DUSTMUSEUM.ORG TESTI

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DUSTMUSEUM.ORG TESTI
MUSEO ETTORE FICO
8 SETTEMBRE 2 OTTOBRE 2016
DUSTMUSEUM.ORG
PIERO LIVIO OGGETTI E IMMAGINI
TESTI
dustmuseum.org
Piero Livio. Oggetti e immagini
MEF Museo Ettore Fico - Torino
8 settembre / septembre 2016
2 ottobre / octobre 2016
biasutti&biasutti - Torino
13 ottobre / octobre 2016
5 novembre / novembre 2016
MEP Maison Européenne
de la Photographie - Paris
22 novembre / novembre 2017
21 gennaio / janvier 2018
progetto , realizzazione , produzione
project , realisation , production
/
© studiolivio.it Torino
/ photographies
© Patrizia Mussa, Valeria Motti, Piero Livio
fotografie
/ traductions
Maria Mercedes Kechler, Evelyne Giumelli
traduzioni
/ avec le soutien de
Centro Porsche Torino Erre Esse spa Concessionari Porsche
3B srl
Ada Group
Gruppo Viva spa
studiolivio
con il contributo di
Piero Livio. L’antiquario detective, ovvero l’ingenuo collezionista
Andrea Busto
Piero Livio incarna contemporaneamente almeno cinque tipologie di intellettuali differenti: l’artista, lo scienziato, il collezionista, il drammaturgo e l’antiquario. Per ognuna
di queste categorie egli veste panni e assume atteggiamenti differenti che, per misura e
simbologia, riducono la sua persona a una sorta di regesto vivente.
Come artista si muove con agio attraverso le simbologie e le pratiche espositive, analizza il contesto e il luogo museale convertendo l’ambiente operativo in una dimensione
contemporanea.
Come scienziato cataloga, conserva, schematizza e classifica il mondo circostante dando un nome e un senso, spesso filosofico, agli oggetti di differente natura che si trova a
comporre nel suo ordinatissimo laboratorio, palcoscenico di una privata rappresentazione dell’arte.
Come collezionista crea legami fra le cose più disparate che apparentemente non sono
unibili se non attraverso il pensiero personalissimo del loro possessore. Gli scarti,
come gli oggetti più rari, diventano le parole di una frase dal senso compiuto il cui significato è comprensibile solo attraverso la decifrazione di un “tutto” riconducibile però al
“frammento”.
Come drammaturgo/attore recita performance e tableau-vivant in una sorta di scambi
di ruoli pirandelliani in cui egli è uno, nessuno e centomila.
Come antiquario è il vero detective sulle tracce dell’oggetto perduto, si fa esegeta della
storia e ne decifrata i segnali. Decritta, nella ruggine di un microscopico oggetto di ferro
trovato nella spazzatura, il racconto della sua genesi come fosse prezioso un acquamanile medioevale.
La rappresentazione di questa pièce teatrale trova il palcoscenico più idoneo in ciò che
chiama Dustmuseum, l’insieme cioè di tutte le sculture, sorta di macrocosmo assemblato di innumerevoli reperti e composto da infinite “variazioni sul tema”. L’opera che ne
deriva simboleggia magnificamente, per forma e significato, la grande tradizione allegorica della sapienza e dell’onniscienza, come simbolo di vita retta e illuminata. Piero
Livio è il saggio/ingenuo/poeta che indica la via da seguire, le tappe da intraprendere
per assurgere alla verità contemporanea, per decodificare codici criptati o evidenti, per
decifrare la realtà e per sciogliere i misteri che ci attorniano. Tutto ciò lo fa attraverso le
opere che diventano testi di lettura, palinsesti spirituali, formule scientifiche e magiche,
simbologie del mondo e del tempo, della filosofia e della religione, dell’eros e dell’ascesi. Livio ricompone la storia dell’universo e dell’uomo in oggetti fortemente connotati.
Sculture riconducibili ai luoghi del sapere, all’illuminazione, alla sapienza, alla superiorità, al percorso che pratica tanto il monaco quanto il mago, tanto l’uomo che l’animale
per addivenire a uno stato superiore e lasciarsi alle spalle quello inferiore.
Ma è anche un inganno. Se l’opera ha una sua tridimensionalità, la sua fotografia la
riduce a immagine bidimensionale, se poi il suo recto è riprodotto in modo positivo, il
suo verso è in negativo. L’opera assume quindi tre differenti modi di essere: una e trina!
La prima è la scultura stessa. La seconda è la sua fotografia, quella in cui la scultura è
proposta su fondo bianco risultando come il suo doppio. La terza, quella su fondo nero,
ne cambia completamente i connotati rendendo la materia fotografata – anche quella
più vile – cristallina, trasparente e vetrosa. Il fondo nero delle immagini rappresenta la
grotta scura da cui, scaturiscono come gemme, – ma attenzione, sono solo quelle dei
Sette Nani di Biancaneve – le forme delle sculture: adamantine, preziose e talismaniche.
Gli assemblaggi si configurano come macchine simboliche atte a varcare i confini dell’ignoto e del subconscio.
Nel 1620 Francis Bacon illustra il frontespizio della sua Instauratio Magna con l’immagine di un nave che, a vele spiegate, si dirige verso l’orizzonte di un mare vasto e agitato.
Quest’allegoria del sapere ci suggerisce l’idea di un uomo che intraprende il grande e
“periglioso viaggio” del sapere e della conoscenza, come Ulisse o Giasone, spinto da
curiosità per il desiderio di conoscere luoghi liminali e oggetti provenienti dai “mondi
novi”, ignoti e non disegnati sulle carte, che colleziona oggetti provenienti dai luoghi
estremi della geografia.
Talvolta le navi fanno naufragio e, se talune riportano a riva mirabolanti bottini, altre
rilasciano al mare i tesori trasportati. Sull’acqua allora ondeggiano i relitti e si arenano
le chiglie nei bassi fondali. Sulla battigia deserta gli oggetti si accumulano e si confondono formando famiglie casuali e improbabili.
Piero Livio, esegeta del naufragio intellettuale, riprende poeticamente e in modo leopardiano quella dolcezza del lasciarsi naufragare come in un sogno al limite del risveglio in cui la percezione della realtà è prossima al tuffarsi in uno specchio per seguire il
Bianconiglio.
Il naufragio può essere anche fonte di ricchezza per i posteri se il tempo non corrode e
non scompone tutto. E allora è meglio dragare un “mare” d’immondizia alla ricerca del
tesoro perduto. Le scorie e gli oggetti, nuovi o fossili, le testimonianze di una civiltà di
oggi o di ieri, possono venire a galla e funzionare come una macchina del tempo in cui il
presente può sembrare tanto lontano quanto il passato di una civiltà sepolta.
Gli oggetti raccolti e riportati a terra diventano i souvenirs e le testimonianze dell’ignoto,
della relazione che lega l’archeologo al collezionista e ai mondi lontani, della relazione
tra l’“altrove”assoluto e l’isolamento intellettuale del sapiente.
Questo microcosmo di “cose” viene raccolto, catalogato, impilato e incasellato in teche,
armadi, biblioteche, scaffalature, vetrine chiuse o a giorno, in diorama, in serre nell’a-
telier/laboratorio ancora una volta sacello e antro alchemico. Tutto serve a rappresentare e a esporre fino a impossessarsi delle bacheche, di tutta una stanza, di tutta una
galleria, di tutta una casa, di tutto un museo.
La stanza meravigliosa (wunderkammer) o lo stipo dei tesori in cui vengono raccolte le
straordinarie collezioni, hanno profonde radici nella storia dell’arte europea dal Rinascimento italiano fino al collezionismo ottocentesco e oltre.
Piero Livio rappresenta una possibile collezione dell’oggi. L’accumulo strabordante di
frammenti, di animaletti, di sfere armillari e lenti e cannocchiali e libri e pietre preziose
e tutto ciò che può stimolare la fantasia, viene disposto in un ordine fittizio (ingannatore) in cui perdersi e non ritrovarsi. L’ordine regna in queste opere come un’illusione di
serenità, di immobile saggezza, di atemporalità eterna. Eppure se tutto fosse decontestualizzato, tutto apparirebbe come effimero, caduco, arbitrario.
Il terrore per il disordine sgomenta l’artista, che riordina e manipola le cianfrusaglie
collezionate trasponendo dagli oggetti al mondo un senso di potenza dominatrice del
tutto ingannevole. Riordinare il caos e vincere la morte attraverso l’illusorio tentativo di
possedere il mondo, è questo il grande sogno di questo artista. L’oggetto è simbolo del
potere dell’immaginazione sul tempo, ma non dimentichiamo che le prime collezioni, da
cui derivarono tutti i musei, non erano altro che i bottini di guerra, trofei di morte del vincitore sul vinto. Una collezione non è altro quindi che la rappresentazione di un cimitero
in cui si pensa di essere i soli vivi. Ecco allora che l’assemblaggio circoscritto diventa il
sacello, il tempio sacro, la grotta in cui riparare le proprie idée e i pensieri più nascosti.
L’“opera” stessa diviene un micro-museo in cui le Naturalia (curiosità naturali come
uova di struzzo, rami di corallo, conchiglie madreperlacee, denti di bovino, ossa di
uccelli), le Artificialia (manufatti preziosi e opere d’arte come quadri e sculture) e le
Mirabilia (oggetti straordinari come i gioielli, i cammei e le pietre preziose lavorate) convivono e dialogano col loro possessore.
Non mi avventurerò, in questo contesto, in una lettura psicanalitica sull’uso degli oggetti e del loro assemblaggio, anche se ne sarei molto tentato, dove l’artista fa convivere
un razzo su una sfera di cristallo, un manichino e la testa di un giocattolo con cappello
di plastica, un mappamondo con un imbuto di vetro capovolto che sembra una coppa da
Martini cocktail, automobiline, palle, chiavi inglesi arrugginite, rane di latta, elefantini
di ceramica, penne e piume, pelli e pellicce, armi e armadilli! Il labirinto è completo con
dentro tutti i suoi attori.
Figlio di Cornell, ma anche fratello di Alice, l’artista compone e ricompone senza sosta
sciarade e rebus, in cui il senso finito della storia che ci sta raccontando è aperto a
qualsiasi cambiamento fino all’ultimo minuto.
Gli oggetti presentati si possono ricondurre, come abbiamo già scritto, alle tre gerarchie delle stanze delle meraviglie: Mirabilia, Naturalia e Artificialia, in cui la convivenza
di diversi concetti come “vero” e “falso”, “naturale” e “costruito”, “prezioso” e “povero”,
“nuovo” e “antico”, trovano identico spazio e identica considerazione da parte dell’artista.
Nelle opere convivono Topolino, Pikachu, la lampada di Aladino, l’orsetto Winnie The
Pooh, un angioletto in ceramica, un cavallo alato, Pegaso e Godzilla. L’assemblaggio
degli oggetti, di primo acchito caotico e sovraeccitato, ci rimanda alla Melancholia (1514)
di Dürer (in cui una campana, un cane, attrezzi da falegname, un sasso squadrato e una
scala (!) sono assemblati nel paesaggio in modo solo apparentemente arbitrario), al
periodo metafisico ferrarese di de Chirico (in cui i biscotti, i mobili, i pesci disseccati e
le squadrette dell’architetto convivono nelle stanze silenti dall’improbabile prospettiva),
alla Boîte-en-valise (1936) di Marcel Duchamp (in cui i minuscoli modellini del Grande
vetro, del Nudo che scende le scale, dei Trois Stoppages-Étalon e altre opere si impilano
in una sorta di museo da passeggio), a quelle di André Breton (Page-objet e Rêve-objet
rispettivamente del 1934 e del 1935), alle opere di Joseph Cornell (concentrati visibili di
“collezioni di sogni”) e a quelle di Mario Merz (in cui la straordinaria teoria di Fibonacci
applica alla natura concetti matematici e moltiplica ortaggi, legumi, lumache, fascine e
frutti su tavoli a spirale in vetro e pietra che tendono all’infinito).
Le sculture di Piero Livio diventano paradigma di tutto lo scibile, il sapere si impila, si
applica, si complica e si consolida con fragili legature di fili, resine, colle, cera d’api e
mollica. Il Mondo e l’Universo sono compressi in spazi angusti sottovetro, la storia di
milioni di anni o quella di attimi si concentrano in pochi centimetri cubici, insomma tutto funziona come un’incredibile e magica macchina del tempo, azionata da meccanismi
a noi sconosciuti che appaiono comprensibili ma non decifrabili.
Cucire, scucire, ricucire
Piero Livio
Molte volte mi sono chiesto, mi hanno chiesto perché? La risposta sicuramente nasce dalla
mia infanzia, al centro del mediterraneo, in un accaldato pomeriggio d’estate, nell’ombra, la
gibigiana del sole crea, in una fessura delle persiane, una lama di luce, milioni di intangibili
oggetti emergono dal nulla, un polveroso universo, una ricchezza celata di differenti nature,
colori, misure, tensioni, attrazioni, pulsioni; un pacato caotico vortice, un parabolico andare
in cerca di pace dove pace non c’è. Un rumore inudito, il ribollir silenzioso del fiato terreno
presente, impalpabile, assente, trasporta la vita, la fortuna, il destino, un granello piccino,
l’intero universo che porta con sé.
Dustmuseum.org - raccolta, selezione, diffusione rifiuti - è il titolo sotto il quale dal 1970 ho
raccolto gli oggetti che andavo realizzando con scarti e frammenti trovati per caso e destinati
all’oblio. Gli oltre centotrenta oggetti riprodotti in questo volume sono la parte emergente
di una ben più vasta collezione organizzata, curata, conservata e sistematicamente catalogata. Costruiti con contributi occasionali, assemblati con fragili legature di fili, resine, colle,
cera d’api e mollica; protetti da campane, vasi, teche, ampolle sono fotografati, stabilizzati in
immagini perlopiù proposte con un metaforico parallasse, di recto-verso, positivo-negativo,
back-to-back.
Venere dea di perfezione e bellezza, nata dalle spume del mare fecondate dalla castrazione
di un dio, con il suo sguardo seducente rammenta che nel procedere è un breve scarto di
parallasse a dar misura e senso alla via (vita).
Doundoredo - Fare, disfare, rifare; primo istante, ultimo istante; accettazione e rifiuto, scrittura e ri-scrittura; cucitura, scucitura, ricucitura; costruzione, demolizione, ricostruzione;
non moda ma continua ricapitolazione, nell’onnipresente idea dell’ ”aria libera del mare”
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - « La definizione base di parallasse è: il dislocamento apparente di un oggetto (lo spostamento della sua posizione rispetto allo sfondo) causato da un cambiamento nella posizione
di osservazione che determina un nuovo asse visivo. Il risvolto filosofico da aggiungere è
che la differenza osservata non è semplicemente “soggettiva”, poiché lo stesso oggetto
che esiste “là fuori” viene visto da due posizioni o punti di vista differenti. Sono piuttosto il
soggetto e l’oggetto ad essere, come avrebbe detto Hegel, intrinsecamente “mediati”, di
modo che un cambiamento “epistemologico” nel punto di vista del soggetto riflette sempre
un cambiamento “ontologico” nell’oggetto stesso.»
Oppure, per dirla in “lacanese”, lo sguardo del soggetto è già da sempre inscritto all’interno dell’oggetto percepito, nella veste di suo “punto cieco”, il quale è “nell’oggetto più
dell’oggetto stesso”, il punto da cui l’oggetto ricambia lo sguardo. “Il quadro, certo, è nel
mio occhio. Ma io, io sono nel quadro”1: la prima parte della frase di Lacan indica la soggettivazione, la dipendenza della realtà dalla sua costituzione soggettiva, mentre la seconda
fornisce un’integrazione materialista, reinscrivendo il soggetto all’interno della sua immagine come macchia (la scheggia oggettivata nel suo occhio).
Il materialismo non è l’affermazione diretta della mia inclusione nella realtà oggettiva
(una simile affermazione presuppone che la mia posizione di enunciazione sia quella di un
osservatore esterno capace di cogliere l’intera realtà), ma consiste piuttosto nella svolta
riflessiva tramite cui io vengo incluso nell’immagine da me costruita. È questo cortocircuito
riflessivo, questo raddoppiamento necessario di me stesso come qualcosa che sta sia dentro sia fuori la mia immagine, che testimonia la mia “esistenza materiale”. Materialismo
significa che la realtà che vedo non è mai “intera”, e non a causa del fatto che la maggior
parte di essa mi elude, ma perché contiene una macchia, un punto cieco, che indica la mia
inclusione in essa. »
Slavoj Zizek La visione di parallasse, Il Nuovo Melangolo, 2006, p. 28
« Ciò che nel collezionismo è decisivo, è che l’oggetto sia sciolto da tutte le sue funzioni
originarie per entrare nel rapporto più stretto possibile con gli altri a lui simili. Questo rapporto è l’esatto opposto dell’utilità, e sta sotto la singolare categoria della completezza.
Cos’è poi questa “completezza”? Un grandioso tentativo di superare l’assoluta irrazionalità
della semplice presenza dell’oggetto mediante il suo inserimento in un nuovo ordine storico appositamente creato. »
Walter Benjamin I “passages” di Parigi, Einaudi, 2010, p. 214
« … tiriamo parimenti a disfare e a rimutare di continuo le cose da quaggiù, benché tu vada
a questo effetto per una strada e io per un’altra … Non manco di fare parecchi giuochi da
paragonare ai tuoi, come verbigrazia sforacchiare quando orecchi, quando labbra e nasi, e
stracciarli colle bazzecole che io v’appicco per li fori … »
Giacomo Leopardi Operette morali, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 1979
1 J. Lacan, Il Seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi (1964), a cura di A. Di Ciaccia, Torino, Einaudi, 2003, p.95
Piero Livio. L’antiquaire détective ou le collectionneur ingénu
Andrea Busto
Piero Livio incarne au moins cinq différentes typologies d’ intellectuel à la fois : l’artiste,
le scientifique, le collectionneur, le dramaturge et l’antiquaire. Selon la catégorie, il joue
différents rôles et assume divers comportements qui, de par leur importance et leur
symbolisme, en font une sorte de répertoire vivant.
En tant qu’artiste, il se meut avec aisance au sein des symboles et des pratiques d’exposition,
analyse le lieu muséal et son contexte, transformant l’environnement opérationnel en une
dimension contemporaine.
Comme scientifique, il catalogue, conserve, schématise et classifie le monde qui nous
entoure, prêtant un nom et un sens, souvent philosophique, aux objets de toute sorte, qu’il
dispose dans un atelier des plus ordonnés, scène d’une représentation privée de l’art.
Comme collectionneur, il crée des liens entre les choses les plus disparates, que l’on ne
peut apparemment unir sinon à travers la pensée très personnelle de leur possesseur.
Comme les objets les plus rares, les déchets composent une phrase achevée, dont le sens
n’est compréhensible que par le déchiffrage d’un « tout » que l’on peut rattacher toutefois
au « fragment ».
En tant que dramaturge-acteur, il joue des performances et des tableaux-vivants dans une
espèce d’échange de rôles, propre à Pirandello, où il est à la fois un, personne et cent mille.
Comme antiquaire, il s’avère un véritable détective sur les traces de l’objet perdu et il
devient l’exégète de l’histoire dont il déchiffre les signaux. Il décrypte, à travers la rouille
d’un microscopique objet en fer trouvé parmi les déchets, le récit de sa genèse comme s’il
s’agissait d’une précieuse aiguière du Moyen Age.
La représentation de cette pièce de théâtre a pour scène idéale ce qu’il appelle Dustmuseum,
c’est-à-dire l’ensembles de toutes ses sculptures, sorte de macrocosme composé
d’innombrables pièces assemblées et comprenant d’infinies « variations sur le thème ».
L’œuvre, qui en découle, symbolise à merveille, - de par la forme et le sens – la grande
tradition allégorique de la connaissance et de l’omniscience comme symbole de vie édifiante
et éclairée. Piero Livio est le sage/ingénu/poète qui indique la voie à suivre, les étapes à
entreprendre pour atteindre la vérité contemporaine, pour décoder des codes cryptés ou
évidents, pour déchiffrer la réalité et les mystères qui nous entourent . Ce qu’il fait à travers
ses œuvres qui s’avèrent des textes de lecture, des palimpsestes spirituels, des formules
scientifiques et magiques, des symboles du monde et du temps, de la philosophie et de
la religion, de l’éros et de l’ascèse. Livio recompose l’histoire de l’univers et de l’homme
en des objets fortement connotés. Des sculptures reconductibles aux lieux du savoir, à
l’illumination, à la connaissance, à la supériorité, au parcours que suit aussi bien le moine
que le magicien, l’homme que l’animal pour parvenir à un état supérieur, laissant l’inférieur
derrière lui.
Mais il s’agit aussi d’un piège. Si l’ œuvre a une tridimensionnalité, qui lui est propre, sa
photographie la réduit en image bidimensionnelle. Si, en outre, son recto est reproduit en
mode positif, son verso l’est en mode négatif. Par conséquent, son œuvre assume trois
différentes façons d’être : une et trine !
La première est la sculpture même. La deuxième est sa photographie, celle où la sculpture
est proposée sur fond blanc résultant comme son double. La troisième, sur fond noir, en
change complètement les données, rendant la matière photographiée – même la plus
modeste – , cristalline, transparente et vitreuse. Le fond noir des images représente la
grotte obscure, d’où surgissent, comme des pierres précieuses – mais, attention, il ne s’agit
que de celles des Sept Nains de Blanche Neige – les formes des sculptures : diamantaires,
précieuses et talismaniques.
Ses assemblages se présentent comme des machines symboliques en mesure de dépasser
les frontières de l’inconnu et du subconscient.
En 1620, Francis Bacon illustre le frontispice de sa Instauratio Magna, représentant un
navire, qui se dirige, à pleines voiles, vers l’horizon d’une vaste mer agitée. Cette allégorie
du savoir nous suggère l’idée d’un homme, qui entreprend le grand et « dangereux voyage
» du savoir et de la connaissance, comme Ulysse ou Jason, désireux de connaître des lieux
liminaux ainsi que des objets provenant de « nouveaux mondes » inconnus et ne résultant
pas sur les cartes, et qui collectionne des objets provenant des lieux géographiquement les
plus lointains.
Parfois les navires font naufrage et si certains ramènent jusqu’au rivage des butins
mirobolants, d’autres délaissent en mer les trésors transportés. C’est alors que sur l’eau
flottent les épaves et que les quilles s’enlisent dans les bas fonds. Sur la plage déserte, les
objets s’accumulent et se confondent, formant des familles casuelles et improbables.
Piero Livio, exégète du naufrage intellectuel, évoque poétiquement, à la façon de Leopardi,
cette douceur de « faire naufrage » comme dans un rêve à la limite du réveil, où la perception
de la réalité est sur le point de plonger dans un miroir pour suivre le Lapin Blanc.
Le naufrage peut aussi être source de richesse pour les descendants si le temps ne corrode
et ne décompose tout. Et alors mieux vaut draguer une « mer » d’immondices à la recherche
du trésor perdu. Les déchets et les objets – neufs ou fossiles - , les témoignages d’une
civilisation d’hier ou d’aujourd’hui peuvent remonter à la surface et fonctionner comme une
machine du temps, où le présent peut paraître aussi lointain que le passé d’une civilisation
ensevelie.
Les objets recueillis et ramenés sur terre deviennent les souvenirs et les témoignages
de l’inconnu, de la relation qui lie l’archéologue au collectionneur et aux mondes
lointains, de la relation entre l’ «ailleurs » absolu et l’isolement intellectuel du savant.
Ce microcosme de « choses » est recueilli, catalogué, empilé et rangé dans des écrins,
armoires, bibliothèques, étagères, vitrines fermées ou éclairées, dans des dioramas, dans
des serres, dans l’atelier-laboratoire, une fois encore lieu sacré ou antre de l’alchimiste.
Tout sert à la représentation et à l’exposition au point de prendre possession des conteneurs,
de toute une pièce, de toute une galerie, de toute une maison, de tout un musée.
Le cabinet des merveilles (wunderkammer) ou l’écrin des trésors, où sont rassemblées les
collections extraordinaires, puisent leurs racines dans l’histoire de l’art européen depuis la
Renaissance italienne jusqu’au collectionnisme du XIX° siècle et au-delà.
Piero Livio représente une possible collection de notre aujourd’hui. L’accumulation
débordante de fragments, de petits animaux, de sphères armillaires et lentilles et longuevue et de livres et de pierres précieuses et de tout ce qui peut stimuler l’imagination, est
disposée dans un ordre fictif (trompeur), où se perdre sans se retrouver. L’ordre règne dans
ces œuvres comme une illusion de sérénité, de sagesse immobile, d’éternelle intemporalité.
Cependant si tout était dé-contextualisé, tout semblerait éphémère, caduc, arbitraire.
La terreur du désordre effare l’artiste, qui range et manipule la camelote qu’il collectionne,
transposant, des objets au monde, un sens de puissance dominatrice totalement trompeur.
Remettre en ordre le chaos et vaincre la mort par la tentative illusoire de posséder le monde,
tel est le grand rêve de cet artiste. L’objet est symbole du pouvoir de l’imagination sur le
temps, mais n’oublions pas que les premières collections, qui sont à l’origine de tous les
musées, n’étaient autre que les butins de guerre, trophées de mort du vainqueur sur le
vaincu. Par conséquent, une collection n’est que la représentation d’un cimetière, où l’on
pense être les seuls vivants. Voici donc que l’assemblage circonscrit devient le sacellum, le
temple sacré, la grotte où abriter ses propres idées et ses pensées les plus secrètes.
L’œuvre en question devient un micro-musée, où les Naturalia (curiosités naturelles telles
que des œufs d’autruche, des branches de corail, des coquilles nacrées, des dents de
bovin, des os d’oiseaux), les Artificialia (des ouvrages précieux et des œuvres d’art telles des
tableaux et des sculptures) et les Mirabilia (des objets extraordinaires comme les bijoux, les
camées et les pierres précieuses orfévrées) cohabitent et dialoguent avec leur possesseur.
Dans ce contexte, je ne m’aventurerai pas dans une lecture psychanalytique sur l’usage
des objets et leur assemblage, - même si j’en suis très tenté – où l’artiste fait se côtoyer
une fusée sur une sphère de cristal, un mannequin et la tête d’un jouet avec chapeau
en plastic, une mappemonde dotée d’un entonnoir de verre renversé ressemblant à une
coupe à cocktail Martini, des petites voitures, des balles, des clefs anglaises rouillées, des
grenouilles en fer-blanc, des petits éléphants en céramique, des stylos et des plumes,
des peaux et des fourrures, des armes et des tatous ! Le labyrinthe est complet avec, à
l’intérieur, tous ses acteurs.
Fils de Cornell mais aussi frère d’Alice, cet artiste compose et recompose sans cesse des
charades et des rébus, où le sens achevé de l’histoire, qu’il nous raconte, s’offre à tout
changement jusqu’au dernier moment.
Comme nous l’avons déjà écrit, on peut rattacher les objets présentés aux trois hiérarchies
des cabinets des merveilles : Mirabilia, Naturalia et Artificialia, où la cohabitation de différents
concepts tels que « vrai » et « faux », « naturel » et « construit », « précieux » et « pauvre », «
nouveau » et « ancien », occupent le même espace et ont la même considération de la part
de l’artiste.
Dans ses œuvres se côtoient Mickey Mouse, Pikachu, la lampe d’Aladin, l’ourson Winnie
The Pooh, un angelot en céramique, un cheval ailé, Pégase et Godzilla. L’assemblage de
ces objets, au premier abord chaotique et surexcité, nous renvoie au Melancholia (1514) de
Dürer (où une cloche, un chien, des outils de menuisier, un caillou équarri et une échelle (!)
sont assemblés dans le paysage, seulement en apparence, de façon arbitraire), à la période
métaphysique de de Chirico, à Ferrara (où les biscuits, les meubles, les poissons desséchés
et les équerres de l’architecte cohabitent dans les pièces silencieuses à perspective
improbable), à la Boîte-en-valise (1936) de Marcel Duchamp (où les minuscules maquettes
du Grand Verre, du Nu descendant l’escalier, des Trois Stoppages-Ėtalon et d’autres œuvres
s’entassent dans une sorte de musée portable), à celles d’André Breton (Page-objet et Rêveobjet de 1934 et de 1935), aux œuvres de Joseph Cornell (concentrés visibles de « collections
de rêves ») et à celles de Mario Merz (où l’extraordinaire théorie de Fibonacci applique à
la nature des concepts mathématiques et multiplie produits potagers, légumes, escargots,
fagots et fruits, sur des tables en spirale, en verre et pierre, qui visent à l’infini).
Les sculptures de Piero Livio deviennent paradigme de toute la connaissance : le savoir
s’empile, s’applique, se complique et se consolide avec de fragiles ligatures de fils, résines,
colles, cire d’abeilles et mie. Le Monde et l’Univers sont comprimés dans des espaces
réduits, sous-verre, l’histoire de millions d’années ou d’instants se concentre en peu de
centimètres cubes. En conclusion, tout fonctionne comme une incroyable et magique
machine du temps, actionnée par des mécanismes, - que nous ne connaissons pas – qui
semblent compréhensibles mais pas déchifrables.
Coudre, découdre, recoudre
Piero Livio
Je me suis souvent demandé, on m’a souvent demandé : pourquoi? La réponse est à chercher
sûrement dans mon enfance, au centre de la Méditerranée, un après-midi d’été très chaud,
dans l’ombre, “la gibigiana” du soleil crée, dans une fissure des volets, une lame de lumière, des
millions d’objets intangibles surgissent du néant, un univers de poussière, une richesse cachée
de différentes natures, couleurs, mesures, tensions, attractions, pulsions ; un paisible tourbillon
chaotique, un aller parabolique à la recherche de paix là où la paix n’existe pas. Un bruit qui
ne s’entend pas, le bouillonnement silencieux du souffle terrestre présent, impalpable, absent,
transporte la vie, la fortune, le destin, un tout petit grain, l’univers tout entier qu’il porte avec lui.
Dustmuseum.org – récolte, sélection, diffusion déchets – c’est sous ce titre que, depuis
1970, j’ai recueilli les objets, que je réalisais avec des rebuts et des fragments trouvés, par
hasard, et destinés à l’oubli. Les plus de cent trente objets reproduits dans ce volume sont
la part la plus émergente d’une bien plus vaste collection organisée, soignée, conservée et
systématiquement cataloguée. Les objets construits avec des contributions occasionnelles,
assemblés avec de fragiles ligatures de fils, résines, colles, cire d’abeilles et mie; protégés
par des cloches, des vases, des écrins, des ampoules, ils sont photographiés, stabilisés en
images le plus souvent proposées avec une métaphorique parallaxe, de recto-verso, positifnégatif, back-to-back.
Vénus déesse de perfection et beauté, née de l’écume de la mer fécondée par la castration
d’un dieu, elle rappelle, par son regard séduisant que, en progressant, c’est un bref écart de
parallaxe qui donne dimension et sens à la voie (vie)
Doundoredo – Faire, défaire, refaire ; premier instant, dernier instant ; acceptation et
refus, écriture et ré-écriture ; couture, décousure, re-cousure ; construction, démolition,
reconstruction ; non mode mais récapitulation continue, dans l’omniprésente idée de l’ “air
libre de la mer”.
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - « The standard definition of parallax is: the apparent displacement of an object (the shift of its
position against a background), caused by a change in observational posi-tion that provides
a new line of sight.The philosophical twist to be added, of course, is that the observed
difference is not simply “subjective,” due to the fact that the same object which exists “out
there” is seen from two different stances, or points of view. It is rather that, as Hegel would
have put it, subject and object are inherently “medi-ated,” so that an “epistemological” shift
in the subject’s point of view always reflects an “ontological” shift in the object itself. Or—to
put it in Lacanese—the subject’s gaze is always-already inscribed into the perceived object
itself, in the guise of its “blind spot,”that which is“in the object more than the object itself,”
the point from which the object itself returns the gaze. “Sure, the picture is in my eye, but
I, I am also in the picture”: 1 the first part of Lacan’s statement designates subjectivization,
the depen-dence of reality on its subjective constitution; while the second part provides a
materi-alist supplement, reinscribing the subject into its own image in the guise of a stain
(the objectivized splinter in its eye). Materialism is not the direct assertion of my inclusion in
objective reality (such an assertion presupposes that my position of enunciation is that of an
external observer who can grasp the whole of reality); rather, it resides in the reflexive twist
by means of which I myself am included in the picture constituted by me—it is this reflexive
short circuit, this necessary redoubling of myself as stand-ing both outside and inside my
picture, that bears witness to my “material existence.” Materialism means that the reality
I see is never “whole”—not because a large part of it eludes me, but because it contains a
stain, a blind spot, which indicates my inclu-sion in it. »
Slavoj Zizek The Parallax View, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts, 2006, p. 17
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - « Ce qui est décisif dans la manière de collectionner, c’est que l’objet soit libéré de toutes
ses fonctions originelles pour entrer le plus étroitement possible en rapport avec les
autres objets qui lui sont semblables. Ce rapport est exactement à l’opposé de l’utilité et
appartient à la singulière catégorie du caractère exhaustif. Qu’est-ce donc que ce caractère
exhaustif? Une tentative grandiose de dépasser l’absolue irrationalité de la simple
présence de l’objet par son insertion dans un nouvel ordre historique créé expressément. »
Walter Benjamin I “passages” di Parigi, Einaudi, 2010, p. 214
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Dialogue entre la Mode et la Mort , Oeuvres Morales de Leopardi. La Mode «…on vise à
défaire et à changer continuellement les choses dans le monde, même si tu suis une voie
différente de la mienne… moi aussi je fais beaucoup de jeux semblables aux tiens, comme,
par exemple, forer aussi bien des oreilles que des lèvres et des nez et les déchirer avec les
bricoles que j’y attache à travers les trous »
Giacomo Leopardi Operette morali, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 1979
1 Jacques Lacan, The Four Fundamental Concepts of Psycho-Analysis (New York: Norton, 1979), p. 63.