UN CONTRIBUTO CRITICO PER LA LETTURA DEL

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UN CONTRIBUTO CRITICO PER LA LETTURA DEL
UN CONTRIBUTO CRITICO PER LA LETTURA DEL DISEGNO DI LEGGE
“LA BUONA SCUOLA”
Giuseppe Mariani
Lo scorso 12 marzo il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge sulla scuola,
presentato come legge di riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione ("La
Buona Scuola").
Si tratta in effetti di un testo imponente, in 22 pagine di testo (la legge n. 53/2003 - Riforma
Moratti ne aveva solo nove), rubricato “Disposizioni in materia di autonomia scolastica,
offerta formativa, assunzioni e formazione del personale, dirigenza scolastica, edilizia
scolastica e semplificazione amministrativa”. Nel titolo manca la parola “riforma” (che
ricorre invece frequentemente nell’art. 21), in quanto il provvedimento non si configura
come tale, cioè come riorganizzazione degli ordinamenti scolastici: opera questa già
compiuta con l’architettura disegnata dalla legge 53, sulla quale sono intervenuti i
provvedimenti derivati dal Piano programmatico del 2008, di gelminiana memoria. Ed è
bene che sia così, in quanto la scuola italiana di riforme rischierebbe di morire.
La struttura del ddl
Il ddl è organizzato su 9 Capi, con complessivi 24 articoli.
Il Capo I si compone di un solo articolo, che pone ad oggetto della legge la rinnovata
disciplina dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, per la quale introduce “la
programmazione triennale dell’offerta formativa per il potenziamento delle competenze
degli studenti e l’apertura della comunità scolastica al territorio”.
Il Capo II prevede che sia “rafforzata la funzione del Dirigente scolastico per garantire una
immediata e celere gestione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche …” e istituisce
l’organico dell’autonomia funzionale alle esigenze didattiche, organizzative e progettuali,
quali emergono dal Piano triennale elaborato delle scuole: con tale Piano le scuole
determinano il fabbisogno sia di attrezzature sia di posti nell’organico dei docenti così da
raggiungere obiettivi didattici quali il potenziamento dell’insegnamento linguistico tramite il
CLIL, il potenziamento delle competenze matematiche, logiche e scientifiche, di musica e
arte, diritto ed economia, competenze digitali, apertura pomeridiana della scuola … ecc..
Il percorso formativo degli studenti verrà così ad arricchirsi di nuove competenze; in
particolare
(art. 4 - Scuola, lavoro territorio) è ridefinita ancora una volta (dopo la recentissima legge
n. 128/2013) l’alternanza scuola lavoro, da attuarsi nel II biennio e nell’ultimo anno degli
istituti tecnici e professionali per 400 ore, ridotte a 200 nei licei. E’ prevista altresì la Carta
dei diritti e dei doveri delle studentesse e degli studenti in alternanza.
Il piatto forte è servito nel Capo III, il quale imposta l’organico dei docenti per l’attuazione
dei percorsi triennali dell’offerta formativa, delinea le nuove competenze in merito del
dirigente scolastico e, all’art. 8, dà l’avvio al Piano assunzionale straordinario.
Le norme per la valutazione del periodo di formazione e di prova del personale docente ed
educativo staccano decisamente rispetto all’attuale procedura valutativa, fino ad oggi
gestita tramite il Comitato per la valutazione del servizio, eletto dal Collegio dei docenti (v.
oltre).
L’art. 10 introduce la valorizzazione del merito del personale docente, mettendo a
disposizione la risorsa di 200 milioni di euro dal 2016. A livello di scuola, spetta al dirigente
individuare gli insegnanti meritevoli ed assegnare loro la quota parte, sentito il Consiglio di
Istituto: sulla questione torniamo più avanti. Con lo stesso articolo la formazione in servizio
dei docenti di ruolo è resa “obbligatoria, permanente e strutturale”: si dà loro l’incentivo
della Carta del docente, una sorta di voucher dell’importo di 500 euro per sostenere le
spese della formazione.
Con il Capo IV viene istituito il “Portale unico dei dati della scuola”, l’anagrafe delle scuole
e del personale, completata dalle comunicazioni del MIUR.
Il Capo V istituisce le agevolazioni fiscali a favore delle scuole e delle famiglie, sulle quali
torniamo più avanti.
Il Capo VI prevede misure per l’edilizia scolastica, in particolare per la progettazione e la
costruzione di “scuole innovative”, per le quali stanzia 300 milioni di euro.
La parte più impegnativa del ddl, che sarà tutta da giocare sul piano politico e sul piano
della formulazione giuridica, è contenuta nel Capo VII, rubricato “riordino, adeguamento e
semplificazione delle disposizioni legislative e contrattuali in materia di istruzione”. L’art. 21
contiene la “delega al Governo in materia di Sistema Nazionale di Istruzione e
Formazione”. L’articolo si dilunga per ben cinque pagine, elencando le materie su cui il
Governo si impegna ad emanare, nel termine di 18 mesi, i decreti legislativi attuativi:
impresa di incredibile complessità se solo si pensa che comporterà, di fatto, la riscrittura
del Testo Unico (di ciò che ne resta). La revisione dell’apparato normativo sarà completata
con il riordino dell’assetto contrattuale, sia dei dipendenti della scuola sia dei dirigenti
scolastici: infatti l’art. 22 prescrive che entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge
siano adottati gli indirizzi per una sessione negoziale per la collazione e il riordino delle
disposizioni contrattuali dei comparti Scuola e Area V.
Il ddl si conclude con il Capo IX “Norme transitorie e finali”: deroghe, abrogazioni,
copertura finanziaria.
I tre nuclei del ddl
Da questa sommaria lettura emergono tre nuclei normativi, differenziati fra loro anzitutto
dalle diverse ragioni, diverse procedure e diversi tempi di entrata a regime.
a- Il Piano assunzionale
Il ddl sulla Buona Scuola ha un nucleo centrale (art. 8), costituito da un gigantesco piano
di assunzione di insegnanti, che rinverdisce la memoria di quello che trent’anni fa, a
seguito della legge n. 270/1982, varò il ministro Franca Falcucci (a lei, recentemente
scomparsa, va il nostro pensiero).
L’assunzione definitiva dei precari non è oggi più rinviabile: procrastinare la colpevole
inerzia significherebbe, da un lato, incorrere nelle pesanti sanzioni pecuniarie dalla Corte
di Giustizia dell’Unione europea e, sul versante interno, soccombere ad una valanga di
condanne risarcitorie da parte dei Tribunali civili. In ogni caso, il ddl (art. 12), nello statuire
il divieto di contratti a tempo determinato per una durata superiore ai di 36 mesi anche non
consecutivi, istituisce nel contempo un Fondo di 10 milioni di euro per il 2015 e di
altrettanti per il 2016 per il risarcimento “dei danni conseguenti la reiterazione di contratti a
termine per una durata complessiva superiore ai 36 mesi”: segno che l’alluvione è alle
porte.
Nel ddl, il piano di assunzioni appare del tutto autonomo rispetto alla serie di
provvedimenti che, sotto vari profili, vanno a modificare istituti dell’organizzazione
scolastica. Perciò, anche noi crediamo che tale piano possa vantare requisiti di necessità
e di urgenza, tali da giustificare lo scorporo dal ddl e il ricorso al decreto legge, in quanto
la riapertura del prossimo anno scolastico con la reiterazione delle assunzioni a tempo
determinato significherebbe un’ulteriore elusione degli obblighi assunti in sede
comunitaria, con l’aggravamento delle conseguenze in sede processuale civile.
Per i dettagli tecnici sui requisiti e sui titoli che daranno diritto all’immissione in ruolo delle
varie categorie di precari, rinviamo ai commenti pubblicati sulle riviste specializzate.
Per tutte le restanti norme, invece, è corretto invece che si segua il normale percorso
legislativo, nel corso del quale il ddl intersecherà analoghi disegni di legge, da parecchi
lustri giacenti e arenati presso le commissioni parlamentari: e citiamo solo la riforma dello
stato giuridico degli insegnanti e quella degli organi collegiali d’istituto. Ne trarrà elementi
di esperienza e, è auspicabile, di continuità rispetto a convergenze da tempo assodate.
Nel loro complesso, gli interventi legislativi collaterali al piano di assunzioni possono
essere ricondotti a due tipologie: quelli che potranno entrare in vigore con l’approvazione
della legge e quelli che dovranno attendere l’emanazione dei successivi decreti attuativi.
b) Le norme di immediata applicazione
Tra queste si ritrovano le misure di cui al Capo V – agevolazioni fiscali:
- la destinazione del cinque per mille a “l’istituzione scolastica del sistema nazionale di
istruzione” (quindi anche alle scuole paritarie) a partire dal 2016 (art. 15);
- lo School bonus, e cioè il credito di imposta del 65% per le erogazioni liberali in denaro
per gli investimenti in favore degli istituti del sistema nazionale di istruzione (art. 16);
- la detraibilità delle “spese sostenute per la frequenza di scuole dell’infanzia e del primo
ciclo di istruzione del sistema nazionale di istruzione (…) per un importo annuo non
superiore a 400 euro ad alunno o studente” (art. 17).
Si noti che, nell’attuale formulazione, il cinque per mille va alla scuola scelta da chi fa la
dichiarazione Irpef e non al sistema scolastico in quanto tale.
c) Le norme da emanarsi tramite decreti legislativi
La grandissima maggioranza delle norme contenute nel ddl attenderà, per assumere
efficacia, l’emanazione di provvedimenti attuativi: atti amministrativi, come il decreto
ministeriale, in alcuni pochi casi; atti complessi di legislazione delegata (art. 76 Cost.;
legge n. 400/1988) nella gran parte degli altri.
Come sopra anticipato, il Capo VII è strutturato su due articoli:
- art. 21 – Delega al Governo in materia di Sistema Nazionale di Istruzione e Formazione;
- art. 22 – Sessione negoziale per la collazione e il riordino delle disposizioni contrattuali
dei comparti Scuola e Area V.
Una veloce scorsa ai contenuti sottoposti alla decretazione delegata dà l’idea della
sistematica riscrittura delle regole della scuola che dovrebbe avvenire entro i prossimi
diciotto mesi.
I grandi annunci: vuoti proclami senza la decretazione delegata
Un commento
Proprio le misure di maggior risonanza lanciate all’opinione pubblica sono destinate a
restare lettera morta in assenza dei provvedimenti attuativi: citiamo affermazioni del
genere “Il dirigente sceglie la sua squadra” oppure “assume gli insegnanti”, oppure
“premia i docenti meritevoli”.
Ammesso che i passaggi parlamentari, per l’approvazione della legge (prima) e per
l’emanazione dei decreti attuativi (poi) recepiscano le proposte del Governo, occorrerà in
tal caso modificare profondamente il profilo stesso della dirigenza scolastica propria
dell’art. 25 del D. Lgs. n. 165/2001, profilo oggi in equilibrio tra il “rispetto delle
competenze degli organi collegiali” e gli “autonomi poteri di direzione”.
Esemplifichiamo.
L’art. 2, c. 1, del ddl afferma “… è rafforzata la funzione del Dirigente scolastico per
garantire una immediata e celere gestione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche
…”. Ora, è ben singolare che un enunciato che va ad incidere sul profilo legislativo della
dirigenza scolastica non richiami contestualmente l’art. 25 del TU del pubblico impiego che
ne è la matrice. Non convince, poi, la genericità della formulazione adottata ( “è
rafforzata”): una legge può conferire o può togliere specifici poteri ad una funzione
pubblica, non può “rafforzarla” o “indebolirla”.
La stessa perplessità insorge con la lettura dell’art. 9 “Periodo di formazione e prova del
personale docente ed educativo”, il cui comma 3 prevede, al termine di tale periodo, la
“valutazione da parte del dirigente scolastico sulla base di un’istruttoria del docente con
funzioni di tutor, sentiti il Collegio dei docenti e il Consiglio di istituto”. Tale procedura
neppure menziona il Comitato per la valutazione del servizio; in caso di valutazione
negativa del periodo di prova, “il dirigente scolastico provvede alla dispensa dal servizio
con effetto immediato, senza obbligo di preavviso”.
Sulla stessa linea muove l’art. 10 “Valorizzazione del merito del personale docente”, là
dove (comma 2) prevede: “Il dirigente scolastico, sentito il Consiglio di Istituto, assegna
annualmente la somma di cui al c. 1 sulla base della valutazione dell’attività didattica in
ragione dei risultati ottenuti in termini di qualità dell’insegnamento, di rendimento
scolastico degli alunni, di progettualità della metodologia didattica utilizzata, di innovatività
e di contributo al miglioramento complessivo della scuola”.
Quale dirigente scolastico conosce ciascuno dei propri insegnanti al punto tale da poter
assegnare premialità ad una élite di essi sulla base di parametri così complessi, sui quali
si discute da decenni e sui quali si sono fatte, finora, solo limitate sperimentazioni VSQ e
Valeas? E non hanno più senso i Nuclei esterni di valutazione, cancellati prima ancora di
essere stati attivati? Il fatto che la somma messa a disposizione sia limitata (200.000
milioni, poco più di 20.000 euro per scuola) non cambia la sostanza del problema.
Si vuole un dirigente scolastico organo decisore e propulsore unico della scuola? Questo
serve per “dare piena attuazione al processo di realizzazione della autonomia” (art. 2 del
ddl) e per ritrovare l’impegno che solo dalla passione educativa può venire (diciamo noi)?
A noi pare che questi provvedimenti rafforzino il profilo del dirigente, non quello
dell’autonomia.
E’ pur vero che tutte queste “enunciazioni annunciate” sono poi riprese dall’art. 21, che
individua i contenuti delle deleghe. Tali contenuti, raggruppati per obiettivi, ammontano ad
oltre 70. E allora di nuovo la domanda: la scuola, per ripartire, ha proprio bisogno di
riscrivere, in una volta sola, il Testo unico del 1994, l’art. 25 del D Lgs. n. 165, i contratti di
lavoro dei suoi attori? Parlamento e Governo, già pressati da una mole di progetti
riformatori complessi e dirompenti, avranno la coerenza e la lucidità necessarie per
riformare, in diciotto mesi, i delicati meccanismi che regolano la scuola? Essa è appena
uscita da duri anni di “razionalizzazioni di spesa”; il grave avvilimento delle risorse del
Fondo d’Istituto è nell’esperienza di tutti i docenti che si impegnano nel proprio lavoro;
poco più di due mesi fa la legge di stabilità ha posto a carico del F.I.S. (del poco che ne
restava) pure il pagamento delle supplenze per il personale ATA (legge n. 190/2014, art.
1, c. 332); la scorsa estate (nota prot. n. 4969 del 25 luglio 2014) il MIUR ha dimezzato
l’avvio del CLIL nella scuola superiore in assenza di insegnanti e di risorse.
Oggi si vorrebbe far credere che il CLIL sia alla portata di tutte le scuole (art. 2, c. 3, lett. a,
del ddl); il Piano triennale delle scuole è presentato come una sorta di self service al
banchetto del Ministero, con il quale posti in deroga, infrastrutture e attrezzature (c. 8)
sono messi a disposizione del Piano che, si noti, è “elaborato dal dirigente scolastico,
sentito il collegio dei docenti e il consiglio d’istituto”. Una domanda a proposito del
“sentito”: è ancora vigente il Regolamento dell’autonomia scolastica? Noi ne conosciamo
la formulazione: “Il Piano dell'offerta formativa è elaborato dal collegio dei docenti sulla
base degli indirizzi generali per le attività della scuola e delle scelte generali di gestione e
di amministrazione definiti dal consiglio di circolo o di istituto, tenuto conto delle proposte e
dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni anche di fatto dei genitori e, per le
scuole secondarie superiori, degli studenti. Il Piano è adottato dal consiglio di circolo o di
istituto” (D.P.R. n. 275/1999, art. 3, c. 3).
Questi materiali fanno parte degli aggiornamenti gratuiti del Manuale per la preparazione
al concorso per Dirigente scolastico di G. Mariani