leggi la traduzione di Francesca Pirisi
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1 | Page Scrivere la Follia di Patrick McGrath Cagliari 2015 Recentemente sono arrivato alla conclusione che le storie che ho scritto in questi 25 anni siano tutti incentrate sulla follia. Perciò quello che voglio fare stasera è parlare di ciò che mi ha spinto in questa direzione; e anche degli altri scrittori che hanno scelto la follia come soggetto e influenzato il mio stesso lavoro. Questo discorso è intitolato Scrivere la Pazzia. Uno psichiatra mi ha introdotto all'idea di follia quando avevo otto anni. Era mio padre. Per venticinque anni è stato soprintendente medico del Broadmoor Hospital, un istituto mentale di massima sicurezza vicino Londra, una volta noto come il manicomio Broadmoor per criminali malati di mente. Non ho mai sofferto di schizofrenia, ma da ragazzo ho imparato molto sulla malattia da lui. La chiamo “malattia”. La schizofrenia è adesso considerata come un insieme di sintomi correlati piuttosto che una singola e unificata patologia; una sindrome, non una malattia. Una volta si credeva comportasse una personalità divisa, ma mio padre mi spiegò che lo schizofrenico è più appropriatamente considerato come avente una personalità in frantumi. Potrebbero essere quella 2 | Page conversazione, e l'immagine drammatica della personalità in frantumi, che mi hanno portato a scrivere della follia. Le mie prime letture erano per lo più racconti dell'orrore. Ho divorato le storie di Algernon Blackwood, M.R. James e Sheridan LeFanu, e più tardi Ambrose Bierce e Edgar Allan Poe, il quale ha fatto emergere in me un duraturo gusto per la letteratura gotica. Sono poi arrivato alla conclusione che con Poe fu un momento cruciale della storia del gotico; quando un genere che era stato a lungo identificato con fenomeni soprannaturali, svolta verso la disfunzione psicologica, e scopre nella mente che si disintegra una vena di oro nero. Perché è con Poe che esporre i meccanismi della mente inconscia diventa il talento speciale e la funzione del romanzo gotico. Un mondo di incubi e fantasmi, di sublimazione, regressione e rimozione, di doppi e altri mostri dell'Es sono stati minuziosamente mappati per più di un secolo prima che Freud organizzasse il materiale in una teoria, e descrisse la follia all'interno di un paradigma scientifico. La teoria psicanalitica e gli studi del caso che lo sostengono sono la continuazione attraverso altri mezzi del romanzo gotico. Cos'è un romanzo gotico? Ho coeditato un'antologia di narrativa, pubblicata nel 1991, chiamata The New Gothic (il nuovo gotico). Conteneva storie di scrittori che mi sembravano lavorare nel filone gotico: con temi gotici se non con accessori gotici, coi quali 3 | Page intendo temporali e rovine e chiavi sferraglianti e il resto. Avevamo incluso scrittori come Jamaica Kincaid e Joyce Carol Oates, Peter Straub e Martin Amis, William Vollman e Lynne Tillman, i quali, tutti, come dicevo, utilizzavano nei loro lavori temi gotici. Identificavo questi temi come trasgressione e decadenza. Suggerivo che se trasgressione e decadenza erano in primo piano in un' opera, essa contava come Nuovo Gotico. Più tardi mi resi conto che un terzo termine doveva essere introdotto in questo nero trittico, e questo era la follia. Intuitivamente noi scorgiamo la relazione tra la trasgressione e la decadenza e la follia, e da poco mi sono incuriosito leggendo il pittore inglese Julian Bell dire di una esposizione a Parigi, chiamata l'Angelo dell'eccentrico: romanticismo cupo da Goya a Max Ernst, che la paura centrale intorno alla quale ruota il romanticismo cupo, non è quella della morte o del male, ne' del soprannaturale, piuttosto è quella della follia – la paura che il soggetto sia incoerente, che l'Io sia ingovernabilmente “altro”... La ragione illuminista era per natura incline a dare uno strappo ai suoi stessi sostenitori... spingi il tema della ragione abbastanza forte e finirai per scavare le radici della ragione nella psiche, e al di sotto di essa nell'organismo e nell'esistenza in sé...” Associo Poe ancora di più con questa svolta verso la follia nella nostra letteratura. Nei suoi racconti dell'orrore Poe ci ha 4 | Page dato una raffinata collezione di nevrotici, paranoici e psicopatici, e in particolare penso ai folli narratori de “Il cuore rivelatore” e “Il gatto nero”, e anche di Roderick Usher e William Wilson. Ma non credo che nessuno dei personaggi di Poe sia così spaventosamente pazzo come Montresor, che racconta “Il barile di Amontillado”. Il racconto fatto da Montresor, della sua aspra amicizia con un uomo chiamato Fortunato si apre, nella prima riga della storia, con una minaccia. “Avevo sopportato come meglio avevo potuto le mille offese di Fortunato. Ma quando egli si spinse sino a insultarmi giurai vendetta.” Che ricchezza di malessere si rivela in queste parole! - perché diventa presto chiaro che le “mille offese” di cui Montresor parla gli sono meno dolorose degli insulti che sostiene di aver subito. Cosa sono dunque, queste mille offese? Sono sgarbi? Insinuazioni forse, accenni e sussurri? Il racconto procede, con crescente disagio, e iniziamo a comprendere che è a causa di queste insinuazioni, e gli insulti che le seguono, che Montresor ha murato il suo amico nella cripta di un fatiscente palazzo veneziano, e l'ha lasciato lì a morire. Questo è scrivere della follia a un livello davvero alto. È anche un buon precoce esempio di narratore inaffidabile al lavoro. Avendoci trascinati nella paranoia di Montresor già con la 5 | Page prima sua frase, Poe non ci lascerà scappare. Come il povero Fortunato anche noi siamo murati in una struttura soffocante dalla quale solo la morte – o la fine della storia – potrà liberarci. Fino a quel momento saremo imprigionati in una logica che è interamente sensata, tranne per il fatto che è costruita su una falsa, folle premessa. Il mio primo serio tentativo di praticare l'oscura arte di scrivere della follia come si deve iniziò con un romanzo che portava deboli echi di Poe. Doveva essere il semplice racconto di un idraulico londinese che assassina sua moglie così da poter far trasferire la sua amante, una prostituta, in casa sua. Escogitai l'idea che il bambino dell'idraulico avrebbe raccontato la storia. Decisi poi che il ragazzo ricordasse questi eventi da adulto, ma che quello che avrebbe ricordato non fosse ciò che accadde. Mi venne poi in mente che il mio narratore potesse non semplicemente essere inaffidabile, ma psicotico. Avrebbe sofferto di schizofrenia. Ed è a questo punto che il problema di scrivere della follia mi si presentò forte e chiaro. La narrativa e la malattia mentale sembrerebbero essere entità che si escludono a vicenda. Il mio figlio dell'idraulico non possedeva l'agghiacciante rigore intellettuale del Montresor di Poe, ma non era meno squilibrato; una creatura disorganizzata i cui pensieri saltavano e vagavano al capriccio del mondo intorno a lui e le apparenti casuali 6 | Page associazioni facevano scintille nella sua disordinata mente. Soprannominato “Spider” (ragno) da sua madre – prima della sua prematura morte – la sua mente non curata era un costrutto incoerente di irrazionalità, allucinazioni e illusioni corporee. Il romanzo, in ogni caso, quando poi ne compresi la forma - era il mio secondo – richiede una sorta di progressione narrativa, fondata sulla causalità, che infine offre un disegno chiaro. La sfida divenne rendere il caos selvaggiamente fluttuante della psicosi all'interno dell'ordinato quadro della narrativa, senza male rappresentare la condizione ne' oscurare il chiaro procedere della storia. Ora, al di là di Poe, racconti dettagliatamente immaginati sulla follia nella letteratura sono più rari di come potreste pensare; come scoprii quando iniziai a cercare dei precedenti. Gli esempi di narrativa sulla follia, almeno nel diciannovesimo secolo, tendevano ad essere gotici. “Wieland” è uno straordinariamente cupo precursore del romanzo americano che tratta di un omicidio seguito da un suicidio. Scritto da Charles Brockden Brown, è stato pubblicato nel 1798 e narrato non dal dissennato stesso, ma da sua sorella. Tratteggia una condizione che oggi ci è anche troppo familiare, “voci” che guidano un uomo confuso al colpo fatale contro la sua stessa famiglia. 7 | Page Anche se “Wieland” aveva un qualche peso nel racconto di Spider, più utile per i miei scopi era una storia breve scritta quasi un secolo dopo “The Yellow Wallpaper” (la carta da parati gialla) di Charlotte Perkins Gilman. L'autrice era una femminista, una filosofa, una socialista e un'attivista, ed era stata ispirata a scrivere la storia dopo essere stata sottoposta a quello che nell'America della fine del diciannovesimo secolo era chiamato “la cura del riposo”. Questo era un trattamento prescritto per donne diagnosticate come isteriche, e fu inventato da Silas Weir Mitchell, un distinto neurologo di Philadelphia. Secondo il suo stesso racconto Charlotte Perkins divenne così disperata, privata per tre mesi di libri, lavoro e altre forme di occupazione, che mantenne la sua stabilità solo riprendendo a scrivere; la sua storia doveva convincere Silas Weir Mitchell dell'errore dei suoi modi. È raccontato da una donna il cui marito medico non le permette di lasciare la sua camera da letto, dove si suppone che lei si riprenderà dalla sua “temporanea depressione nervosa – leggera tendenza isterica”. E lei inizia ad impazzire. Di particolare interesse per me era la precisione con la quale la narratrice di Gilman tratteggia le fasi del suo stesso tracollo. Lei è sempre inconsapevole che quello che descrive è una rapida discesa nella psicosi, di quelle che comprendono un bizzarro ammasso 8 | Page di allucinazioni incentrate sulla carta da parati gialla della camera da letto che è diventata la sua prigione. Non c'è dubbio che ci sia metodo nella sua follia, e ogni passo della caduta segue con una logica inesorabile ciò che è avvenuto prima. E come con il Montresor di Poe, tutto ha senso – tranne la folle premessa iniziale. Ho immagino anche il mio personaggio, Spider, discendere nella pazzia per gradi, e sotto l'influenza totalizzante di un presupposto fallace. L'ho immaginato tornare nel vicinato di East London dov'è cresciuto; un consunto, borbottante uomo che nei suoi solitari vagabondaggi rimane irresistibilmente attratto dalla visione della struttura circolare di un officina di gas, una vista non inusuale in quella parte della città. E lo riempe di orrore. Ho anche immaginato che molti anni prima sua madre fosse tornata a casa tardi dal pub, e poi fosse svenuta nella cucina e fosse morta per una fuga di gas. Tuttavia il lettore non apprenderà questo per un po'. Una notte, mentre Spider siede in una stanza fatiscente alla sommità di una pensione locale, si accorge di un odore sgradevole. Realizza che viene da sé stesso, e puzza di gas. Si strappa i suoi vestiti ed è proprio così, non c'è dubbio: gas! Il mio lettore comprenderà che per quest'uomo disturbato e fragile, il gas ha un significato terribile. Ma perché? Quella notte Spider prende i fogli del giornale ingiallito che allineano i 9 | Page cassetti degli abiti nella sua stanza e li lega intorno al suo torace con gesso e filo. Quando è legato nel giornale dal collo all'inguine, rimette addosso i vestiti, tutti i vestiti, tutto per trattenere l'odore spaventoso. Poi arriverà a credere che puzzi di gas perché sta marcendo dentro. I suoi organi si stanno seccando e decomponendo, iniziando a scomparire – e va avanti così. A questo punto spero che il mio lettore veda Spider non come un'assurda mostruosità, e nemmeno un mero pietoso esempio di comune miserabile follia. No, io voglio che il lettore decodifichi il tormento di Spider, capendo che il suo credere di puzzare di gas deve essere connesso alla sua convinzione della sua stessa malvagità, della sua colpa. Sembra roba davvero da pazzi, ed è così. Ma nessun psichiatra che abbia già trattato la schizofrenia sarà sorpreso da queste floride allucinazioni corporee. Mentre mi documentavo sulla schizofrenia per questo romanzo mi imbattei in una frase de “L'io diviso” di Ronald Laing, forse il miglior resoconto sulla schizofrenia che sia mai stato scritto, che mi fornì la chiave per comprendere il personaggio al quale tentavo di dare vita sulla carta. Lo schizofrenico, dice Laing, “sta morendo di sete in un mondo pieno d'acqua”. Ho visto un uomo che viveva in un quartiere di Londra ma era così isolato, così profondamente disconnesso da essere incapace di creare relazioni umane e di 10 | P a g e conoscere amore, o amicizia, o finanche il semplice calore che si ha dalle semplici interazioni giornaliere. Sta morendo di sete in un mondo pieno d'acqua, e per uno scrittore di pazzia come me, questa era un'intuizione inestimabile. Il romanzo sulla follia nel ventesimo secolo è spesso caratterizzato da una sorta di naturalismo che è assente nel più stilizzato gotico, o nel romanzo romantico del periodo precedente. Esso segna una svolta dal gotico, nonostante tenda a seguire Charlotte Perkins Gilman nel concentrarsi sulla donna disturbata alla mercé di un uomo, che sia un dottore, un marito, o semplicemente un uomo in generale. Tre eccezionali romanzi sulla follia, tutti scritti nel corso di dieci anni, dal 1961 al 1971, e tutti da donne, esplorano il tema della follia spesso con dettagli atroci. In “La campana di vetro”, il romanzo di Sylvia Plath sull'esaurimento mentale, una giovane donna si estranea da tutto ciò che le è familiare, e si lascia trasportare piuttosto che tuffarsi nella follia, crescendo sempre più isolata, e soggetta a bizzarre percezioni distorte. A un certo punto intravede nella bocca della sua amica uno spirito maligno, un dybbuk, che le ha invaso il corpo, e parla attraverso lei. Più tardi la giovane donna tenta il suicidio e viene ricoverata. “Mi sono sentita come se fossi seduta nella vetrina di un enorme grande magazzino”, scrive. Le figure intorno a me non erano persone ma manichini dipinti per somigliare a persone e messi in posa a scimmiottare la vita”. 11 | P a g e Continua costantemente a pensare al suicidio. Si taglierà i polsi? Si chiede. Si lascerà annegare in mare? Si sottopone al suo primo attacco di terapia di elettroshock: “...e ad ogni scarica un grande scossa mi colpiva finché pensavo che le mie ossa si sarebbero spezzate e la linfa sarebbe sgorgata fuori di me come da una pianta spezzata”. L'orrore della pazzia, e dei metodi usati per trattarla, sono resi ancora più vividi perché descritti con tale chiara clinica lucidità. Alla fine è la semplice immagine della campana di vetro che esprime perfettamente l'esperienza infernale che questa donna soffocata sta passando: “...ovunque mi sieda...starei sedendo sempre sotto la stessa campana di vetro, agitandomi nella mia stessa aria viziata.” La storia di Sylvia Plath si rispecchiava con crudele precisione nei fatti della sua stessa breve vita. Quando il libro venne pubblicato in Inghilterra, dove allora viveva, lei era in pessime condizioni. Il suo matrimonio con il poeta Ted Hughes era distrutto. Non aveva denaro. Viveva in uno spoglio appartamento con i suoi due figli piccoli durante l' inverno più gelido del secolo, e tutti e tre erano malati con l'influenza. La campana di vetro discese ancora, come aveva sempre avuto paura sarebbe accaduto, e lei sprofondò in una grave depressione. Si uccise con il gas l'11 febbraio 1963. Aveva 30 anni. 12 | P a g e Una contemporanea di Sylvia Plath era la neozelandese Janet Frame, il cui romanzo “Volti nell'acqua” dà un' immagine ancora più terrificante dell'internamento dell'elettroshock. Il romanzo psichiatrico è ambientato e della terapia interamente in un istituto mentale femminile, e di tutti gli orrori del posto, la narratrice si ritrova “a temere sempre più il suono del carrello e le urla soffocate quando esso si spostava di stanza in stanza, sempre più vicino. E all'improvviso la lucentezza della corsia sette sembrava esplodere in un bagliore di caotico verde, come se adesso esistesse soltanto per camuffare i movimenti di rettili morti e insetti velenosi...” Il carrellino contiene l'equipaggiamento necessario all'amministrazione della terapia dell'elettroshock. Ma c'è poi una straordinaria variazione sul tema. Jean Rhys era una scrittrice il cui lavoro era ampiamente letto nel 1930, ma che sparì dalla circolazione così completamente che molti pensarono fosse morta. Ma aveva un ultimo libro, “Il grande mare dei Sargassi”, e in questo riprendeva il grande romanzo gotico di Charlotte Brontë “Jane Eyre” e raccontava la storia, non di Jane, ma della moglie pazza del signor Rochester, Bertha, chiusa nella soffitta della grande casa del marito. Jean Rhys immagina i primi anni della vita di Bertha, quando viveva in Jamaica come Antoinette Cosway, una ereditiera creola. Strappata a quella vita, e portata via da un uomo che ha imparato ad odiare, verso una terra fredda e distante, impazzisce; e nella sua pazzia distrugge la casa del 13 | P a g e marito. Il romanzo di Charlotte Bronte è perciò ribaltato, quando la nostra attenzione viene spostata dalle tribolazioni di Jane alla comprensione della pazza imprigionata nella soffitta, di ciò che ha sofferto, e perché darà fuoco alla grande casa, distruggendo se stessa nel processo. Non avevo letto “Il grande mare dei Sargassi” quando ho scritto il mio romanzo su una donna perseguitata circa 25 anni dopo Jean Rhys. Si intitola Asylum – Follia, in Italia – e curiosamente mio padre ha ispirato il romanzo, e non soltanto facendomi crescere nel terreno di un grande ospedale psichiatrico. Mi stavo guardando intorno alla ricerca di un'idea per un po', e mi ricordai di un incidente di quando ero bambino, qualcosa di irrisolto, una storia senza una fine appropriata, e priva di qualsiasi dettaglio, notevole non per ciò che era accaduto ma per ciò che non era accaduto. Ricordo che entrai in una stanza dove degli adulti parlavano e tutto a un tratto cadde il silenzio. Qualunque cosa stesse succedendo non era per le mie orecchie, ma niente provoca la curiosità di un bambino più certamente che dirgli, in effetti, che esiste un segreto, e lui non ne sarà messo a parte. Questo accadde a casa del Soprintendente Medico, una grande villa dai mattoni rossi che stava a cento iarde dall'ingresso principale di Broadmoor. E come ho detto, era mio padre il Soprintendente. 14 | P a g e Il segreto era questo: una relazione illecita era stata scoperta tra la moglie di un medico e un paziente. I medici di Broadmoor erano psichiatri forensi, e i pazienti, molti di loro, criminali che erano stati giudicati non colpevoli per insanità mentale. Credo che il paziente in questione perse i suoi privilegi della libertà condizionata a causa dell'incidente, cioè fu confinato all'interno delle mura dell'ospedale e non gli fu più permesso di lavorare nei campi. Più tardi la moglie del medico lasciò l'ospedale con suo marito e i figli, uno dei quali era un ragazzo della mia età e particolarmente amico mio. Questo fragile e di sicuro imperfetto frammento di narrativa era tutto quello che avevo, ma mi diede il germe di Follia. L'avrei ambientato nel 1959, quando è successo. Era un periodo che ricordavo così chiaramente, come ricordavo qualunque cosa della mia infanzia. Non ero ancora stato mandato in collegio e le lunghe estati nei campi e nella foresta intorno all'ospedale erano finora la cosa migliore nella vita al sicuro e senza problemi di un ragazzino. Conoscevo l'aspetto di Broadmoor com'era allora, la sensazione del posto e delle sue persone, ed ero sicuro di poterlo far rivivere sulla pagina. Ora avevo una storia. Sarebbe stata sulla moglie. Le diedi un nome, Stella Raphael. Prese vita, potevo subito vederla. Una attraente, sofisticata donna, le mancava la sua vita a Londra ed 15 | P a g e era annoiata non solo dai membri della sala comune dello staff senior e dalle loro mogli, ma anche da suo marito. Lui si chiama Max Raphael. Stella e Raphael hanno un figlio, Charlie, di dieci anni, e lui lo conoscevo davvero bene, perché ero io. I suoi genitori non erano i miei, ma nel suo interesse per le rane, e per i posti acquatici, e per il calcio, e per i pazienti in libertà condizionale che tutti i giorni uscivano a prendersi cura dei campi della tenuta, e per coloro che trattava come innocui zii, quello ero io. Un paffuto, tutto denti, precoce bambino, innamorato della madre ma assetato di conversazioni con il padre su ogni tipo di cose; iniziai presto a cospirare per la sua caduta. Ma prima, Stella Raphael. Era ancora dieci minuti prima che il femminismo arrivasse sul serio nel sud dell'Inghilterra. A fine anni cinquanta non c'erano molte possibilità per una moglie e madre nella comunità di un ospedale rurale. Volevo che lei avesse pochi sbocchi, e un matrimonio insoddisfacente, e anche un avanzato disprezzo per le possibilità sociali in offerta. Solo il vice Soprintendente divertiva Stella. Lui è Peter Cleave, un navigato, colto uomo più anziano, non sposato, e devoto ai suoi piaceri privati. Uno dei pazienti di Peter Cleave è Edgar Stark, uno scultore, che lavora nel giardino dei Raphael. Ricordo la facilità con la quale fu scritta la prima parte della storia. È molto raro. L'ho considerato un buon segno, ripensandoci, 16 | P a g e nonostante all'epoca mi preoccupasse. Stella riconosce subito in Edgar Stark uno spirito affine, come lei incarcerato ingiustamente in questo posto di rigida costrizione e indifferente routine. Inizia la relazione sessuale. È una cosa di sconsideratezza e passione. Gli amanti formano un'unione scellerata, e mi era chiaro cosa doveva accadere dopo. Con l'aiuto di Stella, Edgar scappa dall'istituto e fugge a Londra. Fu più o meno a questo punto della storia che ebbi il colpo di fortuna. Durante una visita a casa, curiosando tra gli scaffali di mio padre, trovai un esile volume su un raro disordine psichiatrico. Si chiamava Gelosia Morbosa e Omicidio. Lo divorai in un attimo. E per pura fortuna quel libro mi diede tutto quello che mi serviva sia per stabilire la patologia di Edgar Stark, sia per suggerire la gravità del pericolo che Stella stava correndo. Quest'uomo era violento, ed era contro le donne che la sua violenza si era indirizzata in passato. Vidi tutto questo, e vidi redenzione. Vidi una scena a Southwark Bridge, gli amanti riuniti, e il loro futuro, sebbene lontano dall'essere facile, assicurato. Non si amavano, d'altronde? Nelle prime fasi di un libro un romanziere può immaginare centinaia di finali ma raramente qualcuno di questi sopravvive. Amanti a Southwark Bridge, un tramonto fumoso, questo era tutto un sogno speranzoso. Dove potrebbero andare? Lasciando la sua famiglia 17 | P a g e e unendosi a Edgar Stark, Stella non solo è andata oltre i limiti del suo matrimonio e la sua comunità, ma anche aldilà della legge. Ma non c'è nulla aldilà della legge, non c'è posto dove andare. Edgar ovviamente è stato a lungo fuori legge. Edgar ha ucciso. Ora si davano alla macchia. Era sicuramente solo questione di tempo... Una decisione importante doveva essere presa presto. Stavo scrivendo il romanzo in prima persona, dal punto di vista di Stella. Continuai a fare così, ansioso di scoprire attraverso mezzi di intensa identificazione immaginativa tutto quello che potevo su questo coraggioso cuore. Ma mi resti conto che dovevo presto allontanare la storia da lei. Il romanzo non poteva permetterle l'assoluto dominio sul significato della sua esperienza. Per Stella il mondo era ben speso in cambio di amore, ma quel mondo conteneva un figlio e io avevo bisogno di un'altra voce, una voce discordante, a dirle che aveva torto, che il mondo non era ben speso in cambio d'amore, che noi ci accolliamo responsabilità per gli altri e che trasgrediamo a nostro rischio e pericolo. Capii di chi doveva essere la voce. Ogni cosa che avevo assiduamente rivelato della mente e anima di Stella doveva essere messo a disposizione di quest'uomo, e il lettore avrebbe dovuto prendere le parti. Era Peter Cleave, lo psichiatra. Avevo tratteggiato uno scrupoloso piano riguardo la mia ricerca per Follia. Avevo ovviamente i miei ricordi di Broadmoor, e in più 18 | P a g e c'erano i misteriosi movimenti della fortuna, ma la mia intenzione ere sempre stata questa: avrei abbozzato il libro in una prima stesura e avrei buttato giù la storia su carta. Avrei poi fatto un'approfondita conversazione con mio padre. Non aspettavo altro che un'altra ricca collaborazione con il maestro. Ma aspettai troppo. Mio padre era malato. Non era abbastanza forte perché potessi beneficiare della sua vasta esperienza delle maniere del manicomio. Una tarda mattina d'autunno, nella casa di mia moglie a Londra, finii la prima stesura del libro e poi mi diressi in auto verso Berkshire. Lo mancai di un'ora. Dieci giorni dopo tornai a Londra e ripresi il lavoro al romanzo che adesso avrei dovuto finire per conto mio. Il lavoro procedette velocemente. Peter Cleave si dimostrò il narratore più adatto per la storia di Stella. Aveva accesso al resoconto di lei della relazione, e una comprensione psichiatrica dell'uomo Edgar Stark. La sua visione di ciò che Stella considerava un amore per il quale valeva la pena perdere il mondo era più prosaica di quella di lei. Non vedeva amore ma qualcos'altro, una sorta di pazzia. Mi ci volle molto tempo per trovare la giusta fine. Ricordo di una volta quando con mio padre al crepuscolo attraversavamo un cortile all'interno di Broadmoor. Avevo otto o nove anni. Un grido veniva da un'alta finestra del Blocco Sei. Persino adesso le parole “Blocco Sei” mi fanno venire un brivido 19 | P a g e lungo la schiena. Era dove venivano alloggiati gli uomini più disturbati. I nuovi arrivi andavano al blocco sei, se presentavano qualche rischio – uomini che nella maggior parte dei casi avevano commesso gravi atti di violenza anche se psicotici. Ma non era un grido di furia selvaggia quello che sentii quel pomeriggio, era un grido della più miserabile tristezza. Guardai in su verso mio padre. “Povero John”, disse, e io capii che lui capiva ciò che il suo paziente stava passando. Questo è quello che scrivere della pazzia deve cercare di esprimere, credo, empatia e compassione per i limiti dell'esistenza per i quali uomini e donne possono essere spinti alla malattia mentale. Penso fosse lo psicanalista Jacques Lacan che descrisse il linguaggio Questa è degli una abbastanza. Un schizofrenici utile come formulazione, discorso – una ma storia “lingua senza per romanziere un coerente – discorso”. deve non è essere distinguibile persino all'interno degli sproloqui più folli di un narratore folle, come il Montresor di Poe, o la Bertha Rochester di Jean Rhys. Tecnicamente è una forma di narrativa estremamente impegnativa da scrivere. Ma non è priva di regole e struttura. La pazzia non è mai arbitraria, mai casuale nelle sue manifestazioni, o cause. Il lettore che è stato arruolato con successo come detective psichiatra si troverà impegnato, in romanzi come questi, con menti ricche di 20 | P a g e complessità come qualunque altra nella nostra letteratura. Questo tipo di menti operano per lo più cieche della loro stessa disfunzione, solo peggiorano la loro terrificante imprevedibilità.