La rinascita del Mille. La riforma gregoriana

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La rinascita del Mille. La riforma gregoriana
Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al
Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in
parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. X Lezione: la rinascita del
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La rinascita dell’anno Mille: problemi ed interpretazioni
L'espressione “rinascita dell'anno Mille” designa una fase storica del Basso Medioevo caratterizzata
da una rinnovata religiosità ma soprattutto da uno sviluppo economico che comportò cambiamenti
evidenti nella vita sociale.
Alcuni storici hanno chiamato questa fase di sviluppo culturale, collocata intorno all'XI secolo,
"Rinascimento medievale".
Questa denominazione è stata contestata da altri, come lo storico Girolamo Arnaldi (1929-2016),
che riconosce come "Rinascimenti medioevali" solo «[...] quelli del diritto e della filosofia, nel
secolo 12°, perché il diritto che si riprese a studiare era quello romano, codificato dall'imperatore
Giustiniano, e la filosofia tornata in auge era quella greca, in particolare Aristotele» e quindi si può
parlare di Rinascimento in quanto questo del XV secolo sarà caratterizzato, ma non solo per questo,
proprio dalla rinascita dell'interesse per la classicità greca e romana. Resta il fatto che
Konrad Burdach (storico tedesco 1859-1936), massimo sostenitore della continuità tra Medioevo e
Rinascimento, ritiene che non vi sia stata alcuna rottura fra i due periodi, i quali costituiscono
dunque un'unica grande epoca. Burdach afferma che non vi fu nessuna svolta, e se proprio si vuole
parlare di rinascita bisogna addirittura risalire all'anno Mille; egli annota infatti che i temi della
Riforma luterana erano già contenuti nelle eresie medioevali, e che Medioevo e Rinascimento
hanno una stessa fonte in comune: il mondo classico.
La rinascita ottoniana
Una parte della storiografia medievale non contesta il fenomeno della rinascita dell'anno Mille, ma
ne mette in dubbio la repentinità e ne vede piuttosto «una più lunga evoluzione che, iniziata nel X
secolo, si espande con sicurezza nella seconda metà dell'XI secolo.» In questo caso Gianfranco
Maglio fa riferimento alla cosiddetta "Rinascita ottoniana", chiamata anche "Rinascenza" o
"Rinascimento ottoniano" legata al nome di Ottone I di Sassonia, un periodo medievale di
rinnovamento culturale dell'Occidente Cristiano, che si considera essersi sviluppato attorno al X
secolo. È un'età caratterizzata da un'innegabile vitalità culturale, in particolare grazie all'attività
delle scuole, in Germania ed in maniera meno diffusa sull'intero continente europeo.
Dominata da due figure intellettuali maggiori (Abbone di Fleury e Gerberto di Aurillac) produce
una notevole attività artistica (manoscritti miniati) ed architettonica. Più limitata rispetto alla
Rinascita carolingia che la precede, e da essa indissociabile, la Rinascita ottoniana conclude
ugualmente il lungo sviluppo dell'insegnamento nel Medioevo dal VI all'XI secolo, prima della
fioritura culturale del XII secolo.
La fine del mondo?
Verso la fine del X secolo le già travagliate vite dei popoli dell'Occidente vengono investite da
un'ondata di superstizioso terrore causata da racconti popolari basati anche su testi evangelici.
"Mille e non più mille" aveva detto Gesù secondo la tradizione nei Vangeli apocrifi. Si avvicinava
la fine del mondo con il Giudizio universale. Così era scritto nell'Apocalisse:
« Ed egli afferrò il dragone, il serpente antico - cioè il diavolo, satana - e lo incatenò per mille anni; lo
gettò nell'Abisso, ve lo rinchiuse e ne sigillò la porta sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni,
fino al compimento dei mille anni. Dopo questi dovrà essere sciolto per un po' di tempo. (20, 2-7) »
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Leggenda dell'anno MILLE.
Nel rifiorire della storiografia medievale nella prima metà del sec. XIX, espressione caratteristica
della rappresentazione romantica che si diede allora di quell'età, fu la leggenda dell'anno mille, che
diffusa prima dalla scuola del Lavasseur, fu largamente raccolta e propagata da storici come il
Sismondi, il Michelet, il Quinet, il Ferrari.
Partendo dalla nota profezia dell'Apocalissi di S. Giovanni che fissava col compiersi del millennio
l'avvento del Regno, si diffuse la credenza che gli uomini dell'anno mille attendessero lo scadere del
fatale termine nel terrore dell'imminente fine del mondo. La descrizione a fosche tinte dei terrori
dell'anno mille ispirò così tutta una letteratura, della quale fa parte anche una bella pagina del
Carducci proprio all'inizio del primo dei suoi Discorsi sullo svolgimento della letteratura nazionale.
Ma tale leggenda non ha alcun fondamento documentario e appare ormai destituita di ogni
attendibilità. Già l'attesa millenaristica del Regno si era esaurita sia in Oriente sia in Occidente
sin dal sec. IV e, da fede in una palingenesi cosmica, era divenuta essenzialmente problema di
salvezza individuale, così che, oltre la mancanza di ogni documentazione, neanche il fondamentale
atteggiamento di spirito della società cristiana intorno al 1000 può giustificare una leggenda
originatasi da una interpretazione storica di carattere prevalentemente letterario
(fonte enciclopedia Treccani)
Approfondimento: G Duby, L'anno Mille. Storia religiosa e psicologia collettiva, Einaudi
Nuove energie, ma non diaboliche, infatti prorompono intorno al Mille in tutta l'Europa occidentale,
dalle rive del Mare del Nord alla pianura del Po, nelle valli degli Appennini. Il mondo non finisce;
sta invece rinascendo a nuova vita liberando quelle forze che erano andate lentamente maturando
nel corso dei secoli barbarici.
È l'inizio di quella espansione dell'Occidente che spingerà i popoli tedeschi con i loro pesanti aratri
alla ricerca di nuove terre da dissodare ad Oriente (Drang nach Osten)
«L'espansione germanica verso est assume le forme più diverse: ora pacifica messa in valore di terre
incolte, ora insediamento di mercanti o coloni grazie a privilegi pacificamente ottenuti, ora azione
violenta di conquista, spesso mascherata dietro pretesti religiosi. Gli ordini monastici vi giocano
una parte di primo piano.» (J. Le Goff)
«La colonizzazione di questa pianura settentrionale fu forse la principale impresa dei popoli
germanici durante il Medioevo […] Nulla è più importante nella storia germanica di questa
immensa e secolare migrazione, di questa mobile frontiera di gagliarde famiglie campagnole che
avanzano costanti verso oriente, abbattendo foreste, bonificando terreni, prosciugando paludi.» (H.
A. L. Fisher, Storia d’Europa)
I popoli slavi dovettero ritirarsi di fronte a questa massiccia ondata migratoria abbandonando le
terre vicine al fiume Elba e spingendosi sino al fiume Oder. Nel loro territorio s'insediarono
stabilmente nel XIII secolo gli ordini monastici cavallereschi dei Cavalieri Teutonici e dei
Portaspada.
La rivoluzione demografica
L'aspetto più sensazionale di questa espansione dell'Occidente è l'aumento della popolazione che
però non si può calcolare in modo certo per l'assenza di documenti anagrafici ma che risulta
evidente da una serie di prove indirette come ad esempio l'aumento dell'estensione delle terre messe
a coltura. Tra XI e XII secolo ci sono documenti che testimoniano il dissodamento estensivo di terre
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vergini: lo provano le carte contrattuali con cui i feudatari concedono vantaggiose opportunità per
coloro che si insedino e coltivino le terre incolte. Nei catasti si trovano piante a scacchiera o a spina
di pesce dei terreni coltivati. Quando si parla di estensione delle superfici coltivabili si pensa in
genere alle terre strappate alla foresta ma si dimentica che questa era una fonte di sopravvivenza per
i villaggi contadini che in essa trovavano gli animali da cacciare, la legna per scaldarsi, le ghiande
per i loro animali, spesso un ruscello dove pescare e integrare la loro povera dieta: la foresta spesso
è tanto preziosa quanto la terra coltivabile. Dalle foto aeree e dall'esame dei pollini risulta indubbio
che la foresta sia arretrata in quest'epoca, ma è piuttosto il suo margine che viene intaccato: il
sottobosco che offre meno resistenza al diboscamento spesso praticato con il fuoco o con mezzi
primitivi.
Vengono ora messe a coltura anche le terre meno fertili, le terre fredde. Si realizzano veri e propri
dissodamenti collettivi di grandi dimensioni, di cui il più vistoso è quello che si verificò nei Paesi
Bassi dai "contadini delle paludi", gli agricoltori fiamminghi che faranno sorgere dal mare i
"villaggi di diga". Ad esempio il conte di Fiandra Roberto II donerà all'incirca nell'anno 1090
all'abbazia di Bourbourg lo scorre (terra strappata al mare) e tutto quello che i monaci riusciranno a
togliere al mare.
È questa l'epoca in cui con sforzi giganteschi viene bonificata dalle paludi e dagli acquitrini la
pianura padana e in cui i versanti degli Appennini vengono dai signori feudali divisi in lotti e
assegnati a quei contadini che s'impegnino a liberarli dalla vegetazione e a coltivarli.
Secondo recenti calcoli questo fu l'andamento della crescita di una popolazione contraddistinta dalla
brevità di vita e dall'elevata mortalità infantile ma anche dalle numerose nascite e formazioni di
gruppi familiari caratterizzate dalla giovane età: verso il 1050 la popolazione europea è stata stimata
in 46 milioni nel 1100 era di 48 milioni, 50 verso il 1150 e 61 verso il 1200.
Questo imponente aumento della popolazione dell'Occidente cristiano fece crescere di conseguenza
i corpi da nutrire, vestire, alloggiare e le anime da salvare.
Ulteriori aspetti della rivoluzione agricola
Lo sviluppo agricolo già iniziato nell'età carolingia è causa ed effetto della rivoluzione demografica.
L'aumento della produzione di prodotti agricoli è dimostrato non solo dalla quantità delle terre
messe a coltura ma anche dalla qualità delle pratiche agricole che si avvantaggiano di progressi
tecnici. La prima di queste innovazioni tecnologiche fu l'uso dell'aratro pesante a ruote e a versoio,
che permetteva di incidere la terra più a fondo rispetto al più primitivo aratro di legno a chiodo, che
scalfiva appena il terreno.
L’introduzione del collare di spalla, (giogo) chiamato anche collare rigido o collare imbottito, per il
cavallo, e giogo frontale per il bue permetteva ali animali con il collo così libero, di respirare
liberamente e ne veniva sfruttata tutta la forza esercitata dal collare o dal giogo che faceva pressione
sulle spalle. Si è calcolato che la trazione in questo modo aumentasse di quattro, cinque volte.
La ferratura degli zoccoli del cavallo permetteva poi di utilizzare questo animale finora escluso per
l'aratura perché meno potente del bue, conferendogli un'andatura più spedita e sicura. Certo il
cavallo era meno forte del bue, ma più veloce e soprattutto meno costoso, e inoltre, con gli anni, era
stato migliorato per fini bellici. Per cui il suo rendimento alla fine si rivelò superiore del
cinquanta per cento rispetto ai buoi. Il cavallo era più resistente e poteva prolungare la giornata
di lavoro di almeno un paio d'ore, quando ad esempio si doveva profittare in fretta delle condizioni
climatiche favorevoli per l'aratura e la semina. Inoltre si cibava di avena, che veniva coltivata con la
rotazione triennale e svolgeva anche la funzione di arricchimento del suolo. Per i contadini che
avevano il loro campo lontano il cavallo era un comodo mezzo di trasporto che permetteva, inoltre,
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la formazione di popolose borgate rurali al posto dei piccoli e sperduti villaggi, permettendo uno
stile di vita semiurbano con i vantaggi sociali conseguenti.
Nel corso del X secolo si era poi rotto l'equilibrio tra le terre che il signore amministrava
direttamente servendosi delle prestazioni d'opera gratuite dei servi (pars dominica) e quelle affittate
ai coloni, di solito le più difficili da coltivare, (pars massaricia). Ora l'antica suddivisione della
proprietà in pars massaricia e in pars dominica finisce per scomparire. Anche la pars dominica viene
divisa in lotti poiché ormai i contadini riservano il più possibile del loro lavoro ai loro campi e
diminuiscono sempre più i servi obbligati a lavorare per il signore. Finisce l'economia curtense e
con essa il modo di pensare e di sentire «anche se gli usus non hanno perso il loro valore. All'antico
torpido adagiarsi negli schemi della consuetudine orale subentra una smania di mettere per iscritto,
di fissare canoni, di precisare posizioni reciproche. Non è soltanto riscossa di ceti bassi. È una
nuova mentalità che si fa strada, tanto in alto che in basso.» (C. M. Cipolla)
La rivoluzione edilizia
Un ulteriore sfruttamento della forza di traino degli animali si raggiunse con la diffusione del
sistema dell'attacco in fila che abbinato, a partire dalla prima metà del XII secolo, con il carro a
quattro ruote permetteva il trasporto di grandi carichi più stabili e più pesanti rispetto a quando si
usava il carretto a due ruote. Si potevano ora trasportare grandi blocchi di pietra e legnami con cui
costruire le grandi chiese che come diceva un cronista (Rodolfo il Glabro) dell'epoca: «stanno
ricoprendo di un bianco manto la superficie del mondo». Il carro e i buoi li troviamo spesso
celebrati sulle pareti delle cattedrali perché si deve alla loro fatica l'erezione della grande
costruzione. A tutto questo si deve aggiungere il perfezionamento delle macchine edilizie.
Le cattedrali: il posto per risanare le anime ma anche il luogo d'incontro degli abitanti per le loro
assemblee, dove discutere al coperto dei problemi di utilità pubblica. Somme enormi che
impegnano più generazioni successive di signori feudali vengono spese per la costruzione di questi
edifici che si stagliano da lontano con la loro massa bianca emergente dalle piccole case che le
attorniano. Esse diventano un luogo di attrazione e di meraviglia e contemporaneamente un luogo di
commerci profani sempre più intensi e redditizi per il signore e i borghesi che hanno investito i loro
denari nella costruzione della grande chiesa. È all'ombra delle cattedrali, di solito contornate da un
grande spiazzo, che si tengono le fiere dove gli uomini si scambiano merci, notizie ed idee.
Il nuovo spiritualismo emanato dalla riforma cluniacense si esprime anche nel novo stile romanico
delle cattedrali, enormi, forti e massicce come i castelli. Esse sono infatti l'espressione del potere e
della ricchezza della Chiesa, più che ad accogliere i fedeli sono fatte per far capire a tutti la gloria di
Dio. Le cose cambiano nella metà dell'XI secolo quando con la rinascita dell'economia e con la
riforma spirituale di Cluny compare una maggiore libertà nello stile romanico, indizio di un
mutamento che nel permanere di una rappresentazione sacra tende a divenire più popolare
anticipando l'architettura gotica. La verticalità si accentua ed ora il fedele capisce il simbolo della
tensione verso Dio e il senso di distacco dalle cose terrene.
Innovazioni tecniche nell’artigianato
Nell'XI secolo si comincia ad usare una nuova macchina, il telaio a pedale, così importante per lo
sviluppo della unica industria medioevale che per la produzione diffusa di tessuti merita questa
definizione. Non sappiamo nulla di chi adottò per primo questo semplice ritrovato di applicare un
pedale al preesistente telaio a mano riducendo così la fatica dei tessitori e velocizzando la tessitura.
I telai a pedale si diffondono dalle Fiandre all'Impero bizantino. Si verifica poi l'effetto cumulativo
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tipico delle innovazioni tecnologiche: l'accelerazione della tessitura si riflette sulla velocizzazione
della filatura con l'applicazione della ruota a pedale; cominciano così ad essere considerate
figure ancora più umili dei tessitori: le filatrici.
Nello stesso periodo si diffonde un'altra nuova macchina: il mulino ad acqua. Questo era già
conosciuto nel periodo ellenistico ma non era stato sfruttato a fondo. Ora si verificano le condizioni
per suo uso intensivo e conveniente. Il lavoro umano ha perso sempre più importanza e si scopre
che la schiavitù non è più conveniente. Il costo dei servi e degli animali per far girare le macine è
troppo alto e il mugnaio deve poter contare su un approvvigionamento di grano abbondante e
continuo. Ciò avviene nel momento in cui in Occidente gli schiavi diventano servi e gli uomini
liberi o non liberi di un villaggio sono costretti a far macinare il loro grano nel mulino del signore.
L'acqua diventa un'altra grande fonte d'energia per la produzione di beni di massa.
Il mulino ad acqua, mano a mano che nasce l'esigenza di nuovi prodotti, viene esteso alle più
diverse attività manifatturiere. Ce ne si serve nella follatura dei panni e nella triturazione dei
colori delle tintorie e delle concerie, aziona il mantice delle fucine e le seghe nelle segherie.
Il rilancio dell’economia monetaria
La rinnovata disponibilità di un surplus agricolo diede l'avvio alla ripresa delle attività commerciali
e della economia monetaria; le merci ripresero a viaggiare e le antiche città romane, ridotte nei
primi secoli del medioevo a borghi nei quali molto spesso l'unica figura autorevole era quella del
vescovo, ripresero il loro ruolo di centri di produzione e di scambio; lungo le vie commerciali – le
antiche strade romane, le nuove, i corsi d'acqua navigabili – sorsero, inoltre, città di nuova
fondazione. Nelle città si stabilirono gli artigiani e gli altri soggetti l'attività dei quali risultava
funzionale alla ripresa economica, dai fabbri che col loro lavoro permettevano la ferratura dei
cavalli – un'altra delle innovazioni che avevano contribuito al progresso delle tecniche agricole –, ai
mercanti di panni, ai cambiavalute e banchieri. Le aree maggiormente interessate da questo
fenomeno furono l'Italia centro settentrionale, le Fiandre e le coste del mar Baltico.
La rivoluzione commerciale
Sin dalla seconda metà del IX secolo compare una nuova classe quella dei negotiantes, i mercanti,
che insieme a quella degli artigiani, si va ad aggiungere a quelle degli aristocratici feudali, del clero,
dei liberi coloni e dei servi. Con l'aumento della popolazione rinascono a nuova vita le vecchie città
romane, mai del tutto decadute e ne sorgono delle nuove. Sotto le loro mura e dentro si tengono
mercati e tornano a circolare quelle monete che in passato erano tesaurizzate e nascoste.
«Si è visto che già negli ultimi tempi della monarchia longobarda son ricordati nell'editto di Astolfo
(750-754 d.C.) i negotiantes come una classe sociale distinta, divisa in tre gradi, di cui il più alto è
posto alla pari coi medi proprietari di terre..»(G. Luzzatto).
È soprattutto però nell'XI secolo che si ritrovano concessioni per aprire mercati entro le città o sotto
le loro mura. I mercanti trovano le merci da vendere nella produzione artigiana ma non solo.
«Le merci si distinguevano in "grosse" e "sottili" e in base a questa dizione si è ritenuto a lungo che
gli articoli ricchi costituissero il nerbo del commercio internazionale in quanto poco ingombranti
erano facilmente trasportabili a grandi distanze senza notevoli spese, e per il loro alto pregio, anche
se trattati in piccole partite, davano alti guadagni (per esempio perle e pietre preziose, profumi,
spezie per la cucina [...] ) Invece per le vie di terra e quelle marittime circolavano in larga
prevalenza carichi di merci povere o comunque pesanti...» (A. Sapori)
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Generi alimentari come sale, grano, vino, richiesti da paesi che ne erano privi per carestie o guerre o
materiali di cui si aveva urgente bisogno come legname. Nell'età del telaio a pedale naturalmente si
trafficano lana, cotone e tessuti e quell'elemento indispensabile per sgrassare le fibre e fissare il
colore dei panni: l'allume.
Oltre alle già ricordate repubbliche marinare, molto attive risultano poi le città della Pianura padana,
quali Milano, Piacenza e Pavia, particolarmente interessate dalla ripresa dei traffici commerciali; un
importante ruolo avrebbero assunto in seguito anche quelle dell'Italia centrale. Fisicamente lontane
da quell'imperatore all'autorità del quale erano sottoposte, si sarebbero presto date delle istituzioni
in grado di gestire le questioni di interesse comune e di controllare il contado. Le istituzioni
comunali nacquero così per iniziativa dei nuovi ceti urbani.
L’origine del Comune
Il comune si sviluppò gradualmente a partire dall’ XI secolo, via via ottenendo nei diversi paesi il
riconoscimento giuridico-politico di un’autorità superiore (in Francia, per es., dal re, in Italia
dall’imperatore). Molteplici fattori hanno contribuito alla formazione del comune: il permanere di
istituti municipali romani, l’incremento demografico, il sorgere di ‘città nuove’, il frazionamento
del potere feudale, il successivo formarsi di un vincolo associativo e la formazione di organismi
collettivi di tutela degli interessi economici della nascente borghesia. Mentre oltralpe rimase un
fenomeno prevalentemente economico, in Italia il comune raggiunse una sostanziale indipendenza
politica nel 13°-14° secolo. Da questo punto di vista, fu particolare la funzione dei vescovi,
soprattutto nei comuni dell’Italia centro-settentrionale; il complesso dei diritti acquisiti
nell’erosione del sistema feudale o nella conquista di fatto del potere e il crearsi di gruppi di
funzionari e di milites intorno al vescovo costituirono i primi elementi per la caratterizzazione in
senso politico della lotta di queste forze emergenti.
Il fenomeno, in Italia, si fondò nella sua prima fase su una base sociale composta in larga
prevalenza da ceti di proprietari fondiari, feudali e non. Quando questi decisero di mettere in
comune (da cui il nome di ‘Comune’) i diritti di cui già godevano, quelli di cui facilmente si
potevano appropriare e quelli di cui potevano disporre grazie all’alleanza con altri ceti, ci si trovò di
fronte a una concentrazione di potere politico che, alla prova dei fatti, si rivelò irreversibile. Il
prudente contegno delle autorità superiori le spinse a concedere privilegi alle nuove communitates,
che lentamente si identificarono con le comunali. e ne assunsero completamente la gestione politica
e amministrativa.
La riforma religiosa
I nobili feudali rimanevano nel loro animo profondamente superstiziosi e quando sopraggiungeva la
paura della dannazione eterna cercavano di salvarsi la loro anima con le preghiere di monaci a loro
disposizione. «In un mondo sconvolto da disordine veniva di nuovo creata una zona benedettina che
godeva di pena libertà spirituale, questa volta zelantemente protetta sia contro i nobili in perenne
conflitto sia contro i non meno avidi vescovi della vicinanze.» (A. Borst)
Il monastero era un'isola di pace non solo per i suoi signori benefattori ma per chiunque chiedesse
ospitalità e ricovero. Una sorta poi di turismo religioso affluiva nei chiostri dove si veneravano
preziose reliquie dei santi. I monasteri si accrebbero dunque di dimensioni e di numero. Dopo un
secolo più di mille erano i nuovi conventi nati e tutti erano soggetti all'abate di Cluny come se ci
fosse stato un unico convento diretto dall'abate, vero capo di una sorta di Stato cluniacense nato
dalla libertà spirituale e dal potere politico di monaci che spesso erano i consiglieri dei principi.
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Il desiderio di una vita spirituale assolutamente libera si trasferì dai monaci ai laici dando inizio alla
diffusione delle eresie di coloro che non fidandosi delle preghiere di monaci compromessi con il
potere temporale cercavano la salvezza delle loro anime da soli. Con il tipico modo d'essere
medioevale incapace di una moderazione dei sentimenti e delle passioni, con l'abbandono agli
estremi di un comportamento eccessivo e smodato, anche il desiderio di redenzione assunse queste
caratteristiche.
L'impero era andato sempre più perdendo di potere di fronte all'attacco dei grandi vassalli ma ora
gli imperatori di Sassonia decidono che è giunto il momento di rendere effettiva la propria autorità e
prendono a conferire insieme feudi e nomine ecclesiastiche creando così la nuova figura feudale del
vescovo-conte. Si assicurano in questo modo la fedeltà dei nuovi vassalli ed insieme il ritorno nelle
proprie mani delle terre concesse in possesso feudale. La casata di Sassonia e di Franconia presero a
nominare vescovi senza badare alla loro dignità religiosa purché fosse sicura la loro fedeltà e la loro
disponibilità a lasciare il pastorale per la spada. In fondo gli imperatori tedeschi imitavano quei
feudatari che da tempo in Germania, con l'istituzione delle "chiese private", avevano preso a
conferire in donazione o in beneficio le terre destinate alla costruzione di conventi, chiese od
abbazie e a nominare loro stessi, fossero religiosi o laici, gli abati o gli arcivescovi che dovevano
loro garantire in preghiere per la salvezza delle loro anime il buon esito della donazione o della
concessione del feudo.
D’altra parte erano molto diffusi tra il clero la simonia e il concubinato, i mali dell'"età ferrea"
della Chiesa. La protesta dei fedeli per il clero indegno fu così accolta dai riformatori di Cluny,
assecondati dai papi tedeschi, con il sostegno degli stessi imperatori che non si rendevano conto che
una Chiesa così riformata avrebbe rivendicato non solo la sua assoluta autonomia nei confronti
dell'impero ma anzi il primato sull'Impero stesso.
La cosiddetta riforma gregoriana, il cui nome deriva dal suo principale rappresentante e più
strenuo difensore (papa Gregorio VII), fu soltanto una fase di questa più ampia riforma; il termine,
tuttavia, viene spesso utilizzato - con una specie di sineddoche - per designare tutti gli interventi di
questa azione riformatrice dell'XI secolo, voluta e gestita soprattutto dal papato.
I papi riformatori vollero affermare il primato della Santa Sede sui vescovi e sul clero delle diverse
diocesi (e ciò creò spesso tensioni con gli episcopati locali), nonché rivendicare le proprie
prerogative nei confronti delle autorità civili, prima di tutto l'imperatore romano-germanico.
L'iniziativa del papato e il conseguente scontro tra papato e Impero, però, possono essere compresi
soltanto se si tiene conto del fatto che un'opera di riforma ecclesiastica era già stata iniziata da altri
protagonisti, soprattutto dagli imperatori romano-germanici, e solo in un secondo tempo essa venne
imposta al papato, che la assunse in prima persona e a sua volta la impose al resto della cristianità.
La riforma papale vera e propria può essere suddivisa in quattro periodi:




1046-1057: inizi della riforma sotto i papi tedeschi,
1057-1073: intensificarsi della riforma sotto i papi tosco-lorenesi,
1073-1085: azione di papa Gregorio VII ("riforma gregoriana" propriamente detta, con il
conseguente inizio della lotta per le investiture),
1085-1122: attuazione e adattamento della riforma da papa Vittore III a papa Callisto II.
Dopo l'intervento di Enrico III e l'abdicazione di Gregorio VI, i quattro papi che si succedettero dal
1046 furono di nazionalità tedesca e scelti direttamente da lui. I nomi che questi papi assunsero
quando salivano al soglio pontificio furono particolarmente inconsueti, in quanto presero il nome
dei primi papi, a cui Enrico III stesso si rifaceva, come segno del recupero della realtà ecclesiale
primitiva. Clemente II, Damaso II, Vittore II, anche se non riuscirono ad arrivare ad un'azione
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concreta di riforma (dato che morirono in fretta), vollero ritornare alla purezza primitiva.
Un'attuazione concreta si ebbe con Brunone di Tull, ex consigliere di Enrico III, uomo molto dotato
che diventò papa con il nome di Leone IX, regnando per cinque anni. Egli, pur essendo stato
designato dall'Imperatore, sottopose la sua nomina all'accettazione del popolo e del clero romano.
Leone IX (papa dal 1049 al 1054) volle attuare una riforma di tipo morale e non ancora
istituzionale. Il suo principale obiettivo fu la lotta contro il concubinaggio e la simonia. Questo papa
si rese conto della difficoltà di questa impresa. Sapendo che la legge era violata da buona parte del
basso clero, difficilmente raggiungibile dalla riforma, decise di limitare la riforma alla sola città di
Roma e dintorni, come esempio per altre città. Egli proibì ogni relazione di laici con i presbiteri
incontinenti, ospitando tutte le concubine in Laterano sotto il suo controllo. Lottò poi contro la
simonia che intaccava preti e vescovi italiani e francesi. Essi sperimentarono la serietà dei decreti di
papa Leone emanati nei diversi sinodi (Reims, Magonza, ecc.), in conseguenza dei quali, di fronte
l'accusa, il vescovo veniva subito deposto. Secondo la mentalità del tempo, la simonia era l'eresia
più grave, quella che non permetteva allo Spirito Santo di agire liberamente: il vescovo non veniva
legittimamente consacrato e, a sua volta, non trasmetteva l'ordine all'ordinato. Questi metodi
drastici tentavano, allora, di salvare la sostanza della fede e della vita sacramentale, ma per questo
furono anche fortemente osteggiati. Nacque, così, anche il problema della differenza tra illiceità e
invalidità, pur nella non ancora chiara interpretazione, in quanto prevaleva ancora la visione del
papa che riteneva l'ordinazione invalida.
Con Niccolò II (1059-1061) si delineò una nuova fase della riforma della struttura ecclesiastica: egli
diede vita, infatti, ad una riforma non soltanto morale, ma anche istituzionale, seguendo il consiglio
di Umberto di Silvacandida, secondo il quale non sarebbe mai stato possibile riformare la Chiesa
finché l'investitura del potere episcopale non fosse stato portato esclusivamente in mano del papa.
Niccolò II, quindi, non colpì soltanto gli abusi della simonia e il matrimonio dei preti, ma identificò
le cause, le radici, di questi abusi proprio nella concessione da parte dei laici dell'investitura delle
maggiori cariche ecclesiastiche. Egli, perciò, rivendicava la "libertà della Chiesa" e il diritto
esclusivo di conferire le cariche, liberandosi del consuetudinario potere giuridico dei laici:
cominciava così a delinearsi la cosiddetta lotta per le investiture.
Nel settembre del 1059 Niccolò II indisse un sinodo romano in cui sottoscrisse un decreto, che,
convalidando la sua stessa elezione alla sede romana, imponeva la procedura da seguire per
l'elezione dei suoi successori. Questa elezione sarebbe stata divisa in tre fasi successive:
1. i cardinali vescovi (termine che per la prima volta compare), consultati tra di loro sul
candidato da eleggere, decidevano per un nome (l'elezione passava così in mano ai più
diretti collaboratori del papa defunto);
2. dopo aver scelto un nome, i cardinali vescovi comunicano la loro decisione ai cardinali
presbiteri e ai cardinali diaconi, e, dopo aver raggiunto con loro un accordo, presentano il
candidato al clero e al popolo romano;
3. presentato il candidato al clero e al popolo romano, esso deve dare la sua approvazione per
acclamazione.
Si scindeva così l'elezione del papa da ogni legame (che non fosse soltanto formale, come
l'applauso di conferma) con il popolo romano e con l'imperatore stesso. In poco più di un decennio,
dunque, cambiava radicalmente il sistema di elezione del papa
Papa Alessandro II (1057-1073) intervenne per la successione del re d'Inghilterra, alla morte di
Edoardo il Confessore. La Sede romana, tra i due contendenti, Aroldo e Guglielmo di Normandia,
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Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al
Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in
parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. X Lezione: la rinascita del
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(Guglielmo il Conquistatore) appoggiò quest'ultimo che, con la benevolenza del papa, vinse Aroldo
nella battaglia di Hastings del 1066. Da questo punto in poi la Chiesa inglese risultava intimamente
legata al papato.
Anche nei diversi regni della Penisola Iberica l'influsso della riforma si fece sentire molto presto. Il
re Sancio di Aragona infatti, nel 1068 affidò il proprio Paese al papa, sostituendo la liturgia ispanica
con il rito romano. In questo modo si riaprivano le relazioni tra il papato e le Chiese della Penisola,
rimaste abbastanza isolate dopo la caduta del regno visigoto. Proprio in questo periodo, anche su
impulso dei papi oltre che dei diversi monarchi di Castiglia, Aragona e Portogallo, nasceva
quell'ideale di reconquista dei territori in cui i musulmani si erano insediati. Questo fervore
generale in campo militare, economico, sociale e anche religioso, portò a grandi cambiamenti nella
società ispanica del tempo.
Gregòrio VII papa, santo. (Sovana (GR) 1013, circa- Salerno1085)
Di nome Ildebrando, figlio di Bonizone, fu avviato alla vita ecclesiastica dallo zio, abate in Roma.
Caro a Giovanni Graziano, ne fu cappellano quando questi divenne pontefice (Gregorio VI), e lo
seguì in esilio dopo la sua deposizione. Dopo la morte di lui, Ildebrando compare ben presto,
influente e ascoltato, al fianco di Leone IX, che lo nominò preposito (1050) al monastero di S.
Paolo a Roma, arcidiacono e amministratore della Chiesa, incaricandolo (1054) di risolvere la
difficile situazione creatasi in Francia per i contrasti intorno a Berengario di Tours e alla sua
dottrina eucaristica. Morto Leone IX, Ildebrando continuò ad avere una certa importanza anche
sotto i pontefici Vittore II, Stefano X, Niccolò II; tale importanza crebbe molto sotto il successore di
Niccolò II, Alessandro II, ch'egli spinse a un'attività sempre più intensa diretta alla riforma della
Chiesa e alla liberazione della Chiesa stessa da ogni soggezione al potere laico. Alla morte di
Alessandro II (1073), la voce unanime del popolo designò pontefice Ildebrando che prese il nome di
Gregorio VII. Egli iniziò subito il suo programma di riforma della Chiesa, con piena
consapevolezza della dignità pontificale. Questi sentimenti ebbero la loro espressione nelle formule
energiche e precise del Dictatus papae (quasi certamente l'indice di una collezione canonistica)
composto tra il 1075 e il 1076 e costituito di 27 tesi; in esso si afferma la superiorità del papato su
ogni autorità terrena e la sua indipendenza completa da ogni potere, si sostiene l'autorità diretta del
papa sui vescovi, al di là di quella dei metropoliti, e la sua prerogativa di giudicare e condannare,
senza poter mai esser sottoposto a giudizio, e perfino di deporre l'imperatore. Su queste basi
Gregorio iniziò la sua attività sforzandosi di far giungere in tutta la cristianità la sua voce e le sue
esigenze per mezzo dei suoi numerosi legati: in particolare in Italia egli riuscì a ottenere e
conservare l'amicizia della contessa Beatrice di Toscana e di sua figlia Matilde; più difficili invece i
rapporti con i Normanni, assai ostili, specialmente nei primi anni del pontificato. Convocò un
concilio a Roma (1074), che riprese e continuò la lotta contro il clero simoniaco e concubinario,
emanando disposizioni che suscitarono vivi contrasti in Germania (malgrado l'iniziale buona
volontà di Enrico IV), in Francia e in Inghilterra. Un altro concilio (1075) ribadì le decisioni prese
l'anno precedente, punì i riottosi e i ribelli, e sancì infine, con una decisione assai grave, la
proibizione dell'investitura laica. Questa decisione, invisa a ogni sovrano laico, fu addirittura un
motivo di conflitto in Germania, ove Enrico IV non voleva più limitazioni al suo potere sovrano.
Tale contrasto, prima di idee e di concezioni, divenne poi lotta aperta: da un lato l'imperatore e i
suoi seguaci dichiaravano che "un re non può essere deposto", dall'altro Gregorio VII nella sua
famosa lettera a Ermanno di Metz (e una seconda sullo stesso argomento gli indirizzò anni dopo,
nel 1081) ribadiva che il pontefice ha il diritto d'ammonire, punire e deporre i sovrani colpevoli
verso la Chiesa. Alla fine, sospendendo ogni discussione, Enrico IV, riunita una dieta a Worms,
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deponeva il pontefice, che a sua volta scomunicava Enrico IV e scioglieva i sudditi dal giuramento
di obbedienza. Tale deposizione coincise con un momento assai difficile per la situazione interna
tedesca, anche perché molti feudatari laici ed ecclesiastici, ostili a Enrico IV, ne profittarono a
proprio vantaggio. L'imperatore però, con abile decisione, si presentò (1077) in veste di penitente a
Canossa, castello della contessa Matilde di Toscana, dove allora si trovava Gregorio, e ottenne
l'assoluzione dal pontefice, mentre la piena reintegrazione nei suoi poteri era condizionata al
consenso dei grandi dell'Impero. Poiché costoro si opposero con le armi, Enrico IV li batté più
volte, né desistette dalla lotta quando fu colpito di nuovo dalla scomunica lanciatagli da Gregorio e
da un concilio a Roma (1080). Enrico allora piombò in Italia, ove trovò alleati anche fra gli
ecclesiastici, si spinse fino a Roma, ponendovi un antipapa (Clemente III) e costringendo Gregorio
a tenersi chiuso in Castel S. Angelo. Tale azione da parte di Enrico IV determinò, grazie anche
all'amicizia di Matilde, l'alleanza di Gregorio con Roberto il Guiscardo: questi, di fronte
all'accresciuta potenza imperiale, reputò necessaria l'alleanza col papa, dal quale vide finalmente
riconosciuta e accettata la sua politica antibizantina, [svolta di Melfi 1054, quando Roberto riceve il
titolo di duca dal papa Nicolò II, già ricordata altrove] concretatasi nella spedizione contro
l'Albania. E proprio da milizie normanne (36.000 uomini giunsero a Roma e cacciarono gli
imperiali) Gregorio fu liberato (1084) a Roma, quando Enrico IV e l'antipapa riapparvero
minacciosi; Gregorio credé bene lasciare la città ai Normanni che la saccheggiarono per 3 giorni e si
ritirarono poi insieme con il pontefice a Salerno. Quivi Gregorio morì. La tradizione gli pose sulle
labbra le parole: "Ho amato la giustizia, ho odiato l'iniquità, perciò muoio in esilio", adattamento di
un versetto dei Salmi (45, 8). Fu sepolto nella chiesa di S. Matteo a Salerno.
Gregorio ebbe rapporti più pacifici col potere politico degli altri stati europei, a cui estese i principî
che indirizzavano la sua azione nei rapporti con l'Impero. Dappertutto egli chiese e ottenne, più o
meno facilmente, la "libertas ecclesiae"; in alcuni stati, come il regno d'Ungheria, i ducati di Polonia
e di Boemia, il regno di Kiev, egli ottenne il riconoscimento dell'alta sovranità pontificia, sia per gli
appoggi morali e materiali dati alla formazione di quegli stati, sia perché ai vari sovrani poteva
apparire più utile appoggiarsi al papato per sottrarsi alla pesante tutela imperiale. Gregorio si servì
di questa sovranità sia per difendere i diritti della Chiesa, sia per la diffusione della fede in quelle
regioni di recente evangelizzazione. Proprio in questa lotta la "libertas ecclesiae" finiva per
trasformarsi sempre più in primato del mondo ecclesiastico su quello laico, iniziando così la
concezione teocratica del papato, di cui Gregorio è, a ragione, considerato il primo grande
esponente. Fu proclamato santo nel 1606. Il suo culto fu spesso ostacolato nel corso del Settecento
dai sovrani che ispiravano la propria azione all'assolutismo illuminato.
Lo scisma d’oriente (1054)
A Bisanzio cresceva la consapevolezza e le convinzione che Roma andava degenerandosi a causa
dell'alleanza con i Normanni e con l'Impero Tedesco, mentre Bisanzio, nuova Roma, si fece
depositaria delle vere e autentiche tradizioni ecclesiastiche, della vita e della fede religiosa,
conservatesi intatte.
Nella rottura dei rapporti tra Chiesa e Normanni (1053), nacque l'idea di realizzare un esercito
formato dall'unione militare tra tedeschi e bizantini in funzione anti - normanna. Questo esercito fu
guidato da Argiro, figlio di Meles, che nel 1009, con la protezione tedesca e papale, aveva
combattuto contro l'esercito bizantino.
A Bisanzio Michele Cerulario non era disponibile ad aiutare Argiro in funzione anti – normanna,
per l'odio personale che aveva nei suoi confronti, ricordando le vicende del padre. Per questo
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cominciò a guidare una campagna anti – latina di dimensioni molto più grandi di quella portata
avanti da Fozio nell'863-869.
Nonostante questo, Argiro portò avanti la sua campagna, sostenuto dall'Imperatore bizantino.
Michele Cerulario non si arrese e cominciò una campagna di diffamazione contro Roma: rimise
all'ordine del giorno il problema del Filioque, del rito ecclesiastico, del celibato del clero, dell'uso
del pane azimo, del digiuno del sabato. Inoltre, fece chiudere le Chiese latine in Oriente e compì
diversi atti vandalici anche contro le particole consacrate. Il portavoce e il braccio del patriarca
Michele era Leone di Okrid, il quale scrisse una lettera al vescovo di Trani (in realtà il vero
destinatario era il papa), nella quale obbligava Roma ad adeguarsi a Bisanzio e ai suoi riti,
ripudiando i riti occidentali contrari a quelli greci. Questa lettera fu trasmessa nelle mani del
tempestoso e sanguigno Umberto di Silvacandida, consigliere del papa, che rispose a tono,
accusando la Chiesa orientale di ben 90 eresie.
Mentre papa Leone IX era prigioniero dei Normanni e Costantino IX era consapevole della
necessità dell'alleanza; la curia romana, allora, per ristabilire la pace con Bisanzio, mandò una
delegazione all'Imperatore.
Umberto di Silvacandida e Federico di Lorena furono accolti con onore dall'Imperatore ma con
indifferenza dal patriarca Michele.
A questo atteggiamento, Umberto da Silvacandida rispose traducendo in greco le sue accuse di
eresia, che suscitarono una violenta reazione da parte del patriarca Michele.
Il dialogo si ruppe e la delegazione di pace si risolse in un nulla di fatto.
Umberto da Silvacandida il 16 luglio 1054 pose sull'altare di Santa Sofia una bolla di scomunica
contro Michele Cerulario e i suoi collaboratori, designandoli come simoniaci, eretici, nicolaitici…
Il 24 di quello stesso mese, Michele convocò un Concilio ed emanò, in risposta, una scomunica ai
legati del papa e ai loro sostenitori. Lo scisma era ormai consumato!
L'espansione della "fede": le crociate
Il concetto di guerra santa, in antitesi al primitivo pacifismo cristiano, trovò espressione nel
pensiero della Chiesa già nel 9° sec. con papa Giovanni VIII che proclamò la santità della lotta che
in Italia meridionale si combatteva contro i Saraceni, e si precisò nel suo significato etico-religioso
con le secolari guerre di liberazione delle popolazioni iberiche contro la dominazione araba. La
riscossa della cristianità contro l’espansionismo turco (Turchi selgiuchidi) arabo avvenne alla fine
dell’11° sec. e fu prova della forza politica e morale della Chiesa e del rigoglio economico e
demografico occidentale, dopo secoli di decadenza e stasi. Nel concilio di Clermont-Ferrand (1095)
papa Urbano II stabilì le finalità religiose e i termini politico-organizzativi della crociata: i principi
dovevano combattere i nemici della fede, riscattare il Santo Sepolcro e liberare la cristianità
d’Oriente dagli oppressori; a essi la Chiesa, che si assumeva la responsabilità morale e diplomatica
dell’impresa, garantiva la remissione di ogni penitenza e la protezione dei beni e delle famiglie. Al
di là di queste finalità alte, le crociate ebbero però anche il carattere di guerre di conquista, ispirate
da nobiltà feudali in cerca di possessi e rendite.
Prima crociata Una prima impresa, con a capo Pietro l’Eremita e il cavaliere Gualtieri Senza Averi,
fu iniziata nel 1096 in Francia e in Germania da masse disorganizzate di gente umile. Attraversato il
Bosforo, dopo massacri di Ebrei, saccheggi e devastazioni, i crociati furono annientati dai Turchi a
Nicea. La seconda spedizione, cui partecipò l’alta feudalità francese, fiammingo-renana e italonormanna, si radunò a Costantinopoli. Occupata Nicea (1097), i crociati vinsero la battaglia di
Dorileo, espugnarono Antiochia di Siria (1098) e conquistarono Gerusalemme (1099). La vittoria di
Ascalona sull’esercito egiziano dei Fatimidi assicurò ai cristiani i luoghi santi. Siria e Palestina
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furono sottoposte a un’organizzazione feudale alle dipendenze del regno di Gerusalemme. Le galee
pisane ottennero privilegi commerciali, la flotta veneziana prese Haifa, Sidone (1110) e Tiro (1124)
e quella genovese espugnò Beirut e Tripoli di Siria (1109). Essenziali per la difesa militare del
regno di Gerusalemme, i mercanti italiani imposero il monopolio dei commerci con il Medio
Oriente fino alla metà del 13° secolo.
Seconda crociata. Nel 1144 l’emiro di Mossul s’impadronì di Edessa, minacciando l’invasione della
Palestina; il re di Gerusalemme, non potendolo fronteggiare da solo, invocò l’aiuto dell’Europa
cristiana. incitata dalla predicazione di Bernardo di Chiaravalle, la crociata fu bandita
nell’assemblea di Vézelay (1146) da Luigi VII, re di Francia, e nella successiva dieta di Spira
dall’imperatore Corrado III. Giunti separatamente in Palestina, osteggiati dall’imperatore bizantino
Manuele I e decimati da epidemie e attacchi turchi, gli eserciti dei due sovrani rinunciarono alla
riconquista di Edessa e all’occupazione di Damasco.
Terza crociata. Saladino, dichiarata la guerra santa ai cristiani, distrusse l’esercito crociato a Ḥittīn
(1187) e occupò Gerusalemme e quasi tutto il regno. Una nuova crociata fu allora bandita da papa
Gregorio VIII (1087, papa dal 25 ottobre al 17 dicembre): vi aderirono l’imperatore Federico
Barbarossa, il re di Francia Filippo II Augusto e il re d’Inghilterra Enrico II (e alla sua morte,
Riccardo Cuor di Leone). L’esercito imperiale, giunto in Anatolia, tolse Konya ai Turchi (1190) ma
si dissolse alla morte dell’imperatore. La spedizione di Filippo Augusto e Riccardo Cuor di Leone
raggiunse la Palestina solo nel 1191: i crociati conquistarono San Giovanni d’Acri ma le discordie
franco-inglesi impedirono la riconquista di Gerusalemme.
Quarta crociata Innocenzo III riprese il progetto della c. imponendo tributi ai laici e al clero, ma la
mancanza di denaro sufficiente sottrasse l’impresa alla direzione politico-spirituale della Chiesa.
Nel 1203 i crociati entrarono a Costantinopoli, ma i rapporti con i Greci si inasprirono e, scoppiata
una rivoluzione popolare (1204), Veneziani e crociati, pattuendo la divisione del bottino,
saccheggiarono Costantinopoli invece di togliere ai Turchi i luoghi santi. L’Impero bizantino fu
abbattuto e nacque l’Impero latino d’Oriente, frutto in particolar modo degli interessi commerciali
veneziani.
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