asurini, gli artisti della giungla

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asurini, gli artisti della giungla
ASURINI, GLI ARTISTI
DELLA GIUNGLA
Banca della Svizzera Italiana
Il Municipio di Biasca, grato per aver accettato la donazione di un’importante collezione di ceramiche degli
Indios Asurini per opera del Dr. Aldo Lo Curto, è lieto di
presentare questa interessante raccolta nella Casa Cav.
G.B. Pellanda, dove verrà esposta in permanenza.
Questa sede prestigiosa risale al 1586 e fu voluta da
Giovan Battista Pellanda (1541-1615), Cavaliere di Santa
Romana Chiesa, una figura di spicco della Biasca cinquecentesca con parte preponderante nella vita politica ed
economica del paese.
L’edificio è caratterizzato dal grandioso effetto delle
masse, dalla semplicità delle proporzioni, dalle finestre
incorniciate in pietra, dalla cornice che divide i piani e
dall’imponente gronda di legno, mentre all’interno gli
ambienti respirano signorilità e ricchezza.
La presentazione della donazione, esposta con cura particolare, è stata resa possibile grazie alla collaborazione
della BSI-Banca della Svizzera Italiana, ed in particolare
del suo Gerente, Valerio De Giovanetti, in occasione del
25° di fondazione dell’Agenzia di Biasca della banca.
Un contributo di significativo valore si deve alla direzione
oltremodo oculata e intelligente dell’addetto culturale del
nostro Comune, Prof. Silvano Calanca.
Rinnovando i sentimenti di omaggio e di gratitudine al Dr.
Lo Curto, l’Esecutivo biaschese si augura che la donazione delle ceramiche degli Asurini costituisca un prezioso
contributo di novità per le mostre permanenti nella Casa
gentilizia del XVI° secolo del Cav. G.B. Pellanda.
Il Sindaco e Capo dicastero animazione culturale
del Comune di Biasca
Massimo Pini, Consigliere Nazionale
BSI-Banca della Svizzera Italiana, fondata nel 1873
a Lugano, ha saputo sviluppare una presenza attenta e
multiforme sul territorio affermandosi con dinamicità nel
tessuto sociale e culturale più vivo del Canton Ticino.
Confermando la propria vocazione di banca universale,
BSI ha anche sviluppato il suo importante ruolo di ”private banking”, di consulenza finanziaria globale e altamente personalizzata per la clientela locale ed internazionale.
Oggi, nel celebrare i 25 anni di presenza a Biasca,
BSI-Banca della Svizzera Italiana riafferma il proprio
impegno anche in ambito artistico e culturale
come testimoniano le tante e prestigiose iniziative promosse dall’Istituto.
Proprio in virtù di questa vocazione, BSI è particolarmente lieta di presentare l’arte grafica degli Indios Asurini.
La vena estetica di questa etnia così poco conosciuta
è complessa e personalissima, legata ad un’attenta capacità di artisti a torto ritenuti ”primitivi” che invece sanno
osservare l’Uomo, con la sua storia, nei suoi miti, come
figura centrale della Natura.
Un percorso all’interno dell’animo umano che spazia in
un mondo leggendario, ma che forse custodisce il vero
segreto della vita.
BSI-Banca della Svizzera Italiana
L’ARTE GRAFICA DEGLI INDIOS ASURINI
Il fiume Xingù e il villaggio Asurini
Il fiume Xingù è un affluente del Rio delle Amazzoni
che, attraverso un percorso di seicento chilometri, ospita
sul suo territorio alcune tra le più interessanti tribù
dell’Amazzonia Brasiliana.
Tra queste desta particolare attenzione l’etnia Asurini per
la sua concezione estetica, che si esprime in modo particolare attraverso la pittura corporea e la decorazione
della ceramica.
Gli indios Asurini sono una comunità di appena ottanta
individui, venuti a contatto per la prima volta con l’uomo
bianco nel 1971. Pur essendo in numero così esiguo essi
mostrano aspetti sociali e spirituali così complessi, elaborati e differenti dai gruppi vicini, da poter essere considerati come una vera e propria “nazione”.
Tra i vari aspetti della cultura asurini, quello che li ha
fatti conoscere ed apprezzare per la bellezza e la varietà
del segno è il grafismo tradizionale: esso si esprime
dipingendo il corpo e decorando la ceramica con una
molteplicità di disegni tramandati oralmente e visivamente, di generazione in generazione, nel corso dei millenni.
Le pitture del corpo e della ceramica sono attività tipicamente femminili, mentre l’uomo confeziona ceste, ornamenti corporei, decora archi, frecce e strumenti musicali
di uso cerimoniale, scolpisce sgabelli e remi di legno.
Tutte le donne adulte della comunità sono in grado, quotidianamente, di scegliere dal loro archivio mentale il disegno con cui “vestire” un corpo o un vaso di ceramica.
Tuttavia, è possibile notare che alcune donne disegnano
meglio di altre, ma questa maestria non è motivo di vanità
o di differenza rispetto al gruppo. Inoltre le donne anziane
“ricordano” un maggior numero di disegni, ma anche in
questo caso non godono di particolari privilegi rispetto
alle più giovani.
L’apprendimento del disegno e
della ceramica non è quindi una
scelta individuale, ma una tappa
evolutiva di ambito familiare, che
ogni ragazza asurini assimila dall’infanzia dalla propria madre,
quando dipinge il corpo del padre
e degli altri familiari o mentre
decora un vaso di ceramica: in
genere non è la madre che insegna, ma la bambina che osserva e
apprende.
La donna di solito dipinge i bambini al mattino; poi, durante il
giorno, si dedica alle altre mansioni femminili (raccolta di tuberi,
frutta e altro materiale nella foresta; preparazione del cibo) e al
tramonto dipinge il marito che
torna dalla caccia o dalla pesca.
Non esiste tuttavia un orario rigido e ogni donna sceglie liberamente quando è il momento di
entrare in azione. La donna, inoltre, pittura se stessa sulle zone
accessibili mentre sul viso e sul
dorso si fa dipingere da un’altra
donna, convivente, vicina di casa
o amica.
Osservando la madre, la giovane figlia impara la tecnica della decorazione.
Riguardo alla scelta del disegno è
la donna che decide come pitturare i propri figli, mentre, quando
dipinge il marito, è quest’ultimo
che esprime la preferenza:
la donna può, tuttavia, fargli cambiare idea. Il complesso grafico
asurini è costituito da oltre ottanta
disegni che possono essere indistintamente applicati, tranne rare
eccezioni, sia sul corpo, sia sulla
ceramica. Per dipingere il corpo
si usa una tinta vegetale, mentre
per la ceramica la tecnica prevede
l’impiego di pietrine gialle, nere, e
rosse stemperate in acqua. Come
pennelli si usano fibre vegetali
rigide o flessibili. La geometria
del disegno si avvale dell’uso
della linea retta (intera o a segmenti), curva e, talvolta, del
punto. Si formano così unità costituite a zig-zag, a losanga, triangolari, romboidali ecc.... Il segno
finale che ne deriva rappresenta
una astrazione del tema scelto. La
pittura corporea non ha uno stretto significato sociale: essa non
designa l’appartenenza ad un
determinato clan, come per esempio tra gli indios Xavantes, né uno
stato di pace o di guerra come
avviene tra gli indios Kayapò. Lo
stesso disegno può essere applicato, tranne qualche rara eccezione,
sia sull’uomo che sulla donna, sia
sull’anziano come sul bambino.
Pittura corporea mista
Esaminando però la totalità dei disegni e il loro significato, si può notare che esistono tre gruppi di pitture:
1) un gruppo “ecologico”, che mostra l’influenza che
l’ambiente ha sulla vita quotidiana asurini. Ne sono un
esempio i disegni: AJAWUIAKY (ramo dell’albero),
EIREMA’YWA (favo di miele), AWATIPUTYRA (spiga di
miglio), KUMANA’ (fagiolo), JAWARAJURYWA (collo del
giaguaro), YWIRYWAAKA (lucertola) ecc....
2) un gruppo “cosmologico”, che si rifà ad un modello
originale denominato “TAYGAWA” usato nei rituali sciamanici, che rappresenta la stilizzazione della figura
umana. Questa figura antropomorfa può essere, per così
dire, “smembrata” in varie unità elementari ciascuna
delle quali può dare origine a molte forme di Taygawa sia
per ripetizione simmetrica di unità, sia per creazioni
asimmetriche decise in modo libero e creativo dell’autore.
3) esiste infine un ultimo gruppo in cui il disegno non
sembra avere un significato, ma è denominato in base al
tipo di grafismo (es. KWASARAPARA = disegno storto), al
disegno fine a sé stesso (es. JUAKETÈ= la vera pittura) o
al segmento del corpo su cui di solito si traccia (es.
TAMAKYJUAKA = pittura della gamba). Esistono quindi
parti del corpo come il viso, le spalle (solo per gli uomini), le braccia, le mani, i piedi, che possono essere decorate con disegni “propri” e che differiscono dalla pittura
“principale” che riveste nella sua totalità il tronco e le
cosce fin sotto le ginocchia. Lo stesso vale per la ceramica in cui si distingue una pittura del bordo, una del collo,
una del corpo (la principale) e una della base.
Corpo umano e vaso di ceramica vengono così a costituire il supporto di combinazioni di vari disegni, scelti tra
questo o quel gruppo in assoluta libertà.
AJAWUIAKY (Ramo dell’albero)
TAYGAWETE (Disegno di essere antropomorfo)
TAMAKYJUAKA (Pittura della gamba)
Il colore che si usa nella pittura
corporea è quasi esclusivamente il
nero con l’unica rara eccezione di
AJEMUKATÎ (tutto rosso); per la
ceramica si usano motivi in nero,
in rosso o misti su fondo ocra.
Una interessante caratteristica
della pittura asurini è che tutti i
disegni del corpo si possono
applicare sulla ceramica ad esclusione di JUAKETÈ (la vera pittura), di AJEMUKATÎ (tutto rosso),
di JEMUUNAWA (tutto nero).
Il disegno JUAKETÈ (la vera pittura) è concepito per vestire esclusivamente il corpo, dato che la
complessità della sua elaborazione non ne rende possibile la trasposizione sulla ceramica.
Un’altra pittura esclusivamente
corporea e di significato cerimoniale è JEMUUNAWA (tutto nero):
ricoprendo tutto il corpo di tinta
nera, l’individuo “cancella” il
disegno precedente e rinuncia,
durante il rito, alla dimensione
umana per entrare in contatto col
soprannaturale. La pittura
AJEMUKATÎ (tutto rosso) sembra
avere un esclusivo fine utilitario
(la protezione della pelle dalla
puntura degli insetti); tuttavia,
questa pittura è estremamente
rara a vedersi, mentre è pratica
corrente spalmare di tinta rossa i
capelli (AJEAKYMYTY = testa
rossa).
Pittura Juaketè
Resta inoltre da segnalare che quando la comunità si trovava, in passato, in uno stato di guerra, la decorazione
del corpo veniva sospesa. Lo stesso vale in caso di morte:
il defunto viene sepolto senza alcuna pittura.
L’impressione finale che si prova esaminando questi disegni è che essi abbiano tre funzioni: 1) mostrare il rapporto indissolubile della simbiosi uomo-natura, anche se il
disegno si traduce alla fine in una “trasfigurazione” del
reale, visto in un modo astratto; 2) far rispettare le tradizioni spirituali che impegnano in modo determinante la
vita della comunità (le cerimonie asurini possono durare
giorno e notte ininterrottamente per mesi!) 3) far apprezzare il disegno più per la sua bellezza intrinseca che per
la maestria di chi lo ha fatto: è frequente infatti, vedere
due donne che decorano contemporaneamente lo stesso
vaso...
Questa rassegna e classificazione di disegni vuol essere
un tentativo di sistematizzazione del bagaglio culturale
pittorico asurini: pertanto esiste la possibilità che non
tutti i disegni siano stati registrati perché attualmente in
disuso o perché non è il periodo adatto per dipingerli. Ne
è un esempio APYTI (liana intrecciata) che fino a qualche
anno fa era disegnato liberamente: ma accadde un giorno
che un adulto morì dopo che la moglie lo aveva “vestito”
con Apyti. Da quel momento questo disegno non è più
stato tracciato, nè sul corpo nè sulla ceramica, perché si
pensa che porti sventura o malattia.
Lo stesso concetto vale per i tre gruppi di disegni la cui
classificazione non è da intendersi in modo rigido: esistono infatti disegni che sono interpretati in due maniere
diverse e quindi hanno due nomi, come ad esempio
YWIRYWAAKA (lucertola), chiamato anche PE’I (disegno
alternato).
APYTI (Legatura, liana intrecciata - Disegno
in disuso perché si pensa che porti sfortuna)
PE’I o YWIRYWAAKA (Disegno alternato
o lucertola)
IL MITO DEL DISEGNO
URUPEJUAKA o URUWUPYJYYJA
(Piede di urubù, avvoltoio)
EIREMA’YWA (Favo di miele)
E’ interessante risalire alle radici cosmologiche della pittura asurini e al modo in cui appresero il disegno.
Raccontano essi che un tempo, anticamente, esisteva un
essere mitologico bellissimo, AJYKWASARA che aveva il
corpo tutto decorato in modo speciale: in ogni sua parte
era riprodotto un disegno differente, così che possedeva
sulla pelle la raccolta completa di tutte le pitture che gli
Asurini sanno fare.
Ajykwasara era tanto bello quanto geloso dei suoi disegni: appena qualcuno si soffermava a guardarlo sia animale, sia uomo, egli si adirava a tal punto da ucciderlo.
Per questo Ajykwasara si muoveva in modo rapido ed evitava qualunque contatto.
Un giorno il giovane AJYGAWU’I vide passare di nascosto e per pochi attimi Ajykwasara: rimase affascinato
dalla bellezza dei disegni e tornò a casa rammaricato per
l’impossibilità di poter vedere nei dettagli il suo corpo.
Raccontò tutto alla madre, che gli suggerì come fare.
Così imparò ad imitare la voce del cervo, ne catturò uno e
lo lasciò morto sul cammino di Ajykwasara: poi aspettò il
suo arrivo, nascosto dietro un albero.
Appena vide giungere Ajykwasara, imitò la voce del cervo
e disse: “Oh, che meraviglia! Finalmente ho visto i disegni della tua schiena!”.
Subito Ajykwasara si voltò verso il luogo da cui proveniva la voce e, visto il cervo, per punirlo, gli si scagliò contro velocemente e lo colpì ripetutamente con la clava,
senza accorgersi che era già morto.
Così, da dietro l’albero, Ajygawu’i ebbe tutto il tempo di
vedere ogni particolare della pelle di Ajykwasara e di
imparare tutti i disegni. Per non dimenticare, tornato a
casa, decorò all’inizio ogni freccia e ogni arco con un
disegno differente.
Poi trasmise il suo sapere ai propri figli: gli uomini impararono a
ricoprire con un intreccio ogni
freccia e ogni arco, mentre le
donne appresero la pittura del
corpo e della ceramica. Così il
disegno fu tramandato di generazione in generazione fino ai nostri
giorni.
1
2
1. TEMEKUYRUNA
(Pittura della bocca, tutta nera)
2. JURUPIRIJYNUU
(Pittura della bocca, a linee grosse)
3. JURUPIRIJYNA
(Pittura della bocca, a linee sottili)
3
LA FINESTRA SULL’INFINITO
KUMANA’ (Fagiolo)
KUIAPE’I (Pittura di zucca)
Osservando la donna asurini mentre dipinge il corpo o la
ceramica, si rimane stupiti nel notare che non commette
errori nel rivestire interamente queste “tele” la cui superficie è curva: la maestria, la decisione e la sicurezza con
cui traccia la linea, iniziando il disegno indifferentemente
dal basso o dall’alto, da destra o da sinistra, destano
meraviglia se si tiene presente che il disegno riveste ogni
volta corpi e ceramiche di dimensioni e consistenza differenti.
Questa capacità di riempire qualunque superficie è sicuramente resa possibile ingrandendo un particolare del
disegno (es. Tamakyjuaka) o ripetendo simmetricamente
le unità modulari di cui spesso il disegno è composto (es.
Pe’i), fino al completamento.
Esistono tuttavia molti disegni che non sono costituiti da
unità che si ripetono (es. Kumanà e Kuiape’i): in questo
caso è come se il disegno scelto si estendesse senza confini nella mente dell’autrice e fosse “tagliato” ad occhio
secondo le misure necessarie in quel momento e applicato
alla perfezione sulla superficie in modo tridimensionale:
una vera e propria “FINESTRA SULL’INFINITO”. Per
fare un esempio più semplice è come se si stendesse all’infinito una rete, le cui maglie sono diverse di volta in volta
e vi si facesse, ad occhio, una fenestratura: il ritaglio,
così ottenuto, viene applicato sulla superficie da decorare, rivestendola alla perfezione.
TECNICHE PER IL CORPO
Il colore che prevale per le pitture
corporee è il nero. Esso deriva dal
succo di JENIPAPO (Genipa
Americana): che essendo inizialmente incolore, viene mescolato
con carbone vegetale, per rendere
visibile il segno mentre lo si traccia. Qualche ora dopo, fatto il
bagno nel fiume, il disegno sembra quasi scomparire dalla pelle,
tuttavia il giorno seguente, non
solo riacquista tutta la sua intensità, ma penetra nello stato più
superficiale dell’epidermide, permanendovi per cinque-sette giorni.
Quando, a causa della desquamazione e del ricambio cutaneo, il
disegno tenderà ad affievolirsi
sarà tempo di decorare ancora il
corpo.Il colore rosso si ottiene dai
semi del frutto URUCUM (Bixa
Orellana) che impregna facilmente
di rosso vivo le parti da dipingere
per semplice sfregamento. A differenza della tinta nera l’Urucum
permane sulla pelle poche ore e
può essere rimosso facilmente con
il bagno.
Il pennello è costituito da una sottile fibra vegetale flessibile
(JUPU’IWA), per le linee sottili
una asticella rigida di legno
(PINAWYPE) rivestita di cotone
sulla punta, per linee spesse o
direttamente dal dito della mano,
quando ci sono grossi spazi da
riempire di tinta.
IL TATUAGGIO
E’ necessario fare una breve
digressione a parte per il tatuaggio del corpo, che è possibile
notare in special modo tra gli
uomini e le donne anziane. A differenza della pittura corporea si
tratta di un segno permanente di
colore blu scuro ottenuto per scarificazione con dente di aguti e
successiva immissione di tintura di
Jenipapo (Jenipa Americana).
Segue l’applicazione di foglie di
Urucum (Bixa Orellana) per coagulare il sangue. Il tatuaggio a
differenza della pittura ha un
significato sociale: è applicato
solo sugli adulti su regioni diverse
secondo il sesso e, specialmente
nell’uomo, indica l’attività di
guerriero (BOAKARA).
Questa pratica si svolge in particolar modo durante i rituali sciamanici. In genere si tratta di linee
parallele disposte verticalmente
od orizzontalmente, ricalcando
alcune delle più comuni pitture del
corpo come: PIRIJYNA (uomo e
donna), KUAAWA (uomo: sul
torace; donna: sulle braccia),
JATIYWA APAAWA (solo uomo).
PIRIJYNA (Linee verticali parallele)
KUAAWA (Pittura dorsale, linee orizzontali)
LA CERAMICA
Non c’è ora del giorno in cui non si veda in qualche
angolo del villaggio una donna asurini alle prese con la
sua ceramica. L’unico periodo in cui la pittura corporea e
della ceramica si fermano è quello che va dal post-parto
fino a che il bambino giunge verso il primo anno di vita:
questo arresto temporaneo si verifica per permettere alla
donna di concentrare tutta la sua attenzione sul bambino,
specie se si tratta del primo o del secondogenito.
La ceramica è usata per conservare gli alimenti solidi e
liquidi, per riti cerimoniali o per baratto con l’uomo bianco.
La materia prima è costituita dall’argilla (JAE’UMA) che
viene manipolata fino ad ottenere dei cilindri allungati,
uniti di volta in volta tra loro per le estremità e arrotolati
su se stessi a spirale oppure sovrapponendoli concentricamente uno sull’altro secondo piani successivi e con diametro via via maggiore.
Come tutte le etnie dell’Amazzonia, anche gli Asurini non
conoscono il tornio: il vaso è modellato grossolanamente
con le mani e con le dita, mentre le piccole irregolarità
della superficie sono tolte usando come spatola un pezzo
di zucca. Dopo qualche giorno, ad essiccamento avvenuto, si passa alla cottura, ricoprendo il vaso di pezzi di corteccia o di foglie di cocco babaçù (ORBYGNIA MARTIANA) disposte a formare un cono o una piramide.
Per la pittura e la decorazione esterna si usano coloranti
minerali che si trovano nella foresta circostante sottoforma di piccole pietre color ocra (ITAVA), nero (ITAWAUNI) e rosso (ITAWA-PIRYGI).
Queste vengono stemperate in acqua su una “tavolozza”
anch’essa di pietra, fino ad ottenere la tinta corrispondente. Con un batuffolo di cotone intinto nell’ocra si spalma uniformemente il colore fino a coprire tutta la superfi-
cie esterna. Questo colore di
fondo è comune a tutte le ceramiche.
Infine si procede alla decorazione
vera e propria, usando il rosso, il
nero o entrambi. Questa può essere unica per tutto il vaso oppure
multipla, disegnando in modo differente il bordo, il collo, il corpo e
la base. Scelto di volta in volta il
disegno si traccia con linee sottili
o grossolane usando una fibra
vegetale come pennello.
La copertura totale del vaso risulta alla fine una combinazione di
disegni che è di volta in volta differente, per cui è quasi impossibile
trovare nel villaggio due ceramiche con la stessa sequenza di temi
scelti. Ciascun disegno può essere
scelto liberamente dall’autrice di
volta in volta, tra i tre gruppi che
compongono la totalità del grafismo asurini.
Sono gli stessi disegni che si
usano per decorare il corpo, fatta
eccezione di JUAKETÈ’ (la vera
pittura), JEMUUNAWA (tutto
nero) e di AJEMUKATÎ (tutto
rosso).
Ogni donna, inoltre, decora la sua
ceramica, ma, quando il vaso è di
grandi dimensioni, non è raro
vedere due donne che lo disegnano a metà per ciascuno. Non esistono decorazioni su “ordinazione”, anche quando la ceramica è
destinata al baratto.
Asciugata la decorazione, si passa
alla verniciatura, ricoprendo tutta
la superficie esterna con la resina
dell’albero JATOBA’ (COPAIFERA TRICHIOFFICINALIS), che
gli indios chiamano JUTAYKA.
Infine, per rendere più resistente il
vaso, si sfrega vigorosamente la
superficie interna con la parte
profonda della corteccia di un
albero denominato TI-TIWA.
Sono prive di decorazione le ceramiche usate quotidianamente per
abbrustolire la farina di manioca,
per la cottura del cibo e, in passato, per trasportare l’acqua: esse si
presentano molto spesse, di
dimensioni piuttosto grandi e la
loro struttura appare piuttosto robusta perché sono sfregate con Ti-tiwa sia all’interno che all’esterno.
La superficie esterna della ceramica è divisa in base
(EKARA), corpo (I’A) e bordo (IAKYGA); nei casi in cui
il vaso è allungato verso l’alto si distingue anche il collo
(IJURA).
La forma e le dimensioni delle ceramiche asurini sono
estremamente variabili: si può dire, in generale, che là
dove l’altezza del vaso prevale sulla larghezza e
l’apertura del collo è piccola, l’utilizzo è per il deposito e
il trasporto di liquidi. Nei casi in cui prevale la larghezza
sull’altezza, il recipiente serve per deposito di alimenti
solidi o per il loro consumo. Tra gli Asurini, come in tutte
le comunità indigene dell’Amazzonia, l’assunzione di cibo
avviene in modo comunitario disponendosi tutti i familiari
in cerchio attorno ad un contenitore centrale appoggiato
direttamente a terra. Se il cibo è solido, ognuno prende
parte al banchetto servendosi direttamente delle mani,
mentre se il cibo è liquido o pastoso, si usa come cucchiaio-piatto una cuia (zucca) che viene immersa nella
ceramica che sta al centro. Al banchetto possono partecipare anche i parenti o i vicini di casa: queste riunioni
conviviali sono anche motivo per scambiarsi visite di cortesia passandosi notizie o informazioni o commentando i
fatti avvenuti.
Esistono infine vasi di dimensioni ridotte che sono dati
come giocattolo alle bambine.
FORME BASILARI
Le forme che si riscontrano più
frequentemente sono:
1. JAENIWA
è la forma usata quotidianamente
per cucinare, pertanto non viene
decorata. Viene invece dipinta
quando si vuole dare un significato cerimoniale o per barattarla
con l’uomo bianco.
1
2. JAPEPAI
questa forma, priva di decorazione, serve per cucinare quotidianamente e durante le cerimonie
assume importanza rituale. Finito
questo periodo ritorna ad essere
usata come prima. Può essere
decorata per baratto.
3. JA’EKUIA
è usata per depositare o servire
piccole quantità di cibo e per
baratto.
4. JAPUI
serve per contenere liquidi e per
baratto.
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5. JA’E’
è utilizzata in modo particolare
nei rituali sciamanici e per il
baratto. Il vaso Ja’é che si usa nel
rituale MARAKA’ non viene mai
rimosso, anche a cerimonia finita,
mentre le altre (es. Jaeniwa e
Japepai), terminato il rituale tornano ad essere considerate come
ceramiche prive di valore spirituale e, pertanto, usate quotidianamente o scambiate con l’uomo
bianco.
6. YAAWA
è usata per caricare, trasportare,
depositare acqua e per baratto.
7. YAAWI-JUKUPYAPYRA
significa “uno sopra l’altro” ed è
chiamata anche YAAWIKU’AJURI (molto sottile).
Esistono due varianti: una a due
concamerazioni e un’altra a tre.
Sono utilizzate per il deposito di
acqua o miele nella foresta e per il
baratto.
U’YKWASARUU (Disegno di freccia)
JUAJUPYPE’Y (Due disegni sovrapposti)
Il fenomeno dell’aggregazione comunitaria attorno ad un
vaso contenente “CAUIM” (bevanda preparata con
manioca o miglio cotti e fermentati con la saliva, per
masticazione) assume, pertanto, un significato ancora più
coinvolgente nelle cerimonie rituali: esse sono molteplici
e vissute in modo molto intenso da tutta la comunità di
giorno e di notte ininterrottamente per settimane, e talvolta, anche per mesi. Tra questi si distaccano per importanza il TURE’ e il MARAKA’: durante questi rituali alcune
forme di ceramica (Ja’é, Japepai e Jaeniwa) diventano
molto importanti, assumendo significato cerimoniale sia
come contenitore comunitario di Cauim, consumato dai
partecipanti, sia come elemento che fa parte del rituale
insieme alla maraka (strumento a percussione) e al petyma (grosso sigaro di tabacco): in questo caso la ceramica
ja’é è posta su un sostegno e collocata nello spiazzo dove
si eseguono i canti e le danze.
Accanto alle forme basilari della ceramica decorata asurini ne esistono altre che rappresentano sia la ripresa di
modelli ormai quasi dimenticati e in disuso, sia
l’estensione della decorazione ad altre forme di ceramica
che fino a poco tempo fa erano usate per cuocere il cibo.
Questi due fenomeni sono conseguenza del contatto con
l’uomo bianco che da tempo conosce e apprezza queste
ceramiche e cerca di incentivare questa attività attraverso
il baratto con sapone, materiale e alimenti che servono
alla comunità. Tuttavia non esistono decorazioni o forme
su “ordinazione”: la ripresa di vecchi modelli e la decorazione di nuove forme appaiono un processo spontaneo
di ritorno alla cultura del passato.
Queste forme sono:YARATI, PUPIJANYKANAWA, WYRA,
JAPÊÊI, PEKY’IA, KUME’,UÂ e
KAWIU’I.
Anche per la ceramica asurini
vale quanto già detto per la pittura: le raffigurazioni qui riprodotte
sono certamente incomplete ed è
probabile che in futuro si assista
al ritorno di altre forme che giacevano, da molto tempo, apparentemente dimenticate, nell’archivio
mentale delle donne asurini.
Forme meno frequenti
WYRA
PUPIJANYKANAWA
JUAKETÈ (La vera pittura)
IPIRETE (Disegno dello spirito Anhinga, pelle nuda)
JAWARAJUAYWA (Collo di giaguaro)
JAUTIPAPERA
(Mano di jabuti, tartaruga di terra)
JAUTIJUAKA
(Pittura di jabuti, tartaruga di terra)
TAUWARUKAIA, LACERAMICASACRA
KWASARAPARA (Disegno storto)
KUIAPE’I IYWEYMA (Pittura di zucca)
Esiste nel villaggio asurini una costruzione a pianta rettangolare di dimensioni molto grandi (mt. 42x11x6) chiamata TAWYWA, che rappresenta il fulcro delle spiritualità
asurini.
E’ nel suo pavimento che sono custodite le spoglie dei
defunti ed è nel suo interno e nella piazza antistante che si
svolgono le principali cerimonie della comunità, il Turè e
il Marakà, rituali sciamanici in cui si cerca di entrare in
contatto sia con esseri soprannaturali a scopo terapeutico
e propiziatorio, sia con gli spiriti dei propri morti. E’ interessante notare che questi rituali possono durare ininterrottamente per mesi, di giorno e di notte con il coinvolgimento non solo di adulti, ma anche di bambini. La comunità asurini si distingue in modo particolare perché è una
delle poche etnie in cui l’attività sciamanica non è disimpegnata solo dagli uomini ma anche dalle donne che partecipano attivamente alle cerimonie con il loro canto e
con la danza.
Nel centro della Tawywa trova la sua collocazione un
enorme vaso cerimoniale chiamato TAUWA RUKAIA, alto
un metro con un diametro di un metro e mezzo. La sua
forma è di tipo Japepai ricordando così l’attività femminile per eccellenza, la preparazione del cibo attraverso questo tipo di ceramica.
Date le dimensioni enormi e la base convessa al centro,
essa è in parte sotterrata per fissarla bene al suolo. E’
proprio a causa del suo peso che viene fabbricata sul
posto con la collaborazione di tutte le donne. La superficie esterna non è decorata con disegni, ma, all’altezza del
corpo si notano, in rilievo, delle figure zoomorfe che sono
fatte anch’esse di argilla e che riproducono animali di
importante significato cosmologico per gli Asurini, come
il rospo, il coccodrillo, la scimmia urlatrice, il coatì,
l’iguana e il bradipo. Secondo gli
Asurini anticamente erano gli animali a praticare il Turè ed è probabile che la riproduzione di questi altorilievi abbia la funzione di
richiamare l’attenzione dello spirito che scende di volta in volta ad
occupare la Tauwa rukaia, la
quale ha proprio la funzione di
catturare gli spiriti.
E’ per questo che la sua apertura
è sempre coperta con grandi foglie
di banano legate tra loro con
liane.
BIBLIOGRAFIA
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“SE FOSSI INDIO”, ED. MILLELIRE STAMPA ALTERNATIVA
ROMA 1993
Le fotografie delle ceramiche sono state realizzate dall’autore, con mezzi di
fortuna, nella foresta amazzonica, a luce naturale.
I pezzi esposti a Casa Cavalier Pellanda sono stati creati nel 1993 da:
Morukay, Mutirì, Mamarì, Marà, Patuà, Tarawejuwi, Arapai, Jakundà, Myra,
Taimira, Ajuruì, Turè, Mirawo e Aramè, del popolo Asurini.
L’ AUTORE RINGRAZIA PER IL PREZIOSO APPORTO I VOLONTARI:
SARAH AZEVEDO, ROBERTO BORGHI , ELENA CARPANI, VALERIO
DE GIOVANETTI, TIZIANA FAZIO, LUCA MAURI, GIANFRANCO
SPEZIGA, GERALDINE SWAYNE, CRISTINA VANOSSI.
Edizione: SM Pubblicità e PR
BSI-Banca della Svizzera Italiana
Stampa: Jam SA, CH-6526 Prosito
Dicembre 1995