2. - Fondazione avvocatura parmense
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SOMMARIO Cronache dal Foro Parmense Anno XIX numero 2 – giugno 2010 Periodico quadrimestrale a cura dell’Ordine degli Avvocati di Parma. Autorizzazione del Tribunale di Parma n.14 del 10 giugno 1992. Direttore responsabile: avv. Giuseppe Negri Comitato di redazione: avv. Nicola Bianchi, avv. Dominga Bubbico, avv. Andrea Conforti, avv. Alberto Magnani, avv. Francesco Mattioli avv. Alessandra Mezzadri, avv. Giuseppe Scotti Hanno collaborato a questo numero: avv. David Cerri avv. Renato Del Chicca avv. Alarico Mariani Marini avv. Michela Velardo avv. Giacomo Voltattorni avv. Maria Rosaria Nicoletti avv. Paolo Zucchi avv. Stefano Squarcina avv. Lorenzo Bianchi avv. Fabio Mezzadri Camera Civile di Parma pag. 3 pag. 19 pag. 30 pag. 30 pag. 31 pag. 33 pag. 36 pag. 40 pag. 46 pag. 51 pag. 53 pag. 58 Materiali: il Regolamento sulle specializzazioni forensi Specializzazioni: i commenti delle associazioni forensi locali Attività del Consiglio Aggiornamento albi Variazioni Materiali dal XXX Congresso nazionale forense Diritti umani e avvocatura: giusto processo ed etica professionale Brevi riflessioni sui diritti umani e fondamentali dopo il Trattato di Lisbona La memoria degli avvocati A proposito di Cass. 18477/2010 Segnali di fumo Giurisprudenza disciplinare chiuso in redazione il 1° dicembre 2010 materiali REGOLAMENTO PER IL RICONOSCIMENTO DEL TITOLO DI AVVOCATO SPECIALISTA Art. 1 - Oggetto del regolamento 1- Il presente regolamento disciplina le modalità per l’acquisizione del titolo di avvocato specialista ed il suo mantenimento. delle aree previste dal presente Regolamento e successive sue modifiche ed integrazioni, l’avvocato deve: (a) aver maturato un’anzianità di iscrizione all’albo, ininterrotta, di almeno sei anni all’atto della presentazione della domanda per sostenere l’esame di cui sub (e) che segue; (b) non aver riportato nei tre anni precedenti la presentazione della domanda una sanzione disciplinare definitiva conseguente ad un comportamento realizzato in violazione del dovere di competenza o di aggiornamento professionale; (c) non essere stato destinatario nei due anni antecedenti la domanda della sanzione di cui sub 6 che segue; (d) aver frequentato, proficuamente e continuativamente, per almeno un biennio, una scuola, od un corso di alta formazione riconosciuti dal Consiglio nazionale forense e tenuti da enti, o soggetti iscritti nel registro di cui all’art. 7) ed aver conseguito il relativo attestato non prima di due anni rispetto alla data di presentazione della domanda di cui sub (e); (e) aver presentato domanda da depositare, con la documentazione richiesta, presso la sede del Consiglio nazionale forense; (f) aver sostenuto con esito positivo l’esame presso il Consiglio nazionale forense. 2 - Il titolo di avvocato specialista è conferito con il rilascio di apposito diploma da parte del Consiglio nazionale forense ed è soggetto a revoca da parte di quest’ultimo per i motivi di cui all’art. 6). Il nome dell’avvocato specialista è inserito nell’apposito registro tenuto dal Consiglio nazionale forense, accessibile al pubblico tramite pubblicazione nel suo sito Internet. Il Consiglio nazionale forense comunicherà, periodicamente, ai Consigli degli ordini degli avvocati il nominativo degli avvocati specialisti iscritti nei rispettivi albi di appartenenza. 3 - Se in possesso di un diploma di specializzazione, o titolo equipollente, comunque rilasciato esclusivamente da un’Università degli Studi, o da Enti equiparati, in una delle aree di specializzazione di cui all’art. 3) che precede, l’interessato può chiedere al Consiglio nazionale forense di valutarlo ai fini del rilascio del diploma di specializzazione. 4 - L’interessato deve presentare al Consiglio nazionale forense una domanda di riconoscimento del diploma di cui al comma che precede, conseguito da non più di quattro anni, allegando il diploma in originale, o in copia autentica, nonché certificazione, anche nella forma dell’autodichiarazione, attestante la durata del corso e le materie oggetto di studio ed approfondimento. Il Consiglio nazionale forense al termine dell’istruttoria, nel corso della quale può richiedere ulteriore documentazione e Art. 2 - Definizione di avvocato specialista. 1- E’ specialista l’avvocato che ha acquisito, in una delle aree del diritto sotto indicate, una specifica e significativa competenza teorica e pratica, il cui possesso è attestato da apposito diploma rilasciato esclusivamente dal Consiglio nazionale forense e che deve essere conservata nel tempo secondo il principio della formazione continua, nei termini ed alle condizioni che seguono. Art. 3 - Elenco delle specializzazioni 1. L’avvocato può conseguire il diploma di specialista in non più di due delle seguenti aree del diritto: 1) diritto di famiglia, dei minori, e delle persone 2) diritto della responsabilità civile e delle assicurazioni 3) diritto commerciale 4) diritto del lavoro, della previdenza e della sicurezza sociale 5) diritto industriale 6) diritto della concorrenza 7) diritto tributario 8) diritto amministrativo 9) diritto della navigazione 10) diritto dell’Unione europea 11) diritto penale 2. In nessun caso i settori di prevalente esercizio professionale possono intendersi come aree di specializzazione e giustificare l’assunzione da parte dell’avvocato del titolo di specialista Art. 4 - Aggiornamento dell’elenco delle specializzazioni 1- Salvo quanto previsto dall’art. 14) il Consiglio nazionale forense, sentiti i Consigli degli Ordini e le associazioni specialistiche del settore di cui al successivo art. 11 che entro trenta giorni di tempo dalla richiesta esprimono il proprio parere, potrà aggiornare ogni quatto anni l’elenco delle specializzazioni di cui al precedente art. 3. Art. 5 - Requisiti per conseguire il titolo di avvocato specialista. 1 - Per conseguire il titolo di avvocato specialista in una 3 materiali chiarimenti, delibera: (a) di ammettere il richiedente a sostenere direttamente l’esame di cui all’art. 10); oppure (b) di subordinare l’ammissione all’esame alla frequenza dei corsi di cui all’art. 7), in tal caso determinando l’ammontare del monte ore necessario. cialisti, riconosciute dal Consiglio nazionale forense ai sensi dell’art. 11); (d) dagli altri soggetti in possesso dei requisiti di cui al comma seguente. 5 - I soggetti di cui alle lettere (c) e (d) di cui al comma 4) inviano al Consiglio nazionale forense una apposita domanda di iscrizione nel registro dei soggetti abilitati alla istituzione e gestione delle scuole, o dei corsi di alta formazione, allegando Art. 6. Condizioni per il mantenimento del titolo di copia dello statuto e del regolamento interno di funzionaavvocato specialista. mento, specificando la loro qualifica e caratteristiche, nonché 1 - Il titolo di avvocato specialista è soggetto a revoca producendo dichiarazione di impegno ad organizzare e gestire quando l’interessato non adempia agli obblighi di formazione le scuole, o i corsi di alta formazione, con modalità tali da continua, specificamente nell’area di specializzazione, secondo garantire la realizzazione degli scopi del presente regolamento, le modalità previste dall’art. 12. ed in particolare la tutela dell’affidamento della collettività; gli 2 - La revoca è pronunciata dal Consiglio nazionale forense istanti dovranno specificare, altresì, che a loro carico non sono su segnalazione del Consiglio dell’orstati adottati provvedimenti, seppur dine degli avvocati nel cui albo è iscritto non definitivi, o stabilizzati negli effetti, è specialista l’avvocato che ha l’interessato. Il Consiglio dell’ordine, di revoca dell’iscrizione nel registro ai acquisito … una specifica e previa contestazione dell’addebito, sensi del comma 8) del presente artisignificativa competenza teorica sentito l’interessato, al termine di un colo, o dell’autorizzazione di cui all’art. e pratica, il cui possesso è procedimento da condurre secondo 8,. 2). le prescrizioni della legge 241/1990 e attestato da apposito diploma 6 - I Consigli dell’ordine degli successive modifiche ed integrazioni, avvocati, anche in forma associata, … e che deve essere conservata invierà al Consiglio nazionale forense direttamente, o tramite le loro fondanel tempo secondo il principio motivata richiesta di revoca completa zioni o scuole, sono iscritti a semplice della formazione continua … degli atti del procedimento. richiesta nel registro, senz’altra forma3 - La revoca produrrà effetti dal lità, ferma la possibilità per il Consigiorno successivo a quello della notifica del relativo provveglio nazionale forense di revocare detta iscrizione ai sensi di dimento. quanto previsto nel comma 8). 4 - La revoca del titolo non preclude il suo riacquisto alle 7 - Il Consiglio nazionale forense al termine dell’istruttoria condizioni, nessuna esclusa, di cui all’art. 5). sulla domanda, nel corso della quale può chiedere chiarimenti, o integrazioni documentali, o informative, iscrive il richiedente Art. 7 – Scuole e corsi di alta formazione. nel registro, o comunica il rifiuto. 1 - La frequenza delle scuole, o dei corsi di alta formazione 8 - Il Consiglio nazionale forense, in attuazione delle sue di cui all’art. 5.d), dovrà avere durata non inferiore al biennio, funzioni di ispezione e controllo per il cui esercizio potrà in per un minimo di 200 (duecento) ore complessive di studio ed qualsiasi momento richiedere informazioni, documenti, chiariesercitazioni, anche pratiche. menti e impartire segnalazioni e direttive, revoca l’iscrizione 2 - Il rilascio dell’attestato di cui all’art. 5.d) presuppone nel registro in uno dei seguenti casi: la frequenza della scuola, o del corso, senza assenze, o con (a) quando accerti che sono venuti meno i requisiti di iscriassenze complessivamente non superiori al dieci per cento del zione: monte ore biennale complessivo. (b) quando verifichi che non sia stata richiesta, ovvero, se 3 - Ai fini del conseguimento del titolo di avvocato sperichiesta, rifiutata l’autorizzazione di cui all’art. 8), per almeno cialista sarà considerato valido solo l’attestato di frequenza due volte; rilasciato dagli enti e soggetti di cui al comma seguente. (c) quando accerti che, sebbene autorizzata, la gestione e 4 - Le scuole ed i corsi di alta formazione potranno essere l’esercizio di scuole, o corsi di alta formazione, non avviene organizzati e gestiti: nel rispetto del programma di cui all’art. 8.1.a), o avviene con (a) dal Consiglio nazionale forense, direttamente, o tramite modalità che non garantiscono la realizzazione degli scopi di la Scuola superiore dell’avvocatura; cui all’art. 7.5). (b) dai Consigli dell’ordine degli avvocati, anche in forma d) quando non siano state osservate le segnalazioni e le associata, direttamente, o tramite le loro fondazioni o Scuole direttive di cui sopra. di formazione forense riconosciute dal Consiglio nazionale 9 - La revoca è pronunciata dal Consiglio nazionale forense forense; al termine di un procedimento amministrativo regolato dalle (c) dalle associazioni forensi costituite fra avvocati spenorme della legge 241/1990 e successive modifiche ed inte- 4 materiali grazioni. 2 - I commissari dovranno essere scelti tra avvocati iscritti nell’albo speciale per l’esercizio innanzi alle Magistrature superiori. 3 - Ai fini dell’esame, ogni interessato presenta domanda al Consiglio nazionale forense unitamente alla documentazione necessaria a comprovare il possesso dei requisiti previsti ed a quella necessaria a consentire alla Commissione d’esame la valutazione del possesso dell’esperienza pregressa di cui al comma 5, lett. b) del presente articolo, nonché il pagamento del contributo di cui al comma 9) del presente articolo. 4 - La Commissione si riunisce su convocazione del suo presidente per la fissazione del calendario delle prove d’esame di cui è data comunicazione all’interessato al recapito da questi indicato nella domanda ed al Ministero della Giustizia. 5 - L’esame consiste: (a) in una prova scritta su materia attinente all’area di specializzazione; (b) in una prova orale su argomenti relativi alla materia attinente all’area di specializzazione, ed avente ad oggetto anche la dimostrazione del possesso di un’esperienza pregressa nella materia. 6 - L’esame si intenderà superato con esito favorevole se il candidato avrà riportato una votazione di almeno 30/50 in ciascuna prova. Alla prova orale è ammesso il candidato che abbia riportato una votazione minima di 30/50 nella prova scritta. 7 - Ai fini della prova orale avente ad oggetto la dimostrazione del possesso di un’esperienza pregressa , il candidato dovrà comprovare, salvaguardando il segreto professionale, il numero dei casi trattati, il modo in cui le pratiche sono state coltivate e il loro grado di complessità. A tal fine presenterà all’atto della domanda di ammissione all’esame ed unita a questa, una relazione scritta con l’indicazione anonima di un numero significativo di casi, delle autorità presso cui sono stati trattati, del loro numero di ruolo generale, delle udienze, delle problematiche poste dalle singole fattispecie e di quant’altro ritenuto opportuno, unitamente alla documentazione, anche in copia non autentica, atta a comprovare quanto oggetto della dichiarazione. 8 - Dell’avvenuto superamento dell’esame la Commissione rilascia certificazione all’interessato ai fini dell’iscrizione nel registro. 9 - Il Consiglio nazionale forense determina l’ammontare del contributo dovuto da ciascun candidato all’atto della presentazione della domanda di partecipazione. Art. 8 - Approvazione preventiva e sorveglianza delle scuole e dei corsi di alta formazione. l. I soggetti iscritti nel registro di cui all’art. 7 possono organizzare e gestire le scuole ed i corsi di alta formazione con effetti utili al rilascio dell’attestato di cui all’art. 5 solo se: (a) avranno presentato al Consiglio nazionale forense, annualmente e prima dell’inizio di ogni singolo anno scolastico, o di corso, il programma dettagliato della scuola, o del corso, con specifica indicazione delle materie trattate, delle ore destinate a ciascuna di esse, degli argomenti trattati e dei docenti, con relativa qualifica; (b) avranno ottenuto da parte del Consiglio nazionale forense l’autorizzazione rilasciata sulla base delle indicazioni fornite. 2 - L’autorizzazione si intende in ogni caso concessa ove entro 120 giorni dal ricevimento della relativa documentazione non sia espressamente rifiutata; il termine è interrotto nel caso di richiesta di informazioni, o documentazione integrativa e riprende a decorrere a partire dal momento in cui le une, o l’altra, siano state fornite. 3 - L’autorizzazione è revocata nei casi in cui la gestione e l’esercizio di scuole, o corsi di alta formazione, non avvenga nel rispetto del programma, o avvenga con modalità che non garantiscono la realizzazione degli scopi di interesse pubblico e di tutela del cittadino connessi al riconoscimento della qualifica di avvocato specialista. 4 - Il Consiglio nazionale forense esercita il potere di ispezione e controllo, sia ai fini della revoca dell’iscrizione nel registro, sia ai fini del rilascio o della revoca dell’autorizzazione Art. 9 - Attribuzione del titolo di specialista 1. Il titolo di avvocato specialista, seguito dall’indicazione dell’area di riferimento è attribuito esclusivamente dal Consiglio nazionale forense, previo superamento dell’apposito esame di cui all’art. 10. Art. 10 - Commissioni e disciplina dell’esame 1- Le Commissioni d’esame per l’attribuzione del titolo di specialista, presiedute da uno dei membri nominati dal Consiglio nazionale forense, saranno composte da cinque commissari effettivi e cinque supplenti di cui: (a) tre effettivi e tre supplenti nominati dal Consiglio nazionale forense; all’atto della nomina il Consiglio nazionale forense designerà il commissario che assumerà le funzioni di presidente; (b) due effettivi e due supplenti nominati dall’associazione specialistica competente. Nel caso di più associazioni specialistiche, le stesse dovranno provvedere di concerto. Nel caso di mancata effettuazione della nomina da parte dell’associazione specialistica, o nel caso in cui manchi il concerto, alla nomina provvede il Consiglio nazionale forense. Art. 11- Associazioni fra avvocati specialisti riconosciute dal CNF l. Ai fini del presente regolamento il Consiglio nazionale forense tiene aggiornato e reso accessibile al pubblico, tramite pubblicazione nel suo sito Internet, l’elenco delle associazioni costituite fra avvocati specialisti. 2 - Per l’iscrizione nell’elenco, le associazioni specialistiche dovranno fornire tutta la documentazione utile a dimostrare 5 materiali 3 - L’unità di misura dell’aggiornamento professionale è il credito formativo. 4 - Ogni avvocato specialista deve conseguire nel triennio almeno n. 120 formativi, di cui almeno 30 in ogni singolo anno. 5 - I crediti formativi conseguiti per l’aggiornamento professionale specialistico, sono valutabili come crediti formativi per la formazione continua di cui al regolamento approvato dal Consiglio nazionale forense il 13 luglio 2007 e successive modificazioni. 6 - La verifica dell’aggiornamento professionale è rimessa al Consiglio dell’ordine nel cui albo l’avvocato è iscritto. 7 - I corsi di formazione continua nelle materie specialistiche potranno essere organizzati esclusivamente dai soggetti abilitati ad organizzare e gestire le scuole ed i corsi di alta formazione ed iscritti nel relativo registro tenuto dal Consiglio nazionale forense. la loro rappresentatività e diffusione territoriale. 3 - Ai fini del riconoscimento della diffusione territoriale l’associazione deve dimostrare la sua articolazione territoriale, con autonome sezioni, in almeno la metà dei distretti delle Corti d’Appello. Ai fini del riconoscimento della rappresentatività, l’associazione deve dimostrare di avere un numero di iscritti pari ad almeno il 20% degli avvocati specialisti nella relativa area. 4 - Lo statuto dell’associazione deve: (a) prevedere come unica finalità la promozione deI profilo professionale, la formazione e l’aggiornamento specialistico dei suoi iscritti; (b) escludere espressamente il rilascio da parte dell’associazione di attestati di competenza professionale; (c) prevedere una disciplina degli organi associativi su base democratica e non avere fini di lucro;. L’associazione deve dotarsi di strutture organizzative e tecnico-scientifiche idonee ad assicurare l’adeguato livello di qualificazione e aggiornamento professionali;. 5 - Il Consiglio nazionale forense, anche per il tramite dei Consigli degli ordini circondariali, esercita la vigilanza sul mantenimento dei requisiti e delle condizioni per il riconoscimento delle associazioni di cui al presente articolo, nonché il controllo sul rispetto delle prescrizioni. Le associazioni specialistiche dovranno attestare e, ove richiesto, comprovare, almeno ogni triennio , la permanenza dei requisiti di cui sopra. 6 - In sede di prima applicazione, sono inserite di diritto nell’elenco delle associazioni specialistiche le associazioni forensi specialistiche riconosciute come maggiormente rappresentative dal Congresso Nazionale Forense e cioè: (a) l’Associazione Avvocati Giuslavoristi italiani (AGI); (b) l’Associazione Italiana Avvocati per la Famiglia (AIAF); (c) l’Unione Camere Penali Italiane (UCPI); (d) l’Unione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi (UNCAT); (e) l’Unione Nazionale Camere Civili (UNCC); (f) la Società italiana avvocati amministrativisti (SIAA). 7- In nessun caso le associazioni specialistiche potranno rilasciare attestati di specializzazione, o di specifica competenza professionale. Art. 13 - Disciplina transitoria 1 - Gli avvocati che all’atto dell’entrata in vigore del presente regolamento hanno un’anzianità di iscrizione all’albo, continuativa, di almeno 20 anni acquisiscono il titolo di specialista in non più di una delle aree di cui all’art. 3, alle seguenti condizioni: a) avere presentato al Consiglio nazionale forense, per il tramite del Consiglio dell’ordine di appartenenza, domanda corredata dalla documentazione e dai titoli idonei a comprovare una specifica competenza teorica e pratica nel settore prescelto; b) ove ritenuto necessario dal Consiglio nazionale forense, avere sostenuto con esito positivo presso lo stesso Consiglio nazionale un colloquio vertente sulla documentazione e i titoli presentati. 2 - In relazione a quanto sub a), Il Consiglio dell’ordine trasmetterà al Consiglio nazionale la documentazione ed i titoli corredati di parere non vincolante. 3 - L’avvocato è iscritto nel registro degli avvocati specialisti se la domanda non è espressamente rifiutata entro 120 giorni dal ricevimento della stessa. Il termine è interrotto nel caso di richiesta di informazioni, o documentazione integrativa e riprende a decorrere a partire dal momento in cui le une, o l’altra, siano state fornite. Art. 12 - Aggiornamento professionale specialistico 1 - Gli avvocati che abbiano conseguito il titolo di specialista sono tenuti, ai fini del suo mantenimento, a curare il proprio aggiornamento professionale secondo le modalità stabilite nel presente regolamento. Restano ferme, per quanto non espressamente derogato dal presente Regolamento, le disposizioni del Regolamento sulla formazione continua. 2 - Il periodo di valutazione dell’aggiornamento professionale è il triennio. Art. 14 Entrata in vigore. Revisione del regolamento. 1 - Il presente regolamento entra in vigore il 30 giugno 2011. Entro un anno dall’entrata in vigore il Consiglio nazionale forense, sentiti i Consigli dell’ordine degli avvocati, e le Associazioni specialistiche, potrà procedere, se necessario, alla revisione delle disposizioni del presente regolamento, con particolare riferimento alle aree di specializzazione, ai fini della tutela dell’affidamento della collettività. 6 materiali Relazione di accompagnamento al testo del regolamento sulle specializzazioni. degli artt. 17 e 17 bis del codice deontologico forense – costituiscono un costo certamente accettabile a fronte dei ben più gravi effetti distorsivi derivanti dall’auto-proclamazione di competenze che la mancanza di un regolamento sulle specializzazioni potrebbe comunque generare. Va poi detto che lo scopo di quest’ultimo non è di creare aree di riserva a vantaggio di ristrette elite professionali; al contrario, è funzionale a tutelare l’affidamento del cittadino sulla professionalità dell’avvocato, favorendo, al contempo, l’acquisizione di saperi specialistici che sono, in quanto tali, garanzia di migliore qualità della prestazione. Questa finalità di tutela dell’interesse della collettività alla qualità della prestazione traspare in più parti della disciplina e costituisce, ad esempio, una delle ragioni che hanno indotto a costruire una normativa transitoria non imperniata sulla meccanica acquisizione del titolo di specialista per il solo fatto del possesso di una certa anzianità di esercizio professionale; sempre in questa prospettiva si spiega il particolare rigore del percorso studiato per l’acquisizione del titolo, completato dal requisito di un’anzianità di iscrizione all’albo di almeno sei anni. Non è superfluo, poi, precisare che la specializzazione costituisce un’opportunità e l’acquisizione del relativo titolo una facoltà. E’ un’opportunità perché, se riguardata dal lato soprattutto dei giovani, un’anzianità di sei anni di iscrizione all’albo, se è il minimo richiedibile per avere quella “(…) esperienza pregressa nella materia” che va dimostrata in sede di prova orale (art. 10, co. 5, lett. (b), ma v. anche art. 2), non è tale da impedire l’acquisto del titolo da parte dei giovani avvocati per i quali la qualifica di specialista costituirà un fattore di miglioramento competitivo rispetto agli avvocati più anziani, affermati e meglio radicati nel mondo della professione. E’ contemporaneamente una facoltà perché nulla nel regolamento è obbligatorio, salvo ciò che è necessario per acquisire il titolo di specialista una volta presa la decisione di acquisirlo. Da ultimo, il regolamento allinea l’Italia ai paesi che già si sono dotati di un regolamento sulla specializzazione, come il Regno Unito, la Germania, la Francia, il Belgio, il Portogallo, la Croazia, la Slovenia, la Svizzera; e si adegua alle raccomandazioni del CCBE del 29.9.2009 di favorire una formazione di qualità superiore ed una disciplina concernente la specializzazione. ART. 1 - (Oggetto del regolamento). La norma stabilisce che oggetto della disciplina regolamentare sono presupposti e modalità per l’acquisizione del titolo di specialista e le condizioni per mantenerlo una volta acquisito; ne esula, pertanto, la materia disciplinata dal codice deontologico forense laddove (art. 17 bis) si prevede che l’avvocato può, tra l’altro, dare indicazioni circa “(…) i settori di esercizio dell’attività professionale e, nell’ambito di questi, eventuali materie di attività prevalente”. I due aspetti restano separati, diversa essendo la specializzazione rispetto alla materia di attività prevalente. La prima è espressione di una particolare competenza, che pone lo specialista su un gradino superiore di conoscenza ed abilità rispetto all’avvocato generalista; l’esercizio, invece, in modo prevalente in un dato settore non significa per ciò solo possedere particolari abilità specialistiche. Per questo motivo, mentre il se della veste di specialista richiede un vaglio particolare della competenza e l’informazione circa il possesso della relativa qualità non può essere disgiunta dall’esaurimento, con esito positivo, del complesso procedimento per l’acquisto del relativo titolo, l’indicazione della materia di attività prevalente è (se così si può dire) libera in quanto costituisce nulla più che la fotografia delle modalità espressive di una data attività professionale, senza pretesa che essa denunci il possesso di particolari abilità e competenze, a parte quelle che la pratica costante di una data materia possono far supporre che costituiscano, in ogni caso, la dotazione frutto dell’esperienza. Si lega a questa considerazione l’indicazione del comma 2 dell’art. 3) laddove ammonisce che “in nessun caso i settori di prevalente esercizio professionale possono intendersi come aree di specializzazione e giustificare l’assunzione da parte dell’avvocato del titolo di specialista”. Se questo è vero in linea teorica, nella pratica la spendita del titolo di specialista e l’indicazione della materia di attività prevalente, possono dar vita ad un messaggio potenzialmente decettivo tutte le volte che la comunicazione circa quest’ultima (materia di attività prevalente) risulti ambigua tanto da far supporre di essere in presenza di uno specialista. Occorrerà vagliare, caso per caso, il potenziale decettivo dell’indicazione circa la materia di attività prevalente al fine di sanzionare adeguatamente il comportamento di chi, facendo leva su ciò che il codice deontologico forense consente di indicare, crea, per le modalità e per il contenuto del messaggio, confusioni ed ambiguità. Queste conseguenze negative – da mettere in conto e che si può contribuire ad eliminare anche tramite una revisione ART. 2 - (definizione di avvocato specialista). Si definisce l’avvocato specialista quello che ha acquisito, in una delle aree del diritto indicate dall’art. 3), una specifica e significativa competenza teorica e pratica; specifica, perché la conoscenza deve riguardare quella determinata area, significativa perché non è sufficiente una conoscenza ordinaria, ma appunto superiore. 7 materiali Quest’ultima - avverte la norma - deve essere non solo teorica, ma anche pratica, per cui non basta il sapere, ma è necessaria anche la dimostrazione del saper fare, la quale va data nel modo indicato dall’art. 10), co. 7) e, cioè, comprovando “(…) il numero dei casi trattati, il modo in cui le pratiche sono state coltivate e il loro grado di complessità”, ciò che costituirà, poi, argomento di discussione in sede di prova orale (art. 10, co. 6, lett. b). L’art. 2) soggiunge che non è sufficiente aver conseguito il titolo di specialista poiché la conoscenza specifica e significativa che ne è alla base, va conservata nel corso degli anni secondo il principio della formazione continua, con chiaro riferimento, perciò, anche al fatto che – giusta il regolamento approvato dal Consiglio nazionale forense il 13.7.2007 – essa non va solo mantenuta, ma anche integrata con i nuovi saperi e rimanendo al passo delle nuove acquisizioni, anche giurisprudenziali. Infine, con l’avverbio esclusivamente riferito al soggetto in grado di rilasciare il diploma di specialista, la norma avverte che l’unica competenza al riguardo è del Consiglio nazionale forense; il tutto, peraltro, nel contesto di un apporto costruttivo ed implicante condivisione di compiti e funzioni da parte dei Consigli dell’Ordine e delle Associazioni specialistiche. seguito per il diritto penale e per il diritto amministrativo; per il primo, svolgendo la conoscenza dei meccanismi del processo ruolo determinante ed imprescindibile, qualsiasi sia il sottosettore di specializzazione individuato; per il secondo, trattandosi di materia non adeguatamente scomponibile. La sperimentazione che seguirà l’entrata in vigore del regolamento consentirà di vagliare la coerenza delle scelte così effettuate e proprio allo scopo di apportare quegli aggiustamenti che eventualmente si rendessero necessari, all’elenco dell’art. 3) si collega la norma di chiusura dell’art. 14) secondo cui “(…) entro un anno dall’entrata in vigore il Consiglio nazionale forense, sentiti i Consigli dell’ordine degli avvocati e le associazioni specialistiche, potrà procedere, se necessario, alla revisione delle disposizioni del presente regolamento, con particolare riferimento alle aree di specializzazione (…)”. Infine, il comma 2 dell’art.3), prevedendo che “in nessun caso i settori di prevalente esercizio professionale possono intendersi come aree di specializzazione e giustificare l’assunzione, da parte dell’avvocato, del titolo di specialista”, conferma quanto innanzi detto a proposito della distinzione concettuale che va mantenuta – sino all’eventuale revisione del codice deontologico forense – tra aree di specializzazione e settori di prevalente esercizio dell’attività professionale. Su questo aspetto va richiamata l’attenzione dei Consigli dell’Ordine in punto alla vigilanza disciplinare necessaria ad evitare possibili abusi. Art. 3 - (elenco specializzazioni) L’art. 3) elenca le aree di specializzazione individuandole in complessive undici e costituisce il frutto di una scelta di mediazione tra due opposte concezioni: quella di ispirazione tedesca, imperniata su poche aree e quella francese, condizionata da una più accentuata segmentazione; nel primo caso le aree sono state individuate in quelle del diritto del lavoro, diritto della sicurezza sociale, diritto tributario, diritto amministrativo, diritto di famiglia, diritto fallimentare, diritto penale e diritto delle assicurazioni (tale ultima area di specializzazione è stata introdotta con la riforma del 1° settembre 2003); nel secondo la nuova lista delle specializzazioni approvata dall’assemblea generale del Conseil National des Barreaux del 12 e 13 marzo 2010, ne evidenzia ben 29; in essa figurano specializzazioni come droit des etrangers ed de la nationalitè, droit de la santè, droit douanier, droit de l’enviroment, droit de la fiducie. Ma figurano anche specializzazioni collegate a macroaree come droit penal e droit public. L’elenco che esposto nel presente regolamento tiene conto della necessità di non spingersi eccessivamente oltre nel dettaglio, prendendo spunto anche da ciò che segnala la pratica ed il diritto vivente, soprattutto per quanto riguarda gli ambiti collegati alla macroarea del diritto civile che si è ritenuto di non identificare come oggetto di possibile specializzazione in quanto tale, trattandosi di settore troppo vasto e rispetto al quale la stessa suddivisione in sei libri del codice civile, segnala la complessità e la sua articolazione in ambiti dotati di propri caratteri distintivi. Uguale criterio non è stato Art. 4 - (Aggiornamento dell’elenco delle specializzazioni). Accanto alla possibilità di revisione straordinaria dell’elenco delle specializzazioni a seguito della prima sperimentazione del regolamento, facoltà di revisione da esercitare ex art. 14) nel corso del primo anno dalla sua entrata in vigore (e quindi sino a tutto il 30.6.2012 entrando in vigore il regolamento il 30.6.2011), è stata prevista con l’art. 4) una sorta di revisione (si potrebbe dire) ordinaria quadriennale dell’elenco delle specializzazioni. Essa mira a mantenere quest’ultimo al passo con l’evoluzione dei saperi specialistici, garantendo al regolamento la flessibilità necessaria e proprio per questo è prevista la cooperazione dei Consigli dell’Ordine e delle Associazioni specialistiche che dovranno fornire il loro parere al riguardo; tale cooperazione, peraltro, non è detto si esaurisca solo nella predetta attività consultiva, perché nulla impedisce che Consigli territoriali ed associazioni suggeriscano essi stessi le soppressioni, o le integrazioni ritenute del caso, trasformandosi in fattori propulsivi del potere di aggiornamento attribuito al Consiglio nazionale forense. Per quanto riguarda specificamente le Associazioni specialistiche, il potere di interlocuzione sotto forma di intervento consultivo, o propositivo, è stato riconosciuto esclusivamente in capo a quelle previste dall’art 11) e cioè alle Associazioni riconosciute dal Consiglio nazionale forense 8 materiali comprese quelle inserite di diritto nel relativo elenco di cui al comma 6 del cit. art. 11). Per evitare le incertezze conseguenti ad aggiornamenti troppo ravvicinati nel tempo, è stato ritenuto congruo un intervallo di quattro anni tra un aggiornamento e l’altro. anni durante i quali non può essere presentata la domanda per partecipare all’esame è parso congruo e soprattutto rispettoso, anche qui, del principio di proporzionalità. Il requisito previsto dalla lettera d) consiste nel possesso dell’attestato di frequenza, proficua e continuativa, di una scuola, o corso di alta formazione, riconosciuti dal Consiglio Art. 5 - (requisiti per conseguire il titolo di avvocato spenazionale forense e tenuti da enti, o soggetti, iscritti nel regicialista). stro di cui all’art. 7). Si prevede, altresì, che tale attestato non sia stato conseL’art. 5) elenca i requisiti indispensabili per conseguire il guito più di due anni prima della data di presentazione della titolo di specialista. domanda; tale intervallo massimo di validità temporale garanIl primo comma, lett. a), è l’anzianità di iscrizione all’albo tisce che esso continui ad essere espressivo di perdurante di almeno sei anni, periodo che coniuga esigenze di rigore e competenza ad evitare il rischio che, in mancanza di qualsiasi serietà del processo di acquisizione del titolo, con la necesscadenza, possano darsi casi di presentazione di domande sità di favorirne l’apprensione anche da parte dei giovani avvodi partecipazione all’esame dopo lustri dalla frequenza di cati, quelli per i quali più degli altri la spendita della qualifica scuole, o corsi. Un lasso temporale di due anni – poi - entro può rappresentare fattore concorrenziale. cui decidere se presentare, o meno, la domanda, appare più Nella lettera b) del cit. comma 1, compare il requisito che congruo. dell’assenza di sanzioni disciplinari stabilizzatesi (cioè, defiI successivi requisiti di cui alle lettere e) ed f) attengono nitive), subite nei tre anni precedenti la presentazione della alla necessità che sia presentata apposita domanda al Condomanda per l’acquisizione del titolo; sennonché, per garansiglio nazionale forense corredata dai documenti necessari, tire una base di giustificazione logica alla previsione anche mentre il superamento dell’esame è l’altra condizione indinel rispetto del principio di proporspensabile. zionalità, è previsto che tali sanzioni Il comma 2) dell’art. 5) stabilisce Il requisito previsto dalla debbano essere state irrogate in relache il titolo di avvocato specialista lettera d) consiste nel possesso zione a comportamenti deontologiè conferito col rilascio di apposito dell’attestato di frequenza, camente rilevanti attuati in violazione diploma rilasciato dal Consiglio nazioproficua e continuativa, di del dovere di competenza, o di aggiornale forense il quale istituisce un reginamento professionale; ambedue i stro, pubblicato sul suo sito Internet, una scuola, o corso di alta corrispondenti doveri deontologici, nel quale inserisce il nominativo di formazione, riconosciuti dal infatti, hanno una diretta correlazione ciascun avvocato cui è stato conferito Consiglio nazionale forense e con la specializzazione posto che non il diploma. La pubblicazione del regitenuti da enti, o soggetti, iscritti è logico possa aspirare a conseguire stro nel sito Internet, consentendo nel registro di cui all’art. 7) il titolo chi non si è formato come la rapida consultazione, permette di avrebbe dovuto, ovvero ha dimostrato soddisfare con immediatezza le esila sua incompetenza. Tutte le altre sanzioni, invece, eventualgenze conoscitive di chiunque. Il comma prevede anche che il mente subite dall’interessato anche nei tre anni precedenti la Consiglio nazionale forense comunichi periodicamente ai sinpresentazione della domanda, stabilizzatesi, ma irrogate per goli consigli territoriali interessati i nominativi degli avvocati violazioni di doveri deontologici diversi da quelli suindicati, cui ha conferito il diploma di specialista e che risultano iscritti non sono ostative al conseguimento del titolo. negli albi da essi tenuti; la previsione ha lo scopo di consenLa lettera c) dell’art. 5) introduce, poi, l’ulteriore requisito tire anche ai consigli territoriali di avere chiaro il quadro dei per cui nei due anni precedenti la domanda non deve essere propri iscritti che sono divenuti specialisti per due motivi stata adottata a carico dell’interessato la sanzione di cui all’art. fondamentali; il primo, quello di permettere, se interessati, di 6); in suo pregiudizio, cioè, non deve essere stata pronunciata predisporre a loro volta un elenco degli specialisti ai fini della la revoca del titolo a causa dell’inadempimento degli obblighi sua consultazione da parte del pubblico, o per fornire rispodi formazione continua previsti dall’art. 12) quale condizione sta ad eventuali richieste di segnalazione di specialisti in date per il mantenimento della qualifica di specialista. Se non fosse aree; il secondo, non meno importante, quello di permettere stato previsto un intervallo di tempo tra la revoca e la preil controllo e la vigilanza circa l’adempimento da parte degli sentazione della domanda per il riacquisto del titolo (l’art. 6, interessati degli obblighi di formazione continua specialistica co. 4, infatti, prevede che la revoca non impedisce il suo riacil cui inadempimento giustifica la revoca del titolo. Revoca quisto) la sanzione sarebbe rimasta sostanzialmente priva di che, seppur pronunciata dal Consiglio nazionale forense, precontenuto concreto, potendo essere vanificata da un pressosuppone la segnalazione del Consiglio territoriale, l’unico in ché immediato riacquisito della qualifica. Un intervallo di due grado di verificare l’adempimento dell’obbligo formativo che 9 materiali quenza dei corsi, o scuole di alta formazione, determinando assume una sua particolare fisionomia quando si tratta di uno in questo caso il monte ore necessario ad integrare la prespecialista. parazione. E’ chiaro, peraltro, che l’istituzione da parte del consiglio territoriale di un documento, libro, o registro, in cui annotare Art. 6 - (Condizioni per il mantenimento del titolo di il nominativo degli specialisti iscritti, man mano incrementato avvocato specialista). dalle periodiche segnalazioni del Consiglio nazionale forense, in nessun caso deve essere interpretata come iniziativa costiL’art. 6 si incarica di chiarire che il titolo di specialista non tutiva di un nuovo e distinto albo ed in nessun caso può è acquisito in via definitiva e stabile nel futuro; esso, infatti, è tenere luogo dell’ufficialità che è propria ed unica del registro soggetto a revoca. Sennonché quest’ultima può essere prodegli specialisti tenuto dal Consiglio nazionale forense. nunciata in un solo caso: quando l’interessato non adempia I commi 3) e 4), infine, prendono in considerazione la agli obblighi di formazione continua, specificamente nell’area condizione di coloro che hanno conseguito un diploma di della specializzazione, secondo le modalità previste dall’art. specializzazione universitario, o posseggono un titolo equi12). Ciò significa, ad esempio, che la revoca non potrà essere pollente. Il primo è il caso di chi abbia frequentato scuole di pronunciata per nessun altro motivo e tanto meno per non specializzazione gestite dalle Università degli studi, od enti aver l’interessato esercitato con continuità la professione equiparati ed abbia conseguito il relativo diploma; da questa nel settore di specializzazione; infatti il titolo di specialista previsione fuoriescono le scuole di specializzazione per le dà conto di una particolare qualità professionale che non si professioni legali pur gestite dalle Università anche in conperde per il mancato esercizio, ma solo se non si coltiva la sorzio tra di loro (le cd. scuole Bassanini) dato che esse non relativa conoscenza e non la si sottopone a manutenzione rilasciano un diploma di specializzazione in una determinata periodica. area del diritto. Il secondo è il caso, ad esempio, dei dottori Come detto in precedenza, solo il Consiglio dell’Ordine di ricerca. Deve in ogni caso trattarsi di diplomi di specializche ha la custodia dell’albo nel quale zazione, o titoli equipollenti, relativi lo specialista è iscritto può essere in ad una delle aree di specializzazione solo il Consiglio dell’Ordine grado di segnalare l’inadempimento indicate nell’art. 3). che ha la custodia dell’albo agli obblighi di formazione continua e Per queste ipotesi il regolamento nel quale lo specialista è può segnalare ciò al Consiglio nazioha escluso qualsiasi forma di automaiscritto può essere in grado nale forense per l’adozione del provtismo nell’acquisto del titolo di speciavedimento di revoca. lista che è subordinato, innanzi tutto, di segnalare l’inadempimento Il potere di controllo da parte alla presentazione di una domanda al agli obblighi di formazione del Consiglio territoriale si declina, Consiglio nazionale forense di ricocontinua dunque, inizialmente nella forma noscimento del diploma, o del titolo, dell’accertamento dell’inadempiai fini di quanto previsto dal regolamento agli obblighi di formazione continua e successivamento (comma 3), sempre che si tratti di diploma, o titolo, mente in quella della contestazione all’interessato del relaequipollente conseguito non più tardi di quattro anni prima tivo inadempimento (comma 2). La norma precisa – se ve della presentazione della domanda (prima parte del comma ne fosse bisogno – che il relativo procedimento deve essere 4). Anche questa restrizione concernente la validità tempoimprontato al rispetto dei principi codificati dalla legge rale del diploma, o del titolo, per i fini previsti dal regolamento, 241/1990 e successive modifiche ed integrazioni. Esaurito il è in sintonia con quanto previsto a proposito del requisito procedimento, il consiglio territoriale inoltrerà al Consiglio di validità temporale dell’attestato di frequenza di un corso, nazionale forense una motivata richiesta di revoca del titolo o di una scuola di alta formazione (art. 5, comma 1, lett. c); lo di specialista in uno alla documentazione necessaria. scopo qui come là essendo quello di garantire che diploma, Nel pronunciare la revoca, o nel respingere la richiesta, o titolo equipollente, continuino, nonostante il passaggio del il Consiglio nazionale forense si limiterà a valorizzare i risultempo, ad essere espressivi di perdurante competenza, ad tati del procedimento svoltosi innanzi al consiglio territoriale; evitare il rischio che, in mancanza di qualsiasi scadenza, posma, seppur il contraddittorio e l’esercizio del diritto di difesa sano darsi casi di presentazione di domande di riconoscisiano stati garantiti nella fase del procedimento svoltosi mento del diploma, o del titolo equipollente, dopo lustri dal innanzi al consiglio territoriale segnalante, non è escluso che momento del relativo conseguimento e senza più garanzia di l’interessato possa presentare al Consiglio nazionale forense perdurante possesso e, soprattutto, avvenuta manutenzione deduzioni scritte, o chiedere di essere ascoltato. dell’acquisita competenza. Il comma 3) soggiunge che la revoca produce effetti dal Valutata la documentazione, il Consiglio nazionale forense giorno successivo alla notifica del relativo provvedimento. potrà ammettere il richiedente a sostenere direttamente Pur nel silenzio della norma, trattandosi di atto amministral’esame senz’altri adempimenti, ovvero subordinarlo alla fre- 10 materiali tivo, è indubbio che contro di essa è concessa tutela innanzi all’Autorità giudiziaria competente cui si accompagna, quale indefettibile attributo, la possibilità di tutela anche cautelare con la paralisi degli effetti, altrimenti immediati, del provvedimento. Come detto in precedenza, la revoca non impedisce il riacquisto del titolo decorso il biennio di cui all’art. 5), comma 1, lett. c). Infine, la norma non è stata arricchita con la previsione che costituisce infrazione disciplinare la spendita del titolo di specialista senza averlo conseguito, o dopo la sua revoca, dal momento che trattasi di previsione di stampo deontologico la cui sede naturale di normazione è il codice deontologico forense. cato relativo alle assenze, rilasciato dalla scuola, o dal corso. Il comma 3) aggiunge che non qualsiasi attestato di frequenza sarà considerato valido ai fini dell’ammissione all’esame, ma solo quello rilasciato dai soggetti (i) abilitati alla gestione di scuole, o corsi di alta formazione e (ii) iscritti dal Consiglio nazionale forense nell’apposito registro di cui al comma 7). Tali soggetti sono stati individuati (comma 4), oltre che nel Consiglio nazionale forense, anche (i) nei Consigli dell’ordine degli avvocati, che potranno all’uopo associarsi e gestire scuole e corsi direttamente, o tramite le loro fondazioni, o scuole di formazione forense riconosciute dal Consiglio nazionale forense, (ii) nelle associazioni forensi costituite fra avvocati specialisti, riconosciute dal Consiglio nazionale forense ai sensi dell’art. 11), (iii) negli “(…) altri soggetti in possesso dei requisiti di cui al comma seguente”. Quest’ultima previsione garantisce il pluralismo dell’offerta formativa dato che si tratta di norma in bianco che non tipizza la qualifica soggettiva, o la caratteristica strutturale che è necessario possedere per organizzare e gestire scuole, o corsi; pertanto, chiunque, anche enti, o società private con scopo di lucro potranno rientrare nel novero dei soggetti formatori, sempre che siano in possesso dei requisiti previsti dal regolamento e risultino iscritti nell’apposito registro. Questa previsione ripropone lo schema logico già sperimentato nel regolamento per la formazione professionale continua all’art. 3), comma 3), laddove è stato introdotto il principio dell’uguale legittimazione di enti, associazioni, istituzioni, organismi pubblici, o privati, operanti, o no, nel settore professionale ai fini dell’organizzazione degli eventi formativi. Ora come allora va sottolineato che si tratta di opzione coerente con il principio di non discriminazione derivante dalle regole che impongono di non erigere barriere anticoncorrenziali; infatti ed in linea astratta, non si può, né impedire ad enti e società aventi scopo di lucro di organizzare scuole, o corsi di formazione, né sancire l’inidoneità della frequenza di quest’ultimi ai fini dell’acquisizione della competenza specialistica necessaria al superamento dell’esame, né, tanto meno, conculcare la libertà di scelta dell’interessato che deve – invece - essere libero di organizzare come crede il suo percorso formativo specialistico, se del caso anche optando per la frequenza a costosi corsi, o scuole, organizzati da società specializzate. Da questo punto di vista, come già posto in evidenza nella relazione di accompagnamento al regolamento per la formazione professionale continua, pur nella consapevolezza che l’organizzazione di scuole, o corsi di formazione, può rappresentare la fonte di una lucrosa attività, è ben presente l’impossibilità di introdurre nel presente regolamento, anche in via di fatto, fattori regolatori della concorrenza, o selettori delle opportunità, dovendosi, al contrario, garantire opzioni formative in condizioni di pari opportunità di accesso, senza ostacoli all’esercizio del diritto alla libera scelta. Anche in questo campo, tuttavia, sarà compito dei Con- Art. 7 - (Scuole e corsi di alta formazione). La frequenza delle scuole, o dei corsi di alta formazione, che consente l’acquisto dell’attestato indispensabile, a termini dell’art. 5), comma 1, lett. d), per partecipare all’esame presso il Consiglio nazionale forense, deve avere durata non inferiore alle 200 ore nell’arco del biennio intendendosi per tale non il biennio solare, ma quello scolastico/accademico; ciò in quanto non sempre (anzi, quasi mai) quest’ultimo ha una durata coincidente con l’anno solare. La previsione del primo comma della norma in commento è completata da quella del secondo comma per il quale la frequenza deve essere continuativa, come si ricava dalla prescrizione per cui le eventuali assenze non possono essere superiori al 10% del monte ore complessivo e, quindi, a 20 ore durante il biennio. Può accadere che la scuola, o il corso di alta formazione, rilasci, comunque, l’attestato di frequenza anche se le assenze hanno superato il limite massimo suindicato se, ad esempio, il relativo regolamento interno prevede un limite superiore, o non ne prevede alcuno (fatto, questo, che potrebbe, tuttavia, essere valutato ai fini dell’adozione del provvedimento di revoca dell’iscrizione nel registro dei soggetti abilitati alla gestione di scuole, o corsi di alta formazione, come si vedrà in commento al comma 8). Sennonché, la lettura comparata dell’art. 7), commi 1) e 2) (che stabilisce un monte ore massimo di assenze nel biennio) e dell’art. 5), comma 1, lett. d) (che introduce – come si è visto – il requisito di una frequenza proficua e continuativa), rende chiaro che non è un attestato in sé di frequenza che integra il requisito richiesto per partecipare all’esame, quanto uno di frequenza continuativa per tale intendendosi quella che registri assenze non superiori a 20 ore nel biennio. Cosicché, sarà il Consiglio nazionale forense - in sede di verifica dei presupposti e requisiti per l’ammissione all’esame - a valutare l’idoneità dell’attestato presentato, onde costituisce buona norma di comportamento presentarne uno che incorpori la certificazione del rispetto del limite massimo di assenze, ovvero unire ad esso un distinto ed apposito certifi- 11 materiali un’apposita istruttoria sulla domanda (ovviamente per i soli sigli dell’ordine degli avvocati e delle Associazioni specialistisoggetti di cui alle lettere (c) e (d) del comma 4), ovvero (ii) che bilanciare i possibili effetti distorsivi con offerte formarifiutata. In quest’ultimo caso, come in tutti quelli in cui il tive non orientate al conseguimento di vantaggi economici, Consiglio nazionale forense emana un provvedimento ammima ispirate al principio del tendenziale equilibrio tra costi e nistrativo, il rifiuto può essere impugnato nelle opportune ricavi. sedi giudiziali. E’ superfluo precisare che il rifiuto dell’iscriCon il comma 5) è regolamentato il procedimento per zione non significa che il richiedente non può organizzare e ottenere l’iscrizione nel registro dei soggetti abilitati alla istigestire scuole, o corsi di formazione, ma solo che gli attestati tuzione e gestione delle scuole e dei corsi. di frequenza rilasciati non sono validi ai fini dell’iscrizione Gli interessati che sono onerati di un’apposita domanda all’esame da sostenere presso il Consiglio nazionale forense. sono quelli di cui alle lettere (c) e (d) del comma precedente Infine i commi 8) e 9) si occupano di disciplinare il proe, quindi, le associazioni forensi e gli altri organismi non meglio cedimento per la revoca dell’iscrizione una volta che questa identificati; essi devono presentare al Consiglio nazionale sia stata ottenuta. forense una domanda di iscrizione contenente l’indicazione Infatti, anche per il principio del contrarius actus, il Condella loro qualifica e caratteristiche cui va allegata (i) la copia siglio nazionale forense può sempre revocare l’iscrizione e dello statuto e del regolamento interno di funzionamento e strumentalmente all’esercizio di tale potere è previsto che (ii) la dichiarazione di impegno a gestire corsi e scuole con possa svolgere attività di controllo e vigilanza richiedendo modalità tali da garantire la realizzazione degli scopi del regoinformazioni, documenti, chiarimenti, impartendo segnalalamento; nella domanda va altresì specificato che nei conzioni e direttive. fronti del richiedente non sono stati adottati provvedimenti, Non potendo la revoca essere disposta discrezionalanche non definitivi, di revoca di una precedente iscrizione, o mente, sono stati previsti quattro casi dell’autorizzazione di cui all’art. 8). ricorrendo i quali essa può essere Il comma 6) chiarisce un dato sarà compito dei Consigli pronunciata, e precisamente quando di per sé già evidente dalla lettura dell’ordine degli avvocati e il Consiglio: del comma 5) il quale ultimo, individelle Associazioni specialistiche (a) accerti che sono venuti meno duando nei soggetti di cui alle lettere bilanciare i possibili effetti i requisiti di iscrizione: (c) e (d) del comma 4) quelli onerati distorsivi con offerte formative (b) verifichi che non sia stata della presentazione della domanda di richiesta, ovvero, se richiesta, rifiutata iscrizione nel registro accompagnata non orientate al conseguimento l’autorizzazione di cui all’art. 8), per dalla dimostrazione dei requisiti di vantaggi economici, ma almeno due volte; sopra illustrati, esclude quelli di cui ispirate al principio del (c) accerti che, sebbene autorizalle lettere (a) e (b) e, quindi (oltre tendenziale equilibrio tra costi e zata, la gestione e l’esercizio di scuole, ovviamente al Consiglio nazionale ricavi o corsi di alta formazione, non avviene forense), i Consigli dell’ordine degli nel rispetto del programma di cui avvocati. all’art. 8.1.a), o avviene con modalità che non garantiscono la L’esclusione è, comunque, riaffermata a chiare lettere nel realizzazione degli scopi di cui all’art. 7.5); suddetto comma 6) che onera i Consigli dell’ordine degli d) quando non siano state osservate le segnalazioni e le avvocati di una semplice richiesta senz’altra formalità e quindi direttive emanate dal Consiglio nell’esercizio dei sui poteri senza necessità di allegare quanto previsto dal comma 5); in di vigilanza. questo senso, la previsione della non necessità di allegare la In disparte il primo caso che non solleva particolari prodichiarazione di impegno a gestire corsi e scuole con modalità blemi, il secondo si riferisce al sistema di autorizzazione ad tali da garantire la realizzazione degli scopi del regolamento, organizzare il programma formativo delle scuole, o dei corsi significa che i consigli territoriali sono assistiti dalla presunprevisto dall’art. 8). Infatti, non basta appartenere al novero zione iuris tantum di conformità dei loro comportamenti agli dei soggetti iscritti nell’apposito registro ed abilitati dal Conscopi del regolamento. Si è però fatto cenno alla presunzione siglio nazionale forense a gestire i corsi, o le scuole di forrelativa perché, se è vero che alla richiesta senz’altra formalità, mazione, ma occorre – come prevede il cit. art. 8) – che il segue automaticamente l’iscrizione del consiglio territoriale programma dettagliato dell’insegnamento, con indicate le nel registro, è bensì vero che l’iscrizione non esonera il conore e le materie, sia annualmente comunicato al Consiglio siglio dal rispetto, nella gestione delle scuole, o dei corsi, dei nazionale forense per la sua approvazione. Se l’autorizzazione criteri previsti dal regolamento, tanto vero che anche nei suoi non sia stata richiesta, ovvero sia stata rifiutata per almeno confronti può essere adottato il provvedimento di revoca due volte, è possibile la revoca dell’iscrizione nel registro dei dell’iscrizione. soggetti autorizzati. Simmetricamente, se l’autorizzazione sia Quest’ultima (iscrizione) è (i) disposta – ai sensi della stata rilasciata ma poi, in concreto, la gestione della scuola, o comma 7) – dal Consiglio nazionale forense al termine di 12 materiali fini dell’ammissione all’esame, ma l’autorizzazione può essere revocata perché la gestione e l’esercizio avvengono in modo che confligge con quanto previsto dal regolamento; e poiché esso è il veicolo per la realizzazione degli scopi di interesse pubblico e di tutela del cittadino, è come se detta gestione, o esercizio, si svolgessero con modalità contrastanti con i predetti scopi. Ai fini dell’esercizio del potere di rilascio, o revoca, delle autorizzazioni, si prevede al comma 4) che il Consiglio nazionale forense eserciti funzioni di ispezione e vigilanza. del corso, avvengano non in conformità del programma sulla base del quale essa (autorizzazione) è stata concessa, l’iscrizione potrà essere revocata. Infine, altro motivo di revoca è la mancata osservanza delle direttive e segnalazioni fatte dal Consiglio nazionale forense per quanto attiene alla gestione dei corsi, o delle scuole. Art. 8 - (Approvazione preventiva e sorveglianza sulle scuole e dei corsi di alta formazione). Art. 9 - (Attribuzione del titolo di specialista). Quanto sopra detto a proposito della revoca si chiarisce meglio esaminando la struttura dell’art. 8) che, in sostanza, disciplina il meccanismo dell’approvazione preventiva da parte del Consiglio nazionale forense dei programmi dei corsi e delle scuole. Il sistema che in tal modo viene a configurarsi è basato su una sorta di doppio binario, corrispondente ad un altrettanto doppio stadio di controllo sull’idoneità, in astratto, del soggetto formatore a svolgere il compito e sulla congruità, ed in concreto, del programma formativo rispetto alla sua funzione; infatti, dapprima è necessario che l’ente formatore sia iscritto nello speciale registro di cui all’art. 7), condizione, questa, indispensabile perché l’attestato di frequenza rilasciato possa essere speso per essere ammessi all’esame; secondariamente, è altrettanto indispensabile che i programmi formativi siano annualmente comunicati al Consiglio nazionale forense e da questo autorizzati (art. 8) cit.). Ne deriva che la coppia iscrizione/autorizzazione costituisce il perno attorno a cui ruota la formazione specialistica la quale non potrà sortire gli esiti voluti se l’ente che la somministra non sia iscritto nel registro ed i suoi programmi non siano autorizzati. Cosicché, il rifiuto di iscrizione nel registro dei soggetti abilitati alla formazione, la successiva revoca dell’iscrizione, il rifiuto dell’autorizzazione concernente i programmi formativi, o la sua revoca, concorrono a formare un sistema organico che garantisce l’idoneità dell’offerta formativa sia dal lato del soggetto che se ne fa carico, sia dal lato del contenuto. A proposito di autorizzazione, il comma 2) introduce il meccanismo del silenzio/assenso dato che l’autorizzazione relativa ai programmi annuali si intende accordata se non rifiutata espressamente entro 120 giorni dalla sua richiesta. L’autorizzazione concessa può a sua volta essere revocata se si accerti che, in concreto, la gestione e l’esercizio delle scuole e dei corsi non rispetta il programma sulla base del quale essa è stata rilasciata; ovvero se gestione ed esercizio avvengano con modalità contrastanti con gli scopi prefissi dal regolamento. Il caso potrebbe essere quello proposto supra di una scuola, o di un corso, che rilascino attestati di frequenza senza considerazione delle assenze, o basandosi su un quantitativo di assenze ammesse superiore al limite delle 20 ore nel biennio previste dal regolamento; in un caso come questo, non solo l’attestato – come si è visto – non è utile ai Il titolo di specialista è attribuito solo dal Consiglio nazionale forense previo superamento dell’apposito esame; esso, secondo quanto prescritto dall’art. 9), può essere speso indicando la qualifica di specialista seguita dall’area di riferimento. Così si potrà correttamente dire di essere specialista in diritto commerciale, specialista in diritto tributario, e così via. Art. 10 - (Commissioni e disciplina dell’esame). L’intero art. 10) è dedicato alla disciplina dell’esame prevedendosi al primo comma che la commissione d’esame deve essere comunque presieduta da uno dei commissari nominati dal Consiglio nazionale forense. Questi ultimi (lett. a) e b) sono complessivamente in numero di cinque, di cui tre nominati dal Consiglio nazionale forense e due dall’associazione specialistica competente (l’uno e l’altra nominano altresì altrettanti commissari supplenti). Tutto ciò rende chiaro che vanno formate presso il Consiglio nazionale forense tante commissioni d’esame quante sono le aree specialistiche per le quali si chiede il rilascio del titolo. Quanto alle associazioni potrebbe accadere che ve ne sia più d’una per la stessa area specialistica, ipotesi al momento non concreta, ma che potrebbe concretizzarsi in futuro tenuto conto che secondo l’art. 11) qualsiasi associazione di nuova formazione può chiedere di essere riconosciuta per gli effetti previsti dal regolamento se soddisfa le condizioni previste dal cit. art. 11). Nel caso di pluralità, sarà necessario un concerto tra quelle interessate ai fini della nomina dei commissari di spettanza; in mancanza di concerto, la nomina è effettuata in via surrogatoria dal Consiglio nazionale forense. Potranno essere nominati commissari solo avvocati abilitati all’esercizio professionale innanzi alle magistrature superiori (comma 2). La domanda di partecipazione all’esame dovrà essere corredata della documentazione necessaria a comprovare il possesso dei requisiti previsti, compresa quella idonea a dimostrare l’esperienza pregressa nell’area specialistica di riferimento (comma 3). L’esame consiste in una prova scritta su di un argomento 13 materiali Perché possa essere iscritta nel registro, l’associazione che abbia i requisiti di cui sopra, deve avere uno statuto che (comma 4): (a) preveda come unica finalità la promozione deI profilo professionale, la formazione e l’aggiornamento specialistico dei suoi iscritti; (b) escluda espressamente il rilascio di attestati di competenza professionale; (c) contempli una disciplina degli organi associativi su base democratica con esclusione di finalità lucrative. L’associazione deve dotarsi di strutture organizzative e tecnicoscientifiche idonee ad assicurare l’adeguato livello di qualificazione e aggiornamento professionali. Il Consiglio nazionale forense, anche per il tramite dei Consigli degli ordini circondariali, esercita la vigilanza sul mantenimento dei requisiti e delle condizioni per il riconoscimento delle associazioni, nonché il controllo sul rispetto delle prescrizioni. Le associazioni specialistiche dovranno attestare e, ove richiesto, comprovare, almeno ogni triennio, la permanenza dei requisiti di cui sopra (comma 5). In sede di prima applicazione sono iscritte di diritto nell’elenco delle associazioni specialistiche riconosciute dal Consiglio nazionale forense per i fini del regolamento quelle riconosciute come maggiormente rappresentative dal Congresso nazionale forense e cioè: (a) l’Associazione Avvocati Giuslavoristi italiani (AGI); (b) l’Associazione Italiana Avvocati per la Famiglia (AIAF); (c) l’Unione Camere Penali Italiane (UCPI); (d) l’Unione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi (UNCAT); (e) l’Unione Nazionale Camere Civili (UNCC); (f) la Società italiana avvocati amministrativisti (SIAA). E’ vero che detto riconoscimento congressuale è avvenuto per tutt’altri fini, ma è bensì vero che questo costituisce un criterio estrinseco, più valido di altri, o meno inidoneo di altri, per far sì che associazioni costituite da decenni ed oramai storicamente consolidatesi, nonché certamente rappresentative, possano veder riconosciuto da subito e di diritto un loro status, che trova nel riconoscimento effettuato dal Congresso nazionale forense, seppur ad altri fini, il crisma della rappresentatività, autorevolezza e soprattutto serietà. relativo all’area di specializzazione ed in una orale. Quanto a quest’ultima, essa è duplicemente articolata: accanto ad una parte (per così dire) ordinaria consistente in una discussione su argomenti di pertinenza dell’area specialistica, ve n’è un’altra per mezzo della quale l’interessato deve dimostrare il possesso del requisito dell’esperienza pregressa nella materia. Ciò è possibile comprovando un certo numero di casi trattati, il modo della loro gestione ed il rispettivo grado di complessità. Per consentire una discussione orale sul punto, il candidato avrà dovuto presentare, in precedenza, allegandola alla domanda, una relazione scritta con l’indicazione anonima di un numero significativo di casi, delle autorità presso cui sono stati trattati, del loro numero di ruolo generale, delle udienze, delle problematiche poste dalle singole fattispecie e di quant’altro ritenuto opportuno, unitamente alla documentazione, anche in copia non autentica, atta a comprovare quanto oggetto della dichiarazione. Il perché di questa particolare articolazione della prova orale risiede nel fatto che l’acquisto della qualifica di specialista implica che l’interessato sia particolarmente esperto, dato, questo, da dimostrare. La previsione è peraltro in linea con quelle di altri regolamenti europei sulla specializzazione, com’è, ad esempio, il caso del regolamento per le specializzazioni della Federazione degli avvocati svizzeri varato il 21.1.2003 il cui § 14 prevede che il candidato debba dimostrare “(…) di disporre di un’esperienza pratica superiore alla media nel settore del diritto in questione”. Quanto alla dimostrazione di tale esperienza, la previsione che essa debba essere dimostrata tramite illustrazione di un “(…) numero significativo di casi” svincola la valutazione da criteri numerici rigidi. Art. 11 - (Associazioni fra avvocati specialisti riconosciute dal CNF). Come si è visto, tra gli enti formatori che possono essere iscritti nel relativo registro, sono comprese anche le Associazioni specialistiche di cui – recita il comma 1) – il Consiglio nazionale forense tiene aggiornato e rende accessibile al pubblico, tramite pubblicazione sul suo sito Internet, l’elenco. Per l’iscrizione in quest’ultimo è necessario si tratti di associazioni rappresentative e diffuse territorialmente (comma 2) e la dimostrazione di questi due requisiti è affidata dal comma 3) – quanto al primo – alla prova di avere un numero di iscritti almeno pari al 20% degli avvocati specialisti della corrispondente area e – quanto al secondo – alla prova di un’articolazione territoriale con autonome sezioni in almeno la metà dei distretti di Corti di appello della Repubblica. Questa previsione consente, se ne esistono i presupposti, l’attuazione di un pluralismo associazionistico che non esclude nessuno, in linea teorica e di principio, dal concorrere alla formazione specialistica. Del resto, un criterio quantitativo di tal genere, non favorisce il mantenimento dell’esistente, ché anzi permette ampia mobilità. Art. 12 - (Aggiornamento professionale specialistico). La disciplina dell’art. 12) concerne un aspetto fondamentale della specializzazione e cioè l’aggiornamento professionale poiché - come già precisato - il titolo di specialista non va solo acquisito, ma anche conservato; e la sua conservazione presuppone l’adempimento degli obblighi formativi. E’ ovvio che le esigenze di formazione di un avvocato specialista sono diverse da quelle di un avvocato generalista; l’interferenza tra i due aspetti della formazione, quella disciplinata dal regolamento per la formazione continua approvato dal 14 materiali Consiglio nazionale forense il 13.7.2007 e quello della formamente nel novero dei soggetti abilitati i Consigli territoriali zione dell’avvocato specialista, è regolata dalla norma dell’art. e le associazioni specialistiche; ma non esclude anche altri 12), comma 1), seconda parte, per la quale “restano ferme, per enti ed organizzazioni che abbiano ottenuto l’iscrizione nel quanto non espressamente derogato dal presente regolamento, le registro dei soggetti abilitati, riaffermandosi, anche in questo disposizioni del regolamento sulla formazione continua”. Ciò vuol ambito, il principio del pluralismo dell’offerta formativa. dire che per l’avvocato specialista valgono, anzitutto, le norme sulla formazione contenute nel presente regolamento e, per Art. 13 - (Disciplina transitoria). quanto qui non previsto, anche quelle del regolamento sulla formazione continua dell’avvocato generalista. La previsione Con l’art. 13) viene introdotta una disciplina transitoria non deve però essere interpretata nel senso che i crediti forche riguarda gli avvocati che all’atto dell’entrata in vigore del mativi debbano essere sommati; si occupa di chiarire questo regolamento – e cioè alla data del 30.6.2011 – abbiano un’anspecifico aspetto il comma 5) secondo cui “I crediti formativi zianità minima di iscrizione continuativa all’albo di almeno conseguiti per l’aggiornamento professionale specialistico, sono 20 anni. valutabili come crediti formativi per la formazione continua di cui Per essi il regolamento non prevede alcun automatismo al regolamento approvato dal Consiglio Nazionale Forense il 13 nell’acquisizione del titolo di specialista nel senso che non luglio 2007 e successive modificazioni”. Poiché i crediti formaopera un effetto trascinamento dovuto all’età, questa costitivi da conseguire da parte dello specialista sono 120 e quelli tuendo una delle componenti del relativo procedimento. dell’avvocato generalista sono 90, è ovvio che con l’adempiInfatti, soddisfatto l’anzidetto requisito minimo, una prima mento del suo debito formativo specifico, l’avvocato specialirestrizione opera relativamente al numero delle aree in cui sta adempie contemporaneamente anche quello previsto dal la specializzazione può essere conseguita, limitata ad una, regolamento per la formazione continua. Di ulteriormente rispetto alle due previste dall’art. 3), comma 1) per chi segue diverso rispetto a quest’ultimo non è solo il monte crediti il procedimento (per così dire) ordinario. formativi che è di 120 nel triennio, ma anche il limite minimo L’altra condizione è che l’interessato sia in grado di dimodi crediti formativi da adempiere nel strare, con apposita documentazione singolo anno che sale da 20 (come da allegare alla domanda unitamente il regolamento non previsto per l’avvocato generalista) a ai titoli, la “(…) specifica compeprevede alcun automatismo 30 (comma 4). Esclusi questi aspetti, tenza teorica e pratica nel settore nell’acquisizione del titolo valgono per la formazione continua prescelto”(comma, 1), lett. a). di specialista nel senso dell’avvocato specialista le norme ed Domanda, documentazione e che non opera un effetto i criteri del regolamento sulla fortitoli vanno depositati presso il Conmazione del 13.7.2007 (comma, 1, siglio territoriale nel cui albo l’intetrascinamento dovuto all’età, seconda parte) del quale, peraltro, ressato è iscritto il quale, prima di questa costituendo una delle non è esclusa una rivisitazione per trasmetterli al Consiglio nazionale componenti del relativo eventualmente coordinare al meglio i forense, formulerà un parere, non procedimento due testi, eliminando possibili aspetti vincolante, sulla fondatezza e meritedi dubbio interpretativo. volezza della richiesta (comma 2). Il Consiglio dell’ordine degli avvocati nel cui albo è iscritto A questo punto il Consiglio nazionale forense avrà quatlo specialista ha il compito di controllare l’adempimento dei tro scelte: relativi obblighi formativi (comma 6) e ciò è reso possibile dal (a) potrà ritenere documentazione e titoli presentati fatto che – secondo quanto si è già visto in commento all’art. dall’interessato e parere espresso dal consiglio territoriale 5) comma 2) – il Consiglio nazionale forense invia periodicaidonei e sufficienti per esprimere un giudizio positivo sulla mente ai consigli territoriali interessati l’elenco degli avvocati richiesta di attribuzione del titolo di specialista e lo attribucui è stato rilasciato il diploma; col che detti consigli sono in irà; grado di sapere esattamente quanti e quali siano gli specialisti (b) potrà ritenerli non idonei, o non sufficienti, e decidere iscritti nel proprio albo, potendo così esercitare nei loro condi sottoporre il richiedente ad un colloquio vertente sulla fronti un controllo differenziato anche per quanto riguarda documentazione ed i titoli presentati; in questo caso solo l’adempimento degli obblighi formativi. l’esito positivo di tale prova orale permetterà l’acquisizione Infine il comma 7) prescrive che i corsi per la formazione del titolo (comma 1, lett. b); continua nelle materie specialistiche possono essere organiz(c) potrà, anche valorizzando l’eventuale parere negativo zati esclusivamente dagli stessi soggetti abilitati ad organizdel consiglio territoriale, ritenere non idonei documentazare e gestire le scuole ed i corsi e che siano iscritti nel relazione e titoli a giustificare l’acquisizione del titolo di specialitivo registro tenuto dal Consiglio nazionale forense. Questa sta e rifiutare di attribuirlo; è dizione che – come già sottolineato – include automatica(d) potrà, ritenendo allo stato l’inidoneità, o l’insufficienza 15 materiali di documentazione e titoli non tale da giustificare il rifiuto di cui sub (c), richiedere informazioni ulteriori, o documentazione integrativa (comma 3, ultima parte) alla luce della quale, assumerà una delle tre decisioni di cui sopra. Come si vede, il procedimento è privo di qualsiasi automatismo e l’acquisizione del titolo non è effetto naturale dell’anzianità essendo il richiedente sottoposto ad un doppio vaglio, quello del Consiglio territoriale e quello del Consiglio nazionale forense. La disciplina è completata dalla previsione di una forma di silenzio/assenso poiché, se entro 120 giorni dal ricevimento della domanda il Consiglio nazionale forense non l’avrà rifiutata, o non avrà disposto la richiesta di informazioni ulteriori, o documentazione integrativa (richiesta che varrà a interrompere il corso dei 120 giorni), la domanda si intenderà accolta. Art. 14 - (Entrata in vigore. Revisione del regolamento). La norma dell’art. 14) differisce l’entrata in vigore del regolamento al 30.6.2011 per consentire a ciascuno dei soggetti, enti, organizzazioni, comunque coinvolti nel processo di attuazione del presente regolamento, di predisporre quanto necessario a fronteggiare le richieste di attribuzione del titolo di specialista e di progettare l’organizzazione necessaria a gestire scuole, o corsi di formazione. Particolare attenzione merita la seconda parte dell’art. 14) laddove precisa che, al di là del potere di aggiornamento ogni quadriennio delle aree di specializzazione, il Consiglio nazionale forense si riserva la facoltà di sottoporre il regolamento a revisione entro un anno dalla sua entrata in vigore e quindi entro il 30.6.2012 con particolare riferimento alle aree di specializzazione; in tal senso il periodo sino al 30.6.2012 viene considerato alla stregua di fase sperimentale nel corso della quale valutare l’esistenza di eventuali lacune disciplinari, difetti di coordinamento tra parti del regolamento, o tra queste ed altre fonti disciplinari esterne, in specie il regolamento sulla formazione professionale continua ed il codice deontologico forense, esigenze di completamento della disciplina, con particolare riferimento alle aree di specializzazione. Ed è soprattutto in relazione all’identificazione di quest’ultime che il Consiglio nazionale forense si attende un contributo fattivo dei vari protagonisti ordinamentali e del mondo delle associazioni che permettano, anche tramite l’osservazione tratta dalla pratica e dal diritto vivente, di verificare la tenuta logica e giuridica dell’elencazione contenuta nell’art. 3) eventualmente curvandola nel modo che sarà ritenuto più opportuno; sicché a buon ragione è stato detto che il presente regolamento costituisce un cantiere aperto e l’art. 14) ne rappresenta la dimostrazione. 16 CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA Il Presidente Avv. Prof. Guido Alpa Roma, 30 settembre 2010 N. 29-C-2010 Ill.mi Signori Avvocati PRESIDENTI DEI CONSIGLI DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI PRESIDENTI DELLE UNIONI REGIONALI FORENSI PER IL TRAMITE DEI C.O.A. DISTRETTUALI PRESIDENTI DELLE ASSOCIAZIONI FORENSI MAGGIORMENTE RAPPRESENTATIVE IN AMBITO CONGRESSUALE PRESIDENTE DELL’ O.U.A. PRESIDENTE DELLA CASSA FORENSE e, per conoscenza: Ill.mi Signori Avvocati COMPONENTI IL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE Cari Presidenti, Vi trasmetto il testo del regolamento per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista che il Consiglio nazionale ha approvato nella seduta amministrativa del 24 settembre. Il regolamento entrerà in vigore il 30 giugno 2011, ed è prevista una prima fase applicativa di carattere sperimentale, al termine della quale potranno essere decisi modifiche ed adattamenti opportuni. Il testo è corredato di una diffusa relazione che dà conto delle scelte compiute e tiene conto di tutte le osservazioni pervenute. Il regolamento è infatti il risultato di un ampio processo di consultazione che ci ha occupati negli ultimi mesi, ed al quale hanno partecipato molti Ordini e numerose Associazioni, condividendo in larghissima maggioranza lo spirito ed il senso dell’iniziativa, ed offrendo puntuali suggerimenti migliorativi, soprattutto nella proficua 17 Assemblea dello scorso 18 settembre. Le specializzazioni sono un tema di pluridecennale discussione, e sono oggi divenute un passaggio ineludibile verso la modernizzazione della categoria, per dotare l’Avvocatura italiana di nuovi strumenti idonei a garantire la qualità delle prestazioni professionali, nell’interesse dei cittadini. Un passaggio non più rinviabile, soprattutto alla luce delle letargiche lentezze di Governo e Parlamento, che, a fronte delle promesse solennemente ribadite anche nei nostri congressi, hanno arrestato la discussione del progetto di legge di riforma dell’ordinamento forense, che giace al Senato senza alcuna certezza in ordine alla calendarizzazione dei lavori. Nel frattempo, erratiche ed estemporanee iniziative normative in materia di giustizia si succedono senza la previa, opportuna, e legislativamente dovuta consultazione dell’Avvocatura. Era dunque indispensabile dare un segnale forte alla politica ed al Paese, manifestando in modo inequivocabile la volontà della categoria di procedere nelle necessarie riforme che valorizzino adeguatamente il ruolo degli avvocati nell’amministrazione della giustizia, e più in generale il ruolo sociale di un’Avvocatura garante dei diritti dei cittadini. Ed era necessario farlo ora, in modo che questo messaggio forte e chiaro arrivi a tutti dal prossimo Congresso di Genova, dove l’Avvocatura deve non solo esprimere le ineludibili richieste, ma anche dimostrare di essere in grado di elaborare e governare - anche da sola, se necessario – i cambiamenti che i tempi richiedono. Sappiamo bene che il processo che abbiamo intrapreso è largamente condiviso. Non mancheranno – come detto - tempi e luoghi per gli aggiustamenti opportuni: tuttavia è necessario che, in questa fase così delicata, l’Avvocatura si presenti unita e compatta, e i pur comprensibili motivi di puntuale disagio su specifiche misure non siano espressi in forme e modalità tali da vanificare le ragioni di solidarietà ed unità. La stessa unità che l’Avvocatura ha saputo dimostrare con riguardo al progetto di riforma dell’ordinamento forense, del quale le specializzazioni costituiscono parte integrante e qualificante, e che la nostra attuale iniziativa intende proprio rilanciare con forza. La stessa preziosa unità che alza il velo sulla insufficienza della politica, rimuovendo ogni possibile scusa basata sulla nostra frammentazione. Ciò detto, richiamo la vostra attenzione sul fatto che nulla in questo regolamento vi è di obbligatorio, nulla di irreversibile e nulla di automatico. Nulla di obbligatorio perché, a parte ciò che è necessario per conseguire il titolo, l’acquisizione di quest’ultima non è obbligatoria ma corrisponde ad una facoltà che è anche un’opportunità soprattutto per i più giovani; nulla vi è di irreversibile perché l’art. 13) si occupa di dire che al termine del periodo di sperimentazione sino al 30.6.2012, questo Consiglio apporterà tutte le modifiche che, suggerite anche da voi, saranno ritenute necessarie per eliminare lacune o mancanza di coordinamento ma soprattutto per revisionare, se necessario, l’elenco delle aree di specializzazione; nulla vi è di automatico perché l’art. 14) si occupa di chiarire che l’anzianità non determina un effetto trascinamento e di per sé non attribuisce il titolo di specialista essendo l’interessato sottoposto ad un doppio vaglio, del consiglio territoriale di appartenenza e del Consiglio nazionale forense. Confidando nella condivisione dei sentimenti che hanno governato l’elaborazione del testo , porgo a tutti i calorosi saluti del Consiglio nazionale, oltre che i miei personali. avv. prof. Guido Alpa 18 commenti Specializzazioni: i commenti delle associazioni forensi locali Considerata la rilevanza del tema e la sua potenziale incidenza sul futuro della professione, la Redazione ha richiesto alle Associazioni forensi del territorio un primo commento del Regolamento. zione da sempre è stata avversata dall’avvocatura generalista e, solo tre anni fa, con fatica accettata dallo stesso CNF che oggi, invece, grazie al meritorio impegno del Presidente Alpa, ha approvato il nuovo regolamento ed introdotto per la prima volta, il concetto di specializzazione forense. IL CAMMINO VERSO LA SPECIALIZZAZIONE Il regolamento sulla specializzazione rappresenta un traguardo ma al tempo stesso anche un punto di partenza. Un traguardo per tutti coloro che hanno sostenuto la necessità della riqualificazione della professione forense attraverso la specializzazione, ma anche l’avvio per rilanciare la battaglia per la riforma complessiva dell’ordinamento forense. Come a tutti noto, il 24 settembre scorso, il Consiglio Nazionale Forense ha approvato il regolamento sulle specializzazioni forensi. Le ragioni che hanno determinato la storica decisione CNF devono essere ricondotte alla necessaria presa d’atto che “le specializzazioni” rappresentano lo strumento più idoneo per garantire la qualità delle prestazioni professionali. A fronte delle endemiche lentezze del Legislatore che, nonostante le costanti rassicurazioni, nei fatti ha costantemente dimostrato di arenarsi nelle sacche delle forti e potenti lobby economiche che anelano ad un’avvocatura sempre più debole e dipendente, occorreva un segnale forte ed inequivocabile indirizzato alla politica tutta, per manifestare la chiara volontà della categoria forense a reclamare le necessarie riforme volte a valorizzare il ruolo dell’ avvocato come massimo garante dei diritti dei cittadini. L’Unione delle Camere Penali da oltre un decennio coltiva il campo della specializzazione; da tempo attraverso mozioni congressuali, seminari di studio, convegni ha condotto questa battaglia fondante per la storia dei penalisti italiani che trova oggi il suo pieno coronamento. A partire dal Congresso di Bari del 2004 ha iniziato un percorso di studio, esame ed approfondimento per disciplinare la specializzazione; nel 2006 alleandosi con le altre associazioni forensi specialistiche ha continuato la propria battaglia per sensibilizzare sia l’avvocatura sia la politica. La stessa UCPI provvedeva alla prima elaborazione di un testo, che veniva interamente recepito nell’art. 8 della proposta di legge avanzata dall’intera avvocatura, e successivamente confluiva nel testo poi trasmesso in Parlamento, giunto fino all’approvazione in Commissione Giustizia al Senato nel dicembre 2009, con alcune modifiche. Il regolamento approvato deve dunque positivamente essere accolto dal momento che, come detto, attesta la manifesta volontà dell’avvocatura di introdurre una propria autoregolamentazione, quindi di autodisciplinarsi, a prescindere dalla promulgazione delle legge. Tale regolamento che pur non ha valenza di obbligatorietà, irreversibilità e automaticità, perché varato in via sperimentale, rappresenta dunque la prova tangibile della capacità dell’avvocatura di essere in grado di elaborare e governare, anche autonomamente, i cambiamenti che i nuovi tempi impongono. Fin dal Congresso straordinario di Torino del 2009, con espressa mozione congressuale, l’UCPI deliberava che se la politica si fosse arrestata nel percorso riformatore sarebbero stati gli avvocati penalisti italiani ad affermare essi stessi i principi della specializzazione, varando un proprio regolamento. Proprio dal palco di quel Congresso, il Presidente Alpa annunciava che se i penalisti avessero autonomamente introdotto i principi della specializzazione forense il CNF non avrebbe proposto nei loro confronti nessun procedimento disciplinare. Nel più ampio terreno della riforma professionale è proprio il tema della specializzazione quello che fa registrare la maggior soddisfazione per coloro che da sempre hanno profuso energie ed impegno per portare avanti una battaglia tesa valorizzare il ruolo dell’avvocato, sostenendo che soltanto un avvocato forte, capace, preparato, dunque “specializzato” possa assicurare una difesa effettiva. Nei mesi successivi, a fronte del lento incedere del Legislatore, l’UCPI preannunciava il proprio ultimatum, quello dell’introduzione autonoma della specializzazione, qualora i lavori sulla riforma forense non fossero ripresi entro la metà del mese di aprile. A seguire, perdurando l’inerzia dei lavori parlamentari, nel mese di maggio la Giunta UCPI licenziava il proprio rego- Il percorso, tuttavia, non è stato semplice. La specializza- 19 commenti Il secondo comma dell’art.3, ammonisce che “in nessun caso i settori di prevalente esercizio professionale possono intendersi come aree di specializzazione e giustificare l’assunzione da parte dell’avvocato del titolo di specialista”. lamento nella speranza di stimolare a quel punto il mondo politico ma anche la stessa avvocatura. A distanza di poche ore dalla comunicazione della forte iniziativa politica intrapresa dalla Giunta UCPI, anche le altre associazioni specialistiche adottavano analoghi regolamenti, inducendo l’intera avvocatura ad una chiara presa di posizione. Pochi giorni dopo, in nome dei principi della riqualificazione professionale dell’intera categoria, il CNF comunicava che si sarebbe dato inizio ai lavori per l’adozione di un regolamento sulla specializzazione forense che fosse di carattere generale e riguardasse l’intera avvocatura. Si giungeva dunque a licenziare il testo dell’attuale regolamento che annovera i principali capisaldi dell’impianto inizialmente elaborato dall’UCPI. Tuttavia, se in linea teorica la distinzione appare evidente, occorre diversamente dover ammettere che nella pratica potrebbe accadere che la spendita del titolo di specialista e l’indicazione della materia di attività prevalente potrebbero dal vita ad un messaggio potenzialmente decettivo ogniqualvolta l’indicazione della materia di attività prevalente risulti ambigua tanto da confondere e far supporre di essere difronte ad un avvocato specialista. Come chiaramente suggerito nella relazione di accompagnamento all’emanazione del regolamento “occorrerà, caso per caso, vagliare il potenziale decettivo dell’indicazione circa la materia di attività prevalente al fine di sanzionare adeguatamente il comportamento di chi, facendo leva su quanto il codice deontologico consente di indicare, crea per modalità e per il contenuto del messaggio, confusioni ed ambiguità. Queste conseguenze negative – da mettere in conto e che si potrebbe contribuire ad eliminare anche attraverso una revisione degli art. 17 e 17 bis del codice deontologico – costituiscono un costo certamente accettabile a fronte dei ben più gravi effetti distorsivi derivanti dall’autoproclamazione di competenza che la mancanza di un regolamento sulle specializzazioni potrebbe comunque generare”. Nella stessa relazione si legge peraltro che scopo del regolamento “ non è di creare aree di riserva a vantaggio di ristrette elite professionali; al contrario, è funzionale a tutelare l’affidamento del cittadino sulla professionalità dell’avvocato, favorendo al contempo, l’assunzione di saperi specialistici che sono, in quanto tali, garanzia di migliore qualità della prestazione”. Le aree di specializzazione sono complessivamente undici e sono espressamente individuate dall’art. 3 del regolamento, nel quale è altresì specificato che, l’avvocato può conseguire il titolo di specialista in non più di due aree tra quelle dallo medesimo articolo previste. E’ necessario precisare fin d’ora però che tale classificazione non ha carattere definitivo. La fase di sperimentazione che seguirà l’entrata in vigore del regolamento consentirà di vagliare la coerenza delle scelte così come effettuate e conseguentemente di apportare quegli aggiustamenti necessari, tanto che lo stesso regolamento ricollega tale previsione nella norma di chiusura dell’art. 14 secondo cui “entro un anno dell’entrata in vigore il Consiglio Nazionale Forense, sentiti i Consigli dell’Ordine degli avvocati e le associazioni specialistiche, potrà procedere, se necessario, alla revisione delle disposzioni del regolamento, con particolare riferimento alle aree di specializzazione”. Non solo accanto alla possibilità di revisione straordinaria dell’elenco delle specializzazioni a seguito dell’avvio della prima fase sperimentale, nel corso del primo anno della sua entrata in vigore (e quindi fino a tutto il 30 giugno 2012 I PUNTI CARDINE DEL REGOLAMENTO Oggetto del regolamento L’art. 1 del regolamento stabilisce che oggetto della sua disciplina sono i presupposti e le modalità per l’acquisizione del titolo di specialista e le condizioni per il suo mantenimento. L’articolo successivo stabilisce che “è avvocato specialista l’avvocato che ha acquistato in una delle aree dallo stesso regolamento indicate, una specifica e significativa competenza teorica e pratica, il cui possesso è attestato da un apposito diploma rilasciato esclusivamente dal Consiglio Nazionale Forense e che deve essere conservata nel tempo secondo il principio della formazione continua”. Occorre innanzitutto evidenziare come la disciplina oggetto del regolamento sulle specializzazioni si fonda su principi e criteri assolutamenti differenti rispetto a quelli riguardanti la materia prevista dal codice deontologico forense laddove all’art. 17 bis è consentita la possibilità per l’avvocato di dare indicazione circa “i settori di esercizio dell’attività professionale e nell’ambito di questi, eventuali materie di attività prevalenti”. I due ambiti restano infatti separati, essendo la specializzazione materia assolutamente diversa rispetto alla materia di attività prevalente. La specializzazione è, in primo luogo, espressione di una competenza specifica che pone l’avvocato riconosciuto specialista in una posizione di più elevata conoscenza ed abilità rispetto all’avvocato generalista. Per tale regione, la qualifica di avvocato specialista richiede un vaglio particolare della competenza, costantemente esercitato, che non si esaurisce con il positivo conseguimento del titolo. L’avvocato specialista è solo quello che ha acquisito, in una delle aree indicata dall’art. 3 del regolamento, una specifica e significativa competenza teorica e pratica: specifica perchè la conoscenza deve riguardare quella determinata area; significativa perchè non è sufficiente una conoscenza ordinaria, ma occorre un “sapere” superiore. 20 commenti Dunque, una volta conseguito, il titolo di specialista deve essere conservato. L’articolo 12 del regolamento invero disciplina un aspetto fondamentale della specializzazione, e cioè l’aggiornamento professionale specialistico. La conservazione Requisiti per conseguire e mantenere il titolo da del titolo presuppone l’adempimento degli obblighi formativi. specialista. Naturalmente la formazione di un avvocato specialista si differenzia da quella dell’avvocato generalista. Occorre peraltro L’art. 5 stabilisce i requisiti necessari per conseguire il precisare che seppur restano ferme, per quanto non esprestitolo di specialista. samente derogato dal regolamento sulla specializzazione, le Il primo comma di tale articolo, alla lettera a), prescrive disposizioni stabilite da quello sulla formazione continua, i l’aver maturato un’anzianità di iscrizione all’albo, inintercrediti formativi da conseguire nell’arco di un triennio, sono rotta, di almeno sei anni all’atto della presentazione della 120 per lo specialista mentre quelli dall’avvocato generalista domanda per sostenere l’esame presso il Consiglio Naziosono 90. Non solo, anche il limite minimo di crediti formanale Forense. tivi da adempiere nel singolo anno sale da 20 (per l’avvocato Nella lettera b) è previsto il requisito dell’assenza di generalista) a 30. Si rende necessario solo aggiungere che sanzioni disciplinari definitiva conseguente ad un compori crediti conseguiti per l’aggiornamento specialistico, sono tamento realizzato in violazione del dovere di competenza valutabili come crediti formativi per la formazione continua. e aggiornamento professionale, nei tre anni precedenti alla Infine i corsi per l’aggiornamento professionale in materia presentazione della domanda. specialistica possono essere organizzati esclusivamente dagli Alla lettera c), viene sancito l’ulteriore requisito secondo stessi soggetti abilitati a gestire ed organizzare le scuole ed i cui nei due anni precedenti la domanda non deve essere corsi e che siano iscritti nel relativo stata adottata a carico dell’interesregistro tenuto dal Consiglio Naziosato la sanzione di cui all’articolo per quanto costituisca uno dei nale Forense. Nel novero dei soggetti 6); in suo pregiudizio cioè non deve pilastri portanti per una solida abilitati figurano automaticamente i essere stata pronunciata la revoca ricostruzione e riqualificazione Consigli territoriali e le associazioni del titolo a causa dell’inadempimento dell’intera avvocatura, allo stato specialistiche, tra cui la stessa UCPI. degli obblighi di formazione continua In adempimento a quanto previprevisti dall’art. 12) quale condizione dell’arte, è ancora un cantiere sto dall’art. 7 del Regolamento sulle per il mantenimento della qualifica di aperto i cui lavori dovranno specializzazioni, l’UCPI si è dotata, fin specialista. continuare intensamente dal 8 febbraio 2010, di un proprio La lettera d) consente inoltre la Regolamento Scuole finalizzato a possibilità di conseguire il titolo per disciplinare l’attività di formazione e di qualificazione dell’avcoloro che hanno frequentato, proficuamente e continuativavocato penalista, attraverso l’istituzione di una Scuola Naziomente, per almeno un biennio, una scuola od un corso di alta nale di Formazione Specialistica dell’avvocato penalista, con formazione riconosciuti dal Consiglio Nazionale Forense e sede in Roma. tenuti da enti, o soggetti iscritti nel registro di cui al all’art.7), La Scuola di Alta Formazione per l’avvocato penalista, e di aver conseguito il relativo attestato non prima di due seppur istituita con largo anticipo rispetto al momento in cui anni rispetto alla data di presentazione della domanda. è stato emanato il regolamento sulle specializzazioni, risulta Da ultimo è necessario il superamento con esito positivo organizzata e strutturata proprio in conformità a quanto stadell’esame presso il Consiglio Nazionale Forense. bilito dall’art. 7 del citato regolamento. Gli avvocati che al momento dell’entrata in vigore del La frequenza delle scuole, o dei corsi di alta formazione regolamento hanno un’anzianità di iscrizione all’albo, contiche consente l’acquisto dell’attestato indispensabile, ai sensi nuativa, di almeno venti anni, possono acquisire il titolo di dell’art. 5 del regolamento in esame, per partecipare all’esame specialista, in non più di due delle aree previste dall’articolo 3, presso il Consiglio Nazionale Forense, deve avere una durata presentando al Consiglio Nazionale Forense, per il tramite del non inferiore a 200 ore nell’arco di un biennio, intendendosi Consiglio dell’Ordine di appartenenza, la domanda corredata per tale non il biennio solare ma quello scolastico/accadedalla documentazione e dai titoli idonei a comprovare una mico. La frequenza deve essere continuativa, e le eventuali specifica competenza teorica e pratica nel settore prescelto, assenze non possono essere superiori al 10% del monte di e laddove ritenuto necessario dal CNF, previo superamento ore complessivo e, quindi, a 20 ore durante il biennio. con esito positivo, di un colloquio vertente sulla documentaCome detto, però soltanto il Consiglio Nazionale Forense zione e sui titoli prescelti, presso lo stesso Consiglio. potrà attribuire il titolo di specialista previo superamento L’articolo 6 si incarica di chiarire che il titolo di specialidell’apposito esame e soltanto il titolo così conseguito potrà sta non è acquistato in via definitiva e stabile nel futuro; esso essere speso indicando la qualifica di specialista seguita infatti è soggetto a revoca. entrando il regolamento in vigore il 30 giugno 2011), è stata prevista la sorta di revisione ordinaria ogni quattro anni. 21 commenti manifestato il proprio dissenso. 1) Il Regolamento è stato adottato da un Consiglio Nazionale Forense i cui componenti erano al termine del mandato, in regime di prorogatio; inoltre già era noto (in conseguenza del meccanismo elettorale del C.N.F.) che ben 11 membri su 26 non erano stati confermati nell’incarico. Non vi è chi non veda l’inopportunità dell’approvazione di un regolamento di tale portata da parte di un organo scaduto, che oggi è già in attività nella sua nuova e diversa composizione. Ancor più inopportuna l’adozione si rivela nei confronti dell’avvocatura tutta, atteso che il 25 novembre 2010 si aprirà a Genova il XXX Congresso Forense, che, per Statuto, rappresenta il più elevato livello decisionale dei professionisti forensi. Il Regolamento, prima della sua adozione, andava sottoposto al dibattito congressuale, vieppiù se si considera che il C.N.F., il quale enfatizza di avere intrattenuto un confronto costante con Ordini e Associazioni, in realtà non ha minimamente ascoltato le critiche ed i suggerimenti provenienti non solo da associazioni generaliste, ma anche da molti Consigli degli Ordini. 2) E’ posizione diffusa e convinta che il C.N.F. non abbia potere regolamentare sull’avvocatura, perché è impossibile introdurre con regolamento novità - quale quella delle specializzazioni forensi - del tutto sconosciute alla legge. Legge professionale n. 1578 del 1933 che, attualmente, non le prevede dato che all’art. 91 recita “Alle professioni di avvocato e procuratore non si applicano le norme che disciplinano la qualifica di specialista nei vari rami di esercizio professionale”. Orbene, nel sistema vigente nessuna norma primaria attribuisce al C.N.F. potere regolamentare, neppure l’art. 2, comma 3, del d.l. 4.7.2006 n. 223, convertito in legge 4.8.2006 n. 248 (decreto Bersani) o gli artt. 12, 1° comma e 38, 1° comma, della legge professionale. D’altra parte se il C.N.F. fosse già titolare di potere regolamentare perché mai lo stesso C.N.F. nel disegno di legge di riforma della professione forense avrebbe scritto l’art. 8, unico dato normativo, peraltro in fieri, di disciplina della specializzazione? Il fatto è che quanto deliberato dal C.N.F. il 24 settembre 2010 non ha neppure contenuto regolamentare. Infatti se è vero che il regolamento è una fonte normativa secondaria volta a dare attuazione pratica ed a definire gli aspetti secondari di regole poste da norme primarie, ne consegue che esso non può inventare e disciplinari fenomeni sconosciuti alla legge. Pertanto, se la legge professionale non conosce le specializzazioni va da sé che un regolamento non le può disciplinare. Ciò nonostante, il provvedimento del C.N.F. introduce una disciplina del tutto nuova, perché determina specializzazioni, fissa i requisiti di attribuzione e revoca del titolo e giunge, persino, a rilasciare diplomi e titoli, cosa che compete dall’area di riferimento. Si è più volte fatto cenno al fatto che l’entrata in vigore del presente regolamento risulta differita al 30 giugno 2011 e che lo stesso è varato in via sperimentale, e in quanto tale, sarà soggetto ad una prima revisione con particolare riferimento alle aree di specializzazione entro un anno dalla sua entrata in vigore, quindi entro il 30 giugno 2012, e successivamente ad una revisione ordinaria quadriennale. L’esigenza di tale costante vaglio e dunque della sua tenuta deriva dall’oggettiva consapevolezza delle enormi difficoltà che la materia oggetto di regolamentazione incontrerà nella prassi applicativa, dell’esistenza di eventuali lacune, di difetti di coordinamento tra le parti del regolamento, o tra questi e altri fonti disciplinari esterne, dalle intuibili necessità di completamento della disciplina regolamentata. In conclusione occorre ancora volta ribadire quanto più volte sottolineato e cioè che il presente Regolamento per quanto costituisca uno dei pilastri portanti per una solida ricostruzione e riqualificazione dell’intera avvocatura, allo stato dell’arte, è ancora un cantiere aperto i cui lavori dovranno continuare intensamente, facendo comprendere soprattutto ai più giovani che quello della specializzazione non è una punizione ma una risorsa. Avv. Maria Rosaria Nicoletti Camera Penale di Parma SPECIALIZZAZIONI: TUTTO DA RIFARE Il Consiglio Nazionale Forense, nella sua ultima seduta amministrativa, ha approvato il 24 settembre scorso un Regolamento per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista che ha dato la stura ad un accalorato dibattito in ordine alla opportunità della sua adozione, al riconoscimento o meno in capo al C.N.F. del potere regolamentare ed alle soluzioni di merito individuate. Preliminarmente, onde evitare fraintendimenti, occorre premettere che tutti gli Ordini e le Associazioni forensi, sia generaliste che specialistiche, quindi anche la Associazione Nazionale Forense, riconoscono l’utilità di un percorso di specializzazione che tuteli il cittadino consentendogli di rivolgersi ad un professionista dotato di competenza ed esperienza in particolari aree del diritto. I contrasti concernono il percorso da seguire e l’intento, diciamo così, di evitare che il Regolamento si presti al perseguimento di fini secondari di non poco rilievo. E veniamo ai punti sui quali Associazione Nazionale Forense, cui aderisce la Associazione Forense di Parma, ha 22 commenti (si pensi, per il diritto penale, ai reati ambientali, a quelli finanziari, a quelli urbanistici, a quelli societari, fallimentari, a quelli in materia di sicurezza sul lavoro, ecc…., ovvero, per il diritto amministrativo, all’area del pubblico impiego, a quella urbanistica, a quella degli appalti pubblici, a quella elettorale, ecc….). 4) La amara conclusione di queste riflessioni è che il Regolamento sulle specializzazioni, che, qualora fosse attuato, condizionerebbe pesantemente le regole del mercato forense, così com’è non giova né al cittadino né all’avvocatura. Giova, forse, al C.N.F., che, pur avendolo adottato sotto la veemente spinta delle associazioni forensi specialistiche, tenta di rivendicare, attraverso l’esplicazione di un potere regolamentare che non ha, un ruolo apicale nel mondo ordinistico che la legge professionale vigente non gli riconosce. Giova, senza dubbio, alle associazioni forensi specialistiche, che, attraverso la posizione di privilegio che il Regolamento loro attribuisce nell’attività di formazione, tentano di accrescere la loro visibilità e, perché no, le loro fonti economiche, visto che quattro di esse (che raggruppano giuslavoristi, penalisti, tributaristi e avvocati per la famiglia e per i minori) hanno tempestivamente costituito la Gnosis forense s.r.l. nel cui oggetto sociale rientra la “gestione…… delle attività e dei servizi necessari alla realizzazione ed al funzionamento delle scuole forensi nazionali di alta formazione per la specializzazione professionale” e hanno definito le modalità di ripartizione degli utili. Per porre ordine nella complessa situazione creatasi è necessario che il C.N.F. revochi il Regolamento e, che, comunque, la materia venga regolata per legge. avv. Paolo Zucchi presidente della Associazione Forense di Parma solo agli enti pubblici o parificati dal Ministero della Università e della ricerca. Pertanto, il Regolamento per riconoscere il titolo di avvocato specialista, allorché introduce aspetti non contemplati dalla legge, non solo si pone quale regolamento che esula dalla disciplina, ma perde anche la sua natura di regolamento, cioè di atto di attuazione, per proporsi come vero e proprio atto normativo. Il C.N.F., ben consapevole che la Corte di Cassazione (sez. un. 20.12.2007 n. 26810) gli ha riconosciuto potere regolamentare in materia disciplinare, riconduce anche il Regolamento sulle specializzazioni al tema della deontologia, ma avere potere regolamentare non significa avere potere normativo. Inoltre un regolamento deontologico/disciplinare si deve limitare a identificare e precisare le regole esistenti e abitualmente già applicate, mentre con il Regolamento in esame è stato innovato l’assetto professionale. 3) Vari punti della regolamentazione delle specializzazioni non sono condivisibili; ne esaminiamo, per brevità, solo alcuni. Innanzitutto un C.N.F. onnipresente: redige il Regolamento con il quale fissa le regole, organizza le scuole di alta formazione, nomina le commissioni d’esame nelle quali si riserva il maggiore numero di commissari e, infine, conferisce il titolo con rilascio di apposito diploma. Insomma, fa tutto, con buona pace del principio di terzietà. Vi è poi un illogico e ingiustificato favore verso le associazioni forensi cosiddette specialistiche che si manifesta, da un lato, prevedendo requisiti, per l’iscrizione nell’elenco delle associazioni tenuto dal C.N.F., che si attagliano solo alle specialistiche e, dall’altro, nel riconoscere loro, automaticamente, il diritto a organizzare le scuole di formazione la cui frequenza è obbligatoria per il conseguimento della specializzazione e, in seguito, per il suo mantenimento attraverso la formazione continua. Pare, invece che, come prevede l’attuale bozza dell’art. 8 del d.d.l. di riforma della professione forense, debbano essere assicurati la libertà e il pluralismo dell’offerta formativa specialistica. Occorre rivedere l’elenco delle specializzazioni, che, numericamente limitato com’è oggi, impedisce di acquisire il titolo di specialista agli avvocati, i quali, pure operando in materie specialistiche, non vedano inserita nell’elenco delle specializzazioni l’area di diritto da loro praticata. Infine, non si comprende come mai siano state previste tra le specializzazioni talune aree del diritto civile (considerato nella sua interezza una macro area), quali il diritto di famiglia, quello della responsabilità civile e delle assicurazioni, della concorrenza, il diritto commerciale, ecc….., mentre per il diritto penale e per quello amministrativo non sono state individuate aree di specialità, nonostante si tratti di macro aree del diritto che hanno in sé plurime speciali discipline LA SFIDA DELLA SPECIALIZZAZIONE A tre anni dall’introduzione della disciplina sulla formazione continua, il Consiglio Nazionale Forense prosegue, e di fatto completa, il percorso volto all’innalzamento ed alla certificazione del livello qualitativo d’esercizio della professione. Lo fa strutturando un sistema a percorsi volontari di specializzazione ed alta formazione nelle principali branche dell’ordinamento basato su quattro presupposti: l’avvenuta acquisizione -da parte del professionista già formato- di una competenza teorica e pratica in una materia specifica dell’ordinamento; il perfezionamento di tale competenza con la frequenza effettiva di un corso di alta formazione riconosciuto; l’ottenimento del titolo di avvocato specialista tramite il superamento di apposita prova di valutazione; il man- 23 commenti debbano essere tenuti esclusivamente dagli enti lì elencati. In sostanza, agli organi istituzionali dell’avvocatura (CNF e Consigli dell’ordine, anche per il tramite di appositi enti da essi costituiti) ed alle figure associative di settore aventi rilievo Tale sistema ha come primo risultato evidente quello di nazionale si affiancheranno tutti i soggetti commerciali privati istituzionalizzare quella settorializzazione che è ormai ineviche svolgano attività di formazione. L’apertura dell’attività di tabile realtà della nostra professione (come di tante altre). formazione a questi ultimi non è di per sé un problema (ma, Esso dovrebbe portare - almeno nelle intenzioni - all’emerpiuttosto, un arricchimento qualificato dell’offerta formativa) sione ed al riconoscimento delle eccellenze professionali che ed è comunque resa inevitabile dai vincoli di concorrenza l’avvocatura sa esprimere, determinando, da un lato, la protecomunitaria, come ben evidenziato nella relazione d’accomzione dell’affidamento del cittadino e, dall’altro, consentendo pagnamento al regolamento. Ciò che invece può rappresenai giovani (in tesi, più disposti e motivati all’impegno dell’alta tare e determinare il fallimento della riforma è l’eventuale formazione) di poter recuperare spazi di attività in un sistema (e non auspicata) incapacità dei soggetti, per così dire, istituche oggi frustra e disperde le qualità di tanti. zionali ad assolvere il proprio ruolo di affiancamento ai privati. Se il CNF stesso ed i Consigli territoriali non saranno Le finalità e le intenzioni sono certamente apprezzabili, in grado di dotarsi per tempo ed efficacemente di adeguate per non dire doverose e l’opera che ad esse si diriga è cerstrutture formative, di valorizzare, sensibilizzare ed orgatamente benvenuta. Ci si deve tuttavia interrogare - al di là nizzare le forze e le risorse interne delle pur legittime e forse fondate cridell’avvocatura, di porre in essere tiche circa il potere del CNF di discici si deve interrogare - al di relazioni solide e strutturate tra essi plinare la materia in oggetto - sulla là delle pur legittime e forse ed altri organismi deputati alla formaeffettiva utilità ed adeguatezza del fondate critiche circa il potere zione (in primis le Università), si sarà regolamento emanato rispetto alle del CNF di disciplinare la inevitabilmente rinunciato alla finalità problematiche su cui esso intende principale della riforma: quella di conincidere. È evidente, infatti, (e, cremateria in oggetto - sulla sentire a tutti, ed ai giovani colleghi diamo, lo sia anche al CNF) che le effettiva utilità ed adeguatezza in particolare, di poter accedere al difficoltà dei giovani colleghi e, più in del regolamento emanato sistema. È fin troppo evidente, infatti, generale, dell’avvocatura e della giurispetto alle problematiche su come i costi imposti dai soggetti pristizia italiana richiedano interventi cui esso intende incidere vati (coerentemente con le legittime ulteriori e di maggiore incisività sulla finalità imprenditoriali), se non adestruttura del sistema. Banalmente, guatamente bilanciati con un’offerta “istituzionale” di minor volendo rimanere nel tema della competenza e della formaimpatto economico, escluderà dalla specializzazione proprio i zione dei giovani, su ben altre premesse e fondamenta poggiovani, primi destinatari di essa. In questo scenario (negativo, gerebbero la formazione continua e la specializzazione se ma per nulla improbabile) si arriverebbe paradossalmente a vi fossero a monte collegamenti più stretti tra l’avvocatura, creare quelle “aree di riserva a vantaggio di ristrette elite profesla magistratura ed il mondo universitario. Collegamenti - e, sionali” che lo stesso regolamento vorrebbe escludere e che, perché no, positive pressioni da parte della categoria - tali da peraltro, coinciderebbero con la platea di quanti già oggi sono porre un minimo rimedio ad un insegnamento universitario in posizioni di eccellenza (e vantaggio). Con facilità, quindi, il che oggi produce con lenta inefficienza un sapere teorico titolo perderebbe di valore e rilevanza. molto spesso superficiale e volatile (e che mai si trasforma in un principio di “saper fare”). Condizione che costringe i Il problema si ripropone se si esamina l’art. 12, comma giovani a spendere anni nel rincorrere un’alta formazione che 7, del regolamento. Questo attribuisce ai medesimi soggetti già avrebbero potuto (e dovuto) ricevere. riconosciuti lo svolgimento in via esclusiva della formazione professionale continua degli specialisti. Data l’ampiezza degli In mancanza, dunque, di più pregnanti interventi di sistema ambiti di specializzazione ciò significherà attribuire a tali sog(alla cui prova era atteso anche il recente Congresso Naziogetti la gran parte della formazione professionale continua nale), il tanto o il poco che il regolamento sulle specializdell’avvocatura una volta entrato a “regime” il sistema (ossia zazioni potrà apportare all’avvocatura dipenderà, anzitutto, in presenza di un numero elevato di specialisti, la qual cosa dalle modalità effettive con cui esso verrà attuato. del resto dovrebbe essere l’obiettivo della riforma). Anche in Dalla nuova disciplina risulta evidente che il principale e tale ambito, dunque, gli organi di servizio - i Consigli territopiù delicato ingranaggio del sistema risiede nei soggetti che riali su tutti - dovranno necessariamente assumere un ruolo saranno deputati all’attività di formazione specialistica. L’arnon marginale nella copertura della domanda formativa per ticolo 7 del regolamento prevede che i corsi biennali di pregarantire che il titolo di specialista, una volta ottenuto, non parazione all’esame per l’ottenimento della specializzazione tenimento nel tempo dell’alta competenza specialistica per mezzo di un’intensa ed effettiva formazione continua. 24 commenti si trasformi da vessillo in pesante croce (con tutte le conseguenze già dette). Gli stessi Consigli saranno poi chiamati ad un supplemento di oneri nell’attività di controllo degli obblighi formativi degli iscritti. Il regolamento introduce di fatto una distinzione tra crediti specialistici e crediti “ordinari”, che si somma a quella oggi esistente tra i secondi ed i crediti deontologici e che richiederà una migliore struttura di “recording” e gestione dei dati relativi alla formazione. I) PREMESSA. Nelle tre bozze che hanno scandito l’iter di approvazione del Regolamento, i più grandi ripensamenti hanno interessato l’art. 3 relativo all’Elenco delle specializzazioni. Ripensamenti che non hanno riguardato solamente le materie specialistiche ma anche, e forse soprattutto, la scelta politica di fondo. Pur riconoscendosi la difficoltà di individuare, nella elencazione delle materie, un criterio sufficientemente oggettivo ed univoco, la sensazione è che, cammin facendo, si sia un po’ perduto di vista un principio fondamentale che era stato invece tenuto ben presente nella prima stesura del Regolamento e cioè quello della gradualità (e quindi di partire da una individuazione di macroaree, per giungere, se del caso, solo in un secondo tempo, all’individuazione di ulteriori specializzazioni). Principio che, per uno stravolgimento così epocale del modo di svolgere la professione come le specializzazioni avrebbe forse meritato una maggiore e prioritaria considerazione. Infatti l’individuazione, già ab initio, di alcune aree molto limitate, secondo le indicazioni pervenuteci da numerosi avvocati, verrebbe vista più come una limitazione della propria attività professionale che non come una opportunità di sviluppo della medesima attività. Ma tant è. Una scelta doveva essere fatta ed il CNF l’ha fatta, decidendo di appellarsi al canone aristotelico del giusto mezzo ed individuando così nel compromesso tra il sistema tedesco, basato su poche aree e quello francese, caratterizzato da una più accentuata frammentazione, la più giusta via d’uscita. Incidentalmente, peraltro, non si può non rilevare che in Francia, in ossequio al principio di gradualità sopra richiamato, si è arrivati alla frammentazione di cui si da atto nella Relazione accompagnatoria solamente dopo dieci anni. Nel 1993 infatti le aree specialistiche erano appena 15 ed erano più generaliste e solo nel 2003 sono diventate 29 quando, nell’ambito di alcune delle macroaree precedentemente individuate, sono stati ritagliati degli champs du competence più ristretti. Questa doverosa e sintetica premessa si riallaccia ad alcune modifiche al Regolamento che l’Unione Nazionale delle Camere Civile ritiene necessario sottoporre a codesto Consiglio Nazionale Forense per una adeguata ponderazione ai fini del relativo inserimento nel testo prima della entrata in vigore del Regolamento fissata al giugno 2011. Attorno ai descritti problemi generali ruotano poi le perplessità su parti specifiche della struttura del sistema. Dalla individuazione delle materie di specializzazione soggette a revisione periodica alle modalità con cui dovrebbe essere gestito l’esame d’abilitazione specialistica non mancano le ragioni di ripensamento. Proprio in merito alla prova d’esame, il regolamento e la sua relazione d’accompagnamento non precisano, ad esempio, le modalità temporali di effettuazione di quella. Ad una prima lettura della norma e della relazione le commissioni d’esame dovrebbero essere permanenti. Il ché (questo l’auspicio) dovrebbe portare ad una più elevata cadenza periodica delle prove, evitando così di replicare quelle distorsioni, anche organizzative, dell’annuale esame di Stato d’abilitazione. Non si chiarisce poi se il candidato respinto all’esame possa nuovamente sostenerlo (quantomeno entro la scadenza del termine biennale dal conseguimento dei requisiti per accedervi). In definitiva, la riforma sulle specializzazioni rappresenta per l’avvocatura e per i suoi organi di servizio una sfida d’efficienza che, anche nel nostro ambito locale, non è priva d’incognite. L’auspicio è quindi quello di una stretta e fattiva collaborazione tra il Consiglio, le associazioni e le altre istituzioni cittadine per far sì che il regolamento sviluppi tutte le proprie potenzialità, magari rendendo concretamente operativa e strutturata quella fondazione da poco istituita che dovrebbe rappresentare il corpo fisico di tale unione di forze. Stefano Squarcina Presidente Associazione Giovani Avvocati di Parma Lorenzo Bianchi Consigliere del Direttivo Associazione Giovani Avvocati di Parma RELAZIONE ACCOMPAGNATORIA ALLE PROPOSTE DI MODIFICA DELL’U.N.C.C. DEL REGOLAMENTO SULLE SPECIALIZZAZIONI II) MODIFICA DELL’ART. 3 CON RICHIESTA DI INSERIMENTO TRA LE AREE SPECIALISTICHE DEL DIRITTO IMMOBILIARE, DELLE SUCCESSIONI, DEL DIRITTO DELLE OBBLIGAZIONI E DEI CONTRATTI, DEL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO Si chiede prioritariamente al CNF di considerare come La Camera civile di Parma ha fatto pervenire un corposo documento comprensivo di puntuali modificazioni del Regolamento, presentate al XXX Congresso. CRONACHE è in grado di pubblicare la sola relazione accompagnatoria: 25 commenti essere sempre individuate con denominazioni tecniche, facendo riferimento solo a codici, libri, discipline universitarie o singoli articoli, ma anche in relazione a beni ed interessi omogenei ed affini. Né (le specializzazioni) possono essere intese come compartimenti stagni essendo pienamente ammissibile per non dire fisiologico che un dato istituto o fattispecie, come quella degli appalti (privati) per fare un solo esempio, possa far parte sia dell’area diritto commerciale che di quella del diritto immobiliare. Con l’individuazione di questa ulteriore area ci pare che si verrebbe a colmare una lacuna nelle aree elencate nell’art. 3 che vede nel libro III e, in parte, con riferimento ai contratti, nel libro IV, il suo riferimento codicistico. In Francia il diritto immobiliare è incluso nelle materie specialistiche fin dalla prima elencazione del 1993. chi si occupa di contrattualistica, da intendersi sia come gestione del contenzioso legato ai contratti ed alle obbligazioni in generale sia come attività stragiudiziale di redazione di contratti tipicamente civilistici, non può essere considerato un avvocato generalista. Un corso di 200 ore pare più che sufficiente a preparare, rectius, a specializzare un avvocato sia nella parte generale delle obbligazioni sia nella parte speciale relativa ai singoli contratti. Il contrattualista nella realtà italiana è una figura professionale ben identificata ed assolutamente accreditata, anche alla luce della sempre maggiore necessità di non rinchiudere l’attività professionale nell’ambito del solo contenzioso, ma di estenderla, il più possibile, all’attività di consulenza a favore dell’impresa e del cittadino. c) chi si occupa di successioni è anch’egli, di certo, uno specialista. Il diritto successorio è materia ampia e complessa cui il Codice Civile dedica un intero Libro. Al riguardo, non può essere un caso che, rispetto alla originaria denominazione della macrorea ‘Diritto di Famiglia’ della prima versione del Regolamento, sia scomparsa in sede di stesura definitiva la specificazione “e dei patrimoni” lasciando il posto a quella “e dei minori”. d) chi si occupa infine di diritto internazionale è e deve poter essere a pieno diritto e titolo un avvocato specialista. In buona sostanza, l’incompletezza e lacunosità dell’attuale elencazione si scorge laddove il diritto civile viene prima (e forse giustamente) considerato troppo ampio per poter costituire una specializzazione tout court, ma, poi, non se ne traggono le dovute conseguenze non prevedendosene, nell’ambito dell’art. 3, una adeguata scomposizione in tutte le sue articolazioni ma solo in alcune (responsabilità civile e delle assicurazioni). La scelta di riconoscere al diritto penale e al diritto amministrativo la dignità di autonome aree specialistiche, senza alcuna distinzione al loro interno, non può in definitiva urgente la revisione delle aree specialistiche inserite nell’art. 3 del Regolamento nell’ambito delle quali il diritto civile ‘classico’ recita il ruolo del grande ed ingiustificato assente. Trattasi di modifica che non può attendere la fase sperimentale transitoria perché, già nell’immediatezza, non può essere accettato e condiviso che una parte consistente dell’Avvocatura, ed anzi la più numerosa in assoluto, e cioè quella dei cosiddetti civilisti, venga privata del diritto e dell’opportunità di specializzarsi anch’essa e fin da subito in determinate materie. Il rimanere generalisti, infatti, deve essere una libera scelta, anche di opportunità se vogliamo; ma non può evidentemente essere una “costrizione” legata alla mancata previsione di aree specialistiche distribuite omogeneamente ed equamente in tutto il mondo del diritto, sia esso vivente sia esso codificato. Ciò detto, nella Relazione accompagnatoria si motiva la mancanza (in realtà, la soppressione) del diritto civile affermandosi che “per quanto riguarda gli ambiti collegati alla macroarea del diritto civile non si è ritenuto di identificarla come oggetto di possibile specializzazione in quanto tale, trattandosi di settore troppo vasto e rispetto al quale la stessa suddivisione in sei libri del codice civile, segnala la complessità e la sua articolazione in ambiti dotati di propri caratteri distintivi”. La motivazione può essere, in senso assoluto, accettabile. Lo è certamente meno in senso relativo ove cioè si abbia riguardo, da un lato, al diverso trattamento riservato ad altre macroaree (quali il Diritto Penale ed il Diritto Amministrativo) – rispetto ai quali la motivazione fornita circa la diversa e maggiore vis attractiva del rito non appare convincente, anche alla luce dell’imminente provvedimento legislativo in materia di unificazione dei riti nel civile– e, dall’altro lato, alla mancata e consequenziale previsione, nell’ambito del Diritto Civile, di tutte le aree di cui esso si compone. Nello specifico e venendo al concreto delle modifiche richieste. chi si occupa nella propria attività professionale di problematiche connesse alla proprietà immobiliare ed agli altri diritti reali su beni immobili ed al Condominio (e così, esemplificativamente, di appalti, vendite immobiliari, locazioni, mediazione immobiliare piuttosto che di distanze e confini, piuttosto che delle azioni petitorie o possessorie a tutela di quei diritti nonchè delle problematiche legate al condominio) non può essere considerato un avvocato generalista o, se si preferisce, non può essere privato dell’opportunità di acquisire la qualifica di specialista in tali materie. L’espressione Diritto Immobiliare ci pare sia la più idonea ad identificare ed insieme delimitare tali competenze. A prevenire possibili obiezioni, non deve preoccupare né l’atecnicità della denominazione di diritto immobiliare né la parziale interferenza con altre aree. Le specializzazioni infatti - e lo dimostrano sia l’ordinamento francese che quelle tedesco - non possono infatti 26 commenti non trovare un giusto e ragionevole contrappeso nel riconoscimento al diritto civile ‘scomposto’ di eguale dignità di area specialistica. Non è un caso che questa palese disparità di trattamento sia già stata denunciata avanti la Giustizia amministrativa ove è stata prospettata come una vera e propria lesione degli interessi legittimi di una parte consistente della categoria. A quest’ultimo riguardo, l’Unione Nazionale delle Camere Civili, benché evidentemente interessata, ha ritenuto non solo di non intervenire nel procedimento pendente avanti il TAR Lazio – preferendo il dialogo ed il sereno confronto con il CNF – ma anche di manifestare pubblicamente il proprio sostegno al CNF ed al Regolamento salvo chiederne, nell’ambito di un confronto costruttivo extragiudiziale, le opportune modifiche. Si chiede, altrettanto prioritariamente, che vengano modificati gli artt. 7 e 11 che essendo intimamente legati l’uno all’altro vengono qui trattati, per comodità, congiuntamente. L’art. 11 - almeno così come è scritto – equivoca, equiparandole di fatto, tra le Associazioni costituite tra Avvocati specialisti a le Associazioni, quale l’UNCC, l’UCPI, l’AIAF etc, che hanno già ricevuto in sede Congressuale il riconoscimento di Associazioni Forensi maggiormente rappresentative. Il fatto che il Congresso abbia effettuato un riconoscimento ‘politico’ di queste Associazioni nulla toglie al fatto che tali associazioni si sono costituite e diffuse capillarmente sul territorio nazionale raccogliendo iscritti che esercitano, quantomeno prevalentemente, la loro attività professionale nei settori del diritto civile, del diritto del lavoro, del diritto penale, di famiglia e via dicendo. Ciò detto, l’art. 11 è formulato attualmente in maniera tale da ingenerare confusione e possibili equivoci che è bene che vengano immediatamente rimossi. In primo luogo, Associazioni come l’Unione delle Camere Civili e, si crede, anche le altre Associazioni specialistiche, non potranno mai essere, neppure in futuro, associazioni ‘costituite tra avvocati specialisti ’ almeno nel senso voluto dal presente Regolamento. Una parte più o meno ampia degli avvocati iscritti all’Unione Camere Civili (o all’UCPI o alla SIAA), infatti, e sono migliaia, pur rimanendo “civilista” (o penalista o amministrativista) sceglierà certamente di rimanere formalmente ‘generalista’. Ma questo non può evidentemente pregiudicare il riconoscimento a dette Associazioni della qualifica di Associazioni specialistiche seppur in senso più ampio rispetto alla definizione offerta dal Regolamento. In secondo luogo, queste Associazioni maggiormente rappresentative non possono evidentemente prevedere come ‘unica finalità’ la promozione del profilo professionale, la formazione e l’aggiornamento specialistico dei suoi iscritti così e come attualmente prescritto dall’art. 11 comma 4 lettera a. Questa condizione, quindi, può e deve essere riferita unicamente alle nuove Associazioni specialistiche e cioè quelle che si costituiscono appositamente per organizzare loro eventuali scuole e corsi. In terzo luogo, che anche le Associazioni specialistiche maggiormente rappresentative debbano soggiacere alla verifica circa la permanenza dei requisiti di diffusione territoriale e rappresentatività pare un controsenso rispetto al riconoscimento congressuale da tempo effettuato. Anche in questo caso, quindi, è evidente che tale requisito sia stato pensato per le differenti Associazioni ‘costituite tra avvocati specialisti’ e che non possa dunque essere esteso anche a quelle maggiormente rappresentative essendo a suo tempo già stata appurata ed approvata la loro rappresenta- III) MODIFICA DEGLI ART. 7 E 11 CON RICHIESTA DI RIFORMULAZIONE LETTERALE DEGLI ARTICOLI NELLE PARTI IN CUI VENGONO EQUIPARATE LE ASSOCIAZIONI SPECIALISTICHE MAGGIORMENTE RAPPRESENTATIVE CON LE ASSOCIAZIONI COSTITUITE FRA AVVOCATI SPECIALISTI. 1 1 questa parte di relazione si riferisce solo alla proposta 1) riportata nella tavola sinottica (omessa nella presente pubblicazione) IV) MODIFICA DELL’ART. 12 CON RICHIESTA DI RICONOSCIMENTO, AI FINI DEL MANTENIMENTO DEL TITOLO DI AVVOCATO SPECIALISTA, DEGLI EVENTI ORGANIZZATI ANCHE DALLE ARTICOLAZIONI TERRITORIALI DELLE ASSOCIAZIONI SPECIALISTICHE MAGGIORMENTE RAPPRESENTATIVE PURCHE’ ACCREDITATI E RICONOSCIUTI COME ADEGUATI ALLO SCOPO DAI C.O.A. E/O DAL CNF. L’impostazione data dal CNF al Regolamento sulle specializzazioni è condivisibilmente rigorosa. Occorre tuttavia evitare che questo rigore non porti all’ ‘ingessatura’. E quindi che le specializzazioni naufraghino in quanto gli avvocati si trovino di fronte ad un sacrificio eccessivo in termini di costi e di tempo, oltre che di studio. Ciò premesso, relegare solamente ai ‘corsi’ la formazione continua appare forse inopportuno in quanto eccessivamente restrittivo. Anche eventi formativi diversi dai corsi, infatti, possono essere funzionali allo scopo, non di specializzarsi, si intende, ma di mantenere la specializzazione conseguita. Che è cosa ben diversa. Secondariamente, in nome del pluralismo più volte richiamato nella Relazione Accompagnatoria, è certamente opportuno che anche le sezioni territoriali delle Associazioni specialistiche Nazionali possano validamente organizzare eventi idonei al mantenimento del titolo di specialista. Ove così non fosse infatti, oltre a tradire il richiamato principio del pluralismo si verrebbe a creare una ingiustificata discrasia rispetto a quanto riconosciuto nel Regolamento sulla Formazione continua del 13 luglio 2007. Naturalmente, perché un evento locale di Associazioni possa essere considerato valido per il mantenimento del diploma di specialista occorrerà che, con le stesse competenze descritte nell’art. 3 comma 3 del Regolamento del 2007, che lo stesso venga espressamente riconosciuto come adeguato allo scopo dai COA piuttosto che dal CNF. 27 commenti anche quale opportunità, soprattutto per i più giovani, di acquisizione di nuove competenze e conseguentemente di nuovi spazi di mercato. Tale posizione è stata anche di recente ribadita in una specifica mozione votata al Congresso straordinario dell’Associazione tenutosi a Bari il 23-24 ottobre 2010. E’ quindi apprezzabile e condivisibile lo spirito che ha indotto il CNF ad emanare il regolamento sulle specializzazioni e le ragioni dallo stesso addotte, quelle di dare un “segnale forte” alla classe politica che si è rivelata incapace di portare a compimento l’iter di approvazione della legge professionale forense in tempi rapidi, nonostante l’impegno preso pubblicamente dal Ministro Guardasigilli in varie occasioni, anche a Parma durante l’ultimo Congresso Nazionale delle Camere Penali, di una rapida approvazione della nostra legge professionale allorché l’Avvocatura gli avesse fatto pervenire un progetto organico, condiviso ed unitario. Tale progetto venne alla luce, fu il frutto di una buona mediazione tra le diverse posizioni espresse dalle componenti istituzionali e associative dell’Avvocatura, e venne consegnato agli organi politici ma, ad oggi, risulta essere ancora all’esame della Commissione giustizia del Senato, dove è sottoposto giornalmente ad emendamenti che ne muteranno fatalmente l’originario articolato. Ciò posto, l’Aiga non può non manifestare alcune perplessità su alcune scelte operate dal regolamento che appaiono ingiustificate e oltre modo penalizzanti per la componente più giovane dell’Avvocatura. Si tralascierà volutamente in questa sede, anche per ragioni di necessaria sintesi, la questione pregiudiziale attinente alla sussistenza del potere in capo al CNF di regolamentare l’esercizio della professione forense e del fondamento di tale potere, in assenza di una specifica norma di rango legislativo, quale quella contenuta nell’art. 8 del d.d.l. all’esame del Senato, che espressamente attribuisce tale potere al CNF, e che, se risultasse fondata, inevitabilmente travolgerebbe l’intero regolamento. Più di un dubbio è stato sollevato in proposito in considerazione del fatto che nella vigente legge professionale (R.D.L n. 1578/1933) non è contenuto alcun cenno alle specializzazioni forensi ed il regolamento emanato riguarda una materia che è destinata ad incidere direttamente ed immediatamente sulla attività professionale di tutti gli avvocati e non solo sotto il profilo deontologico. Una cosa infatti è la “pubblicizzazione” del titolo di specialista, altra cosa sono le condizioni e le procedure per il conseguimento, per il mantenimento e per l’utilizzo dello stesso. Venendo all’esame nel merito del regolamento approvato dal Consiglio Nazionale Forense le osservazioni critiche che potrebbero farsi sono diverse ma si cercherà di focalizzare l’attenzione solo su alcuni aspetti che, a nostro parere, appaiono maggiormente penalizzanti per gli avvocati più giovani. Il primo aspetto riguarda la previsione, tra i requisiti indi- tività. Le modifiche proposte agli artt. 7 ed 11 vanno quindi nel senso certamente voluto dai redattori del Regolamento proponendosi per l’appunto di distinguere chiaramente tra le Associazioni specialistiche maggiormente rappresentative e le Associazioni costituite tra avvocati specialisti. Restano naturalmente fermi per entrambe, senza alcuna discussione: a) i controlli sia preventivi che di sorveglianza sulla qualità delle scuole e dei corsi; b) il divieto di rilasciare attestati di competenza professionale. Quanto all’ulteriore appunto riguardante la modifica dell’art. 7 comma 4 lettere a) e b), la proposta di eliminare CNF ed Ordini, singoli o associati, dal novero degli organismi abilitati all’organizzazione delle Scuole e dei Corsi di specializzazione, non vuole certo rappresentare (e non deve quindi essere intesa) né un atto di sfiducia nei confronti del Consiglio Nazionale Forense e degli Ordini territoriali né un atto di presunzione o di arroganza di questa Associazione. Ci limitiamo solamente ad osservare, affinché il Consiglio effettui ogni miglior valutazione sul punto e provveda ai correttivi ritenuti più confacenti, che cumulare in capo ad uno stesso soggetto i ruoli e le funzioni di ‘giocatore’ – ci si riferisce all’organizzazione delle Scuole - e di ‘arbitro’ – ci si riferisce ai poteri di vigilanza sulle scuole e, financo, sulle altre associazioni ed organismi deputati ad organizzare le scuole di specialità – è sempre inopportuno e pericoloso. I GIOVANI E LE SPECIALIZZAZIONI: ALCUNE RIFLESSIONI SUL NUOVO REGOLAMENTO. Nella seduta del 24 settembre 2010 il Consiglio Nazionale Forense ha approvato il regolamento per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista. Già all’indomani dell’approvazione del citato regolamento, l’Associazione Italiana Giovani Avvocati ha espresso, in un comunicato stampa del proprio Presidente nazionale Giuseppe Sileci, le proprie perplessità in relazione ad alcune norme contenute nel regolamento. L’AIGA è da sempre attenta alla formazione ed alla preparazione di tutti gli Avvocati, giovani e meno giovani, e quindi non è concettualmente contraria alla specializzazione forense, anzi l’ha sempre predicata quale completamento di un reale ed effettivo percorso formativo successivo all’abilitazione, in funzione non solo della salvaguardia dell’affidamento che i cittadini ripongono in professionisti seri e preparati ma 28 commenti Non dovranno pertanto frequentare alcuna scuola o corso, né sostenere alcun esame e la loro domanda si intenderà accolta in virtù di un “silenzio assenso”, qualora non venga espressamente rifiutata entro 120 giorni dal ricevimento. Un più equo compromesso tra le esigenze di coloro che si trovano da tempo sul mercato ad esercitare la professione esclusivamente in una determinata materia e le esigenze di assicurare un controllo effettivo sulla veridicità di tale esclusivo esercizio e quindi sulla preparazione, che deve necessariamente prescindere dal criterio legato all’anzianità di esercizio, criterio di per sé non qualificante la specializzazione in una determinata materia, poteva essere quello di prevedere, per costoro, il superamento comunque dell’esame, con esenzione dalla partecipazione al corso di formazione biennale. Del resto in tale direzione appare essere orientato il testo dell’art. 8 d.d.l. sulla riforma della professione forense almeno nel testo che ad oggi risulta approvato dalla Commissione del Senato. Altro aspetto penalizzante è quello relativo al riconoscimento delle associazioni da parte del CNF. Il regolamento attribuisce la possibilità di organizzare e gestire le scuole ed i corsi di alta formazione solo alle associazioni forensi costituite fra avvocati specialisti riconosciute dal CNF. Ad oggi, in sede di prima applicazione, le associazioni che risultano riconosciute sono solo quelle elencate nell’art. 11 dove, incomprensibilmente, non figura AIGA, pur avendo quest’ultima maturato negli anni una notevole esperienza ed un ruolo attivo nella formazione e nell’aggiornamento di tutta la classe forense e ciò solo perché non sarebbe una associazione a vocazione specialistica ma solo generalista. A ben vedere ad oggi nessuno può garantire che all’interno delle associazioni c.d. specialistiche elencate nell’art. 11 al di là del nomen siano presenti avvocati che possono fregiarsi del titolo di specialista alla luce delle nuove norme regolamentari. Tale esclusione è ancor più ingiustificata se si pensa che l’Aiga ha ricevuto, al pari delle altre associazioni ivi elencate, il richiesto riconoscimento congressuale che, sia pure concesso ad altri fini, è stato preso a criterio estrinseco di una certa rappresentatività, autorevolezza e serietà. Si confida che il Congresso Nazionale Forense, che a breve si terrà a Genova, possa essere la sede per un confronto costruttivo e per una eventuale rimeditazione di alcune scelte operate dal regolamento. Fabio Mezzadri Consigliere Nazionale AIGA spensabili per poter conseguire il titolo di specialista (art. 5), dell’anzianità di iscrizione all’albo di almeno sei anni, che appare, da un lato eccessivamente penalizzante per i giovani e dall’altro non priva di pericoli per la tutela dell’affidamento della collettività, soprattutto alla luce della disposizione di cui all’art. 10 comma 3, che prevede come l’interessato, al fine di sostenere l’esame, debba presentare idonea documentazione che consenta la valutazione del possesso dell’esperienza pregressa di cui al comma 5 lett. b) del medesimo art. 10. Quest’ultima disposizione prevede infatti che la prova orale abbia ad oggetto anche la dimostrazione del possesso di un’esperienza pregressa nella materia oggetto di specializzazione. Non sarà infatti agevole, ancor più nel prossimo futuro quando sarà entrato a pieno regime il sistema di specializzazioni previsto dal regolamento, ovvero quando molti avvocati avranno conseguito il titolo di specialista nei vari ambiti disciplinari, ipotizzare la possibilità, per un giovane avvocato, nei sei anni che vanno dall’iscrizione all’Albo alla data in cui potrà presentare domanda per sostenere l’esame, acquisire, e quindi dimostrare, una esperienza in una materia in cui non è ancora specialista ma che dovrà comunque necessariamente praticare al fine di poter dimostrare in sede di prova orale la “pregressa esperienza”. E ciò con notevoli ricadute proprio nell’ambito della difesa dell’affidamento incolpevole del cittadino sulla preparazione e sulla competenza del professionista a cui si rivolge. Meglio sarebbe stato ipotizzare un percorso formativo specializzante fin da subito, con la possibilità di iscrizione alla scuola, ovvero al corso biennale, subito dopo l’iscrizione all’Albo, al fine di conseguire quella competenza specialistica da spendere sul mercato. Del resto la richiesta di esperienza e di competenza specifica nella materia di specializzazione che il regolamento richiede al giovane avvocato stride anche con quella corrente di pensiero, assai più comprensibile ed apprezzabile, che vorrebbe attribuire il titolo di specialista solo a colui che abbia potuto acquisire almeno nella parte iniziale della propria vita professionale una visione di carattere generale e non solo specialistica del diritto. E’ opportuno segnalare che l’art. 8, del già citato d.d.l. in corso di approvazione al Senato, prevede, ai fini di poter accedere al percorso formativo, una anzianità di iscrizione all’Albo di un anno. Notevole perplessità desta poi la norma “transitoria”, contenuta nell’art. 13 del regolamento, che prevede che gli avvocati, con almeno 20 anni di iscrizione all’albo, siano esentati dagli incombenti previsti dall’art. 5, ovvero che acquisiscano il titolo di specialista, in non più di una delle aree di specializzazione previste dall’art. 3, previa domanda al CNF e verifica da parte di questi, tramite il Consiglio dell’Ordine di appartenenza, della “specifica competenza teorica e pratica nel settore prescelto”. 29 ATTIVITA’ DEL CONSIGLIO Dal 1° luglio 2010 al 30 novembre 2010 il Consiglio, nella precedente composizione, si è riunito 18 volte. OPINAMENTO PARCELLE Dal 1° luglio 2010 al 30 novembre 2010, l’apposita commissione consiliare (ovvero il Consiglio) ha opinato n. 173 parcelle. Elenco delle presenze dei Consiglieri alle adunanze: avv. Angiello n. 17 avv. Gandini n. 18 avv. De Risio n. 17 avv. Brianti n. 16 avv. Cagna n. 16 avv. Calistro n. 16 avv. De Sensi n. 17 avv. Grossi n. 2 (in carica sino alla data della scomparsa avvenuta il 15 settembre 2010) avv. Maggiorelli n. 15 avv. Mattioli n. 11 avv. Mendogni n. 10 avv. Mezzadri n. 18 avv. Piombi n. 18 avv. Pinardi n. 11 avv. Salvini n. 17 PROCEDIMENTI DISCIPLINARI Dal registro dei reclami nei confronti degli iscritti dal 1° luglio 2010: pervenuti n. 31 archiviati n. 17 disciplinari aperti n. 8 disciplinari celebrati n. 6 RICHIESTE DI AMMISSIONE AL PATROCINIO A SPESE DELLO STATO pervenute ammesse non ammesse pendenti AGGIORNAMENTO ALBI n. 111 n. 113 n. 3 n. 6 FRANCESCO MAZZAMURRO (a domanda, 19 ottobre 2010) ALBO AVVOCATI ISCRIZIONI ANTONELLA DE STEFANO (6 luglio 2010) per trasferimento dall’ordine di Napoli LUIGI LEVOLI (14 settembre 2010) reiscrizione a domanda CASIMIRO NEGRI (28 settembre 2010) PIERO ANGELUCCI (26 ottobre 2010) LORENZO PAOLO BOTTI (26 ottobre 2010) FRANCESCO AGNETTI (30 novembre 2010) GIOVANNA BELLOFATTO (30 novembre 2010) LUCA FRANCHI (30 novembre 2010) CARLO ANDREA RESTANO (30 novembre 2010) Alla data del 30 novembre 2010 gli iscritti all’albo erano in numero di millecentoquarantasei. PRATICANTI AVVOCATI Iscritti: n. 65 Cancellati: n. 12 PATROCINATORI LEGALI Iscritti n. 6 Cancellati: n. 10 CANCELLAZIONI ROSA AGNETTI (a domanda, 7 settembre 2010) PATRIZIA GROSSI (per decesso, avvenuto il 15 settembre 2010) 30 VARIAZIONI avv. ROSA BARILLARI: telefax 0521/1621082; avv. SERENA BOSCARATO: telefax 0521/1621082; avv. GIOVANNI VARCARO: Parma, via Lombardia 1/A; tel. 0521/1992833; telefax 0521/1992832; avv. MANUELA FRIGGERI: Parma, via Farini 5; tel. 0521/239489-231200; telefax 0521/285265; e-mail [email protected]; avv. CHIARA VENTURA: Parma, borgo del Parmigianino 14; tel. 0521/1814078; telefax 0521/1851909; e-mail invariata; avv. LETIZIA CAVALLI: Parma, via Emilia Est 20/C; tel. 0521/241467; telefax 0521/977744; e-mail [email protected]; avv. ANGELO VINCENTI: Parma, vicolo Zefirino Campanini 1; tel. telefax ed e-mail invariati; avv. EMANUELA DI NALLO: Parma, via Furlotti 8; tel. 0521/570590-570912; telefax 0521/570711; e-mail [email protected] – [email protected]; avv. GIOVANNI QUARANTA: Parma, vicolo Zefirino Campanini 1; tel. telefax ed e-mail invariati; avv. CORRADO VINCENTI: Parma, vicolo Zefirino Campanini 1; tel. e telefax invariati; e-mail [email protected] avv. EMANUELA CECI: telefax 0521/570922; avv. GIAN MARIA GONZI: Parma, via XX Settembre 6; tel. 0521/1910061; telefax 0521/1852637; e-mail [email protected]; avv. ORESTE MANZI: Parma, viale Basetti 10; tel. 0521/203352; telefax 0521/203361; e-mail [email protected]; avv. FRANCESCA BARBUTI: e-mail [email protected]; avv. ARIANNA FERRO: tel. 0521/5082290521/508826; telefax 0521/507470; dott. GENNY BALLERINI: Mezzani (PR), via Bocca d’Enza 13, frazione Mezzano Inferiore; tel. e telefax invariati; avv. CLAUDIA PEZZONI: Parma, piazza Ravenet 1/B; tel. 0521/985715; telefax 0521/940231; cell. 334/1734492; e-mail [email protected]; Studio legale AMBANELLI Avvocati Associati: Parma, via Goldoni 2; tel. 0521/281555; telefax 0521/208452; e-mail [email protected]; avv. LUCIA RABONI: e-mail [email protected]; avv. ROBERTO CORRADI: e-mail [email protected] [email protected]; avv. NICOLA SIMEONE: Parma, piazza Italo Pinazzi 61/A; tel. 0521/775033; telefax 0521/778350; cell. 329/4125253; e-mail [email protected]. avv. MARINA GHIRETTI: tel. 0521/19113 – 0521/207328; telefax 0521/037101; avv. ROSARIO PACE: Parma, via Casa Bianca 45; telefax 051/6167799; cell. 347/6998459; e-mail [email protected]; avv. FILIPPO LO IACONO: tel. 0521/19113 – 0521/207328; telefax 0521/037101; avv. PAOLA ROSA MUZZETTA: Pilastro (PR), via Stalingrado 9; tel. e telefax 0521/677208; avv. MARILENA ROBUSCHI: Parma, via Farini 71/A; tel 0521/502720 – 0521/282940; telefax 0521/282940; avv. MANUELA MULAS: e-mail [email protected]; avv. SARA TORRESIN: Parma, piazza Ravenet 1; tel. 0521/985715; telefax 0521/940231; avv. ANDREA MARCHITELLI: Parma, borgo Montassù 14; tel. e telefax: 0521/234501; e-mail [email protected]; avv. GERARDINA TRABACE: telefax 0521/1621051; avv. SONIA GANDOLFI: Parma, borgo Zaccagni 3; tel. 0521/508826-508229; telefax 0521/507470; avv. CALOGERO MUSSO: Parma, galleria Polidoro 11; cell. 329/0676674; telefax 0521/1992907; e-mail [email protected]; avv. GLENDA GANDOLFI: (II studio) Salsomaggiore Terme (PR), viale Matteotti 3; tel. 0524/400377; telefax 0521/1851926; avv. ROBERTO ROSSI: telefax 0521/1621082; e-mail [email protected]; avv. CARLO AMADINI: tel. 0521/572180; telefax 0521/711628; cell. 328/4837670; avv. SILVIA CIGALA: telefax 0521/1621082; 31 avv. MICHELE FAVA: Parma, vicolo San Marcellino 2/a; telefax 051/6167799; cell. 347/6976850; e-mail [email protected]; ASSOCIATI: Parma, strada Ferdinando Maestri 4; telefax 0521/285825; tel. e e-mail invariati; avv. MARIA LUCIA TAURINO: cell. 366/6618143; invariati tel., telefax ed e-mail; avv. MICHELE FERRARI: e-mail [email protected]; avv. ROBERTO ALFIERI: Parma, via Cairoli 1; invariati tel. telefax ed e-mail; avv. MARCO PIGNOTTI: e-mail [email protected]; avv. MARINA GHIRETTI: Parma, via San Leonardo 17; invariati tel. e telefax; avv. CARLOTTA FARNITANO: Parma, via Lombardia 1/A; tel. 0521/1992833; telefax 0521/1992832; e-mail [email protected]; avv. FILIPPO LO JACONO: Parma, via San Leonardo 17; invariati tel. e telefax; avv. VITINA GUARINA: Parma, via M. D’Azeglio 26; tel. e telefax 0521/234592; invariati cell. ed e-mail. avv. ILIUSKA DE NUZZO: Langhirano (PR), via F. Tanara 2; tel. 0521/853649; telefax 0521/1818060; e-mail [email protected]; avv. ELENA CAVALLI: telefax 0521/234056; avv. MICHELA BERZIERI: telefax 0525/1861448; tel. invariato; avv. CAROLINA BELFIORE: tel. 0521/1626055508818; telefax 0521/1621051; e-mail invariata; avv. MARIO PAGLIARI: e-mail [email protected]; avv. MASSIMILIANO GHERARDI: tel. 0521/234873-684859; telefax 0521/234873; cell. 340/2323349; e-mail [email protected]; avv. GHERARDO GHERARDI: tel. 0521/234873684859; telefax 0521/234873; cell. 347/8101427; e-mail [email protected]; STUDIO LEGALE PETTENATI & ASSOCIATI: (sede principale) Parma, via Verdi 6; tel. 0521/287197233870; telefax 0521/386142-1622020; (sede secondaria) Collecchio (PR) via Spezia 86; tel. e telefax 0521/805462; avv. FRANCESCA SURANO: Parma, strada Antonio Cocconcelli 4; tel. 0521/281133-289859; telefax 0521/230486; e-mail [email protected], [email protected], [email protected]; avv. SARA TARDIO: Parma, strada Antonio Cocconcelli 4; tel. 0521/281133-289859; telefax 0521/230486; e-mail [email protected], sara.tardio@ gmail.com; avv. PAOLO BUZZI: Parma, strada Antonio Cocconcelli 4; tel. 0521/281133-289859; telefax 0521/230486; e-mail [email protected], STUDIO LEGALE E TRIBUTARIO CAFFARRA E 32 Materiali dal XXX Congresso XXX CONGRESSO NAZIONALE FORENSE GENOVA 25/27 NOVEMBRE 2010 CHIEDE agli organi istituzionali e politi dell’Avvocatura, ciascuno secondo le sue competenze, di adoperarsi presso ogni sede per l’abrogazione dell’obbligatorietà del ricorso alla mediazione quale condizione di procedibilità dell’azione e, nelle more, il differimento dell’entrata in vigore del d.l.vo 28/2010 in attesa delle modifiche che vengono formulata nei seguenti termini: abrogazione della previsione di annullabilità del mandato per omessa comunicazione preventiva al cliente della possibilità della conciliazione; obbligatorietà della difesa tecnica; previsione di un periodo di sperimentazione per valutarne vantaggi e problematiche; abrogazione della previsione di una Mozione sulla mediazione proposta del mediatore in assenza di l’abrogazione dell’obbligatorietà una congiunta richiesta dalle parti; Il XXX Congresso Nazionale del ricorso alla mediazione abrogazione di tutte le disposizioni Forense, riunito in Genova nei giorni quale condizione di procedibilità che stabiliscono un collegamento tra 25-27 novembre 2010, dell’azione e, nelle more, il la condotta delle parti nel procedipreso atto mento di mediazione e il processo; differimento dell’entrata in previsione della competenza terdei documenti precedentemente vigore ritoriale per gli organismi di conciapprovati dall’Avvocatura, dei doculiazione in correlazione a quella del menti predisposti dai congressisti, del giudice competente per legge. contenuto del d.l.vo n. 28/2010 che ha promulgato l’istituto della mediazione obbligatoria per una serie di materie, intesa anche come condizione di procedibilità dell’azione e assogMozione sulla giustizia civile gettata ad una serie di prescrizioni in contrasto con i principi del giusto processo e del diritto di accesso del cittadino alla Il XXX Congresso Nazionale Forense, riunito in Genova Giustizia e all’assistenza tecnica qualificata, nei giorni 25-27 novembre 2010, indica, di seguito, i principi fondamentali da sottoporre al premesso legislatore per regolamentare la materia. Delle numerosi e significative mozioni approvate dal XXX Congresso, CRONACHE pubblica quelle ritenute più rilevanti (mediazione, giustizia civile, pari opportunità e gruppo giovani), avvertendo che, alla data di chiusura redazionale, non era ancora disponibile la mozione sul Regolamento delle specializzazioni ed invitando all’integrale consultazione dei documenti – sulla giustizia penale, sulla giustizia tributaria, sull’ordinamento giudiziario, sulla transazione ed il potere di autenticazione, sull’ordinamento giudiziario del coordinamento degli ordini minori- sul sito del Congresso:www.xxxcongressoforense.it. che, nonostante innumerevoli tentativi di riforma, permane immutato il profondo stato di dissesto della giustizia italiana; che tale situazione, oltre a rappresentare la negazione dello stato di diritto, genera pesantissime conseguenze sia sul piano economico sia sul piano sociale, nonché sulla stessa competitività del Paese; che in tale drammatico contesto appare ormai priorità indifferibile l’adozione di alcuni urgenti rimedi al fine di scongiurare il definitivo collasso della giustizia in Italia; Preso atto che, secondo il Governo, la finalità del d.lgs. 28/2010 sarebbe quella di decongestionare gli uffici rispetto al carico dei processi, con riferimento sia ai giudizi pendenti che a quelli da introdurre, rileva come l’Avvocatura non intenda avallare un approccio che comprometta il diritto del cittadino al giusto processo. Difatti, la crisi della giustizia non si risolve con provvedimenti tampone o con l’introduzione a forza di sistemi obbligatori di a.d.r., ma necessita di interventi strutturali a livello legislativo e organizzativo e l’istituto della mediazione, così come concepito, appare non corrispondente alle direttive europee in merito, nonché in palese contrasto con i principi costituzionali del nostro ordinamento. impegna le rappresentanze dell’Avvocatura a richiedere al Parlamento ed al Governo l’adozione, previo indispensabile con- 33 fronto con l’Avvocatura, i seguenti immediati provvedimenti: di fatto ostacolano la piena attuazione del principio di parità nel mondo professionale (a tali gruppi hanno partecipato la Commissione Pari Opportunità del CNF, ed alcuni rappresentanti di OUA, AIGA, Cassa Forense, ANF, AIAF nonché altri componenti di Associazioni Forensi riconosciute dal Congresso). Orbene, considerato che l’analisi, sviluppata in specifiche schede di lavoro, elaborate da sottogruppi compositi, ha evidenziato alcune problematiche comuni, che possono essere sostanzialmente ricondotte a cinque punti: 1) inesistenza di forme di sostegno economico nell’avvio della vita professionale. E’ di tutta evidenza la carenza di incentivi diretti all’innalzamento delle qualità delle prestazioni tecniche e della formazione deontologica, anche a causa della mancata previsione normativa di agevolazioni finanziarie per le donne ed i giovani Avvocati. A ciò aggiungasi la inadeguatezza degli studi di settore, i quali, oltre a non tener conto dell’attuale congiuntura economica che investe tutto il mondo professionale, tralasciano le obbiettive maggiori difficoltà di donne e giovani; 2) inadeguatezza, alle esigenze di donne e giovani, dei modelli associativi attuali, caratterizzati da un insoddisfacente regime della responsabilità, nonché dalla disincentivazione fiscale e dall’assenza di ogni politica di sostegno dello start up; 3) mancanza di meccanismi di orientamento della professionalità femminile e giovanile verso settori di specializzazione atti a soddisfare le esigenze del mercato, tenuto conto altresì delle singole aree geografiche; 4) mancanza di una specifica regolamentazione della figura professionale di molte donne e molti giovani, i quali spesso all’interno degli studi legali ricoprono ruoli subalterni e pressoché impiegatizi che richiedono un urgente ed approfondito esame della problematica da parte dell’Avvocatura ed un conseguente intervento normativo volto a disciplinare la materia, individuando eventualmente nuove forme professionali, ma escludendo fermamente ogni tipologia di rapporto di lavoro privato subordinato, compatibile con la iscrizione nell’Albo professionale; 5) scarsa rappresentanza delle componenti femminili e giovanili all’interno dell’Avvocatura, soprattutto in relazione alle sedi istituzioni. Tale vulnus si riscontra sovente, anche in presenza di forte suffragio da parte delle Assemblee elettorali in favore di donne e giovani, con ciò scompensando la democraticità in sede decisionale, che potrà essere raggiunta solo attraverso la equilibrata compresenza dei due generi in ogni settore. 1) quanto all’organizzazione della giustizia: razionalizzare l’impiego dei magistrati, con periodiche verifiche della loro produttività e del rispetto dei termini; prevedere il controllo della capacità dei dirigenti preposti agli uffici giudiziari; adottare le best practices; escludere il ricorso alla motivazione sommaria o a richiesta; razionalizzare l’impiego del personale amministrativo e riqualificarlo; avviare un serio e generale processo di informatizzazione degli uffici giudiziari e rilanciare il processo telematico; attuare la semplificazione dei riti e delle procedure di notificazione degli atti; assicurare il rispetto delle funzioni di difesa assegnate all’Avvocatura; prevedere strumenti per l’effettiva esecuzione dei provvedimenti giudiziari; 2) quanto alla materia del diritto di famiglia, dei minori e delle persone: istituire giudici specializzati che sappiano affrontare i molteplici aspetti connessi alle vertenze; riformare il diritto di famiglia minorile e delle persone, tanto sul piano sostanziale quanto su quello processuale, provvedendosi, con riguardo a quest’ultimo, a semplificare ed unificare i riti; 3) quanto alla giustizia del lavoro: modificare la legge n. 183/2010 nella parte in cui non prevede la difesa tecnica del ricorrente (mentre è prevista invece per il resistente), riduce la tutela giuri-sdizionale, altera il previgente assetto del sistema sanzionatorio, prevede l’applicazione delle nuove disposizioni ai giudizi pendenti. Mozione pari opportunità e gruppo giovani L’Avvocatura Italiana, oggi gravemente mortificata da politiche inadeguate alle effettive esigenze della collettività e da una congiuntura economica che colpisce tutte le categorie professionali, ritiene necessario rivendicare l’autorevolezza ed il rango costituzionale che le competono, e a tal fine ritiene indispensabile, per la propria dignità e per il proprio prestigio, approntare soluzioni volte ad eliminare ogni disuguaglianza presente nell’attuale sistema, regolamentando con norme positive e prassi virtuose tali fenomeni che ne ledono il decoro, onde realizzare una vera crescita culturale ed etica dell’Avvocatura tutta. Su tali presupposti, in previsione del XXX Congresso Nazionale Forense sono stati istituiti, di concerto tra CNF e OUA, il Gruppo di Lavoro per le Pari Opportunità ed il Gruppo Giovani, i quali congiuntamente hanno predisposto un documento che ha esaminato le principali criticità della professione, dal punto di vista delle donne e dei giovani ed ha tentato di prevedere dei correttivi, atti a superare tutte le forme di disuguaglianza che Ciò premesso, e poiché la situazione delle donne e dei giovani Avvocati richiede particolari attenzioni e correttivi, sia da parte delle Istituzioni a ciò deputate, che da parte degli Organi politici (e soprattutto del Legislatore), affinché si possa creare una Avvo- 34 di predisporre una regolamentazione unitaria delle Commissioni per le Pari Opportunità presso gli Ordini Forensi, favorendo anche la necessaria istituzione di organismi di parità di carattere distrettuale. catura attenta al presente e volta al futuro, l’Avvocatura Italiana, riunita in Assemblea a Genova - XXX Congresso Nazionale Forense, Invita il CNF, l’OUA e la Cassa Forense Sollecita tutti gli Organi Istituzionali dell’Avvocatura a proseguire e sostenere il percorso di conoscenza e di analisi scientifica dell’Avvocatura (già avviato dal CNF con il Rapporto CENSIS “Dopo le teorie le proposte” nonché dall’Osservatorio Permanente Giovani), istituendo altresì un nuovo Osservatorio di analisi stabile che individui le esigenze del mercato in relazione alla professione forense, al fine di facilitare l’incontro tra domanda e offerta; ad intervenire affinché, nel rispetto delle norme Costituzionali e delle Direttive Europee siano previsti meccanismi di riequilibrio che garantiscano democraticamente la necessaria compresenza dei due generi negli ambiti decisionali forensi e nelle rappresentanze delle associazioni, con limitazione dei mandati nelle cariche di vertice e ferma restando la necessità di regole certe in tema di incompatibilità e di divieto di duplicazione degli incarichi istituzionali. Sollecita il CNF e l’OUA a chiedere con fermezza agli Organi Politici: di approntare interventi normativi diretti a programmare il numero degli iscritti nelle Facoltà di Giurisprudenza, commisurato alle effettive esigenze del mercato e alle reali possibilità di occupazione; di predisporre, in sinergia con l’Avvocatura, ed in sintonia con i principi di chiarezza e trasparenza, una normativa atta a regolamentare i rapporti di lavoro di fatto oggi esistenti negli studi professionali, che in maggior misura coinvolgono donne e giovani; di attivare politiche economiche di sostegno all’avvio dell’attività professionale, anche attraverso agevolazioni fiscali e finanziarie. Invita il CNF a promuovere protocolli di intesa con il CSM, diretti a regolamentare secondo principi di chiarezza, trasparenza ed effettiva rotazione, l’affidamento degli incarichi professionali nell’ambito dei Tribunali (fallimenti, ausiliari dei giudici etc), cosicché siano officiati parimenti giovani e donne con idonee competenze. Auspica una formazione professionale mirata ad una qualificazione ed a un orientamento che tengano conto degli effettivi bisogni del mercato e della collettività, chiedendo sul tema l’impegno diretto del CNF e la sua costante sollecitazione, rivolta a tutti gli Ordini locali ad attivarsi in tal senso. Chiede al CNF 35 Diritti umani e avvocatura Giusto processo ed etica professionale 1. La deontologia dell’avvocato trova ancora oggi la vivente, in quanto assume concretezza in regole create dalla giurisprudenza per disciplinare i singoli casi della vita professionale; ciò significa trarre dai principi generali regole adeguate alle esigenze della vita sociale e uniformare le norme positive in via interpretativa ai principi sovraordinati delle costituzioni e delle dichiarazioni dei diritti, ed anche al senso di giustizia universalmente condiviso. In sintesi, il baricentro della deontologia e della giustizia disciplinare non è più rappresentato come in passato dalla protezione del prestigio della categoria, ma dal dovere sociale della tutela del cittadino nei confronti di ogni potere, come enuncia il preambolo del Codice deontologico degli avvocati europei e come ha confermato la dichiarazione sulla formazione dell’avvocato europeo approvata l’8 novembre 2008 a Roma dalle delegazioni delle avvocature di venticinque paesi dell’U.E. nella I Conferenza su “La formazione dell’avvocato in Europa” promossa dal Consiglio Nazionale Forense e dalla Scuola Superiore dell’Avvocatura. Studiosi stranieri hanno da alcuni anni considerato questi problemi e ne hanno tratto la conclusione che la nozione di etica professionale dell’avvocatura è da intendersi estesa al di là delle singole codificazioni deontologiche, in quanto comprensiva di disposizioni contenute nelle normative sui diritti fondamentali, dell’esperienza giuridica, delle convenzioni sociali e “degli aspetti eticomorali che emergono dal sostrato culturale di un sistema sociale” (Hazard). Da questa estensione dei doveri dell’avvocato rispetto al contesto sociale esterno e ai diritti fondamentali di persone e cose anche non direttamente coinvolte nel rapporto professionale, si è da più parti tratta la necessità di applicare anche alla professione legale i principi della responsabilità sociale. sua centrale espressione nel Codice deontologico forense approvato nel 1997 e successivamente integrato e modificato in alcune parti. Come lo stesso codice stabilisce nella disposizione finale la tipizzazione degli illeciti disciplinari in esso contenuta non è esaustiva, in quanto è riconosciuta agli organi forensi la potestà di individuare altri comportamenti perseguibili in sede disciplinare in base alla interpretazione e alla applicazione dei principi generali espressi negli articoli 12 e 38 della legge professionale del 1933, rimasti immutati nella originaria formulazione prescrittiva di comportamenti conformi alla dignità e al decoro della professione. In tutti questi anni la società si è tuttavia trasformata rapidamente e radicalmente, sono emersi nuovi problemi sociali, economici ed etici, sui quali è aperto un ampio dibattito nell’opinione pubblica e nelle sedi politiche e istituzionali. L’avvocatura non solo non si può considerare estranea a tutto ciò, ma ha il dovere della massima sensibilizzazione rispetto ai nuovi problemi che riguardano diritti e libertà che si rispecchiano nel processo. Ne deriva che anche la deontologia e i criteri per la sua applicazione debbono necessariamente porsi in sintonia con le nuove esigenze della società e dei singoli. Ma vi è di più. Poiché siamo coinvolti nei processi di evoluzione e trasformazione in atto, che investono aspetti essenziali della vita di ciascuno, – ci riferiamo ad es. ai nuovi diritti, al giusto processo, ai temi della bioetica e del fine vita, al superamento dei confini spaziali e temporali del diritto indotti dalla globalizzazione e dalle fonti sovranazionali del diritto –, dobbiamo ridisegnare il nostro ruolo per evitare che innovazioni incongrue ci vengano imposte dall’esterno, da un legislatore non sempre sensibile rispetto ai fondamentali diritti dei cittadini nel nevralgico settore della giustizia, e alla indipendenza e all’autogoverno di una libera professione. Il potere di produrre norme deontologiche e di applicarle costituisce infatti una delle più rilevanti espressioni dell’indipendenza della professione e della sua immagine nella opinione pubblica, in quanto attiene alla tutela di valori fondamentali di una società civile. La deontologia (vedremo poi che oggi è più corretto parlare di etica professionale) è essenzialmente diritto 2. I principi di responsabilità sociale sono stati elaborati alla fine del secolo scorso per imporre regole etiche alle attività svolte dalle imprese transnazionali dei paesi industrializzati nei mercati e negli stati nei quali sono tollerate violazioni dei diritti fondamentali della persona nei rapporti di lavoro e nella tutela dell’ambiente di vita. Si è affermato il principio che esistono doveri “esterni” rispetto alla finalità, ritenuta esclusiva, dell’impresa di produrre reddito, in quanto le scelte economiche devono 36 diritti umani fronti dello Stato e degli altri poteri”. essere valutate anche in relazione alle conseguenze che Il CCBE lo ha ribadito nella Guida pubblicata nel 2002 producono sugli altri e sulle cose degli altri; non è quindi per gli avvocati specializzati in diritto societario che preammissibile che gli obiettivi di massimizzazione del redstano consulenza alle imprese affinché ne orientino le dito, tragicamente falliti nella crisi che ha investito il piascelte secondo criteri rispettosi dei principi della responneta, siano perseguiti in pregiudizio di diritti e interessi sabilità sociale, ed ha più volte richiamato l’attenzione fondamentali delle persone. degli organismi comunitari sull’interesse pubblico al quale Di qui la affermazione di “obblighi morali minimi” posti è connesso il ruolo dell’avvocato in una società democraa base di un modello di responsabilità sociale dell’impresa tica con riferimento alle raccomandazioni del Consiglio (RSI) e fondati su valori universalmente riconosciuti quali d’Europa sulla funzione dell’avvocatura in difesa dei diritti la solidarietà, lo sviluppo umano, l’eguaglianza, il processo fondamentali e ai principi sul ruolo della professione legale giusto, modello culminato nel progetto Global Compact affermati dall’ONU e nelle pronunce della Corte di Giupromosso dall’ONU nel 1999 per iniziativa di Kofi Annan stizia (Alpa). diretto a richiedere alle imprese di aderire a “nove principi universali” nelle aree dei diritti umani. Non è questa la sede per valutare gli esiti delle politiUno degli aspetti di maggior rilievo nella evoluche di RSI, come è noto abbastanza deludenti. zione dei diritti dell’uomo in materia di giustizia è rapE’ invece interessante constatare che il tema della presentato dal principio del “giusto responsabilità sociale investe necesprocesso”. alla base della nozione di sariamente anche la professione di Come è noto tale principio responsabilità sociale dell’avvocato avvocato. è stato introdotto nella Costituvi è la convinzione che non sia L’applicazione di tali principi alla zione con la riforma dell’art. 111 sufficiente rispettare regole professione forense deriva dall’esiattuata con la legge costituzionale e procedure strettamente genza di contrastare la tendenza 23.11.1999 n. 2. circoscritte al rapporto che delle regole del mercato e della Si tratta di un diritto che aveva ha ad oggetto la prestazione concorrenza a prevalere nella discigià trovato solenne enunciazione professionale, ma sia anche plina della professione legale, e di nelle carte internazionali, ma che, necessario valutare le conseguenze salvaguardare valori tradizionali di come molti altri diritti, ha dovuto delle scelte dell’agire professionale un ruolo che è diverso da quello compiere un lungo cammino per in base ad un’etica della dell’impresa, in quanto caratterizconquistare effettività nei singoli responsabilità nei confronti zato dal riferimento alla società ordinamenti, conquista peraltro della società civile per il rispetto civile, ed organizzato e rafforzato niente affatto compiuta. di principi universalmente dalla costituzionalizzazione del Il diritto a un processo giusto ed riconosciuti e dei diritti umani diritto di difesa e da un proprio e equo era già sancito con una essenfondamentali delle persone specifico rilievo pubblicistico nel ziale enunciazione nell’art. 10 della funzionamento complessivo del Dichiarazione Universale dei Diritti sistema di giustizia (Zamagni). dell’Uomo approvato il 10.12.1948 dalla Assemblea GeneAlla base della nozione di responsabilità sociale dell’avrale delle Nazioni Unite. E’ stato riprodotto all’art. 6 della vocato vi è quindi la convinzione che non sia sufficiente Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo elaborata dal rispettare regole e procedure strettamente circoscritte al Consiglio d’Europa, sottoscritta il 4.11.1950 ed entrata in rapporto che ha ad oggetto la prestazione professionale, ma vigore il 3.9.1953. sia anche necessario valutare le conseguenze delle scelte La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dell’agire professionale, (il che è proprio della responsabisottoscritta a Nizza il 7.12.2000, lo ha riconosciuto all’art. lità morale in ogni aspetto di vita della persona), in base 47 come diritto fondamentale a un ricorso effettivo a un ad un’etica della responsabilità nei confronti della società giudice imparziale. civile per il rispetto di principi universalmente riconosciuti Ora il Trattato di Lisbona, firmato il 13.12.2007, che ha e dei diritti umani fondamentali delle persone. approvato la versione consolidata del Trattato sull’Unione Si tratta di un principio che è enunciato nel preamEuropea, all’art. 6 ha riconosciuto i diritti e le libertà sanciti bolo del codice deontologico degli avvocati europei del dalla Carta di Nizza, attribuendogli lo stesso valore giuri1988, laddove è affermato il dovere dell’avvocato verso la dico dei trattati, ed ha dichiarato che i diritti fondamentali società “per la salvaguardia dei diritti dell’uomo nei con- 3. 37 diritti umani applica infatti il principio del “giusto procedimento”, non protetto da una diretta garanzia costituzionale salvo il generico riferimento ai principi di “buon andamento” e di “imparzialità” di cui all’art. 97 Cost. L’obiezione, astrattamente corretta, non appare tuttavia decisiva sul terreno dell’etica del giusto processo, poiché il “giusto processo” in base al Trattato di Lisbona costituisce un “principio di diritto dell’Unione Europea” e quindi è applicabile in qualunque sede ove in qualunque forma si decida sulla interpretazione e applicazione di norme giuridiche in materia di diritti fondamentali, quale è certamente quello di non subire una sanzione anche di carattere disciplinare senza garanzie di difesa e in assenza di imparzialità in colui che ha il potere di infliggerla. Il principio del giusto processo risponde infatti ad una scelta di civiltà giuridica e i suoi fondamenti etici costituiscono condizione per la sua condivisione etico-morale in base ai sentimenti condivisi da libere comunità umane. Non sembra perciò accettabile sostenerne la inapplicabilità, sia pure in modo adeguato al tipo di procedimento, laddove si debba attuare la legge nei confronti di una persona incidendo su “beni della vita” che le appartengono, e si debbano applicare quelle norme giuridiche che sono rappresentate dalle disposizioni contenute nel codice deontologico e comunque derivanti dai principi legali di etica professionale. Del resto la deontologia forense è essenzialmente volta a garantire valori minimi inderogabili di moralità professionale dell’avvocato e come tale essa investe non soltanto i comportamenti, ma anche le situazioni nelle quali si eserciti su di essi il controllo per stabilirne la conformità etica e deontologica. Se pertanto si condivide la tesi che l’etica del giusto processo investa entrambe le fasi del procedimento disciplinare, sia quella amministrativa di prima istanza che quella giurisdizionale di appello, ne scaturiscono importanti corollari in materia di etica professionale e di giustizia disciplinare sotto due diversi profili. Il primo profilo riguarda il comportamento dell’avvocato come parte e come giudice nel processo giurisdizionale avanti al Consiglio Nazionale Forense e investe quell’aspetto dell’etica professionale che abbiamo definito come responsabilità sociale dell’avvocato. Il secondo profilo investe l’applicazione dei principi dell’etica del giusto processo nei procedimenti disciplinari di primo grado. Sotto il primo profilo va sottolineato il rapporto strumentale tra garanzie del giusto processo e diritti inviolabili, nel senso che il processo solo in quanto giusto ed equo rappresenta un mezzo di attuazione della “giustizia” garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali. Secondo la evoluzione della giurisprudenza costituzionale la nozione di processo giusto ed equo prevede garanzie minime consistenti nel diritto di difesa, nel principio del contraddittorio, e nel principio della imparzialità del giudice. Nel quadro delle garanzie così individuate si colloca altresì la “durata ragionevole del processo”, quale condizione imprescindibile per una effettiva tutela dei diritti fondamentali sopra richiamati. Mentre sono evidenti gli aspetti tecnici del “giusto processo”, in quanto attengono alle modalità di attuazione delle garanzie nelle quali si realizzano i parametri di un modello di processo equo e giusto, solo negli ultimi anni si è aperta una riflessione sugli aspetti etici di tale principio. Si è così affermata la esistenza di un’etica interna al processo, fondata su valori primari di giustizia procedurale, ai quali debbono uniformarsi i comportamenti pratici e quindi le scelte dell’agire processuale di tutti i protagonisti, avvocati e giudici (Comoglio). Si tratta dei valori in relazione ai quali vanno individuati ed applicati i parametri di correttezza e lealtà e i contenuti di doveri come quello di verità, enunciati astrattamente nei codici deontologici. In ogni processo, infatti, si decide circa la tutela di “beni della vita” ai quali l’uomo, come persona o partecipe di formazioni sociali, abbia diritto, e quindi il processo per essere “giusto” deve svolgersi con modalità che rispettino i diritti fondamentali inviolabili della persona sanciti dalle costituzioni.Tra tali diritti si colloca pertanto come diritto fondamentale anche il diritto ad un “processo giusto” e l’etica che lo caratterizza (etica in quanto riferita ai valori oggettivi universalmente riconosciuti) è l’insieme dei valori di civiltà e di democrazia sui quali si fondano appunto i diritti fondamentali dell’uomo. Il rispetto di tali principi, e in generale dei doveri che derivano da un’etica del giusto processo nei procedimenti disciplinari nei confronti degli avvocati, rappresenta pertanto una questione degna di riflessione. 4. Si dirà che il procedimento di primo grado ha natura amministrativa e non costituisce esercizio di potestà giurisdizionale, se non nella fase che si svolge avanti al Consiglio Nazionale Forense in grado d’appello, e perciò si sottrae alla diretta applicazione delle garanzie costituzionali del giusto processo. Ai procedimenti amministrativi la dottrina tradizionale 38 diritti umani in senso sostanziale. Da una tale premessa scaturisce con tutta evidenza che l’esercizio della giurisdizione risulta incompatibile con l’applicazione di un rigido formalismo o di astratte garanzie di legalità, ma deve perseguire la tutela effettiva e sostanziale dei principi generali del diritto di cui i diritti fondamentali sono parte. In concreto il giudizio sui comportamenti contestati va orientato alla realizzazione di un’etica professionale non già o non solo basata sulla difesa della categoria professionale o dello status dei singoli appartenenti, ma soprattutto sulla difesa dei diritti fondamentali di tutti i cittadini che vi sono coinvolti e dei diritti della collettività alla attuazione anche in quella sede di principi di giustizia. In altre parole, il processo si potrà considerare giusto ed equo soltanto se il suo svolgimento non sia tale da pregiudicare diritti inviolabili di qualsiasi persona, sulla quale possano ricadere gli effetti diretti o indiretti della decisione. Sotto il secondo profilo si pongono problemi di particolare complessità in relazione alla concentrazione di poteri in capo al Consiglio dell’Ordine. La recente sentenza delle SS. UU. n. 29294/08 ha introdotto infatti nuovi elementi di valutazione stabilendo, ad es., che la garanzia del giusto processo di cui all’art. 111 Costituzione, “pur dettando una serie di principi specificamente attinenti al processo, fissa comunque parametri che debbono essere tenuti necessariamente presenti anche al di fuori del particolare settore d’elezione”. In base a tale interpretazione ha applicato al procedimento disciplinare amministrativo, che non è “settore” della giurisdizione, garanzie tipiche del giusto processo al fine di riaffermare e tutelare anche in quella sede da un lato il regolare svolgimento del processo insidiato dallo scorretto esercizio del mandato difensivo e, dall’altro, la tutela del rispetto della persona dell’incolpato e dei suoi essenziali diritti. In questa prospettiva le garanzie del rispetto del contraddittorio, della imparzialità del giudice e della ragionevole durata del procedimento acquistano un valore eticomorale, oltreché giuridico, di particolare rilievo sul quale va aperta una riflessione. Appare infatti difficile sostenere, pur nella anomalia di un sistema quale quello esistente che per ingiustificate difficoltà ritarda ad evolversi sul terreno delle garanzie, che lo svolgimento del procedimento di primo grado non debba tendere al superamento dei profili strettamente tecnici per realizzare il diritto fondamentale al giusto processo. Ciò infatti consentirebbe di stabilire che anche in un procedimento gestito da avvocati per avvocati attraverso un processo equo e giusto si realizza la tutela effettiva dei diritti fondamentali e quindi dei principi generali del diritto, già affermati nelle costituzioni e nelle convenzioni internazionali e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia ed ora riconosciuti dal Trattato dell’U.E. approvato a Lisbona. Certo, su questo terreno la legge positiva, ancora di ispirazione ottocentesca, non fornisce strumenti adeguati, ma proprio per questo una valorizzazione dell’etica del giusto processo disciplinare permetterebbe di liberarsi dalla gabbia di uno sterile e antiquato formalismo, e anche da meno plausibili condizionamenti, e di contribuire alla evoluzione di questa forma di autogoverno della professione. Nella letteratura forense ricorre spesso l’affermazione della nobilità della toga. E ogni volta questo mi riporta alla memoria un episodio che Massimo D’Azeglio racconta nei suoi Ricordi, quando bambino chiese al conte suo padre se essi erano nobili, e il padre rispose: sarai nobile se sarai virtuoso. Anche l’avvocatura potrà fregiarsi di nobilità se farà dell’etica la sua virtù. Alarico Mariani Marini 39 Diritti umani Brevi riflessioni sui diritti umani e fondamentali dopo il Trattato di Lisbona1 di protezione dei diritti fondamentali. Dal canto suo la Corte di Giustizia tentò di includere per via giurisprudenziale tali diritti nei Trattati con un cammino piuttosto tortuoso. Evoluzione storica 1.2 1.1 In un primo tempo l’atteggiamento della Corte fu improntato ad una certa reticenza. Nella causa Storke Uffici di vendita del carbone della Ruhr la Corte affermò il principio secondo cui le norme costituzionali dei singoli Stati membri non avevano efficacia nell’ ordinamento comunitario e che in tale ordinamento potevano trovare tutela solo quei diritti riconosciuti nei Trattati o nelle norme da essi derivate. A questo atteggiamento reagirono sia le Corte Costituzionale italiana che quella tedesca rispettivamente nel caso Frontini del 27 dicembre 1973 e Solange I del 29 maggio 1974. E proprio a seguito della reazione di queste due corti nazionali la Corte di Giustizia nel caso Stauder (1969) affermò che “i diritti umani fanno parte dei principi generali del diritto comunitario di cui la corte garantisce l’osservanza”. Successivamente nella causa Rutili (1975) fece riferimento alle norme della comunità internazionale ed in particolare ai diritti garantiti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). In tale prima elaborazione della categoria dei diritti fondamentali, considerata l’assenza di altre fonti interpretative, la Corte di Giustizia si riferì essenzialmente alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri in materia di diritti fondamentali ed alla CEDU di cui tutti gli Stati membri sono parti contraenti. Per tale via furono incorporati nel sistema del diritto comunitario numerosi diritti fondamentali. I Trattati istitutivi delle Comunità Europee del 1957 non contenevano alcuna norma relativa alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo. Non fu ritenuto opportuno inserire disposizioni a tutela dei singoli, poiché i Trattati per loro natura erano diretti a creare solo diritti ed obblighi per gli Stati membri. I diritti fondamentali in essi previsti (quali la libertà di circolazione delle merci e delle persone, dei servizi e dei capitali, il divieto di non discriminazione in base alla nazionalità ed al sesso) erano concepiti come strumentali alla realizzazione del mercato unico.Vi erano dei riferimenti alla persona, ma considerata solo come protagonista di quel complesso mondo economico in cui operano gli stati, cioè come individuo-lavoratore, come individuo-operatore etc., in conformità con lo scopo dei Trattati, diretti ad assicurare la regolamentazione giuridica di un’integrazione economica in esecuzione di compiti prettamente tecnici quali quelli della prima Comunità che venne creata: la CECA. Valutazioni di tipo politico deponevano in favore di un’assenza dei diritti fondamentali. La Francia non aveva ancora aderito alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (di seguito “CEDU”) 2e molti Stati membri temevano che con l’inserimento nei Trattati dei diritti fondamentali, la Comunità avrebbe assunto anche un ruolo politico e non più meramente economico. Negli anni ’60 cominciò ad essere abbandonata l’idea (fondata sullo scopo prettamente economico dei Trattati) che l’introduzione dei diritti fondamentali nei Trattati fosse quasi superflua di pari passo con l’affermazione da parte della Corte di Giustizia di due grandi principi: l’effetto diretto del diritto comunitario e la sua primazia sui diritti nazionali comprese le costituzioni. Ci si rese conto che i cittadini degli Stati membri rischiavano di essere assoggettati a norme di efficacia diretta tra i cui parametri di legittimità non vi erano i diritti fondamentali. Né d’altra parte tali norme avrebbero potuto essere oggetto di controllo a causa della primazia del diritto comunitario. Tali constatazioni diedero origine al dibattito sull’ opportunità di introdurre a livello europeo un sistema 1.3 Nonostante i principi affermati dalla Corte di Giustizia, nei Trattati continuava a non esservi traccia della tutela dei diritti umani e fondamentali. Nell’Atto unico europeo applicabile dal 1° luglio 1987 la questione era stata affrontata solo nel Preambolo dove si dichiarava la volontà degli Stati di promuovere insieme la democrazia, basandosi sui diritti riconosciuti dalle Costituzioni degli Stati membri, dalla CEDU e dalla Carta sociale Europea. Soltanto con il Trattato di Maastricht, applicabile dal 1° novembre 1993 fu approvato l’art. F (successivamente articolo 6) che al paragrafo 2 afferma “l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione di Roma del 1950 sui diritti dell’ uomo e le libertà fondamentali, oltre che dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, come principi generali di diritto comunitario”. 1 pubblicato sul n. 4 del 2010 di “Diritto e Formazione”, periodico del C.N.F. edito dalla Scuola Superiore dell’Avvocatura (g.c.). 2 La CEDU é stata firmata a Roma il 4 novembre 1950 ed é entrata in vigore il 3 settembre 1953. Progressivamente vi hanno aderito vari altri stati. 40 diritti umani nuovamente proclamata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo.4 In effetti, fallito il tentativo di renderla giuridicamente vincolante attraverso la Costituzione, si è dovuto attendere l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona il 1° dicembre 2010 perché alla Carta fosse riconosciuto – anche formalmente e cioè per via di codificazione – un effetto giuridicamente vincolante. 1.4 Nonostante la codificazione di tale importante principio le fonti comunitarie a tutela dei diritti fondamentali continuavano ad essere piuttosto disomogenee. Vi erano poche disposizioni dei Trattati istitutivi, la giurisprudenza della Corte di Giustizia e le Convenzioni internazionali. Si profilò così l’esigenza di dotare l’Unione di un testo unitario di riferimento in materia di diritti umani e fondamentali. L’adozione di un catalogo fu così auspicato per la prima volta dalla Commissione nel 1979 e successivamente a più riprese da tutte le istituzioni comunitarie, al fine di offrire maggiore certezza giuridica sull’identificazione dei diritti fondamentali effettivamente coperti dall’ Unione. In tale ottica il Consiglio Europeo di Colonia del giugno 1999 decise di procedere alla stesura di una Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, al fine di sancire in modo visibile “l’importanza capitale e la portata per i cittadini dell’Unione dei diritti umani” sulla base della decisiva considerazione che “la tutela dei diritti fondamentali costituisce un principio fondatore dell’Unione Europea ed il presupposto indispensabile della sua legittimità”. Venne in tal modo riconosciuta l’inadeguatezza del quadro giuridico di riferimento comunitario nell’ambito dei diritti umani e fondamentali, ma anche la necessità di un’ integrazione dei diritti, da affiancare all’integrazione economica e monetaria, al fine di conferire all’Unione una reale legittimità. La Carta è stata sottoposta al Consiglio europeo che, in occasione del vertice di Biarritz del 13-14 ottobre 2000, ne ha approvato i contenuti, mentre in occasione di quello di Nizza, il 7 dicembre 2000, si è proceduto alla sua solenne proclamazione congiunta da parte del Consiglio dell’ Unione, della Commissione e del Parlamento europeo3. Già nel 2000 (e cioè prima delle modifiche intervenute nel 2004 e nel 2007) fu identificata la questione principale relativa alla Carta cioè la linea di demarcazione tra “diritti”, “libertà” e “principi”.Vi fu consenso sul fatto che la differenza risiedesse nel grado e nell’ immediatezza della protezione giuridica. 1.6 Occorre tuttavia osservare che dopo l’inserimento nel Trattato di Maastricht ma prima dell’ entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Carta, sebbene priva di un valore vincolante, aveva conosciuto tuttavia un’importanza significativa. I giudici, gli avvocati generali ed il legislatore comunitario vi si riferiscono esplicitamente. L’impulso all’ applicazione della Carta è stato dato essenzialmente da parte del Tribunale (T-54/99;5T-177/016), sebbene la Corte di Giustizia si sia dimostrata riluttante ad utilizzare la Carta nelle proprie decisioni (C-540/03)7Ciò spiega tra l’altro il dibattito attorno al suo valore formale. Anche il legislatore comunitario, pur in assenza di un’ espressa codificazione, vi si riferisce nella direttiva 2003/55/CE pubblicata in GUCE 2003 L 176/60, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas dove al 33 esimo considerando si legge “la presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e i principi riconosciuti in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione Europea”. Il trattato di Lisbona E’ solo con la ratifica del Trattato di Lisbona che la Carta assume un effetto vincolante, divenendo vera e propria fonte di diritti fondamentali che i privati possono invocare innanzi 4 in GUCE del 14-12- 2007, C 303/1. 5 Si tratta di una sentenza, successivamente annullata dalla Corte di Giustizia (C-141/02 P) in cui i giudici di prime cure hanno esaminato (punto 48) l’applicabilità del principio di buona amministrazione (articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000) ai ricorsi interni in materia di concorrenza e hanno concluso che questo principio era già stato ritenuto applicabile dalla stessa giurisprudenza del Tribunale nel quadro degli articoli 81,82 ed 87 del Trattato (ora divenuti rispettivamente 101,102,107). 6 Si tratta di una sentenza in cui il Tribunale ha esaminato le condizioni di legittimazione per l’esercizio dell’ azione di annullamento (ex art.230 ora 263 della versione consolidata del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato sul funzionamento dell’ Unione Europea). In particolare il Tribunale ha escluso che nella specie il regolamento potesse essere impugnato poiché non riguardava individualmente il ricorrente. Il Tribunale si interroga (punto 42 della sentenza) se un sistema siffatto possa ritenersi contrario al diritto al ricorso effettivo sancito dall’ articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione Europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000. Conclude che una tale violazione non può essere riscontrata dal giudice comunitario stante la chiara volontà del legislatore di porre questa condizione di legittimazione. 7 Si tratta precisamente di una sentenza relativa al diritto dei minori di paesi extracomunitari a riunirsi con la propria famiglia di origine ( direttiva 2003/86/CE), in applicazione del diritto al rispetto alla vita familiare (articolo 8 CEDU e articolo 7 della Carta). La Corte ha rilevato che la Carta e la CEDU erano inclusi nel preambolo della direttiva ed ha escluso con una serie di argomentazioni (sviluppate ai punti da 52 a 76) che la direttiva violasse i diritti fondamentali. 1.5 Nel 2004 la Carta fu inserita integralmente nella seconda parte della Costituzione Europea ed avrebbe dovuto essere resa giuridicamente vincolante dall’articolo I-9 par.1 del Trattato che stabilisce una Costituzione per l’Europa. A seguito della mancata ratifica della Costituzione, il Trattato modificativo del 2007 si è orientato verso un approccio diverso nei confronti della Carta che nel frattempo era stata 3 in GUCE 18-12-2000, C 364. 41 diritti umani ripartizione delle competenze tra Stati membri ed Unione come definita dai Trattati. Per tale ragione è stato specificato al paragrafo 1 dell’ articolo 6 che: Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati. Ed ancora all’articolo 51, come detto, si ribadisce che la Carta non crea alcuna competenza né alcun compito nuovo per la Comunità e per l’Unione e non modifica le competenze ed i compiti definiti dai Trattati. Tuttavia, nonostante tali chiare affermazioni di principio, volte ad impedire il rischio di un’invasione delle competenze riservate agli Stati membri attraverso la pretesa violazione dei diritti fondamentali, due paesi hanno comunque rifiutato Un primo problema che si pone è quello dell’individuazione di riconoscere la forza vincolante della Carta. delle categorie di soggetti tenuti al rispetto dei diritti umani e Il Regno Unito a causa dei diritti sociali. fondamentali, ormai obbligatori dopo il Trattato di Lisbona. La Polonia perché temeva di essere obbligata ad ammetL’articolo 51 della Carta dispone: tere il matrimonio tra due persone dello stesso sesso. Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni Pur nel divario delle motivazioni addotte, entrambi i paesi e agli organi dell’Unione 1. nel rispetto del principio di sussidiamirano a scopi strettamente legati: rietà come pure agli stati membri esclurendendo la Carta vincolante, impedire alla Corte di Giustizia ed sivamente nell’ attuazione del diritto alle Istituzioni d’intervenire nei loro dell’ Unione. Pertanto, i suddetti soggetti l’Unione europea ed i suoi Stati diritti nazionali in settori che sono rispettano i diritti, osservano i principi e membri si dotano di un testo di esclusiva competenza degli Stati ne promuovono l’applicazione secondo fondamentale sulla cui base membri in virtù della Carta e sopratle rispettive competenze. tutte le questioni in materia tutto evitare che siano creati dei La presente Carta non introduce di diritti fondamentali devono diritti fondamentali che non esistono competenze nuove o compiti nuovi per a livello nazionale. la Comunità e per 2. l’Unione, né modiessere risolte in un contesto di Più in generale questi due stati fica le competenze e i compiti definiti diritto europeo hanno voluto evitare che la Corte dai Trattati. di Giustizia divenisse garante del Ciò dimostra la preoccupazione rispetto dei diritti fondamentali all’interno degli Stati membri del legislatore nel senso di assicurare anche nei settori di indipendentemente dalla materia rilevante. competenza dell’Unione una protezione dei diritti fondamenLa Carta assume un valore particolare poiché è stata tali equivalente a quella esistente negli Stati membri. Il chiaro elaborata da un concilio di carattere quasi costituzionale e tenore letterale della disposizione esclude che la Carta si rappresenta un catalogo dettagliato dell’attuale consenso al applichi alle situazioni di diritto puramente interne, in cui livello dei diritti fondamentali in Europa. lo stato mette in opera il diritto nazionale a prescindere da Rendendo la Carta vincolante, l’Unione europea ed i qualsiasi legame con il diritto comunitario. Il controllo degli suoi Stati membri si dotano di un testo fondamentale sulla atti interni, sotto il profilo della compatibilità con i diritti foncui base tutte le questioni in materia di diritti fondamentali damentali, resta tutt’ora riservato ai giudici nazionali, prodevono essere risolte in un contesto di diritto europeo. prio perché la Carta non assurge a strumento generale di Ed è proprio tale assetto scelto ad un livello quasi costituprotezione di tali diritti. La giurisdizione delle corti europee zionale che preclude alla Corte di Giustizia di introdurre dei in materia sussiste nella misura in cui vi sia una norma di nuovi diritti esclusivamente sulla base dell’ articolo 6, pararaccordo tra il diritto fondamentale invocato ed il diritto grafo 3, TUE. materiale dell’Unione Europea. Così la determinazione del Nel caso in cui la Corte di Giustizia dovesse rilevare la campo di applicazione della Carta e la precisazione che la necessità di elevare il livello esistente di protezione dei diritti Carta non introduce innovazioni nell’ambito delle compefondamentali comunitari, dovrà essere tenuta a verificare se tenze dell’Unione sono destinate ad evitare che essa costiciò sia coperto dalla Carta. tuisca un cavallo di Troia strumentale ad un’estensione delle Interpretandola a quest’effetto, la Corte di Giustizia deve competenze materiali dell’Unione europea a detrimento di rispettare, in virtù dell’ articolo 6, par. 1, alinea 3, le dispoquelle degli Stati membri. sizioni generali del titolo VII della Carta e prendere debitaIl raccordo tra la giurisdizione europea sui diritti umani mente in conto le spiegazioni relative alla Carta dei diritti ed il diritto comunitario ha fatto temere che la Carta potesse fondamentali. divenire uno strumento dissimulato per rimettere in causa la alle giurisdizioni comunitarie e nazionali. Ad essa viene attribuito in modo inequivocabile il medesimo valore dei Trattati. Il legislatore ha voluto in tal modo rispondere alle numerose istanze di maggiore trasparenza e democrazia a livello europeo. Tuttavia nell’attuale sistematica comprendere esattamente le conseguenze dell’entrata in vigore della Carta non è facile: bisogna innanzitutto leggere la recente versione dell’articolo 6, poi integralmente il testo della Carta e le sue spiegazioni, i due protocolli, le 4 dichiarazioni, infine la CEDU. 2.1 42 diritti umani zia, dell’ uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Queste disposizioni ricordano notoriamente la ripartizione di competenze esistente tra l’Unione e gli Stati membri nonché il rispetto del principio di sussidiarietà. Se il riconoscimento di un nuovo diritto fondamentale a livello comunitario è contrario alla Carta, ivi comprese le sue disposizioni generali, la Corte di Giustizia non sarà in grado d’introdurlo. Si crea per tale via una restrizione alla possibilità di creazione giurisprudenziale dei diritti. La ragione di tale restrizione è stata ravvisata nella natura stessa dell’ Unione, la quale non è uno stato federale propriamente detto e la Corte di Giustizia non è la Corte Suprema di un tale stato. Al contrario rientra nella facoltà della Corte di Giustizia l’adattamento della protezione in materia di diritti fondamentali, tenendo conto dei cambiamenti e delle evoluzioni sociali. Il consenso europeo, il riconoscimento congiunto di certi diritti fondamentali in tutti gli Stati membri definisce il livello di protezione e non già un obbligo imposto unilateralmente dalla Corte o dalle istituzioni. I motori di una protezione dei diritti fondamentali in Europa sono principalmente gli Stati membri e per quanto riguarda uno standard di protezione minimo la CEDU. Pertanto in prima battuta è stato ritenuto che non si possa dedurre che l’articolo 6, paragrafo 3, conferisca un’abilitazione generale alla Corte di Giustizia a completare il catalogo dettagliato costituito dalla Carta, anche se ciò sembra opportuno in ragione degli sviluppi sociali. In più l’articolo 6, paragrafo 3, ha come finalità fondamentale quella di permettere una evoluzione dei diritti fondamentali a livello comunitario, perché questo deve e può essere fatto rimanendo nel sistema dei diritti scritti di cui si dispone attualmente grazie alla Carta. A salvaguardia di quanto disposto nella Carta il suo articolo 53 così dispone: Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’ uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell’ Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l’Unione, la Comunità o tutti gli stati membri sono parti contraenti, in particolare la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’ uomo e delle libertà fondamentali, e dalle costituzioni degli stati membri. E’ sufficiente arrestarsi al tenore letterale di tale norma per comprendere che essa impone che il livello di protezione non possa essere inferiore a quello della Convenzione e non deve portare pregiudizio ai diritti riconosciuti dalle costituzioni degli Stati membri. Riguardo agli Stati membri che non hanno rifiutato la forza vincolante della Carta, tale articolo è stato ritenuto superfluo. Il rispetto dei diritti fondamentali è assicurato non solo dalla forza vincolante della Carta ma anche dalla possibilità di attivare la procedura di cui all’ articolo 7 (che rinvia al precedente articolo 2) del Trattato, in caso di violazione dei valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democra- 2.2 Per quanto riguarda la forza vincolante della Carta occorre ora esaminare più da vicino la situazione del Regno Unito e della Polonia e chiedersi se ad ogni modo esistano dei margini per l’applicazione della Carta anche a tali paesi87. Occorre distinguere. Da quanto sin qui detto risulta che gli atti di diritto interno non sono soggetti alla Carta in nessun paese. Sotto questo profilo la posizione della Polonia e del Regno Unito è analoga a quella degli altri stati. Per quanto riguarda gli atti di diritto comunitario, quelli immediatamente applicabili (cioè che non necessitano di alcun atto di trasposizione interno), devono rispettare la Carta anche se applicati ad individui che si trovano nel Regno Unito o in Polonia. Restano da esaminare gli atti di diritto comunitario che non siano immediatamente applicabili. Ora trattandosi di un atto attuativo di un regolamento comunitario, poiché il regolamento comunitario è immediatamente applicabile, è chiaro che il livello di protezione dovrà essere quello assicurato dalla Carta. Più difficile il discorso per quanto riguarda gli atti di trasposizione delle direttive. Queste in linea generale legano gli Stati membri per quanto riguarda il risultato da raggiungere ma affidano al loro potere discrezionale la scelta delle forme e dei mezzi. Si potrebbe dire che se il potere discrezionale è ridotto a zero, i diritti fondamentali da rispettare sono quelli sanciti dal legislatore nazionale. Mentre se vi è potere discrezionale, il parametro di valutazione è costituito dai diritti fondamentali della Carta. Tuttavia è piuttosto difficile tracciare una linea di demarcazione ben definita ed è ragionevole presumere che in futuro vi sarà giurisprudenza sul punto. Così è stato suggerito di concludere nel senso che Regno Unito e Polonia non siano tenuti al rispetto della Carta quando si tratti di regole che hanno un effetto diretto ( atti esecutivi di regolamenti o regole per le quali non vi è nessun margine di manovra) e per le quali non vi è alcun potere discrezionale. Per questi casi i diritti fondamentali quali principi generali secondo l’ art 6, paragrafo 3, restano applicabili come lo erano prima del Trattato di Lisbona e preservano lo “status quo” dei diritti fondamentali esistenti al livello comunitario. Una evoluzione dello standard di protezione non è così realmente possibile se non attraverso l’influenza della Carta che costituisce il livello minimo di protezione ugualmente nel quadro del paragrafo 3. 8 Vedasi l’articolo 1 Protocollo n . 30 sull’ applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione Europea alla Polonia ed al Regno Unito (Gazzetta Ufficiale C 2008 115/313). 43 diritti umani mento di adesione sarà concluso, la CEDU diverrà una vera e propria fonte di diritto obbligatoria anche per gli atti di diritto comunitario. Al contrario la Carta a seguito dell’adesione dell’Unione – prevista dall’ articolo 6, paragrafo 2 ed avvenuta con il Trattato di Lisbona – è divenuta una vera e propria fonte di diritto obbligatoria per tutto quello che riguarda gli atti dell’ Unione stessa. Tuttavia, la giurisprudenza della Corte di Giustizia, formatasi prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ha da sempre tenuto conto dei grandi principi della CEDU(222/84)98 e ha sottolineato che un atto comunitario non può essere valutato come legittimo se è incompatibile con i diritti dell’uomo riconosciuti dalla Convenzione (5/88)10nonostante questa non sia vincolante per l’Unione stessa. La Corte tiene conto delle disposizioni della Convezione nella sua analisi sulla legittimità di un atto, nel quadro della giustificazione (C-368/95)11 e a sostegno della propria inter- 2.3 Gli Stati membri dell’Unione in quanto parti contraenti di questa Convenzione di diritto internazionale pubblico sono tenuti al suo rispetto. Di conseguenza tutti gli atti nazionali devono essere compatibili con questa, senza che vi sia una differenza tra atti puramente interni ed atti che sono nazionali ma attuativi del diritto comunitario. Da ciò deriva che il diritto dell’Unione è, già prima dell’ adesione dell’Unione stessa, parzialmente sottomesso al controllo della Corte Europea dei diritti dell’uomo per quanto riguarda la sua messa in opera da parte degli Stati membri. Per quanto invece riguarda l’adesione diretta dell’ Unione alla CEDU, l’articolo 6, paragrafo 2, dispone che: L’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’ uomo e delle libertà fondamentali.Tale adesione non modifica le competenze dell’Unione definite nei trattati. Tale adesione alla CEDU da parte dell’ Unione in quanto tale è oramai possibile poiché l’Unione ha oramai personalità giuridica e può concludere accordi di diritto internazionale. Essa , come acutamente osservato, avrà due conseguenze importanti : in primo luogo la Convenzione diverrà fonte vincolante di diritti fondamentali anche in relazione ad atti dell’Unione ed in secondo luogo al controllo interno del rispetto della Convenzione si aggiungerà un controllo esterno della Corte Europea dei diritti dell’uomo. L’articolo 6, paragrafo 2, prevede tale adesione, ma non ne indica il termine. Il Trattato prevede la procedura di adesione alla CEDU all’ articolo 218, paragrafo 6, ii). Il Consiglio adotterà una decisione sulla conclusione dell’ accordo dopo l’approvazione del Parlamento Europeo. Voterà all’unanimità. La decisione entrerà in vigore dopo la sua approvazione da parte degli Stati membri, conformemente alle rispettive regole costituzionali. Nella gerarchia delle norme comunitarie, la Convenzione si troverà, a causa di quest’approvazione necessaria da parte degli Stati membri, al di sopra del diritto derivato. Al contrario la Carta europea dei diritti fondamentali avendo la medesima forza giuridica dei Trattati è, in virtù di questa qualità, diritto primario, superiore alla Convenzione. 9 Si trascrivono i punti 1 e 2 della massima: “1. Come detto nella dichiarazione comune del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione in data 5 aprile 1977, e secondo la giurisprudenza della Corte, si deve tenere conto, nell’ ambito del diritto comunitario, dei principi ai quali é informata la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’ uomo e delle libertà fondamentali. Il principio dell’ effettivo sindacato giurisdizionale sancito dall’ articolo 6 della direttiva 76/207, principio su cui si basano le tradizioni costituzionali comuni agli stati membri e che é stato sancito dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’ uomo e delle libertà fondamentali, osta a che venga attribuito il valore di prova inoppugnabile, che escluda qualsiasi sindacato giurisdizionale, al certificato di un’autorità nazionale in cui si dichiara che sussistono i presupposti per derogare al principio della parità di trattamento di uomini e donne ai fini della tutela della pubblica sicurezza. L’articolo 6, a norma del quale chiunque si consideri leso da una discriminazione basata sul sesso deve disporre di un rimedio giurisdizionale effettivo, può essere fatto valere dai singoli nei confronti dello stato membro che non abbia provveduto a dargli piena attuazione nel proprio ordinamento giuridico interno. 10 9 Si trascrive il punto 2 della massima : «2. I diritti fondamentali riconosciuti dalla Corte non risultano essere prerogative assolute, ma devono essere considerati in relazione alla funzione da essi svolta nella società . è pertanto possibile operare restrizioni al loro esercizio, in particolare nell’ambito di un’organizzazione comune di mercato, purché dette restrizioni rispondano effettivamente a finalità d’ interesse generale perseguite dalla Comunità e non si risolvano, considerato lo scopo perseguito, in un intervento sproporzionato ed inammissibile che pregiudicherebbe la stessa sostanza di tali diritti . Tenuto conto di questi criteri, una disciplina comunitaria che abbia per effetto di spogliare l’affittuario, alla scadenza del contratto d’affitto, del frutto del proprio lavoro e degli investimenti effettuati nell’ azienda affittata, senza indennizzo, sarebbe in contrasto con le esigenze inerenti alla tutela dei diritti fondamentali nell’ ordinamento giuridico comunitario . Queste esigenze vincolano parimenti gli Stati membri quando essi danno esecuzione alle discipline comunitarie . Trattandosi, nell’ ipotesi di affitto di un’ azienda, della devoluzione, alla scadenza del contratto, dei quantitativi di riferimento esenti dal prelievo supplementare sul latte relativi all’ azienda, il regolamento n . 857/84 riserva alle autorità nazionali competenti un margine di valutazione sufficientemente ampio, tale da consentire loro di applicare questa disciplina conformemente alle esigenze di tutela dei diritti fondamentali, garantendo all’ affittuario la possibilità di conservare in tutto o in parte il quantitativo di riferimento se intende proseguire nella produzione del latte, oppure garantendogli un indennizzo se si impegna ad abbandonare definitivamente tale produzione . 11 Si trascrive il punto 5 della massima : “Quando uno Stato membro invoca esigenze imperative, come la salvaguardia del pluralismo della stampa, ai sensi dell’art. 30 del Trattato, per giustificare una normativa idonea a frapporre ostacolo all’esercizio della libera circolazione delle merci, questa giustificazione dev’essere interpretata alla 2.4 La CEDU ha segnato profondamente l’evoluzione dei diritti fondamentali a livello comunitario. è stata la fonte principale d’ispirazione per la creazione dei diritti fondamentali al livello comunitario. Ha rappresentato per lungo tempo il solo atto nel quale gli Stati membri hanno dichiarato quali diritti fondamentali riconoscessero, assogettandosi ad un’ unica giurisdizione quella della Corte europea dei diritti dell’uomo. Al suo rispetto sono tenuti singolarmente gli Stati dell’Unione che vi hanno aderito proprio in virtù della forza coercitiva di cui essa è dotata in quanto strumento di diritto pubblico internazionale. Per il momento, tuttavia, essa non vincola l’Unione Europea in quanto tale e solo quando il procedi- 44 diritti umani pretazione indica talvolta delle decisioni parallele della Corte Europea dei diritti dell’uomo (C-74/9512 e C-129/95). Questa importanza primordiale della CEDU quale fonte d’ispirazione per l’evoluzione dei diritti fondamentali comunitari è stata fin dal 1993 espressamente riconosciuta nell’ articolo 6, paragrafo 3 del Trattato. Nonostante il Trattato di Lisbona renda la Carta dei diritti fondamentali obbligatoria, mentre è ancora in corso l’adesione dell’Unione alla CEDU, è stato osservato che quest’ultima resta un punto di riferimento fondamentale per l’interprete. tezione giuridica degli individui al fine di non lasciare troppe competenze alla Corte Europea dei diritti dell’ uomo in rapporto ai diritti fondamentali al livello comunitario. Se il diritto dell’Unione arriverà ad avere un sistema sufficiente di protezione giurisdizionale del privato, la Corte Europea dei diritti dell’uomo, in prospettiva, potrebbe non avere di fatto alcuna competenza sussidiaria a causa dell’ articolo 35 che pone come condizione di ricevibilità l’esperimento di tutti i possibili rimedi interni. Il nuovo sistema diversificato è suscettibile di rafforzare la protezione dei diritti fondamentali nell’Unione europea. L’adesione alla Convenzione imporrà alle istituzioni europee il rispetto dei diritti dell’uomo quale obbligo di diritto internazionale pubblico, istituendo al contempo il controllo esterno della Corte europea dei diritti dell’uomo.13 2.5 L’adesione al Trattato di Lisbona introduce importanti conseguenze anche sul piano della protezione giurisdizionale. Prima dell’ entrata in vigore del Trattato di Lisbona in materia di diritti fondamentali non vi era spazio per un ricorso in virtù del quale un privato invocasse direttamente il loro mancato rispetto. Non sarebbe stato possibile invocare una violazione dei diritti umani uti singulus in un’azione diretta di annullamento ai sensi dell’ articolo 230 del Trattato (ora art. 263 dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona). Quando sarà completato il processo di adesione dell’Unione alla CEDU, il singolo avrà inoltre il diritto d’introdurre un ricorso individuale in virtù dell’articolo 34 della Convenzione contro gli atti comunitari invocando una violazione diretta dei diritti fondamentali. Non si esclude che tale rafforzata protezione giurisdizionale possa ugualmente motivare l’Unione a migliorare la pro- Conclusioni A livello dell’ Unione Europea il cammino verso la progressiva affermazione del carattere giuridicamente vincolante della CEDU e della Carta, cominciato nel 1950, é ancora in corso. La Carta é obbligatoria per le Isitituzioni e gli organi dell’ Unione e per gli Stati membri esclusivamente nell’ attuazione del diritto dell’Unione, mentre per la CEDU la forza vincolante non é stata ancora formalmente sancita, essendo in itinere il processo di adesione da parte dell’ Unione. Una volta ultimato tale processo, anche gli atti delle Istituzioni comunitarie saranno assoggettati al controllo della Corte europea dei diritti dell’uomo. Michela Velardo luce dei principi generali del diritto e, in particolare, dei diritti fondamentali. Tra essi figura la libertà di espressione, sancita dall’art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Al riguardo, il divieto di vendere pubblicazioni che offrono la possibilità di partecipare a giochi a premi è idoneo a ledere la libertà di espressione. Tuttavia, l’art. 10 della citata Convenzione ammette che per garantire la salvaguardia del pluralismo della stampa siano introdotte deroghe a tale libertà, sempreché previste dalla legge e necessarie in una società democratica”. 12 Si trascrive il punto 7 della massima : « L’obbligo del giudice nazionale di interpretare e di applicare le pertinenti norme di diritto nazionale quanto più possibile alla luce del testo e della finalità della direttiva della quale esse assicurano l’attuazione, per raggiungere il risultato da essa previsto, e di conformarsi così all’art. 189, terzo comma, del Trattato, è limitato, in particolare, allorché siffatta interpretazione abbia l’effetto di determinare o aggravare, in base alla direttiva e indipendentemente da una legge adottata per la sua attuazione, la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni. Allorché si tratta di determinare l’estensione della responsabilità penale risultante da una legge adottata in particolare per trasporre una direttiva, il principio che ordina di non applicare la legge penale in modo estensivo a discapito dell’imputato, che è il corollario del principio della previsione legale dei reati e delle pene, e più in generale del principio di certezza del diritto, osta a che siano intentati procedimenti penali a seguito di un comportamento il cui carattere censurabile non risulti in modo evidente dalla legge. Tale principio, che fa parte dei principi generali di diritto che sono alla base delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, è stato altresì sancito da diversi trattati internazionali, e in particolare dall’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Di conseguenza spetta al giudice a quo garantire il rispetto di tale principio in sede di interpretazione, alla luce del testo e della finalità della direttiva, del diritto nazionale adottato per attuare quest’ultima”. 13 Bibliografia essenziale: 1) Revue du Droit de l’Union Européenne 3/2009: “Considérations sur les perspectives de protection des droits fondamentaux dans l’Union Européenne”. Autore Abdelkhaleq Berradane. 2) Université du Luxembourg, Faculty of Law, Economics and Finance, Law Working Paper Series, “ The enforcement of the 45 La memoria degli avvocati buito ad applicarle; hanno taciuto od hanno protestato; hanno fatto i conti con loro dopo la guerra, esaminando dal punto di vista amministrativo e disciplinare le posizioni di chi più si era compromesso col regime fascista fino al 1943, e successivamente con quello di Salò. Hanno le carte in regola, in altre parole, per riprendere coraggiosamente in mano le vicende loro e del paese di quegli anni, con occhio asciutto e pronti ad affrontarne le conseguenze, perché – ecco la prima caratteristica, che inizia a differenziare il loro approccio da quello “generico” sopra delineato – essi sono in grado di operare un significativo impatto nella realtà sociale: già, perché se (da noi, fortunatamente: ma non dovunque è così) l’antisemitismo seppure non del tutto sopito è certamente sotto controllo e fortemente riprovato dalla coscienza pubblica, qualora le considerazioni si allarghino – com’è effetto naturale – al più ampio campo del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, ebbene allora gli spazi di intervento dei “custodi dei diritti” sono davvero ampi e destinati a conformare la stessa pratica quotidiana. Non è un caso se nel 2010 il tema centrale dell’attività della Scuola Superiore dell’Avvocatura sarà appunto quello dei diritti umani, già oggetto della seconda Conferenza Nazionale delle Scuole Forensi, promossa dal C.N.F. e dalla Scuola e svoltasi a Roma il 26 febbraio, e di nuovo ad aprile della Conferenza Europea dedicata appunto a “I diritti fondamentali nella formazione dell’avvocato europeo”. La scelta strategica dell’avvocatura italiana di integrare lo studio dei diritti umani nei programmi delle Scuole forensi ha tra le sue motivazioni l’ entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che ha conferito alle norme contenute nella Carta di Nizza del 2000 lo stesso valore giuridico dei trattati, e ha stabilito che i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali; ma ancora prima vi erano numerose indicazioni delle organizzazioni internazionali, che indicavano in varie occasioni l’importanza dei diritti umani nella formazione professionale3. 1. La memoria1 2. Ricordare o dimenticare ? a) scrivere per non dimenticare b) scrivere per far giustizia 3. Dalla testimonianza alla storia 4. L’etica della memoria 5. Un obiettivo degli studi forensi. 1. La memoria. Recensendo alcuni libri di memorie sulla Shoah nel Domenicale del IlSole-24Ore Elena Löwenthal ha scritto: “Labile scrigno è la memoria, incerta e mutevole la combinazione che ne racchiude fragili segreti, insicuro il gesto che a essa affida, giorno dopo giorno, quella approssimativa raffigurazione della vita che è il ricordo. La memoria ri-produce, modifica, trasforma. La memoria dimentica, abbandona negli anfratti del cervello e del passato, lascia chiazze scure nella mente, quando invece non vi depone impronte pesanti, inguaribili, come delle tacche nel cuore. Eppure in fondo non d’altro siamo fatti, se non di quell’aleatorio patrimonio di memorie passate, ataviche, e di altre più vicine ma non per questo meno vaghe: non fosse per quelle inafferrabili particelle di materia che sono i geni, ogni vita dovrebbe apprendere, cogliere, imparare tutto daccapo, con insopportabile fatica” 2. Può essere interessante partire da una siffatta definizione, di ambito generale, per indagare se per gli avvocati, ed in particolare per gli avvocati italiani, essa possa modularsi diversamente. Credo naturale proporre quale “cartina di tornasole” per una verifica del genere la stessa questione, centrale nella storiografia del ‘900 ed ancora attuale, dell’Olocausto, nella particolare declinazione che ha più da vicino interessato la categoria, vale a dire la preparazione del clima culturale, la redazione e poi l’applicazione delle leggi razziali. Gli avvocati ed i giuristi in genere, ad iniziare dai giudici ma senza dimenticare l’ambiguo ruolo dell’accademia, sono stati infatti protagonisti e vittime di quelle leggi. Hanno subito le epurazioni, talvolta nella doppia veste di legali e di universitari; hanno d’altro lato contri- Non è ambizione di questo intervento anche solo tratteggiare le discussioni sul tema della memoria, tanto 1 Il presente scritto è una parziale rielaborazione di contributo dallo stesso titolo in Diritto e formazione, n.2/2010. 2 Domenica 16.2.1998. 3 Per i riferimenti v. chi scrive l’editoriale La centralità dei diritti umani, nel n.1/2010 di questa Rivista. 46 la memoria degli avvocati variegate e complesse esse sono. Si può però tentare di ricordarne alcuni tratti essenziali, per l’interesse interpretativo anche ai nostri fini. Mi soffermo allora brevemente su tre questioni: la prima concerne la scelta fondamentale: ricordare o dimenticare?; la seconda è legata al momento storico che viviamo, e deve a David Bidussa la più recente e nota esposizione, e cioè il passaggio dalla testimonianza alla storia 4; l’ultima verte su un piano più teorico, quello dell’ “etica della memoria”, che vede nell’opera di Avishai Margalit una sistemazione filosofica 5. della vita quotidiana, eguagliano i diari di Viktor Klemperer8, che dal 1933 al 1945 annota da mite professore di filologia qual è l’imbarbarimento dell’ambiente sociale tedesco, connotando delle sue osservazioni alcuni comportamenti di massa, come – ad esempio – l’esibizione delle gravidanze da parte delle donne tedesche in tempo di guerra (“portano la pancia come uno stemma del partito”), ed ascrivendo anch’essi alla LTI (Lingua Tertii Imperii): “L’intera Germania è una fabbrica di carne, ed è un mattatoio” 9. In generale le memorie private hanno però un tono diverso, come due tra tutte celebri, quelle degli anni di guerra in Olanda di un’adolescente e di una giovane donna ebree, Anna Frank e Etty Hillesum10; o come quelle di Janina Bauman, moglie del sociologo Zygmunt, e figlia di un ufficiale polacco assassinato dagli stalinisti a Katyn, che ci ha lasciato le pagine del suo diario nel ghetto di Varsavia11. Forse la diversità del tratto è dovuta anche alla condizione femminile delle protagoniste12, come si ricava a contrario da altre testimonianze maschili, quale quella di Emanuel Ringelblum dal medesimo ghetto, che non rinunciano neppure in quelle condizioni a qualche autoironico witz13. Scrivere, allora, per non dimenticare. 2. Ricordare o dimenticare ? a) scrivere per non dimenticare. La prima sembrerebbe avere una risposta scontata; non vi sarebbe motivo neppure per questo intervento se si scegliesse di dimenticare. Non è così, però.Vi sono motivazioni differenti che giustificano lo sforzo della memoria, e addirittura opzioni radicalmente diverse. Partendo da queste ultime, un grande esponente della psicanalisi italiana, di origini ebraiche, come Cesare Musatti ha scritto che “determinate cose si dimenticano; altrimenti non si potrebbe continuare a vivere”6. Un silenzio terapeutico, si direbbe. Un altro invito al silenzio ha invece diversa origine; Giacomo De Benedetti scrive che dopo il rastrellamento dell’ottobre 1943 a Fara Sabina, od Orte, una ragazza scorse alla grata di un vagone piombato del convoglio dei deportati il viso di una bambina che conosceva, e la chiamò. Un altro viso si affacciò, e le accennò di tacere. “Questo invito al silenzio, a non tentare più di rimetterli nel consorzio umano, è l’ultima parola, l’ultimo segno di vita che ci sia giunto da loro” 7. Un silenzio questo che immagino dovuto al pudore della disperazione. Motivazioni entrambe nobili e comprensibili, ma che non possiamo accettare perché in realtà la memoria, lo ho già accennato, è uno strumento cui non possiamo rinunciare. Quali invece le ragioni “pratiche” del ricordo, ed un particolare del conservarlo in forma trasmissibile (lo scriverne) ? Conosciamo molti esempi di memorialistica privata degli anni della persecuzione razziale. Pochi, per la lunghezza della registrazione dei fatti 4 5 6 7 b) scrivere per far giustizia Oppure scrivere per vendicarsi. Per tanti italiani che hanno soccorso gli ebrei perseguitati, quanti altri facevano parte delle schiere di aguzzini che, anche senza una direzione nazista – spesso comodo paravento per le giustificazioni post-belliche – cacciavano in ogni dove i loro concittadini di “razza” diversa ? Per tanti (pochi, pochissimi) professori universitari che rifiutarono nel 1931 il giuramento di fedeltà 8 V.Klemperer, Testimoniare fino all’ultimo. Diari 1933-1945, Milano, Mondadori, 2000, 601. 9 L’opera di filologo di Klemperer è espressa in LTI. La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo, Firenze, La Giuntina, 2008. 10 A.Frank, Diario, Torino, Einaudi, 1966; E.Hillesum, Diario 19411943, Milano, Adelphi, 2000. 11 J.Bauman, Inverno nel mattino. Una ragazza nel ghetto di Varsavia, Bologna, Il Mulino, 1994. 12 E la loro cultura: si paragonino le testimonianze dai campi di due deportate italiane - Albina Moinas di Monfalcone e Rosa Cantoni di Udine - nella Rivista telematica Deportati, Esuli, Profughe (DEP) dell’Università di Venezia Cà Foscari. Vero è che il genere delle memorie dei sopravvissuti dai campi è totalmente diverso, ed ancora diversa la posizione degli intellettuali: ricordo la polemica postuma tra Primo Levi – in I sommersi e i salvati, Torino , Einaudi, 1986 – e Jean Amery, Intellettuale ad Auschwitz, Torino, Bollati Boringhieri, 1987. 13 In A.Nirenstein, Ricorda cosa ti ha fatto Amalek, Torino, Einaudi, 1958. Un esempio di storiella ebraica di Ringelblum: “Un tale arriva all’altro mondo ed incontra Cristo in paradiso. – Ehi ! – grida – cosa fa qui un ebreo senza il bracciale ? …- Lascia perdere, - gli risponde San Pietro, - è il figlio del padrone”. D. Bidussa, Dopo l’ultimo testimone, Torino, Einadi, 2009. A.Margalit, L’etica della memoria, Bologna, Il Mulino, 2006. C.Musatti, Ebraismo e psicoanalisi, Pordenone, EST, 1994, 64. G. Debenedetti, 16 ottobre 1943, Palermo, Sellerio, 1993, 63. 47 la memoria degli avvocati al regime, quanti (tutti gli altri) lo prestarono, magari con una “riserva interiore” come alcuni cattolici, o per meglio servire la causa dell’antifascismo all’interno delle istituzioni, come altri ispirati da Togliatti, o per non peggiorare le cose, come altri ancora…? E per tanti (pochi) che nascosero i colleghi cui era impedito l’esercizio della professione consentendo loro una residua attività, a rischio e pericolo anche personale, quanti (la maggior parte) degli avvocati aderirono al fascismo e votarono per le cariche istituzionali i suoi corifei anche prima del ’26 ? Qui allora è evidente un’altra motivazione delle ricerche cui le stesse istituzioni forensi sono chiamate. Se il termine “vendetta” può sembrare brutale e non appropriato, lo si abbandoni, una volta che abbia sortito il desiderato effetto di scuotere le coscienze, in favore di quello di “far giustizia”; ma è l’impostazione del dibattito storico nella categoria che va mutata, semplicemente indagando e riportando i “fatti”. Che successe, per esempio, nelle elezioni del 1925 dell’Ordine fiorentino, seguita di pochi giorni alle devastazioni di numerosi studi legali compiute l’ultimo giorno del 1924 dagli squadristi, che avevano provocato la reazione e la protesta del Consiglio in carica su iniziativa di Piero Calamandrei, di Adone Zoli, di Giulio Paoli, firmatario del manifesto Croce e noto docente di diritto penale, e di Gaetano Pacchi, giovanissimo deputato socialista ? Ebbene, non ci si può nascondere che (anche non ignorando le condizioni in cui si erano svolte le elezioni) gli avvocati fiorentini avevano finito poi per punire proprio i protagonisti di tali proteste, premiando i loro avversari col consentire l’affermazione della lista fascista. Oppure, crediamo non isolato il caso del noto avvocato pisano che, già esponente del regime e presidente del Direttorio del Sindacato fascista degli avvocati (il fasullo omologo del Consiglio dell’Ordine di quegli anni), divenuto questore repubblichino di Pistoia contribuì alla cattura – ed alla deportazione ad Auschwitz, dove morirono – di due giovani concittadine ebree, cugine di un collega che non gli era ignoto; ebbene, i procedimenti di epurazione post-bellica non sortirono effetto alcuno nei suoi confronti, ed egli, tra l’amnistia togliattiana e l’esito nullo del procedimento disciplinare, potè riprendere la professione tra le proteste del collega sopravvissuto alla persecuzione 14. Fatto sta che la nostra categoria si è voluta dare nel dopoguerra una visione in parte auto consolato- ria, indubbiamente fondata su testimonianze autorevoli, quali quella di Piero Calamandrei, che aveva definito quella degli avvocati come la professione che più di ogni altra aveva sofferto della tirannia, per la necessità di lavorare quotidianamente in un quadro normativo nel quale trovare quotidianamente “la conferma esasperante della nostra vergogna”. E’, sempre con le parole del giurista fiorentino, il “lungo, logorante periodo” della “resistenza allusiva” fatta di lotta al fascismo “vivendoci in mezzo” (così lo ricorda Francesca Tacchi15); ed è ancora Calamandrei il testimone di un’interpretazione delle leggi razziali come tragico portato della “brutale amicizia” italo-tedesca 16: “abbiamo sentito con orrore scendere dalla Germania e introdursi a poco a poco nella nostra legislazione la peste totalitaria annientatrice d’ogni forma di legalità” 17. Il “guaio” è che probabilmente non era andata proprio così. Certamente l’occupazione tedesca ha mutato il quadro delle condizioni di vita degli ebrei italiani, ma le premesse teoriche delle leggi razziali avevano autonome fondamenta anche in Italia. E’ una considerazione che era già presente a chi – come Guido Alpa – si era dedicato agli studi sulla capacità, ricordando l’adesione o l’indifferenza di molti civilisti alla nuova tematica razziale 18, e che ora emerge con chiarezza dalle ricerche più recenti, che ne rintracciano l’origine nelle vicende delle guerre coloniali degli anni trenta, che avevano procurato all’Italia il suo “impero”19. Così come la presunta “mitezza” delle leggi italiane è smentita dalla comparazione con le leggi tedesche, come ha dimostrato tra gli altri Valerio Di Porto20. Non ci resta quindi che rimboccarci le maniche ed aprire gli archivi, per verificare qual è stato davvero l’im15 F.Tacchi, Gli avvocati italiani dall’Unità alla repubblica, Bologna, Il Mulino, 2002, 431. 16 L’espressione è di F.W.Deakin, La brutale amicizia. Mussolini, Hitler e la caduta del fascismo italiano, Torino, Einaudi, 1963. 17 Intervento al primo Congresso nazionale giuridico forense, Firenze 1947, in Atti del primo congresso nazionale giuridico forense del secondo dopoguerra, G.Alpa-S.Borsacchi-R.Russo (a cura di), Bologna, Il Mulino, 2008. Su Calamandrei per tutti cfr. P.Grossi, Lungo l’itinerario di Piero Calamadrei, in www.astrid-online.it/ rassegna/Rassegna-27/25-02-2009/Grossi_Calamandrei.pdf, e, dello stesso Autore, Stile fiorentino. Gli studi giuridici nella Firenze italiana 1859-1950, Milano, Giuffrè, 1986. 18 G.Alpa, Status e capacità, Bari, Laterza, 1993, 130 ss. 19 Per tutti v. E. De Cristofaro, Il codice della persecuzione, Torino, Giappichelli, 2008, 261 ss. 20 V. Di Porto, Le leggi della vergogna, Firenze, le Monnier, 2000. V. anche di A.Foa, Le leggi antiebraiche del 1938: memoria, storia, senso comune storiografico. Spunti per una riflessione, in Le leggi razziali entiebraiche fra le due guerre mondiali, Firenze, Giuntina, 2009, 121 ss. 14 Su queste vicende sia consentito il rinvio a Le leggi razziali. Uno sguardo in provincia, (a cura di chi scrive), Pisa, Plus - Pisa University Press, 2010. 48 la memoria degli avvocati patto delle leggi razziali. Non una mera ricerca storica, ma lo studio di come reagire al totalitarismo e prevenire oggi ogni tentativo di limitazione dei diritti fondamentali, obiettivo questo di cui non si negherà le centralità nell’opera di avvocati e giudici. Suppliranno forse anche gli oggetti, muti osservatori, talvolta più eloquenti degli esseri umani ? I cumuli di scarpe, di occhiali, di valige di Auschwitz; le baracche e le latrine comuni di Birkenau. Più di tutti un testimone diretto ha saputo cogliere in un piccolo rametto di salice il simbolo dell’altra grande tragedia del Novecento, il Gulag. Varlam Šalamov, maestro russo del racconto breve, 3. dalla testimonianza ci narra del prigioniero che invia alla vedova del poeta alla storia Mandel’štam morto alla Kolyma un ramo della pianta dell’estremo siberiano; rametto secco, posto nel baratLa seconda questione ha al centro una domanda tolo riempito con “la morta acqua dei rubinetti di di intuitiva importanza: che accadrà dopo che anche l’ Mosca”, sul quale però, miracolo“ultimo testimone” diretto dello samente, nel giro di pochi giorni sterminio se ne sarà andato ? Non occorre quindi ricordare; appaiono i primi germogli. pochi di noi hanno infatti potuto occorre in particolare che gli “Il larice respirava nell’apparconoscere personalmente peravvocati ricordino la storia tamento moscovita per ricorsone scampate ai Vernichtungsladel loro paese e della loro dare a ognuno il proprio dovere, ger, e molti hanno almeno potuto perché nessun uomo dimentiapprenderne le testimonianze professione; occorre che non casse i milioni di cadaveri, i milioni attraverso i mezzi di comunicaarretrino di fronte a verità di persone che avevano perso la zione: una per tutte, l’esperienza scomode, ma ne facciamo vita nella Kolyma… della monumentale ricerca di insegnamento per sé e per le 21 Aiutate gli altri a ricorClaude Lanzmann sulla Shoah . generazioni future dare, togliersi dall’anima questo Le due modalità peraltro non peso così gravoso: vedere tutto sono identificabili in tutto, lo dico quanto, trovare il coraggio non di raccontare ma di pensando anche al ricorrente negazionismo, che come ricordare”23. un fiume carsico di tanto in tanto si riaffaccia. Scrive Bidussa che la Giornata della Memoria non è il “giorno E’ il larice immortale di Šalamov, dal vago sentore di dei morti”, ma quello della memoria per i vivi: “se la resina, il testimone perfetto. memoria è elaborata nel presente e si propone per il futuro significa che noi non ricordiamo ‘quello che è 4. L’etica della memoria avvenuto’ come se fosse un dato, ma che lo ricordiamo attivamente, ossia insieme ne produciamo e riproduDiverso il respiro della posizione del filosofo israeciamo la memoria”, compito che sarà allora – dopo l’ulliano Avishai Margalit, che è tra l’altro tra i fondatori del timo testimone – esclusivamente nostro, e quindi inemovimento pacifista Peace Now. vitabilmente, come dire, di seconda mano. Un indirizzo A lui dobbiamo l’idea della “società decente”, che operativo, dunque, tanto più consono all’angolazione non coincide con la “società giusta” di John Rawls, che ho proposto poco sopra. Non ha torto, peralperché mentre quest’ultima si occupa soprattutto dei 22 tro, neppure Marcello Pezzetti quando ricorda che criteri distributivi, Margalit con il concetto di “decenza” evidenzia il valore della dignità umana, che intesa essengli unici che hanno conosciuto davvero la Shoah sono zialmente come assenza di umiliazione precede quello quelli che non sono sopravvissuti, quelli che selezionati stesso di giustizia24 . alla discesa dal treno venivano immediatamente avviati alle camere a gas, o rastrellati venivano subito fucilati La sua interpretazione si basa su una distinzione tra e gettati nelle fosse comuni: la vera memoria è forse etica e morale, fondata sul tipo di relazione interperquella impossibile dello sterminio, non quella della vita sonale considerata: l’etica si interessa delle relazioni nei lager. che definisce “spesse” (i rapporti che si intrattengono con le persone vicine e verso cui si nutre un interesse 21 C. Lanzmann, Shoah, DVD con testi allegati, introduzione di F.Sessi e prefazione di S. de Beauvoir, Einaudi, Torino, 2007. 22 Così Pezzetti – Direttore del Museo della Shoah di Roma - nel recente incontro del 19 febbraio 2010 a Pisa presso la Scuola Normale Superiore, nel ciclo dei Venerdì del Direttore, dedicato a “L’attualità della memoria. Arminio Wachsberger e altre storie della Shoah”. 23 V. Šalamov, La resurrezione del larice, in I racconti di Kolyma, Torino, Einaudi, 1999, 1066 ss. 24 A.Margalit, La società decente, Milano, Guerini e associati, 1998; J.Rawls, Una teoria della giustizia, Milano, Feltrinelli, 2008. 49 la memoria degli avvocati diretto), mentre la morale di quelle “sottili” (che cioè riguardano ogni essere umano). La conclusione dello studioso è quindi che “esiste un’etica della memoria, ma nella memoria c’è ben poca moralità”; Margalit ricorre al concetto di “cura”, volto al passato ed in relazione con la memoria: il prendermi cura di qualcuno – una relazione “spessa” – comporta il ricordo. Per questo motivo (l’intrecciarsi con la cura, essendo al centro della relazioni “spesse”) la memoria appartiene allora all’etica, mentre la morale ne è appunto estranea perché le relazioni “sottili” di cui si occupa non implicano il dovere della “cura”. L’etica della memoria si colloca quindi su un piano collettivo generale, e – mi sentirei di affermare – anche su quello delle singole “comunità di pratica”, quale può essere definita quella degli avvocati. Il piano collettivo giustifica da parte sua il dovere del ricordo, per evitare nuove manifestazioni di “male radicale”, che puntano a contestare la stessa idea a base delle relazioni “sottili”, che cioè si abbiano dei doveri verso gli altri solo perché anch’essi esseri umani. Non è stato Hitler ad affermare ai suoi generali, poco prima dell’invasione della Polonia, “Dopotutto, chi parla oggi dello sterminio degli armeni ?” 25. Ecco quindi un secondo invito, che vorrei cogliere, alla riflessione per la nostra categoria. L’interesse per la memoria così intesa dovrebbe essere un naturale complemento della nostra attività; uno sguardo al passato al fine pratico di interpretare il presente, per le relazioni “spesse” che ci sono peculiari, a cominciare da quelle con i clienti, che altri non sono che i cittadini della nostra repubblica verso i quali rivestiamo una particolare responsabilità sociale. umani (nel cui ambito si iscrivono i temi qui trattati) al pratico. L’occasione per affrontare la ricerca è ghiotta, cadendo quando l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona porta già a risultati “insperati” (e vedremo quanto duraturi) in termini di decisioni giudiziali26. E’ però indispensabile, e non solo per i formatori o gli “addetti ai lavori” in genere, ma per tutti i giuristi, una preventiva riflessione su sè stessi, condotta anche con l’aiuto delle categorie concettuali di cui ho in questa sede iniziato a discutere27. David Cerri 5. Un obiettivo degli studi forensi Occorre quindi ricordare; occorre in particolare che gli avvocati ricordino la storia del loro paese e della loro professione; occorre che non arretrino di fronte a verità scomode, ma ne facciamo insegnamento per sé e per le generazioni future. Forse lo sforzo principale da compiere, per chi si occupa della formazione – non solo per l’accesso, ma anche continua – è non far sembrare oziosa od eccessivamente “filosofica” la trattazione del tema dei diritti 26 Alle decisioni rapidamente ricordate nell’editoriale cit. in n.2 si possono ora aggiungere anche Corte di Giustizia 4.3.2010, C-578/08, Chakroun / Minister van Buitenlandse Zaken, e Id. (Grande Sezione) 2.3.2010, C-175/08+3, Salahadin Abdulla et a. / Bundesrepublik Deutschland, sempre nel senso di un richiamo più o meno incisivo alla Carta di Nizza. 27 Analogo ma certamente meglio motivato invito si scopre nelle pagine di U.Vincenti, Diritti e dignità umana, Bari, Laterza, 2009. 25 Per la sintesi delle posizioni di Margalit sono debitore ai commenti di K.A.Appiah, You must remember this, in La Rivista dei Libri, maggio 2007, e di M.Bozzer, nella cit. Rivista telematica Deportati, Esuli, Profughe (DEP) dell’Università di Venezia, contributi la cui lettura raccomando caldamente. 50 A proposito di una recente sentenza: Cassazione, SS.UU. 6 luglio 2010, n. 18477. sentenza, rileva che gli argomenti addotti per sostenere la tesi della incompetenza della assemblea in ordine all’approvazione delle tabelle millesimali non sembrano convincenti. In primo luogo perché la legge non regola le concrete modalità di determinazione dei millesimi, ma si limita a stabilire che essi debbono essere espressione del valore di ogni piano o porzione di piano, escludendo l’incidenza di determinati fattori. In secondo luogo perché la deliberazione che approva le tabelle millesimali non si pone come fonte diretta dell’obbligo contributivo del condominio, che è nella legge prevista, ma solo come parametro di quantificazione dell’obbligo, determinato in base ad una valutazione tecnica; non può qualificarsi attività negoziale. La sentenza precisa che in “ordine alla affermazione che la deliberazione con la quale l’assemblea dovesse approvare non all’unanimità le tabelle millesimali sarebbe affetta da nullità assoluta (e quindi inefficace anche per coloro che hanno votato a favore) ove non assunta con la maggioranza degli intervenuti che rappresentino anche la metà del valore dell’edificio, mentre sarebbe affetta da nullità relativa solo nei confronti degli assenti e dissenzienti, ove assunta con la maggioranza in questione, è agevole osservare che presuppone una distinzione tra nullità relativa e nullità assoluta di cui non vi è traccia nella legge ed è affetta da una intima contraddizione, in quanto se si parte dalla premessa che l’assemblea non ha il potere di deliberare a maggioranza, non si riesce a comprendere come, a seconda della maggioranza raggiunta, il vizio sarebbe di maggiore o minore gravità.” Inoltre, rileva la pronuncia, che la approvazione a maggioranza delle tabelle millesimali non comporta inconvenienti di rilievo nei confronti dei condomini, in quanto nel caso di errori nella valutazione delle unità immobiliari di proprietà esclusiva, coloro i quali si sentono danneggiati possono chiedere, senza limiti di tempo, la revisione ex art. 69 disp. att. c.c.. Viene ricordata anche la giurisprudenza in tema di c.d. regolamento condominiale di origine “contrattuale”: “tale giurisprudenza, infatti, aveva chiarito che occorre distinguere tra disposizioni tipicamente regolamentari e disposizioni contrattuali e che solo per le seconde è necessario, ai fini della loro modifica, l’accordo di tutti i partecipanti, mentre le prime sono modificabili con le maggioranze previste dalla legge, precisando ulteriormente che: a) sulla diversa natura dei due gruppi di disposizioni e sul diverso loro regime di modificabilità non può incidere la loro comune inclusione nel regolamento (sent. 14 novembre 1991 n. 12173); b) hanno natura contrattuale solo le clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni attributive ad La sentenza che qui si vuole esaminare è la n. 18477 del 6/07/2010 a Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione. E’ il frutto del Primo Presidente, dei tre Presidenti di Sezione, uno dei quali è il relatore, e di altri cinque Consiglieri. Oggetto della pronuncia è la sentenza n. 21737/2000 con la quale il Tribunale di Roma aveva dichiarato la nullità della delibera dell’assemblea condominiale del 30 settembre 1994 che aveva approvato a maggioranza, e non all’unanimità, la nuova tabella per le spese di riscaldamento. La Corte di appello di Roma, con sentenza in data 13 ottobre 2004 confermava la decisione di primo grado in base alla seguente motivazione: “...la dichiarazione di nullità della deliberazione in questione incide non solo sulla gestione delle cose comuni, ma anche sul diritto soggettivo dell’appellante all’attribuzione di una quota millesimale corrispondente all’effettiva consistenza della sua proprietà esclusiva usufruente del servizio di riscaldamento. ... le tabelle millesimali, comprese quelle relative a servizi dei quali i singoli condomini usufruiscono in maniera diversa quali il riscaldamento o le scale e gli ascensori sono pur sempre riferite alle esclusive proprietà dei singoli partecipanti al condominio e costituiscono il presupposto per la concreta ripartizione delle relative spese. Sulla base di tale distinzione deve essere interpretato il combinato disposto dal co. 1 e del co. 3 dell’art. 1138 c.c., nel senso che mentre il regolamento, riguardante la concreta ripartizione delle spese, può essere approvato dalla maggioranza di cui all’art. 1136 co. 2, c.c., le tabelle millesimali devono essere approvate all’unanimità.” Prima di passare all’esame della pronuncia a Sezioni Unite lo scrivente osserva come la sopra riportata motivazione della Corte di appello di Roma non sia condivisibile. Infatti secondo l’art. 1138 c.c., co. 1, il regolamento di condominio, obbligatorio negli edifici con più di dieci condomini, deve contenere la ripartizione delle spese e, secondo la richiamata disposizione di attuazione del cod. civ. (art. 68) i valori dei piani o delle porzioni di piano devono essere espressi in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condominio ma a norma del co. 3 dello stesso articolo il regolamento deve essere approvato, non all’unanimità, ma con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio. Analoga a questa osservazione è stata la doglianza del ricorrente che il Collegio ritiene fondata. La sentenza in esame ricorda che per lungo tempo la Suprema Corte ha ritenuto che per l’approvazione o la revisione delle tabelle millesimali fosse necessario il consenso di tutti i condomini e ove questo mancasse, a ciò dovesse provvedere il giudice su istanza degli interessati. Ma il collegio, prosegue la 51 una clausola (quella contenente le tabelle millesimali) dello stesso regolamento. Del tutto diversa è la fattispecie della modificabilità, con la citata maggioranza qualificata, delle tabelle millesimali di proprietà contenute in un regolamento contrattuale. Questo perché sia nella sentenza n. 9757 del 23/04/2010 della Sezione seconda civile redatta dallo stesso Presidente di Sezione che è stato il relatore di quella a Sezioni Unite ed è pedissequamente riportata in questa ultima, si rinviene solo l’affermazione già riportata “...non sembra, in linea di principio, poter riconoscere natura contrattuale alle tabelle millesimali per il solo fatto che, ai sensi dell’art. 68 disp. att. cod. civ., siano allegate ad un regolamento di origine c.d. “contrattuale”... Questo senza alcuna argomentazione giuridica posta a fondamento ed in netto contrasto con la disposizione per l’attuazione del Codice civile art. n. 69 la quale espressamente prevede che “i valori proporzionali dei vari piani o porzioni di piano, (espressi in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condominio secondo l’art. 68 disp. att. cod. civ.) possono essere riveduti o modificati, anche nell’interesse di un solo condomino” solo in due casi Anche perché poi la citata, in senso conforme implicitamente, sentenza n. 2 giugno 1999, n. 5399 stabilisce letteralmente che “Le tabelle millesimali... in quanto allegate a regolamento condominiale contrattuale..., che costituisce una sorta di statuto della collettività condominiale, fonte di diritti e obblighi per i singoli condomini (v. Cass. n. 2590-90, n. 12342-95), non possono essere modificate se non con il consenso unanime di tutti i condomini o per atto dell’autorità giudiziaria a norma dell’art. 69 delle medesime disp. att. c.c. e conservano piena validità ed efficacia (quali leggi del condominio) sino a che non intervenga una rituale modifica delle stesse (Cass. n. 2275-68, n. 882-70, n. 4274-74, n. 506-75, n. 5769-78, n. 5905-81, n. 3232-82, n. 4197-87, n. 3701-88, n. 7884-91, n. 12115-92, n. 854-97). Seguendo il principio di questa sentenza, che lungi da essere di supporto è contraria alla pronuncia delle Sezioni Unite, a parere di chi scrive, le tabelle millesimali contenute in un regolamento condominiale c.d. contrattuale non possono essere modificate o rivedute se non con le modalità previste dalla legge e non da una delibera assembleare, delibera che può invece operare nel caso di un regolamento di origine per l’appunto assembleare. Non si ritiene possibile che una sentenza, sia pure a Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione possa modificare una precisa norma di legge. Per concludere in relazione all’impatto della pronuncia in esame, che lo scrivente ha già definito limitato, non si può non osservare che, secondo il parere dello scrivente, non potrà trovare applicazione nel caso di tutti i condominii privi di regolamento condominiale nè nell’ipotesi di quelli che siano muniti di regolamenti c.d. contrattuali. alcuni condomini di maggiori diritti rispetto ad altri (sent. 30 dicembre 1999 n. 943); sulla base di tali premesse non sembra, in linea di principio, poter riconoscere natura contrattuale alle tabelle millesimali per il solo fatto che, ai sensi dell’art. 68 disp. att. cod. civ., siano allegate ad un regolamento di origine c.d. “contrattuale”, ove non risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese (sic!), si sia inteso, cioè, approvare quella “diversa convenzione” di cui all’art. 1123 comma 1, cod. civ. (in senso conforme cfr. implicitamente la sentenza 2 giugno 1999 n. 5399 ...” La lunga citazione che precede permette allo scrivente di osservare come, proprio in ossequio alla ricordata giurisprudenza, non sia possibile, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza, sostenere che le tabelle millesimali non abbiano natura contrattuale essendo le stesse attributive delle proporzioni delle singole proprietà e di conseguenza del diritto di ciascun condominio in relazione all’intero edificio condominiale. Se l’accettazione dei millesimi di proprietà di ogni singola unità immobiliare non avesse natura contrattuale quali sarebbero le disposizioni di tale natura? Alla luce di quanto esposto deve, quindi, conclude la sentenza, “affermarsi che le tabelle millesimali non devono essere approvate con il consenso unanime dei condomini, essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1139 (recte art. 1136), secondo comma, cod. civ. ...” Al singolo lettore viene lasciata, essendo stati riportati ampi stralci della sentenza, la valutazione sul valore e la chiarezza della stessa che a chi scrive non appaiono certo significativi. La prima osservazione che si deve fare è che, per una strana ed inspiegabile anomalia, mentre la sentenza del Tribunale di Roma e della Corte di appello territoriale trattano della fattispecie della deliberazione relativa ad una tabella dei consumi, riguardante le spese di riscaldamento, la sentenza delle Sezioni Unite parla esclusivamente della tabella millesimale di proprietà con una sorta di ultrapetizione. Con la conseguenza che la sentenza cassata riguarda una tabella di consumi ( riscaldamento) mentre i principi della sentenza in esame riguardano le tabelle dei millesimi di proprietà. A questo proposito devono esprimersi le osservazioni che seguono. La prima, preliminare, è che nonostante il clamore suscitato nei media sembra allo scrivente che l’impatto della pronuncia sia piuttosto limitato. Nulla vi è da osservare sulla affermazione, ovvia, che in presenza di tabelle millesimali contenute in un regolamento assembleare esse possano essere modificate con una deliberazione presa con la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 c.c., comma secondo. Sarebbe certamente inspiegabile ed illogico che tale maggioranza, valida per l’approvazione dell’intero regolamento (art. 1138 c.c., comma terzo) non fosse sufficiente a modificare 52 Renato Del Chicca difensore ricadde su chi scrive. La delega fu rilasciata all’aeroporto Marconi di Bologna: un “B. Craxi “ gigantesco che la diceva lunga sul carattere del personaggio. Curioso che fosse toccato a me, psi-anti craxiano ante marcia, e non a ben più autorevoli colleghi locali in alto schierati. L’udienza si celebrò nella vecchia sede dell’anagrafe, in Borgo delle Grazie. La partita era documentalmente persa, ma qui interessa l’episodio bizzarro. Della commissione faceva parte il Presidente della Provincia, un onesto e coscienzioso comunista, amato dal suo popolo. Ma proprio questo giudicante impediva, inconsapevolmente, l’apertura del dibattimento. Come sua costante abitudine, nelle cerimonie, solenni o meno, non saprei se anche nel privato, indossava un alto cappello cilindrico e lo teneva ben stretto sul capo, come incorporato, si sarebbe detto in segno di ostentata partecipazione all’evento che si stava per consumare. Il dott. Pico, che formalista lo era non poco, accennò con il dito verso le falde del cappello. Poi, puntatolo verso il soffitto, e accompagnando con lo sguardo proferì “C’è il tetto”. L’altro presidente si convinse che non c’era pericolo di intemperie e depositò lo scalpo sul tavolo giudiziale. Scena epica, da sceneggiata napoletana. Il dott. Pico “nun facette a faccia n’cazzosa”1, e nemmeno ricorse alla frecciata ironica, ma, da attore partenopeo alla de Filippo, si limitò a segnalare al giudice a latere, con didascalica serietà, un dato oggettivo di tutta evidenza. Una vera gag. Equanime il commento del Presidente alla decisione: moralmente ha ragione l’escluso, per legge debbo dargli torto. Ma già allora politica e giustizia non erano in sintonia. Come lo stesso dott. Pico molto più avanti ebbe a raccontarmi, ci fu chi gli rese omaggio per quello che riteneva un verdetto di favore. Segnali di fumo “Lo stimo, è diligente, un buon ricercatore di diritto. I napoletani quando parlano degli avvocati del Nord dicono: voi perdete un sacco di tempo, noi risolviamo i problemi con un’illuminazione . Certo, senza lo studio non si fa nulla. Ma non si può pretendere di essere Leonardo da Vinci solo perché si studiano 500 faldoni” (Da un ‘intervista al Prof. Avv. Gaetano Pecorella a proposito del suo ex discepolo Avv. Niccolò Ghedini) “C’è il tetto !” Con questa assiomatica osservazione il Presidente del Tribunale, il napoletano dott. Gianfranco Pico, apriva la prima ed unica udienza su una controversia “politica“ avanti alla Camera Mandamentale Elettorale, organo di giurisdizione speciale nella materia, che presiedeva di diritto. Si era nel 1985 e già la prima Repubblica cominciava a scricchiolare nei punti di minore resistenza. Fu tutta una storia all’interno del Partito Socialista. A Parma ci sono le elezioni comunali ed in uno stato di forti frizioni la Federazione provinciale del PSI vara una lista di candidati lungamente sofferta: vi figura un ex sindaco della città e taluno teme che, nonostante precedenti vicissitudini amministrative, egli possa catturare tanti voti da essere confermato per la seconda volta nella carica. Giovanotti del partito, tutti regolarmente legittimati, si presentano nell’apposito ufficio in Municipio. Quando c’è da depositare la lista allo sportello, taluno di loro spintona quelli che hanno il plico con la lista ufficiale di quel tanto da far volare per prima sul tavolo un’altra lista parimenti “legittimata “ dalla Federazione. Se questa seconda lista fosse stata identica alla prima non si capirebbe il gesto. Senonché ne era depennato il nominativo del candidato temuto. Parapiglia e rissa nella sede comunale tra gli stessi vessilliferi del PSI. L’ufficio elettorale, stando ai regolamenti, accettò la lista appianata per prima. Ne seguì uno scandalo dilatato sulla stampa nazionale. Segretario nazionale del Psi era Bettino Craxi, il quale, al di là della questione di merito, non poté tollerare la grave delegittimazione degli organi del partito. E fece ricorso alla Camera Mandamentale Elettorale, al tempo competente. La scelta del Scenari da un matrimonio: ove si parla di ghirlande, di diritto internazionale privato, di virtù teologali e del libro di un emerito giurista su Stato e Chiesa. Ho assistito alla fase concordataria del matrimonio transoceanico di una gradevole collega2. Gli sposi tra le letture 1 Elaborazione lessicale e grafica a cura dell’avv. Massimo Rostano 2 Ho fatto ricorso ad una definizione immaginosa. In iure non si tratta di un matrimonio a fattispecie progressiva, bensi di due distinti matrimoni, il primo regolato, quanto alla forma, dall’art. 115 1° comma C.C. e dall’art 16 Dpr n 396/2000 Il forum loci ( ufficiale di stato civile hawaiano, ghirlande di fiori etcc. , quando non in via diplo- 53 liturgiche racchiuse nel libretto della messa hanno scelto una lettera di San Paolo di lirico misticismo ma di impervia concettualità. Si trascrive “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità , non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità niente mi giova.. La carità è paziente, è benigna la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità.Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine” (dalla prima lettera di San Paolo Ap. ai Corinzi). Una carità così totale e ultra vires non può che atterrire. Al punto da interpellarci se si tratta di una virtù eroica, ultraterrena e inattingibile dagli umani. Reminiscenze e letture anche recenti inducono a riconoscere nella definizione paolina una delle tre virtù teologali. Essa altro non è che l’amore dell’uomo verso Dio che si irradia al prossimo nella concezione del corpo mistico. Dio è l’oggetto primo e principale della carità intesa come amore, il prossimo è l’oggetto secondario. Per un Manzoni ex cathedra: “Ah! Certo, non lascia ozioso il sentimento della commiserazione quella Chiesa, che nella parola divina di carità, mantiene sempre unito e, per dir così, confuso l’amore di Dio e degli uomini” (“Osservazioni sulla morale cattolica”- 1819). Per Lodovico Antonio Muratori, sacerdote e teologo. “Possono amarsi gli altri uomini per fine soprannaturale, cioè per amore di Dio, e perché così comanda e desidera Iddio. E allora questo si chiama carità cristiana. Parimente possono amarsi per motivi umani e naturali. E a questa affezione può darsi il nome di carità civile”. Solo di questa ultima è possibile una limitata giurisdicizzazione, nella codicistica attraverso i concetti di buona fede, lealtà, etc, e tra gli stessi principi costituzionali, dalla fraternité della Rivoluzione francese alla solidarietà dell’art. 2 della nostra Costituzione. La prima, divina carità cristiana come virtù teologale appartiene alle antiche comunità cristiane e al misticismo rispecchiato nei primi evangeli, transitoriamente dalle lettere paoline e soprattutto dal successivo, “sublime” vangelo giovanneo. L’attesa apocalittica, rimandata di tempo in tempo, induce i primi cristiani ad estraniarsi dalle istituzioni e dalla legge per vivere ai limiti dell’ozio civile, redarguito dallo stesso Paolo nella seconda lettera ai Tessalonicesi, in una vigilante estasi divina e fraterna nella quale il paradosso della carità teologale aveva piena giustificazione. E’ ben noto che ai primi cristiani non interessava abbattere la schiavitù ma semplicemente sollecitare i padroni ad amare gli schiavi e questi ultimi ad obbedire ai padroni (lettera ai Colossesi). L’insegnamento evangelico non era diretto a riplasmare le strutture giuridiche e sociali di questo mondo. Per altro verso è vero che “il cristianesimo poté condurre al fatto sociale e giuridico dell’abolizione della schiavitù, non perché il suo fondatore o gli apostoli si fossero proposti ciò come scopo , ma perché la schiavitù fu superata nella coscienza cristiana, non già sul piano sociale, bensì prima di tutto su quello religioso e spirituale”. In una visione più generale “se influenza del Cristianesimo sul diritto vi fù, essa fu esercitata non già dai principi evangelici, bensì dal costume e dalla dottrina morale delle prime comunità” (Guido Fassò “Cristianesimo e società 1969, 26-27; 33). Salvo i successivi influssi del giusnaturalismo stoico. Dunque per ispirazione indiretta, come conseguenza, il che è ammissione di non poco conto rispetto alle drastiche conclusioni del nostro Maestro universitario di filosofia del diritto. Il quale, come apprendemmo nelle aule, era ad esse sollecitato da un distacco ironico verso i politici cristiano - sociali (il richiamo costante era quello a Giorgio la Pira) che pretendevano derivare dall’insegnamento evangelico la dottrina sociale e politica della Chiesa o comunque dei cattolici (tentativo peraltro datato sotto il segno del Toniolo). Ben presto il “dare a Dio quel che è di Dio” (Luca, 20, 20) che per il vangelo significava l’ignorare Cesare, diviene il dare a Dio più che a Cesare, mettendo Cesare in conflitto non più metafisico ma politico con Dio, in quanto la Chiesa storica è la città di Dio “(Fassò op.cit. 130). E già il passo della lettera ai Romani (Rm 13,1-5), “Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite matica o consolare) è quello del luogo della celebrazione. Soccorre anche, nel senso di favor validitatis, l’art. 28 Legge n. 218/1995 per il quale il matrimonio è valido, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge di celebrazione o da altri tre criteri di collegamento. Favor che si estende, quanto al regime, oltre i limiti dell’ordine pubblico anche se ad esso contrario (ad es. poligamia e ripudio, come nel matrimonio islamico quando non intervenga una pronuncia sul punto, Cass. 1739 del 99). Non si versa in questa fattispecie. All’evidenza nemmeno la forma adottata risulta in contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento come ad es. Cass. n. 1304 del 1990 che esamina il caso del matrimonio per mera coabitazione “ove mancano sia i testimoni che il pubblico ufficiale che raccoglie i consensi e non esiste neppure una celebrazione”. Si addice a questa rivista annotare che la trascrizione tramite, nel caso, una copia dell’atto rimesso via Honolulu a cura degli interessati all’autorità diplomatica di San Francisco (USA) ha carattere dichiarativo (Cass. n. 1035/1998) , e quindi salvaguarda ex tunc gli effetti del matrimonio celebrato all’estero. Il successivo matrimonio concordatario in Italia ha carattere costitutivo ed aggiunge – ne bis in idem - l’assoggettamento, per quanto di ragione, alla normativa e giurisdizione canoniche, di cui auguriamo agli sposi di non aver mai bisogno. Questo excursus è come una ghirlandetta giuridica che si aggiunge a quelle floreali. 54 da Dio.. è perciò necessario stare sottomessi non solo per timore della punizione ma anche per ragioni di coscienza”, è da intendersi, come nella recente opera di G. Zagrebelsky (“Scambiarsi la veste - Stato e Chiesa al governo dell’uomo - “Laterza 2010, pag. 20), “non solo come proclamazione di lealismo della Chiesa rivolto al potere mondano per coltivare in pace il proprio orto spirituale (come suggerisce l’interpretazione storica del passo paolino, riferito al tempo in cui la comunità cristiana di Roma era ancora vista da fuori come un corpo estraneo) ma anche, secondo una visione universalizzante e atemporale, come una profferta di integrazione sociale e sostegno chiesastico della autorità politica, quale che sia, in quanto imperante nel tempo mondano”. Tale evoluzione, peraltro già accennata nella seconda lettera ai Tessalonicesi, della comunità religiosa in corpo mistico istituzionalizzato, si consolida con la elaborazione del diritto naturale quale specchio della legge divina attraverso Agostino, Tommaso e gli Scolastici e con il ricongiungimento al pensiero classico greco e romano che la Chiesa provvede ad utilizzare e a rimodellare secondo i suoi disegni: “Etsi Deus non daretur” (Grozio), svolta fondamentale e politicamente rilevante per assoggettare anche i non fedeli alla legge naturale. Tutto ciò non poteva essere senza conseguenze nei rapporti tra Stato e Chiesa, che si svolgeranno nei secoli per guerre, alleanze o armistizi. Di ciò si occupa ora la recente opera di Gustavo Zagrebelsky che abbiamo appena menzionato. Si tratta di un lavoro, per il vero di non facile impianto, ben diverso da quello, segnatamente storico e limitato nel tempo, di A. C. Jemolo. Recava l’opera di Jemolo (“Stato e Chiesa in Italia negli ultimi cento anni” – Einaudi) l’impronta dello storico e giurista, cattolico – liberale, di quel tanto manzonianamente “aristocratico” nei confronti del “popolo” da coniare il termine (oggi ripreso con intenti polemici da un leader cattolico) di “cattolico adulto”, cioè istruito e maturo, che, grazie alla sua saggezza, è in grado di comprendere e giustificare senza scandalizzarsi le svolte negative della Chiesa. L’opera di Z. è una storia per principi, ai limiti della filosofia del diritto e delle istituzioni. Percorsi i tempi del misticismo cristiano e della sua necessaria istituzionalizzazione, e dei primi rapporti tra politica e religione, l’Autore osserva che, rotta l’unità cristiana nel pluralismo delle società civili, a partire dalla Rivoluzione francese la Chiesa cattolica si arrocca su sè stessa nella negazione dei principi liberali (il sillabo di Pio IX 1864; il nuovo sillabo di Pio X, 1907) anche a tutela della propria sovranità territoriale (vedasi la proclamazione della infallibilità del Papa). Ma poi ne esce con l’accettazione del male minore, in Italia col “patto Gentiloni” e con il Concordato, e tentando l’approccio con la giustizia sociale: quest’ultima non già intesa come rivendicazione dei diritti sociali, ma come rispecchiamento del “giusto” oggettivo, secondo il diritto naturale (diritto alla giusta retribuzione). Sicché la dottrina sociale tardo ottocentesca (“Rerum novarum” e Toniolo per esemplificare) era argomentata in termini di giustizia alla ricerca di un terza via tra il liberalismo capitalista e il socialismo, tanto più condannato se sovieticomarxista. Con il Concilio Vaticano II la Chiesa si propone invece come amica dell’umanità, pronta a dare il proprio contributo di bontà e carità assieme a quello dei non cristiani per la edificazione di una società migliore. Secondo l’Autore oggi si assiste ad un nuovo scenario. Si respinge la “dittatura del relativismo” (inteso come “quell’atteggiamento dello spirito che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”), e con Benedetto XVI si afferma la coincidenza della fede con la ragione – verità. Ben altrimenti dalla teologia paolina della croce come follia che, evidentemente, separa i credenti in Cristo, dai non credenti. Ma allora, osserva Z., mentre “la dottrina sociale e l’umanitarismo cattolico ben potevano concorrere o anche competere con altre concezioni del bene sociale o dell’amore sociale o del bene verso il prossimo” anche in virtù di leggi permissive (divorzio, aborto, etc.), con la razionalizzazione della fede lo scontro “vero – falso” appare più difficilmente mediabile. Il libro si conclude con una citazione da Thomas Mann, che può conciliare i laici e i cattolici, questi ultimi quando “adulti” ed autonomi nella ricerca delle conseguenze sociopolitiche dell’insegnamento cristiano: come lo stesso Fassò aveva ammesso. “Quello che soprattutto mi soddisfa è una certa inclinazione alla ‘secolarizzazione’ del concetto religioso, alla sua trasposizione psicologica nell’etica profana e sul piano della psiche. Religione, quindi, come contrapposizione alla trascuratezza e all’incuria, religione come attenzione, ponderazione, riflessione, coscienziosità, contegno prudente e sollecito, perfino come metus e, per finire, attenta sensibilità verso i moti dello spirito universale […] che cosa posso desiderare di più? Improvvisamente mi sento legittimato a chiamarmi uomo religioso: una definizione che proprio ‘per prudenza’ non avrei altrimenti osato attribuirmi”. Gli strali del Prof. Bigiavi I concetti e di conseguenza il linguaggio che precedono sono gravati da una certa pesantezza. Ma la vita e il lessico del diritto, come di ogni sapere, abitano anche nella leggerezza e nell’ironia, e persino nel gossip 55 accademico. Non è un disvalore liberarsi della posa del pensatore di Rodin dando volatile sfogo alla mobilità dell’intelligenza. (Italo Calvino? Con molta approssimazione). Nella ricerca, provvisoria e intermittente, della allegrezza sul filo dello humor come reazione al peso della concettualità (e del vivere), senza sfuggire alla gravità del pensiero, non c’è di meglio che spigolare in uno scritto ludico – giuridico di Francesco Galgano, discepolo del Bigiavi, al quale l’Autore dedica un ricordo per aneddoti (in “Contratto e impresa” n.6/2008, 1425 ss) quarant’anni dopo la scomparsa del Maestro. Così il direttore della rivista lo descrive: “Il suo incedere era rapido, pure ad onta della sua pur evidente corpulenza. Praticava il tennis (e lo avrebbe praticato fino alla settimana precedente la sua scomparsa); da giovane aveva, nel ruolo di terzino, giocato al calcio, era altrettanto rapido nello sferrare fulminanti battute. Con una sola parola demoliva il malcapitato cui erano rivolte”. Così come demolì un pomposo oratore che, in una affollata sala, annoiava il pubblico, declamando solenni banalità. Quando l’oratore, volendo sottolineare il proprio originale apporto, usò incautamente l’intercalare: - “A mio modesto avviso”, si udì nella sala una voce, bassa, ma da tutti percepibile: - “Molto modesto”. Era da poco professore quando il regime del tempo impose nelle Università l’insegnamento di una nuova disciplina denominata mistica fascista. In un corridoio della facoltà il Bigiavi incontrò un colonnello della milizia che in divisa e camicia nera gli rivolse la parola dicendogli: - “ha visto, professore, siamo diventati colleghi”. Bigiavi guardò le maniche della propria giacca e gli rispose: - “perché, mi hanno promosso colonnello?” Saprete che il Bigiavi era ebreo, fu rimosso dalla cattedra e negli anni dell’occupazione nazista riuscì, miracolosamente, a sottrarsi alla deportazione. Ricorda ancora il Galgano che, sempre in un corridoio della facoltà il professore di diritto ecclesiastico gli era venuto incontro festoso dicendogli: - “Ti dò una bella notizia, sono stato eletto presidente dei giuristi cattolici”. - “Mi stupisco”, gli rispose Bigiavi. - “Perché?”, domandò l’altro. - “Non sapevi che sono cattolico?”. - “questo lo so bene” ribattè Bigiavi, “non sapevo che tu fossi giurista”. Ricorderete che il Professore Renzo Provinciali riuscì ad andare in cattedra a tarda età e allora Bigiavi scrisse sulla “Rivista di diritto civile”: - “Dalli e dalli, finalmente ce l’ha fatta il nostro Provincia- lotto”. A me risulta che abbia proferito una battuta ancor più fulminea: “peggio tardi che mai”. Provinciali lo querelò per diffamazione. Fu assolto per aver esercitato il diritto di satira. Provinciali restò tra i suoi bersagli. Bigiavi non gli perdonò di aver scritto, in una divagazione musicale apparsa nella “Rivista di diritto fallimentare”, che l’arte sublime di un direttore d’orchestra aveva deliziato “le platee di Beirut”. Immortalò la topica scrivendo, sempre nella “Rivista di diritto civile”: “D’ora in poi non si dovrà più prendere lucciole per lanterne o fischi per fiaschi, ma Beirut per Bayreuth.” Ebbe modo di punzecchiare persino il nostro ottimo Professor Scavo Lombardo: “scavo, scavo, ma non trovo Lombardo”. E sapete come ebbe a recensire, questo lo aggiungiamo noi, la pubblicazione di un nostro amato Professore? “Il Prof. G. ha voluto dimostrare che i pantaloni del re di Spagna si reggono oltre che con le bretelle anche con la cintura”; come dire la scoperta dell’acqua calda. Più aspra la contesa con il Professore Enrico Redenti, venerato maestro della scuola e del Foro bolognese, acclamato Presidente del Consiglio dell’Ordine. Bigiavi a quel tempo condivideva la direzione della “Rivista trimestrale di Civile e Procedura Civile”, ma aveva approfittato di una assenza di Redenti per farvi pubblicare di soppiatto i suoi “Scritti quasi giuridici”. In quel saggio si legge: “Redenti ha, come il Papa, il dono della infallibilità. Come lo ha conseguito? E’ semplice: da anni non scrive più un rigo; dunque non può sbagliare”. Mandò un estratto dell’articolo a tutti gli allievi di Redenti. Uno di essi, secondo il costume, si affrettò a rispondergli con un biglietto di ringraziamento, e non mancò dii aggiungere (sempre secondo il costume) che aveva letto il saggio tutto d’un fiato condividendone a pieno tutto il contenuto. Anche a questo biglietto Bigiavi dette ampia divulgazione. L’inevitabile epilogo: la rottura fra i due condirettori della rivista, l’uscita di Bigiavi dalla direzione cui fece seguito la fondazione, da parte sua, della nuova “Rivista di diritto civile”. Quali erano i rapporti con gli studenti? “Era amato e temuto. Le sue lezioni li ammaliavano, e non era raro che venissero ad ascoltarle anche studenti della vicina facoltà di lettere. Ma era spietato agli esami. Gli bastavano poche domande, a volte una sola domanda, per decretare una immediata bocciatura.Ad uno studente che lo aveva implorato: -“Professore mi faccia un’altra domanda”. - “Che ore è?” chiese. - “sono le 18.30”, rispose sollecito lo studente. - “ Si accomodi”, replicò Bigiavi. - “E l’altra domanda?”. - “Gliel’ho già fatta”.„ 56 della nostra economia. Al contrario il nostro legislatore, anziché rafforzare anche tecnologicamente il “treno della giustizia”, potenziandone efficienza e qualità, si limita ad aggiungervi con trionfalismo vagoni di risulta in testa e in coda, come la annunciata riedizione delle Sezioni stralcio. Intanto su tutto il “pacchetto giustizia “, discusso animatamente nel recente congresso forense, grava un interrogativo: al fine Alfano? Si avvicina il centenario del R.D.L. 27.11.1933 n° 1578 Giacomo Voltattorni Un giorno, agli studenti che si accalcavano fuori dall’aula, nell’attesa che cominciassero gli esami ordinò: - “Entri per primo quello che si è fatto raccomandare dal Cardinale”. Altro armacord: una laureanda è china sui libri ad un tavolo dell’Istituto giuridico; sta preparando la tesi di laurea in procedura civile. Bigiavi, passandole accanto, nota il suo travaglio e le domanda: - “qual è l’argomento della sua tesi?”. - “Un tema terribile”, risponde la studentessa, “la continenza”. - “ e’ vero” ammette il Bigiavi, “lo diceva anche San Paolo”. Ma è anche vero, ricorda il Galgano, che “con gli allievi era di più che un maestro. Entrava nella loro vita privata, soffriva per i loro problemi personali; veniva in loro soccorso per risolverli. Quando mi sposai, preoccupato per la mia fragile situazione economica disse a mio suocero: - “Li abbiamo sposati, ora dobbiamo mantenerli”. Qualche giorno dopo mi arrivò un suo plico che conteneva le bozze di un mio articolo, da correggere. Era accompagato da un biglietto: “per il suo viaggio di bozze”„. In cauda la dolcezza. A margine del XXX Congresso Nazionale Forense: un apologo sulla mediazione non assistita In una causa di valore non proprio modesto il Tribunale affidò ad un geometra l’incarico di CTU con poteri di conciliazione. Costui, animato da encomiabile zelo, in assenza dei legali, in sede di operazioni peritali convinse le parti a sottoscrivere una promessa di donazione di un immobile dall’una all’altra, soluzione che in effetti soddisfaceva entrambe. Altrettanto felice, il CTU rappresentava al giudice ed ai legali delle parti di aver posto fine alla lite. Errore scusabile per un geometra non sapere che la promessa di donazione è nulla. Leggetevi su “Guida al diritto” n° 46/2010, 30 ss, i requisiti per essere mediatori (art 4.3.a DM 180-2010), tenete conto della proliferazione degli organismi pubblici e privati di mediazione accreditabili presso il Ministero della Giustizia, date atto che il Governo si rifiuta di introdurre l’obbligo dell’assistenza legale alle parti, e pronosticate l’esito della conclamata iniziativa. A mio avviso il tentativo di conciliazione deve essere obbligatorio ma svolgersi in forme rigorose, con figure competenti e assistenza legale se si intende seriamente introdurre un servizio a favore dei cittadini e della competitività 57 Giurisprudenza disciplinare Avvocato - Tenuta albi - Iscrizione - Requisiti Condotta specchiatissima ed illibata. Ai fini dell’iscrizione all’Abo degli Avvocati, il requisito della condotta specchiatissima ed illibata deve ritenersi sussistente nel soggetto che sia stato condannato per il reato di falso, laddove la giovane età, l’accertata buona fede nel ricevere i valori contraffatti ed il successivo provvedimento di riabilitazione consentano, dopo dodici anni dalla commissione del fatto criminoso, di ritenere stabilizzata in senso positivo la personalità del richiedente, al quale dunque può essere riconosciuta attualmente, considerata l’occasionalità e distanza nel tempo della condotta ostativa, l’affidabilità in ordine allo svolgimento della professione forense. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Agrigento, 9 gennaio 2008). Cons. Naz. Forense 19-12-2008, n. 168 Pres. ALPA - Rel. BIANCHI - P.M. CIAMPOLI (conf.) - P.G. Avvocato - Procedimento disciplinare - Sanzioni disciplinari - Applicazione principio retroattività legge più favorevole - Esclusione. Avvocato - Norme deontologiche - Pubblicità attività professionale - Accaparramento di clientela. Il principio della retroattività della norma più favorevole non può trovare ingresso nell’ambito del procedimento disciplinare non essendo la sanzione deontologica riconducibile tra le pene accessorie. Va riconosciuto carattere decettivo al messaggio pubblicitario utilizzato dal ricorrente che, pubblicizzando l’istituto del “gratuito patrocinio” da tempo abrogato ed accompagnando tale pubblicità a quella di un’attività di “recupero crediti senza anticipazioni”, si presta effettivamente ad ingenerare l’equivoco che la prestazione offerta possa, in concreto rivestire il carattere della gratuità, così assumendo un chiaro sapore accaparratorio di clientela certamente lesivo del prestigio e del decoro della classe forense. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Bergamo, 18 settembre 2007). Cons. Naz. Forense 19-12-2008, n. 169 Pres. ALPA - Rel. BONZO - P.M. IANNELLI (conf.) - avv. M.G. Avvocato - Tenuta albi - Iscrizione - Cittadina italiana abilitata in Spagna - Ammissibilità. In difetto di comprovati elementi di abuso, di elusione o di uso distorto delle libertà comunitarie, la cittadina italiana abilitata in Spagna, conformemente allo scopo della Direttiva 98/5/CE, ha pieno diritto ad esercitare nel nostro paese la professione forense col titolo abilitante spagnolo, qualora concorrano le altre condizioni di legge. (Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Gorizia, 24 ottobre 2007). Cons. Naz. Forense 20-12-2008, n. 175 Pres. ALPA - Rel. BIANCHI - P.M. FEDELI (non conf.) - dott. R.G. Avvocato - Procedimento disciplinare - Sospensione cautelare - Natura - Presupposti. La sospensione cautelare non ha natura di mera sanzione disciplinare ma è un provvedimento amministrativo precauzionale. Ne consegue che ai fini della sua applicazione non è necessario che il CdO apra un procedimento disciplinare e valuti la fondatezza delle incolpazioni o delle imputazioni penali, poiché il Consiglio territoriale deve solo valutare la gravità delle stesse e l’opportunità della sospensione, ove ritenga possa configurarsi, a causa del comportamento del professionista, una situazione di allarme per il decoro e la dignità dell’intera classe forense. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Venezia, 10 marzo 2008). Cons. Naz. Forense 17-12-2008, n. 155 Pres. f.f. CARDONE - Rel. VACCARO - P.M. MARTONE (conf.) - avv. M.C. Avvocato - Procedimento disciplinare - Decisione del CdO - Archiviazione - Impugnazione - Legittimazione al ricorso - Autore esposto - Esclusione. Il provvedimento di archiviazione del C.d.O. non è impugnabile, atteso che in materia disciplinare l’impugnazione è consentita solo avverso decisioni che concludono un procedimento disciplinare e legittimati a proporla sono esclusivamente l’iscritto contro cui si procede ed il procuratore generale presso la Corte d’Appello ex art. 50 L. n. 36/34, non anche l’autore dell’esposto. (Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Catania, 23 luglio 2007). Cons. Naz. Forense 22-12-2008, n. 181 Pres. ALPA - Rel. BASSU - P.M. CIAMPOLI (conf.) - sig. L.D. Avvocato - Procedimento disciplinare - Procedimento davanti al C.d.O. - Mancanza di prova certa - Assoluzione - Deposizione del denunciante - Insufficienza. In presenza di un quadro probatorio insufficiente,va esclusa la responsabilità disciplinare dell’incolpata laddove essa sia fondata prevalentemente sulle dichiarazioni dell’esponente, in un contesto del tutto particolare e contraddittorio. 58 del proprio assistito che vi si trovi agli arresti domiciliari al fine di ottenere un colloquio informale e non documentato con una persona informata sui fatti del procedimento, a nulla rilevando che i divieti delle prescrizioni applicate agli arresti domiciliari siano rivolti all’indagato e non al suo difensore, essendo evidente come in nessun caso l’avvocato può assecondare la violazione di norme di legge. (Accoglie parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O. di Vicenza, 19 dicembre 2005). Cons. Naz. Forense 17-12-2008, n. 158 Pres. ALPA - Rel. MASCHERIN - P.M. MARTONE (non conf.) - avv. G.D.R. (Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Terni, 11 maggio 2007). Cons. Naz. Forense 22-12-2008, n. 185 Pres. ALPA - Rel. BORSACCHI - P.M. MARTONE (conf.) - avv. F.S. Avvocato - Procedimento disciplinare - Ricorso al CNF - Difetto di procura speciale - Inammissibilità Al fine di poter efficacemente sottoscrivere e presentare l’atto di impugnazione innanzi al CNF, il difensore dell’incolpato deve essere munito di procura speciale da indicare (mutuando quanto previsto dall’art. 163 del c.p.c.) a margine o in calce al ricorso. Ne consegue che la mancanza di procura ad litem - che si configura sia in ipotesi di procura invalida sia in ipotesi di mancanza di prova che una procura sia stata rilasciata -, determinando la nullità dell’attività processuale compiuta, rende inammissibile l’impugnazione (nella specie, risultava in atti la dichiarazione con la quale l’incolpata aveva nominato il proprio difensore di fiducia nel procedimento disciplinare dinanzi al C.O.A. territoriale, mentre mancava apposita e specifica procura speciale per la fase successiva di impugnazione). (Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Venezia, 10 novembre 2006). Cons. Naz. Forense 29-12-2008, n. 212 Pres. ALPA - Rel. DE GIORGI - P.M. MARTONE (conf.) - avv. D.B.R. Avvocato - Norme deontologiche - Pubblicità attività professionale - Valenza captatoria - Divieto. In tema di pubblicità informativa e di rapporti con gli organi di stampa, deve ritenersi ingiustamente diretta ad accaparrare clientela ed a gettare discredito sulla categoria forense la pubblicazione di notizie dirette a promuovere, attraverso una sorta di continua celebrazione del proprio ruolo dal chiaro sapore concorrenziale, la propria immagine professionale piuttosto che non l’esigenza dell’informazione. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Lucca, 12 dicembre 2007). Cons. Naz. Forense 19-12-2008, n. 173 Pres. f.f. MARIANI MARINI - Rel. CARDONE P.M. IANNELLI (conf.) - avv. G.A. Avvocato - Norme deontologiche - Rapporti con i colleghi - Divieto di utilizzare in giudizio notizie relative alla posizione personale del collega avversario Violazione art. 29 c.d.f. - Sussistenza. E’ configurabile la violazione dell’art. 29 del c.d.f., disposizione che introduce chiaramente una limitazione all’esercizio del dovere di difesa, qualora la mera utilità di avvalersi di una notizia relativa alla persona del collega ai fini della tesi dedotta in un giudizio civile non integri il requisito della necessità dell’uso della notizia richiesto invece dalla norma deontologica quale circostanza che consente di derogare al divieto. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Milano, 8 maggio 2006). Cons. Naz. Forense 22-12-2008, n. 182 Pres. f.f. VERMIGLIO - Rel. MARIANI MARINI P.M. IANNELLI (conf.) - avv. C.P.F. Avvocato - Norme deontologiche - Rapporti con la parte assistita - Richiesta di pagamento compenso per attività professionale - Illecito disciplinare Insussistenza. Atteso che l’art. 40 sub I, c.d.f. obbliga l’avvocato ad informare il cliente “sulle previsioni di massima inerenti alla durata e ai costi presumibili del processo”, non è ravvisabile l’illecito deontologico consistente nella richiesta al cliente di compensi eccessivi per l’attività svolta, allorquando il professionista, nel prospettare alla parte assistita i relativi costi, rappresenti verbalmente un importo soltanto generico, inidoneo come tale a configurare un preventivo vincolante nella quantificazione delle obbligazioni destinate a sorgere dal rapporto professionale. (Accoglie parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O. di Vicenza, 7 novembre 2007). Cons. Naz. Forense 17-12-2008, n. 157 Pres. f.f. MARIANI MARINI - Rel. CARDONE P.M. IANNELLI (non conf.) - avv. M.C.G. Avvocato - Norme deontologiche - Rapporti con i colleghi - Espressioni sconvenienti ed offensive - Illecito deontologico - Provocazione - Irrilevanza. Devono ritenersi sconvenienti ed offensive, nonché incompatibili con i doveri di correttezza e di colleganza, le Avvocato - Norme deontologiche - Doveri di probità e correttezza - Violazione prescrizioni arresti domiciliari della parte assistita - Sussistenza. Viola i doveri di probità e correttezza l’avvocato che, in qualità di difensore di fiducia, si intrattenga nella abitazione 59 L’interpretazione autentica della norma deontologica posta dall’art. 20 C.D. comporta che la “e” utilizzata debba interpretarsi nel senso linguisticamente più puro dell’atque latino, proprio a significare la possibilità di una loro ricorrenza congiunta ovvero disgiunta. La congiunzione utilizzata nella formulazione della norma, pertanto, deve essere intesa nel senso che sconvenienza ed offensività possano agire tanto congiuntamente quanto disgiuntamente, sia perché le espressioni sconvenienti possono in sé contenere una potenzialità offensiva, sia perché in un corretto uso della lingua italiana potrebbe raggiungersi il fine di un alto potenziale offensivo senza che i termini utilizzati possano risultare sconvenienti. (Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Torino, 12 luglio 2007) Cons. Naz. Forense 29-12-2008, n. 215 Pres. f.f. VERMIGLIO - Rel. MORLINO - P.M. FEDELI (conf.) - avv. J.V. espressioni utilizzate nei confronti di un collega, pur quando quest’ultimo abbia usato un tono irriguardoso verso un collega anziano e colpito da una gravissima malattia, atteso che, in ogni caso, ai sensi dell’art. 20, comma I, c.d.f. la provocazione non potrebbe escludere l’infrazione alla regola deontologica. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Macerata, 2 marzo 2007). Cons. Naz. Forense 22-12-2008, n. 183 Pres. f.f. VERMIGLIO - Rel. MARIANI MARINI P.M. IANNELLI (conf.) - avv. R.F. Avvocato - Norme deontologiche - Esercizio funzioni Giudice di Pace innanzi al Tribunale - Medesimo circondario - Incompatibilità - Insussistenza. Ai sensi dell’art. 8 co. 1 ter, l. n. 347/91, come modificato dall’art. 6 della l. n. 468/99, deve ritenersi legittima la condotta dell’avvocato che eserciti la professione forense innanzi al Tribunale del medesimo circondario presso il quale egli svolga la funzione di Giudice di pace, non potendo essere ravvisata alcuna incompatibilità idonea ad integrare la violazione dell’art. 53 c.d. (Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Vicenza, 11 luglio 2007). Cons. Naz. Forense 22-12-2008, n. 186 Pres.ALPA - Rel. D’INNELLA - P.M. FEDELI (conf.) - avv. M.B. Avvocato - Norme deontologiche - Rapporti con i colleghi e con i magistrati - Dovere di probità e lealtà e correttezza - Uso illecito di strumenti processuali Illecito deontologico I doveri di lealtà, probità e correttezza indicano la necessità di osservare, sia nell’attività professionale sia più specificatamente nel rapporto processuale, una linea guida di condotta rigorosamente rispettosa delle regole, che non consente l’uso illecito di strumenti processuali al fine di perseguire un risultato favorevole ad ogni costo. Mentre, pertanto, deve ritenersi censurabile la condotta dell’avvocato che ricorra ad indiscriminate ricusazioni, ancor più esecrabile si appalesa la infondata proposizione di procedimenti contro magistrati intentati nell’esclusivo scopo di creare il presupposto ricusatorio. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Trieste, 20 aprile 2007). Cons. Naz. Forense 29-12-2008, n. 211 Pres. f.f. TIRALE - Rel. DE GIORGI - P.M. FEDELI (conf.) - avv. P.V. Avvocato - Norme deontologiche - Rapporti con i colleghi - Espressioni sconvenienti ed offensive - Art. 20 C.D.F. Interpretazione autentica 60 61