Ennealogia dell`Antropocene

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Ennealogia dell`Antropocene
ANTONIO SBARRA
Ennealogia
dell’Antropocene
Edizioni
Helicon
Prefazione
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Nel 2000, il Prof. Paul Joseph CRUTZEN - mutuando da
Eugene STOEMER che lo aveva inventato - ha usato il
termine “Antropocene” per definire la nostra era la prima
era geologica nella quale le attività umane sono state - e
continuano ad essere - in grado di influenzare l’atmosfera e
alterare il suo equilibrio.
È la prima volta che un’era geologica, caratterizzata per
sua stessa definizione culturale e tecnico/scientifica come
un “tempo” lunghissimo e da mutamenti e mutazioni quasi inavvertite, attestata la loro - appunto - lenta evoluzione
metamorfica, per la prima volta, si diceva, essa si palesa
con “velocità” assoluta e tale da poter essere percepita en
direct nell’arco di poche generazioni umane e/o storiche.
Ecco la felice intuizione del Prof. Creutzen: attribuire filologicamente all’uomo l’eponimia di un’era geologica, di
cui egli - e la sua inferente tecnologia - ne sono gli assoluti
protagonisti, specie per quanto attiene agli effetti deleteri e
distruttivi sul piano ecologico ed ambientale!
Il suo libro, dal titolo sottilmente ironico ma profondamente drammatico di “Benvenuti nell’Antropocene” - edito nel
2005 con i tipi di Mondadori - ben starebbe a rappresentare
una “tela” che si apre su uno scenario nuovo, imprevisto
dai più, ma che subdolamente e improcrastinabilmente sta
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segnando, in negativo, il destino dell’Homo che “vogliono”
due volte Sapiens!
E quel “welcome” non ha nulla di benaugurante, non offe
nessun amicale e solidale buon auspicio, non apre nessuna
possibilità di accoglienza cordiale e sincera: è, invece, un
palcoscenico segnato solo dalla nera “ombra” della distruzione, della eradicazione, dell’annullamento delle forme viventi sul pianeta Terra per una serie di concause, tra loro interagenti e tra loro amplificatrici di cause ed effetti, tese ad
una sola “uscita” finale: un’altra, ma stavolta ultima, mass
exinction, o Bioexit!
Non certo la prima mass extinction che le ere geologiche
hanno conosciuto nel corso dei circa cinque miliardi di anni
che la nostra Terra ha visto e patito; ma, a differenza delle
altre, pur catastrofiche e sconvolgenti, stavolta sembra che
nessuna forma vivente potrà “risollevarsi”, mutate essendo
e radicalmente le condizioni ambientali e tali, in ogni caso,
da non permettere nessuna “ripresa”. Sembra possa scomparire il termine - e il concetto - stessi di un “dopo”!
No!
Non la “Terra palla di neve”, non l’asteroide che sradicò dal
pianeta i dinosauri, non la distruzione del Permiano: nessuna delle precedenti estinzioni di massa, seppur numerose e
catastrofiche, si è “mossa” nelle condizioni in cui avverrà
- forse - questa ultima, quella dell’Antropocene! E il nome
ce ne dà conferma e garanzia: stavolta il “protagonista” è
vivo e presente, ne è causa ed effetto insieme, la vive e la
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soffre al contempo, con la sua smania di “crescita” infinita
e illimitata in un ambiente che è per sua definizione finito
e limitato e su cui incombe, implacabile, la Legge dell’Entropia, che trasforma, svilendo, depauperando e degradando
ogni forma di energia: l’Uomo!
Questa raccolta di racconti, attagliabili al genere della “Fantascienza” - seppur di tipo “soft” - vorrebbe si parva magnis….. raccontare un cosa che non “è” ancora per fortuna,
ma che potrebbe “essere” intorno e dentro Noi, nella nostra
società del XXI secolo, tecnologica, avanzata, moderna potremmo anche arrivare a dire. Ma “moderna” rispetto a chi
o cosa? E gli “antichi” chi sono, o sarebbero?
Per fortuna, l’ironia - specie se davvero auto/riflessa e profonda - resta come unica “arma” e il racconto finale, di un
amore falsamente autentico (o sognato?) lo potrebbe, anzi
lo starebbe a dimostrare!
Purtroppo l’ EGONOMIA ha fagocitato i sentimenti, la coscienza di un vivere in sintonia simbiotica con la Natura,
finanche la stessa Economia, alterandone i caratteri sino
a diventare rapina occhiuta e sorda allo stesso concetto di
“Limite” su cui fermarsi, pena lo sfracellarsi al fondo del
burrone o, meglio, come direbbe il pastore kirghiso caro a
Leopardi, in quello
“abisso orrido, immenso
ov’ei precipitando il tutto oblia.”
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Da Barga ad Agliè
“L'aedo è l'uomo che ha veduto e perciò sa, e anzi talvolta
non vede più; è il veggente che fa apparire il suo canto”1 1
GIOVANNI PASCOLI: “Il Fanciullino” Parte I°
1.
Il “normale”.
(Ma, esiste davvero un “normale”?)
Allora, se avete bisogno di me, io sarò nel mio studio giovedì, dalle 15 alle 16. Arrivederci.”
Un rapido alzarsi dai propri banchi, un frettoloso scambio di messaggi a mezzo smartphone, un educato saluto al
Docente e i rumori dell’uscita degli studenti dall’Aula furono poi seguiti dal solito silenzio nell’ambiente, silenzio
cui lui non si era mai abituato, anche dopo circa 40 anni di
docenza.
Quel restare “solo” dopo i canonici sessanta minuti ininterrotti di lezione, quel dilatarsi dell’Aula perché vuota e
silenziosa non gli erano mai piaciuti e per questo gli ultimi minuti delle sue lezioni lo vedevano incartocciarsi sugli
argomenti in essere, come se quel dilungarsi, quel parcellizzare le nozioni nelle loro “atomiche” segmentazioni fossero capaci di prolungare, esorcizzare “quel” momento, il
finis temuto. Ma anche per oggi la campanella e i rumori
che usualmente l’accompagnavano erano lì, erano suoi, gli
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incombevano sul cervello con la forza esagerata del loro
essere - in definitiva - nulla più di una routine abitudinaria,
di una normale prassi che vedeva la fine della Lezione, l’accomiatarsi educato e rispettoso degli Studenti e poi ……
la solitudine che lo attanagliava, un’altra volta, l’ennesima.
finendo per sospettare una “presenza” aliena ed inquietante, un moloc ed un Leviatano che lo attendevano, anzi lo
irridevano con il loro comparire senza visibilità, con la loro
dominante “assenza” che lo conturbava.
Anche gli stessi odori ambientali gli sembrano sempre
nuovi, inauditi e sono, invece, sempre gli stessi: il gesso
in polvere sparso nell’aria che, con la polvere ambientale, il fascio di luce proveniente dalle finestre trasforma in
un caleidoscopio multicolore come un arcobaleno rifratto
da un prisma; le abluzioni cui studentesse e studenti si sottopongono nel quotidiano “rito” del prepararsi per uscire
la mattina, col loro effluvio di dopobarba, lozioni, deodoranti e eau de Cologne sparati in quantità industriale sulla
propria pelle; qualche spizzico di cibo preconfezionato atto
alla “ricreazione” e poi, sempre, non su tutto ma “dentro”
tutto, quell’indefinibile e mai definito profumo/odore di un
quid ascoso e nascosto, ma invadente, invasivo e pervasivo dentro e su tutti gli altri odori “normali” quali ci si può
aspettare di cogliere in una “normale” Aula universitaria di
un Dipartimento di Scienze Linguistiche e Comunicative.
Odore non definito, come detto, in cui un vago sentore di
materia organica, di elementi di sintesi e di altra natura si
interfacciavano tra loro, alla vana ricerca di una sopraffazione mai conseguita di uno sull’altro, di una vittoria bio/
chimica mai raggiunta: e quei composti sconosciuti erano
lì, come sempre, erano suoi, anche oggi, come ieri, come
domani. La solitudine dell’ambiente era maggiormente aggravata proprio dall’inscienza attinente a quel misterioso
effluvio, quesito che si poneva ogni volta finiva la lezione,
Spento il PC portatile e disconnessosi dalla rete WI-FI
della Facoltà, raccolti gli appunti - era ancora abituato a
vergare di suo pugno le poche note necessarie alla Lezione,
lasciando al PC l’onere e l’onore della “memoria” dei dati e
la loro proiezione con le apposite slide sullo schermo - raccolto il cellulare, che poi inevitabilmente rimaneva spento
sino a che la moglie non glielo rinfacciava al suo ritorno
a casa, e via verso la sua utilitaria per il quotidiano nestos
verso casa, che spesso davvero si trasformava in uno di quei
drammatici “ritorni” cari all’epica greca classica degli eroi
di ritorno dalla guerra di Troia. L’ Ulisse tra Lestrigoni e
Polifemo o tra le settennali grazie di Calipso? Agamennone
atteso da Clitennestra ed Egisto con un cultro come “regalo” di bentornato? Aiace Oileo ucciso dalla sua superba arroganza? Menelao che, anche dopo la morte del “rapitore”
Paride, deve ancora lottare con Deifobo per avere di nuovo
la sua Elena, oltre che vagare per ben otto anni prima del
suo nestos a Sparta? E li chiamate nestos questi ritorni, circonfondendoli con l’aura del mito e dell’epos? Bazzecole:
al più, gite fuori porta o al massimo paragonabili a quelle
organizzate da qualche circolo CRAL, se li confrontate coi
diuturni e defatiganti viaggi casa-università che a lui erano
imposti dal contratto di lavoro e dal senso del dovere! Ingorghi sulla Tangenziale a croce uncinata retroflessa!!! Imbuti di autoveicoli sparsi a ruota di pavone su una sola car-
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Sempre.
reggiata!!! Follie di guida contromano, con un rombare di
cilindrate adatte più ad un circuito da Grand Prix di F1 che
ad un percorso urbano, in una città dall’antichissimo centro
storico soggetto ai più allucinanti divieti ed obblighi contraddittori tra di loro!!! E viaggiaci tu, in simili condizioni,
due volte al giorno o più, nel caso di ritorni pomeridiani o
serali per attività le più varie.
Ma, domani, non hai promesso al Preside di Facoltà degli appunti sul linguaggio pascoliano e sulla
sua determinatezza nel Poemetto “Il vischio”? Gli
servono per una sua prolusione al semestre prossimo, perciò devi impegnarti oggi pomeriggio, a
casa. Niente calcetto stasera, niente pizza con la
squadra, niente di niente: lavoro, lavoro e lavoro!”
Così va rimuginando, mentre parcheggia l’auto in garage “quel carburatore ha ripreso a fare le bizze e lo devo
portare a far vedere prima o poi” e, svuotate le tasche da
ogni ammennicolo ivi allocato - le chiavi di casa e dell’auto, le monetine per l’ascensore, i bollini che le commesse del Supermercato insistevano a regalargli - sa, così può
ricevere ricchi premi - e tutto quell’universo di cose che
continuiamo a portarci dietro senza mai usarle - si stravacca
sulla poltrona preferita ed attende.
Cosa? Non lo sa neanche lui: forse la volontà mista a
terrore di risentire a casa quell’odore sconosciuto della sua
Aula all’Università? Quel mistero insiste al fondo della sua
coscienza, s‘insinua tra quelli usuali di casa - stasera mi sa
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che sono spaghetti alla puttanesca - la cera da poco passata
sui pavimenti e, in definitiva, tutta quella congerie olfattiva
che accoglie in sé, e rende tuo, il tuo ambiente, usualmente,
quotidianamente, sempre. Quegli attimi sulla poltrona, quel
socchiudere gli occhi per un attimo, quel liberare la mente da tutto - ne sei proprio sicuro? - prima di completare
il resto della giornata con le usuali attività professionali o
familiari, sono il vero suo usbergo dal mondo, il vero suo
“parlare” con se stesso, il vero tornare, per poco, se stesso
davvero. Poi, l’usuale riprende la palla e gioca lui, adesso: dribbla, fugge sulla fascia, raddoppia le marcature, fa le
diagonali, attacca lo spazio e la profondità (e sì che ne conoscono di figure retoriche, i giornalisti sportivi: metafore,
sinestesie, ipallagi, iterazioni e via andare: magari, i miei
Studenti!)
Ed allora, visto che mancano ancora un po’ di ore alla
cena - E se non fosse puttanesca? L’odore mi sembra quello! - cominciamo almeno a “pensare” a quegli appunti da
consegnare l’indomani al Preside di Facoltà. Allora: il testo
“Il Vischio” è già stato stampato, il Contini lo rileggiamo un
attimo, Debenedetti è già in pillole nel PC, ah cosa manca?
Quell’ultima recensione ungherese (addirittura, sulle sponde del Balaton Zvanì è andato a finire?) che nota i legami
sussistenti ed intercorrenti tra Pascoli e Gozzano è già stata “assimilata” e, ad onor del vero, gradita per alcune sue
perspicaci illuminazioni critiche: il materiale c’è tutto e via
andare.
La routine del lavoro accademico, la grinta nell’impegno
sentito e perfino amato, il senso di una “sfida” da combattere e vincere una volta di più, e giù sul PC con furiosa volon- 15 -