L`esperienza televisiva nell`età della convergenza
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L`esperienza televisiva nell`età della convergenza
WWW.SOCPOL.UNIMI.IT Dipartimento di Studi Sociali e Politici Università degli Studi di Milano Working Paper 7/08 L’esperienza televisiva nell’età della convergenza Anna Sfardini WWW.SOCPOL.UNIMI.IT Dipartimento di Studi Sociali e Politici Facoltà di Scienze Politiche, via Conservatorio 7 - 20122 Milano - Italy Tel.: 02 503 21201 02 503 21220 Fax: 02 503 21240 E-mail: [email protected] L’esperienza televisiva nell’età della convergenza di Anna Sfardini I processi di digitalizzazione tecnologica e convergenza mediale costituiscono oggi uno dei fenomeni più interessanti e analizzati nel dibattito scientifico dei Media Studies e tra gli addetti del settore, a causa dell’importante trasformazione di scenario che comportano e per l’assenza di previsioni certe sui futuri assetti del sistema mediale. La televisione rappresenta un campo di analisi privilegiato per osservare e comprendere il cambiamento in atto, soggetta come è a notevoli mutamenti sul piano della produzione, della diffusione e del suo consumo, che stanno ridefinendo l’identità di questo mezzo come tecnologia e come forma culturale . A partire da una sintetica descrizione dell’attuale sistema tv italiano, l’obiettivo di questo intervento è proporre una tipologia di nuove figure di spettatori che oggi si originano dall’esperienza di ‘guardare la tv’ e che, al contempo, sottendono snodi più ampi dell’esperienza contemporanea (l’identità, l’appartenenza, la mobilità, la cittadinanza), ulteriore prova di come i media sono parte integrante e pervasiva dell’ articolato tessuto della vita quotidiana contemporanea. 1. Media in transizione Il progressivo complessificarsi del panorama mediale contemporaneo cui stiamo assistendo a seguito dei processi di digitalizzazione e convergenza, ha reso urgente la necessità di ripensare il cambiamento mediale al di là delle utopie e distopie che normalmente l’accompagnano: nella letteratura teorica dei Media Studies, infatti, si evidenzia con chiarezza da qualche anno la necessità di ripensare le dinamiche della convergenza mediale andando oltre la sua dimensione puramente tecnologica.1 Ad un paradigma della rivoluzione digitale, teso a evidenziare gli aspetti trasformativi della tecnologia digitale, è oggi preferito un paradigma della convergenza, attento alla multidimensionalità del processo di trasformazione dei media, al ruolo dei soggetti accanto a quello delle tecnologie, ai meccanismi di ibridazione e rimediazione fra vecchi e nuovi media. Proprio questa attenzione alle forze e ai soggetti che forgiano le differenti tecnologie mediali costituisce uno dei tratti caratteristici del paradigma della convergenza: se l’avvento dei nuovi media e la digitalizzazione pongono le condizioni per una generale mutazione del sistema mediatico, esse vengono poi concretamente modellate dai diversi attori che caratterizzano l’ambiente mediale contemporaneo, ossia i conglomerati multimediali (sul piano dell’offerta), le istituzioni pubbliche (sul piano della regolamentazione) e gli stessi fruitori (sul piano del consumo). 1 Ne sono testimonianza gli sforzi compiuti dal gruppo di ricercatori e storici dei media riuniti attorno al Massachusetts Institute of Technology impegnati a ripensare il cambiamento mediale in una serie di raccolte e saggi di recente pubblicazione. Cfr. L. Gitelman, G.B. Pingree, New Media, 1740-1915, Mit Press, Cambridge (Ma)/London 2003; H. Jenkins, D. Thornburn, Democracy and New Media, Mit Press, Cambridge (Ma)/London 2003; H. Jenkins, D. Thornburn, Rethinking Media Change: the aesthetic of transition, Mit Press, Cambridge (Ma)/London 2003; H. Jenkins, Convergence Culture, op. cit.; L. Gitelman, Always already new: media, history and the data of culture, Mit Press, Cambridge (Ma)/London 2006. 1 Pertanto, nell’ambito di un paradigma della convergenza, i fattori che sono presi in considerazione per interpretare lo stato e le direzioni della televisione non sono esclusivamente quelli tecnologici (che riguardano in prevalenza la trasformazione e sostituzione delle forme di distribuzione), ma riguardano i più complessi processi di ibridazione che caratterizzano l’attuale scenario televisivo: ciò che in queste pagine si vuole suggerire non è che la televisione “come l’abbiamo conosciuta” andrà a svanire in un imprecisato avvenire, ma che a questa tipo di esperienza consolidata se ne affiancheranno altre, più o meno differenti, in un processo di “evoluzione” più che di “rivoluzione”. Lo scenario che va definendosi è quello di una moltiplicazione dell’esperienza televisiva, sia in termini quantitativi (essa è sempre più disponibile) sia in termini qualitativi (essa si attaglia alle esigenze dei singoli): dalla televisione, come l’abbiamo conosciuta, passiamo a una iper-televisione o, come abbiamo preferito chiamarla, a un multiTV2. 1.1 Lo scenario della Tv in Italia La convergenza ha preso l’avvio nel contesto della più sviluppata industria multimediale internazionale, quella statunitense, sebbene essa, per la sua natura di fenomeno multi-nazionale, sia andata a interessare gli interi mercati globali. Le dinamiche della convergenza istituzionale assumono, invece, caratteristiche diverse a seconda degli specifici contesti culturali ed economici, che dipendono delle variegate storie nazionali dei sistemi televisivi e mediali. Come in ogni periodo di transizione, il quadro del futuro scenario mediatico appare estremamente ricco e frastagliato e in continua evoluzione. Senza pretesa di esaustività, proviamo a dare un quadro della convergenza istituzionale nel contesto italiano, a partire da una fotografia dei differenti operatori attivi sulle varie piattaforme televisive digitali, per poi illustrare alcune tendenze di fondo dello scenario istituzionale nazionale. DTT DTH TIVU’ Piattaforma orizzontale degli operatori di rete: Rai, Mediaset, TIMedia Prodotti/servizi ad accesso condizionato: Operatore Unico: Sky Italia MultiTV IPTv MobileTv Due Principali operatori su cavo/Dsl (Fastweb) e Dsl (AliceTelecom); Nuovi attori:Infostrada/Wind, Tiscali (2007) Principali operatori mobili (tramite accordi con fornitori di contenuti o broadcaster) Figura1 Gli operatori italiani per piattaforma 2 Cfr. M. Scaglioni, A. Sfardini, MultiTv. L’esperienza televisiva nell’età della convergenza, Carocci, Roma 2008, testo da cui è tratto e in parte rielaborato il presente paper. 2 Come si può vedere dalla Figura 1, che fotografa la situazione nazionale degli operatori delle diverse piattaforme televisive nell’anno 2007, il quadro è piuttosto complesso e frammentato, e sembra giustificare, almeno in parte, la previsione di un progressivo superamento del duopolio (la tv di Stato Rai e la tv commerciale Mediaset) che ha governato per vent’anni lo scenario televisivo italiano, grazie alla moltiplicazione degli attori che operano al suo interno. La piattaforma Dtt, caratterizzata dall’inter-operabilità degli standard definita dal consorzio DGTVi che riunisce i principali attori nazionali e locali (Rai, Mediaset, Telecom Italia Media e reti locali), rappresenta, nelle intenzioni, l’erede della tv analogica gratuita, alla quale si vanno ad aggiungere le opzioni, già operative, della televisione a pagamento, nella forma del “pay light” (carte prepagate di Mediaset Premium e La7-TIMedia). La piattaforma Dth è caratterizzata dalle presenza di un operatore unico (Sky Italia) che agisce, insieme, da editore, da aggregatore di contenuti e da operatore di rete. Differente è la situazione delle altre piattaforme televisive digitali, ossia quella che fa uso del protocollo Ip (IPTv), e quella distribuita su apparecchi mobili (MobileTv). In entrambi i casi, e con alcune eccezioni, la catena produttiva va maggiormente disarticolandosi: gli operatori di rete – ovvero le società di telecomunicazione fissa e mobile (Telecom Italia e Tim, Fastweb, Infostrada/Wind, Tiscali, Vodafone) si muovono come operatori di rete e gestori dei servizi, aggregando contenuti prodotti da terzi (con l’eccezione di H3G, proprietaria della rete mobile Tre, che, definendo se stessa, “mobile media company”, ha abbracciato la strategia che le riconosce il ruolo di editore delle reti La3Tv). Di fronte a uno scenario in grande fermento, ma al momento privo di chiare linee di tendenza e sviluppo e, soprattutto, non ancora pienamente operativo sul piano della diffusione del consumo, appare utile sottolineare che l’evoluzione dell’offerta e delle piattaforme dipenderà direttamente non soltanto dalle disponibilità tecnologiche, ma dall’incontro di queste ultime con gli attori che le tradurranno in mercati, ampliando il consumo che, attualmente riguarda poche nicchie di mercato. Alla luce di questa considerazione, e all’incrocio fra la considerazione delle piattaforme e degli operatori che vi operano con precise politiche, si propone nella Figura 3 il quadro di sviluppo ipotizzato oggi in .Italia 3 Figura 2. Fonte: Mediaset/Booz Allen Analysis, basato su stime Telecom Italia, Informa Media, Gartner, ScreenDigest, Sky, Ministero delle Comunicazioni Le stime prevedono una consistente diffusione del Dtt, simmetricamente alla progressiva estinzione della tv analogica entro il 2012, data fissata dal Governo italiano per lo swith off che interesserà quasi ventiquattro milioni di abitazioni nazionali (le previsioni sembrano però ottimistiche, alla luce dei ritardi che ancora manifesta il digitale terrestre). La piattaforma satellitare, che è quella più cresciuta negli anni 2003-2007 con la nascita di SkyItalia, dovrebbe subire una battuta d’arresto legata alla saturazione del mercato pay, attestandosi attorno ai cinque milioni di famiglie. Si lega alla grande crescita delle connessioni broadband, a banda larga (più di 15 milioni nel 2012), la diffusione della IPTv, che solo a partire dal 2007 è diventato un mercato ricco di offerte, di contenuti, nonché fortemente attivo sul lato della promozione e del marketing. Anche in questo caso, però, le stime di una crescita in grado di superare le sottoscrizioni satellitari attorno al 2011 possono apparire eccessivamente ottimistiche. La diffusione della banda larga può ovviamente legarsi, e fare da volano, alla diffusione di forme di InternetTv, al di fuori dei “giardini protetti” della IPTv. Ancora maggiore è la cautela circa la diffusione della MobileTv, che presenta ulteriori incertezze circa la prevalenza o la convivenza di una modalità di tv lineare di flusso (su piattaforma Dvb-h) o di servizi audiovideo a richiesta (su piattaforma Umts e Hsdpa). Rispetto all’attuale pubblico televisivo è utile ricordare quale sia la fotografia oggi predominante che emerge dalla ricerca audiometrica e che mostra con evidenza la forza dell’inerzia delle pratiche di consumo al di là delle trasformazioni tecnologiche appena descritte. Lo scenario italiano, infatti, pur vivacizzato, negli ultimi anni, da innumerevoli spinte innovative - come la diffusione dei 4 decoder DTT, che hanno superato i 4.700.0003 nel 2007, e la progressiva crescita della IpTv e della MobileTV - resta sostanzialmente incardinato nel doppio polo della televisione generalista, analogica e terrestre, accessibile per l’intera popolazione nazionale, e della televisione digitale satellitare a pagamento, che ha superato i 4 milioni di sottoscrittori. Il quadro del pubblico televisivo nazionale risulta così aggregato in tre grandi aree, in tre Italie che hanno consumi culturali sensibilmente diversi. L’Italia Rai costituisce il pubblico televisivo più tradizionale, e anche quello più anziano, costituito da cinquanta/sessantenni4. Un servizio pubblico che si vorrebbe “universale”, ma che finisce, di fatto, per “servire” solo le fasce di popolazione più anziana, che sono anche quelle più assiduamente legate al medium, le più fedeli, le meno votate allo zapping, dunque quelle che più “pesano” nel determinare gli ascolti. Il grosso dell’audience Rai è, al contempo, molto femminile, sebbene, anche in questo caso, il servizio pubblico ha perso terreno (lo share femminile è sceso di due punti nella stagione 2006-2007, arrivando al 46%). La terza caratteristica essenziale dell’Italia Rai è di essere quella più “popolare”: la tv Rai è prediletta (con oltre il 51% di share) da quel frammento di popolazione che mostra i più bassi livelli economicosociali: secondo le classi usate da Auditel, si tratta delle famiglie, spesso mono-componenti, con più di 65 anni e con forte presenza di pensionati e casalinghe. Il livello di istruzione della parte più consistente dell’audience Rai è medio-basso; l’ascolto è più basso della media per i pubblici con livelli di istruzione medi (attorno al 41%), ma risale fra i laureati (oltre il 48%). Sono, infatti, soprattutto Raidue e Raitre ad essere seguite dall’audience con livelli di istruzione più elevati (attorno al 14% per ciascuna delle due reti, per un totale che sfiora il 30%, una decina di punti in più di Raiuno). L’Italia Mediaset è l’Italia dei consumi. E’ l’Italia di mezzo, perché si identifica quasi interamente con la classe media. Trova la sua forza nelle fasce d’età di mezzo (25-44 anni), sfondando fra i più giovani grazie alla sola Italia 1, la tv più amata dal pubblico degli adolescenti e post-adolescenti, nonché dei bambini (oltre il 20% di share). E’l’Italia di mezzo perché manifesta un buon equilibrio fra uomini (40% di share) e donne (42% di share), con le donne che consumano molto soprattutto Canale 5. E’ l’Italia di mezzo perché manifesta livelli socio-culturali limpidamente medi: famiglie il cui capofamiglia ha un’età media pari a 58 anni, col secondo individuo del nucleo familiare che è prevalentemente casalinga o operaia come per altro gran parte dei capofamiglia, con un livello di istruzione medio inferiore. Oppure famiglie con bambini ancora piccoli, abbastanza “giovani”, spesso monoreddito, con un livello di istruzione lievemente superiore alla media nazionale. Per molti anni Mediaset ha vissuto in un regime di quasi monopolio, 3 Rapporto DGTVi – Gfk, Il mercato del digitale terrestre in Italia, febbraio 2007. In questa fascia della popolazione la Rai è insuperata: la seguono più del 50% degli spettatori del prime time, sebbene, nelle ultime stagioni si sia verificato un lieve assottigliamento del pubblico 55-64enne, che per la prima volta è sceso al 49,99%. 4 5 almeno per la sua capacità di catalizzare questo pubblico, specie nella prima serata. Nella stagione 2006/2007 la concorrenza si è fatta sentire sulla fascia più “alta” di questa Italia: quella più affluente. Che nel giro di pochi anni si è sentita progressivamente insoddisfatta dell’Italia di mezzo per approdare alla terza Italia, quella che si rispecchia nel pubblico Sky. L’Italia Sky è l’Italia che si è stancata della tv generalista per approdare sul satellite, disposta a pagare per la televisione e consumare contenuti premium. Un’Italia ancora di minoranza, ma che è stata in decisa crescita dal 2003. L’Italia premium è un’Italia innanzitutto maschile. Sono soprattutto gli uomini i più mobili, i più insoddisfatti delle due Italie tv tradizionali, i più lanciati verso il satellite. Ciò si deve al fatto che il più popolare contenuto premium, cioè il calcio e lo sport in generale, prevede un consumo soprattutto maschile. Si tratta, poi, di una Italia giovane, fatta soprattutto da venti/trentenni e trenta/quarantenni, che manifestano ottimi livelli socio-economici e culturali. Sono mediamente famiglie composte da 2.5 componenti (famiglie giovani, in certi casi con un figlio), con un’alta concentrazione di liberi professionisti e la quota più alta di laureati, sia per il capofamiglia che per il coniuge/convivente. Fra queste tre Italie differenti, un po’ schiacciata tra grandi colossi, La7 è come un fortino che non è riuscita farsi “terzo polo”. Si è limitata a costituire un polo d’eccellenza e d’elite. Una rete molto amata dal pubblico adulto e anziano (i più assidui sono i cinquanta/sessantenni), ma soprattutto una rete “della distinzione”: gli obiettivi che La7 intendeva realizzare (cioè superare, almeno, il 3% di share, con un occhio in prospettiva al 5%) sono stati raggiunto solo su due profili di pubblico: i ceti culturalmente e economicamente privilegiati (liberi professionisti mediamente colti), col 3,79% di share, e i laureati, che fanno avvicinare La7 addirittura al 5%. Tutte classi sociali minoritarie: e infatti lo share complessivo della rete non supera il 2,5% (in prime time). 2. Nuovi sguardi sul pubblico televisivo Negli studi sulla fruizione mediale, al pubblico televisivo è sempre stata riservata un’attenzione maggiore rispetto ad altri pubblici, indirizzando spesso la ricerca ad occuparsi di contenuti, oggetti, modalità fruitive propri del medium televisivo, considerato il referente centrale, per diffusione di apparecchi, e come fonte di informazione e intrattenimento, per la quasi totalità della popolazione delle società industrializzate contemporanee: a partire dalla comparsa della televisione, infatti, le riflessioni dei Media Studies sul ruolo sociale della comunicazione, sugli effetti dei media e sulle dinamiche di ricezione, hanno adottato come ambito esemplare di studio la relazione tra questo mezzo e il suo pubblico.5 5 In particolare, le ricerche condotte, a partire dagli anni Ottanta, all’interno della corrente degli Audience Studies hanno indagato, articolandoli nel tempo, il problema dei processi di significazione dei ‘testi mediali’, i contesti relazionali e le condizioni situate di fruizione, gli usi sociali dei media, le loro relazioni con la vita quotidiana e con i processi di 6 L’operazione di oggettivare il pubblico televisivo, anche in contesti di discorso anche molto diversi, ha prodotto un quadro fenomenologico affatto coerente di tipologie con cui sono letti e interpretati la sua identità e il suo ruolo: all’immagine monolitica dello spettatore “couch potato” che passivamente subisce il flusso televisivo, si affianca quella di un fruitore impegnato in pratiche attive di senso su quanto fruisce, se non partecipe di una comunicazione “interattiva” con la realtà televisiva. A seconda delle circostanze e delle finalità che possono guidare un dato discorso sul pubblico (banalmente secondo logiche di valorizzazione o deprezzamento dell’esperienza televisiva), un’immagine può essere alternativamente attivata rispetto ad un’altra, facendosi depositaria di uno specifico modo con cui le diverse prospettive teoriche sui media hanno “incorniciato” lo spettatore televisivo. Oggi, le figure che popolano l’immaginario della fruizione televisiva cercano, in modi diversi, di rappresentare “chi è” e “che cosa fa” il ‘nuovo’ spettatore televisivo: l’esplosione dell’offerta di canali, delle modalità e delle tecnologie di distribuzione, accesso e intervento sui contenuti che caratterizzano il nuovo scenario televisivo ha creato una virtualità di possibili pratiche di visione e usi dei contenuti audiovisivi, il cui senso si compie solo nell’azione effettiva dello spettatore, nelle logiche che informano la sua scelta di un dato contenuto o di una specifica piattaforma televisiva. L’evoluzione del sistema distributivo verso la moltiplicazione delle forme di offerta televisiva ha infatti prodotto una scomposizione e ridistribuzione del pubblico in nuovi segmenti, se non in nicchie di ascolto, pluralizzando le forme di fruizione dello spettatore in modo cumulativo o alternativo. La difficoltà di descrivere univocamente l’identità del pubblico di questa fase risiede inoltre nei differenti sguardi e approcci con cui si può interpretare il suo ruolo nella relazione con la TV: sul piano tecnologico, come utente di un mezzo di comunicazione in evoluzione; sul piano economico, come consumatore o produttore di contenuti (free o pay); sul piano comunicativo, come recettore di significati e contenuti da decodificare all’interno del proprio sistema simbolico. Appare chiaro che il terreno di confronto tra le diverse interpretazioni ha a che vedere con il problema più generale della relazione tra i media elettronici e i loro pubblici, delle forze di potere che questa mette in gioco e dei suoi effetti sociali. Gli esiti di tale relazione trovano risposte diverse a seconda di come l’attività del pubblico è stata concettualizzata e controbilanciata al potere dei media: nell’ambito degli approcci sociologici, la Communication Research, raccoglie, infatti, tanto la visione propria dello struttural-funzionalismo che concepisce il pubblico come un “corpo organico”, anonimo e passivo di fronte alla forza manipolatoria dei media di massa, quanto quella della tradizione individualista che attribuisce ai costruzione identitaria, utilizzando come campo di studio privilegiato la complessa dinamica di relazioni tra la TV -con la sua proposta di formati, generi, personaggi, contenuti valoriali e suggestioni emozionali- e suoi spettatori. 7 soggetti implicati nella fruizione e ricezione dei prodotti mediali un ruolo attivo, inquadrando tutti i processi comunicativi nel più ampio contesto storico-sociale6. Il superamento di chiari confini di demarcazione tra la produzione e consumo mediale attraverso le forme di consumo produttivo sostenute dalle nuove tecnologie, costituisce uno degli aspetti oggi più frequentemente sottolineati per sancire un cambiamento epocale in atto, ossia l’affermazione di un soggetto-consumatore libero di scegliere, se non creare, i prodotti culturali che desidera o vuole. E’ così che emerge l’immagine del nuovo telespettatore svincolato dalle rigide logiche del broadcasting e partecipe dei meccanismi di produzione attraverso la creazione di propri paralleli. Così, nella trasformazione in atto della relazione tra industria mediatica e mondo del consumo, assistiamo a una trasformazione del concetto di audience. Dapprima, nel corso degli anni Ottanta, è l’audience è considerata attiva nella sua relazione con il testo televisivo, inserita in specifici contesti comunicativi e sostrati culturali, e il consumo mediale è pensato come una pratica sociale situata, contestualizzata e negoziata; le etnografie mediali sul piano della ricerca microsociologia, e l’installazione di meter nelle unità domestiche per la raccolta quantitativa dei dati di ascolto costituiscono le due principali strategie attraverso cui è stato osservato il pubblico televisivo. A partire dal nuovo millennio, quando l’audience ‘diventa’ interattiva e convergente e la televisione si trasforma progressivamente in un sistema tecnologico esteso con diverse porte d’accesso; l’approccio qualitativo declina la ricerca sulle comunità interpretanti attraverso diverse variabili (come l’appartenenza generazionale, l’appartenenza a una medesima comunità di gusto, la fruizione familiare e nei gruppi familiari), per definire i meccanismi che quotidianamente regolano la formazione di nuove identità e comunità spettatoriali. La ricerca quantitativa si interroga su come ‘inseguire’ il nuovo consumatore non più così immobile sul divano, cerca ‘disperatamente’ una fotografia del pubblico non limitata alle classiche variabili socioeconomiche, ma che sappia raccontare secondo quali logiche i devices e contenuti mediali costruiscano e definiscano i nuovi stili di vita delle audiences. Ma, come già accennato, la visione utopica di un certo determinismo tecnologico sulla “rivoluzione televisiva” non costituisce, a nostro avviso, la prospettiva più adatta per comprendere il nuovo scenario della multiTV e capirne gli sviluppi sul piano della relazione con il suo pubblico. Infatti se l’evoluzione tecnologica può avanzare con tempi frenetici, il cambiamento sociale richiede ritmi assai più lenti di incorporazione delle novità, soprattutto se essi devono comprendere la società nella sua interezza e non solo le nicchie di pubblico 6 Per una contestualizzazione teorica e storica della ricerca sui media si rimanda alla ricca bibliografia, anche italiana, disponibile, tra cui, ad esempio, F. Boni, Teorie dei media, il Mulino, Bologna 2006, M. Sorice, I media. La prospettiva sociologica, Carocci, Roma 2005; M. Livolsi, Manuale di sociologia della comunicazione, Laterza, Roma – Bari 20076. 8 tecnologicamente più avanzate7. Come evidenzia Taddeo8, l’interazione e l’interattività del mezzo TV, nella sua declinazione digitale costituiscono per molti spettatori discorsi di attualità e tendenza nella vulgata mediatica, senza che alcuna forma di domestication9 delle nuove tecnologie digitali oggi disponibili abbia ancora toccato le loro reali pratiche di visione. Una volta ridimensionata l’immagine “tecnocentrica” di un pubblico multitelevisivo pronto a soppiantare quello cresciuto con la TV generalista (che rappresenta, come visto dai dati audiometrici sopra presentati, la fetta più consistente del mercato), resta il fatto che parlare del pubblico televisivo richiede oggi l’adozione di nuovi sguardi e strumenti, alla luce anche solo della progressiva dispersione del pubblico televisivo ‘nazionale’ verso sistemi di ricezione del segnale, ricerche di contenuti, pratiche di visione e diete di consumo sempre più diversificati,: se da un lato è doveroso per la ricerca evitare di cadere nell’inganno degli scenari raccontati dal futuro tecnologico, mantenendo come punto di riferimento l’immagine consolidata del pubblico televisivo così come la storia di questo mezzo l’ha definito, resta da stabilire quale approccio di studio sia oggi più funzionale per mettere a fuoco e indagare la mappa dei percorsi, delle scorciatoie e delle zone di sosta che i pubblici disegnano nel nuovo territorio mediatico. 3. Per una tipologia di spettatori tv Alla luce dei cambiamenti che stanno attraversando lo scenario mediatico, si vuole ora proporre una serie di figure più recentemente emerse in relazione alle trasformazioni incorse nei meccanismi di fruizione rispetto a particolari aree dell’offerta televisiva e, più generale, all’evoluzione del ruolo di questo mezzo nell’ambito del contesto socio-culturale: si tratta di quattro tipologie di spettatori che, a nostro avviso, ben esprimono l’attuale natura sfaccettata dei pubblici televisivi e mediali. Tali figure emergono dalla descrizione di manifestazioni osservabili di modalità di fruizione televisiva che, sono espressione di fenomeni al momento solo emergenti o consolidati in nicchie di ascolto, ma che a nostro avviso segnalano alcune delle più significative e interessanti piste di ricerca per comprendere l’articolarsi dei meccanismi e delle pratiche di consumo della multiTV10. D’altronde la rivoluzione digitale ha portato all’incremento 7 Sul tema del determinismo tecnologico e processi di incorporazione tecnologica si rimanda ai lavori di R. Silverstone, Hirsch (eds.), Consuming Technologies, Routledge, London 1992; S. Livingstone, What’s New about New Media?, in “New Media and Society”, 1,1, 1999, pp. 91-107; J. T. Caldwell, Theorizing The Digital Landrush, in ID. (ed), Electronic Media and Technocluture, Rutgers University Press, New Brunswick (N. J.), 2000, pp.1-31. 8 G. Taddeo, Lo spettatore televisivo nell’era dell’interattività, in L. Bovone, P. Volontè (a cura di), Comunicare le identità. Percorsi della soggettività nell’età contemporanea, Franco Angeli, Milano 2006, pp. 207-224. 9 R. Silverstone, L. Haddon, Design and Domestication of Information and Communication Technologies: Technical Change and Everyday Life, in R. Mansell e R. Silverstone (eds.), Communication by Design: The Politics of Information and Communication Technologies, oxford University Press, Oxford, pp. 44-74. 10 L’individuazione delle quattro figure di spettatori qui proposte trae spunto da una serie di ricerche di taglio qualitativo (cui si farà cenno, di volta in volta, in nota), condotte da chi scrive nel corso degli ultimi cinque anni e 9 e al successo di media primariamente “individuali”, ossia favorevoli, come nel caso delle nuove TV, a un accesso e fruizione di tipo privato, personale11, che sembrano eludere per sempre la possibilità di una visione organica e sistematica del pubblico televisivo. La fruizione è divenuta, infatti, una parola al plurale, non esistendo più un “modello” di riferimento, ma una serie di caselle in uno scacchiere più vasto. Per ogni figura si è voluta indicare la presenza, la sotterranea attività di (almeno) una tra le diverse e possibili dimensioni di cui si compone l’esperienza mediatica: in particolare, si è scelto di privilegiare l’identità, l’appartenenza, la mobilità e la partecipazione quali nodi che a nostro avviso appaiono oggi più significativi per comprendere ed esplorare come si articola l’esperienza di fruizione nei contemporanei paesaggi televisivi. Ogni figura di spettatore attiva così una serie di pratiche che possono essere rivolte ai media, ossia avere come fuoco di origine e di riferimento il contenuto o la piattaforma mediatica, oppure rivolte alla dimensione sociale del soggetto, individuale o collettiva. Figura spettatoriale Nodo Focalizzazione delle pratiche esperienziale Pubblici performer identità Sul soggetto individuale (socialoriented) Pubblici fan appartenenza Sul contenuto (media-oriented) Pubblici multipiattaforma mobilità Su piattaforme-contenuti (mediaoriented) Pubblici partecipanti partecipazione Sul soggetto collettivo (socialoriented) 3.1 Pubblici performer Gli studiosi Abercrombie e Longhurst12 individuano tra le caratteristiche identificative dell’audience contemporanea l’adozione della spettacolarizzazione non solo come forma percettiva, ma anche come modalità espressiva, che la porta a farsi carico della propria visibilità di soggetto sociale che agisce in funzione di uno sguardo che la osserva, quello di un reale o immaginario altro pubblico. Emerge così l’immagine di una società contemporanea dove la logica della performance all’interno di differenti progetti di ricerca, accomunati dal riferimento al consumo di prodotti televisivi come campo di indagine. 11 Si veda a questo proposito lo studio di Livingstone sull’uso dei media da parte delle coorti d’età più giovani nelle loro “stanze ipermediali”, in S. Livingstone., Young People and New media. Childhood and the Changing Media Environment, Sage, London 2002. Ciò non significa (anzi è vero il contrario), come si vedrà nei casi dei “pubblici fan” e “partecipanti”, che la tv digitale interdice la costruzione di comunità che condividono, anche partecipandovi attivamente, una cultura comune. 12 N. Abercrombie, B. Longhurst, Audiences. A Sociological Theory of Performance and Imagination, Sage, LondonThousand Oaks 1998. 10 ha invaso la vita ordinaria, portando il pubblico a farsi esso stesso performer, oggetto di interesse (anche mediatico), annullando la distinzione tra consumatori culturali e produttori di cultura: essere membro dell’audience oggi non significa più necessariamente fruire un messaggio veicolato da un produttore, in quanto la reciproca commistione dei ruoli di produttore e consumatore implica l’acquisizione da parte dei membri dell’audience di una variegata serie di competenze che li porta a creare, essi stessi, delle performance. Dunque, il performer diviene l’attore attivo e passivo della visione, un consumatore dotato di competenze atte a trasformarlo in produttore di risorse creative e immaginative, che lo portano a ricercare la dimensione spettacolare anche nella vita quotidiana, rendendosi esso stesso un oggetto visibile alla collettività, un oggetto da guardare. Seguendo la riflessione di Bauman13, la televisione può essere individuata come l’arena privilegiata di questo bisogno di rappresentazione e autorappresentazione da parte di soggetti sempre più alle prese con le proprie insicurezze e preoccupazioni private: la messa in scena del privato nei generi televisivi più tipici (dal talk show al reality show) che caratterizza la TV degli ultimi vent’anni, ha portato questo mezzo a svolgere un’inedita funzione pedagogica fondata sul rispecchiamento e sulla “politica dell’esempio e del consiglio”, legittimando e, al tempo stesso, inducendo esperienze autentiche o presunte, subite o cercate, da esprimere nello spazio televisivo. Con l’avvento della neotelevisione, e in modo sempre più evidente nell’ultimo decennio televisivo, è facile scorgere nell’offerta televisiva il progressivo slittamento verso una programmazione di intrattenimento leggero basata sulla “attualità” e sulla partecipazione della gente comune come espressione, secondo diversi autori, del più generale processo di “tabloidizzazione” che sta investendo la cultura mediale. Ad esempio, il successo riscosso in termini di fruizione e partecipazione dai cosiddetti Audience Discussion Programmes14 deve essere collegato alla disposizione con cui i soggetti si relazionano agli altri, compresi quelli che sono in televisione nel ruolo di persone “proprio come te”, implicando un coinvolgimento con il programma non solo di tipo interpretativo ma anche legato alla dimensione identitaria: tali programmi, esito estremo della tendenza a trattare la vita quotidiana come un palcoscenico, si fondano su continue e mutevoli rappresentazione di identità, strutturate da un soggetto in “prima persona”15, che dà voce alle emozioni e ai sentimenti, parla delle sue relazioni intime. 13 Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000. Si veda anche la riflessione sullo spazio televisivo, rispetto ai processi di pubblicizzazione del privato e privatizzazione del pubblico proposta in A. Grasso e M. Scaglioni, Che cos’è la televisione, Garzanti, Milano 2005, pp. 26-41. 14 Cfr. a questo proposito S. Livingstone, Mediated Knowledge: Recognition of the Familiar, Discovery of the New, in J. Gripsrud (ed.), Television and Common Knowledge, Routledge, London 1999, pp. 91-107; sull’origine e la storia di questo genere in Italia cfr. A. Manzato, Lo spettatore televisivo, in F. Colombo, R. Eugeni (a cura di), Il prodotto culturale. Teorie, tecniche, case hystories, Carocci, Roma 2004, pp. 283-301. 15 J. Dovey, Freakshow: First person media and factual television, Pluto Press, London 2000, p. 104. 11 A partire dal nuovo millennio, e con l’avvento della reality TV Il ruolo dello spettatore si è progressivamente trasformato in quello di attore chiamato a divenire protagonista del programma o, comunque a entrare a far parte della rappresentazione mediale. Se la partecipazione del pubblico alle trasmissioni televisive affonda le sue radici già nelle origini della TV italiana, divenendo con la neotelevisione parte della grammatica televisiva, l’attuale esplosione della partecipazione del pubblico alla realtà televisiva richiede una spiegazione che non risiede solo nelle logiche di produzione mediale ma anche nel clima socio-culturale che ha formato, e in cui oggi sono inseriti, i pubblici stessi. La consistente frequentazione in termini numerici dei giovani ai casting e ai programmi televisivi16 costituisce un fenomeno sociale e culturale interpretabile solo sullo sfondo della dinamica relazione tra media e società. Bondebjerg17, ad esempio, legge il successo di pubblico dei reality show come uno dei sintomi più evidenti, se non metafora, della “modernità riflessiva”, caratterizzata, tra gli altri processi, dal ripiegamento del discorso sociale sulle politiche della vita quotidiana, per rispondere al “forte bisogno per il pubblico di rispecchiarsi e giocare con le identità e le incertezze della vita quotidiana […] in una società e in un mondo la cui complessità ha superato quella delle nostre comunità nazionali e locali. Questa trasformazione della società crea ansia e incertezza e allo stesso tempo fascinazione e un bisogno di mediazione”18. La valenza sociale e culturale di un Grande fratello o di Amici di Maria de Filippi va quindi cercata nella relazione “in sicurezza” che essi stabiliscono con la costruzione dell’identità dei soggetti: tali programmi sembrano nutrirsi e rendere esibita quella caratteristica essenziale della vita quotidiana che è la continua negoziazione della propria identità a seconda dei contesti comunicativi e sociali in cui si è inseriti. Il pubblico accetta l’invito a partecipare come protagonista, sia perché perfettamente consapevole della dimensione finzionale della realtà messa in scena, sia sostenuto dalla considerazione che la stessa vita sociale può essere letta come una continua rappresentazione da parte dell’individuo che non solo si presenta all’altro, ma anche a se stesso con un atto riflessivo19. 16 Una ricerca pubblicata da AC Nielsen nel giugno 2003 sulla partecipazione del pubblico ai programmi televisivi riporta che sono 16.3 milioni le persone che hanno partecipato, in veste di protagonisti o di pubblico in studio, o sono in attesa di essere chiamate per fare parte di un programma di Reality Tv, 16.5 milioni i telespettatori che attualmente guardano almeno un programma di Reality Tv ogni settimana. In Italia non esistono statistiche ufficiali sul numero delle persone che partecipano ai casting televisivi. Mediaset dispone di un catalogo di oltre 90.000 telespettatori che si sono presentati a una o più selezioni dei suoi programmi. I dati relativi alle persone che si sono presentate ai casting Amici di Maria de Filippi delle prime tre edizioni parlano per la prima, nel 2001, quando cioè il programma non era mai andato in onda, di circa 3000 ragazzi; per la seconda del 2002 e la terza del 2003 di circa 30 mila ragazzi. Ai casting di Grande Fratello, si sono presentati una media di 250.000 candidati per ogni edizione (dato Endemol). I dati sono ripresi da A. Sfardini, Pubblico in cerca d’autore, “Link”, 4, 2005, p. 203. 17 I. Bondebjerg, The Mediation of Everyday Life: Genre Discourse and Spectacle in Reality Tv, in I. Bondebjerg, A. Jerslev (eds.) Realism and Reality in Film and Media, Northen Lights Year Book, Copenhagen, 2002, pp. 159-182. 18 I. Bondebjerg, Ivi, pp. 162-163. 19 Si veda, questo proposito, la riflessione di E. Goffman, in La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, Bologna 1969, sulla cultura della presentazione, con cui l’autore spiega la vita sociale come un processo continuato di presentazione di sé che l’attore sociale deve compiere nei palcoscenici della vita, mostrandosi e definendo il proprio senso di identità, sulla base dei trucchi e delle trasformazioni che prepara nei retroscena, lontano dalla vista di altri: 12 Proprio la relazione tra la partecipazione alla realtà televisiva e il tema dell’identità costituisce, a nostro avviso, la dimensione più interessante dei “pubblici performer”, la cui fluidità dei processi di costruzione e ricostruzione dell’identità, considerato uno degli aspetti caratterizzanti della vita contemporanea, li rende un oggetto di indagine utile per la comprensione della società20. L’occasione di entrare nella nuova “televisione dell’io” in veste di concorrente o protagonista diviene così una delle possibili esperienze che il soggetto contempla ne proprio progetto di vita: la partecipazione alla realtà televisiva diviene la porta d’accesso a esperienze che accadono solo negli spazi sociali ed emozionali costruiti dalla TV, l’occasione per giocare con la propria identità e quella degli altri, scegliendo di sospendere la logica simulatoria del “come se” ed entrare nel territorio concreto del “gioco” mediale. Il mezzo tv e il suo pubblico sono stretti in una rete di complicità, fondata su un’istanza partecipativa che entrambi collaborano a mettere in scena, condividendo la considerazione (e la costruzione) dell’ambiente televisivo come di un infinito serbatoio di risorse identitarie da investire nella vita quotidiana. La partecipazione diretta del pubblico alla realtà televisiva si fonda cioè sull’attribuzione alla televisione di una nuova dimensione, che la rende anche un’attività, cioè un qualcosa “da fare”, oltre che “da vedere” e i programmi di reality degli spazi concreti nei quali agire, oltre che testi di rappresentazione. La reality TV sembra dunque realizzare concretamente, agli occhi di questa tipologia di spettatori performers, un’ideologia partecipativa, già manifesta in svariate forme della vita e della cultura sociale, per il carattere democratico della offerta: il pubblico è chiamato a divenire produttore del suo contenuto, di se stesso, senza necessità di alcuna competenza specifica, se non quella di appartenere alla “gente come te”. Il pubblico performer si relaziona così alla scena spettacolare attivando un portafoglio di competenze acquisite nell’esperienza quotidiana e in quella mediale; tali competenze permettono loro di muoversi tra le trame della rappresentazione, scegliendo di volta in volta se assumerne il ruolo di pubblico, attore o regista. 4.3.2 Pubblici fan In ambito accademico, la letteratura sul fandom si è a lungo nutrita di immagini di devianza, in cui il fan veniva guardato come un consumatore dal comportamento patologico, esagerato, anche pericoloso. Janette Jenson21 spiega che la comprensione del fandom come sintomo psicologico di una disfunzione sociale deriva dalla tendenza in questi studi a relazionare tale fenomeno alla cultura della fama e della celebrità diffusa nella società e leggerlo, quindi, come una risposta passiva al sulla base dell’assunto goffmaniano che ogni società è il prodotto di un’azione di tipo performativo, la modernità sembra aver accentuato i comportamenti di rappresentazione e presentazione di sé autoriflessiva. 20 Sono queste le ipotesi e per un approfondimento sulle “performing audiences” si rimanda a A. Sfardini, Reality Tv, in corso di pubblicazione per Unicopli, Milano. 21 J. Jenson, Fandom as Pathology, in L.A. Lewis (ed.), The Adoring Audience. Fan Culture and Popular Media, Routledge, London-New York 1992, pp. 9-29. 13 moderno celebrity system veicolato dai mass media. Il termine “fan” è stato per lungo tempo l’etichetta sotto cui collocare una serie di comportamenti devianti capaci di contagiare un intero pubblico, come nel caso delle crisi isteriche delle teenager ai concerti di musica o dei fenomeni di violenza e distruzione di alcune tifoserie sportive. Pertanto, il fandom in generale si è venuto a delineare come un qualcosa di esattamente opposto al comportamento di consumo ordinario, considerato razionale e controllato, se non come l’esito della modernità che ha creato le condizioni per l’appropriazione dei testi mediali da parte del pubblico non più attraverso la comprensione del loro significato, ma come atto di un investimento più marcatamente di natura emotiva22. L’adozione di una prospettiva diversa con cui analizzare il fandom si è compiuta grazie alla valorizzazione dell’attività di produzione culturale che lo accompagna e alla significatività sociologica riconosciuta nella creazione di comunità di fan23. McQuail designa due modalità di relazione che legano il soggetto a un medium: una di tipo debole che consiste ‘nella semplice attrazione nei confronti di un mezzo di comunicazione”, e una di tipo forte che indica “un elevato grado di investimento di attività emotiva centrato su una personalità mediale”. L’esperienza comunitaria che investe i fan è riconducibile a questo secondo caso poiché è caratterizzata da una forma di forte socializzazione, in cui acquistano particolare rilevanza i sentimenti individuali e collettivi accanto alle norme e ai valori che strutturano il gruppo: “Si può intendere il fandom come qualcosa di collettivo, un sentimento consapevole e condiviso di attrazione più o meno intensa […] il fandom implica un elemento di produzione mediale effettiva da parte del pubblico stesso, perché le attività dei fan vanno oltre l’evento mediale”24. Lo studio più classico sul fandom, Textual Poachers di Jenkins25 analizza la fruizione della serie televisiva Star trek da parte del pubblico di fans come atto di appropriazione del testo e di produzione di nuove forme culturali, con cui gli spettatori trasformano l’esperienza di guardare la televisione nella comune partecipazione ad una cultura condivisa ricca e complessa26. L’area delle ricerche sul fandom ha costituito per gli studi sul consumo televisivo un ulteriore allontanamento dalla concezione del pubblico come insieme di soggetti inermi che assorbono ciò che il mondo della produzione ha fissato nei suoi prodotti. Anzi, il riconoscimento della produttività simbolica e materiale che caratterizza l’attività dei gruppi dei fan ha portato a 22 Per una ricostruzione del dibattito cfr. A. Sfardini, Tra fan e protagonisti. La convergenza culturale dei nuovi pubblici televisivi, in M. Pecchioli (a cura di), Neo televisione, Costa & Nolan, Milano 2005 23 Sono diversi i testi dedicati all’analisi del fandom, soprattutto legato al consumo televisivo. Si veda ad esempio C. Harris, A. Alexander, Theorizing Fandom: Fans, Subculture and Identity, Hampton Press, Cresskill 1998; K. Lancaster, Interacting with Babylon 5. fan Performance in a Media Universe, University of Texas Press, Austin 2001; M. Hills, M. Hills, Fan Cultures, Routledge, London 2002; W. Brooker, Using the Force: Creativity, Community and Star Wars Fan, Continuum, London 2002; C. Sandovoss, Fans, Polity Press, Cambridge 2005. 24 D. McQuail, L’analisi dell’audience, Il Mulino, Bologna 2001, p. 164 e p. 263. 25 H. Jenkins, Textual Poachers: Television Fans & Participatory Culture, Routledge, New York-London 1992. 26 Ivi, p. 23. 14 confermare l’impossibilità di stabilire una chiara linea di confine tra mondo della produzione e mondo del consumo. Gli studi svolti sul fenomeno del fandom hanno quindi arricchito il continuum dei livelli di azione che interessano il pubblico, affiancando alla comprensione razionale del testo anche le dimensioni del coinvolgimento affettivo e della partecipazione produttiva, reale e simbolica, che sostanziano il consumo televisivo27. L’adozione della figura del fan come prototipo del nuovo consumatore di media, e quindi della diffusione di molteplici forme di attività e partecipazione ai testi mediali come cifra distintiva dell’audience contemporanee, trova conferma nell’accresciuta visibilità e, di conseguenza, nella progressiva normalizzazione a livello sociale della figura del fan, grazie a una serie di fattori. In primo luogo oggi il mondo della produzione riserva grande attenzione alle comunità di pubblico organizzate in gruppi sociali dando voce a quelle fan-communities (online e offline) che cercano, esprimendo una sorta di attivismo del consumo, di esercitare pressioni sulle scelte di messa in onda della produzione o sulla ideazione delle storie, attraverso l’espressione manifesta delle loro preferenze culturali e dei desideri sui possibili sviluppi di quella data serie; i molteplici rinvii intermediali tra programmi televisivi e siti Internet (ufficiali e non), news group, chat e forum dedicati che facilitano il contatto tra i fan, l’accesso alle loro comunità, il rafforzamento dei legami con la serie e con gli altri membri del gruppo; il fandom costituisce pertanto una componente di primo piano del sistema mediale convergente, un cardine indispensabile del suo meccanismo, soprattutto nel campo della fiction seriale contemporanea. In secondo luogo si assiste al crescente diffondersi di forme di adesione e di piacere verso serie o brand televisivi capaci di attirare a sé nicchie di pubblico che ricercano l’esperienza di appartenere, con la loro scelta di consumo, a nicchie di pubblico attraversate da un comune sentimento di condivisione di fruizione con altri, che si vogliono immaginare simili a sé in termini di gusti, stili di vita prima ancora che di età, gender o appartenenza geografica. Tra le pratiche che caratterizzano l’esperienza del fandom ed esprimono il senso di appartenenza alla comunità, quella del possesso evidenzia chiaramente che la relazione pubblico-mezzo televisivo si è trasformata in un rapporto tra soggetto e prodotto televisivo che aggiunge alla dimensione temporale dell’esperienza televisiva quella fisica del possesso materiale: la proliferazione di una serie di prodotti secondari e corollari al programma televisivo (cofanetti dvd della serie di culto, giochi di ruolo carte collezionabili legate a programmi TV, cd-rom interattivi, siti web e diverse forme di fan-fiction) permette ai fan di immergersi e riconoscersi in un universo immaginario condiviso al quale si legano e sentono di appartenere grazie all’interazione, soprattutto online, con altri fan. 27 Si veda a questo proposito e per una sistematizzazione della letteratura straniera sul tema del fandom, il volume di M. Scaglioni, Tv di culto, Vita e pensiero, Milano 2006. 15 A fronte di un sistema produttivo – quello televisivo – che da sempre adotta forme collaborative di creatività, che coinvolgono molte persone nella produzione di contenuti, questa tipologia di spettatore supera il suo confinamento domestico (individuale o, al massimo, familiare) per approdare in un terreno mediatico dove costruire dialoghi, sistemi di appartenenze con altri. Alla luce di tali considerazioni, ci sembra che lo studio dei fenomeni di fandom cui danno vita gli spettatori, in particolare i più giovani, attraverso forme di consumo intense e articolate dei loro prodotti di culto (si pensi alle serie televisive americane di ultima generazione, da X-files a Buffy, da Grey’s Anatomy a C. S. I) sia da considerare uno dei terreni imprescindibili di ricerca nell’età della convergenza. L’indagine sui “pubblici fan”, infatti, permette di ricostruire i processi e i precorsi fruitivi attraverso cui certi prodotti culturali vengono dotati di specifici valori, diventano terreni d’espressione di forme di produttività culturale “dal basso” e luoghi in cui si costruiscono e negoziano appartenenze di gruppo. 3.3 Pubblici multipiattaforma A partire dagli anni Novanta del secolo scorso i format multipiattaforma sono divenuti una delle strategie chiave nelle logiche produttive e distributive di un mercato televisivo internazionale sempre più soggetto ai processi di convergenza e globalizzazione: si tratta di un’imponente circolazione di programmi che si espandono su piattaforme multi-mediali, costituiscono marchi corredati da prodotti di merchandising, capaci di soddisfare la domanda crescente di contenuti che proviene dalle nuove realtà televisive, come le pay-TV tematiche e la digital-TV28. Il format Big Brother è considerato, anche a livello comune, il “primo esperimento” di un prodotto mediale multipiattaforma, ossia veicolato da un sistema di appuntamenti televisivi e attraverso i nuovi media che lo rendono un testo aperto alle strategie di interazione e personalizzazione messe in atto dal pubblico di fruitori. La logica di costruzione di un programma come un sistema-prodotto, secondo cioè una strategia che ne progetta l’offerta su trasmissioni e media diversi, comporta l’uscita da una logica di palinsesto volta a rispecchiare il calendario delle abitudini di vita del proprio pubblico, per richiedere allo spettatore un impegno maggiore rispetto alla semplice visione, che consiste nel collezionare una serie innumerevole di “attimi” di fruizione, cogliendoli in momenti e luoghi diversi, laddove la produzione ha fatto “esondare” il programma.: ognuno di essi viene così a costituire un appuntamento per lo spettatore complementare agli altri, determinando una dilatazione del tempo e una moltiplicazione degli spazi, così come una diversificazione delle possibilità di fruizione del prodotto. L’interazione tra “testo” e “lettore” come conflitto potenziale di conoscenza tra cosa il testo dice versus cosa il telespettatore conosce da altro viene così sostituita da quella 28 Si veda A. Sfardini, voce “format”, in F. Colombo (a cura di), Atlante della comunicazione, Hoepli, Milano 2004. 16 negoziazione che, ancor prima, si innesca sulle modalità appropriate o preferite di fruizione. La logica multi-prodotto si ritrova oggi anche nei più recenti prodotti di fiction seriale, in particolare americana: la serie TV Lost, ad esempio, ha iniziato a prendere corpo e costruire il suo successo prima ancora della messa in onda televisiva del pilot quando, con una sapiente alchimia di creatività e marketing, sono circolate in rete i primi spoiler relativi alla presenza di un orso polare sull’isola dei naufraghi29, attivando nella prima comunità di futuri “spettatori” un gioco di “teorie e speculazioni” sulla storia, che è stato l’ingrediente di fondo dell’esperienza spettatoriale di Lost. La strategia di diversificare e pluralizzare i percorsi fruitivi tra lo spettatore che, fedelmente, costruisce un appuntamento fisso con la puntata settimanale e quello che, invece, ama seguire e approfondire attraverso la Rete le tracce delle innumerevoli “uova di Pasqua”30 di cui il testo è disseminato, è in grado di trasformare anche il prodotto “tradizionale” di fiction in una ricca esperienza fruitiva, multi-mediale e convergente fra lo schermo del televisore e quello del computer connesso ad Internet. Prendendo a prestito il termine utilizzato per definire i contenuti veicolati su differenti piattaforme, l’immagine del “pubblico multipiattaforma” qui proposta vuole descrivere quello spettatore che fruisce la televisione non più come medium di massa ma secondo percorsi fruitivi giocati su pratiche di confine tra diversi media, delineando le proprie regioni mediali di riferimento. Tale pratica fruitiva è dettata da due possibili logiche: nella prima, le scelte di percorso dipendono da un individuale processo di selezione/scarto delle declinazioni mediali su cui un dato contenuto audiovisivo è diffuso, secondo la logica di composizione e personalizzazione prevista dal prodotto stesso; la seconda logica fa riferimento a come comunità spettatoriali diverse eleggano o privilegino certe piattaforme mediali e non altre, riconfigurando il sistema mediale a loro disposizione in quelle che potremmo definire “costellazioni mediali” di riferimento. Nel primo caso, di cui sono un esempio i percorsi di consumo prefigurati dai due programmi sopra citati, i pubblici multipiattaforma altro non sono che il buon esito della strategia top/down di branding prevista dalla produzione mediale; nel secondo caso, invece, il disegno complessivo assunto dal percorso fruitivo (la singola “costellazione mediale”) esprime la predilezione per certi oggetti mediali (contenuti o piattaforme che siano), nei quali vengono impressi, o si trovano rispecchiati, i modi di essere ed esprimersi, lo stile, la “cultura” della comunità alla quale si sente di appartenere. In entrambe le due logiche è invece rintracciabile un medesimo criterio fruitivo, ossia la preferenza per un consumo più di tipo intensivo che estensivo: a fronte della grande offerta di piattaforme e contenuti mediali di 29 Cfr. L. Porter, D. Lavery, (Cult)ivating a Lost Audience: The Participatory Fan Culture of Lost, in ID., Unlocking the Meaning of Lost, Sourcebooks, Naperville, 2006. 30 Le “uova di Pasqua” sono indizi contenuti nel testo che possono offrire, a chi le recupera, informazioni ulteriori non esplicitate. Il termine deriva dalla pratica sviluppata dall’industria dei videogame di nascondere, nell’architettura dei giochi, oggetti nascosti che il giocatore esperto è chiamato a trovare e svelare. 17 cui ogni società dei Paesi industrializzati oggi dispone, bisogna rilevare che la fruizione resta comunque legata a una risorsa “scarsa”, il tempo, che impone di scegliere a quali contenuti o piattaforme dedicarsi31. L’opportunità, ma anche la necessità, di una scelta entro un paniere abbondante di possibili contenuti/piattaforme contribuisce a una maggiore frammentazione dei percorsi culturali32 - individuali o di gruppo – e rende saliente quel progetto di auto-formazione che si giova anche dei prodotti mediali. La dimensione che meglio descrive l’esperienza televisiva dei pubblici multipiattaforma è la mobilità, considerata una delle esperienze più pervasive della contemporaneità, come testimonia il recente dibattito sociologico e degli Internet Studies intorno ai temi della società mobile, delle forme di socialità reticolare, dei flussi di beni materiali e simbolici, dei viaggi fisici e virtuali33. Tale proprietà applicata al medium casalingo per eccellenza potrebbe apparire allora fuori luogo o, all’opposto, chiaro segnale di un radicale cambiamento avvenuto nella natura della televisione che ha perso la sua “intangibile proprietà ontolologica”34, la domesticità appunto. Ma, al contrario, la valorizzazione della mobilità quale caratteristica intrinseca alla televisione non ribadisce altro che l’importanza di analizzare e comprendere i media in un quadro non di progressivi scarti guidati dall’evoluzione tecnologica ma, piuttosto, di configurazioni multidimensionali e mutevoli35 nel tempo, sullo sfondo del più complesso scenario culturale e sociale. In primo luogo bisogna ricordare che proprio l’ubicazione e l’utilizzo della TV in ambiente domestico costituisce l’esito di un processo, pur avvenuto in tempi piuttosto brevi, di addomesticamento del mezzo: la TV si è introdotta nella società italiana degli anni Cinquanta insediandosi inizialmente negli spazi pubblici come bar, centri di ritrovo, il cinema, favorendo l’espressione di legami sociali attraverso la visione collettiva “fuori casa”. Solo in un secondo tempo, grazie alla “valorizzazione”, in termini economici, del medium come elettrodomestico 31 A questo proposito Ellis evidenza il fenomeno della “fatica della scelta”, consistente nella stanchezza e ansia che il fruitore prova di fronte alla vasta opportunità di opzioni di consumo mediale vissuta come un’imposizione più che come libertà di scelta (J. M. Ellis, Seeing Things, op. cit., pp.168-170). 32 E’ la tesi di C. Anderson, The Long Tail. Why the Future of Business Is Selling Less of More, Yperion, New York, 2006. 33 Per un approfondimento sulle teorie e i concetti legati alla sociologia della mobilità, cfr. M. Sheller e J.Urry, The new mobilities paradigm, in “Environment and Planning”, A, 38 (2), 2006, pp. 207-227; J. Urry, Sociology beyond Societies. Mobilities for Twenty-First Century, Routledge, London and New York 2000; N. Baym, Y. B. Zhang, M. Lin, Social interaction across media. Interpersonal communication on the internet, telephone and face-to-face, in “New Media and Society”, 6 (3), 2004, pp. 299-318. Un’esaustiva ricostruzione del dibattito teorico contemporaneo su questo tema è offerta da G. Mascheroni, Le comunità viaggianti, Angeli, Milano 2007, che, tra l’altro, offre un’applicazione dei concetti-chiave di tale letteratura analizzando, attraverso una ricerca empirica, l’uso dei nuovi media da parte dei viaggiatori indipendenti. Nell’ambito degli studi sui processi di appropriazione e sugli usi sociali dell’ICT, si veda lo studio di B. Scifo, dedicato al tema della “mobilità” connessa all’uso della telefonia mobile, in Culture mobili. Ricerche sull’adozione giovanile della telefonia cellulare, Vita e Pensiero, Milano 2005. 34 Si veda l’interessante problematizzazione sulla caratteristica della domesticità della tv argomentata da M. Buonanno in Le età della televisione, esperienze e teorie, Laterza, Roma –Bari 2007, pp. 3-25. 35 Si rimanda alle riflessioni di Colombo rispetto all’avvento della televisione digitale in F. Colombo (a cura di), La digitalizzazione dei media, Carocci, Roma 2007. 18 accessibile, la TV ha conquistato un sempre più largo accesso nei salotti italiani. Fin dall’origine, pertanto, la mobilità costituisce una dimensione connaturata alla televisione, che la rende capace di adattarsi ad ambienti differenti (aperti/chiusi; pubblici/privati), costruendo stili e forme di fruizione differenti. La fruizione televisiva è da subito apparsa come una ricca esperienza di mobilità simbolica che permette di vedere luoghi e oggetti “lontani”, modificando il nostro modo di esperire lo spazio e con esso la “geografia situazionale” della vita sociale, il nostro senso del luogo, permettendoci di essere in due posti allo stesso tempo36. Non solo: la TV, salutata come grande opportunità, finestra da cui guardare il mondo, ha portato il mondo nella domesticità, spinto le prime comunità di spettatori a muoversi, uscire dalla propria casa per andare in quella del vicino dotata dell’apparecchio di “visione a distanza”; nei tempi più recenti, ad allontanarsi dagli altri (gli stessi familiari), per isolarsi in una fruizione individuale e, al contempo, tornare alla visione extradomestica grazie a una nuova stagione di insediamento della TV in spazi pubblici, come pubs, centri commerciali, palestre di fitness, aeroporti, proprio con la funzione di “ambiente”37 dei luoghisimbolo del movimento, del transito. Ancora, la “portabilità” della fruizione introdotta con strumenti (come il pvr), prodotti (come il dvd), piattaforme (come la mobile TV del dvb-h e IP) di video on demand, collabora oggi a istituire l’immagine di un pubblico abituato a stili di vita mobili, che siano essi privi o fortemente ancorati a organizzazioni routinarie e strutturate della giornata (si pensi da un lato alle tribù giovanili e dall’altro ai lavoratori pendolari), ma dove, comunque, la fruizione televisiva trova un proprio spazio e tempo. In conclusione, l’immagine del pubblico multipiattaforma si attiva quando l’oggetto di indagine diventa la fruizione intesa come insieme di pratiche messe in atto da fruitori “mobili”, che si spostano fluidamente tra media e tecnologie, alla ricerca di quali elementi (del prodotto mediatico o legati del soggetto) informino la scelta di certe costellazioni di piattaforme e non altre. Tale prospettiva conduce la ricerca empirica ad analizzare e mappare le concrete pratiche fruitive che i soggetti mettono in atto trasversalmente alle diverse piattaforme, cercando così di individuare, di volta in volta, con quale sinergia di criteri (contenuti, generi, formati, brand etc.) i pubblici si orientano nelle nuove territorialità mediali38. 36 Sulla ridefinizione del senso del luogo connessa all’avvento dei media elettronici si veda l’imprescindibile volume di J. Meyrowitz, Oltre il senso del luogo, Baskerville, Bologna 1993. A partire da tale lavoro, si confrontino anche le riflessioni proposte da P. Scannel, Radio, Television and Modern Life, Blackwell, Oxford 1996, e riprese da S. Moores, The Doubling of Place'/'Il Raddoppiamento del Luogo, in P. Aroldi, N. Vittadini (a cura di), Attraversamenti: Spazialità e Temporalità nei Media Contemporanei, Vita e Pensiero, Milano 2003 pp.65-78, che all’idea di un indebolimento del senso del luogo contrappongono quella di una sua pluralizzazione, non marginalizzazione, che si compie nelle pratiche d'uso dei media. 37 Sul tema della tv extradomestica si rimanda al lavoro di A. McCarthy, Ambient Television, Duke University Press, Durham 2001. Sulle dinamiche d domestificazione/de-domesticazione dei media cfr. D. Morley, What’s ‘home’ got to do with it? Contradictory dynamics in the domestication of technology and the dislocation of domesticity, in “European journal of Cultural Studies”, 6 (4), 2003, pp.435-458. 38 Un esempio di ricerca qualitativa svolta secondo questa impostazione è quella condotta nel terzo semestre del 2006 da uno staff di ricercatori (di cui i due autori del volume hanno fatto parte) coordinati da Fausto Colombo e Piermarco Aroldi del centro 19 4.3.4 Pubblici partecipanti La quarta tipologia di spettatore su cui ci pare opportuno focalizzare l’attenzione per la sua rilevanza nel panorama contemporaneo, è quella del “pubblico” inteso come soggetto sociale, che si relaziona con il mondo politico mediato dai mezzi di comunicazione. Un corpo sociale, dunque, che la stessa televisione generalista, fin dalle sue origini, ha contribuito a forgiare rivolgendosi alla “comunità nazionale” con un medesimo repertorio di spettacoli, immagini e contenuti mediali, finalizzato alla connessione e condivisione culturale/identitaria. Se la partecipazione rappresenta un tratto caratterizzante della multiTV, la figura dei “pubblici partecipanti” declina tale dimensione sul piano collettivo, affiorando dall’intersezione tra l’idea di partecipazione intesa come coinvolgimento del pubblico-audience alla cultura mediale (di cui sono espressione i casi delle tre figure spettatoriali sopra descritte), e quella intesa come interazione del pubblico-cittadinanza con la democrazia mediale: si tratta di un tema cui la riflessione teorica dedica particolare attenzione a causa dello stretto collegamento tra sistema dei media (moderni e nuovi), flussi simbolici e di informazione, e dinamiche d’opinione che costituisce il tratto tipico delle società post-industriali39. Circoscrivendo la riflessione al mezzo televisivo e, in particolare, all’avvento della neotelevisione degli anni Ottanta, nell’alveo degli studi sui generi televisivi il talk show diviene il principale motore di un dibattito critico40 sui significati sottostanti all’operazione (mediatica) di aver reso la “parola” un diritto di accesso alla scena televisiva per lo “spettatore qualunque”, e sull’ambiguità della natura di tale partecipazione che ne deriva: la penetrazione dello spettatore nella realtà televisiva comporta l’acquisizione di una nuova visibilità sociale da spendere nello spazio della televisione, così deputata a ricoprire il ruolo di dispensatrice di forme alternative di legittimazione sociale. Tale considerazione ha spinto diversi studiosi a interrogarsi sull’efficacia del mezzo televisivo come nuova “sfera pubblica”, vale a dire, secondo l’accezione habermasiana, un forum di ricerca Osscom dell’Università Cattolica di Milano per la rete televisiva MTV, dal titolo Soggetti mobili: percorsi di consumo e contenuti multipiattaforma, finalizzata ad indagare le nuove diete crossmediali, attraverso la raccolta di dati di scenario, la realizzazione di una batteria di interviste semi-strutturate e di sedute di osservazione partecipante. I risultati della ricerca, in corso di pubblicazione, sono stati parzialmente riportati in G. Macheroni, F. Pasquali, B. Scifo, A. Sfardini, M. Vittadini, Young Italians’ Crossmedia Cultures, paper presentato alla conferenza The Good, The Bad And The Unexpected.The User And The Future Of Information And Communication Technologies, organizzata dalla COST Action 298, Mosca (Federazione Russa), 2325 Maggio 2007. 39 Per una riflessione sul “legame fondativi” tra l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, nascita dell’opinione pubblica e teoria della democrazia realizzato con l’avvento della società moderna, si veda G. Grossi, Media e opinione pubblica: il legame fondativo, in P. Mancini, R. Marini, Le comunicazioni di massa, op. cit., pp.193-218. 40 Si vedano i lavori di P. Carpigiano et al., Chatter in the age of electronic reproduction: Talk television and the ‘public mind’, in “Social text”, vol. 25, n. 6, 1990, pp. 35-55; J. M. Shattuc, The talking cure: TV talk shows and women, Routledge, New YorkLondon 1997; S. Livingstone, P. Lunt, Talk on television: Audience participation and public debate, Routledge, London 1994; A. Tolson, Television talk shows: Discourse, performance, spectacle, Lawrence Erlbaum Associates, Mahwah 2002. Per una disamina dei talk show italiani, proliferati soprattutto nel corso degli anni Novanta si rimanda al lavoro di I. Pezzini, La Tv delle parole. Grammatica del talk show, Rai-Eri, Roma 1999. 20 capace di mediare tra la società e lo stato41 in un periodo caratterizzato sempre più dalla dispersione delle comunità sociale42 o, viceversa, a denunciare l’illusione che esso crea di un potere di partecipazione alla decisioni comuni priva di effetti e conseguenze reali43. Se i talk show, hanno rappresentato per alcuni studiosi il primo banco di prova di una forma di teledemocrazia capace di mutare i parametri stessi del concetto di “sfera pubblica”, la diffusione su larga scala delle nuove tecnologie interattive e delle competenze tecnologiche e mediali atte a utilizzarle, sembra aprire oggi la strada per una nuova trasformazione: i cittadini “attivisti” possono entrare in dialogo tra loro, connettersi in modo diretto per condividere forme di socialità e formare comunità di interesse sociale, producendo contenuti mediali da far circolare al loro interno, dando vita alla strong democracy44. Un esempio di partecipazione attiva al discorso mediale è costituito dal fenomeno del cosiddetto Citizen Journalism, formato dalla collaborazione dei cittadini alla produzione del flusso di informazioni, attraverso la realizzazione di materiale video, fotografie, report testuali, con l’obiettivo di offrire “un mezzo alternativo di informazione a disposizione del pubblico, in cui il cittadino/reporter è direttamente a contatto con il suo pubblico”45. Gli stessi broadcaster hanno accolto tale potenzialità come dimostrano i casi della BBC e del network Corrent: la prima ha introdotto un nuovo modo di gestire l’informazione locale, con la realizzazione dei progetti Digital Storytelling e Action Network46 in cui i cittadini sono invitati a contribuire con i loro materiali audiovisivi per garantirsi una “TV comunitaria” di qualità, ossia attenta a quegli 41 Tale riflessione è risultata particolarmente feconda in relazione ai talk show centrati su argomenti politici, sociali o culturali visti come “nuove arene pubbliche” cui il pubblico “di cittadini” partecipa vivendole come spazi in cui confrontarsi. 42 Secondo Bauman i talk show esprimono e rappresentano televisivamente la disperata necessità dell’individuo contemporaneo di condivisione dell’intimità, considerata l’unico metodo rimasto per costruire una comunità, anche soltanto una comunità gruccia alla quale per un periodo breve o brevissimo gli individui appendono le loro paure individuali (in Z. Bauman Voglia di comunità, Laterza, Roma-Bari 2001). 43 Tale visione conduce anche alla denuncia dei vantaggi economici che la produzione trae investendo su questi programmi a basso costo, e alle conseguenti implicazioni ideologiche connesse all’utilizzo-sfruttamento del pubblico (su questo aspetto si veda L.Taylor, A. Willis, Media Studies. Text, Institutions and Audience, Blackwell Publishers, Oxford 1999). Sulla denuncia dei pericoli connessi all’avvento di una videocrazia, giocata sulla centralità dei media nei processi di influenza e di costruzione del consenso, si rimanda a G. Sartori, Homo videns. Televisione e post-pensiero, Laterza, Roma-Bari 1999. 44 Per un approfondimento sul tema (del mito) della democrazia diretta e partecipata, cfr. S. Bentivegna, Politica e nuove tecnologie della comunicazione, Laterza, Roma-Bari 2002 e F. Raniolo, La partecipazione politica, Bologna, Il Mulino 2002. Tra i prodotti destinati al pubblico-cittadino si pensi alla proliferazione dei diversi blog a carattere informativo o a Wikinews, l’enciclopedia vivente di informazioni scritte dagli utenti. Uno dei modelli di collaborazione più interessante è quello del peer to peer attraverso cui scambiare “orizzontalmente” informazioni con altri nodi-utenti dispersi nella rete secondo la logica del mutuo scambio, per cui si offre qualcosa per ricevere qualcos’altro (sul tema del peer to peer come fenomeno sociale si veda M. Comi, Il P2P come fenomeno sociale, in F. Colombo, La digitalizzazione dei media, op. cit... 45 I. Montis, Citizen Journalism, in F. Di Chio (a cura di), Mediamorfosi, op. cit., pp. 274; Sul tema si rimanda anche a E. Carelli, Giornali e giornalisti nella Rete, Apogeo, Milano 2004. 46 L’esempio è riportato in I. Montis, Citizen Journalism, op. cit., p. 275. 21 eventi locali di interesse pubblico, che ovviamente la TV istituzionale non può coprire47; il secondo caso riguarda l’iniziativa del vicepresidente Albert Gore di lanciare nel 2005 un nuovo networknews con l’esplicito obiettivo di incoraggiare i giovani a un’attiva partecipazione nella produzione, selezione, diffusione delle notizie, a “prendere parte al dialogo democratico e raccontare le loro storie di vita attraverso il medium dominante della nostro tempo, la TV ”48. Al di là di una certa retorica di “democratizzazione della televisione” portata avanti da queste istituzioni mediali, ciò che qui interessa sottolineare è una lettura della diffusione delle nuove tecnologie digitali non solo come fattore di progressiva personalizzazione e individualizzazione del consumo dei contenuti mediali, ma anche come occasione per il pubblico di mobilitare e promuovere interessi comuni, partecipare attivamente alla produzione dei contenuti televisivi, con il beneficio della loro ampia capacità di diffusione e circolazione: i nuovi communal media, come li definisce Jenkins49, permettono una condivisione di progetti e iniziative sociali tanto alle comunità che vivono a livello locale di contatti diretti, quanto a quelle fluide e diffuse che abitano la Rete. La convergenza digitale è così letta come strumento di una nuova cultura della partecipazione e della collaborazione da parte delle comunità di pubblico che, con la loro produzione “dal basso”, favorirebbero la varietà dei contenuti, e quindi la diversità culturale, minacciata dall’omogeneità dei media istituzionali. In particolare, la relazione tra sfera pubblica e User Generated Content costituisce, con forti attese, uno dei banchi di prova della costruzione dal basso di uno spazio comune dove i cittadini possano parlare, confrontarsi, produrre i propri discorsi sulla “cosa pubblica”, attraverso strategie transmediali (siti, radio, telestreet trasmessi via web e webTV) capaci di potenziare la diffusione delle informazioni e “coltivare” nei cittadini la cultura e la pratica della partecipazione collettiva a progetti comuni sulle questioni di policy. Pur riconoscendo la formazione di una cultura civica fondata sulla partecipazione attraverso i media50, diversi studiosi sostengono che l’avvento di una nuova fase della comunicazione politica, in cui il cittadino elettore dispone di nuovi spazi e nuovi mezzi per interagire alla pari con gli altri attori della politica, sembra ancora lontano: come evidenzia Mazzoleni, la democrazia elettronica “in cui politici, media e cittadini si potranno confrontare in un ciber-spazio pubblico […] si scontra ancora con problemi tecnologici e culturali giganteschi, primo fra tutti il digital divide”51. Secondo questa visione, nella relazione tra nuovi media e vita democratica si celerebbe il rischio di 47 Questo discorso può essere applicato anche alle televisioni locali, tra i primi apparati televisivi ad aprirsi alla gente comune, offrendosi come un “laboratorio dell’esperienza e dell’interattività immediata” spesso collocato nel cuore della città, quasi a sottolineare ulteriormente la sua accessibilità. 48 Intervento di Al Gore alla conferenza stampa del 2004, riportato in H. Jenkins, Convergence Culture, op. cit., p. 240. 49 H. Jenkins, Convergence Culture, op. cit., p. 245. 50 Sul concetto di “civic culture” cfr. P. Dalhgren, The Internet, Public Spheres, and Political Communication: Dispersion and Deliberation, in “Political Communication”, 22, 2005, 2005, pp. 147-62. 51 G. Mazzoleni, La comunicazione politica, Il Mulino 1998. 22 un’ulteriore frammentazione sociale, “all’interno di una crescente trasformazione dei soggetti sociali in consumatori di informazione invece che di cittadini più informati”52. Le ampie aree di commistione tra cultura mediale e cultura politica -per cui i medesimi discorsi, volti o immagini si ritrovano nell’una e nell’altra- costituiscono il terreno di ricerca privilegiato per indagare come, da un lato, la spettacolarizzazione e la commercializzazione della produzione dell’informazione politica abbia cambiato i requisiti della “cittadinanza”, dall’altro, l’affermazione di un pubblico fortemente assorbito, alfabetizzato e competente nell’uso dei media (da quello che fruisce massicciamente la TV alle nicchie di “prosumer” della Rete) sappia piegare al proprio interesse i media di intrattenimento eleggendoli a risorse principali di informazione, strumenti di dibattito sociale, mezzo per partecipare alla politica53. Il tema, come è evidente, sottende questioni importanti legate alla gestione delle fonti di potere (si pensi alla concentrazione mediale), al problema delle disuguaglianze di natura tecnologica e culturale nell’accesso alla cultura della partecipazione, e dunque alla necessità di elaborare nuovi codici etici rispetto a come il sistema mediale, con i suoi pubblici partecipanti debba relazionarsi a quello politico. Come indicato da Silverstone, “il nuovo ambiente mediatizzato, o mediapolis*, mostra la presenza, sia empiricamente che potenzialmente, di uno spazio di mediazione nella vita quotidiana dove possiamo rapportarci al mondo come partecipanti e dove potremmo confrontarci come cittadini. Naturalmente il passaggio da partecipanti a cittadini e da uno spazio mediatizzato a uno spazio civico è il problema centrale”54. Ed è questo il passaggio su cui riflettere rispetto a come può essere realizzato (tema su cui si tornerà nel quinto capitolo). 4. Conclusioni La fotografia dell’attuale fase televisiva ha restituito l’immagine di una varietà di tipologie di pubblici e forme fruitive che modulano diversamente l’intensità di coinvolgimento affettivo, le modalità di accesso e l’uso dei prodotti audiovisivi: nel consumo televisivo, a fianco del telespettatore che attiva meccanismi fruitivi “tradizionali”, che assorbe dalla TV le rappresentazioni e gli stereotipi sulla realtà sociale, troviamo quello che vi resiste e oppone un proprio sistema di valori e credenze o, ancora, chi si interessa più che della TV, di alcuni suoi prodotti inseguendoli in percorsi crossmediali e trovando in essi qualcosa che parla anche di sé, o semplicemente per consumarli e dimenticarsene presto. 52 G. Grossi, Media e opinione pubblica: il legame fondativo, op. cit, p. 214. Un esempio di ricerca empirica, condotta con la tecnica non standard dei focus group, sul tema dell’utilizzo da parte del pubblico italiano dei prodotti di infotainment come fonte di conoscenza politica, di costruzione di atteggiamenti e di partecipazione al dibattito sociale e politico, è quella svolta da Anna Sfardini e Gianpietro Mazzoleni, i cui risultati sono pubblicati in G. Mazzoleni, A. Sfardini, Infotainment e interesse per la politica, in P. Mancini (a cura di), La maratona di Prodi e lo sprint di Berlusconi, Carocci, Roma 2007. 54 R. Silverstone, Media and Morality. On the Rise of The Mediapolis, Routledge-Polity Press, Cambridge 2007, p.111. 53 23 La complessità del campo richiede alla ricerca sul pubblico di riflettere sui propri strumenti di ricerca per adottare un approccio metodologico in grado di comprendere appieno i ruoli che i media e le loro audiences interpretano nel più ampio contesto socioculturale, come partecipano ai fondamentali processi di costruzione delle identità e delle relazioni, ai processi decisionali che concernono la vita sociale, alla definizione della cultura, non solo mediale, nella quale sono immersi. L’unico approccio possibile diviene quello di indagare il consumo mediale seguendo i soggetti nei loro percorsi e spostamenti tra mondi reali e virtuali, fuori e dentro le relazioni che instaurano con i media. Una scelta che pare particolarmente utile anche nel caso dell’analisi dei nuovi consumi audiovisivi attraverso diverse piattaforme, il cui senso risiede, in primo luogo, nel gesto performativo del soggetto che mette in atto le proprie pratiche fruitive, più che nella capacità delle istituzioni mediali di guidare e controllare il processo di distribuzione e consumo mediale. L’era della convergenza mediale spinge l’industria televisiva a strutturare percorsi fruitivi capaci di coinvolgere il telespettatore in pratiche di visione, fruizione e partecipazione che lo rendono protagonista e fedele consumatore della cultura mediale in cui è avvolto: certi prodotti televisivi si trasformano così in eventi mediali destinati a divenire parte di una cultura di visione collettiva che il soggetto è chiamato a condividere, pena l’esclusione dalla rete dei discorsi sociali, sentendosi anzi così parte di comunità di “cultori” che attivamente connettono il consumo di un programma televisivo all’espressione della loro identità e alla costruzione di un senso appartenenza. Una cultura partecipativa si sta quindi diffondendo in maniera almeno parzialmente indipendente dai dettami dell’industria, mossa da una ricerca di condivisione e connessione con altri, di azione insieme ad altri. La tensione che attraversa il mondo del consumo mediale non è più interpretabile attraverso il concetto di “tattica” formulato da De Certeau55, ossia all’interno di un paradigma di “resistenza” del consumo, ma cercando di cogliere i nuovi significati che alimentano le diverse situazioni (tecnologiche e culturali) di scambio e condivisione: l’incremento delle interazioni umane permesso dai mezzi di comunicazione moderni e la disinvoltura con cui le persone si relazionano al mercato mediale sono due processi fortemente intrecciati e corresponsabili dell’emersione di una cultura contemporanea della partecipazione. Insomma, per comprendere il complesso processo con cui la radicalità del cambiamento tecnologico da un lato e la forza del consumo inerziale dall’altro plasmano nuove forme di fruizione è necessario tenere conto dello specifico contesto sociale in cui esso si compie, osservando i cambiamenti in relazione tanto alle pratiche comunicative del sistema mediale di riferimento quanto a quelle che i soggetti agiscono nella vita quotidiana. 55 M. De Certeau, L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma 2001. 24 Come nelle comunicazioni di massa la ricerca si è sempre focalizzata sulla relazione tra il mondo mediato e quello sociale dello spettatore, così anche la Tv di domani sarà mediata dalla struttura delle interazioni sociali -dalle modalità di gestione del tempo libero alle trasformazioni dei processi lavorativi- in cui si inserirà progressivamente. BIBLIOGRAFIA ABERCROMBIE N., LONGHURST, B., Audiences. A Sociological Theory of Performance and Imagination, Sage, London 1998. 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