee
da SCC andrebbero trattate con una combinazione di chemio- e
radioterapia, per quanto non sia stato dimostrato alcun vantaggio in
termini di sopravvivenza. La chiave del trattamento risiede pertanto
nella prevenzione dello sviluppo di metastasi.
ATLANTE DI ANATOMIA, FISIOPATOLOGIA E CLINICA