Autore: Maria Laura Pulina Titolo: Caterina e l`aeroplano d

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Autore: Maria Laura Pulina Titolo: Caterina e l`aeroplano d
DEDICATO A NONNA E PAPA’
Autore: Maria Laura Pulina
Titolo: Caterina e l’aeroplano d’argento
Che tranquilla serata d’estate. E’ arrivato venerdì e non me
ne sono resa conto. La città sembra addormentata ed io
sono appena andata via da lavoro, il viaggio e poi
finalmente a casa.
La panchina è quasi comoda ed i suoni mi arrivano attutiti
dalla stanchezza. I minuti scorrono veloci.
Invio un messaggio a Tata, non amo il cellulare e non ho
molta voglia di chiamare. La prendo in giro sull’errore di
stamattina e immagino la risposta di mia sorella che starà
ridacchiando pensando a cosa replicare.
Ecco il pullman. Pensavo d’essere sola è invece la signora
che arriva lentamente deve salire sulla corriera.
L’autista volge lo sguardo verso di me che disperatamente
cerco l’abbonamento. Eccolo finalmente, in mezzo a badge,
scontrini e tessere della spesa.
Sprofondo al solito posto, c’è molto spazio più in la ma da
qui si vede bene la strada. Cosa succede, non ha il
biglietto? A occhio e croce ha l'
età di mia nonna, ottanta o
ottantacinque anni. Non lo trova, il biglietto, e resta lì
sospesa a mezz’aria tra il sedile e il gradino, con lo sguardo
smarrito. Io ne ho uno in borsa. Merito di mio marito che
l’altro ieri, credendo che fossi senza abbonamento, l’ha
comprato. E’ questione di un attimo: “Signora, non si
preoccupi timbro anche per lei?”. Mi rivolge lo sguardo ed
esclama: “Non si disturbi pagherò la sanzione”.
Noncurante vidimo e le porgo il talloncino.
Si scusa ed esclama: “Grazie signorina”. Mentre rientro al
mio posto rispondo che sono una signora, ho anche due
figli, così, giusto per darmi delle arie da mamma.
“Allora grazie signora, spero che alla mia età le rendano un
favore simile ….. a novantadue anni intendo”.
Capisco che non sia la poca voglia di camminare a farle
occupare il posto vicino al mio, ma il desiderio di un
dialogo. Infatti riprende a conversare. Vorrei non
rispondere, ma si fa strada in me il ricordo dei giorni
passati ascoltando i discorsi di una nonna che ormai non
c’è più.
“Signora, se le do fastidio mi sposto”.
“Ma cosa dice non è certo seduta sulle mie gambe”.
Mi scuso, non era mia intenzione reagire bruscamente, non
sono così antipatica in genere ma oggi sono sfinita.
Lei si volta verso il finestrino. Mi dispiace averle detto
quelle parole e allora chiedo: “Le crea disagio l’aria
condizionata” Che banalità, ma non ho trovato niente di
meglio da dire.
“No, non credo”. In un attimo intuisco che non sa neppure
cosa sia l’aria condizionata. Quasi leggendomi dentro le
parole appena pensate riprende: “Sa, ai miei tempi non era
così. Non riesco a seguire quello che accade intorno a me, è
tutto così veloce. Eppure non ho avuto una vita tranquilla.
Pensi che da piccola volevo andare a scuola, ma i miei
genitori non poterono permettersi di mantenere me agli
studi e tirare su i miei quattro fratelli e le mie tre sorelle.
Così arrivai solo alla quinta elementare. Fu un grande
traguardo per i miei tempi. Vinsi anche un premio per la
migliore composizione letteraria, la targa con l’aeroplano
d’argento. Francesco arrivò alla seconda elementare, lo
aiutai io negli studi”.
Riprende fiato e negli occhi ha una velata tristezza. Il
ricordo del suo compagno. “…gli insegnai a leggere e
scrivere. Mi sono sposata tanto presto e a vent’anni ero
mamma di un bel maschietto, ma l’anno successivo mio
marito venne fatto prigioniero. Era partito per la guerra.
Siamo stati otto anni senza sue notizie. Mio figlio andava
alla stazione, con gli altri piccoli, per cercare sui treni un
babbo che non arrivava mai. Erano due chilometri per
andare e due per rientrare, stavano lì quasi tutto il giorno ad
aspettare. Non so descrivere la gioia di Giommaria quando,
in una giornata uguale a tante altre, in braccio al padre, che
non conosceva, rientrò a casa.
Molti degli altri bambini, che con lui condividevano il
tragitto, rientrarono da soli. Fu così per tanto tempo, ma la
annoio con i miei ricordi?”.
E’ vero, parla a ruota libera ma a me piace ascoltare e il
viaggio verso casa sembra più breve. “No, continui la
prego. Se vuole le racconto la mia storia banale di mamma
part time”. Scherzo e sorrido pensando ai miei figli. Alla
stazione li ho portati per osservare com’erano fatti i treni,
non certo per vedere i prigionieri di guerra che rientravano.
“Sa, la vita era molto dura e le donne stavano a casa ma,
con i mariti in guerra, abbiamo rimboccato le maniche. Io
ho imparato a cucire e sono diventata sarta. Il mio lavoro
veniva pagato con sacchi di farina, patate, formaggio o
latte. Francesco poi si è ammalato ed è scomparso ed io
sono rimasta di nuovo sola. Ora è lui che aspetta”. Il
rimpianto la fa tacere.
Mi piacerebbe continuare ma sono arrivata. Mentre mi
avvio verso l’uscita, le domando se prosegue e lei annuisce.
“Quale è il suo nome se non sono indiscreta?”.
Con un filo di voce risponde: “Caterina”.