Le vittime da incidenti stradali sono di straordinaria lievità
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Le vittime da incidenti stradali sono di straordinaria lievità
INCIDENTI STRADALI: VITTIME E SOPRAVVISSUTI Le vittime da incidenti stradali quasi sempre non suscitano nell’opinione pubblica, nell’immaginario collettivo, lo stesso impatto emotivo delle vittime di altre forme di illegalità. Eppure nessun’altra forma di “illegalità” produce tante vittime quanto quelle causate dagli incidenti stradali. Il dolore estremo delle persone che perdono un congiunto, o che restano invalide a vita, resta spesso fatto privato. Massimo Cirri e Filippo Solibello, nella prefazione al libro di Elena Valdini “Strage continua – la verità, vi prego, sulle vittime della strada”, affermano che morire di traffico è assimilabile alla morte naturale, forse proprio perchè l’auto è percepita come natura, parte integrante del nostro scenario di vita, del paesaggio antropologico. Con l’automobile si può fare tutto. Anche ridurre la possibilità di vita propria o di qualcun altro che si trova sulla traiettoria dell’incidente. Le vittime della strada sono ancor più “invisibili” rispetto alle altre vittime. In Italia nel 2007 ci sono stati 5.131 morti e 325.850 feriti. Tra i conducenti morti a seguito di incidente stradale i più colpiti sono i giovani. La fascia di età che presenta il valore massimo è quella tra 25 e 29 anni (432 morti in valore assoluto) mentre nei conducenti feriti la frequenza più elevata si colloca in corrispondenza della fascia di età tra 30 e 34 anni (29.882). Per quanto riguarda i passeggeri morti la frequenza più elevata è quella relativa alla fascia di età 18-20 anni; i passeggeri feriti in incidente stradale presentano il valore massimo in corrispondenza della fascia di età 21-24 anni. Il pedone è certamente il soggetto più debole fra le persone coinvolte: il rischio di investimento, tuttavia, è maggiore 1 per i ragazzi di 14-15 anni: ne risultano coinvolti 542, cioè in media 271 per ciascun anno di età. Nel complesso, la fascia più colpita dalle conseguenze degli incidenti stradali è quella tra i 25 e i 29 anni, con 554 morti e 38.521 feriti in valore assoluto. F.G Sono già queste le “vittime primarie”, sia che periscano o che rimangano invalide. A queste vanno aggiunti i parenti, genitori, coniugi, figli, fratelli e sorelle, e gli amici. Queste tragedie non solo hanno privato una persona del diritto alla vita, ma l’evento si ripercuote pesantemente su tutti i componenti della famiglia. Il testo della Valdini raccoglie alcune testimonianze di genitori e parenti: “Il vero calvario inizia dopo due o tre mesi dalla scomparsa perchè sino ad allora l’inconscio respinge le parole <<distacco totale>>. Noi, familiari di vittime, abbiamo una doppia immagine: quella esterna, che ci sforziamo di presentare sempre bella e quella interna, che non conosce più né pace né tranquillità”. F.G Nel gennaio 1985 un bambino, Luigi, figlio di agricoltori, era morto investito da una macchina. I suoi genitori si erano costituiti parte civile. La Corte d’Appello del tribunale di Bologna nel 1996 aveva negato alla coppia di agricoltori di Reggio Emilia il risarcimento. La Mamma di V. non sapeva ancora che cosa significasse perdere un figlio. Poteva immaginare solo che fosse la peggior disgrazia che può investire un genitore. La mamma di V. è una cittadina attenta. Ha letto di molti “fiori” sulla strada (è un modo di dire: i fiori segnalano laddove è avvenuto un incidente mortale), e ha sempre sperato che quella cronaca non entrasse in casa sua. Ma la notizia letta nell’agosto 1996 l’aveva colpita, non per la tragedia dei genitori, ma per la motivazione della sentenza: “Si può ragionevolmente presumere in base a ciò che avviene solitamente 2 in casi analoghi, che il dodicenne, cessati gli studi, sarebbe stato impiegato nell’azienda agricola dei genitori, i quali avrebbero indubbiamente tratto vantaggio dall’inserimento in detta azienda. Tale vantaggio (...) sarebbe tutt’al più servito a compensare gli oneri economici sostenuti ad allevare ed educare il figlio dai dodici anni in poi”.Inorridì tutta l’Italia infatti “se una giurisprudenza consolidata su basi presunte stabilisce che un figlio di contadini debba fare il contadino, quella giurisprudenza è da buttare”, scrisse Indro Montanelli nella sua “Stanza” su “Il Corriere della Sera”. Successivamente, con la sentenza 372 della Corte Costituzionale dell’ottobre del 1994 si è stabilito che se il danno morale transeunte si è trasformato in permanente, generando un danno psicofisico, allora il danno è biologico e va risarcito in un modo diverso. Per la prima volta in Italia si parla di danno da lutto. È un primo atto concreto di presa in carico delle vittime. F.G Eppure anche le vittime della strada ricadono all’interno di quanto afferma Gabriele Romagnoli su La Repubblica dell’8 febbraio 2008, in un articolo dal titolo “Criminali Show: quando l’Assassino diventa Star” a proposito dei talk show dedicati a fatti di sangue “come quello del reality raccoglie le confessioni dei protagonisti, li aizza con l’aiuto di sapienti seminatori di zizzania, crea, spezza e ricuce alleanze. Ha per la verità dei fatti un disinteresse morboso, quello a cui vuole arrivare è il dibattito, non importa su che cosa. Si sforza di trovare espressioni serie e parole gravi, sottolineate da colonne sonore adeguate alla circostanza.” “La prima esclusione tocca, inevitabilmente, alla vittima. Non è ironia, è una constatazione. La vittima è il personaggio che interessa di meno. Non importa che dovrebbe essere oggetto di analisi perché, più di ogni altro, può spiegare il delitto e risolvere il giallo. Né che dovrebbe essere oggetto di compassione. Non fa (più) spettacolo. Giace nell’ombra, sconosciuta da morta come lo era da viva. Le vittime non sappiamo guardarle.” 3 F.G D’altra parte le vittime della strada rientrano nei criteri della vittimizzazione. Purtroppo è altrettanto vero come è emerso anche durante i lavori di un seminario svoltosi ad Hannover nell’ambito di un Progetto Europeo sul tema dell’attenzione alle vittime del crimine, che talvolta le vittime stesse, oltre ad aver subito un reato – “vittimizzazione primaria” - che le rende vulnerabili in conseguenza a forme di violenza subita, possono andare incontro all’esperienza della cosiddetta “vittimizzazione secondaria” dovuta alla scarsa sensibilità o scarsa attenzione ai processi emotivi della vittima stessa da parte di chi, come gli operatori delle Forze di Polizia o la Magistratura, interviene in momenti così delicati. Inoltre, si può verificare anche la possibilità di una forma di “vittimizzazione terziaria”, data dalla possibile insorgenza di sintomi conseguenti allo stabilizzarsi delle emozioni negative, quali la paura. Sintomi che possono evolvere addirittura in sindromi depressive o fobiche di tale intensità da impedire il recupero di uno stato di benessere e rendere la vittima preda di vissuti di disagio e sofferenza molto intensi e persino duraturi nel tempo (es. non guidano più, non riescono più ad usare l’auto anche se guidata da altri; ciò limita la loro autonomia, deteriorando la qualità della vita). F.G Le vittime o i parenti delle stesse reclamano riconoscimento. Una forma estremamente efficace per rappresentarle è stata la nascita delle associazioni delle vittime, dando voce a chi è rimasto. La società civile si è organizzata anche per supplire ad alcune assenze istituzionali. Sul piano della comunicazione, l’associazione delle vittime ricopre un ruolo particolare. Il dramma individuale diventa una causa collettiva. 4 La funzione dell’associazione va al di là degli scopi descritti negli statuti. La loro capacità, la loro forza consiste nell’aver fatto passare lo stato di vittima “dall’ignoranza ad una forma di riconoscimento”. È cosa nota infatti che l’assenza di riconoscimento può provocare ferite altrettanto profonde del trauma stesso. L’attività, la capacità di agire dell’associazione attraverso i mass media risponde proprio all’esigenza di quel riconoscimento di attenzione almeno come riparazione ”mediatica” attraverso l’attivazione di quella che Hannah Arendt chiama la “politica della pietà”. Per Hannah Arendt, la compassione è qualcosa che ha a che fare con la persona singola, la pietà, invece, con il gruppo: «La compassione, per sua stessa natura, non può essere suscitata dalle sofferenze di un’intera classe o di un intero popolo, per non dir poi di tutta l’umanità. Non può estendersi al di là delle sofferenze di una singola persona e restare ugualmente ciò che si presume che sia, un patire insieme» (“Sulla rivoluzione”, Einaudi, Torino 2006). In alcune occasioni però la stessa vittima cede al “fascino mediatico” esponendo la propria vita privata nel corso di trasmissioni televisive. Questo risponde all’esigenza di rendere pubblico e visibile il dramma, di trovare appoggio in chi ascolta, di prevenire esiti dolorosi che potrebbero toccare altri soggetti. D’altra parte “Lo spettatore a volte si identifica con la vittima forse attratto dal fatto che la morte dell’altro rinvia alla morte di sé”. Essere testimoni di ciò che può accadere costituisce un modo per controllare ed esorcizzare la possibilità che accada a noi stessi. Questi meccanismi sono utilizzati anche per spiegare l’attenzione morbosa che a volte viene dedicata alle scene drammatiche (tutti rallentano per osservare gli esiti di un incidente ... ) 5 Ma spesso l’attenzione per la ricostruzione di fatti di cronaca nera nasce anche dal desiderio di vedere dei veri morti, delle vere disgrazie, delle vere vittime con i quali identificare che non stanno recitando una parte, come scrivono Caroline Eliacheff e Daniel Soulez Larivière sul “tempo delle vittime” e che questa attrazione ha un carattere ipnotico e può avere effetti morbosi. Quali sono le emozioni, i sentimenti coinvolti in questi meccanismi? Oggi i media, le ricerche, parlano e usano espressioni quali “paura” e “spavento”: sono i “modi di sentire” degli ultimi anni, tanto da condizionare le abitudini di molte persone. La ricerca e la letteratura ci raccontano della paura, della sua percezione sul tema della criminalità, in particolar modo quella predatoria. Si ha paura di tutto (crisi economica, degrado, immigrati, mercati illegali) ma si ha paura anche della strada, non degli incidenti. Nella rappresentazione collettiva del sentimento della paura sono entrati ultimamente anche gli incidenti stradali. Dalla ricerca Demos per Fondazione Unipolis di Ilvo Diamanti “La sicurezza in Italia: significati, immagine e realtà”, nel capitolo dedicato alla sicurezza sulla strada, emergono dati interessanti. L’autore dichiara che dai dati raccolti, tuttavia, emerge una percezione dell’opinione pubblica piuttosto contraddittoria. A sentirsi molto o abbastanza sicuro in auto è circa il 64% degli intervistati, ma il timore di essere vittima di un incidente stradale preoccupa frequentemente un rispondente su tre. Sul piano psicologico il fatto che ci si sente più sicuri quando si è alla guida si potrebbe spiegare facendo ricorso al tema del controllo. Nel momento in cui si guida personalmente il veicolo si ha l’impressione del “controllo” della situazione. Se a guidare è un’altra persona, la situazione cambia così come in altri comportamenti sulla 6 strada, in questi casi oltre il 30% dichiara di avere paura di essere coinvolto in incidenti. F.G I più grandi dolori sono quelli di cui noi stessi siamo la causa, scrive Sofocle nell’Edipo Re. F.G Solo da qualche anno a questa parte in Italia si va affermando una cultura dell’attenzione verso gli scontri stradali che prima mancava. Ed era mancata ad ogni livello: da quello legislativo, a quello di sensibilità sociale e di conseguenza anche a livello di sentenze. “Per anni si è andati avanti con sentenze, tutto sommato, miti”. Per i familiari delle vittime emerge il bisogno di conoscere la certezza della pena, perchè in assenza della pena per il responsabile o per i responsabili non c’è riconciliazione. I familiari delle vittime chiedono pena e rieducazione; ma si sentono abbandonati da una giustizia che dovrebbe essere sempre costruttiva, ma talvolta non viene percepita così. “Chiaro, la repressione non basta, ma una sentenza giusta e severa potrebbe contenere il dolore di chi ha subito il torto e dare l’impressione (o la certezza) a questa persona di far parte di una comunità sociale in cui le regole vigono e, se non vengono rispettato, si paga una sanzione.” Recentemente un giovane che, ubriaco, aveva investito una coppia di fidanzati, uccidendoli, è stato condannato per la prima volta per omicidio volontario. Il giudice ha ritenuto che il giovane, in ragione dello stato di alterazione e per la velocità che teneva, nonché per le ripetute violazioni al Codice della strada, aveva ben chiaro la possibilità di provocare un gravissimo incidente, addirittura mortale. Nella ricerca del sociologo Diamanti si racconta anche di un favore quasi plebiscitario all’inasprimento della pena, per esempio, per quanti guidano in stato di ebbrezza avendo superato il limite previsto dalla legge: il 92%, infatti, si dichiara a favore di questo provvedimento con una sostanziale trasversalità rispetto all’età dei rispondenti. 7 “Anche l’inasprimento delle pene per quanti guidano usando il cellulare senza l’auricolare imposto dalla legge riscuote un larghissimo consenso: oltre otto intervistati su dieci si dichiarano a favore, e una percentuale analoga ritiene positiva la diffusione di controlli sulle strade per limitare la velocità di circolazione. Impedire ai giovani di guidare auto di grossa cilindrata, invece viene visto con favore dal 79% dei rispondenti.” L’informazione sui bisogni delle vittime e la rappresentazione che viene data attraverso la comunicazione sono fondamentali nell’ottica di una sempre maggiore attenzione all’approccio delle stesse da parte delle forze dell’ordine; questo sia nel momento in cui la vittima viene “incontrata” la prima volta, sia nei momenti successivi, sia nei confronti di chi – parenti ed amici – mostra attenzione alla vittima. F.G Everly e Mitchell definivano l’espressione “evento critico di servizio” un evento professionale che ha la potenzialità per sopraffare le usuali strategie di fronteggiamento messe in atto dall’operatore a da cui deve distrarsi a deterioramento del normale funzionamento psicologico. Recentemente le istituzioni degli altri paesi hanno incominciato a interessarsi dei bisogni psico-sociali dei familiari delle vittime dopo un incidente o un disastro. Per esempio nel 1996 è stato approvato negli Stati Uniti l’Aviation disaster family assistance act, ovvero le linee guida sull’assistenza da offrire ai familiari delle vittime in caso di incidente aereo. Nelle linee guida europee relative all’intervento psico-sociale in caso di disastro si prevede la realizzazione di un punto di accoglienza, informazione e sostegno per familiari ed amici delle persone decedute o scomparse indicato con l’acronimo RISC che sta per Reception, Information and Support center (Seynaeve 2001); qui le persone possono trovare informazioni, ricongiungersi alla rete sociale, ottenere un’assistenza pratica, manifestare il dolore, condividere i propri vissuti e ricevere interventi di primo soccorso psicologico. F.G 8 Anche nell’ottica della decisione quadro d’Europa le forze dell’ordine dovrebbero essere preparate nella maniera più opportuna e completa, soprattutto in vista dell’evitamento della vittimizzazione secondaria e del peggioramento di uno stato già grave in cui la vittima si trova. Sotto questi profili, in Italia, la Polizia di Stato ha realizzato significative esperienze. In letteratura di parla di bad news per indicare le notizie che alterano in modo negativo le aspettative sul futuro oppure che comportano un deficit cognitivo, comportamentale ed emotivo nei destinatari. Sebbene sia chiaro che solo il destinatario può definire quanto una notizia è “cattiva”, in psicologia dell’emergenza una bad news può essere concepita come una notizia che ha per argomento la morte, lesioni o altre minacce all’integrità psicofisica per sé o per un altro significativo. Una cattiva notizia coinvolge emotivamente non solo chi la riceve ma anche chi la comunica. Per rispondere a queste esigenze presso il Centro Addestramento della Polizia di Stato di Cesena si sono tenuti corsi - organizzati in collaborazione con la facoltà di Medicina dell’Università di Bologna – rivolti agli operatori della Polizia stradale coinvolti nel delicato compito di avvertire un parente in caso di incidente mortale. Luca Pietrantoni e Gabriele Prati, autori di “Psicologia dell’emergenza” raccontano di ricerche svolte - in particolare con operatori della Polizia municipale – in cui si è evidenziato che la notifica ai familiari del decesso a seguito di incidente mortale è vissuto come molto difficile, in particolare se vi sono coinvolti dei bambini. Per affrontare le problematica, sono in fase di organizzazione dei corsi dedicati ai funzionari, per gestire situazioni esterne ma anche interne (ad es. il decesso di operatori travolti durante i controlli su strada oppure durante il rilevamento di incidenti) o anche l’impatto emotivo dell’assistere o intervneire in caso di incidenti gravi o mortali. 9 L’obiettivo dei corsi in fase di organizzazione con la Direzione centrale di sanità e la professoressa Giannini della facoltà di Psicologia II dell’Università La Sapienza di Roma sarà anche di fornire strategie di “coping” per gestire lo stress e le emozioni. F.G Termino il mio intervento con due esempi, forse estemporanei del rapporto “forze di Polizia – vittima”. Da un giornale leggo “Amici di Marco hanno però raccontato che i genitori sono ancora sotto choc non solo per la morte del figlio ma anche per il modo in cui è stata loro comunicata la notizia. Secondo un’amica di famiglia, infatti, <<hanno citofonato solo alle 4.30 del mattino chiedendo al padre, ignaro dell’incidente avvenuto verso le 22.00, di andare in ospedale a riconoscere la salma>>. <<Marco – dice ancora la donna – è morto verso la mezzanotte, ma nessuno aveva ancora avvertito i genitori>>. Infine, ho ricevuto una lettera, di cui leggo alcuni passi; è di un uomo – padre di due bambini - che ha perso la moglie in un tragico incidente stradale: “il Comandante mi ha realmente e moralmente aiutato anche perché ero distrutto, in quanto per quell’incidente mi è cascato il mondo addosso. Il conforto ed il reale aiuto che ho ricevuto in quei momenti dal Comandante della Polizia Stradale di Jesi, non lo dimenticherò mai, lo sconforto per la perdita della moglie che è stato ed è grande, però in quel momento ho sentito tutte le istituzioni mi sono state vicino, pronte a prodigarsi per darmi una mano di aiuto, per questo mi sono sentito orgoglioso di essere un Italiano e di appartenere a questa terra benedetta da Dio. ... lo stesso ha poi continuato, con il suo laborioso e professionale operato a stare vicino alla mia famiglia ... il Comandante mi ha dato un ulteriore segno di professionale efficienza e dedizione del suo lavoro dicendomi queste parole "Lei non si preoccupi di nulla, deve pensare a se stesso ed ai suoi figli, gli stia il più vicino possibile, lasci che sia il suo legale a procedere per la vicenda in quanto la magistratura sta facendo il suo corso, a mio nome e per conto della Polizia Stradale di Jesi le 10 riformulo sentite condoglianze per il decesso della moglie e per qualsiasi cosa che avesse bisogno in relazione all'incidente, troverà l'Ufficio sempre aperto e a sua disposizione per darle un aiuto. 11