asurini, gli artisti della giungla
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asurini, gli artisti della giungla
ASURINI, GLI ARTISTI DELLA GIUNGLA Banca della Svizzera Italiana Il Municipio di Biasca, grato per aver accettato la donazione di un’importante collezione di ceramiche degli Indios Asurini per opera del Dr. Aldo Lo Curto, è lieto di presentare questa interessante raccolta nella Casa Cav. G.B. Pellanda, dove verrà esposta in permanenza. Questa sede prestigiosa risale al 1586 e fu voluta da Giovan Battista Pellanda (1541-1615), Cavaliere di Santa Romana Chiesa, una figura di spicco della Biasca cinquecentesca con parte preponderante nella vita politica ed economica del paese. L’edificio è caratterizzato dal grandioso effetto delle masse, dalla semplicità delle proporzioni, dalle finestre incorniciate in pietra, dalla cornice che divide i piani e dall’imponente gronda di legno, mentre all’interno gli ambienti respirano signorilità e ricchezza. La presentazione della donazione, esposta con cura particolare, è stata resa possibile grazie alla collaborazione della BSI-Banca della Svizzera Italiana, ed in particolare del suo Gerente, Valerio De Giovanetti, in occasione del 25° di fondazione dell’Agenzia di Biasca della banca. Un contributo di significativo valore si deve alla direzione oltremodo oculata e intelligente dell’addetto culturale del nostro Comune, Prof. Silvano Calanca. Rinnovando i sentimenti di omaggio e di gratitudine al Dr. Lo Curto, l’Esecutivo biaschese si augura che la donazione delle ceramiche degli Asurini costituisca un prezioso contributo di novità per le mostre permanenti nella Casa gentilizia del XVI° secolo del Cav. G.B. Pellanda. Il Sindaco e Capo dicastero animazione culturale del Comune di Biasca Massimo Pini, Consigliere Nazionale BSI-Banca della Svizzera Italiana, fondata nel 1873 a Lugano, ha saputo sviluppare una presenza attenta e multiforme sul territorio affermandosi con dinamicità nel tessuto sociale e culturale più vivo del Canton Ticino. Confermando la propria vocazione di banca universale, BSI ha anche sviluppato il suo importante ruolo di ”private banking”, di consulenza finanziaria globale e altamente personalizzata per la clientela locale ed internazionale. Oggi, nel celebrare i 25 anni di presenza a Biasca, BSI-Banca della Svizzera Italiana riafferma il proprio impegno anche in ambito artistico e culturale come testimoniano le tante e prestigiose iniziative promosse dall’Istituto. Proprio in virtù di questa vocazione, BSI è particolarmente lieta di presentare l’arte grafica degli Indios Asurini. La vena estetica di questa etnia così poco conosciuta è complessa e personalissima, legata ad un’attenta capacità di artisti a torto ritenuti ”primitivi” che invece sanno osservare l’Uomo, con la sua storia, nei suoi miti, come figura centrale della Natura. Un percorso all’interno dell’animo umano che spazia in un mondo leggendario, ma che forse custodisce il vero segreto della vita. BSI-Banca della Svizzera Italiana L’ARTE GRAFICA DEGLI INDIOS ASURINI Il fiume Xingù e il villaggio Asurini Il fiume Xingù è un affluente del Rio delle Amazzoni che, attraverso un percorso di seicento chilometri, ospita sul suo territorio alcune tra le più interessanti tribù dell’Amazzonia Brasiliana. Tra queste desta particolare attenzione l’etnia Asurini per la sua concezione estetica, che si esprime in modo particolare attraverso la pittura corporea e la decorazione della ceramica. Gli indios Asurini sono una comunità di appena ottanta individui, venuti a contatto per la prima volta con l’uomo bianco nel 1971. Pur essendo in numero così esiguo essi mostrano aspetti sociali e spirituali così complessi, elaborati e differenti dai gruppi vicini, da poter essere considerati come una vera e propria “nazione”. Tra i vari aspetti della cultura asurini, quello che li ha fatti conoscere ed apprezzare per la bellezza e la varietà del segno è il grafismo tradizionale: esso si esprime dipingendo il corpo e decorando la ceramica con una molteplicità di disegni tramandati oralmente e visivamente, di generazione in generazione, nel corso dei millenni. Le pitture del corpo e della ceramica sono attività tipicamente femminili, mentre l’uomo confeziona ceste, ornamenti corporei, decora archi, frecce e strumenti musicali di uso cerimoniale, scolpisce sgabelli e remi di legno. Tutte le donne adulte della comunità sono in grado, quotidianamente, di scegliere dal loro archivio mentale il disegno con cui “vestire” un corpo o un vaso di ceramica. Tuttavia, è possibile notare che alcune donne disegnano meglio di altre, ma questa maestria non è motivo di vanità o di differenza rispetto al gruppo. Inoltre le donne anziane “ricordano” un maggior numero di disegni, ma anche in questo caso non godono di particolari privilegi rispetto alle più giovani. L’apprendimento del disegno e della ceramica non è quindi una scelta individuale, ma una tappa evolutiva di ambito familiare, che ogni ragazza asurini assimila dall’infanzia dalla propria madre, quando dipinge il corpo del padre e degli altri familiari o mentre decora un vaso di ceramica: in genere non è la madre che insegna, ma la bambina che osserva e apprende. La donna di solito dipinge i bambini al mattino; poi, durante il giorno, si dedica alle altre mansioni femminili (raccolta di tuberi, frutta e altro materiale nella foresta; preparazione del cibo) e al tramonto dipinge il marito che torna dalla caccia o dalla pesca. Non esiste tuttavia un orario rigido e ogni donna sceglie liberamente quando è il momento di entrare in azione. La donna, inoltre, pittura se stessa sulle zone accessibili mentre sul viso e sul dorso si fa dipingere da un’altra donna, convivente, vicina di casa o amica. Osservando la madre, la giovane figlia impara la tecnica della decorazione. Riguardo alla scelta del disegno è la donna che decide come pitturare i propri figli, mentre, quando dipinge il marito, è quest’ultimo che esprime la preferenza: la donna può, tuttavia, fargli cambiare idea. Il complesso grafico asurini è costituito da oltre ottanta disegni che possono essere indistintamente applicati, tranne rare eccezioni, sia sul corpo, sia sulla ceramica. Per dipingere il corpo si usa una tinta vegetale, mentre per la ceramica la tecnica prevede l’impiego di pietrine gialle, nere, e rosse stemperate in acqua. Come pennelli si usano fibre vegetali rigide o flessibili. La geometria del disegno si avvale dell’uso della linea retta (intera o a segmenti), curva e, talvolta, del punto. Si formano così unità costituite a zig-zag, a losanga, triangolari, romboidali ecc.... Il segno finale che ne deriva rappresenta una astrazione del tema scelto. La pittura corporea non ha uno stretto significato sociale: essa non designa l’appartenenza ad un determinato clan, come per esempio tra gli indios Xavantes, né uno stato di pace o di guerra come avviene tra gli indios Kayapò. Lo stesso disegno può essere applicato, tranne qualche rara eccezione, sia sull’uomo che sulla donna, sia sull’anziano come sul bambino. Pittura corporea mista Esaminando però la totalità dei disegni e il loro significato, si può notare che esistono tre gruppi di pitture: 1) un gruppo “ecologico”, che mostra l’influenza che l’ambiente ha sulla vita quotidiana asurini. Ne sono un esempio i disegni: AJAWUIAKY (ramo dell’albero), EIREMA’YWA (favo di miele), AWATIPUTYRA (spiga di miglio), KUMANA’ (fagiolo), JAWARAJURYWA (collo del giaguaro), YWIRYWAAKA (lucertola) ecc.... 2) un gruppo “cosmologico”, che si rifà ad un modello originale denominato “TAYGAWA” usato nei rituali sciamanici, che rappresenta la stilizzazione della figura umana. Questa figura antropomorfa può essere, per così dire, “smembrata” in varie unità elementari ciascuna delle quali può dare origine a molte forme di Taygawa sia per ripetizione simmetrica di unità, sia per creazioni asimmetriche decise in modo libero e creativo dell’autore. 3) esiste infine un ultimo gruppo in cui il disegno non sembra avere un significato, ma è denominato in base al tipo di grafismo (es. KWASARAPARA = disegno storto), al disegno fine a sé stesso (es. JUAKETÈ= la vera pittura) o al segmento del corpo su cui di solito si traccia (es. TAMAKYJUAKA = pittura della gamba). Esistono quindi parti del corpo come il viso, le spalle (solo per gli uomini), le braccia, le mani, i piedi, che possono essere decorate con disegni “propri” e che differiscono dalla pittura “principale” che riveste nella sua totalità il tronco e le cosce fin sotto le ginocchia. Lo stesso vale per la ceramica in cui si distingue una pittura del bordo, una del collo, una del corpo (la principale) e una della base. Corpo umano e vaso di ceramica vengono così a costituire il supporto di combinazioni di vari disegni, scelti tra questo o quel gruppo in assoluta libertà. AJAWUIAKY (Ramo dell’albero) TAYGAWETE (Disegno di essere antropomorfo) TAMAKYJUAKA (Pittura della gamba) Il colore che si usa nella pittura corporea è quasi esclusivamente il nero con l’unica rara eccezione di AJEMUKATÎ (tutto rosso); per la ceramica si usano motivi in nero, in rosso o misti su fondo ocra. Una interessante caratteristica della pittura asurini è che tutti i disegni del corpo si possono applicare sulla ceramica ad esclusione di JUAKETÈ (la vera pittura), di AJEMUKATÎ (tutto rosso), di JEMUUNAWA (tutto nero). Il disegno JUAKETÈ (la vera pittura) è concepito per vestire esclusivamente il corpo, dato che la complessità della sua elaborazione non ne rende possibile la trasposizione sulla ceramica. Un’altra pittura esclusivamente corporea e di significato cerimoniale è JEMUUNAWA (tutto nero): ricoprendo tutto il corpo di tinta nera, l’individuo “cancella” il disegno precedente e rinuncia, durante il rito, alla dimensione umana per entrare in contatto col soprannaturale. La pittura AJEMUKATÎ (tutto rosso) sembra avere un esclusivo fine utilitario (la protezione della pelle dalla puntura degli insetti); tuttavia, questa pittura è estremamente rara a vedersi, mentre è pratica corrente spalmare di tinta rossa i capelli (AJEAKYMYTY = testa rossa). Pittura Juaketè Resta inoltre da segnalare che quando la comunità si trovava, in passato, in uno stato di guerra, la decorazione del corpo veniva sospesa. Lo stesso vale in caso di morte: il defunto viene sepolto senza alcuna pittura. L’impressione finale che si prova esaminando questi disegni è che essi abbiano tre funzioni: 1) mostrare il rapporto indissolubile della simbiosi uomo-natura, anche se il disegno si traduce alla fine in una “trasfigurazione” del reale, visto in un modo astratto; 2) far rispettare le tradizioni spirituali che impegnano in modo determinante la vita della comunità (le cerimonie asurini possono durare giorno e notte ininterrottamente per mesi!) 3) far apprezzare il disegno più per la sua bellezza intrinseca che per la maestria di chi lo ha fatto: è frequente infatti, vedere due donne che decorano contemporaneamente lo stesso vaso... Questa rassegna e classificazione di disegni vuol essere un tentativo di sistematizzazione del bagaglio culturale pittorico asurini: pertanto esiste la possibilità che non tutti i disegni siano stati registrati perché attualmente in disuso o perché non è il periodo adatto per dipingerli. Ne è un esempio APYTI (liana intrecciata) che fino a qualche anno fa era disegnato liberamente: ma accadde un giorno che un adulto morì dopo che la moglie lo aveva “vestito” con Apyti. Da quel momento questo disegno non è più stato tracciato, nè sul corpo nè sulla ceramica, perché si pensa che porti sventura o malattia. Lo stesso concetto vale per i tre gruppi di disegni la cui classificazione non è da intendersi in modo rigido: esistono infatti disegni che sono interpretati in due maniere diverse e quindi hanno due nomi, come ad esempio YWIRYWAAKA (lucertola), chiamato anche PE’I (disegno alternato). APYTI (Legatura, liana intrecciata - Disegno in disuso perché si pensa che porti sfortuna) PE’I o YWIRYWAAKA (Disegno alternato o lucertola) IL MITO DEL DISEGNO URUPEJUAKA o URUWUPYJYYJA (Piede di urubù, avvoltoio) EIREMA’YWA (Favo di miele) E’ interessante risalire alle radici cosmologiche della pittura asurini e al modo in cui appresero il disegno. Raccontano essi che un tempo, anticamente, esisteva un essere mitologico bellissimo, AJYKWASARA che aveva il corpo tutto decorato in modo speciale: in ogni sua parte era riprodotto un disegno differente, così che possedeva sulla pelle la raccolta completa di tutte le pitture che gli Asurini sanno fare. Ajykwasara era tanto bello quanto geloso dei suoi disegni: appena qualcuno si soffermava a guardarlo sia animale, sia uomo, egli si adirava a tal punto da ucciderlo. Per questo Ajykwasara si muoveva in modo rapido ed evitava qualunque contatto. Un giorno il giovane AJYGAWU’I vide passare di nascosto e per pochi attimi Ajykwasara: rimase affascinato dalla bellezza dei disegni e tornò a casa rammaricato per l’impossibilità di poter vedere nei dettagli il suo corpo. Raccontò tutto alla madre, che gli suggerì come fare. Così imparò ad imitare la voce del cervo, ne catturò uno e lo lasciò morto sul cammino di Ajykwasara: poi aspettò il suo arrivo, nascosto dietro un albero. Appena vide giungere Ajykwasara, imitò la voce del cervo e disse: “Oh, che meraviglia! Finalmente ho visto i disegni della tua schiena!”. Subito Ajykwasara si voltò verso il luogo da cui proveniva la voce e, visto il cervo, per punirlo, gli si scagliò contro velocemente e lo colpì ripetutamente con la clava, senza accorgersi che era già morto. Così, da dietro l’albero, Ajygawu’i ebbe tutto il tempo di vedere ogni particolare della pelle di Ajykwasara e di imparare tutti i disegni. Per non dimenticare, tornato a casa, decorò all’inizio ogni freccia e ogni arco con un disegno differente. Poi trasmise il suo sapere ai propri figli: gli uomini impararono a ricoprire con un intreccio ogni freccia e ogni arco, mentre le donne appresero la pittura del corpo e della ceramica. Così il disegno fu tramandato di generazione in generazione fino ai nostri giorni. 1 2 1. TEMEKUYRUNA (Pittura della bocca, tutta nera) 2. JURUPIRIJYNUU (Pittura della bocca, a linee grosse) 3. JURUPIRIJYNA (Pittura della bocca, a linee sottili) 3 LA FINESTRA SULL’INFINITO KUMANA’ (Fagiolo) KUIAPE’I (Pittura di zucca) Osservando la donna asurini mentre dipinge il corpo o la ceramica, si rimane stupiti nel notare che non commette errori nel rivestire interamente queste “tele” la cui superficie è curva: la maestria, la decisione e la sicurezza con cui traccia la linea, iniziando il disegno indifferentemente dal basso o dall’alto, da destra o da sinistra, destano meraviglia se si tiene presente che il disegno riveste ogni volta corpi e ceramiche di dimensioni e consistenza differenti. Questa capacità di riempire qualunque superficie è sicuramente resa possibile ingrandendo un particolare del disegno (es. Tamakyjuaka) o ripetendo simmetricamente le unità modulari di cui spesso il disegno è composto (es. Pe’i), fino al completamento. Esistono tuttavia molti disegni che non sono costituiti da unità che si ripetono (es. Kumanà e Kuiape’i): in questo caso è come se il disegno scelto si estendesse senza confini nella mente dell’autrice e fosse “tagliato” ad occhio secondo le misure necessarie in quel momento e applicato alla perfezione sulla superficie in modo tridimensionale: una vera e propria “FINESTRA SULL’INFINITO”. Per fare un esempio più semplice è come se si stendesse all’infinito una rete, le cui maglie sono diverse di volta in volta e vi si facesse, ad occhio, una fenestratura: il ritaglio, così ottenuto, viene applicato sulla superficie da decorare, rivestendola alla perfezione. TECNICHE PER IL CORPO Il colore che prevale per le pitture corporee è il nero. Esso deriva dal succo di JENIPAPO (Genipa Americana): che essendo inizialmente incolore, viene mescolato con carbone vegetale, per rendere visibile il segno mentre lo si traccia. Qualche ora dopo, fatto il bagno nel fiume, il disegno sembra quasi scomparire dalla pelle, tuttavia il giorno seguente, non solo riacquista tutta la sua intensità, ma penetra nello stato più superficiale dell’epidermide, permanendovi per cinque-sette giorni. Quando, a causa della desquamazione e del ricambio cutaneo, il disegno tenderà ad affievolirsi sarà tempo di decorare ancora il corpo.Il colore rosso si ottiene dai semi del frutto URUCUM (Bixa Orellana) che impregna facilmente di rosso vivo le parti da dipingere per semplice sfregamento. A differenza della tinta nera l’Urucum permane sulla pelle poche ore e può essere rimosso facilmente con il bagno. Il pennello è costituito da una sottile fibra vegetale flessibile (JUPU’IWA), per le linee sottili una asticella rigida di legno (PINAWYPE) rivestita di cotone sulla punta, per linee spesse o direttamente dal dito della mano, quando ci sono grossi spazi da riempire di tinta. IL TATUAGGIO E’ necessario fare una breve digressione a parte per il tatuaggio del corpo, che è possibile notare in special modo tra gli uomini e le donne anziane. A differenza della pittura corporea si tratta di un segno permanente di colore blu scuro ottenuto per scarificazione con dente di aguti e successiva immissione di tintura di Jenipapo (Jenipa Americana). Segue l’applicazione di foglie di Urucum (Bixa Orellana) per coagulare il sangue. Il tatuaggio a differenza della pittura ha un significato sociale: è applicato solo sugli adulti su regioni diverse secondo il sesso e, specialmente nell’uomo, indica l’attività di guerriero (BOAKARA). Questa pratica si svolge in particolar modo durante i rituali sciamanici. In genere si tratta di linee parallele disposte verticalmente od orizzontalmente, ricalcando alcune delle più comuni pitture del corpo come: PIRIJYNA (uomo e donna), KUAAWA (uomo: sul torace; donna: sulle braccia), JATIYWA APAAWA (solo uomo). PIRIJYNA (Linee verticali parallele) KUAAWA (Pittura dorsale, linee orizzontali) LA CERAMICA Non c’è ora del giorno in cui non si veda in qualche angolo del villaggio una donna asurini alle prese con la sua ceramica. L’unico periodo in cui la pittura corporea e della ceramica si fermano è quello che va dal post-parto fino a che il bambino giunge verso il primo anno di vita: questo arresto temporaneo si verifica per permettere alla donna di concentrare tutta la sua attenzione sul bambino, specie se si tratta del primo o del secondogenito. La ceramica è usata per conservare gli alimenti solidi e liquidi, per riti cerimoniali o per baratto con l’uomo bianco. La materia prima è costituita dall’argilla (JAE’UMA) che viene manipolata fino ad ottenere dei cilindri allungati, uniti di volta in volta tra loro per le estremità e arrotolati su se stessi a spirale oppure sovrapponendoli concentricamente uno sull’altro secondo piani successivi e con diametro via via maggiore. Come tutte le etnie dell’Amazzonia, anche gli Asurini non conoscono il tornio: il vaso è modellato grossolanamente con le mani e con le dita, mentre le piccole irregolarità della superficie sono tolte usando come spatola un pezzo di zucca. Dopo qualche giorno, ad essiccamento avvenuto, si passa alla cottura, ricoprendo il vaso di pezzi di corteccia o di foglie di cocco babaçù (ORBYGNIA MARTIANA) disposte a formare un cono o una piramide. Per la pittura e la decorazione esterna si usano coloranti minerali che si trovano nella foresta circostante sottoforma di piccole pietre color ocra (ITAVA), nero (ITAWAUNI) e rosso (ITAWA-PIRYGI). Queste vengono stemperate in acqua su una “tavolozza” anch’essa di pietra, fino ad ottenere la tinta corrispondente. Con un batuffolo di cotone intinto nell’ocra si spalma uniformemente il colore fino a coprire tutta la superfi- cie esterna. Questo colore di fondo è comune a tutte le ceramiche. Infine si procede alla decorazione vera e propria, usando il rosso, il nero o entrambi. Questa può essere unica per tutto il vaso oppure multipla, disegnando in modo differente il bordo, il collo, il corpo e la base. Scelto di volta in volta il disegno si traccia con linee sottili o grossolane usando una fibra vegetale come pennello. La copertura totale del vaso risulta alla fine una combinazione di disegni che è di volta in volta differente, per cui è quasi impossibile trovare nel villaggio due ceramiche con la stessa sequenza di temi scelti. Ciascun disegno può essere scelto liberamente dall’autrice di volta in volta, tra i tre gruppi che compongono la totalità del grafismo asurini. Sono gli stessi disegni che si usano per decorare il corpo, fatta eccezione di JUAKETÈ’ (la vera pittura), JEMUUNAWA (tutto nero) e di AJEMUKATÎ (tutto rosso). Ogni donna, inoltre, decora la sua ceramica, ma, quando il vaso è di grandi dimensioni, non è raro vedere due donne che lo disegnano a metà per ciascuno. Non esistono decorazioni su “ordinazione”, anche quando la ceramica è destinata al baratto. Asciugata la decorazione, si passa alla verniciatura, ricoprendo tutta la superficie esterna con la resina dell’albero JATOBA’ (COPAIFERA TRICHIOFFICINALIS), che gli indios chiamano JUTAYKA. Infine, per rendere più resistente il vaso, si sfrega vigorosamente la superficie interna con la parte profonda della corteccia di un albero denominato TI-TIWA. Sono prive di decorazione le ceramiche usate quotidianamente per abbrustolire la farina di manioca, per la cottura del cibo e, in passato, per trasportare l’acqua: esse si presentano molto spesse, di dimensioni piuttosto grandi e la loro struttura appare piuttosto robusta perché sono sfregate con Ti-tiwa sia all’interno che all’esterno. La superficie esterna della ceramica è divisa in base (EKARA), corpo (I’A) e bordo (IAKYGA); nei casi in cui il vaso è allungato verso l’alto si distingue anche il collo (IJURA). La forma e le dimensioni delle ceramiche asurini sono estremamente variabili: si può dire, in generale, che là dove l’altezza del vaso prevale sulla larghezza e l’apertura del collo è piccola, l’utilizzo è per il deposito e il trasporto di liquidi. Nei casi in cui prevale la larghezza sull’altezza, il recipiente serve per deposito di alimenti solidi o per il loro consumo. Tra gli Asurini, come in tutte le comunità indigene dell’Amazzonia, l’assunzione di cibo avviene in modo comunitario disponendosi tutti i familiari in cerchio attorno ad un contenitore centrale appoggiato direttamente a terra. Se il cibo è solido, ognuno prende parte al banchetto servendosi direttamente delle mani, mentre se il cibo è liquido o pastoso, si usa come cucchiaio-piatto una cuia (zucca) che viene immersa nella ceramica che sta al centro. Al banchetto possono partecipare anche i parenti o i vicini di casa: queste riunioni conviviali sono anche motivo per scambiarsi visite di cortesia passandosi notizie o informazioni o commentando i fatti avvenuti. Esistono infine vasi di dimensioni ridotte che sono dati come giocattolo alle bambine. FORME BASILARI Le forme che si riscontrano più frequentemente sono: 1. JAENIWA è la forma usata quotidianamente per cucinare, pertanto non viene decorata. Viene invece dipinta quando si vuole dare un significato cerimoniale o per barattarla con l’uomo bianco. 1 2. JAPEPAI questa forma, priva di decorazione, serve per cucinare quotidianamente e durante le cerimonie assume importanza rituale. Finito questo periodo ritorna ad essere usata come prima. Può essere decorata per baratto. 3. JA’EKUIA è usata per depositare o servire piccole quantità di cibo e per baratto. 4. JAPUI serve per contenere liquidi e per baratto. 2 3 4 5 6 7 5. JA’E’ è utilizzata in modo particolare nei rituali sciamanici e per il baratto. Il vaso Ja’é che si usa nel rituale MARAKA’ non viene mai rimosso, anche a cerimonia finita, mentre le altre (es. Jaeniwa e Japepai), terminato il rituale tornano ad essere considerate come ceramiche prive di valore spirituale e, pertanto, usate quotidianamente o scambiate con l’uomo bianco. 6. YAAWA è usata per caricare, trasportare, depositare acqua e per baratto. 7. YAAWI-JUKUPYAPYRA significa “uno sopra l’altro” ed è chiamata anche YAAWIKU’AJURI (molto sottile). Esistono due varianti: una a due concamerazioni e un’altra a tre. Sono utilizzate per il deposito di acqua o miele nella foresta e per il baratto. U’YKWASARUU (Disegno di freccia) JUAJUPYPE’Y (Due disegni sovrapposti) Il fenomeno dell’aggregazione comunitaria attorno ad un vaso contenente “CAUIM” (bevanda preparata con manioca o miglio cotti e fermentati con la saliva, per masticazione) assume, pertanto, un significato ancora più coinvolgente nelle cerimonie rituali: esse sono molteplici e vissute in modo molto intenso da tutta la comunità di giorno e di notte ininterrottamente per settimane, e talvolta, anche per mesi. Tra questi si distaccano per importanza il TURE’ e il MARAKA’: durante questi rituali alcune forme di ceramica (Ja’é, Japepai e Jaeniwa) diventano molto importanti, assumendo significato cerimoniale sia come contenitore comunitario di Cauim, consumato dai partecipanti, sia come elemento che fa parte del rituale insieme alla maraka (strumento a percussione) e al petyma (grosso sigaro di tabacco): in questo caso la ceramica ja’é è posta su un sostegno e collocata nello spiazzo dove si eseguono i canti e le danze. Accanto alle forme basilari della ceramica decorata asurini ne esistono altre che rappresentano sia la ripresa di modelli ormai quasi dimenticati e in disuso, sia l’estensione della decorazione ad altre forme di ceramica che fino a poco tempo fa erano usate per cuocere il cibo. Questi due fenomeni sono conseguenza del contatto con l’uomo bianco che da tempo conosce e apprezza queste ceramiche e cerca di incentivare questa attività attraverso il baratto con sapone, materiale e alimenti che servono alla comunità. Tuttavia non esistono decorazioni o forme su “ordinazione”: la ripresa di vecchi modelli e la decorazione di nuove forme appaiono un processo spontaneo di ritorno alla cultura del passato. Queste forme sono:YARATI, PUPIJANYKANAWA, WYRA, JAPÊÊI, PEKY’IA, KUME’,UÂ e KAWIU’I. Anche per la ceramica asurini vale quanto già detto per la pittura: le raffigurazioni qui riprodotte sono certamente incomplete ed è probabile che in futuro si assista al ritorno di altre forme che giacevano, da molto tempo, apparentemente dimenticate, nell’archivio mentale delle donne asurini. Forme meno frequenti WYRA PUPIJANYKANAWA JUAKETÈ (La vera pittura) IPIRETE (Disegno dello spirito Anhinga, pelle nuda) JAWARAJUAYWA (Collo di giaguaro) JAUTIPAPERA (Mano di jabuti, tartaruga di terra) JAUTIJUAKA (Pittura di jabuti, tartaruga di terra) TAUWARUKAIA, LACERAMICASACRA KWASARAPARA (Disegno storto) KUIAPE’I IYWEYMA (Pittura di zucca) Esiste nel villaggio asurini una costruzione a pianta rettangolare di dimensioni molto grandi (mt. 42x11x6) chiamata TAWYWA, che rappresenta il fulcro delle spiritualità asurini. E’ nel suo pavimento che sono custodite le spoglie dei defunti ed è nel suo interno e nella piazza antistante che si svolgono le principali cerimonie della comunità, il Turè e il Marakà, rituali sciamanici in cui si cerca di entrare in contatto sia con esseri soprannaturali a scopo terapeutico e propiziatorio, sia con gli spiriti dei propri morti. E’ interessante notare che questi rituali possono durare ininterrottamente per mesi, di giorno e di notte con il coinvolgimento non solo di adulti, ma anche di bambini. La comunità asurini si distingue in modo particolare perché è una delle poche etnie in cui l’attività sciamanica non è disimpegnata solo dagli uomini ma anche dalle donne che partecipano attivamente alle cerimonie con il loro canto e con la danza. Nel centro della Tawywa trova la sua collocazione un enorme vaso cerimoniale chiamato TAUWA RUKAIA, alto un metro con un diametro di un metro e mezzo. La sua forma è di tipo Japepai ricordando così l’attività femminile per eccellenza, la preparazione del cibo attraverso questo tipo di ceramica. Date le dimensioni enormi e la base convessa al centro, essa è in parte sotterrata per fissarla bene al suolo. E’ proprio a causa del suo peso che viene fabbricata sul posto con la collaborazione di tutte le donne. La superficie esterna non è decorata con disegni, ma, all’altezza del corpo si notano, in rilievo, delle figure zoomorfe che sono fatte anch’esse di argilla e che riproducono animali di importante significato cosmologico per gli Asurini, come il rospo, il coccodrillo, la scimmia urlatrice, il coatì, l’iguana e il bradipo. Secondo gli Asurini anticamente erano gli animali a praticare il Turè ed è probabile che la riproduzione di questi altorilievi abbia la funzione di richiamare l’attenzione dello spirito che scende di volta in volta ad occupare la Tauwa rukaia, la quale ha proprio la funzione di catturare gli spiriti. E’ per questo che la sua apertura è sempre coperta con grandi foglie di banano legate tra loro con liane. BIBLIOGRAFIA BATESON GREGORY: “STYLE GRACE AND INFORMATION IN PRIMITIVE ART”, PAG.234/255 ED. PRIMITIVE ART AND SOCIETY. S/D BIEBUYCK DANIEL (ED.): “TRADITION AND CREATIVITY IN TRIBAL ART”, UNIVERSITY OF CALIFORNIA PRESS - LOS ANGELES 1969 COLLECTION BARBIER-MÜLLER: “ARTS D’OCEANIE, D’AFRIQUE ET D’AMERIQUE, RECENTS ACQUISITIONS” - AUTORI VARI - GINEVRA 1977 JOPLING CAROL F. (ED.): “ART AND AESTHETICS IN PRIMITIVE SOCIETIES”, E.P. DUTTON E CO., INC., - NEW YORK 1971 SMITH MARIAN: “THE ARTIST IN TRIBAL SOCIETY”, ROUT LEDGE AND REGAN PAUL, LONDRES 1961 WINGERT PAUL: “PRIMITIVE ART - ITS TRADITION AND STYLES”, MERIDIAN BOOKS, OHIO 1965 FRANCASTEL P. : “PEINTURE ET SOCIETE’”, M. AUDIN, LYON 1950, GANTHIER PARIS 1977 LEVI STRAUSS, CL. : “LA PENSEE’ SAUVAGE”, PLON - PARIS 1963 REGINA POLO MÜLLER: “OS ASURINI’ DO XINGU’ - HISTORIA E ARTE”, ED. 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I pezzi esposti a Casa Cavalier Pellanda sono stati creati nel 1993 da: Morukay, Mutirì, Mamarì, Marà, Patuà, Tarawejuwi, Arapai, Jakundà, Myra, Taimira, Ajuruì, Turè, Mirawo e Aramè, del popolo Asurini. L’ AUTORE RINGRAZIA PER IL PREZIOSO APPORTO I VOLONTARI: SARAH AZEVEDO, ROBERTO BORGHI , ELENA CARPANI, VALERIO DE GIOVANETTI, TIZIANA FAZIO, LUCA MAURI, GIANFRANCO SPEZIGA, GERALDINE SWAYNE, CRISTINA VANOSSI. Edizione: SM Pubblicità e PR BSI-Banca della Svizzera Italiana Stampa: Jam SA, CH-6526 Prosito Dicembre 1995