It - ISAIDAT Law Review

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It - ISAIDAT Law Review
The ISAIDAT Law Review is a peer reviewed periodical covering all aspects of
comparative and transnational law. It is also dedicated to the neighbouring fields of
legal anthropology, law and language, law and the cognitive sciences, as well as to the
dialogue between law and other disciplines.
La Revue juridique de l’ISAIDAT est un périodique consacré à toutes les dimensions
du droit comparé et du droit transnational. Elle abrite également des articles dans les
domaines voisins de l’anthropologie juridique, de la linguistique juridique, des sciences
cognitives appliquées au droit, et aussi, à la question du dialogue entre le droit et
d’autres sciences. Les propositions d’articles font l’objet d’une évaluation (peer review).
La Rivista giuridica dell’ISAIDAT pubblica contributi in tutte le aree del diritto
comparato e transnazionale. Accoglie inoltre articoli sui temi contigui dell’antropologia
giuridica, sui rapporti tra lingua e diritto, nonché sull’apporto delle scienze cognitive al
diritto e, più in generale, sul dialogo tra il diritto e le altre discipline. Gli articoli inviati
alla rivista sono accettati in seguito a peer review.
Editor /Directeur / Direttore
Rodolfo Sacco
Comitato di direzione / Comité de direction / Steering committee
Gianmaria Ajani
Gianantonio Benacchio
Mauro Bussani
Raffaele Caterina
Silvia Ferreri
Michele Graziadei
Alberto M. Musy
Barbara Pozzo
Marina Timoteo
Comitato scientifico internazionale /Comité consultatif international /
International advisory board
Jürgen Basedow
Pablo Salvador Coderch
James Gordley
Nicholas Kasirer
Duncan Kennedy
Hein Kötz
Horatia Muir Watt
Etienne Le Roy
Vernon V. Palmer
Reiner Schulze
François Terré
Jacques Vanderlinden
Contact /Contacts / Contatti
[email protected] - www.isaidatlawreview.org
ISSN: 2039-1323
The ISAIDAT foundation promotes research on the frontiers of legal science. The Review
is supported by the Centre for Comparative and Transnational Law established by ISAIDAT.
La fondation ISAIDAT promeut la recherche relative aux frontières de la science juridique. La
Revue est soutenue par le Centre de Droit Comparé et Transnational établi par l’ISAIDAT.
La fondazione ISAIDAT promuove ricerche sulle frontiere della scienza giuridica. La Rivista è
sostenuta dal Centro di Diritto Comparato e Transnazionale costituito dall’ISAIDAT.
INDICE /TABLE DES MATIERES /TABLE OF CONTENTS
Comparatisti italiani: al lavoro!
Rodolfo Sacco
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A rhetorical view of the nature of law
James Boyd White
6
Law & literature e diritto comparato:
A proposito dell’opera di James Boyd White
Barbara Pozzo
L’incontro mancato dei civilisti francesi con il realismo giuridico:
un esercizio di lettura comparata
Christophe Jamin
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33
ITALIAN REPORTS TO THE JOURNÉES OF THE ASSOCIATION
H. CAPITANT (2010)
Le droit des successions et la famille en Italie
Andrea Fusaro
Le successioni e il primo passaggio generazionale
dell’impresa in Italia
Alberto Musy
61
74
Les successions et l’entreprise en droit italien
Francesco Pene Vidari
82
Il diritto internazionale privato italiano delle successioni
Jacopo Re
97
La proprietà privata nel sistema della convenzione europea
dei diritti dell’uomo
Sabrina Praduroux
113
ABSTRACTS/RÉSUMÉS
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COMPARATISTI ITALIANI, AL LAVORO !
RODOLFO SACCO
Or è più di trent'anni, abbandonavo la presidenza
dell'Associazione italiana di diritto comparato, poiché preferivo la ricerca
pura all'attività organizzativa.
Ora constato che i compiti organizzativi che incombono ai cultori
italiani del diritto comparato si moltiplicano in modo tumultuoso e
imprevedibile; e perciò ognuno deve caricarsene una parte - almeno una
piccola parte - sulle spalle. E ne traggo le conseguenze.
È lecito mettere in dubbio che una persona della mia età sappia
andare al passo con i tempi. Ma mi sento garantito da chi, senza farmelo
pesare, mi assiste e mi spalleggia; ossia da quella guida impareggiabile
della cultura comparatistica che è Michele Graziadei.
Bisogna che i giuristi comparatisti italiani lavorino in modo
associato, per poter programmare collettivamente la loro attività.
E, perché ciò avvenga, bisogna che strutturino i legami occorrenti.
E ciò per una ragione che certamente sfugge ai giovani e che forse sfugge
a qualche anziano.
L'Italia è il paese con il maggior numero di studiosi di diritto
comparato (in proporzione al numero degli abitanti). Ciò, perché ogni
studente in giurisprudenza deve seguire corsi di diritto comparato, e
perciò si è sviluppato un denso reticolato di docenti, necessarii
all'insegnamento.
Nel mondo, la qualità del pensiero comparatistico italiano è
riconosciuta. Gorla è stato all'origine di metodi di analisi nuovissimi,
Cappelletti ha obbligato il pensiero giuridico di tutto il mondo a
misurarsi con temi nuovi e a porsi dubbii fino a quel momento
impensati. Nel 2003 il Comitato internazionale di diritto comparato
(organo direttivo dell'Associazione internazionale delle scienze
giuridiche) ha formulato l'equazione “Torino è la capitale mondiale del
diritto comparato”. Nel 2000 Horatia Muir Watt nello spiegare che la
scienza del diritto privato, in quel tempo, era stata in coma, e che la
comparazione le aveva restituito lo spirito vitale, personificava questa
comparazione in quattro studiosi italiani (Revue internationale de droit
comparé, 2000, p. 503 ss.). La teoria dei formanti (che non si può adottare
senza assegnarle centralità nello studio del diritto comparato) è italiana, e
in larga misura (spesso in certe forme più o meno semplificate) è pane
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RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
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quotidiano nell'insegnamento della disciplina, praticato in Francia, in
America, ecc..
Peraltro qualcosa manca, al calore con cui il valore italiano è
salutato nella vita della comunità mondiale dei giuristi. Gli italiani sono in
una certa misura la proverbiale lampada sotto il moggio.
Vediamo di che si tratta.
L'ultimo mezzo secolo è stato caratterizzato da una gigantesca
opera collettiva di elaborazione di potenziali modelli normativi
sovranazionali persuasivi, o creati per acquistare un giorno autorità di
legge. Il suo inizio può farsi combaciare con le sedute in cui René David,
Clive Schmitthoff e Voctor Popescu gettarono le primissime basi di ciò
che doveva diventare il corpo della LUVI e della LUFCVI, ascendenti
prossimi della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di
merci.
In questo mezzo secolo, benemerenze di tanti italiani meritano di
essere riconosciute e segnalate. Michael Joachim Bonell ha diretto, con la
capacità di equilibrio e la competenza che tutti hanno ammirato, la
redazione dei Principii dei contratti commerciali internazionali di Unidroit.
Carlo Castronovo ha bene rappresentato il sapere italiano nella
commissione Lando. Michele Taruffo, insieme con Geoffrey Hazard, è
stato co-reporter del progetto dell'American Law Institute sui Principles
and Rules of Transnational Civil Procedure. Giuseppe Gandolfi è il demiurgo
e insieme l'anima tanto del progetto pavese per un codice civile europeo,
quanto dell'Accademia dei giuristi privatisti europei che lo sponsorizza.
Però, mentre è possibile ricostruire, nel vasto corpo del diritto
creato e nell'immenso magma delle progettazioni in corso o
abbandonate, il filo rosso coerente della componente francese, il filo
rosso della componente americana, il filo rosso della componente
tedesca, il filo rosso della componente inglese, non mi pare si possa dire
altrettanto per un filo rosso italiano. A suo tempo, Italiani idonei non
sono stati avvicinati, non erano in opera i contatti che avrebbero potuto
servire per le presentazioni e i reclutamenti del caso.
Gli Italiani pensano, e scrivono. La letteratura italiana gode di una
buona reputazione. Ma possiamo dire che è nota tanto quanto merita?
Tanti studiosi italiani pubblicano in lingue internazionali, e ciò li rende
leggibili da tutti. Ma è evidente che una parte del prodotto italiano è
scritto nella lingua madre, e gli stranieri non possono avvicinarsi. Basil
Markesinis ha analizzato la situazione quantificandola con metodo
statistico sulla base delle referenze bibliografiche. In breve: l'opera
dell'italiano è nota in proporzione al potere contrattuale della lingua
italiana; e perciò l'opera dell'italiano è sottovalutata. Ci sono rimedii?
Potrebbero esserci. Si potrebbe pensare di varare un piano per tradurre
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R. SACCO: COMPARATISTI ITALIANI AL LAVORO
in inglese opere italiane scelte ad hoc; si potrebbe anche pensare di
cucinare in casa raccolte di estratti meritevoli, e poi tradurre; si
potrebbero inviare alle riviste straniere recensioni, redatte nella lingua
appropriata, delle opere italiane (la Revue internationale de droit comparé, io
credo, è la rivista straniera che recensisce un maggior numero di opere
italiane), o, quanto meno, coltivare relazioni opportune con le riviste che
si occupano di noi (lo Jahrbuch für Italienisches Recht sarebbe lietissimo, io
credo, di portar attenzione ai nostri apporti comparatistici).
Alcuni comparatisti italiani hanno insegnato o insegnano all'estero
(si pensi a Mauro Cappelletti, a Ugo Mattei). Ciò li fa conoscere. Ciò ci fa
conoscere. L'insegnamento all'estero talora è veicolato dalla reputazione
del singolo docente, talora è prestabilito mediante accordi fra le facoltà
interessate. Si tratti del primo o del secondo caso, questi benéfici contatti
dell'italiano con un pubblico e, più generalmente, con un ambiente
straniero non lasciano poi traccia nel sapere comune e generalizzato del
giurista italiano medio. A nessuno viene in mente, al ritorno, di
diffondere impressioni ricavate dal soggiorno all'estero (sensazioni su ciò
che manca al sapere italiano, su ciò che il sapere italiano può esportare, e
così via).
Ovviamente i comparatisti di tutto il mondo vogliono conoscersi,
incontrarsi e scambiarsi idee. Esistono perciò organizzazioni mondiali o
areali, nate da questa esigenza. Sul piano mondiale fanno spicco
l'Associazione internazionale delle scienze giuridiche (IALS-AISJ) e
l'Accademia internazionale di diritto comparato.
La prima è l'organo dell'Unesco per le scienze giuridiche, ed è
strutturata come associazione di enti nazionali (uno per Stato,
selezionato per essere comitato nazionale). Lo statuto dell’IALS-AISJ
prevede che nel suo seno il sapere giuridico venga elaborato in forma
comparatistica.
La seconda, all'opera da più di un secolo, non ha legami con
istituzioni politiche e unisce - mediante cooptazioni - singoli studiosi di
tutti Paesi.
Nell’IALS-AISJ è Comitato nazionale italiano l’ISAIDAT (in
precedenza, lo era stato l'Associazione italiana di diritto comparato). In
questa assise, gli Italiani hanno avuto riconoscimenti visibili. Per un
triennio (1975-1978) Mauro Cappelletti, per un triennio (2003-2006) io
stesso ne abbiamo avuto la presidenza. La direzione scientifica è stata
affidata in passato ad Antonio Gambaro, ora a Mauro Bussani.
Nell’Accademia, invece, i riconoscimenti visibili sono scarsi. Nessun
italiano ha mai fatto parte del Bureau. Un tempo io, ora Antonio
Gambaro, siamo stati eletti alla presidenza del gruppo latino, ma questa
carica è ormai priva di importanza.
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RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
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Negli ultimissimi tempi, l'indifferenza italiana ha prodotto guasti
maggiori. L'elezione dei nuovi soci ha portato alla cooptazione di un
numero irrisorio di italiani. Non sarà facile rimarginare il guasto.
Nell'ultimo congresso dell'Accademia (Washington 2010), sempre per
incuria italiana, fu riservato agli italiani un posto assai defilato (due
relazioni generali, mentre normalmente ne presentavamo sei).
Fuori dal quadro associativo, giornate bilaterali e multilaterali si
tengono con grande frequenza, per iniziativa di comparatisti di questo o
di quel paese. I comparatisti italiani non vi sono implicati, e non
prendono iniziative.
In parte l'inerzia di cui parlo è dovuta alla cronica mancanza di
mezzi finanziari.
Gli enti pubblici, le fondazioni bancarie, e così via, sono larghi
nell'assistenza alla cultura. Ma non è facile far finanziare un periodico, un
programma di traduzioni, la partecipazione nazionale a congressi
internazionali o a un congresso mondiale che non sia dedicato ad un solo
tema specifico alla moda.
Forse posso concludere. I comparatisti italiani debbono pensare
alle necessità comuni, debbono svolgere tutto il lavoro di relazione, di
strutturazione, di collegamento. Perciò debbono unirsi, debbono
vicendevolmente informarsi, debbono lavorare insieme. Ognuno deve
fare la sua parte.
L'informazione, il collegamento, sono tra i compiti di un periodico.
Oggi bisogna che il comparatista disponga di periodici.
La scienza comparatistica ha sviluppato nel suo seno tutto un
sapere nuovo, vario, ricco, fondamentale per la sua importanza, che non
appartiene ai settori in cui si scandisce la letteratura periodica (diritto
civile, diritto commerciale, diritto del lavoro, diritto penale, diritto
costituzionale, ecc.). Questo sapere ha avuto come primo oggetto la
sistemologia, poi la traduttologia, poi l'antropologia giuridica, ecc.
Questo nuovo sapere interessa tutti i comparatisti, fuori dalle scansioni
tematiche raccolte nella parentesi che precede. Occorrono punti di
riferimento mediatici appropriati.
Forse ciò che dico corrisponda ad una percezione, ad uno stato
d'animo diffuso fra i comparatisti. E mi pare che i segni di un bisogno, e
di una volontà, di aggregazione di operosità non manchino.
L’Associazioni italiana di diritto comparato, quando era ancora
attiva, ha promosso per prima una rivista on-line, diretta da Giovanni
Comandè.
A Napoli, da pochi mesi, Felice Casucci ha ridato vita al glorioso
Annuario di diritto comparato, con una redazione estesa a tutta l'Italia e
un comitato scientifico esteso al mondo intiero.
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R. SACCO: COMPARATISTI ITALIANI AL LAVORO
A Torino, l’ISAIDAT ha promosso la presente rivista on-line, e ha
sponsorizzato, in parallelo, la nascita di un'associazione di comparatisti a
raggio nazionale, la Società Italiana per la Ricerca nel Diritto Comparato
(SIRD) (Unione Frontiere Avanzate del Sapere Giuridico), che nel 2011
terrà il suo primo colloquio e congresso.
Maurizio Lupoi ha istituito e anima un forum, cioè una serie di
regolari riunioni dei professori ordinarii di materie comparatistiche.
Qualcuno certamente ha infilato la chiavetta nel congegno che
mette in attività il motore. Poi, forse, qualcuno sta manovrando la
chiavetta.
Voltatevi verso noi, può darsi che vediate la macchina partire.
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A RHETORICAL VIEW OF THE NATURE OF
LAW
JAMES BOYD WHITE
As some of you may know, I have spent a lot of energy in the
course of my career trying to connect the western literary and humanistic
tradition to the teaching and study of law.
To some people this work has naturally seemed a bit puzzling,
even idiosyncratic. “What can literature possibly have to do with law?” is
a question I have been asked over and over. From my point of view,
such a questioner often misunderstands what literature is, and can do—
maybe seeing it only as a form of aesthetic consumption, not as about
anything important except the pleasure it gives—and much of my
writing has been aimed at correcting this kind of misjudgment.
But I think such a questioner also often misunderstands what law
is, and can do, or at least understands these things differently from the
way I do, and it is mainly law that I wish to talk about this morning. My
aim is to render more explicit than perhaps I have done so far the vision
of law itself out of which I have been functioning: a view of law as an
activity of language, essentially rhetorical and literary in nature.
What I shall say, in a phrase, is that law is a not at heart an abstract
system or scheme of rules, as we often think of it, but an inherently
unstable structure of thought and expression that is built upon a distinct
set of dynamic and dialogic tensions.It is not a set of rules at all, but a
form of life. It is a process by which the old is made new, over and over
again. I hope that by the time I have finished you can see why I call it
“rhetorical.”
I think I can best give content to this perhaps puzzling summary
by explaining where the view I describe comes from. This will require
me to be a bit autobiographical, but I hope you can see that here my real
subject is not me, but the law.
I.
I came to law from the study of English literature and Classics,
especially ancient Greek. In both of these fields my focus was on
language, most obviously so with respect to Greek.
In working on Greek I naturally asked questions like the following:
How was this language put together? What were its key terms: of value;
of social and natural description; of psychology; and what did they
mean? What were its principles of grammar and syntax, governing the
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J. BOYD WHITE : A RHETORICAL VIEW OF THE NATURE OF LAW
way in which sentences could be composed? What were the forms of
thought and imagination that this language thus invited and made
possible? What, in short, could be said and done in this language that
could not be said and done in English? (Do you see that the same questions
could be asked of the law?)
The activity of translation, in which I was constantly engaged,
captures the essence of the problem I was facing: how much, or how
little of what Homer does in the Iliad, say, can be brought into English?
When we try to bring this poem into English, or Hebrew, how do we
distort or damage the original? How do we add to it?
I could see that I simply had to learn to read Homer in his
language if I were to begin to understand what he said and did.
As I did that, what did I begin to see or experience? Certainly not
what might be called an art-object, as some might think, offering itself to
our aesthetic delectation, as a fine wine offers itself to our palate. The
Iliad is beautiful, but it is also hideous, and it certainly is not about beauty
as an aesthetic ideal. The same I think is true as a general matter of
virtually any imaginative literature worth reading.
What the Iliad offered, as I saw it, was an engagement with what
seemed like everything: the way a culture (in this case the heroic culture
it describes and celebrates) is formed and works; the nature of cultural
imperatives and the way they can lead us into war and murder; the way
an individual, necessarily formed in large part by his culture, can find
himself almost by accident, as Achilles does, suddenly on the edge of
that culture, in a position from which it can be seen and in some sense
criticized and resisted; the character of human life itself, bounded as it is
by death; and the achievement of art, by which this universal fact of
human mortality can to some extent be defeated.
As the French philosopher Simone Weil says, the Iliad is a poem
of force: showing us the roots of war in the ideologies by which we
dehumanize each other—a dehumanization the poem itself heroically
reverses, in seeing, and bringing the audience to see, against the force of
the military culture itself, the common humanity of Greek and Trojan.
So for me the Iliad was not literature as aesthetic consumption or
display, but a powerful form of thought and education about the most
important things in human life.
What I say of the Iliad was true in a general way of the best of the
other books I read: they offered engagement with human thought of the
deepest and best kind about the most important matters in our individual
and collective lives. In the work I admired—from Virgil to Shakespeare
to Jane Austen to Robert Frost—I found people talking as well as they
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ISAIDAT LAW REVIEW
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could about what was most important to them, constantly confronting
their own limits of perspective, of knowledge, of mind—and the limits
of language too. Reading these texts in this way was for me a school for
thinking well, reading well, writing well, and always about what mattered
most in human life. (Can you imagine that I would come to say the same thing
about law?)
I went to graduate school in English literature, hoping to make a
life out of this kind of engagement with the writing I loved, but I was
disappointed, in part because to me this profession felt disconnected
from what I thought of as the real world, and for that reason was, I
thought, unable to respond deeply and well to the texts to which it was
supposed to be devoted. I may have been wrong, but this is what I felt,
and I left for law school.
In law school I felt that I came back to my own mind, and to a life
I recognized. I was learning law, a new language, a language in which to
think about and debate many of the most important questions of our
shared existence. It was like learning Greek, except that I was learning it
for use in the world, rather than as a way of engaging with literary and
philosophic texts.
This was not for me an academic or purely intellectual activity,
but training in a profession that I intended to practice. I thought of this
future most readily in rather small-town terms: I could imagine a client
coming in off the street with a problem—a sense of threat or frustration
or loss—that he or she could not handle without help. Law was the
language into which this problem would have to be translated: it was the
language I would use to define the problem and to make sense of it, and
of its larger context too. It would ultimately be a language of power,
producing a result authorized and enforced by state power.
The questions for me were these. What is this language of the
law, and how does it work? What can be said and done in this language
that cannot be done in ordinary English? How, in particular, does law
work as a process of translation: with what losses, what gains, what
distortions? What will it mean to me to give myself the mind and
character of a lawyer?
As I imagined it, in practice I would be talking about what really
mattered, in competition (and cooperation) with others who were doing
likewise, before judges who were also talking about what really mattered.
For what we were talking about was important not only to our clients,
which it surely was—would they be compensated for their injury, or hold
on to their land, or lose their inheritance?—but to the world: and this
not so much because the outcome of the particular case mattered, but
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J. BOYD WHITE : A RHETORICAL VIEW OF THE NATURE OF LAW
because it matters very much to the world how such cases are debated
and resolved. For every case performs an answer to the question: What
are our institutions of justice? How well—how justly—do they work?
How should they work? And nothing is more important to a healthy
community than justice.
I saw the law as a wonderful system in which power worked
through conversation, through open argument and persuasion. In
principle at least, everyone got his or her opportunity to present the case
in the best way possible, and to answer what was said on the other side.
In a legal hearing one could say whatever it was necessary or crucial to
say about this injury, this divorce, this failed agreement, this event in the
real world.
To engage in this complex and fundamentally rhetorical activity it
was crucial that I should be able to learn and speak and use the language
of the law well, and in two senses: that I should be an effective counselor
and advocate; and that in doing so I should conceive of myself as doing
something of value not only to my client but to the world: contributing
to the maintenance of our institutions of justice, indeed contributing to
the realization of justice itself.
Of course, as in all language use, all translations, I could see that
the conversation of the law would always be imperfect: there would
always be something left out, something out of tune, something stuck in,
always a deep imperfection. Sometimes I thought that the legal language
I was given to use was itself hopelessly dead and inadequate. Even where
it did seem to have wonderful resources, these were not always taken
advantage of by lawyers and judges—who sometimes spoke in the dead
ways familiar to all of us, full of clichés and formulas and empty
formulas.
But both things—the inherent failings of the language and our
failings in our use of it—seemed to me to present challenges for a life of
value, the aim of which was to define and express meaning: the meaning
of the experience of our clients; the meaning of the collection of
authoritative texts and traditions and understandings that are the
embodiment of the law; the meaning of the institutions of thought and
argument in which these questions were presented and addressed.
When I went into law practice the view I describe was confirmed:
the heart of my work was reading and writing, not in a trivial or
mechanical sense, not as the exercise of skill alone, but as the fullest and
most important expression of a mind engaged in the world. It was hard
to do it well, impossible to do it perfectly.
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My view of law was of course internal, from the inside, from the
point of view of someone actually doing it. The law can be looked at
from the outside too, by sociologists and political scientists and
anthropologists and others, and they are entitled to look at it differently:
as a social or political process, or as a structure of rules reflecting certain
policies. But the way they look will define what they see, and it will not
be the law as I know it.
For I saw law from the inside, as I continue to see it, as an activity
of mind and language: a kind of translation, a way of claiming meaning
for experience and making that meaning real. It is not a system of rules,
as I said earlier, but a structure of thought and expression built upon a
set of inherently unstable, dynamic, and dialogic tensions. In this it is like
a poem.
II.
Exactly what are these tensions, and how do they work? How are
they to be addressed? What does it mean that the law is built upon them?
These are my next questions.
I should tell you at the outset that much of what I am going to say
about them may seem very basic. Indeed it is basic. At one time perhaps
we could even have taken much of what I am going to say for granted.
This set of perceptions might not have been wholly conscious, but I
think it was there in the legal culture, and did not need stating.
It may help us uncover some of the tensions upon which legal
discourse is built if we think of a day in the life of the lawyer I was
preparing to become, starting with the moment when the client comes
into our office seeking our help.
This client—whether a person or corporation or government
body—will have a story to tell and a language in which to tell it. Perhaps
he will tell us about domestic violence that he or his children have
suffered; perhaps about an idea that he and two others have for forming
a corporation that will create and sell software; perhaps about the bank’s
threat to foreclose the mortgage on his house.
The problem can be mundane and ordinary, or sophisticated and
rare, but in any case he will have his own sense of what is wrong; of what
he wants; and of his own incapacity to get it on his own. He will turn to
us, after all, only when he sees that he needs help.
His story will be cast in his ordinary language, the way he usually
thinks and speaks. Our job is to listen to him talk in his language, and
then to ask questions that will prompt him to say more. Our knowledge
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J. BOYD WHITE : A RHETORICAL VIEW OF THE NATURE OF LAW
of the law should enable us raise issues that he will not have thought of,
and in this way encourage a fuller statement of his story in the language
of the law.
When is his story complete? When do we have everything we need
to know? A very good question. The sea of possibly relevant facts is
infinite, and there is no clear way of knowing when we have enough. In
such conversations there is a circular dependence between facts and law:
the facts determine what law is relevant, the law determines what facts
are relevant. In principle we could go on forever, but we stop when we
think we have enough to enable us to develop his case.
No rules could tell us when we have reached this point; our sense
of completeness we have is a judgment we gradually make, as we go back
and forth between his story and what we know of the law. It rests upon
our educated intuition.
Our second task will be to translate what we have been told by our
client into legal language. This requires us to go from his or her language
to the law and back again, over and over, checking both his story and
our translation of it. As with all translations, this process is inherently
imperfect and distorting. It cannot be done to a formula or rule, but
requires the exercise of an art.
Sometimes the gap between our languages seems on the surface
rather small, for example at closing argument, when we are speaking to
the jury and will do so in a language as close to ordinary English as we
can manage. Sometimes the gap is enormous. When our client hears us
make an argument about choice of law—maintaining, for example, that
Nebraska law should apply, not Iowa law, or federal law rather than state
law—she may not see any connection at all with the problem she
brought to us. But the choice of law problem, if it is a real one, is one of
the ways the law gives meaning to her case. It may even be that what this
case will ultimately stand for in the law is a new and persuasive approach
to choice of law, something she may not care about at all.
Our first tension in the law, then, is the one between ordinary and
legal language. The lawyer has to speak both languages; he has to
translate, as well as he can, both ways, into the law and out of it, a
process that is at every stage defective or imperfect. Sometimes the
defect will be fatal: we will simply not be able to say in the language we
are given what we think should be said about this case.
This tension can be found not only in interviews with the client,
but throughout the process, and in many forms: in the lawyer’s
examination or cross-examination of lay witnesses, for example; in his
closing argument to the jury, who are of course untrained in the law; and
even in his arguments with the opposing counsel and to the judge, for it
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is common there to resort to ordinary life and language for images with
which to make a point. Everyone wants to be able to say in ordinary
terms what he is saying in legal terms, and vice versa.
This tension is made more difficult by the existence of another
one, between language of any kind at all and the mute world of
inexpressible experience. In an important sense the client’s story can
never fully be told even in ordinary English. There is always a level of
experience that cannot be adequately expressed in any language: what a
broken arm actually feels like, for example, or the helpless rage and
agony of seeing your children hurt by your spouse, or the mute sense of
outrage or betrayal at a business partner’s disloyalty. Everything that we
say, in any language, floats as it were on a sea of inexpressible experience.
So we face not only a tension between legal and other forms of
language and expression, but a tension between the world of words and
the world of mute experience that underlies it.
These tensions are inherently unstable, never fully resolvable.
Responding to them is not matter of logic, or ends-means rationality, or
conceptual analysis, but requires an art of language and judgment.
The tension between legal and ordinary speech is actually an
instance of a larger phenomenon, that legal discourse is itself built upon
a tension among many different voices, many different languages. It
speaks not with one voice but with many voices, and its meaning to a
large degree lies in the music that is made among them.
Thus we have the official voices of the legislature, the trial judge,
the constitution, the Supreme Court, each speaking in its own way to the
others, and to the public too.
We have witnesses, expert and inexpert, each speaking from his or
her point of view in the world. The voice of the person who saw the
robbery, of the policeman who investigated it, of the technician who
tested the blood, of the robbery victim himself; the voice of the
defendant, of the psychiatrist testifying on the question of his sanity, of
the witness who claims he saw the victim begin the fracas by attacking
the defendant; all these are different voices, speaking in different
languages.
Suppose for example that our case is a medical malpractice case, in
which each side plans to call two expert witnesses—a heart surgeon, say,
and an engineer who knows about mechanical heart valves. To prepare
our own witnesses for direct and cross examination, and to cross
examine the opposition witnesses, we shall need to learn something of
12
J. BOYD WHITE : A RHETORICAL VIEW OF THE NATURE OF LAW
the languages of the doctor and engineer. We must be prepared to
translate, that is, not only between ordinary language and legal language,
but between both of these languages and a range of specialized
languages. This activity of translation is both necessary and inherently
imperfect, and what it requires in us is the exercise of an art.
It is sometimes thought that the law is a single language of
authority, a set of nested commands, running from the general to the
particular, all in the same voice of absolute or legislative authority, but as
we see here such a view makes little sense. The lawyer or judge must be
an artist in translation, prepared to translate between the world of mute
experience and the world of words; between ordinary language and legal
language; and between both of these and specialized languages as well.
Perhaps we do not teach translation of this kind in law school but
we certainly should.
There is a third tension, very different in kind, that is also
fundamental to the legal process: the tension that exists between the
lawyers on opposing sides of the case. This tension is plain: we want our
client to win, he wants his to win, and each of us will do all we properly
can to make that happen.
Thus at trial each lawyer will stretch every nerve to present the
material of the law, and the facts, in such a way as to fit with the
fundamental claims of his client. One is the voice of condemnation or
attack, the other of excuse or defense. We are deeply opposed, for each
of us is straining to create a sense of the case, and the law, that will lead
the judge or jury to decide their way. This is a power struggle in the law,
and it creates an inherently unstable tension, one that is by nature both
dynamic and dialogic.
Yet there is something odd here: while we and the lawyer on the
other side are obviously opposed to each other, we are also in fact
cooperating. We agree in a general way, for example, both about the
materials of our argument and the way it should proceed. While we are
strenuously disagreeing, that is, we are equally strenuously affirming a
great deal: the language, the conventions of discourse, the principles or
understandings by which we carry on our argument, and certain
conclusions too, on questions both of law and fact.
We contest what we can, but we accept what we cannot, and this
becomes, for the moment at least, a firm foundation for further thought
on both sides. We thus affirm the very constraints of the law within
which we find that we, despite our strongest efforts, must operate.
When our joint performance works well—as it of course does not
always do—it subjects the material of the law, and the facts too, to the
13
ISAIDAT LAW REVIEW
1-2010
most intense and searching scrutiny. Instead of seeking the single
meaning of the statutes, of the judicial opinions, of the regulations, and
of other materials of authority, we two lawyers together are
demonstrating the range of possible meanings that these texts may be
given, and using all our powers to do so. In our hands, that is, the law is
not a closed system of significances, but is systematically opened up to
new possibilities—opened up, in fact, as far as we can do it. That is one
of the points of our work.
This tension between competing voices and perspectives gives a
special kind of life to the law. As I just said, it creates a space for
newness and creativity in reading the texts of the law, which might
otherwise be read in dead and mechanical ways.
It is also a way of being grown-up: learning to live in a world in
which people think differently from each other and to respect the
judgments of those with whom we disagree.
This very process, rhetorical and adversary in nature, creates
another kind of tension, a moral or ethical tension, within each of the
lawyers. Is what she is doing justifiable, or even respectable?
We are making arguments for our client, on the law and the facts;
but suppose we do not think that what we are arguing for is right?
Suppose we think that the other side should win? Or, perhaps more
likely, suppose we do not allow ourselves to think at all about the right
result, about what justice requires, but only about what arguments will
work? What have we become?
This problem can be swept under the rug by claiming that the
adversarial system works to produce justice, so that even if we are not
arguing justly, the system will be just—if not in this particular case, most
of the time. But that claim rests on an unprovable optimism, and in any
event does not address the most important ethical issue, which is who
are we becoming when we engage in the activity I describe. Are we just
mouthpieces who will say anything to win, whether or not we mean it?
Or can we see ourselves as doing something we can truly respect?
A book could be written about this issue, but I hope that you can
already see that here is another tension, inherently unstable, deep within
the lawyer himself or herself. It is unavoidable by a conscientious person.
It is not susceptible of systemic resolution, by resort to a slogan or a rule
or a phrase, but must be addressed over and over in the life of the
lawyer, in the deep particulars of every argument he or she makes.
Next let us assume that the efforts at negotiation have failed and
that the case is headed for court, where the two lawyers will speak to the
judge who will decide between them.
14
J. BOYD WHITE : A RHETORICAL VIEW OF THE NATURE OF LAW
If we imagine ourselves for a moment as the judge, we may now
see that the tension between the lawyers creates, or ought to create, a
parallel tension in our own mind, as the two opposing voices are present
and alive within us. If we start to think one way, we should find
ourselves checked by the other.
The elaboration by the lawyers of arguments on both sides is a way
of resisting the judge’s impulse to decide too quickly, encouraging her to
keep her mind open until she has heard it all, thought through it all—
indeed helping her to think it through.
The two sets of arguments, in making explicit the range of possible
choices open to the judge, make clear that the judge will have to make
her choice and accept responsibility for it—not push the decision off on
a statute or other text that is read in a conclusory or unthinking way.
The argumentative process I describe makes plain that the image
of the law as a set of clear (and perhaps even self-applying) rules cannot
survive a moment’s scrutiny. Under the pressure provided by the
lawyers’ arguments, the scope of judicial choice becomes wide, much
wider than one would at first expect. This fact creates a tension right at
the heart of the judicial judgment, a tension between rational but
opposed conclusions.
If a statute says that “trucks” must travel in the right lane, or that
imported “toys” pay only half the usual customs duty, or that an arrest
may only be made upon “probable cause to believe the suspect has
committed a felony” we have a general idea what is meant to happen,
but we also know that elaborate arguments can go about the meaning of
the words, truck, toy, probable cause, felony, and even commit (does it include
aiding and abetting another, or being an accessory after the fact?).
Legal categories, whether legislative or judicial in origin, thus
invariably carry a substantial range of reasonable possibilities for their
meaning, sometimes a very wide range. Among these possibilities the
judge will have to choose. How is she to do this?
A great deal has been said on this question, with answers ranging
at least across the following spectrum: (1) the uncertainty of meaning
creates in her a discretionary power to do whatever she wants; (2) she is
to be guided in the exercise of her discretion by her sense of the
intention of the rule-maker; (3) she is to be guided by appropriate general
principles of moral and political philosophy; (4) she is to be guided by
natural law; (5) she is to be guided by analogy to other legal examples; (6)
she is to resolve the ambiguity against the drafter of the document, since
he or she is responsible for it; and so on.
15
ISAIDAT LAW REVIEW
1-2010
I will not join in the debate as to which of these, or others, should
guide her decision. It is enough for present purposes that it is clear that
in her basic task of legal decision the judge inhabits a zone marked by
strong tensions between alternative ways of thinking, tensions that are,
like the other ones I have described, dynamic, dialogic, and inherently
unstable. The resolution of this tension, like the other ones, cannot be
achieved simply by reference to a rule or practice or phrase or idea, but
must be achieved afresh, in every case, by an art of judgment. This very
fact gives life to the law.
As the judge faces this problem, she faces her own version of what
I called before the tension between the world of language and the world
of inexpressible experience. This tension arises within her the moment
she asks herself how and why the case should be decided.
Here is what I mean: a part of her mind will think in terms of legal
arguments of the kind we have been discussing, testing them against
each other for their force and power. But beneath that layer of the mind
is another, an intuitive center, educated by experience and reflection, that
is seeking the right decision. The judge knows that her written opinion
can never express or justify what the center of herself is doing, the secret
spring of judgment at her core. This tension cannot be resolved in any
apriori way by a rule or principle, but must, like the others mentioned, be
lived through in detail and addressed anew every time.
Another structural tension runs through the law: between what we
call “substance,” on the one hand, and procedural or institutional
considerations on the other.
One of the deepest—and to the lay person, most mystifying—
characteristics of legal thought is that the lawyers and judges seem to
think about both kinds of questions at once, working as it were in two
channels simultaneously. Whenever the lawyers argue about a
substantive question, such as the meaning of a statutory or constitutional
provision, they are likely at the same time to argue about a procedural
question: the requirements for a judgment on the pleadings, for example,
or for summary judgment, or for a directed verdict.
This second channel, which I am calling “procedural,” is by no
means limited to technical matters of judicial procedure, but includes
argument of a much more general kind, which might be called
“institutional.”
Suppose the substantive question is whether one may dump
industrial waste water in the river; or whether a school on an Indian
16
J. BOYD WHITE : A RHETORICAL VIEW OF THE NATURE OF LAW
reservation may begin its days with the recitation of a sentence that sums
up the traditional wisdom of the tribe; or whether one may have a loud
party to celebrate one’s child’s graduation from school, even though the
neighbors object. The lawyer or judge facing such substantive questions
will at the same time ask a set of institutional questions: Who is
empowered to decide this question in the first instance, and why? What
procedures should this actor be compelled to follow, and why? To what
review is the first actor’s judgment to be subjected, and why? Or, to
reverse the point of view, to what degree of deference is it to be entitled,
and why?
Suppose for example in the water discharge case that there is a
municipal ordinance on the subject. Here the lawyers will ask what I
have been calling the substantive question—whether the ordinance
should be interpreted to prohibit this discharge—but at the same time a
set of institutional questions: whether the city council was authorized to
pass such an ordinance by the relevant statute; if so, whether it followed
the requisite procedures; if so, whether this ordinance, even if authorized
by statute, meets the requirements of the state or federal constitution. In
fact much of what we mean by constitutional law is institutional in just
this way, determining what agency should have the power to decide what
questions, under what procedures, and subject to what review.
The mind of the lawyer and judge mysteriously works in both
tracks at once, and there is an inherently unstable tension between them.
Sometimes, indeed, the two lines of thought intertwine in such a way as
to eliminate the distinction between them. One just cannot think of one
without the other, and what happens in one line of thought affects the
other. It is like seeing that the smooth and rough sides of a piece of cloth
each require and imply the other.
There is no way to draft a set of rules for resolving this tension. It
must be addressed by an art of language and judgment.
Another tension, still different from the others, exists between the
twin demands of law and justice. For in our system the lawyer and judge
alike must ask not only, “What does the law require?” but “What does
justice require?”
It is a convention of our law—I have never seen plainly stated but
seems to me undeniable—that in every case the lawyer on each side must
maintain that the result he or she is arguing for is both required by the
law and itself fundamentally just. An argument that claimed that the law
required the outcome, but admitted that the result was unjust, would be
profoundly incomplete. No lawyer would want to be in the position of
17
ISAIDAT LAW REVIEW
1-2010
making such a case. Likewise incomplete would be the sister argument
that claimed that justice required the result argued for, but admitted that
the law was against it. Nor would a judge happily admit either that her
judgment was unjust or that it was against the law.
In this sense ours is a system of both natural and positive law. It is
like a chariot being drawn by two horses: they often pull in opposed
directions, but unruly and uncooperative as they may be, together they
take the chariot in a direction that is much better than that towards
which either of the horses alone is pulling it.
The immense and deep tension between these two claims means
that the lawyer or judge must often labor to harmonize them, sometimes
to the breaking point. But it also gives both lawyer and judge an
opportunity to create something new and alive: not merely the logical
working out of rules or premises, but a deep engagement both with the
texts of the past and the facts of the present, and what they mean. It is
one aspect of the lawyer’s great task, which is to bring into one field of
vision the ideal and the real.
Finally let me suggest one more tension: between the past and the
present, and between both of them and the future.
The task of the lawyer and judge is to bring the materials of the
past—sometimes recent past, sometimes remote past—to bear on the
problems of the present, and in so doing to make something new for the
future. The law is thus not a static or timeless system, working out the
implications of its premises in abstract or purely logical ways, but a way
of functioning in a world dominated by time, seizing the ever-passing
moment of the present as the place to join past and future. It is a way of
defining experience; learning from experience; shaping experience.
This tension is present in all legal argument, but most of all in the
special form we call the judicial opinion. This text brings together all that
the parties have been able to invoke from the past, and issues the
authoritative judgment that speaks to the future. It does not just state or
define a rule, but issues a judgment, which it explains, and explains in
ways that go beyond the language of the rule itself.
III.
I am saying, then, that legal thought is not the top-down
elaboration of the meaning of a set of rules, by a process of logic or endmeans rationality, but is rather an activity of mind and language deeply
marked by a set of structural tensions:
18
J. BOYD WHITE : A RHETORICAL VIEW OF THE NATURE OF LAW
—between ordinary language and legal language, and between
both of these languages and the various specialized discourses of
witnesses and experts;
—between language itself, of any kind, and the mute world that
lies beneath it;
—between the two lawyers, each of whom seems to resist the
other at every point, though in another way they are cooperating deeply;
—within the individual lawyer, whenever she asks what her role
means, for herself and for the world;
—between many conflicting but justifiable ways of giving meaning
to the rules and principles of law;
—within the judge, between her reasoning and intuitive capacities;
—between substantive and procedural (or institutional ) lines of
thought;
—between law and justice; and
—between the past on the one hand, and the present and future
on the other.
This is not an exhaustive list, but for present purposes it will do.
Each of these tensions is, as I have said, inherently unstable, that
is, not resolvable by reference to fixed rules, principles, or conventions;
each is dynamic, not static, thus moving us in new directions that we
cannot always anticipate; each is dialogic, not monologic, thus acting
with the force of competing voices at work in the world or in the self.
These tensions are of different kinds of course, and they interact, to
create fault lines that run through every act of full legal analysis. The
management of these tensions is essential to the work of lawyer or judge,
a task that is essentially literary and rhetorical in kind.
What happens if we start to think of law in this literary or
rhetorical way?
Let me suggest, to start with, that it makes simply impossible the
view that the law is a system or scheme of rules that are in practice
applied more or less rationally to produce a set of intended or desired
results.
This is a view that law students often bring to law school with
them. They expect that we shall teach them a set of rules. These are the
rules they will apply as lawyers, and knowledge of them is what sets them
apart from the lay person, to whom they are unknown. A large part of a
good legal education is disabusing them of this view.
19
ISAIDAT LAW REVIEW
1-2010
There are many reasons that such an image is attractive to the
student. It explains the kind of knowledge that the lawyer has, and
justifies his role (and his fees). It is also in principle simple, even easy: if
all I have to do is memorize a set of rules, even if there are a lot of them,
I am confident that I can do it. The work may be dull but it won’t be
hard. It won’t ask of me what I cannot already do; it will not ask me to
change and grow. So it is natural for the student to say: “I want the law
to be a set of rules!”
But I think the view of law as rules is also at work in scholarship
and teaching that takes as its subject the question, not how lawyers think
and should think, but what the rules should be. We see this view at work
in policy studies generally, in “law and economics” in particular, in much
jurisprudence, and indeed wherever the tendency to abstract or
theoretical thinking has taken hold, whether in the analysis of legislative
or judicial problems.
The question of policy is of course a legitimate one, and lawyers,
economists, social scientists, moral philosophers, ordinary people, and
lots of others can properly speak to it.
But it is not the essential question for either lawyer or judge, who
is instead repeatedly asked to deal with the particulars of a case, whether
as adviser, advocate, or decider, and to do so in light of the whole
structure of arguably relevant legal rules, principles, conventions,
precedents, understandings, indeed in light of the whole legal world and
culture. This structure, as I have been trying to show, is not a coherent
conceptual system but a dramatic and rhetorical process marked by a
series of deep and inherently unstable tensions that cannot be reduced to
or governed by a system of rules or other directives.
Rules of the standard legislative (or judicial) form do exist, and
they serve to guide general expectations and behavior. They are
important and can be talked about in such terms. But this is not the level
at which the judge or lawyer works, for they are called upon only when
there is a problem, a difficulty, a moment, at which the rules collide with
reality, or each other, and do not work in the easy way they are thought
to do. To put it in a phrase, the judge and lawyer deal not with the
“rules” as such, as a discrete conceptual system, but with what happens
when that abstract language meets the world.
For the law is not a system, but a way of managing the relations
between what looks like a system and many dimensions of actual life: the
experience of the client and lawyer, including the experience that cannot
20
J. BOYD WHITE : A RHETORICAL VIEW OF THE NATURE OF LAW
be expressed in any language at all; the multiplicity of languages and
voices that make up our world; the conflicts and harmonies between
opposing lawyers; the freedom and responsibility of the judge; the
idealistic and realistic tendencies of legal thought; the tension between
past and present, present and future.
In all of this, let me stress, I am trying to define what I see to be
the possibilities of life in the law. Of course these possibilities are not
attained automatically, and never fully or perfectly, and sometimes they
are corrupted. Often lawyers are judges are thoughtless, crude,
unimaginative, inarticulate, and dull. Indeed such things are sometimes
true of us all. But not always, in every way. My effort here is to offer an
image of the activity of law by which we can shape our efforts as we
practice or teach it, an image, over the horizon, as it were, which we can
keep before us as we do our work: a sense of how things might be if only
we could make them so.
Every case, every legal conversation, is an opportunity to exercise
the lawyer’s complex art of mind and imagination. This art is what we
teach, what we practice, and what we cherish.
In calling what the lawyer and judge engage in an art, I have in
mind the thought that all art—whether music or painting or architecture
or poetry or drama—proceeds by way of tension and resolution: a
conflict is stated or hinted at or felt; the tension between opposing
elements is developed and expanded; and at the end a resolution is
reached—but never a final resolution, only a momentary one. When one
poem or sonata is finished, another is to be begun, and so it is with legal
argument and legal judgment. The aim of the lawyer, as for the poet, to
quote Robert Frost, is “a clarification of life”—“not such a clarification
as sects and cults are founded on, but a momentary stay against
confusion.”
The tensions I have been defining are not, then, as some might
say, simply “noise in the system,” but the life of the law itself.
If I am right, what I am saying here has real consequences: for the
sort of education that we offer, which should invite the student to
engage in the art I describe, not learn law as a set of rules; for the ethical
and intellectual possibilities of the lawyer’s life, which can be seen to be
far more interesting, challenging, and ethically alive, than the view of the
lawyer as rule-applier; for the expectations that judges can bring to their
work and for the ways in which evaluate what they do—not simply by
political agreement or disagreement with the outcome, but by judging
21
ISAIDAT LAW REVIEW
1-2010
their work as performances of an art, the art of reconciling the ideal and
the real.
This vision of the law is an old-fashioned one, going back to the
roots of legal thought in the west, in the study and practice of the art of
rhetoric; at its heart it is a vision of law as an art, an art of language and
judgment, an art of the maintenance and repair of human community.
I have been resisting an image of law as rules and policy, but
behind those things is a deeper vision: of law as abstract, mechanical,
impersonal, essentially bureaucratic in nature, narrowing rather than
broadening human experience, understanding, and empathy. To focus on
the law as a system, and not on what happens when that system meets
the world, and the people of the world, is to strip it of its difficulty, its
life, its meaning, and its value.
At this moment, the law comes fully alive, and it contains within it
the seeds of resistance to the forces of mindless empire and control, for
every case is an opportunity for newness of thought, for creativity and
surprise, for the introduction into the world of power an unrecognized
voice, language, or claim.
In the moment of speech, or writing, there is always the possibility
that one can bring the world into new life.
22
LAW & LITERATURE E DIRITTO
COMPARATO:
A PROPOSITO DELL’OPERA DI JAMES BOYD
WHITE
BARBARA POZZO *
Le Stresa Lectures sono un appuntamento importante dedicato a protagonisti del pensiero
giuridico contemporaneo. Quest’anno la lecture è stata tenuta uno dei più insigni esponenti del
movimento di Law and Literature, James Boyd White. Si pubblica di seguito l’introduzione alla sua
opera apparsa in italiano con il titolo Quando le parole perdono il loro significato per la serie
Giuristi stranieri d’oggi, diretta da Cosimo Marco Mazzoni e da Vincenzo Varano.
James Boyd White 1 è autore di una produzione molto vasta 2 ,
considerata all'origine del Rinascimento che il movimento di Law and
Literature ha vissuto negli Stati Uniti a partire dagli anni '70 del secolo
scorso 3 .
Le Stresa Lectures, come ogni anno, sono state organizzate dal collega e amico Alberto
M. Musy e da Corridoi Atlantici. La conferenza di James Boyd White, tenuta il giorno 7
giugno 2010, è stata presentata da Barbara Pozzo e da Anthony Marasco.
1 James Boyd White è stato Hart Wright Professor of Law nell’ Università di Michigan,
nonché Professore di Lingua e Letterature Inglese e di professore aggiunto di Classical
Studies.
2 Principle and Practice of Legal Expression, Chicago, Chicago University Press, 1972; The
Legal Imagination: Studies in the Nature of Legal Thought and Expression, Boston Mass., Little,
Brown and Co., 1973; Law as Language: Reading Law and Reading Literature, in 60 Texas
Law Review (1982), 415 ss; The Study of Law as an Intellectual Activity, in 32 Journal of
Legal Education (1982), 61 ss.; When Words Loose their Meaning, Constitutions and
Reconstitutions of Language, Character and Community, Chicago, Chicago University Press,
1984; Heracles' Bow: Essays on the Rhetoric and Poetics of the Law, Madison, University of
Wisconsin Press, 1985; Law as Rhetoric, Rhetoric as Law. The Arts of Cultural and Communal
Life, in 52 University of Chicago Law Review (1985), p. 684 ss.; Doctrine in a Vacuum:
Reflections on What a Law School Ought (and Ought Not) To Be, in 36 Journal of Legal
Education 1986, p 155 ss; What can a Lawyer learn from Literature? in 102 Harvard Law
Review 1989, 2015 ss.; Justice as Translation. An Essay in Culture and Legal Criticism,
Chicago, Chicago University Press, 1990; The Legal Imagination and the Beginning of Modern
Law and Literature, in Teaching Law Through the Looking Glass of Literature, Pozzo (ed.)
Stämpfli Verlag, Bern, 2010, p. 16.
3 Il primo a parlare di un rinascimento nel movimento di Law and Literature fu J.A.
Smith, The Coming Renaissance of Law and Literature, in 30 Journal of Legal Education (1979),
13 ss.
*
23
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
Dopo i primi passi del movimento compiuti agli inizi del '900, con
le opere di Wigmore 4 e Cardozo 5 , due filoni di analisi e di indagine erano
andati affermandosi: quello più propriamente di Law in Literature, volto
a mettere in luce gli aspetti del diritto che più sono stati presi in
considerazione dalla letteratura e quello di Law as Literature, ove il
quesito che viene posto è se il testo giuridico possa essere studiato ed
interpretato con l'ausilio degli strumenti ermeneutici messi a punto dalla
critica letteraria.
Il successo di tale movimento venne – almeno in parte – posto in
ombra verso la metà del secolo scorso dall'illusione di poter recidere i
legami che da secoli univano il sapere giuridico alle lettere e alla retorica.
White fornisce una spiegazione a questo fenomeno, richiamando il
clima intellettuale che si era venuto instaurando alla metà del secolo
scorso, con l’affermarsi dell’illusione che non vi fossero connessioni tra il
diritto e gli altri linguaggi, o – più in generale – con il sapere umanistico.
Questa “cecità nei confronti dell’ovvio” fu prodotto dalla convergenza di
una serie di fattori diversi: l’imporsi all’interno della filosofia di un
positivismo logico che attribuiva significato a solo ciò che era
sperimentabile empiricamente; la più ampia visione che le scienze
avessero messo nell’ombra le altre forme di pensiero; il diffuso desiderio
- in momenti di difficili equilibri internazionali - di affermare la
“mascolinità” della scienza contro la percepita “femminilità” degli studi
umanistici; ed infine l’imporsi delle scienze sociali nel mondo del diritto,
prima nella forma della sociologia e della psicologia, poi dell’economia 6 .
E' con l’opera di White The Legal Imagination: Studies in the Nature of
Legal Thought and Expression 7 , apparso per la prima volta nel 1973, che si
assiste alla rinascita di un interesse sempre più vivace per la ricerca in
questo campo, volto a mettere in evidenza gli stretti legami tra il diritto,
le sue regole e il suo linguaggio, con il sistema di valori circostante, il
contesto culturale e sociale in cui essi operano.
Il riconoscimento della centralità e dell'importanza di J.B. White
appare indiscusso all'interno di quel dibattito culturale sull'educazione del
J.H. Wigmore, A List of Legal Novels, 2 Ill. L. R. 574 (1907-1908); Id., A List of 100
Legal Novels, 17 Ill. L. R. 26 1922-1923.
5 B. N. Cardozo, Law and Literature and Other Essays and Addresses (1931).
6 J.B. White, The Legal Imagination and the Beginning of Modern Law and Literature, in Teaching
Law Through the Looking Glass of Literature, Pozzo (ed.) Stämpfli Verlag, Bern, 2010, p. 16.
7 J.B. White, The Legal Imagination: Studies in the Nature of Legal Thought and Expression,
Boston Mass., Little, Brown and Co., 1973.
4
24
B. POZZO : LAW & LITERATURE E DIRITTO COMPARATO
giurista negli Stati Uniti e sul ruolo che la letteratura potrebbe svolgere
nell'offrire nuovi strumenti di analisi critica del fenomeno giuridico 8 .
The Legal Imagination contiene una raccolta selezionata di brani tratti
da opere letterarie, così come da sentenze e testi di legge, che White
analizza al fine di mettere in luce come il diritto debba essere considerato
parte integrante di un “sistema” culturale, cui il giurista deve fare
continuo riferimento per attribuire un significato alle parole con cui
opera.
Chiara appare la critica ad un modello di formazione che
sembrerebbe avere reciso i legami tra diritto e cultura, legami che fino ai
tempi di Felix Frankfurter, giudice alla Corte Suprema tra il 1939 e il
1962, sembravano invece essere stati assai solidi. In un suo recente
scritto White ricorda 9 , infatti, a guisa di aneddoto, come Frankfurter al
giovane Paul, dodicenne con l'ambizione di diventare avvocato desse i
seguenti consigli:
Mio Caro Paul,
Nessuno può considerarsi un giurista veramente competente se non è un uomo
di cultura. Se fossi in Te, dimenticherei qualsiasi preparazione tecnica per quanto
concerne il diritto.
Il miglior modo per studiare il diritto è quello di giungere a tale studio come
una persona già ben istruita. Solo così si può acquisire la capacità di usare la lingua
inglese, scritta ed orale, ed avere un metodo di pensiero chiaro, che solo una educazione
genuinamente liberale possono conferire.
Per un giurista non è meno importante coltivare le facoltà immaginative
leggendo poesia, ammirando grandi quadri, nell’originale o in riproduzioni facilmente
accessibili, ascoltando grande musica. Rifornisci la tua mente di tante buone letture, e
amplia e approfondisci i Tuoi sentimenti sperimentando indirettamente ed il più
possibile i magnifici misteri dell’universo, e dimenticati della tua futura carriera.
Con i miei migliori auguri,
Cordialmente,
Felix Frankfurter 10
8
Cfr. ad esempio R. Weisberg, Coming of Age Some More: 'Law and Literature' Beyond the
Cradle, in 13 Nova Law Revue (1988), p. 107 ss, in particolare p. 110 s. Cfr. nello stesso
senso M. Camilleri, Lesson in Law from Literature: A Look at the Movement and a Peer at her
Jury, in 39 Cath. U.L. Rev. 557, 1989-1990. Infine cfr. R.A. Posner, Law and Literature.
Revised and enlarged Edition, Cambridge, Harvard University Press, 1998, p. 4.
9
L'episodio è ricordato da J.B. White in The Legal Imagination and the Beginning of Modern
Law and Literature, in Teaching Law Through the Looking Glass of Literature, Pozzo (ed.),
Stämpfli Verlag, Bern, 2010, p. 15.
10
Felix Frankfurter, Lettera a Paul Claussen, Jr., in The Law as Literature, E. London
(ed.) (New York: Simon and Schuster, 1960), p. 725.
25
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
Nel contesto nordamericano il riferimento ai contributi che
possono essere attinti dalla letteratura, ed in particolare dalle legal
novels 11 , appare dunque una risposta alle supposte inadeguatezze
dell’educazione giuridica fornita dalle facoltà giuridiche 12 , persino dalle
migliori 13 .
Dai primi articoli di Wigmore 14 , agli scritti di Benjamin Nathan
Cardozo 15 , alle più recenti pubblicazioni 16 , è possibile rintracciare le
radici dell'interesse dei giuristi americani per questo settore di indagine 17 .
L'opera di White in questo contesto presenta il diritto come forma
di retorica, attraverso la quale la comunità e la cultura vengono
affermate, mantenute e trasformate 18 .
Con When words loose their meaning, apparso in inglese nel 1984 e appena
tradotto in italiano 19 , White prospetta un nuovo modo di leggere che si
propone di mettere in evidenza la particolare essenza del diritto, come
forma letteraria e retorica. L'Iliade, la Storia di Tucidide, il Gorgia di
11
F.J. Loesch, Is acquaintance with Legal Novels Essential To a Lawyer? in 5 Tenn. L.Rev. 133,
1926-1927; W. H. Hitchler, The Reading of Lawyers, in 33 Dickinson Law Review 1, 1928;
Lord Justice Birkett, Law and Literature: The Equipment of the Lawyer, in 36 A.B A J. 891,
1950.
12
Cfr. M. Camilleri, Lesson in Law from Literature: A Look at the Movement and a Peer at her
Jury, cit.; C. A. Reich, Toward the Humanistic Study of Law, in 74 Yale L.J. 1402, 1964-1965.
13
Un altro episodio ricordato da J.B.White è infatti il seguente: “On another perhaps
apocryphal occasion, Frankfurter made reference to a history book by Zimmern in conversation with a
clerk, and when the clerk professed ignorance of it, he said: “What? You went to Harvard Law
School, and you do not know Zimmern’s Greek Commonwealth?” Perhaps needless to say, no one on
the present Supreme Court would have such expectations of a Harvard Law School graduate”. Cfr.
J.B.White in The Legal Imagination and the Beginning of Modern Law and Literature, cit., p. 15.
14
Sull'opera di Wigmore cfr. R. H. Weisberg, Wigmore’s “Legal Novels” revisited: New
Resources for the Expansive Lawyer, in 71 Nw. U. L. Rev. 17 1976; R. H. Weisberg and K. L.
Kretschman, Wigmore’s “Legal Novels” Expanded: A Collaborative Effort, in 7 Md. L. F. 94
1977-1978.
15
B. N. Cardozo, Law and Literature and Other Essays and Addresses (1931).
16
Cfr. E. M. Abramson, Law, Humanities, and the Hinterlands, 30 Journal of Legal Education,
1979, pp.27-42, che tra i primi chiedeva di arricchire i i curricula delle Law Schools,
ricomprendendo un approccio più interdisciplinare.
17
Una interessante ricostruzione della storia del movimento negli Stati Uniti e nei
principale contesti nazionali europei è quella di A. Sansone, Diritto e Letteratura,
Un'introduzione Generale, Milano, 2001; M.P. Mittica, Diritto e letteratura in Italia. Stato
dell’arte e riflessioni sul metodo, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2009, 273 ss.
18
J.B.White, Law as Rhetoric, Rhetoric as Law. The Arts of Cultural and Communal Life, cit.,
684.
19 Quando le parole perdono il loro significato. Linguaggio, individuo, comunità, traduzione di R.
Casertano, presentazione di Barbara Pozzo, nella Collana: Giuristi Stranieri di Oggi, a
cura di C.M. Mazzoni e V.Varano, Giuffrè, 2010.
26
B. POZZO : LAW & LITERATURE E DIRITTO COMPARATO
Platone, la Favola della Botte di Swift, i Saggi apparsi sul Rambler di
Johnson, Emma di Jane Austen e le Riflessioni di Burke, vengono riletti con la compartecipazione interattiva del lettore - al fine di affermare una
diversa concezione del diritto, come strettamente connesso al linguaggio
ed ai valori espressi dalla società in cui si afferma e di cui è espressione.
L'Autore chiede al suo lettore di leggere questi testi con una
“partecipazione immaginaria”, in modo “innovativo e partecipe”, al fine
di “dare un senso al rapporto che intercorre tra chi parla ed il tessuto
connettivo della sua cultura e di riuscire a sperimentare dall’interno, con
la dimestichezza dell’artigiano, anche se in modo fugace e sperimentale,
la vitalità del linguaggio che crea un mondo”.
White ritiene che tale sia lo sforzo che si chiede anche agli studenti
delle facoltà giuridiche americane, chiamati ad analizzare i casi
giurisprudenziali, che devono rivivere con la loro immaginazione
l’esperienza delle parti e degli avvocati, ponendosi delle domande in
ordine ai motivi che hanno spinto ad una determinata scelta in luogo di
un’altra, a come si sarebbero comportati trovandosi in quella situazione
e a come avrebbero illustrato le proprie ragioni.
Così come si può leggere l'Iliade con una partecipazione
immaginaria, allo stesso modo per comprendere un caso, “il metodo
corretto è quello di discuterlo nella propria mente, valutando
accuratamente gli strumenti a disposizione di entrambe le parti per
proporre le azioni ed i rimedi d’appello, l’insieme dei quali costituisce
quello che noi chiamiamo diritto”.
L'Autore tornerà sul rapporto diritto e linguaggio, affrontando i
temi della traduzione nella sua successiva opera: Justice as Translation. An
Essay in Culture and Legal Criticism 20 .
Il successo delle opere di White e dell'intero movimento di Law
and Literature negli Stati Uniti è evidenziato dall'organizzazione di vari
Convegni 21 e dall'introduzione di corsi curriculari nella facoltà
Cit., nota 1.
21 Vedi ad esempio il Symposium organizzato dalla Rutgers Law School e pubblicato
nella Rutgers Law Review nel 1979: H. Leventhal, Law and Literature: A Preface, 32
Rutgers L. Rev. 603 (1979); J.S. Koffler, Capital in Hell: Dante’s Lesson on Usury, 32
Rutgers L. Rev. 608 (1979); J.A. Smith, Job and the Anguish of the Legal Profession: an
Example of Relationship of Literature, Law and Justice, 32 Rutgers L. Rev. 661 (1979); K.S.
Abraham, Statutory Interpretation and Literary Theory: some Common Concerns of an Unlikely
Pair, 32 Rutgers L. Rev. 676 (1979); D. Martin, The Lawyer as Friend, 32 Rutgers L. Rev.
695 (1979); T. Carbonneau, Balzacian Legality, 32 Rutgers L. Rev. 719 (1979), H.
Suretsky, Search for a Theory: An Annotated Bibliography of Writings on the Relation of Law to
Literature and the Humanities, 32 Rutgers L. Rev. 727 (1979); Confronta inoltre il
Symposium organizzato dalla Texas Law Review e pubblicato nel numero 3 del volume
60, del marzo 1982. S. Levinson, Law as Literature, 60 Texas Law Review 373 (1982); G.
20
27
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
giuridiche 22 . Da ultimo, il movimento ha cominciato a riscuotere un
certo successo anche nelle università europee 23 .
Le ragioni di tale interesse dovrebbero apparire evidenti, essendo la
questione dell'efficacia degli strumenti didattici e della formazione degli
studenti sempre all'ordine del giorno. Il riferimento non è – ovviamente solo alle facoltà giuridiche, ma anche e soprattutto ai corsi di laurea in
Lettere e in Scienze della Mediazione Interlinguistica e Interculturale,
dove sono attivati corsi in materie giuridiche.
Certo, sarebbe difficile dire del sistema educativo dell'Italia, quanto
ha affermato J.B. White per l'educazione del giurista negli Stati Uniti,
ossia che “l’educazione giuridica consista soprattutto nell’apprendere le
regole” 24 .
L'insegnamento nelle facoltà giuridiche in Italia ha infatti sempre
previsto corsi di storia e di filosofia, mentre il ruolo del diritto comparato
sembra essersi affermato come di fondamentale importanza nel fornire
agli studenti nuovi strumenti critici nell'analisi del fenomeno giuridico.
Come comparatista vorrei sottolineare la sfida che costantemente
si incontra nel fornire agli studenti un messaggio efficace, al fine di far
loro comprendere le differenze esistenti tra sistemi giuridici e culture
giuridiche. 25
Ciò è vero nel caso in cui lo scopo che ci si propone è quello di
introdurre gli studenti italiani al mondo di common law e alla particolare
mentalità dei giuristi che lo rappresentano.
A titolo di esempio, l’esistenza di due differenti giurisdizioni, quella
delle Corti di Westminster e quella di Equity, i rapporti tra le stesse, la
disputa avvenuta ai tempi degli Stuart, fino alle grandi Riforme attuate
nel XIX secolo con i Judicature Acts, sono tutti argomenti che vengono
ampiamente illustrati da tutti i grandi manuali di diritto comparato.
Ma - come ho appena sperimentato – al fine di esemplificare la
grande crisi del sistema giudiziario inglese agli inizi del 1800, derivante in
gran parte dalla compresenza delle due giurisdizioni, non c’ è niente di
Graff, "Keep off the Grass," "Drop Dead," and Other Indeterminacies: A Response to Sanford
Levinson, 60 Texas Law Review 373 (1982); S. Fish, Interpretation and the Pluralist Vision,
60 Texas Law Review 495 (1982); G.E. White, The Text, Interpretation, and Critical
Standards, 60 Texas Law Review 495 (1982).
22
Cfr. M. Camilleri, Lesson in Law from Literature: A Look at the Movement and a Peer at her
Jury, cit., in particolare nota 3, dove viene presentato un elenco delle università che
hanno introdotto corsi curriculari di law and literature.
23
J. Gaakeer, Law and Literature in Europe: a First Pragmatic Inquiry.
24
Cfr. J.B. White, The “Legal Imagination” and the Beginning of Modern Law and Literature,
cit., p. 11.
25
Si veda M. Graziadei, Comparative (Law and) Literature, in Teaching Law Through the
Looking Glass of Literature, cit.
28
B. POZZO : LAW & LITERATURE E DIRITTO COMPARATO
più efficace di qualche pagina di Casa Desolata (Bleak House) di Charles
Dickens.
La descrizione che Dickens ci presenta della causa Jarndyce contro
Jarndyce, più di qualsiasi spiegazione tecnica, è in grado di introdurre lo
studente nella giusta atmosfera in cui si è consumata la crisi tra la
giurisdizione di Common Law e quella di Equity, facendogli
comprendere quale fosse l’impatto che aveva - in concreto - sulla società
e sulla vita delle persone.
Nelle parole di Charles Dickens:
“Jarndyce contro Jarndyce si trascina da anni. Questo processo spauracchio è
diventato, col tempo, così complicato che nessuno sa più cosa significhi. Le parti
interessate lo capiscono anche meno; ma è stato osservato che neppure due legali della
Corte riescono a parlarne per cinque minuti senza trovarsi in completo disaccordo sulle
premesse. Innumerevoli bambini sono nati nel corso della causa; innumerevoli giovani
si sono sposati; innumerevoli vecchi sono morti; dozzine di persone si sono trovate
stranamente coinvolte nel processo Jarndyce contro Jarndyce, senza sapere come o
perché; famiglie intere hanno, con quella causa, ereditato un odio leggendario. Il piccolo
attore, o convenuto, al quale fu promesso un cavallo a dondolo, quando si fosse
conclusa la causa Jarndyce contro Jarndyce, è cresciuto, è divenuto padrone di un
cavallo vero e se ne è andato al galoppo all’altro mondo. Leggiadre pupille della Corte
sono sfiorite diventando mamme e nonne; una lunga serie di Lord Cancellieri è
apparsa e sparita; la legione dei certificati della causa si è trasformata in un insieme di
semplici certificati di morte; forse non ci sono al mondo tre Jarndyce superstiti da
quando il vecchio Tom Jarndyce si fece saltare disperato le cervella in un caffè di
Chancery Lane; ma la causa Jarndyce contro Jarndyce si trascina ancora davanti alla
corte nella propria triste lungaggine, in eterno e senza speranza” 26.
Con il racconto di Charles Dickens gli studenti sono in grado di
comprendere la situazione delle istituzioni giudiziarie inglesi nel XIX
secolo e la crisi della loro credibilità in un modo meno astratto, perché
diventano intimi dei personaggi ritratti e possono sentire l’impatto che il
diritto può avere sulla società e sulla cultura 27 .
In questa prospettiva è più attraverso il linguaggio della letteratura,
che attraverso il linguaggio del diritto, che possiamo essere messi in
grado di capire profondamente la considerazione che la società
attribuisce ai giuristi e all’idea di giustizia 28 .
26
Charles Dickens, Casa Desolata, Einaudi, Torino, 1995, traduzione di A. Negro, p. 10;
Bleak House, Penguin Classics, London, 1985, p.6.
27
Sui contributi di Dickens cfr. W.S. Holsworth, Charles Dickens as a Legal Historian,
1928, Yale University Press.
28
Cfr. John M. Gest, The Lawyer in literature, London, 1913.
29
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
Gli esempi possono moltiplicarsi.
C’è una famosa citazione che riprende un’opera di François
Guillaume Andrieux, un autore famoso dell’Ancien Régime, che aveva
ricevuto un’educazione come giurista.
Il poema racconta in particolare la storia di Federico il Grande di
Prussia, che voleva ampliare i suoi possedimenti e chiese quindi al
Mugnaio di Sains Souci, di vendergli i suoi terreni.
Dopo aver ricevuto un secco rifiuto dal Mugnaio, Federico lo
minacciò di espropriarlo, ma il suo suddito gli replicò in modo assai
fiero: “Il y a des juges à Berlin”.
Dovendosi confrontare con la fiducia che il suo suddito aveva nei
suoi giudici, Federico preferì rinunciare ai suoi progetti. Il poema rimase
a lungo l’emblema di un Sovrano Illuminato e fu sempre citato in
francese, anche dai tedeschi.
La reputazione dei giuristi, e degli avvocati più in particolare, non è
sempre stata quella che brillava sotto Federico il Grande, nemmeno nella
stessa Germania, dove Martin Lutero parlava dei giuristi come di cattivi
Cristiani: “Juristen sind böse Christen”.
E come dimenticarsi della descrizione dell'Azzeccagarbugli fatta da
Agnese ne I Promessi Sposi:
“Non bisogna poi spaventarsi tanto: il diavolo non è brutto quanto si dipinge.
A noi poverelli le matasse paion più imbrogliate, perché non sappiamo trovare il
bandolo; ma alle volte un parere, una parolina d'un uomo che abbia studiato...so ben
io quel che voglio dire. Fate a mio modo, Renzo; andate a Lecco; cercate del dottor
Azzeccagarbugli, raccontategli...Ma non lo chiamate così, per amor del cielo: è un
soprannome. Bisogna dire il signor dottor...Come si chiama, ora? Oh to'! non lo so il
nome vero: lo chiaman tutti a quel modo. Basta, cercate di quel dottore alto, asciutto,
pelato, col naso rosso, e una voglia di lampone sulla guancia” 29 .
Gli esempi potrebbero continuare all'infinito 30 . Mi si lasci qui
semplicemente dire che attraverso la letteratura possiamo avere una
visione del ruolo dei giuristi e degli avvocati all’interno della società più
reale, perché più sentita.
Ciò è vero per quanto concerne i sistemi che appartengono alla
Western Legal Tradition, ma è a maggior ragion vero per quei sistemi che
implicano il richiamo a valori profondamente radicati nella società e in
29
Da I Promessi Sposi, Storia Milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro
Manzoni, edizione riveduta dall'Autore, Milano, Dalla Tipografia Guglielmini e Redaelli,
1840, pp. 49-50.
30
Cfr. F. Ost, The Law as Mirrored in Literature, in Teaching Law through the Looking Glass
of Literature, cit., p. 39.
30
B. POZZO : LAW & LITERATURE E DIRITTO COMPARATO
una diversa concezione delle regole. La letteratura può fornire un valido
strumento per analizzare l’impatto sociale di alcuni istituti giuridici, che
possono essere difficili da comprendere nella prospettiva del giurista
occidentale.
In altre parole, è il racconto che può permettere una migliore
prospettiva critica di sistemi giuridici che non appartengono alla Western
Legal Tradition, in cui è lo stesso ruolo del diritto e della legge che
possono essere intesi in modo differente.
In quest’ottica la lettura di alcune novella ci aiuta nella
comprensione del legal process in cui certe istituzioni sono collocate, e che
può essere alquanto diverso da quello conosciuto nelle democrazie
occidentali.
Quando si affronta la complessità di sistemi giuridici come
l'India 31 , la Cina 32 , o qualsiasi sistema del continente africano, dove la
norma è costituita da diversi formanti: quello tradizionale, quello
31
Si veda ad esempio la novella di V. Seth, A Suitable Boy, Harper Collins, UK,
1993;trad. it. Il ragazzo giusto, di L. Pernia, Tea, Milano, 2005, che illustra il tema delle
riforme che portarono all’abolizione del sistema dello zamindari nell’India postindipendendista. Sul tema mi sia permesso di rinviare B. Pozzo, A Suitable Boy and the
Abolition of Feudalism in India, in Teaching Law Through the Looking Glass of Literature, cit.
Cfr. inoltre B. Sidwa, Water, Milkweed Editions, U.S., trad it. di V. Giacobbo Acqua,
Neri Pozza, Milano, 2006, che narra la storia di una vedova bambina nell’India di
Gandhi. Il racconto della Sidhwa tratta più in generale della tragica situazione delle
vedove in India, nonostante le riforme legislative introdotte dagli Inglesi, volte a
incoraggiare il secondo matrimonio delle vedove in contrasto con le regole tradizionali
indiane. Della stessa Autrice cfr. anche la novella Cracking India, Milkweed Editions,
U.S., 1991, trad. it. di L- Pugliese, La spartizione del cuore, Neri Pozza, Milano, 2003.
32 Un racconto magistrale a questo proposito è La moglie di Wan va in tribunale, Roma –
Napoli, Ed. Theoria, 1992, traduzione del romanzo Wan jia su song di Chen Yuanbin,
che narra la storia di Qiu Ju e delle sue esperienze attraverso le diverse fasi del giudizio.
Il racconto è allo stesso tempo una esemplificazione della contrapposizione tra giustizia
formale e giustizia tradizionale. Dal racconto il film di Zhang Yimou: “La storia di Qiu
Ju”. Si pensi inoltre all’opera di Lu Xun, La vera storia di Ah Q, pubblicata in Italia da
Demetra Giunti, Firenze, 1994. Il racconto è un a satira amara e impietosa dei vizi
dell’uomo comune nella Cina pre- e postrivoluzionaria del 1911/12 . E’ la storia di un
antieroe, vittima delle proprie illusioni di grandezza, che si conclude con la sua
esecuzione di fronte a un’improvvisata giuria militare/rivoluzionaria, che pare poco più
di una brutta copia del processo imperiale. Interessante appare inoltre tutto il filone del
legal thriller alla cinese, ed in particolare i casi del giudice Bao. Bao Zheng, realmente
esistito, nato nel 999 d.C. e nominato magistrato dopo aver superato gli esami di
distretto nel 1027 (din. Song, 960-1279) – è divenuto il protagonista di racconti popolari
e novelle, queste ultime composte soprattutto durante la dinastia Ming (1368-1644) da
autori rimasti sconosciuti. Si veda a questo proposito Anonimo, I casi del giudice Bao,
Roma, Bagatto Libri, pp. 83-86, trad. it. di G Bertuccioli, che si basa per la sua
traduzione su FENG Buyi, 1985, Bao Gong An [“I casi del giudice Bao”], Beijing,
Baowentang chubanshe.
31
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
religioso, quello del periodo coloniale e quello del legislatore moderno,
l'analisi richiede una conoscenza profonda dei valori che possono essere
svelati dalla letteratura che si è occupata delle storie degli uomini e delle
donne che tali valori hanno vissuto, sopportato, combattuto.
Se uno dei compiti dell'indagine comparatistica è quello di non
limitarsi al dato positivo, ma di capire la law in action, i messaggi che ci
provengono dalla letteratura possono aiutarci ad ampliare le nostre
prospettive 33 .
La potenzialità della letteratura deriva dalla sua capacità di farci
capire intimamente il punto di vista di un altro individuo 34 .
Infine, non bisogna dimenticare
che qualsiasi analisi
comparatistica implica un'opera di traduzione e di interpretazione 35 , che
deve prendere in considerazione sia gli elementi scritti così come quelli
non scritti del diritto 36 .
Salman Rushdie una volta suggerì nel suo romanzo Shame che per
comprendere una cultura ci si dovrebbe concentrare sui suoi termini non
traducibili 37 .
Anche in questa prospettiva l'opera di White potrebbe aiutarci a
comprendere le relazioni tra diritto e lingua, diritto e cultura, diritto e
società, e a scoprire i valori più profondi che si celano dietro il velo del
diritto 38 .
33
Su questi temi il riferimento d’obbligo è a R. Sacco, Introduzione al diritto comparato,
Utet, Torino, 1992.
34
Cfr. Camilleri, cit., p. 564 e Pozzo, A Suitable Boy, cit, p. 94.
35
Sul problema della traduzione giuridica cfr. R. Sacco, in Language and Law, in Ordinary
Language and Legal Language, B. Pozzo (a cura di), Giuffrè, Milan, 2005, p. 1; Id., Langue
et droit, in Rapports nationaux italiens au XVéme Congres International de Droit Comparé. Bristol,
1998, Milano, 1998 ; Id., La traduction juridique. Un point de vue italien, in Cahiers de droit 28,
845 (1987). Cfr. inoltre Witteven, Lost in Translation, in Teaching Law Through the Looking
Glass of Literature, cit.
36
R. Sacco, Il diritto muto, in Rivista di diritto civile, 1993, p. 689 ss. Cfr. inoltre D.J.
Gerber, Authority Heuristics: Language and Trans-system knowledge, in Ordinary Language and
Legal Language, cit., p. 41 ss.; V. G. Curran, Comparative Law and Language, in The Oxford
Handbook of Comparative Law, R. Zimmermann and M. Reimann (a cura di), Oxford
University Press, Oxford, 2008, 675.
37
B. Pozzo, Lost and Found in Translation, in Les Frontières avancées du savoir du juriste: la
traductologie et l’antropologie juridique, Bruylant, Bruxelles, 2011, p. 153.
38
J.B. White, Translation as a way of understanding the language of law, in Ordinary language and
Legal Language, cit., p.61.
32
L’INCONTRO MANCATO DEI CIVILISTI
FRANCESI CON IL REALISMO GIURIDICO: UN
ESERCIZIO DI LETTURA COMPARATA*
CHRISTOPHE JAMIN**
SOMMARIO : 1. Il “momento 1900” nel diritto civile. - 2. La proposta da
Saleilles: sottoporre i giudici alle costruzioni dottrinali. - 3. Demogue o dell’incapacità
delle costruzioni dottrinali di addomesticare l’onnipotenza degli interpreti. - 4. Ripert o
della necessità politica di promuovere principi e costruzioni dottrinali.
« …il faut partir des faits,
mais pour s’élever à la construction juridique »***
La storia del pensiero giuridico contemporaneo nasconde un
curioso paradosso. Molti autori individuano una certa qual parentela fra il
Realismo giuridico americano 1 ed i lavori di alcuni civilisti francesi attivi
tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo 2 ; tuttavia, come è noto, quegli
stessi civilisti hanno deliberatamente voltato la schiena al Realismo nel
momento in cui questo prendeva piede sul continente.
Cosa ha determinato, in quel cruciale periodo che è costituito dagli
anni 1880-1930, i civilisti francesi a rifiutare di cedere ai tormenti del
Realismo, nonostante la presenza di alcuni fattori che li avrebbero potuti
condurre ad attivare un movimento identico a quello dei loro omologhi
statunitensi ? In altri termini, cosa ha indotto i civilisti francesi ad
astenersi dal contestare radicalmente il metodo di “interpretazione
classica” che Gény aveva identificato nel suo Méthode d’interpretation et
sources en droit positif français 3 ? E ciò non tanto per sostituire ad esso un
Traduzione di Gianmaria Ajani. Il presente saggio è destinato ad apparire nella rivista
Droits, 2010
** Directeur de l’Ecole de Droit de Sciences Po
*** J. Carbonnier, Le Régime matrimonial, sa nature juridique sous le rapport des notions de société
et d’association, thèse de doctorat, Bordeaux, 1933 (Jean Carbonnier – Ecrits, PUF, 1 ed.,
2008, p. 54).
1 A proposito del quale, in una letteratura particolarmente abbondante, si veda il
classico : W. W. Fisher III, M. J. Horwitz, T. A. Reed (cur.), American Legal Realism,
Oxford UP, 1993.
2 Cfr.: F. Schauer, Thinking like a Lawyer, Harvard UP, 2009, pp. 124-125.
3 F. Gény, Méthode d’interprétation et sources en droit privé positif – Essai critique, ChevalierMarescq, 1899, pp. 15-52.
*
33
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
sistema dottrinale organizzato, in quanto il Realismo fu un movimento di
reazione 4 , piuttosto che una vera scuola di pensiero, ma per rimettere in
discussione i fondamenti strutturali del pensiero giuridico dell’epoca, su
entrambe le sponde dell’Atlantico: la giurisprudenza dei concetti, la
devozione al sistema, il formalismo, etc.. Un movimento, il Realismo,
che pose in dubbio una serie di certezze profondamente condivise,
all’epoca, fra i giuristi: la naturalità delle categorie giuridiche,
l’impossibilità di relazionarsi ai fatti, se non dopo averli inquadrati entro
classificazioni giuridiche prestabilite 5 , la distinzione fra sfera pubblica e
privata, la coerenza interna e l’autonomia del diritto, la sua neutralità
assiologia o, ancora, poiché la lista è tutt’altro che completa, la sua
eventuale indeterminatezza 6 . Un movimento che permise di modificare
radicalmente le finalità dell’insegnamento del diritto 7 , e soprattutto favorì
il fiorire di una moltitudine di correnti di pensiero e di concezioni del
diritto, frequentemente opposte l’una all’altra 8 che, ad ogni buon conto,
hanno conosciuto e continuano a conoscere fortune diverse: dagli studi
di sociologia empirica 9 all’analisi economica del diritto 10 , passando per
una serie di correnti segnate da un approccio critico 11 .
Rispondere al quesito che ci siamo posti, circa il rifiuto dei civilisti
francesi di cedere ai tormenti del Realismo, di cui peraltro avrebbero
potuto essere i precursori, non è un semplice esercizio di ricerca erudita.
4 Gli storici concordano nel riconoscere tale qualificazione al movimento realista, il
quale ha rappresentato più una condizione dello spirito (a mood) che un movimento
intellettuale coerente, fatto, quest’ultimo, che peraltro non impedisce di tenerlo in
considerazione. Cfr., in tal senso, autori assai differenti tra loro come Morton J.
Horwitz (The Transformation of American Law, Oxford UP, t. I, 1992, pp. 172-192) e Neil
Duxbury (Patterns of American Jurisprudence, Oxford UP, 1995, pp. 65-159).
5 Sul tema, si veda la presentazione di Louis Assier-Andrieu alla traduzione dell’opera di
Karl N. Llewellyn et E. Adamson Hoebel : La voie Cheyenne, PUF, 1999, spec. p. XXV.
6 Vedi in particolare, T. Endicott, Vagueness in Law, Oxford UP, 2000, il quale distingue
fra « vagueness », che inerisce alla lingua, inclusa la lingua del diritto, e « indeterminacy »,
risultato della « vagueness » al momento dell’applicazione della regola ad un caso
specifico.
7 Cfr. le illuminanti osservazioni di Grant Gilmore , For Wesley Sturges: On the Teaching
and Study of Law, 72 Yale Law Journal (1962-1963), p. 646.
8 Cfr., ad es., la rinnovata difesa del formalismo ad opera di Ernest Weinrib, The Idea of
Private Law, Harvard UP, 1995.
9 Su cui si può leggere l’interessante lavoro di J. H. Schlegel, American Legal Realism &
Empirical Social Sciences, University of North Carolina Press, 1995. Vedi anche la
recensione a firma D. R. Ernst, « The Lost Law Professor », (1996) 26 Law and Social
Enquiry 967.
10 A titolo di introduzione storica si veda: N. Mercuro and S. G. Medema, Economics and
the Law, Princeton UP, 1997.
11 Ancora quale introduzione: M. Kelman, A Guide to Critical Legal Studies, Harvard UP,
1987; G. Minda, Postmodern Legal Movements, New York UP, 1995 .
34
C. JAMIN : L’INCONTRO MANCATO DEI CIVILISTI FRANCESI CON IL REALISMO
Se le cose fossero andate diversamente, la maggior parte della dottrina
oggi non si troverebbe a lamentare l’impotenza della dogmatica giuridica
nel costruire un diritto ordinato e coerente 12 . Quel quesito non sarebbe
così centrale, o quanto meno non ce lo porremmo nei medesimi termini.
Non ci affaticheremmo attorno alle teorie del realismo
sull’interpretazione: invece di essere percepite come tesi sovversive,
sarebbero entrate a far parte del nostro discorso comune. E quanto
all’analisi economica del diritto, non sarebbe affogata in fiumi di
inchiostro: invece di continuare ad interrogarci sulla sua pertinenza
rispetto alla ricerca giuridica, ci troveremmo probabilmente a ripensare
tutti i rapporti giuridici dal punto di vista della loro dimensione
economica. Per non dire della sociologia del diritto, che non sarebbe
stata praticata con scarso rigore prima di essere relegata ai margini dei
discorsi dottrinali 13 . In breve, noi avremmo potuto privilegiare altri
percorsi, rispetto a quelli strettamente legati alla sola “tecnologia
giuridica” 14 , che satura la ricerca sapiente (fino al punto di asfissiarla).
Avremmo così potuto aprirci, anche all’interno delle Facoltà di
giurisprudenza, ad una visione pluridisciplinare del diritto, rinunciando
alla inutile convinzione dell’autonomia del sapere giuridico rispetto alle
altre scienze sociali 15 . Avremmo, insomma, tagliato i ponti con una certa
Si veda , di recente, D. Bureau e N. Molfessis, « L’asphyxie doctrinale », Etudes à la
mémoire du professeur Bruno Oppetit, Litec, 2009, p. 45 ss.
13 A proposito della sociologia del diritto, cfr. il punto di vista di Liora Israël in L’arme
du droit (Presses de Sciences Po, 2009, p. 32) : « Riprendendo il solco dei primi lavori di
Carbonnier, emerge negli anni ’70 una nuova generazione di studiosi, interessati al
diritto in una prospettiva sociologica. La maggior parte di loro farà carriera al CNRS,
luogo più favorevole alla ricerca interdisciplinare dell’università francese».
14 P. Amselek, « L’interpellation actuelle de la réflexion philosophique par le droit »,
Droits, t. 4, 1986, p. 132, che la definisce come l’operazione di «disporre in modo
dogmatico le diverse regole giuridiche messe in vigore dai poteri pubblici, di stabilirne
una presentazione ordinata, sistematica, e coerente, provando a formulare commenti
interpretativi razionali e assennati alle disposizioni vigenti, esplicitandone tutta la
portata e le potenzialità, eliminando o riducendo i difetti apparenti, le oscurità, le
lacune, le contraddizioni, etc. ».
15 Ricordiamo le parole di Grant Gilmore in The Ages of American Law, Yale UP, 1977, p.
87, a proposito de « l’era dell’ansia», rappresentata dall’apparizione del Realismo: « At
the hands of the Realists, the slogan "law is a science" became law is a social science"
«… the Realists talked of economics and sociology not merely as allied disciplines but
as disciplines which were in some sense part and parcel of law ». Il che distingue il
Realismo statunitense dal discorso giuridico francese, che molto rapidamente ha
assegnato all’economia o alla sociologia il ruolo di scienze annesse, consentendo così al
diritto di mantenere la propria autonomia.
12
35
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
nostalgia del “tempo delle cattedrali” 16 , avremmo rinunciato a
sottoscrivere in massa una “apologia dei costruttori di sistema” 17 , che
non poteva avere altro risultato se non la glorificazione del diritto dei
manuali 18 . E quanto a coloro che non appartengono al mondo dei
giuristi, essi non ci percepirebbero, probabilmente, più come coloro che
“per la loro propria funzione… si limitano a razionalizzare situazioni di
fatto al fine di introdurvi una coerenza fondata su principi” 19 .
La nostra tradizione giuridica, in sintesi estrema, avrebbe potuto
essere bipartita.
L’interrogativo sul realismo e sul suo rifiuto merita, pertanto, di
essere posto. Si può allora ben essere tentati dal darvi risposta
riproponendo la lettura di alcuni autori rappresentativi. Un tale
approccio, peraltro, non può fornire tutti gli elementi necessari per
elaborare una teoria. Vi sono, pare evidente, altri modi di procedere:
interessarsi, ad esempio, all’importanza giocata dalle reti epistemiche 20 , o
interrogarsi sulle condizioni istituzionali di produzione del sapere
giuridico, il che ci porterebbe ad osservare con migliore attenzione
l’organizzazione fortemente centralizzata delle Facoltà di giurisprudenza
in Francia 21 , fino a toccare con mano quel tabù che è rappresentato dalle
procedure di reclutamento dei docenti. O, ancora, volendo restare sul
aderenti al metodo della rilettura, potremmo sicuramente estendere
l’attenzione firme più illustri a quella dottrina di “secondo rango” che ha
largamente contribuito a edificare il nostro diritto senza veramente essere
studiata. D’altronde, anche la scelta tra le “grandi firme” sconta ampi
margini di discrezionalità.
Assumerò questo rischio, soffermandomi su tre nomi che meglio
di altri si impongono, per le loro qualità, per così dire, “archetipiche”.Per
ordine di entrata in scena: Raymond Saleilles (1855-1912), René
Demogue (1872-1938) e Georges Ripert (1880-1958) 22 .
F. Burdeau, Histoire du droit administratif, PUF, 1995, p. 322, il quale considera, in
modo del tutto originale, le « grandi opere di sintesi » che, apparse a partire dagli anni
successivi al 1890, «hanno contribuito a nobilitare questa porzione del sapere giuridico».
17 J. Rivero, « Apologie pour les faiseurs de systèmes », D. 1951, Chron., p. 99.
18 J. Donzelot, L’invention du social, Le Seuil, 1994, p. 89.
19 Vedi in tal senso F. Audren et C. Fillon, « Louis Josserand ou la construction d’une
autorité doctrinale », RTDciv., 2009, p. 39 ss.
20 Cfr. J. Caillosse, « Quel droit administratif enseigner aujourd’hui ? », Revue administrative, n°
328, 2002, p. 461.
21 Sul rapporto fra competizione universitaria e innovazione giuridica vedi N. Garoupa
e T. S. Ulen, « The Market for Legal Innovation : Law and Economics in Europe and
the United States », Alabama Law Review 59.5 (2008) : 1555-1633.
22 Per indicazioni bibliografiche su tali autori: P. Arabeyre, J.-L. Halpérin e J. Krynen
(dir.), Dictionnaire historique des juristes français, PUF, 2007.
16
36
C. JAMIN : L’INCONTRO MANCATO DEI CIVILISTI FRANCESI CON IL REALISMO
Saleilles, la cui opera più significativa si sviluppa fra il 1890 e il
1910, apre il discorso. Più ancora di Gény, di cui è senza dubbio il suo
migliore allievo 23 , più ancora degli altri autori appartenenti alla galassia
riformista dell’epoca, Saleilles contribuisce a porre in questione i
postulati della dottrina classica. La sua ricerca, peraltro, si ferma: come
comprendendo il potenziale devastante della sua analisi, si adopera per
chiudere il vaso di Pandora e salvare il canone, così come aveva già
cominciato a fare Henri Capitant (la sua Introduction au droit, di ispirazione
pandettistica appariva nel 1898) 24 e Planiol (la prima edizione del suo
Traité elementaire du droit civil veniva pubblicata nel 1899).
Il secondo autore (Demogue), opera negli anni 1910-1930. Spetta a
lui segnalare ai suoi contemporanei che, una volta aperto, il vaso di
Pandora non poteva più essere richiuso, azione che gli varrà ben presto il
rimprovero di Gény di propagare uno “scoraggiante nichilismo” 25 ,
apprezzamento ampiamente condiviso che peraltro non influirà sulla sua
fama dottrinale, edificata a partire dalla distinzione fra obbligazioni di
mezzo e di risultato.
Il terzo autore chiude il ciclo, dominando – o, meglio, schiacciando
!- la civilistica francese negli anni fra il 1920 e il 1950. Anche Ripert ha
ben compreso che, una volta aperto, il famoso vaso non può più essere
richiuso, ma egli ritiene che sia necessario applicarsi molto seriamente
allo scopo, pur senza forse credere realmente nel successo dell’impresa.
Il che non significa certo che la sua opera sia di second’ordine : essa è, senza dubbio,
di importanza assoluta, non fosse altro per l’influenza che esercitò su più generazioni di
giuristi, sia privatisti che pubblicisti. Essa potrebbe d’altra parte essere studiata secondo
il punto di vista che ho qui suggerito, vale a dire l’importanza che ha finito per prendere
la tecnica giuridica in seguito alla presa di coscienza da parte dei civilisti dell’epoca del
fatto che la tentazione realista avrebbe inevitabilmente condotto a quello che essi
definirono “nichilismo giuridico”. (Cfr. infra, a proposito di Demogue). A questo
riguardo, il pensiero di Gény è emblematico (e vicino a quello di Saleilles): dopo aver
instillato il dubbio presso i suoi contemporanei nel 1899 (in Méthode d’interprétation et
sources en droit privé positif – Essai critique, cit.), egli consacra la seconda parte del sua opera
a « stimare il valore [dei] procedimenti di ricerca» dottrinali dell’epoca, in particolare «la
necessità di collegare le soluzioni di dettaglio a dei principi più elevati, e di
sistematizzare, nel costruirlo, l’ordine giuridico positivo del nostro tempo » (in Science et
technique en droit privé positif, Sirey, t. 1, 1915, n° 3, pp. 9-10).
24 Cfr. : D. Deroussin, « La pensée juridique de Henri Capitant », in N. Hakim et F.
Melleray (dir.), Le renouveau de la doctrine française – Les grands auteurs de la pensée juridique au
tournant du XXe siècle, Dalloz, 2009, spec. a p. 26, dove l’autore rileva che Henri Capitant
assegna alla dottrina « una funzione essenziale : organizzare la materia giuridica tramite
la formulazione di principi generali strutturanti, favorendo la costruzione di teorie».
25 F. Gény : Nouvelle revue historique de droit français et étranger 1911, p. 125, ivi la recensione
al saggio pubblicato nel medesimo anno da Demogue su Les notions fondamentales du droit
privé.
23
37
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
Fra questi tre autori, dedicherò un po’ meno attenzione ai primi
due, non foss’altro perché sono stati oggetto di studi molto approfonditi
in questi ultimi anni, di cui mi limiterò a riprendere alcune conclusioni 26 .
Diversamente per il terzo, la cui opera non ha sollecitato un analogo
genere di analisi, sebbene quasi tutta la sua produzione sia stata riedita di
recente – con la significativa eccezione del suo Régime démocratique et le
droit civil, un vero pamphlet contro la democrazia 27 . Ora, è ben vero che
la biografia di Ripert non lo ha reso un autore frequentabile: lo
ricordiamo come Segretario di Stato all’Istruzione pubblica e alla
gioventù, seppur brevemente (settembre-dicembre 1940) sotto il regime
di Vichy. Eppure è necessario insistere sulla sua opera, perché è lui a
fischiare la fine della ricreazione, di una ricreazione iniziata agli albori del
XX secolo. Passati gli anni ’30, la civilistica francese non avrà più né
l’occasione, né tanto meno il gusto di abbandonarsi ai tormenti del
Realismo.
Ma ora è il tempo di soffermarsi su quell’inizio di XX secolo, il
famoso “momento 1900” , che non ha certo segnato solo il diritto 28 , per
comprendere il ruolo giocato dai nostri tre autori, ai quali ci rivolgeremo
in seguito.
1. Il “momento 1900” nel diritto civile
In linea generale, l’ultimo terzo del XIX secolo è dominato dalla
crisi intellettuale di quel modello liberale classico 29 che aveva iniziato ad
affermarsi in Francia a partire dagli anni successivi al 1820 30 . Edificato
sui principi del libero scambio, quel modello si fonda sull’idea che il
mercato produca armonia sociale, poiché il gioco degli interessi
genererebbe di per sé un equilibrio ritenuto soddisfacente.
26 Su Saleilles si veda in particolare : M. Xifaras : « La Veritas Iuris selon Raymond
Saleilles – Remarques sur un projet de restauration du juridisme » ? Droits, t. 47, 2008, p.
77 ss. Riguardo a Demogue, si vedano gli atti del Colloquio a lui dedicato nel 2003 in
Revue interdisciplinaire d’études juridiques, 2006 (vol. 56).
27 Su cui : J.-P. Chazal, « G. Ripert et le déclin du contrat », Revue des contrats 2004/2, p.
244.
28 F. Worms (cur.), Le moment 1900 en philosophie, PU Septentrion, 2004.
29 Mi limiterò qui ad utilizzare questa espressione, sicuramente contestabile,
prendendola a prestito da quegli autori che la utilizzano, nel corso degli anni ’30, per
distinguere il « liberalismo classico » da altri modelli, tra cui figurano in primo luogo il
neoliberalismo ed il corporativismo. Cfr., ad es., G. Pirou, Néo-libéralisme, NéoCorporatisme, Néo-Socialisme, Gallimard, 1939. Si veda. anche R. Kuisel, Le capitalisme et
l’Etat en France – Modernisme et dirigisme au XXe siècle, Gallimard, 1981, pp. 27-72.
30 Vedi, di recente, sulla diffusione delle idee economiche liberali durante quel
decennio : D. Todd, L’identité économique de la France, Grasset, 2008, spec. p. 103.
38
C. JAMIN : L’INCONTRO MANCATO DEI CIVILISTI FRANCESI CON IL REALISMO
Quel modello ha trovato una sua declinazione giuridica 31 , almeno
in certi settori (e certamente più in materia contrattuale che nel settore
dei rapporti di famiglia), e non senza forti sfumature tra gli autori (che
per di più potevano essere liberali su certi aspetti, e conservatori su altri).
Ora, a partire dai primi anni della III Repubblica, la rappresentazione
giuridica di quel modello non è più in grado di reggere, per delle ragioni
politiche che certi civilisti hanno perfettamente compreso. Ciò è ancor
più significativo se si pensa che quei medesimi autori partecipano
all’avventura della nascente sociologia, essendo così nelle condizione per
comprendere gli effetti più concreti della filosofia che sosteneva il
modello liberale classico 32 .
Le ragioni cui accennavo sopra portano, in sintesi, i giuristi a
comprendere che, in mancanza di una riconfigurazione dei postulati del
liberalismo, sarà l’intera società borghese a patire delle serie conseguenze.
I proposito, mi limiterò qui a citare le parole di un civilista, datate 1903:
“è dovere di ogni buon cittadino comprendere la necessità delle riforme
e collaborare alla loro realizzazione. Un accordo è ancora possibile, ed
entrambi le parti hanno interesse a che tale accordo sia cercato … se il
proletariato non vuole altro che rimpiazzare una legislazione di classe
con un’altra, intollerante, ingiusta, discriminante, allora non avrà
realizzato alcun progresso, alcuna opera destinata a durare… dal canto
suo, la borghesia deve accettare l’inevitabile – deve evitare l’ostinazione
nella difesa dei propri privilegi, nel rimpianto di una egemonia perdutadeve riconoscere cosa vi è di legittimo nel movimento di emancipazione
della classe operaia. Questo è il prezzo per risparmiarsi una
Rivoluzione” 33 . Dato interessante: sono le ultime righe di
un’introduzione ad un corso di diritto civile consacrato alla
socializzazione del diritto, unica via, a giudizio dell’autore, per rispondere
alla crisi del modello liberale classico che, secondo l’autore, potrebbe
sfociare in una rivoluzione proletaria, se venisse mantenuto. Nel
sottolineare la inevitabilità di una conciliazione degli interessi di classe in
conflitto tramite la socializzazione del diritto, l’autore mette in luce
un’opposizione già descritta nel 1848 dall’economista Frédéric Bastiat:
“Il dissidio profondo ed inconciliabile in questa materia fra socialisti ed
economisti [termine con il quale sono qui indicati i liberali] si riassume in
ciò: i socialisti credono in un essenziale antagonismo degli interessi. Gli
Per una prospettiva di sintesi si veda: A. Bürge, « Le code civil et son évolution vers
un droit imprégné d’individualisme libéral », RTDciv. 2000, p. 1.
32 Cfr. F. Audren, Les juristes et les mondes des sciences sociales en France, th. Dijon, ds., 2005,
p. 289.
33 J. Charmont, « La socialisation du droit (leçon d’introduction d’un cours de droit
civil) », Revue de métaphysique et de morale 1903, pp. 404-405.
31
39
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
economisti credono nell’armonia naturale, o piuttosto nella conciliazione
necessaria e progressiva degli interessi. E’ tutto qui” 34 . Tornando al
nostro tema, per quanto i civilisti non abbiano mai aderito pienamente
alle tesi degli economisti-liberali, per via della loro fede nel compito
tutelare dello Stato, vediamo che, a partire dall’inizio del XX secolo,
cresce il numero di coloro che si allontanano dalle tesi liberiste, fondate
sull’idea che il libero scambio conduca all’equilibrio degli interessi. Al
contrario, molti sono coloro che ritengono che sia proprio il libero
scambio a generare conflitti di interessi che non possono essere risolti
dal gioco del mercato, conflitti che sono capaci di mettere in pericolo
l’ordine sociale. In altri termini, utilizzando un esempio emblematico
tratto dal diritto dei contratti, la maggioranza dei civilisti non pensa più
che lo Stato (e all’occorrenza, il giudice) debba limitarsi a garantire
l’esatta esecuzione degli accordi in forza della semplice volontà dei
contraenti.
Ritengo che in quest’epoca, per delle ragioni prevalentemente
politiche, prenda forma la nota teoria del bilanciamento degli interessi,
disegnata dalla lucida analisi che alcuni giuristi conducono sugli effetti
concreti che i rapporti sociali producono in un mondo dominato dal
modello liberale. A questo punto, vuole salvare la società borghese, è
assolutamente necessario rifondare un‘armonia sociale tramite
meccanismi diversi dal puro e libero mercato. Ciò non significa, peraltro,
porre in causa esclusivamente il mercato: è l’insieme degli strumenti
chiamati tradizionalmente a garantire l’armonia sociale ad essere allo
stremo sotto i colpi del capitalismo, sia che si tratti della famiglia, della
proprietà, o della legge. etc. Per quanto riguarda il mercato ed il libero
scambio, ad ogni modo, una parte rilevante dei giuristi dell’’epoca
individua due percorsi preferenziali per superare la propria incapacità di
produrre e mantenere l’armonia sociale. Si tratta, in primo luogo, di
inventare un concetto che dovrà permettere che i gruppi sociali in
contrapposizione (la borghesia e la classe operaia) si avvicinino, spinti da
uno spirito di conciliazione. In secondo luogo, dell’individuazione di una
istanza, esterna al mercato, capace di ricreare una certa armonia sociale.
Il concetto è la solidarietà 35 : nozione figlia di un conservatorismo
politico ben temperato, il cui fine è, senza dubbio, quello di
34 F. Bastiat, « Justice et Fraternité », Journal des Economistes, t. 20, n° 82, 15 juin 1848, p.
325.
35 Vedi, in generale, M.-C. Blais, La solidarité – Histoire d’une idée, Gallimard, 2007. Sugli
aspetti giuridici : J.-F. Niort, « La naissance du concept de droit social en France : une
problématique de la liberté et de la solidarité », RRJ-Droit prospectif, 1994-3, p. 773.
40
C. JAMIN : L’INCONTRO MANCATO DEI CIVILISTI FRANCESI CON IL REALISMO
tranquillizzare gli animi … 36 . L’istanza: non è altro se non lo Stato, che si
esprime tramite l’azione del legislatore, ma soprattutto del giudice (civile,
ed amministrativo). Nel solco di una tradizione nazionale che si ordina
attorno al legislatore dai tempi della grande Rivoluzione, il punto più
interessante è, senza dubbio, intorno al 1900, la riscoperta del ruolo del
giudice. Il giudice, che diventa soggetto autorizzato a “dire il diritto”, e
ciò in ragione della sua stessa posizione, posta al centro del confronto fra
i portatori di interessi confliggenti. Nell’incapacità del mercato di
regolare quei conflitti, la funzione del giudice diviene cruciale, ed i giuristi
dell’epoca gli offrono legittimazione, dicendo al giudice che, almeno in
parte, egli si può emancipare dal testo legislativo, per regolare in modo
più agevole quei conflitti. Un’idea, questa, sostenuta perfino dal primo
presidente della Cour de cassation in occasione del discorso tenuto per i
festeggiamenti per il primo centenario del Code civil, almeno quando i testi
non sono chiari 37 ! Perché emanciparsi dalla testo della legge ? Perché ci
troviamo in un momento (siamo prima degli anni ’20, a proposito dei
quali torneremo più avanti) in cui il legislatore non si è ancora distinto
per protagonismo. A quell’epoca il diritto civile si riassumeva
essenzialmente in un codice che, seppur oggetto di una abbondante
riflessione giurisprudenziale, non è mutato affatto dal 1804; esso deve
pertanto essere interpretato liberamente, se non si vuole continuare a
servire il modello liberale classico. E il miglior esempio di tale
mutamento di interpretazione è rappresentato dal destino dell’art. 1384,
comma 1, Code civil, che doveva cambiar significato per consentire il
risarcimento del danno nel caso di incidenti sul lavoro.
La nuova libertà riconosciuta al giudice reca però con sé il
problema della sua eventuale onnipotenza. Il problema, meglio, la
“questione cruciale” 38 , è quello insito nel rischio di un soggettivismo
radicale del giudice emancipato dalla tutela della legge, che può ora
interpretarla liberamente, ora allontanarsene. In altri termini,
l’abbandono del liberalismo classico ha quale passaggio obbligato
l’accrescimento del ruolo del giudice, che diventa l’istanza risolutrice dei
conflitti di classe Tale nuova legittimità, tuttavia, porta con sé il rischio
36 Cfr. N. et A.-J. Arnaud, « Une doctrine de l’état tranquillisante : le solidarisme
juridique », Archives de Philosophie du droit t. 21, 1976, p. 131.
37 Discorso del Primo Presidente Ballot-Beaupré : Le Code civil – 1804-1904 – Livre du
centenaire publié par la Société d’études législatives, 1904, t. II, spec. pp. 26-28.
38 Questa la formula impiegata da David Deroussin : « Une renaissance du droit naturel
dans la doctrine civiliste de la Belle Epoque : le droit naturel à contenu variable, le juge
et le législateur », in Actes du Colloque international de Poitiers (14-15 mai 2009) : Un
dialogue juridico-politique : le droit naturel, le législateur et le juge, PU Aix-Marseille, 2010, p.
417, che la presenta così : « come formulare il più obiettivamente possibile questo
giudizio di valore per non soccombere al puro soggettivismo ?».
41
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
che il giudice, liberato dalla lettera della legge, si abbandoni alla propria
discrezionalità. Il rischio non era meramente teorico: i civilisti dell’epoca
avevano sotto gli occhi l’ esempio, tutt’altro che apprezzato, del buon
giudice Magnaud. Quel giudice Magnaud non era figurava nelle pagine di
Gény come la dimostrazione più significativa delle “morbose
deformazioni” cui andava incontro il movimento che tendeva a
riconoscere maggior libertà interpretativa al giudice 39 ?.
In conclusione, una frazione della nuova generazione di civilisti,
volendo rompere con il liberalismo classico, si propone di riconoscere
più potere al giudice; quella stessa generazione, tuttavia, si rappresenta
chiaramente i rischi presenti in tale processo di emancipazione della
giurisprudenza. Ecco il tratto che segna il “momento 1900” nel diritto
civile – o, piuttosto, uno dei tratti, in quanto il periodo storico è troppo
ricco per potere essere ridotto ad un unico elemento. Un momento che
richiede una risposta a due questioni, una di sostanza (la messa in
discussione del liberalismo classico), ed una di metodo (il rischio di
onnipotenza del giudice a fronte della libertà ermeneutica che gli viene
riconosciuta).
Può a questo punto entrare in scena Saleilles.
2. La proposta da Saleilles: sottoporre i giudici alle costruzioni
dottrinali
Saleilles ha contribuito in modo potente alla nascita della crisi che
ho appena descritto. Egli è convinto – è probabilmente il primo a
pensarlo – che la difesa da parte dei civilisti di una concezione
individualistica e liberale del diritto civile non potrà che risolversi in un
successo per il socialismo rivoluzionario. Fedele all’idea politica
conservatrice, si dedica quindi alla socializzazione del diritto civile, in uno
spirito di compromesso politico. Di conseguenza, egli difende al
contempo e la nozione di solidarietà, e il principio di emancipazione del
giudice dalla lettera della legge. Gli è peraltro ben chiaro il rischio insito
nel secondo passaggio, rischio che egli si propone di scongiurare
sottomettendo il giudice all’autorità della dottrina. La dottrina è il solo
soggetto in grado di produrre quelle costruzioni giuridiche che sono le
uniche garanti dell’oggettività delle decisioni rese in sede giudiziaria.
Quali sono allora quelle costruzioni giuridiche, altrimenti dette
teorie generali ? Esse costituiscono, scrive Saleilles “la rappresentazione
in formule positive di idee razionali, elaborate secondo la prospettiva
sociale, e definite con una precisione tale da sottrarle, per quanto
39
F. Gény, Science et technique en droit privé positif, cit., n° 9, p. 33.
42
C. JAMIN : L’INCONTRO MANCATO DEI CIVILISTI FRANCESI CON IL REALISMO
possibile, alla sfera dell’arbitrario” 40 . Secondo la lettura svolta da Mikhail
Xifaras, esse sono dotate di cinque caratteristiche: espressività,
complessità, unicità, sistematicità ed eleganza 41 . Non serve riprenderle
qui in dettaglio; mi limiterò a notare che, se le idee razionali di cui scrive
Saleilles sono complesse, esse devono anche essere uniche. La funzione
che Saleilles assegna alla dottrina è allora di dettare al giudice la “buona
risposta” 42 . Questo punto è, si noti bene, essenziale: se diverse idee
giuridiche sono vere, il giudice potrà scegliere arbitrariamente l’una o
l’altra. Volendo azzerare “ per quanto possibile” il rischio costituito dal
soggettivismo e dall’arbitrio è assolutamente necessario che ad un dato
istituto giuridico corrisponda un’idea giuridica vera. Aggiungeremo, poi,
che le costruzioni giuridiche in questione devono avere la capacità di
conciliare interessi in conflitto, di proporre quella conciliazione che il
mercato non è più in grado di realizzare, e inoltre che esse devono
riposare su principi, che tocca al giurista individuare, al fine ultimo di
sussumere entro un concetto unitario delle considerazioni in contrasto –
le famose antinomie del diritto, care a Saleilles-. Pare evidente come non
sia più possibile svolgere una tale ricerca per via di deduzione, fondata
sulle diverse disposizioni di legge, metodo che era la forza ed il difetto
della dottrina classica. Si deve invece procedere per via di induzione,
ponendo quale fulcro del discorso “il punto di vista sociale”.
Ecco qui, a mio parere, il doppio apporto offerto da Saleilles. Da
una parte egli contribuisce a rinnovare la civilistica, affermando che il
giudice non può più interpretare il Code civil secondo il metodo del 1804,
pena un’anacronistica fiducia in quel liberalismo classico che sta aprendo
le porte, per inerzia, alla vittoria del socialismo rivoluzionario. Così
facendo, Saleilles porta il diritto civile nella storia, conferendogli al
medesimo tempo un fondamento politico. D’altro lato, egli contribuisce
a chiudere le porte dell’interpretazione, ritenendo che un eccessivo
potere del giudice generi il rischio del soggettivismo, rischio che può
essere prevenuto solamente tramite un’opera dottrinale di produzione di
quelle costruzioni giuridiche che, quali discorsi di verità, potranno
mantenere entro percorsi certi l’azione del giudice.
Saleilles, in altri termini, ha contribuito a modificare lo statuto
ontologico delle verità della legge, iscrivendole nel tempo storico. Il che
R. Saleilles, « Droit civil et droit comparé », Revue internationale de l’enseignement, t. 61,
1911, p. 20.
41 M. Xifaras, op.cit, pp. 91-94.
42 Posizione, questa, che, sia detto incidentalmente, lo allontana dai Realisti statunitensi.
Mentre questi ultimi, osservando il giudice all’opera, si adoprano per dimostrare che
non esiste alcuna “buona risposta”, Saleilles si interessa al giudice per la ragione
opposta: offrigli quella buona risposta.
40
43
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
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non è poco: fondando quelle verità sulle necessità di una vita sociale in
movimento, ha infatti aiutato i giuristi dell’epoca ad uscire dall’universo
delle verità eterne. Nondimeno la questione della verità nel diritto resterà
una questione centrale. Il cattolico Saleilles potrebbe aver realizzato,
nell’ordine giuridico, quello che il modernismo permetteva nel medesimo
periodo di realizzare sul piano teologico 43 . Tutto ciò era già stato ben
compreso da Maxime Leroy, quando, nel 1908, scriveva che Saleilles
aveva posto termine “alla disarmonia fra una concezione rigida del
dogma ed i fatti”, cercando di “riportare il dogma alla vita”,
ammorbidendolo, ma “pur mantenendolo come imperativo”. Un
metodo, questo, che riassumeva nella pregnante formula: “Oltre il
Codice, ma per mezzo del Codice, afferma Saleilles. Oltre il dogma, ma
per mezzo del dogma, dice Edouard Le Roy”, il quale fu, con altri, uno
degli artefici di tale modernismo 44 .
Non sarà questo il discorso svolto da Demogue, il quale si troverà
piuttosto a sostenere che le porte, una volta aperte, non possono essere
richiuse, ossia che le costruzioni giuridiche non possono risolvere la
questione dell’arbitrarietà della decisione giudiziaria quando interviene
per regolare i conflitti di interesse accesi nella società. Ed è per questa
ragione che certi giuristi nord-americani vedono oggi in lui uno dei
precursori del Realismo 45 .
3. Demogue o dell’incapacità delle costruzioni dottrinali di
addomesticare l’onnipotenza degli interpreti
Lettore di Léon Bourgeois, ma anche di Léon Harmel, Demogue è
senza dubbio un partigiano della socializzazione del diritto civile. In
questo senso, si iscrive perfettamente nella linea politica di Saleilles:
Non si può dire altrettanto del cattolicesimo di Gény (sebbene non sia stato
indifferente al movimento sillonista), almeno se si sta alle opinioni brusche espresse da
Harold J. Laski, in occasione di una cena con Gaston Jèze nel 1931: « I have no doubt
at all that Geny simply mistakes old catholic dogmatism for legal philosophy, and I hate
that. », Holmes-Laski Letters, Harvard UP, 1953, pp. 1325-26.
44 M. Leroy, La loi – Essai sur l’autorité dans la démocratie, Giard & Brière, 1908, p. 329. Si
veda anche, sui legami fra la scuola scientifica e gli ambienti cattolici, la serie di articoli
comparsi nel volume 28 della Revue française d’histoire des idées politiques pubblicata nel
dicembre 2008 sui giuristi cattolici fra il 1880 e il 1940.
45 Vedi in particolare : D. Kennedy e M.-C. Belleau, « La place de René Demogue dans
la généalogie de la pensée juridique contemporaine », Revue interdisciplinaire d’études
juridiques 2006, vol. 56, p. 163. Il che non significa che Saleilles non sia stato anche un
precursore del realismo : se Demogue prefigura la critica del «sistematismo», Saleilles è
certamente un precursore dell’empirismo sociologico (e questo spiega il successo de
L’individualisation de la peine pubblicato presso Alcan nel 1898 e presto seguito da una
traduzione inglese con prefazione di Pound).
43
44
C. JAMIN : L’INCONTRO MANCATO DEI CIVILISTI FRANCESI CON IL REALISMO
difensore degli interessi della borghesia, progetta di integrare la classe
operaia nel disegno democratico attraverso la socializzazione del diritto.
Entro tale disegno, esclude che il mercato sia in grado di armonizzare gli
interessi in conflitto. Al pari di Saleilles, Demogue auspica l’intervento di
un terzo, il movimento di socializzazione del diritto, al quale tocca il
compito storico di regolamentare le tensioni sociali 46 . Questo lo rende
difensore della figura di un giudice che non è più il semplice garante di
un diritto creato prima e al di fuori della sua azione.
Inoltre, Demogue prende le distanze da Saleilles su un importante
punto metodologico: egli non crede veramente alla possibilità di
contenere il soggettivismo del giudice. Tutto è praticamente già detto
nella prefazione ad un’opera del 1911: “Io mi sono sempre posto da un
punto di vista critico per mostrare, senza cercare in alcun modo di
dissimularli, i conflitti e le contraddizioni che sicuramente interesseranno
sempre il diritto civile” 47 . E’, questo, un modo di affermare, contro
Planiol e Capitant, che non manca di citare, che le costruzioni giuridiche
non saranno in grado di formare una verità giuridica capace di
combattere la soggettività del giudice. Il che è anche un modo di
prendere le distanze da Saleilles, secondo il quale valeva comunque la
pena di provare a ridurre, “per quanto possibile”, attraverso tali
costruzioni, la soggettività del giudice.
Più ancora di Saleilles, Demogue è un pessimista, che postula la
debolezza dello spirito umano, sebbene non neghi la necessità che i
giuristi “pongano un ideale al di sopra dei fatti” 48 . Al quesito che si era
formulato nel 1911: “sarà mai possibile sperare che il cervello umano sia
un giorno in grado di riunire in un insieme armonioso tutti i dati sui quali
si appoggia il diritto”?, si era risposto “non lo credo”. Coerentemente,
aveva esortato i suoi colleghi a non definire come “stabili, in equilibrio,
gli esiti della nostra ricerca giuridica”, giustificandosi, poi, con una
metafora: “la posizione dei piatti di una bilancia non è altro che un caso
eccezionale nel mondo materiale. Il mondo sociale, così come il mondo
materiale, vivono nell’approssimazione, poggiando su equilibri diversi.
Come le stagioni si succedono attraverso fasi atmosferiche del tutto
irregolari, così nel complesso il mondo sociale cerca un equilibrio,
46 R. Demogue, Traité des obligations en général, Arthur Rousseau, t. I, 1923, n° 33, p. 94.
Questa idea di un diritto « sociale », destinato a regolamentare gli «attriti sociali» mi fa
pensare, ma forse a torto, alla società « crivellata dai conflitti » che il diritto deve tentare
di «ridurre o prevenire » di cui parla, in The Bramble Bush (pubblicato nel 1930), la più
importante figura del Realismo nord-americano: Llewellyn (citato da L. Assier-Andrieu,
cit. p. XXI).
47 R. Demogue, Les notions fondamentales du droit privé, Arthur Rousseau, 1911, p. VII.
48 R. Demogue, op. cit., p. 22.
45
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
sospinto dalle aspirazioni più durevoli dell’animo umano, che si poggia
su i squilibri continui e contrastanti” 49 .
Sarà questo pessimismo radicale a portare Demogue in rotta
definitiva con tutti i giuristi del suo tempo. “Lo studio, scrive ancora, ci
permette di evitare determinati errori, senza tuttavia condurci a
determinare la verità netta e certa” (e così è ancora vicino a Saleilles), e se
a volte si riesce a stabilire un certo equilibrio, questo non assomiglia ad
altro che “alla pace di una sera, o a quella fra due avversari che non
cessano di misurare le proprie forze” (pensiero, questo, che lo allontana
da Saleilles) 50 .
In altri termini, Demogue opera una rottura con quello che
potremmo chiamare lo spirito savigniano del pensiero giuridico francese, di
cui si potrebbe dire che ha costituito il punto di partenza del lavoro cui si
è dedicata la civilistica francese del XX secolo.
E’ utile a questo punto ricordare che la paternità dell’espressione
“tecnica giuridica” è unanimemente attribuita a Savigny. Gény, che ho
già definito come il miglior allievo di Saleilles, gli rende un notevole
omaggio in occasione delle celebrazioni del centenario del codice civile
tenutesi nel 1904. Gény si ispira alla partizione tratteggiata da Savigny fra
l’elemento politico e l’elemento tecnico del diritto, distinguendo fra “i
principi che rispondono alla vita sociale”, vale a dire “l’elemento
sostanziale della giurisprudenza, di natura morale e sociologica” e
“l’insieme delle procedure e degli strumenti … che rappresentano la
parte specifica dell’arte o del mestiere del giurista, che possiamo
chiamare la tecnica del Diritto”, in altre parole il suo “elemento
formale” 51 .
Ora, se per Gény e per i suoi successori, la tecnica del diritto
rappresenta la parte più nobile, e più utile, del compito del giurista, se,
ancora per Gény, “l’elaborazione tecnica deve formare l’elemento
principale di ogni organizzazione positiva del diritto”, in modo tale da
“fornire quella struttura che manca [all’elemento sostanziale]”, in ragione
“della superiore creatività e della maggiore correttezza dei risultati” 52 ,
ben diverso è il discorso con Demogue.
R. Demogue, op. cit., pp. 198-199.
R. Demogue, op. cit., p. 197.
51 F. Gény, « La technique législative dans la codification civile moderne », Le Code civil –
1804-1904 – Livre du centenaire, Société d’études législatives, 1904, t. II, p. 991. Vedi.
anche : P. Roubier, Théorie générale du droit, Sirey, 1951, n° 10, pp. 87-90.
52 F. Gény, Sciences et technique en droit privé positif, Sirey, t. III, 1921, n° 178, p. 2.
49
50
46
C. JAMIN : L’INCONTRO MANCATO DEI CIVILISTI FRANCESI CON IL REALISMO
Demogue non ripudia l’elemento tecnico nella ricerca giuridica 53 .
Semplicemente, non nutre affatto illusioni. Certo, scrive, il diritto “può
portarci a edificare piccole o grandi costruzioni ingegnose … può
temperare i conflitti, attuando una soluzione precisa quanto temporanea
… ma non potrà comprendere tutto, in modo tale da includere quella
forza che la farà crollare o sbriciolarsi” 54 . In definitiva, Demogue crede
che la vita sia così complessa e conflittuale da determinare l’inevitabile e
successivo declino delle teorie elaborate dall’uomo e ciò nonostante certi
equilibri, consentiti dalla tecnica giuridica, abbiano potuto resistere per
un certo tempo.
Così, là dove sia Saleilles, sia Gény, risolvono con gli strumenti
della tecnica giuridica le difficoltà generate dalla necessità di bilanciare gli
interessi in conflitto - scelta che ben presto si tradurrà, nell’opera dei loro
successori, in una massiccia e continua edificazione di costruzioni
giuridiche Demogue si dimostra assai più prudente. Per lui, il diritto non
è altro che l’esito di una serie di negoziazioni votate all’approssimazione,
di equilibri più o meno stabili ottenuti in forza di compromessi. In
fondo, egli crede che il progetto di Saleilles di chiudere quelle porte che
Saleilles stesso aveva contribuito ad aprire, sia del tutto illusorio 55 .
53 Cfr. : N. Dissaux, « La technique juridique dans la pensée de René Demogue », Revue
interdisciplinaire d’études juridiques 2006, vol. 56, p. 57.
54 R. Demogue, op. cit., p. 199.
55 Il modo con il quale Demogue guarda al diritto, ma anche la sua stessa persona,
ricordano l’immagine di Wesley Sturges, così come è stata evocata in modo toccante da
Gilmore in The Ages of American Law (cit., pp. 80-81). E ciò particolarmente se si pensa
che Demogue, noto per il suo rigore, terminò la sua carriera trovando piacere nel
classificare le sentenze per il Répertoire Dalloz del quale aveva assunto la direzione,
dopo aver pubblicato, fra il 1923 e il 1933 un Traité des obligations en général in 7 volumi,
del quale il meno che si possa dire è che non risponde per nulla ai canoni dottrinali
dell’epoca, in quanto non si propone di esporre il diritto positivo in modo coerente.
Ebbene, si confronti ora il ritratto di Sturges disegnato da Gilmore: « Some of those
who followed in Corbin’s footsteps carried his teaching to the point of intellectual
nihilism. Wesley Sturges, whom generations of students at the Yale Law School revered
as the greatest of teachers, was one. Early in his career Sturges published a few law
review articles which were of an almost unbelievably narrow scope and focus – for
example, an elaborate study of the North Carolina case law on the nature of mortgages,
a subject of no conceivable interest to Sturges or anyone else. The point of the study
was to demonstrate that the North Carolina law of mortgages made no sense and could
most charitably be understood as a species of insanity on the march. At about the same
time he put together a casebook for a new course which he called Credit Transactions:
the casebook consisted principally of the most absurd cases, along with the most idiotic
law review comments, which he had been able to find. The law, as Wesley Sturges
conceived it, bore a striking resemblance to the more despairing novels of Frank Kafka.
Sturges himself had the courage of his bleak convictions. Ex nihilo nihil. He wrote
almost nothing during the remainder of his long career. No one could match Sturges in
47
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
Ed è esattamente questo approccio che risulterà insopportabile a
Ripert, il quale si allontanerà rapidamente dagli interrogativi e dai dubbi
che avevano segnato la dottrina francese alla fine del secolo, interrogativi
che avrebbero potuto costituire il nutrimento per una corrente realista
(nel senso in cui il Realismo).
4. Ripert o della necessità politica di promuovere principi e
costruzioni dottrinali
Ripert, autore il cui pensiero è più difficile da penetrare di quanto
appaia ad una prima lettura, si distingue sia da Saleilles che da Demogue.
Dal primo si distingue per una critica radicale al giusnaturalismo,
espressa nel 1918 con un implacabile attacco a Gény 56 . Per Ripert, il
diritto non è null’altro se non l’esito di una lotta fra governanti e
governati. E’ il risultato di un confronto, nel quale ognuno - intellettuali,
giudici, legislatore…- si adopera per ottenere lo status di governante. In
tal senso, egli si riconosce sia nel pensiero di Jhering che in quello di
Duguit. E da una tale convinzione, scaturiscono due domande, che
ritorneranno in tutta la sua opera: come spiegare l’obbedienza alle leggi
da parte dei governati ? e come limitare l’onnipotenza dei governanti ?
A questo secondo interrogativo Ripert avrebbe potuto rispondere
in modo analogo a Demogue, sostenendo che l’unico modo per limitare
il potere è individuare equilibri, seppur instabili, fra soggetti in conflitto,
portatori di interessi contrapposti. Ma un tale esito non è accettabile per
Ripert, a ragione della sua diffidenza politica verso il sistema
democratico, e in particolare verso il suffragio universale. L’instaurazione
di quel sistema nel 1848 avrebbe, a suo dire, segnato il declino della
società tradizionale, dando voce ad una maggioranza costituita dalla
massa degli operai e dalla nebulosa degli impiegati, in preda ad una
industrializzazione e ad una urbanizzazione crescenti e disordinate. Gli
uni e gli altri sono fortemente attratti dalle idee socialiste, quando non
bolsceviche, come aveva dimostrato l’avvento al potere del Fronte
popolare nel 1936 57 .
his penetrating analysis of the most complex legal materials, but he saw no point in
playing children’s games. I was his student and served on his faculty while he was dean
of the Yale Law School: he was a lonely, great, and tragic figure. »
56 G. Ripert, « Droit naturel et positivisme juridique », Annales de la faculté de droit d’Aix,
nouv. série, n° 1, 1918, p. 3
57 Sul tema è da leggere quello che, a mio avviso, è il più interessante, ma anche il più
sulfureo fra i saggi di Ripert, che propone una critica virulenta del regime democratico :
Le régime démocratique et le droit civil (LGDJ), la cui prima edizione risale al 1936 (ed una
seconda apparirà nel 1948).
48
C. JAMIN : L’INCONTRO MANCATO DEI CIVILISTI FRANCESI CON IL REALISMO
Accettare la lettura del diritto come mera espressione dei rapporti
di forza significa allora, per Ripert, riconoscere, in prospettiva, la disfatta
della società conservatrice e cattolica da parte del regime democratico
controllato dalle masse. E’ pertanto necessario individuare le modalità di
contenimento del potere dei governanti.
Intendiamoci, per Ripert non si tratta di tornare sul ruolo del
giudice, posto al centro della riflessione di Saleilles. Nel giudice, Ripert
vede piuttosto un alleato, un soggetto “scelto fra i migliori della
nazione”, che è “abituato a rispettare le regole della morale tradizionale
…[e che] vincolato dalla disciplina di corpo e dalla gerarchia delle
giurisdizioni” 58 . Il centro del suo discorso è, invece, il legislatore: la sua
onnipotenza, che non rappresentava ancora una questione negli anni
1900-1910, all’epoca in cui scriveva Saleilles, diviene cruciale con la fine
del primo conflitto mondiale. A partire dagli anni ’20, la macchina
legislativa si è infatti messa a funzionare a pieno regime. Il soggetto
terzo, al quale affidare la ricerca di equilibrio fra interessi in conflitto, al
fine di realizzare in parte una società in armonia, non è più il giudice, ma
il legislatore, che diviene così oggetto della ricerca di Ripert.
L’interrogativo che il nostro autore si pone, peraltro, è analogo a quello
che si era posto Saleilles: come limitare l’onnipotenza di un legislatore
che non cessa di produrre nuove leggi, ed in particolare leggi ritenute
capaci di distruggere il diritto civile, a ragione della loro vocazione
sociale? Questa è la nuova versione del vecchio quesito, formulata da
Ripert.
Il modo per porre un limite a quella onnipotenza è esposto in
modo nitido è in un capitolo del suo saggio Les forces créatrices du droit, che
Ripert ha dedicato alla ricerca di quei principi 59 , dei quali abbiamo già
avuto occasione di parlare, che rappresentano il fondamento delle
famose costruzioni giuridiche. Ripert muove dalla constatazione che
“troppe leggi imperfette manifestano il declino del diritto” e che “le leggi
… devono obbedire a delle regole tecniche fondamentali”; ma la sua
critica non si limita a predicare il rispetto della tecnica giuridica da parte
del legislatore, e giunge ad intaccare la questione stessa della sovranità o,
in altri termini, dell’onnipotenza del legislatore. Mentre per un puro
positivista, scrive ancora Ripert, un legislatore che padroneggia la tecnica
non merita critiche, da un punto di vista politico, che Ripert assume, è
necessario porre attenzione anche alla voce di chi, nel caso della
discussione di un progetto di legge, ne denuncia la contrarietà ai principi
G. Ripert, La règle morale dans les obligations civiles, LGDJ, 4e éd., 1949, n° 21, p. 34.
G. Ripert, Les forces créatrices du droit, LGDJ, 2e éd., 1955, pp. 325-345. Le citazioni che
seguono nel testo sono tutte tratte da queste pagine.
58
59
49
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
giuridici. E forse nel ricorso ai principi giuridici, percepiti come evidenti,
sta il freno efficace all’azione irruente del legislatore democratico…A
questa riflessione Ripert dedicherà venti pagine, che meritano di essere
lette con attenzione, tanto sono centrali per comprendere il pensiero di
un autore che, proprio con l’invocazione dei principi, compie un ultimo
tentativo di contenere le tentazioni del soggettivismo e della
discrezionalità del giudice uscite da quel vaso di Pandora aperto da
Saleilles più di mezzo secolo addietro.
“Fino a quando la fede nell’esistenza di un diritto naturale è stata
generale – così esordisce Ripert- l’appello ai principi giuridici ha avuto
senso”; si trattava di confrontare il diritto positivo con un diritto ideale.
Ciò non è sufficiente per qualificare Ripert come un seguace tardivo del
diritto naturale; salvo quando ritiene che un sistema di regole imposte
per la natura dell’uomo o per le esigenze della ragione resti valido se se
ne trova traccia costante nel corso più o meno lungo di una civiltà. Il che
gli consente di dedurre che “ la constatazione dell’esistenza di regole
tradizionali è sufficiente … per affermare dei principi”. Essi dunque non
sarebbero altro che regole consolidate, in grado di affermarsi
esclusivamente in forza della tradizione.
A ben vedere, peraltro, questo primo tipo di analisi non gli appare
pienamente convincente: vi sono, scrive ancora, delle antiche regole che
hanno perso valore, e d’altra parte nel diritto nessuna norma gode di
un’aristocrazia di nascita.
L’analisi sul fondamento dei principi prosegue, allora, con la lettura
critica di quegli autori che individuano nella “generalità” la natura
peculiare dei principi giuridici. Il principio dominerebbe le regole
particolari che ne costituirebbero l’applicazione. Esemplare, in tal senso,
l’art. 726 del Code civil, che stabilisce il diritto del concepito a succedere al
padre, espressione particolare del più ampio principio Infans conceptus pro
nato habetur. Secondo Ripert, tale approccio è corretto, sebbene: “definire
in tali termini la natura dei principi giuridici ne mina l’autorità, in quanto
tutto finisce per ridursi ad una questione tecnica”. Se il principio è
formulato dal legislatore, esso è si una norma di ampia portata, ma resta
pur sempre ancorato allo stesso livello di fonte delle norme più
particolari, non godendo di alcuna superiorità rispetto alle altre norme
positive. E se è dedotto dall’analisi delle regole specifiche, non potrà
comunque essere loro superiore, in quanto è tratto da quelle. “In realtà prosegue Ripert - sono i tecnici del diritto che creano i principi, intesi
come regole generali”. Con la loro opera di costruzione del sistema, i
giuristi individuano, all’interno delle regole positive, alcune regole
generali dalle quali si dispiegano disposizioni di carattere più particolare.
Tuttavia, una tale lettura non pare, a Ripert, in grado di giustificare la
50
C. JAMIN : L’INCONTRO MANCATO DEI CIVILISTI FRANCESI CON IL REALISMO
censura di una legge per il motivo di una pretesa contrarietà ai principi:
“una legge non può essere condannata perché pone un’eccezione ad una
regola generale, che la dottrina ha dichiarato principio di diritto”.
Diremo, piuttosto, che il legislatore ha creato una contraddizione che si
sarebbe potuto evitare; ma si sa - conclude il nostro autore - che è
sufficiente un poco di competenza tecnica per riconciliare regole
giuridiche che appaiono come contraddittorie.
Giungiamo così al terzo capo di analisi, rivolto verso quella
letteratura che spiega la preminenza dei principi con la loro
corrispondenza ad esigenze proprie della ragione umana. E’ questo un
approccio utile a fondare la prevalenza dei principi su di una norma
positiva, in quanto quest’ultima, in tali casi, risulterebbe contraria alla
ragione. Tali “principi razionali” diverrebbero, così, ostacolo
all’onnipotenza del legislatore. Anche in questo caso, tuttavia, Ripert non
appare convinto: vi sono, infatti, degli esempi di principi razionali
contraddetti dalla legge, senza che ciò generi una rivolta della nostra
razionalità verso il legislatore. In fondo, continua Ripert, “voler porre la
sola ragione umana quale tratto distintivo dei principi ci espone a delle
interminabili discussioni fra individui che non ragionano nello stesso
modo”. In realtà –prosegue- il giudizio di valore verso una legge si fonda
sulla nostra esperienza: “noi consideriamo ragionevoli le leggi che
abbiamo l’abitudine di seguire”. Punto, questo, che ci rinvia alla
continuità nel tempo delle regole che hanno contribuito a formare la
nostra razionalità, e pertanto alla questione, già affrontata da Ripert, del
rispetto della tradizione.
“Giunti a questo punto nell’analisi dei principi giuridici –scrive
Ripert- dovremo allora concludere ch’essi non esistono o, più
precisamente, che si confondono con le norme di diritto vigenti, non
essendo altro se non un modo per ordinare tali norme intorno a delle
grandi nozioni”. Egli si domanda, allora, se “l’idea che viene utilizzata
per ordinare le norme non abbia essa stessa un particolare valore, tale da
ispirare altre regole, di natura analoga, o da frenare la nascita di quelle
che non possono essere poste sotto la sua egida. Se così fosse,
dovremmo riconoscere la natura ideologica dei principi”. Riconoscimento,
questo, che “spiegherebbe sia la loro forza, sia la loro debolezza, in
quanto capaci di ispirare l’azione del legislatore, ma non di arginarla in
modo efficace”. E’ così che riconosciamo il principio di libertà religiosa
quale nozione primaria che ordina una serie di regole. La forza di tale
principio risiede nell’idea dei rapporti umani che rappresenta; esso non
può essere contraddetto con facilità, in quanto sia il legislatore, sia i
soggetti cui si indirizza, condividono il valore supremo dell’idea.. Questi
ultimi non accetteranno facilmente una legge che vieti, contro il principio
51
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
di libertà religiosa, l’esercizio di un culto. Anche nei casi in cui il diritto
sia l’esito di un compromesso fra forze sociali in contrasto, esso sarà
raggiunto con difficoltà se è in gioco un principio: il legislatore esiterà ad
esporsi alla critica. Tuttavia, “se i principi sono di natura puramente
ideologica, essi non hanno alcun valore serio, in quanto del tutto privi di
contenuto preciso: la loro vacuità risalta non appena si cercherà di
precisarli”.
Le grandi leggi del XX secolo hanno tentato di realizzare la libertà
di associazione o la libertà di stampa. Chi può dire se tali leggi erano
conformi o contrarie al principio di libertà ? Quando una legge è
contraria ad un principio ideologico, è difficile bollarla come una legge
cattiva: quel principio non si radica infatti né nella tradizione, né
nell’universalità, né nella razionalità, né, tanto meno, nell’utilità pratica. Il
semplice fatto che un tale principo venga contraddetto dalla legge “ne
prova la falsità, causata dalla sua intransigenza. Non sono i principi
ideologici che impongono le leggi; piuttosto, sono le leggi che danno ai
principi una fisionomia reale”. Da tale constatazione alcuni fanno
derivare, osserva Ripert, l’esigenza di dare maggior valore ai principi
ideologici precisandone il contenuto, e proclamandoli con un atto
solenne. E’ il caso delle “dichiarazioni dei diritti”. Tuttavia, quelle
dichiarazioni, che giungono ad avere valore costituzionale, non sono
“altro che l’opera di alcuni uomini politici, i quali hanno scelto
arbitrariamente le regole che ritengono essere le migliori”.
Giunto a questo punto del suo ragionamento, Ripert è pronto a
rinunciare a sostenere l’esistenza di principi vincolanti per i legislatore,
così riconoscendo che non vi è mezzo giuridico per contenerne
l’onnipotenza. Tuttavia, egli esita a cedere all’impossibilità di definire una
funzione per i principi giuridici, tentato dalla presenza di un collettivo
riconoscimento della loro esistenza: se, in presenza di una legge, i giuristi
ne lamentano la contrarietà ai principi giuridici, “sarà ben perché
individuano in qualche idea superiore del diritto i motivi per una
censura”. Certo, “l’antagonismo scettico ha gioco facile nel domandare di
conoscere la lista dei principi giuridici”, ed altrettanto facilmente sarà
possibile riesumare, contro il riconoscimento dell’esistenza di principi
generali, l’argomento che fu speso per negare il diritto naturale. Ma poco
importa che una tale lista non possa essere descritta: a ben vedere, i
principi si rivelano quando vengono violati, in quanto la loro violazione
genera disordine, e in fondo tali principi formano una totalità: “una
barriera che si oppone alla sovranità del Potere”.
E qui Ripert si arresta: “che tali principi siano posti dal diritto
naturale, dalla forza della tradizione, dalle esigenze della ragione, dalle
preoccupazioni pratiche legate alla salvaguardia dell’ordine, l’essenziale è
52
C. JAMIN : L’INCONTRO MANCATO DEI CIVILISTI FRANCESI CON IL REALISMO
constatare il loro valore in quanto argine alla sovranità del diritto
positivo”.
Eppure, Ripert non riposa su questa constatazione, che è,
evidentemente, la registrazione di un insuccesso (almeno secondo il suo
parere), e non esita a esporre, con poche parole, ma decisive e senz’altro
strategiche, la ragione ultima che impone di arginare l’onnipotenza del
legislatore, tramite il ricorso a principi che ha rinunciato a fondare.
Principi chiamati a fornire un elemento di “stabilità necessaria al diritto”,
il quale è a sua volta chiamato a “conservare i caratteri della nostra
civiltà”. Un appello, questo, per il quale egli trova utile chiamare a
sostegno Lerebours-Pgeonnière (in particolare, brani di un suo lungo
articolo dedicato a “La déclaration des droits de l’homme et le droit
international privé français”, pubblicato nel 1950): “Fino all’epoca
recente, la civiltà, per contrasto a ciò che chiamiamo, seguendo il diritto
romano, la barbarie, si fonda su alcuni elementi comuni, costitutivi
dell’ordine giuridico, e fra questi, alcuni elementi spirituali, come una
nozione della dignità della persona umana”. La vittoria sul nazismo, al
momento in cui Ripert scrive, data solamente dieci anni, e l’appello alla
difesa della civiltà contro la barbarie rappresenta un argomento radicale,
che impedisce ogni possibile replica 60 .
Analoga funzione svolge, secondo l’intendimento Ripert, una
citazione di Rivero (tratta da un saggio sulla “cultura giuridica”
pubblicato nel 1952): “La nostra civiltà, unione fragile [della forza e della
libertà] è ora in pericolo in quelle terre che, in seguito alla ritirata
dell’Occidente sono state restituite alla loro natura più profonda, e che,
non trovando in tale natura la tradizione giuridica che vi avevamo
imposto, paiono affacciarsi all’indipendenza solamente per ritornare al
caos”. Ripert riprende quest’ultima frase: “un ritorno al caos minaccia
tutti i Paesi che non sanno difendere i principi che fondano la loro
civiltà”. Il che gli consente di concludere a proposito dei principi
giuridici: “In fondo, i principi giuridici sono le grandi regole che
presiedono al mantenimento dell’ordine essenziale, e la loro esistenza
dipende da quella che è la nostra concezione del diritto”. Principi
giuridici che – insieme a quell’“ordine essenziale” un po’ misterioso –
tocca ai giuristi difendere e promuovere, segnalando “senza tregua la loro
Si noti che nel corso della prima guerra mondiale Ripert si era adoperato per svalutare
la concezione tedesca del diritto, fondata su “un nuovo idolo: lo Stato moderno, che
proclama il diritto grazie alla supremazia della forza”, contro cui invocava “la dignità
eminente della persona umana” (espressione mutuata da Henry Michel):, « L’idée du
droit en Allemagne et la guerre actuelle», Revue internazionale de l’enseignement 1915, pp.
179 e 183.
60
53
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
violazione, anche a costo di forzare il legislatore a rinunciare ai progetti
che coltiva”.
Il termine “caos” non manca di evocare immediatamente le forti
critiche formulate contro le concezioni metodologiche di Demogue,
contro la sua visione del diritto, ritenuta “caleidoscopica”, contro il suo
nichilismo dottrinale. Sarò più preciso: Ripert, almeno quanto Demogue,
rifugge il giusnaturalismo ed è convinto che il diritto sia l’esito di forze
sociali in lotta, ma mentre Demogue ritiene che quella lotta sia senza
tregua, non sia governata da alcun principio trascendente (e ciò perché il
diritto ideale ci è inaccessibile), né possa essere conclusa in nome di
alcun principio superiore, Ripert non accetta di rassegnarsi ad una lettura
che, a suo avviso, porta inevitabilmente al caos. Egli deve pertanto fare i
conti con quegli elementi spirituali che devono poter governare il diritto.
Tali elementi non derivano dal diritto, in quanto Ripert non segue le
dottrine del diritto naturale, ma dalla morale, da una morale che ci è
imposta dalla tradizione storica, unica forza in grado di opporsi alla
potenza della democrazia 61 .
Tuttavia, l’esito concreto di tale operazione è assai simile a quello
ricercato dai giusnaturalisti. Si tratta, in fondo, di por termine ad un
possibile disordine nel diritto. Il tutto, osserviamo, al costo di una
notevole contraddizione, in quanto Ripert finisce per appoggiarsi alla
tradizione, pur avendone revocato in dubbio il valore poche pagine
prima.
E’ tempo di ricapitolare quanto ho fin qui sostenuto. Il movimento
favorevole alla socializzazione del diritto era stato generato dall’apparire
dei conflitti di interesse fra diverse classi sociali, in primo luogo tra la
classe operaia e la borghesia, conflitti che avevano portato gran parte dei
giuristi a ritenere inadeguati, quale unica risposta, i meccanismi del
mercato. Ecco allora apparire la consapevolezza che solamente un
soggetto terzo – nell’opinione dei civilisti, il legislatore, o il giudice –
avrebbe potuto conciliare tali interessi e riportare la società in armonia.
La teoria del bilanciamento degli interessi, che ha sortito degli effetti
immediati sul metodo di lavoro dei giuristi, può, pertanto, essere intesa
come il risultato di una tale presa di coscienza. Invece di ragionare
attorno al solo testo del codice, invece di combinare le norme di legge al
fine di astrarre dei principi, appariva ormai necessario immergersi nella
realtà degli innumerevoli conflitti sociali affrontando le questioni
61 E’ in questo spirito che va letto il suo celebre saggio La règle morale dans les obligations
civiles (cit.): ad un legislatore democratico che non cessa di produrre legislazione sociale
nel campo del diritto delle obbligazioni, egli oppone i principi fondati sulla morale
cristiana, che rappresenta il sustrato stesso della nostra civiltà. In altri termini: RIpert
oppone la civiltà cristiana al suffragio universale.
54
C. JAMIN : L’INCONTRO MANCATO DEI CIVILISTI FRANCESI CON IL REALISMO
giuridiche in modo differente. In breve, non si trattava più di dedurre le
soluzioni dai testi di legge, secondo un modello filologico 62 , ma di
bilanciare gli interessi muovendo dai fatti. Ecco apparire il celebre
“punto di vista sociale”. Una larga parte della civilistica dell’epoca,
peraltro, si era ben resa conto del rischio insito in un metodo che pareva
avviato verso una perdita di certezza del diritto; fra questi, come si è
visto, Demogue, che pareva accertarlo dal 1911. Ed ecco, ancora,
accorrere in rimedio Saleilles, che nel tentativo di restituire la perduta
certezza, recupera le costruzioni giuridiche del primo Jhering. Una
analoga motivazione, si è visto, anima Ripert, e il suo ricorso ai principi,
ma con una netta distinzione fra quest’ultimo, ed i suoi due predecessori.
Mentre sia Demogue, sia Saleilles paiono convinti che tale ricerca
condurrà ad una qualche forma di verità tecnica, ad una serie di soluzioni
obiettivamente giuste, Ripert forse non ci crede. Egli non rinuncia alla
sua convinzione: il diritto è il prodotto della politica della forza. Pur pur
abdicando al tentativo di individuare il fondamento dei principi giuridici,
non mancherà mai di affermare la necessità appellarsi ad essi per limitare
l’azione del giudice 63 , ed ancor più del legislatore, al fine di non
contribuire al declino della civiltà. Ripert, in breve, non è credente, ma
argomenta come se lo fosse. Si tratta di un atteggiamento intellettuale
che pone il cinismo a fondamento del pensiero giuridico. Salvo che la sua
difesa della civiltà rappresenti per Ripert, in ultima analisi, il luogo di
verità del diritto. Ma allora la sua opera serebbe segnata da una
contraddizione interna, poiché il diritto non potrebbe più essere
considerato come il prodotto della politica della forza.
Il movimento favorevole a socializzare il diritto avrebbe potuto
condurre al declino delle costruzioni dottrinali, così come le abbiamo
conosciute sino ad oggi. Il che ci avrebbe evitato alcuni inconvenienti,
quali, ad esempio, quelli con i quali ci dobbiamo misurare quando si
pongono i diritti fondamentali emergenti a confronto con un diritto
positivo che quei diritti tendono a sgretolare 64 , o quando ci misuriamo
A proposito del quale, si veda: B. Frydman, Le sens des lois, 2° ed., Bruylant & LGDJ,
2007, p. 13.
63 Si noti qui che i principi da opporre al giudice sono quelli “scoperti” dalla dottrina, e
non, ovviamente, i principi generali prodotti dai giudici stessi. Mentre i primi hanno la
funzione di limitare l’onnipotenza dell’interprete togato, i secondo rappresentano la
modalità attraverso la quale il giudice si esprime come legislatore.
64 Tema sul quale mi permetto di rinviare al mio saggio: “Le droit des contrats saisi par
les droits fondamentaux”, in G. Lewkowicz e M. Xifaras, (cur.), Repenser le contrat,
Dalloz, 2009, spec. alle pp. 217-220.
62
55
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
con quel che chiamiamo (in modo assai significativo) il disordine delle
fonti del diritto 65 .
Quel movimento avrebbe anche potuto condurre ad una rimessa
in causa della fede, largamente diffusa, nell’esistenza di un principio di
autonomia del ragionamento giuridico. Smascherata la incapacità del
ragionamento giuridico a essere portatore di verità, era pronto il passo
verso un ricorso a quelle scienze sociali che avevano iniziato ad
incombere già nei primi anni del XX secolo, affermando, ad esempio, la
tesi secondo la quali i giudici avrebbero dovuto necessariamente formarsi
agli insegnamenti dell’economia politica 66 .
Ma guardiamo agli effetti nel tempo di quel movimento: i
successori di Saleilles e Ripert, dei quali la maggior parte dei civilisti
francesi sono oggi i nipoti, hanno ricevuto il compito di difendere la
struttura e la certezza del diritto con grandi colpi di principi e di
costruzioni giuridiche , metodo questo che si è risolto in una
valorizzazione del virtuosismo tecnico e dell’inflessibilità dogmatica 67 . E
tutto ciò per mantenere nella nostra società un’armonia che era stata
incrinata dal pensiero sovversivo di un piccolo numero di civilisti
(Demogue, in primo luogo), che si erano cimentati nel dimostrare la
vacuità di tale esercizio di difesa. In breve, per tutelare la civiltà contro le
tendenze nichiliste, il disordine sociale, il rischio di incoerenza del diritto,
l’anomia, il totalitarismo, ecc.
E Ripert non avrà avuto molta difficoltà a convincere i suoi
contemporanei. E ancora per ragioni politiche. All’inzio del XX secolo il
movimento di socializzazione del diritto è un affare dei civilisti, la
maggior parte dei quali sono, sul piano delle preferenze politiche, dei
conservatori, convinti che il solo modo per stabilire un equilibrio fra le
opposte forze della borghesia e della classe operaia sia la socializzazione
del diritto. In altri termini, il movimento è volto a superare la lotta di
65 Si veda la lucida analisi di R. Libchaber, “L’impossible rationalité de l’ordre
juridique”, in Etudes à la mémoire du professeur Bruno Oppetit, cit., p. 505.
66 Si veda, in particolare, G. Morin, La loi et le contrat, Alcan, 1927, pp. 145-159, che
richiama ad “una nuova formazione intellettuale dei giudici”.
67 La responsabilità di una tale situazione non è, certo, interamente di Ripert; ma
piuttosto di coloro che, in un modo o nell’altro, hanno proseguito la sua opera dagli
anni ’50 fino ad oggi. In effetti, diversamente dalla maggior parte dei suoi
contemporanei, Ripert lamentava la predominanza della tecnica, ed auspicava che i
civilisti ponessero attenzione a non rinchiudersi entro i suoi confini (vedi, chiaramente,
Le régime démocratique et le droit cit., n. 5, pp. 8-9). A mio avviso, sono proprio i civilisti
delle generazioni successive che hanno avuto la tendenza ad esagerare i compiti della
tecnica, e ciò a scapito della presa di posizione politica alla quale Ripert non aveva mai
rinunciato (elemento, questo, che attenua quella parte di cinismo presente nella sua
opera).
56
C. JAMIN : L’INCONTRO MANCATO DEI CIVILISTI FRANCESI CON IL REALISMO
classe. Ebbene, trent’anni più tardi, cosa troviamo ? Il Fronte Popolare,
che ha generato una legislazione di classe che a molti giuristi appare non
solo incapace di pacificare il confronto di classe, ma anche destinata ad
esacerbare la tensione, portando i diversi gruppi sociali a reclamare, a
detrimento degli altri, più diritti: operai contro padroni, proprietari
contro locatari, e così via. In breve, l’esatto opposto del risultato che
quegli stessi giuristi avevano auspicato trent’anni addietro, promuovendo
il movimento di socializzazione del diritto !
A mo’ di esempio, si tratta esattamente dello stato di spirito in cui
si trovò il celebre Josserand, coerente nella sua dottrina dalla giovane alla
matura età: all’inizio del XX secolo, volendo contribuire
all’armonizzazione dei rapporti sociali, inventò la teoria dell’abuso del
diritto, precisando che i diritti soggettivo vengono riconosciuti al solo
fine di adempiere ad una funzione sociale 68 , e così Ripert lo etichetterà
malignamente come bolscevico 69 . Nel corso degli anni ’30, si troverà a
dolersi a più riprese dello spazio occupato da una legislazione di classe
che gli parrà come distruttrice dell’armonia sociale 70 . Coloro che –scrive
nel 1937- occupavano una posizione dominante, sia dal punto di vista
materiale, che giuridico, che morale, “rappresentando la parte più solida”
della società sono ora ridotti al rango di nemici della società”, e ciò grazie
all’avvento del dirigismo, prodotto dal movimento di socializzazione del
diritto 71 . Per poi concludere: “si al dirigismo, ma no all’incoerenza, alla
parzialità partigiana, all’anarchia “ 72 .
L. Josserand, De l’abus des droits, Dalloz, 1905, puis Essais de téléologie juridique, t. 1er, De
l’esprit des droits et de leur relativité – Théorie dite de l’abus des droits, Dalloz, Paris, 1927.
69 G. Ripert, « Abus ou relativité des droits – A propos de l’ouvrage de M. Josserand :
De l’esprit des droits et de leur relativité, 1927 », Revue critique de législation et de jurisprudence
1929, p. 33.
70 Si veda, in tal senso, la serie di brevi cronache, dai titoli evocativi, che Josserand
pubblica nel corso di quegli anni : « Le contrat dirigé », D.H. 1933, Chron., p. 89;
« Libéralisme et verbalisme », D.H. 1933, Chron., p. 65; « Sur la reconstitution d’un
droit de classe », D.H. 1937, Chron., p. 1; « La renaissance des droits "civils" ;
Symptômes d’autarchie juridique », D.H. 1937, Chron., p. 69; « Le contrat forcé et le
contrat légal (contrat dit de salaire différé) », D.H. 1940, p. 5.
71 L. Josserand, « Aperçu général des tendances actuelles de la théorie des contrats »,
RTDciv. 1937, p. 20, n° 18.
72 L. Josserand, op. cit., p. 30, n. 25. Cfr. : D. Deroussin, « L. Josserand : le droit comme
science sociale ? », in D. Deroussin (cur.), Le renouvellement des sciences sociales et juridiques
sous la IIIe République, éd. La mémoire du droit, 2007, il quale così conclude: «Il fine
ideale che il diritto indica è il raggiungimento dell’armonia sociale, la quale è
incompatibile con un conflitto permanente» (p. 93). In un tale contesto, risulta evidente
come Josserand non approvasse più, negli anni ’20, ed ancor meno nel decennio
successivo, le linee di evoluzione del diritto francese.
68
57
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
Incoerenza, anarchia caos: sono sempre gli stessi termini, che
ritornano, senza dimenticare le “morbose deformazioni”, denunciate,
sulla stessa scia, del giudice Magnaud (vd. supra).
Ma non sarà soltanto il Fronte Popolare; la seconda guerra
mondiale e il suo carico di atrocità metteranno definitivamente fine agli
interrogativi metodologici dei primi anni del XX secolo – e ciò senza che
le riflessioni dell’esistenzialismo siano in grado di rianimare nel
dopoguerra quegli interrogativi 73 . Come immaginare ancora che il diritto
sia principalmente il prodotto di rapporti di forza che, al meglio, si
risolvono in equilibri precari; come immaginare che il diritto non sia
compreso entro alcun principio in grado di trascenderlo, e di prevenire la
perdita di struttura, la trasformazione in un caleidoscopio che null’altro
promette se non il caso dal quale l’Europa appena usciva, al termine della
guerra ? Rileggiamo la sintesi del testo di Lerebours-Pigeonnière che
Ripert assai opportunamente citava: privare il diritto di ogni elemento
spirituale, è semplicemente accettare il rischio della barbarie 74 .
A partire dal 1936, e in modo definitivo dopo il 1945, la fine della
ricreazione è veramente suonata. Sul piano sostanziale, non si tratta più
di difendere il movimento di socializzazione del diritto – che i civilisti
hanno ormai deciso di confinare in quel settore particolare che prende il
nome di diritto sociale, quasi a meglio proteggere l’integrità del diritto
civile 75 . Certo, a partire dal decennio 1920-’30 la macchina legislativa e,
con minore intensità, quella giudiziaria, è in moto, e fino agli anni
successivi al 1980, marcati da un ritorno alla fede nel libero scambio, sarà
difficile arrestare il movimento di socializzazione del diritto che è così
poderosamente servito. Tuttavia, a partire dagli anni ’30 per la maggior
parte dei civilisti francesi è fuori questione sostenerlo. Dal punto di vista
del metodo, poi, quegli stessi civilisti, che per un breve istante si sono
offerti il lusso di farsi spaventare da Demogue, sono oramai convinti
Penso in particolare a Chenot (si vd.: « L’Existentialisme et le Droit », Revue française de
sciences politiques 1953, p. 57 sq.) e la sferzante replica di Rivero, cit.
74 Una analisi comparativa ci permetterà di vedere che il riflusso del realismo giuridico
statunitense si spiega con motivi pressoché identici a quelli che ne hanno determinato la
sfortuna in Francia (il che, peraltro, non impedisce alla maggioranza dei colleghi di oltre
oceano di presentarsi, ben diversamente dai francesi, come i nipoti del Realismo) Vedi
ad es.: N. Duxbury, op.cit., a p. 67 : « From the 1930s onwards, realist jurisprudence
suffered a series of increasingly penetrative body-blows as American legal philosophers,
tormented by the spectre of Nazism, became ever more determined to discover
democratic values, rational processes, neutral principles and, ultimately, integrity in the
law ».
75 Si veda: Ch. Jamin e P.-Y. Verkindt, « Droit civil et droit social : l’invention d’un style
néo-classique chez les juristes français au début du XXe siècle », in N. Kasirer (dir.), Le
droit civil, avant tout un style ?, éd. Thémis, 2003, p. 103 ss.
73
58
C. JAMIN : L’INCONTRO MANCATO DEI CIVILISTI FRANCESI CON IL REALISMO
della capacità della tecnica giuridica di produrre verità nel diritto, che si
tratti dei nipoti accademici di Saleilles, nella sua vena più scettica, e più
ancora di Gény, o degli eredi del più cinico Ripert, i quali ritengono
necessario comportarsi come se credessero in quella capacità. E tutto ciò
per preservarci dalla paura del caos 76 .
Detto altrimenti, essi si sono spinti sino all’orlo dell’abisso, un
abisso rappresentato da un diritto che non era più in grado di essere
portatore di verità, che non era più, di conseguenza, suscettibile di fissare
dei limiti al potere del legislatore o del giudice e, più in generale, alla
volontà di potenza dei governanti; ma non hanno voluto tuffarsi ed
affrontare la questione. Scelta, quella, che se fosse stata realizzata
avrebbe potuto divenire un modo per vivere i tormenti del Realismo
(americano) e, forse, per permettere alla dottrina giuridica francese di
prendere un’altra strada. Ma il prezzo da pagare era forse troppo elevato.
Sicuramente, non avremmo conosciuto il caos – e, a ben vedere, non
credo che i giuristi americani l’abbiano conosciuto 77 - ma la scelta di
un’altra strada ci avrebbe condotto a vivere in un mondo decisamente
più incerto, obbligandoci a riconsiderare il problema dei rapporti fra
diritto e verità 78 , a pensare a delle forme di razionalità diverse dalla
tecnica giuridica, una tecnica che, come vediamo, ha occupato la quasi
totalità del discorso giuridico, e la cui enfasi ci impedisce sovente di
percepire determinate questioni 79 , a non credere sempre e
necessariamente, che “anche nel diritto, due più due fa sempre
quattro” 80 , a ripensare alla realtà del processo con cui si arriva alla
decisione giudiziaria 81 , per limitarci solo ad alcuni esempi.
E invece quel mutamento di rotta non risultò concepibile, in
quanto avrebbe finito per portare i professori di diritto, iniziatori del
Vedi, ad es., G. Cornu, « Aperçu de la pensée juridique française contemporaine »,
Annales de l’Université de Poitiers, nouv. série, n° 1, 1960, spec. p. 24 e ss.
77 La questione meriterebbe di essere studiata, iniziando a domandare per quali motivi le
grande ventate ideologiche che hanno agitato il diritto americano a partire dalla fine del
XIX secolo, non abbiano causato una débacle normativa. A prima vista, pare piuttosto
il contrario: poche società sono state così tanto impregnate di diritto quanto gli Stati
Uniti, e poche istituzioni hanno, in quel Paese maggior legittimazione dei tribunali, in
particolare delle corti federali, i cui giudici sono nominati, piuttosto che eletti.
78 Su questo tema si veda: D. Patterson, Law & Truth, Oxford UP, 1996.
79 Si veda, di recente : S. Pimont, « Peut-on réduire le droit en théories générales ? »,
RTDciv. 2009, p. 417.
8080 Per riprendere la recente espressione del professor Philippe Comte : « "L’action
pénale" en lévitation », D. 2010, p. 775.
81 Ricordiamo qui di The Nature of the Judicial Process pubblicato nel 1921 dal giudice
Benjamin N. Cardozo, testo canonico di quella sociological jurisprudence, che non trova un
vero equivalente in Francia.
76
59
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
movimento, a mandare in rovina i fondamenti stessi di quel potere
dottrinale che erano in procinto di conquistare.
60
LE DROIT DES SUCCESSIONS ET LA FAMILLE EN
ITALIE
ANDREA FUSARO
SOMMAIRE : 1. Observations introductives. - 2. Règles générales du droit des
successions. - 3. La dévolution successorale légale. - 4. La succession testamentaire. - 5.
Le système de la réserve successorale. - 6. Le statut successoral du conjoint survivant. 7. La circulation juridique des biens héréditaires. - 8. Régimes matrimoniaux. - 9. Droit
patrimonial de la famille et droit des successions: quelques considérations finales.
1. Observations introductives
La législation italienne en matière de droit des successions et de
droit de la famille s’inspire des principes de sa tradition juridique
privilégiant les liens de sang et ceux dérivant du mariage. Les règles sont
contenues dans le Code civil de 1942, mais une grande partie des
dispositions originaires a été modifiée par la loi n. 151 du 19 mai 1975
portant réforme du droit de la famille pour l’adapter à la Constitution de
1948 et, en particulier, aux nouvelles conceptions des rapports entre les
époux d’une part, et entre parents et enfants d’autre part, y compris ceux
nés hors mariage, évoqués dans les articles 29, 2 alinéa, et 30 de la
Constitution 1 . D’autres règles figurent dans la loi n. 898 du 1 décembre
1970 introduisant le divorce (réformée par la loi n. 74 du 6 mars 1987).
L’introduction de l’égalité entre hommes et femmes (par exemple,
avec l’apparition du régime matrimonial de la communauté légale) et la
tendance à l'assimilation de la filiation naturelle et légitime ont joué un
rôle essentiel dans la réforme du 1975, même si des exceptions
demeurent. En l’absence de testament, la vocation successorale des
collatéraux naturels n’existe que s'il n'y a pas d'autres parents jusqu’au
sixième degré: ils sont en dernière position, parmi les parents légitimes,
avant l'Etat. L'égalité des enfants naturels vaut uniquement dans la ligne
directe, mais pas dans la ligne collatérale: la Cour Constitutionnelle parle
de rapport parental non juridique, donc de fait, de lien de sang. Dans le
partage entre enfants légitimes et naturels, les premiers peuvent liquider
Art. 29, 2 alinéa, Cost.: "Le mariage est basé sur l'égalité morale et juridique des époux,
dans les limites fixées par la loi pour garantir l'unité de la famille"; art. 30 Cost. : "C'est
un devoir et un droit des parents d'entretenir, d'instruire et d'éduquer les enfants, même
ceux nés hors du mariage... La loi assure aux enfants nés hors du mariage toute la
protection juridique et sociale compatible avec les droits des membres de la famille
légitime".
1
61
REVUE JURIDIQUE DE L’ISAIDAT
1-2010
en argent la part successorale des seconds : c'est le droit de commutation
(art. 537, III, C.civ.). Une décision récente de la Cour Constitutionnelle 2
a admis la validité du droit de commutation, car il n'enfreint pas le
principe d’égalité entre enfants. Cette décision est conforme à la
jurisprudence de la Cour selon laquelle le principe d’égalité lie le
législateur uniquement dans les rapports entre parents et enfants, mais
pas dans la ligne collatérale.
Le législateur italien n’a pas introduit de normes particulières pour
adapter le droit italien à l’évolution des moeurs et de la société actuelles:
aujourd’hui le droit de la famille et le droit des successions sont encore
influencés par la tradition religieuse catholique qui reconnaît uniquement
la famille fondée sur le mariage. A l’inverse du droit français, en Italie,
une réglementation sur l’union entre personnes de même sexe 3 , et une loi
sur les couples non mariés font défaut: les partenariats comme le PACS
ne sont pas admis et la cohabitation ne confère aucune vocation
successorale (la Cour Constitutionnelle a seulement admis que, en cas de
décès, le concubin survivant puisse bénéficier du transfert du contrat de
bail d'habitation dès lors qu'il vit avec le locataire à la date du décès 4 ,
comme un conjoint 5 ). Le droit de la famille n’est pas complètement laïc
et est encore influencé par la tradition catholique, également en ce qui
concerne le divorce - pour lequel il faut attendre trois ans de séparation
après la décision judiciaire établissant la séparation de corps -; les
conséquences économiques qui dérivent de la rupture du mariage sont
acquises pour toujours (voir la différence avec la réforme allemande); la
filiation adoptive - reconnue seulement au couple marié; les règles sur la
"procréation médicalement assistée" 6 .
Soulignons, enfin, que le droit italien ne prévoit pas de règles
particulières pour les enfants du de cujus issus de différents lits 7 et,
comme on l’a déjà dit, n’accorde pas complètement les mêmes droits aux
enfants légitimes à ceux nés hors mariage dans le régime successoral.
C. Cost. 19-12-2009, n. 335.
C.Cost.15-4-2010, n.138 : le mariage entre personnes du même sexe ne peut être
juridiquement assimilable au mariage ni ne peut recevoir, en tant que telle, une
reconnaissance légale.
4 C. Cost. 7-4-1988, n. 377.
5 Art. 6, loi 27. 7. 1978, n. 392.
6 Loi 19. 2. 2004, n. 40.
7 Una casistica in tema di pianificazione successoria, in Notariato, 2008, n.2, pp.188-191.
2
3
62
A. FUSARO : LE DROIT DES SUCCESSIONS ET LA FAMILLE EN ITALIE
2. Règles générales du droit des successions
La capacité de succéder est un aspect de la capacité juridique, qui
s'acquiert à la naissance. Toutefois, même les enfants non encore conçus
d'une personne déterminée et vivante au moment du décès du testateur
peuvent hériter par testament. Ne peuvent tester les individus n’ayant pas
atteint la majorité (18 ans), les interdits, les incapables d'entendre et de
vouloir.
La loi successorale applicable est le droit national du défunt au
moment de son décès. Les copartageants peuvent choisir, d'un commun
accord, une autre loi applicable que celle désignée par le de cuius pour le
partage. Il ne peut toutefois alors s'agir que de la loi du lieu d'ouverture
de la succession ou de la loi de l'Etat dans lequel se trouvent un ou
plusieurs biens héréditaires. Un fractionnement de la loi applicable n'est
pas admissible.
La "professio juris" en faveur de l'Etat dans lequel réside le de cuius est
admise, mais elle n'est valable que s'il réside toujours dans cet Etat au
moment de son décès. Un principe particulier est la stricte protection
des héritiers réservataires résidant en Italie au moment de l'ouverture de
la succession.
Il n’y a pas de différence si le de cujus était un religieux: on applique
la même loi successorale.
La dévolution de l'héritage (c'est - à - dire l'offre d'héritage à une
personne, avec le droit pour elle de l'accepter) a lieu automatiquement,
au moment de l'ouverture de la succession, sans que ne soit nécessaire
l'intervention d'une autorité.
La transmission de la propriété et de la possession du patrimoine
héréditaire peut avoir lieu automatiquement ou bien par le biais d’une
acceptation des appelés à la succession, quelles qu'en soient les formes
(acceptation exprimée, actes comportant acceptation tacite,
comportements impliquant une acceptation implicite).
Pendant la période qui s'écoule entre l'ouverture de la succession et
l'acceptation de l'héritage et, sauf si un curateur a été nommé, l’appelé à
la succession, même s'il n'est pas en possession des biens, pourra exercer
les actions possessoires pour la défense et, en général, accomplir tous les
actes conservatoires, de surveillance et d'administration temporaire.
Quand l’héritier n'a pas encore accepté l'héritage et n'est pas en
possession des biens successoriaux, l'autorité judiciaire peut designer un
curateur à succession vacante, à la demande des personnes intéressées ou
même d'office.
L'acceptation peut être exprimée purement et simplement, sous
bénéfice d'inventaire, ou être tacite. Elle est tacite lorsque l’appelé a
63
REVUE JURIDIQUE DE L’ISAIDAT
1-2010
l’héritage accomplit un acte qui implique nécessairement sa volonté
d'accepter: vente, donation, cession de droits héréditaires; de même
quand l’appelé en possession des biens successoraux n'a pas fait
l'inventaire dans les trois mois de l'ouverture de la succession.
La succession légale intervient en l’absence de testament. Comme
en droit français, le Code civil italien consacre la liberté de tester, dans les
limites établies par les règles de la réserve successorale 8 .
Le système italien prévoit aussi les successions anomales qui
peuvent-être définies comme des attributions de droits qui ne suivent pas
les mêmes règles s’appliquant aux autres biens du défunt. On considére
comme des successions anomales celles relatives à l’indemnité de départ
due au défunt travailleur salarié: les enfants et le conjoint ainsi que les
parents jusqu’au 3e degré et les alliés jusqu’au 2e degré, si le défunt les
entretenait, sont en concours; et celles relatives au droit du contrat de
location de l’habitation du défunt: les successibles qui vivaient avec lui au
moment du décès succèdent de droit au contrat.
Le droit fiscal italien n’appréhende pas le régime matrimonial, mais
il prend en considération la dévolution successorale. La loi n. 262 du 3
octobre 2006 a réintroduit l'impôt sur les successions et les donations,
applicable au transfert de biens et de droits pour cause de mort et aux
donations (actes à titre gratuit). La matière imposable est constituée par
la valeur globale nette des biens compris dans la masse héréditaire,
majorée de 10 pour 100. Une franchise existe, périodiquement mise à
jour pour tenir compte des montants exemptés. Ces derniers varient
selon le degré de parenté des héritiers.
3. La dévolution successorale légale
La succession légale intervient en l’absence de testament. La
dévolution successorale légale est fondée sur le lien de parenté, mais
aussi sur le mariage: le droit de la famille est, en effet, la base du droit des
successions. Avec la loi 19 mai 1975 n. 151 l'importance du lien conjugal
a été accentuée et, corrélativement, il s'en est suivi une diminution sur le
plan successoral de la place reconnue aux autres liens familiaux.
Depuis la réforme du droit de la famille de 1975, en l’absence de
volonté émise par le défunt, les héritiers sont: - le conjoint survivant non
divorcé, même si séparé;
- les descendants légitimes, naturels reconnus et adoptifs; - les
parents et autres descendants, légitimes ou naturels (à condition que le
lien de filiation ait été établi). S’il n’existe pas d’autres catégories
8
La fondazione di famiglia in Italia e all'estero, in Riv. not., 2010, fasc.1, pp. 17-38.
64
A. FUSARO : LE DROIT DES SUCCESSIONS ET LA FAMILLE EN ITALIE
d’héritiers entrant en concours avec eux, les parents excluent les autres
ascendants, lorsqu’ils sont du même degré, il faut faire une distinction
entre la branche paternelle et maternelle.- Les frères et sœurs légitimes.
Les parents sont en concours avec les frères et sœurs légitimes en parts
égales entre eux, à condition que la part des parents ne soit pas inférieure
à ½ (art. 571 al 1 Code civil).
Les frères et sœurs consanguins ou utérins ont droit à la moitié de
la part à laquelle ont droit les frères et sœurs germains (art 571 al 2 Code
civil). - Les autres parents légitimes en ligne collatérale jusqu’au 6ème
degré qui se partagent la succession dévolue pour moitié à la lignée
paternelle et pour l’autre moitié à la lignée maternelle; - les frères et
sœurs naturels; l’Etat; les enfants naturels qui ne sont pas reconnus (art.
279 Code civil) ont droit à une pension à vie imputable à l’héritage.
Les articles 566 et suivants du Code civil énoncent les règles du
concours entre l’ordre des différentes lignées énoncées, sur les
précédences et les exclusions réciproques. Les principes de base sont les
suivants: - les enfants priment sur le noyau familial dans lequel le défunt
est né (parents, grands-parents, frères et sœurs, qui eux- mêmes priment
sur les autres successeurs); - une place particulière est reconnue au
conjoint survivant; - à l’intérieur de chaque catégorie, la classification se
fait par degré.
4. La succession testamentaire
Dans le Code civil se trouvent également les dispositions en
matière de succession testamentaire, l'unique forme prévue dans le
système italien en ce qui concerne les dispositions de dernière volonté.
Le testament est un acte personnel et toujours révocable par la seule
volonté du testateur (art. 679). Toute personne disposant de la capacité
d’agir, de comprendre et de vouloir peut, par testament, désigner les
personnes appelées à lui succéder (art. 591 Code civil).
Le droit italien se base sur le principe de la liberté testamentaire 9 et
la loi interdit par conséquent le testament conjoint ou réciproque, c’est-àdire rédigé par plusieurs personnes, ou par deux personnes sous
condition de réciprocité.
Les pactes sur succession future sont aussi interdits puisqu’ils
apportent une restriction du même principe de la liberté testamentaire.
L'article 458 du Code civil énonce la nullité de toute convention par
laquelle quelqu'un disposerait de sa propre succession, ainsi que de tout
9
Volonta' testamentaria e revoca del testamento, in Corr. giur., 1992, 174
65
REVUE JURIDIQUE DE L’ISAIDAT
1-2010
acte par lequel quelqu'un disposerait des droits pouvant ressortir d'une
succession non encore ouverte ou renoncerait à ceux-ci 10 .
Une exception à l'interdiction des pactes de succession a été
introduite par le "pacte de famille", réglementé par les articles 768-bis et
suivants du Code civil 11 . C’est un contrat qui doit prendre la forme d’un
acte notarié sous peine de nullité. Par le biais du pacte de famille, le chef
d'entreprise ou le titulaire de participations aux quotes-parts transfèrent
l'ensemble ou une partie de l'entreprise ou des quotes-parts à un ou
plusieurs descendants. Doivent également faire partie de ce contrat le
conjoint et tous ceux qui seraient des héritiers réservataires, si la
succession du patrimoine du chef d'entreprise était ouverte à ce momentlà. Le bénéficiaire du transfert, qui ne peut être autre qu'un descendant,
doit liquider la part successorale des autres participants au contrat uniquement dans la mesure où ceux-ci n'y renoncent pas pour une partie
- par le paiement d'une somme en numéraire correspondant à la valeur
de la quote-part de réserve héréditaire qui leur est due, ou en nature. Ce
que les parties au contrat reçoivent n'est sujet ni à rapport ni à réduction.
A l'ouverture de la succession du chef d'entreprise, le conjoint et les
autres héritiers réservataires qui n'ont pas fait partie du contrat peuvent
revendiquer des bénéficiaires de ce même contrat le paiement de la
somme évoquée ci-dessus, augmentée des intérêts prévus par la loi 12 .
Le testament doit être établi par écrit; le testament oral ou
"nuncupatif" est considéré comme inexistant.
Il existe différentes formes de testaments (art. 602 et suivants du
Code civil) :
Le testament olographe, acte rédigé, daté et signé de la main du
testateur, peut être rédigé aussi sous forme de lettre. Il doit cependant
être entièrement écrit à la main, indiquer le jour, le mois et l’année, et la
signature doit permettre d’identifier avec certitude le testateur.
Le testament par acte notarié, qui peut être : soit un "testament
secret" signé de la main du testateur, placé dans une enveloppe scellée et
remise au notaire en présence de deux témoins; le notaire rédige ensuite
un acte de réception daté et signé par celui-ci et les témoins; soit un
"testament public" rédigé par le notaire en présence de deux témoins,
l’acte devant être daté, signé par le notaire et les témoins.
Outre les testaments de droit commun, existent les testaments
spéciaux: des règles particulieres sont en effet établies pour les
10 L'espansione dell'autonomia privata in ambito successorio nei recenti interventi legislativi francesi ed
italiani, in Contr. impr. Europa, 2009, fasc.1, pp.427-464.
11 Loi 14. 2. 2006, n. 55.
12 I patti di famiglia, in Il nuovo diritto di famiglia, trattato dir. da G. Ferrando, Zanichelli,
vol. II, 2008, pp. 857- 889.
66
A. FUSARO : LE DROIT DES SUCCESSIONS ET LA FAMILLE EN ITALIE
testaments à bord d'un bateau, d'un avion, pour les testaments des
militaires et assimilés; pour tous ces testaments spéciaux, la rédaction
par écrit de la déclaration du testateur (ou de la personne autorisée à la
recevoir) est requise.
Le testament est nul de plein droit ? dans son intégralité lorsqu’il
présente un vice de forme de sorte que l’on doute de l’authenticité des
dispositions ou lorsqu’il est conjoint ou réciproque.
Le testament est annulable dans son intégralité quand il présente
un vice de forme qui ne remet pas en question l’authenticité des
dispositions ou quand il a été rédigé par une personne incapable n’ayant
pas la qualité d’agir ou en situation d’incapacité de comprendre et de
vouloir.
Une disposition du testament est nulle quand: les destinataires ne
peuvent être identifiés; ou son contenu ou son motif sont illicites. Une
disposition du testament est annulable quand elle est viciée par l’erreur,
le dol ou la violence.
L’action en nullité est imprescriptible mais l’action en annulation se
prescrit dans un délai de cinq ans.
Les légataires ne sont pas tenus au paiement du passif successoral.
L’acquisition du legs est automatique par l’effet de la disposition
testamentaire, cependant le légataire a la faculté de le refuser.
5. Le système de la réserve successorale
La réserve successorale existe en droit des successions italien 13 . Les
réservataires ou héritiers légaux sont le conjoint, les enfants et à défaut
de ces derniers les ascendants. Les articles 537 et suivants du Code civ.
précisent les différentes quotités du patrimoine du défunt revenant aux
réservataires.
Depuis la réforme de 1975, le conjoint (art. 540 et s.) a droit: à la
moitié du patrimoine du défunt s'il est en concours avec les ascendants; à
un tiers s'il est en concours avec un enfant; à un quart s'il est en concours
avec plusieurs enfants. Il bénéficie en plus du droit réel d'habiter dans la
maison qui constitue la résidence familiale - s'il appartenait au défunt - et
du droit réel d'utiliser les meubles qui la garnissent. On ne peut y
déroger. Le droit d'habitation du logement familial est imputé sur la
quotité disponible.
Legitimate portion and other techniques of protection of surviving spouses and children. A
comparison between civil law and common law systems, in B. VERSCHRAEGEN (ed.), Family
Finances(13th World Conference of the International Society of Family Law. Vienna 16 – 20
September 2008), 2009, pp. 751 – 760.
13
67
REVUE JURIDIQUE DE L’ISAIDAT
1-2010
Les enfants ont des droits identiques entre-eux (art. 537). S'il y a un
enfant, il a droit à la moitié du patrimoine, sauf s'il est en concours avec
le conjoint survivant, ses droits sont alors réduits au tiers. S'il y a
plusieurs enfants, ils ont droit aux deux tiers du patrimoine à se répartir
en parts égales, mais s'ils sont en concours avec le conjoint survivant,
leurs droits sont réduits à la moitié.
Les ascendants légitimes n'ont droit à une part de réserve que s'il
n'y a pas d'enfants. S'ils sont en concours avec le conjoint, ils n'ont droit
qu'à un quart du patrimoine, sinon un tiers.
On peut augmenter ou réduire les parts successorales légales, mais
dans la limite des droit réservataires. L'assurance-vie est une autre
possibilité de dérogation 14 .
La réserve héréditaire constitue un droit à une action en réduction
des legs et des donations pour rétablir la quote-part d'héritage garantie
par la loi aux réservataires. Le réservataire lésé ou omis des dispositions
testamentaires ou des donations peut exercer l'action en réduction, pour
faire déclarer - en sa faveur - l'inefficacité des dispositions. Pour
déterminer la part dont le défunt pouvait disposer, on doit rassembler
tous les biens qui appartenaient au défunt au moment de sa mort, après
déduction des dettes; on y ajoute fictivement les biens qui ont fait l'objet
de donation du vivant du défunt; sur base de cette masse successorale,
on estime la part disponible du patrimoine et les parts réservées aux
réservataires. Après avoir gagné l'action en réduction, qui prive
d'efficacité la disposition préjudiciable aux réservataires, ceux-ci peuvent
intenter une action contre les bénéficiaires des dispositions réduites et
leurs ayants droit, en vue de la restitution des biens.
L'action se prescrit dix ans après la mort du testateur.
6. Le statut successoral du conjoint survivant
Avant la loi n. 151 du 1975, la règle traditionnelle du droit romain
qui limite à l'usufruit la vocation de l'époux avait été maintenue. Avec la
réforme du droit de famille, l'importance du lien conjugal a été
accentuée: le conjoint survivant recueille des droits en pleine propriété,
dont le montant varie selon les héritiers en présence.
Art 536 Code civ.: Les réservataires ou héritiers légaux sont: le conjoint (1/2, 1/3 si
un enfant, ¼ si plusieurs enfants) ; les enfants (légitimes, naturels et adoptifs), ( ½ si un
enfant, ou 1/3 si avec le conjoint ; 2/3 si plusieurs enfants mais ½ si avec le conjoint),
les ascendants légitimes (ils ne sont réservataires qu’en l’absence de descendants et s’ils
sont en concours avec le conjoint ils n’ont droit que à ¼, sinon ils ont une réserve de
1/3).
14
68
A. FUSARO : LE DROIT DES SUCCESSIONS ET LA FAMILLE EN ITALIE
Le conjoint est héritier réservataire et bénéficie toujours dans la
succession de son conjoint décédé d’une part en pleine propriété. En
plus de sa part, le conjoint a le droit d’habiter la maison qui constitue la
résidence familiale et d’utiliser les meubles la garnissant s’ils étaient la
propriété personnelle du défunt ou la propriété commune des époux.
Le conjoint séparé de corps, s’il n’est pas à l’origine de la
séparation, conserve les mêmes droits successoraux. Le conjoint séparé
de corps, s’il est à l’origine de la séparation, a droit à un legs ex lege (art.
548 al 2): il peut obtenir une rente viagère en argent à imputer sur
l’héritage, s’il était créancier d’une obligation alimentaire à l’égard de
défunt. Le conjoint divorcé perd tout droit à la succession et ne garde
que le droit à une allocation périodique, en cas de décès du conjoint
débiteur d’une pension alimentaire. Cette allocation est à quantifier en
fonction du montant déjà dû, de l'ampleur du besoin, de l'éventuelle
pension de réversibilité, des actifs héréditaires, du nombre et de la qualité
des héritiers et de leurs conditions économiques. On ne peut y déroger.
Le conjoint est en concours avec les descendants, ascendants et
collatéraux privilégiés, il exclut les autres catégories de successibles. Les
quotités sont les suivantes: ½ s’il est en concours avec un seul enfant,
1/3 s’ils sont plusieurs (art. 581 C.civ.); 2/3 s’il est en concours avec des
ascendants légitimes ou des frères et sœurs légitimes, ou les deux, les
ascendants ont dans tous les cas droit à ¼ au moins (art. 582 C.civ).
Comme on l’a déjà dit, le concubin du défunt ne peut prétendre à aucun
droit successoral 15 .
7. La circulation juridique des biens héréditaires
La circulation juridique des biens héréditaires est entravée par la
réserve héréditaire et la succession ab intestat.
La réserve héréditaire constitue un droit à une action en réduction
des legs et des donations pour rétablir la quote-part d'héritage. L'action
en réduction prive d'efficacité la disposition préjudiciable et les
réservataires peuvent intenter une action contre les bénéficiaires des
dispositions réduites et leurs ayants droit en vue de la restitution des
biens. Le réservataire a le droit de réclamer les biens, même auprès de
tiers acquéreurs.
Cette disposition oblige à être très prudent dans l'achat d'un bien
qui a fait l'objet d'une donation, même s'il y a eu des ventes successives à
la donation; c'est pourquoi les banques n'acceptent presque jamais de
Autonomia privata e mantenimento: i contratti di vitalizio atipico, in Famiglia e diritto, 2008,
n. 3, pp. 305 - 308.
15
69
REVUE JURIDIQUE DE L’ISAIDAT
1-2010
prendre en garantie hypothécaire des biens qui ont fait l’objet d'une
donation.
Dans le but d'assurer la circulation des biens ayant fait l’objet de
donation, après un certain laps de temps, la loi n. 80 de 2005 16 a modifié
les articles 561 et 563 du Code civil: l'action en restitution des biens
immobiliers donnés à l’encontre des ayants droit du donataire ne peut
plus être engagée au bout de vingt ans à dater de la transcription de la
donation, sauf opposition, durant ce délai, du conjoint et des parents en
ligne directe du donateur.
Le droit italien ne prévoit aucun certificat public de succession 17 .
En droit italien la preuve de la qualité d’héritier se fonde essentiellement
sur l'analyse des certificats d'état civil du défunt, sur son régime
matrimonial, sur la recherche de testaments, ainsi que sur la rédaction
d’un acte de notoriété, qui constitue une attestation authentique de faits
publiquement connus, fournie par certaines personnes devant notaire.
L'article 534 du Code civil prévoit en effet que les droits acquis par
des tiers de bonne foi sur la base de conventions à titre onéreux avec
l'héritier apparent sont garantis. En cas d'acquisition de biens immeubles
et de biens meubles inscrits aux registres publics, cette protection ne
s'applique que si l'acquisition des droits auprès d'un héritier apparent a
été transcrite avant la transcription de l'acquisition de la part de l'héritier
ou du légataire véritable, ou de la transcription de l'acte introductif
d'instance contre l'héritier apparent.
8. Régimes matrimoniaux
La réglementation des régimes matrimoniaux est contenue dans le
chapitre VI du Titre "Du mariage" (art. 159 à 230 bis) du Code civil 18 .
L’art. 159 reconnaît aux époux la faculté de régler leurs rapports
patrimoniaux par voie de conventions; à défaut de conventions, depuis la
loi de réforme de 1975 le régime matrimonial légal est la communauté
légale (art. 177 et suivants C.civ.), conformément aux principes d’égalité
conjugale et à l’exigence d’améliorer la condition économique de la
femme au foyer 19 .
En Italie la communauté légale n’est pas une communauté
universelle de biens, mais principalement une communauté d’acquêts.
Loi 14 mai 2005, n. 80.
La circolazione dei beni ereditari ed il diritto privato europeo, in Familia, 2005, pp. 361- 376
18 Il regime patrimoniale della famiglia, Padova, 1990, in I grandi orientamenti della giurisprudenza
civile e commerciale dir. da F. Galgano.
19 I rapporti patrimoniali della famiglia, in M. SESTA e V. CUFFARO (cur.), Persona, famiglia
e successioni nella giurisprudenza costituzionale, ESI, 2006, pp. 315-327.
16
17
70
A. FUSARO : LE DROIT DES SUCCESSIONS ET LA FAMILLE EN ITALIE
Chaque époux conserve la propriété personnelle des biens qu’il possède
lors du mariage et seulement les biens acquis par les époux pendant le
mariage, séparément ou ensemble, tombent dans la communauté et
deviennent patrimoine commun (art. 177). L’entreprise constituée après
le mariage et conduite ensemble fait également partie de la
communauté 20 ; s’il s’agit d’une entreprise conduite ensemble mais
constituée avant le mariage et propre d'un des conjoints, seuls les profits
tombent dans la communauté. La loi énonce que certains biens ne
tombent dans la communauté qu’au moment de sa dissolution; en outre,
certains biens acquis après le mariage demeurent en dehors de la
communauté. En particulier, les biens propres des conjoints sont
extérieurs à la communauté: sont dit propres (art. 179), au-delà des biens
acquis avant le mariage, les biens transmis à un époux à cause de mort ou
entre vivants sur le fondement d’une donation, dès lors que le de cujus ou
le donateur n’a pas prescrit que le bien doit être commun; les biens reçus
à titre d’indemnisation ; les biens d’usage personnel (par exemple: les
vêtements ou les équipements sportifs); les instruments de travail
nécessaires à la profession; les biens acquis avec le prix de la vente de
biens personnels ou en échange de biens personnels (subrogation réelle),
si l'exclusion est déclarée au moment de l'achat (l'exclusion de biens
immeubles ou meubles enregistrés doivent découler de l'acte auquel a
obligatoirement participé l'autre conjoint).
Les biens qui tombent en communauté au moment de sa
dissolution ("communauté différée" ou "de residuo" : art. 177, b e c et art.
178) sont: les fruits des biens propres à chacun des conjoints, perçus et
non consommés à la dissolution de la communauté; les revenus des
activités de chacun des conjoints, si à la dissolution de la communauté ils
n'ont pas été consommés; les biens destinés à l'exercice de l'entreprise
d'un des conjoints constituée après le mariage et les accroissements de
l'entreprise, même précédemment constituée, s'ils subsistent au moment
de la dissolution de la communauté (on tient compte de leur valeur
comme s'il s'agissait d'une créance entre les conjoints). Dans le cadre de
la liquidation, on règle les rapports entre les époux de telle sorte que l'un
devient créancier de l'autre. La communauté différée n'existe qu’au
moment de la dissolution. En matière successorale, la "communauté
différée" détermine une dette du conjoint décédé en faveur du conjoint
survivant, donc un passif héréditaire.
20
Comunione legale ed attività d'impresa: l'esercizio individuale e collettivo, in Familia, 2001, n. 2.
71
REVUE JURIDIQUE DE L’ISAIDAT
1-2010
La communauté légale est une communauté sans parts; les
conjoints ne peuvent disposer de leur propre part des biens communs 21 .
Les articles 180-190 contiennent les règles d’administration de la
communauté par les époux (administration commune du mari et de
l’épouse et, dans quelques cas, administration par un seul d’entre eux). Le
régime légal distingue les actes que chaque époux peut accomplir seul et
les actes soumis à la gestion conjointe qu’aucun époux ne peut accomplir
sans l’autre. Les raisons de dissolution de la communauté sont énoncées
dans l’art. 191; les articles 192 et suivants sont consacrés à la division et à
la liquidation de la communauté.
Comme nous l’avons indiqué plus haut, les époux peuvent choisir
d’organiser leurs rapports patrimoniaux selon un régime différent de la
communauté légale (art. 159): ils ont la liberté de conclure une
convention matrimoniale instituant le régime de la séparation de biens ou
une communauté conventionnelle qui modifie le régime de la
communauté légale (en vue d'élargir ou de réduire la quantité ou la
qualité des biens qui doivent faire l'objet d'une communauté immédiate
ou différée), ou, encore, de changer le régime matrimonial initialement
adopté. Pour leur validité, les conventions doivent être passées devant
notaire, mais le régime de la séparation peut être choisi pendant la
célébration du mariage. Ces conventions, conformément à l‘art. 160, ne
peuvent déroger au statut fondamental de la famille, qu’on appelle le
"régime primaire impératif", prévu dans les articles 143, 147, 148 (cette
prescription d’ordre public implique: l’obligation réciproque d'assistance
morale et matérielle, les devoirs de collaboration dans l’intérêt de la
famille, en fonction des possibilités pécuniaires individuelles et des
capacités professionnelles ou ménagères; l’obligation d'entretenir,
d'instruire et d'éduquer les enfants). La convention matrimoniale qui
réintroduit le régime dotal (art. 166-bis) serait toutefois nulle; la
prohibition générale des pactes sur succession future interdit de faire une
convention dont l’objet serait de changer l’ordre légal des successions ou,
en général, contenant des dispositions mortis causa.
Enfin, indépendamment du régime matrimonial choisi, la loi de
réforme du 1975 a introduit la possibilité pour les conjoints,
individuellement, ensemble ou avec un tiers, de constituer un "fonds
patrimonial" (art. 157-171) qui a pour principale fonction de faire en
sorte que les biens qui le composent ne puissent faire l’objet d’une
Divisione e regime della comunione legale dei beni, in A.A.V.V., Contratto di divisione e autonomia
privata, Coll. Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, Ediz. Il Sole 24 ore, 2008,
pp. 113- 124.
21
72
A. FUSARO : LE DROIT DES SUCCESSIONS ET LA FAMILLE EN ITALIE
exécution forcée au titre de dettes dont le créancier savait qu'elles avaient
été contractées dans un but étranger aux besoins de la famille 22 .
. Quant à l’état actuel du droit patrimonial de la famille, pour finir,
signalons que le législateur, en 1975, n'a pas adapté la condition
successorale des époux au nouveau régime légal de la communauté: si le
régime légal n’a pas été conventionnellement exclu, le conjoint jouit
d’une protection patrimoniale qu’on peut considérer comme excessive.
Les Français soulignent à juste titre qu’en Italie, le régime de la
communauté legale est le régime de la pauvreté; en effet, les couples qui
ont un patrimoine important optent pour la séparation de biens, afin que
chacun demeure titulaire de son propre patrimoine et puisse l'administrer
librement, sans demander l'autorisation à l'autre 23 . De nombreux
contentieux dans le domaine de la séparation de corps proviennent en
outre de la réglementation de la communauté légale dans la mesure où
les règles sont liées à un modèle économique dépassé, fondé sur le
patrimoine immobilier plutôt que sur le capital, les comptes en banque,
les parts d'apport dans des sociétés.
9. Droit patrimonial de la famille et droit des successions: quelques
considérations finales
Le système italien aurait besoin d’une réforme du droit des
successions et des régimes matrimoniaux, principalement afin de
résoudre les problèmes des pactes en vue de la séparation 24 et du divorce,
mais aussi des pactes entre concubins 25 .
Nous doutons de la nécessité d’un droit transfrontalier (e.g.
européen) uniforme en matière de successions et de régimes
matrimoniaux 26 . L'uniformisation serait précoce et il est préférable de se
contenter de l'harmonisation 27 .
Del fondo patrimoniale, in E. Gabrielli(dir.), Commentario del codice civile, Della famiglia (cur.
da L. Balestra), Utet, 2010, pp. 1043 - 1086.
23 Sistemi di comunione dei beni e sistemi a separazione, in Riv. dir. civ., 2001, II, 99.
24 Assetti patrimoniali in occasione della separazione, in Nuova giur. ligure, 2010, n.2, pp. 6163; Assegnazione della casa familiare e problemi di opponibilità, in Nuova giur. giv. comm.,
2007, II, pp. 391- 397.
25 Gli apporti tra conviventi, in A.A.V.V., Matrimonio, matrimoni, Giuffrè, 2000, p. 321.
26 L'uso del diritto comparato nella giurisprudenza italiana sul regime patrimoniale della
famiglia, in Nuova giur. civ. comm., 2010, n.3, pp.166- 174.
27 I rapporti patrimoniali tra coniugi in prospettiva comparatistica, in G. ALPA e G. CAPILLI
(cur.), Diritto privato europeo, Cedam, 2006, pp. 53-115.
22
73
LE SUCCESSIONI E IL PRIMO PASSAGGIO GENERAZIONALE
DELL’IMPRESA IN ITALIA
ALBERTO MUSY
SOMMARIO:
1. Inquadramento storico e sociologico. – 2. Successioni e famiglie di fatto.
– 3. Successoni e Contratto
1. Inquadramento storico e sociologico
Lo sviluppo del diritto delle successioni come oggi lo conosciamo
nel sistema privatistico italiano si muove in un arco di tempo che va dal
1942 ad oggi passando per tre importanti momenti storici, l’entrata in
vigore della Costituzione Repubblicana del 1948, la riforma del diritto di
famiglia del 1975 ed infine la riforma dei Patti di Famiglia e la possibile
introduzione di un surrogato nazionale dell’istituto anglosassone del
trust, il contratto di fiducia.
L’impianto successorio recepito dal codice civile del 1942 si
presentava con un impianto classico: da un lato la libertà testamentaria
era mitigata dall’istituto della legittima in favore dei figli, del coniuge e, in
caso di mancanza di questi, dei genitori del de cuius. Dall’altro, in caso di
successione intestata, vi si prevedeva una successione necessaria del
coniuge, ma non era una successione piena, poiché ad esso (ma nella
normalità si trattava della moglie) veniva riservato solo l’usufrutto dei
beni immobili oggetto di successione. Tale modello, comune a molti
sistemi giuridici, garantiva che, almeno dal punto di vista patrimoniale
(soprattutto per quanto riguardava la parte più rilevante del patrimonio e
cioè gli immobili) la separazione tra famiglie venisse garantita. Il
principio era quello dell’esclusione degli affini, principio perfettamente
compatibile con gli unici veri e propri beneficiari delle norme in tema e
cioè l’alta borghesia spesso figlia di un’evoluzione sociale dei grandi
proprietari terrieri e l’aristocrazia. Solo queste classi sociali, infatti, si
potevano avvantaggiare delle disposizioni in materia di successione e
rappresentavano una parte minima della società italiana 1 .
1 P. RESCIGNO, Attualità e destino del divieto di patti successori, in La trasmissione familiare della
ricchezza. Limiti e prospettive di riforma del sistema successorio, Padova, 1995; ID., Successioni e
donazioni, Padova, 1994. Così anche G. BONILINI, Il mantenimento post mortem del coniuge e
del convivente more uxorio, Relazione tenuta al Convegno sul tema: “La trasmissione
familiare della ricchezza (Limiti e prospettive di riforma del sistema successorio)”,
Verona, 5 - 6 febbraio 1993, ora in Riv. dir. civ., 1993, I, p. 239 ss. ed in La trasmissione
familiare della ricchezza. Limiti e prospettive di riforma del sistema successorio, Padova, Cedam,
1995; ID., Le successioni mortis causa e la civilistica italiana. La successione testamentaria,
Parma, 2 dicembre 1996, ora in Nuova giur. civ. commentata, 1997, II, p. 223 ss.; ID.,
74
A. MUSY: LE SUCCESSIONI E IL PRIMO PASSAGGIO GENERAZIONALE DELL’IMPRESA IN ITALIA
L’entrata in vigore della Costituzione repubblicana non significò
immediatamente la fine di tale modello, si dovette attendere che
emergesse nell’agone politico nazionale una vera e propria
rappresentanza di una società civile progressista ed emancipata perchè il
legislatore iniziasse a lavorare sulla dissolubilità civile del matrimonio e
sul principio di eguaglianza dei coniugi all’interno della coppia. L’art. 42
della Costituzione prevede la proprietà privata e la limita ; in particolare
si parla di funzione sociale della proprietà e si richiamano esplicitamente
le norme in tema di successione prevedendo che: la legge stabilisce le
norme e i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello
Stato sulle eredità. Ancora all’art. 29 della carta costituzionale si
riconoscono i diritti della famiglia come « società naturale », disposizione
fortemente voluta dal partito dei cattolici e si parla di matrimonio come
ordinato sulla ”eguaglianza morale e giuridica dei coniugi”.
Seppure in materia di famiglia gli interventi legislativi non possano
di certo aspirare ad essere fattore determinante della realtà sociale, la
regolamentazione dei rapporti patrimoniali incide alla lunga sugli assetti
familiari; così quando nel 1975 l’Italia decise di riformare la parte del
codice civile dedicata alla famiglia per adeguarla al dettato costituzionale
si registrò da un lato l’adeguamento a quanto già in molti ambiti della vita
sociale era già avvenuto, da un altro si ebbe una vera e propria
rivoluzione nei rapporti interni alla famiglia. In particolare per quanto ci
riguarda si ebbe quel miglioramento della posizione del coniuge
superstite consentendogli di ricevere una quota in piena proprietà del
patrimonio mobiliare ed immobiliare e riconoscendo maggiori diritti
successori ai figli naturali. La famiglia patriarcale veniva definitivamente
cancellata dal panorama giuridico nazionale, la successione diveniva un
fatto interno alla famiglia nucleare fondata sulla coppia dei coniugi.
Contemporaneamente iniziava lo sviluppo di un numeroso gruppo
sociale operaio/artigiano ed impiegatizio/professionale, l’ingiustamente
vituperato ceto piccolo borghese, fondato sulla proprietà della prima casa
residenza della coppia. Un sempre maggior numero di famiglie italiane,
per la prima volta nella storia del nostro paese, aveva il
problema/opportunità di occuparsi della propria successione.
Nell’arco temporale che va dal 1975 ad oggi la società italiana ha
visto nascere nuove problematiche collegate alle successioni; la parte più
cospicua della ricchezza nazionale è dovuta ad una molto numerosa
classe di piccoli imprenditori ed artigiani, figli di successo dei “borghesi
Autonomia negoziale e diritto ereditario, Gaeta, 26 e 27 maggio 2000, ora in Riv. not., 2000, I,
p. 789 ss. ed in G. Fuccillo (a cura di), Autonomia negoziale tra libertà e controlli, Napoli, Esi,
2002. Resta fondamentale l’opera di P. SCHLESINGER, voce Successioni (diritto civile),
Parte generale, in Novissimo Digesto Italiano, Volume XVIII, Torino, 1971.
75
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
piccoli, piccoli” che hanno costruito il sistema industriale italiano
prevalentemente fondato su imprese familiari.
Nel nostro Paese operano circa 6 milioni di imprese, di cui il 98%
hanno meno di 20 dipendenti e delle quali il 92% sono su base familiare;
peraltro, il fenomeno non è solo tipico della piccola impresa, ben 42 delle
prime 100 imprese nazionali sono imprese familiari. Il 50% delle imprese
familiari scompare alla seconda generazione, solo il 15% supera la terza
generazione, ben il 46% delle imprese familiari hanno la seconda
generazione impegnata in azienda ed il 53% delle aziende sono guidate
da imprenditori con più di 60 anni (stando ai dati raccolti
dall’Associazione delle Imprese Familiari nel 2004).
Il capitalismo familiare è una forza del nostro sistema industriale,
un pilastro dello sviluppo economico e civile del Paese, ma, come tutti i
campi di attività, non sfugge alla necessità di confrontarsi con il
tumultuoso cambiamento che investe la società contemporanea. In Italia
ci sono annualmente circa 80.000 imprenditori coinvolti dalle operazioni
di passaggio generazionale, mentre solo il 20% delle aziende ha definito
gli accordi per la successione in azienda 2 .
Molti gruppi industriali familiari che si affacciano alla terza o
quarta generazione si sono nel tempo dotati di una vera e propria
costituzione familiare, premessa fondamentale per la razionalizzazione
dei rapporti, strumento attraverso il quale i membri della famiglia
possono assicurarsi il controllo dell’azienda, senza sacrificarne lo
sviluppo.
Una visione consapevole dei confini tra impresa e famiglia apre alle
piccole e medie imprese la strada del ricorso al capitale di equity ed alla
Borsa; una trasparente governance della famiglia è prerequisito
importante della governance societaria; l’esperienza americana ci insegna
che una volta abbracciata con decisione la via della professional
ownership, anche una base familiare ampia ed in crescita, può conservare
Alla terza generazione solo un’azienda su sette, in Il Sole 24 ore, 3 dicembre 2008; Aziende
familiari a rischio ricambio generazionale, in Affari Finanza, 9 giugno 2008; D.
MONTEMERLO, Continuità generazionale e accordi familiari. Principi e regole per l'impresa, la
proprietà e la famiglia, Egea, 2010. Assicurare un proficuo passaggio generazionale
dell’azienda di famiglia può dunque costituire la chiave del successo di un’impresa la cui
stabilità sul mercato è spesso rafforzata dal sub ingresso di successori qualificati e
notevolmente motivati; ne è testimonianza, tra l’altro, la costituzione, nel 1997,
dell’Associazione Italiana delle Aziende Familiari (AidAF), di cui sono soci alcuni dei
maggiori gruppi imprenditoriali italiani, che ha “il preciso scopo di svolgere la propria
attività per le aziende familiari piccole, medie e grandi onde assicurarne la continuità nei
processi di transizione e lo sviluppo in un’epoca di cambiamenti e di allargamento dei
mercati di portata storica” (cfr. il profilo dell’Associazione sul sito Internet
www.Aidaf.it).
2
76
A. MUSY: LE SUCCESSIONI E IL PRIMO PASSAGGIO GENERAZIONALE DELL’IMPRESA IN ITALIA
e consolidare la leadership imprenditoriale della famiglia, rinnovare la
propria struttura organizzativa e migliorare la propria capacità industriale.
Il legislatore non poteva rimanere completamente insensibile
rispetto al fenomeno ed ha così innestato sempre nel codice civile alcune
norme in tema di passaggio generazionale e patto di famiglia, sono state
introdotte recentemente delle modifiche al Codice Civile.
L’approvazione del DDL n. 3567 il 31 gennaio 2006 ha apportato
delle novità rilevanti in tema di pianificazione successoria, consentendo
agli imprenditori di garantire una successione certa nell’interesse
dell’azienda di cui sono titolari, sancendo la liceità di accordi inter vivos
diretti a regolamentare la trasmissione delle attività economiche tra
familiari.
Gli obbiettivi di questa innovazione legislativa sono quelli,
innanzitutto, di consentire ad un imprenditore di trasferire i beni
strumentali all’impresa, a quello dei suoi discendenti che egli considera il
più idoneo per continuare l’attività da lui creata o proseguita; inoltre
attraverso suddetta pattuizione si consente all’imprenditore di passare le
consegne al suo continuatore finché egli è ancora attivo; di dare stabilità
alla soluzione adottata, ma al tempo stesso consentire di sperimentare il
passaggio generazionale, e così, in caso di esito negativo, poter
diversamente
provvedere.
Ulteriore
obbiettivo
raggiungibile
dall’imprenditore è quello di trovare una soluzione che pregiudichi il
meno possibile i propri successibili legittimari, e che sia concordata con
loro, così come di evitare controversie tra gli eredi.
Il nuovo art. 768 bis prevede il “patto di famiglia” come il
contratto con cui, compatibilmente con le altre disposizioni in materia di
impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie,
l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di
partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote,
ad uno o più discendenti. 3
Per i primi commenti al nuovo istituto si v. A. ZOPPINI, Profili sistematici della successione
“anticipata” (note sul patto di famiglia), in Studi in onore di G. Cian, Padova, 2010; L.
BALESTRA, Prime osservazioni sul patto di famiglia, in N. Giur. Civ. Comm., 2006, II, 369 ss.;
S. DELLE MONACHE, Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto di famiglia, in
Riv. Not., 2006, 889 ss.; F. DELFINI, Il patto di famiglia, in Contratti, 2006, 512 ss.; P.
MANES, Prime considerazioni sul patto di famiglia nella gestione del passaggio generazionale della
ricchezza familiare, in Contratto e impresa, 2006, 539 ss.; G. PETRELLI, La nuova disciplina dei
patti di famiglia, in Riv. Not., 2006, 401 ss. La norma giuridica costituisce il risultato della
ricerca affidata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche al prof. Andrea Zoppini e
coordinata dai Professori Masi e Rescigno, i cui risultati furono presentati a un
Convegno svoltosi presso l’Università degli Studi di Macerata il 24 marzo 1997;
sull’argomento, v. A. ZOPPINI, Il patto di famiglia (linee per la riforma dei patti sulle successioni
future), in Dir. Priv., 1998, 255 ss.; M. IEVA, Il trasferimento dei beni produttivi in funzione
3
77
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
Questa soluzione, pur garantendo una successione certa
nell’interesse dell’azienda, tuttavia non risulta sufficiente per realizzare
gli obbiettivi di crescita e maturazione aziendale prospettati nel punto
precedente. L’imprenditore, infatti, trasferendo i suoi “poteri” al
successore ritenuto maggiormente qualificato, fa si che il medesimo
schema familiare –imprenditore singolo capo famiglia/capo impresa– si
ripeta anche nella generazione futura, senza aggiungere quel “quid pluris”
che invece è necessario per far sì che l’impresa esca dalla sua condizione
di azienda puramente “familista” e si trasformi in una compagine più
strutturata. Dove i ruoli di capitalisti (soci) e dirigenti d’impresa
(amministratori) non siano per forza impersonati dai medesimi attori.
La necessità di organizzare il patrimonio in vista di una successione
complessa introduce elementi di contrattualizzazione delle successioni
che trovano un vincolo nel divieto dei patti successori previsto dal
nostro ordinamento; l’evoluzione sociale ed economica della nostra
nazione preme per un maggior spazio all’autonomia del testatore rispetto
a quella che fino ad oggi il nostro ordinamento ha consentito. 4
Un segnale di questa tendenza è dato dall’imprevedibile successo
dell’istituto del trust nel nostro paese. Dal 1° gennaio 1992 è in vigore in
Italia la legge 16 ottobre 1989, n. 364, dal titolo “Ratifica ed esecuzione
della convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro
riconoscimento, adottata a L'Aja il 1º luglio 1985” (in Suppl. ordinario
alla Gazz. Uff., 8 novembre 1989, n. 261). A seguito di tale norma si
sono affacciate nel dibattito interno tre posizioni dottrinali con il
conseguente seguito di posizioni giurisprudenziali sulla legittimità del
ricorso al trust nel nostro paese.
La tesi maggioritaria, sia in dottrina che in giurisprudenza, sembra
ormai essere quella di Maurizio Lupoi 5 , il quale ritiene possibile costituire
dei trust cosiddetti « interni » facendo ricorso alla convenzione dell’Aja
ed a una delle leggi straniere che regolano l’istituto. Seguendo tale tesi
possiamo considerare perfettamente legittimi trusts di cui disponente,
successoria: patto di famiglia e patto di impresa. Profili generali di revisione del divieto dei patti
successori, in Riv. Not., 1997, 1371 ss. Sull’argomento connesso del patto di impresa,
concernente le clausole societarie e disciplinato dall’art. 2355 bis c.c., cfr. M. STELLA
RICHTER jr., Il Patto di impresa nella successione nei beni produttivi, in Dir. Priv., 1998, 267 ss.
4 In argomento v. E. MANDRIOLI, Successioni legittime anomale: un fenomeno sempre meno
anomalo, in Vita not., 2003, 1100 ss.; A IANNACCONE, Le successioni legittime anomale fra
diritto privato e interesse pubblico economico, in Vita not., 1998, 787 ss.; G. DE NOVA,
Successioni anomale legittime, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., XIX, Torino 1999, 182 ss.
5 Si fa riferimento al fondamentale studio di M. LUPOI, Trusts, Milano, 2001; v. anche
ID., Strutturazione dei trust di protezione patrimoniale, Convegno “Il trust quale legittimo
strumento di tutela del patrimonio”, Torino, 13 marzo 2003. Per un’informazione di
sintesi v. A. GAMBARO, Trust, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., XIX, Torino, 1999, 449-469.
78
A. MUSY: LE SUCCESSIONI E IL PRIMO PASSAGGIO GENERAZIONALE DELL’IMPRESA IN ITALIA
beneficiari, trustee e beni oggetto della disposizione sono tutti italiani,
mentre l’elemento di internazionalità per cui si ricorre alla Convenzione è
dato dalla legge applicabile e regolatrice del trust medesimo. In tal modo
non si ravviserebbe alcuna ragione per implementare nel nostro paese
una legge regolatrice del trust.
Un drappello agguerrito di autori 6 sono dell’avviso che la
Convenzione regoli solo ed esclusivamente trusts in cui prevalgano
elementi di internazionalità, cioè siano stranieri almeno uno dei soggetti
o i siano situati all’estero i beni oggetto della disposizione. La legge
regolatrice ovviamente sarà quella straniera, ma solo per la semplice
ragione che gli elementi di transnazionalità dell’istituto debbono essere
tali da escludere un trust italiano vestito straniero.
Negli ultimi anni è cresciuta una terza parte di autori 7 che ritiene
importante che anche l’Italia si doti di una propria legge regolatrice sulla
scorta dell’esperienza fatta da altri paesi di diritto civile, quali per
esempio la Svizzera. Questo filone, decisamente minoritario ha trovato il
forte appoggio del Notariato e dell’associazione che rappresenta le
società fiduciarie ed è riuscito a far introdurre nella Legge Comunitaria di
quest’anno (2010) una delega al Governo per procedere alla modifica del
libro IV del Codice Civile inserendo la disciplina del cosiddetto
« contratto di fiducia ».
La definizione di contratto di fiducia proposta è la seguente : « il
fiduciante trasferisce diritti, beni e somme di denaro specificamente
individuati in forma di patrimonio separato ad un fiduciario che li
amministra, secondo uno scopo determinato, anche nell’interesse di uno
o più beneficiari determinati o determinabili ».
Questa definizione è indicativa del fatto che l’istituto è un vero e
proprio trust, non fosse per la definizione « contratto di fiducia ». Il
legislatore delegato dovrà sciogliere i non pochi dubbi circa i rapporti tra
questo istituto ed i correnti trust interni.
Su tutti V. MARICONDA, Il Trust Interno, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2005;
ID., Contrastanti decisioni sul trust interno: nuovi interventi a favore ma sono nettamente prevalenti gli
argomenti contro l’ammissibilità, in Corriere giur., 2004, 76. Cfr. anche M. BARBUTO, La
convenzione dell’Aja e il trust in Italia, Torino, 2000.
7 Così M. GRAZIADEI, La fiducia nella tarda età moderna. Le “confidenze” tra vincolo di coscienza
e disciplina politica dei soggetti e dei beni, in P. Prodi, La fiducia secondo i linguaggi del potere,
Bologna, 2008; ID., Il trust come strumento di devoluzione di beni in vista del passaggio
generazionale della ricchezza, in AA. VV., L’impresa nel passaggio tra generazioni, Brescia, 2007;
A. ZOPPINI, Fondazioni e trust quali strumenti della successione ereditaria, in Successioni e
donazioni, a cura di P. Rescigno, Padova, 2010.
6
79
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
2. Successioni e famiglie di fatto
Unitamente alla crescita economica grazie al capitalismo familiare
la società italiana ha attraversato un grande cambiamento degli assetti
familiari. La nostra società conosce da più di trent’anni, ormai, nuove
forme di convivenza familiare, nuovi modelli di famiglie; il divorzio ha
generato famiglie multiple, le convivenze determinano assetti parafamiliari instabili, sempre di più si ricorre al diritto per regolare relazioni
prima gestite attraverso le consuetudini e regole non giuridiche che le
società si erano date.
Così avviene che, nonostante nel nostro paese si registri un
dibattito sulle unioni di fatto che risale a circa vent’anni fa la situazione
delle convivenze nel sistema è la seguente: da una parte abbiamo
pronunce giurisprudenziali, quali quella del Tribunale di Roma del 1985,
che recita : « la convivenza more uxorio si risolve in una situazione caratterizzata
da un complesso di rapporti unificati sotto il profilo personale dell’affectio coniugalis,
sotto il profilo economico dell’animus donandi e non può quindi essere configurata nel
nostro ordinamento come fonte di obbligazione, non potendo considerarsi né fatto
illecito, né contratto e nemmeno un quasi contratto e, in particolare, una promessa di
matrimonio ». 8 E in dottrina si legge che le soluzioni legislative potrebbero
andare incontro a censure di incostituzionalità per il fatto regolamentare
una famiglia di seconda categoria – calcisticamente – di « serie B ».
Giacciono in Parlamento numerosi progetti di legge volti a
regolare il fenomeno sul piano dello status, mentre la prassi evidenzia
affermazioni « striscianti » di un ricorso sempre più diffuso all’autonomia
privata.
Come argutamente commenta un autore 9 : tramontato ormai il
netto sfavore verso prestazioni patrimoniali considerate contrarie al buon
costume, perchè aventi come corrispettivo le prestazioni sessuali del
partner, è ormai superato anche l’inquadramento delle prestazioni a
carattere gratuito nello schema delle donazioni remuneratorie per solito
rese nulle dal difetto di forma.
La giurisprudenza, così, fa prevalere il modello dell’adempimento
dell’obbligazione naturale che però è limitata a garantire la stabilità delle
prestazioni relative al mantenimento e gli alimenti. 10 Non interviene
8 La Corte Costituzionale, com’è noto, muovendo uno dei passi decisivi per il
riconoscimento della rilevanza giuridica (quali formazioni sociali intermedie ove si
svolge la personalità dell’individuo ex art. 2 Cost.) delle unioni di fatto, ha esteso anche
al convivente more uxorio il diritto alla successione nel contratto di locazione. V. Corte
Cost., 7 aprile 1988, n. 404, in Foro it., 1988, I, 2515.
9 M. R. MARELLA, I contratti di convivenza, Roma, 2000.
10 V., tra le tante, Trib. Napoli, 27 gennaio 2005; Cass. Civ., 13 marzo 2003 n. 3713, che
conferma App. Napoli, 5 novembre 1999.
80
A. MUSY: LE SUCCESSIONI E IL PRIMO PASSAGGIO GENERAZIONALE DELL’IMPRESA IN ITALIA
invece nella delicata questione della divisione della ricchezza prodotta, né
a compensare la perdita di chances sofferta da chi ha rinunciato alla
propria carriera professionale per dedicarsi al menage familiare.
3. Successoni e Contratto
Il diritto delle successioni, della famiglia e dei contratti
nell’esperienza civilistica italiana devono essere inseriti all’interno di
quella tecnostruttura che il giurista ha costruito, se non dall’età romana,
almeno dall’età del diritto comune ad oggi 11 ; le regole di questi due
istituti giuridici sono in primo luogo regole tecniche, ovviamente inserite
in un contesto in cui hanno avuto importanza le radici cristiane,
sviluppate e tecnicizzate dal diritto canonico, i modelli sociali della
famiglia patriarcale prima e della famiglia nucleare poi.
Sicuramente il diritto dei contratti più che quello delle successioni
ha subito la forte influenza delle teorie del liberalismo sia nella sua
epifania francese-illuministica, sia nella successiva e più recente epifania
pragmatista americana 12 . Tuttavia il modello metagiuridico prevalente nel
nostro sistema è riconducibile alla lettura incrociata della Carta
Costituzionale (sintesi spesso non perfettamente amalgamata delle radici
liberali, cattoliche e socialiste del nostro paese) con la teoria
precomprensiva di matrice esseriana che vede come primi motori dello
sviluppo del diritto gli interpreti. E’ difficile dire se ed in che misura
abbia avuto un’influenza importante in questi anni la teoria dell’analisi
economica del diritto.
V. G. BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle successioni, Torino, 2006; L.
MENGONI, Successioni per causa di morte. Successione necessaria, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano,
1999.
12 A. M. MUSY, La comparazione giuridica nell’età della globalizzazione. Riflessioni metodologiche e
dati empirici sulla circolazione del modello nordamericano, Giuffrè, Milano, 2004.
11
81
LES SUCCESSIONS ET L’ENTREPRISE EN DROIT
ITALIEN
FRANCESCO PENE VIDARI*
SOMMAIRE : 1. Le droit italien des successions. - 2. Le droit des sociétés et les
successions. - 3. Les clauses du contrat de société en matière successorale. Exemples
pratiques - Sociétés de personnes - Sociétés de capitaux. - 4. La responsabilité de l’héritier et de
l’associé. - 5. La transmission aux descendants de la richesse dans la pratique (société
simple, commandite par action, pacte de famille).
1. Le droit italien des successions
Le système successoral italien est strictement lié à la famille fondée
sur le mariage ainsi qu’à la filiation.
A défaut d’autres indications, exprimées par le de cujus sous forme
testamentaire, la détermination des héritiers s’effectue sur la base du
rapport de parenté ou du lien de mariage.
Certains héritiers, dits réservataires – à savoir les enfants et leurs
descendants, le conjoint et les ascendants – bénéficient d’une quote-part
des biens du de cujus leur étant réservée, calculée non seulement sur la
base du patrimoine existant au décès, mais aussi sur la base des
donations directes ou indirectes. En cas d’atteinte à la réserve, un
instrument de protection des intérêts des héritiers réservataires permet,
par le biais d’une action en justice, de priver d’efficacité d’éventuelles
dispositions leur étant préjudiciables, qu’il s’agisse d’actes entre vifs ou
de dispositions testamentaires 1 .
Le principe d’unité de la succession s’oppose à une succession
partielle de certains biens au lieu d’autres ainsi qu’à une acceptation de la
dévolution testamentaire et pas de la dévolution légale, et inversement.
L’héritier se substitue entièrement au de cujus en tant que titulaire
des droits transmissibles à cause de mort, sans qu’il puisse choisir ou
faire une distinction selon la nature des biens, mobiliers ou immobiliers,
et le lieu où ils sont situés 2 .
Ce principe s’applique également en vertu du droit international
privé italien, indépendamment du lieu où se trouvent les biens, l’entière
succession étant régie par la loi nationale du de cujus. Parfois, en raison
précisément du principe d’unité de la succession et de la détermination
F. PENE VIDARI, La successione legittima e necessaria, in Trattato di diritto civile dirigé par
Rodolfo Sacco, IV, UTET, Turin, 2009, p. 200 et s., spec. 272 et s.
2 Sur ce point, v. BARBERO, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, Turin, 1965.
1
82
F. PENE VIDARI : SUCCESSIONS ET ENTREPRISES
du droit applicable, des conflits de lois peuvent surgir. Citons le cas, par
exemple, d’un citoyen italien qui achèterait un bien immobilier en
France. Lors de sa succession, selon le droit italien, la loi nationale
(italienne) du de cujus devra entièrement et exclusivement s’appliquer,
tandis que, pour la le droit français, la lex rei sitae devrait être le droit
français. Dans cette hypothèse également, les héritiers accepteront
l'intégralité de l’héritage et ne pourront en aucun cas accepter l’héritage
italien en renonçant à celui français, ou vice versa. Toutefois, en matière
de renonciation à l’héritage, et en raison justement des différences que
l’on vient d’évoquer, le notaire français écartera la validité de la
renonciation effectuée uniquement en Italie et il en demandera la
réitération auprès du greffe de la juridiction française compétente.
Deux autres principes fondamentaux sont l’autonomie du testateur
et l’interdiction des pactes sur succession future 3 .
Le testateur doit être libre de déterminer et de choisir ses propres
successeurs et les contrats héréditaires ainsi que tous les actes de
disposition ou de renonciation de successions futures sont dépourvus de
validité.
La masse successorale est soustraite à la disponibilité contractuelle
des parties jusqu’à l’ouverture de la succession.
La seule personne légitimement autorisée à disposer de la
succession est le de cujus lui-même, dont la volonté ne doit en aucune
manière être influencée par des pactes ou accords précédents, sachant
qu’il a toujours la possibilité de révoquer un testament précédent et de
disposer de son propre patrimoine en manifestant une nouvelle fois ses
volontés.
Le pacte de famille, introduit en 2006 en Italie, constitue une
dérogation expresse à ce principe. Par cet instrument, applicable
uniquement aux parts sociales et aux entreprises, il est possible de
convenir, entre le testateur et les bénéficiaires descendants ainsi que les
héritiers réservataires potentiels, l’attribution de biens en dehors des
règles successorales ordinaires 4 . Cet accord permet au testateur potentiel
Sur le sujet, v. AMADIO, Divieto dei patti successori e attualità degli interessi tutelati, in Patti
di famiglia per l’impresa, édité par la Fondation italienne pour le notariat, Milan, 2006.
4 Les écrits qui ont suivi l’introduction du nouveau dispositif sont nombreux. Nous
signalerons, ex multis, MINERVINI (éd.), Il patto di famiglia, Milan, 2006;
AVAGLIANO, Patti di famiglia e impresa, in Familia, 2006; CATAUDELLA, Parti e terzi
nel patto di famiglia, in Riv. dir. civ, 2008; INZITARI, Il patto di famiglia, Turin, 2006; DI
MAURO, I necessari partecipanti al patto di famiglia, in Fam., pers. e succ., 2006; DELLE
MONACHE, Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto di famiglia, in Riv. Not.,
2006; ID., Sub. Art. 768-quater, in Commentario breve al codice civile (éd. Cian et Trabucchi),
8e éd., Padoue, 2007; GAZZONI, Appunti e spunti in tema di patto di famiglia, in Giust. civ.,
2006; LA PORTA, La posizione dei legittimari sopravvenuti, in Collectif, Patti di famiglia per
3
83
REVUE JURIDIQUE DE L’ISAIDAT
1-2010
de suggérer et, en l’espèce, de tenter d’imposer une répartition de droits
partagée par tous ses héritiers réservataires potentiels, lesquels devront
adhérer au pacte, manifestant ainsi leur accord exprès. Le testateur
parvient ainsi souvent à obtenir un résultat que ses futurs héritiers ne
pourraient autrement pas obtenir (tant que le testateur est en vie), ni ne
seraient en mesure d’obtenir après le décès du testateur. Tant qu’il est en
vie, le testateur potentiel jouit d’une persuasion morale et de la faculté
d’attribuer les biens disponibles comme bon lui semble. Il s’agit là d’une
sorte de pacte successoral, où les attributions ont un effet immédiat, sans
pour autant avoir une importance successorale future, car elles ne
donnent pas lieu à rapport ou réduction.
Le succès de ce dispositif n’est pour l’heure que partiel, du fait
notamment de certaines complexités de mise en œuvre. Son potentiel est
néanmoins considérable, notamment en raison du fait qu’il permet de
prévoir un droit de désistement contractuel de la part d’une ou de
plusieurs parties contractantes. Cette modalité rapproche fortement le
pacte de famille du testament ; en effet, lorsque le droit de désistement
est conféré au testateur potentiel, le pacte de famille conduit à un
résultat conforme au principe de la révocabilité des attributions
successorales tant que le testateur lui-même est en vie.
2. Le droit des sociétés et les successions
En vertu d’un contrat de société, deux personnes ou plus affectent
des biens ou des services à l’exercice en commun d’une activité
économique, afin d’en partager les bénéfices (art. 2247 du Code civil).
Il est par ailleurs admis qu’un seul sujet puisse constituer, en vertu
d’un acte unilatéral, une société à responsabilité limitée (2463 du Code
civil).
Six types différents de sociétés existent en droit italien : trois types
de sociétés de “personnes” (la société simple, la société en nom collectif
et la société en commandite simple ; trois types de sociétés de “capitaux”
l’impresa, in Quad. fin., 2006; LUPETTI, Patto di famiglia: note a prima lettura, in CNN
Notizie, notiziario di informazione del Consiglio Nazionale del Notariato, 14 février 2006;
MERLO, Il patto di famiglia, in CNN Notizie, 14 février 2006; MINERVINI, Il patto di
famiglia. Negoziabilità del diritto successorio con la legge 14 febbraio 2006, n. 55, in INZITARI
(éd.), Turin, 2006; MINERVINI, Patti di famiglia per l’impresa, in I quaderni della Fondazione
italiana per il Notariato, Milan, 2006; OBERTO, Il patto di famiglia, Padoue, 2006; OPPO,
Patto di famiglia e “diritti della famiglia”, in Riv. dir. civ., 2006, I; PALAZZO, Il patto di
famiglia tra tradizione e rinnovamento del diritto privato, in Riv. dir. civ., 2007; PETRELLI, La
nuova disciplina del “patto di famiglia”, in Riv. Not., 2006; SICCHIERO, La causa del patto di
famiglia, in Contr. e Impresa, 2006; VITUCCI, Ipotesi sul patto di famiglia, in Riv. dir. civ.,
2006, 456 ss.
84
F. PENE VIDARI : SUCCESSIONS ET ENTREPRISES
(la société par actions, la société à responsabilité limitée et la société en
commandite par actions). Il existe en outre d’autres formes sociétaires,
telles les coopératives et les sociétés mutuelles.
La différence fondamentale entre sociétés de personnes et sociétés
de capitaux réside dans la nature de la responsabilité des associés.
Dans les sociétés de personnes, sauf le cas du commanditaire (qui
répond dans les limites de la quote-part apportée), les associés répondent
généralement de manière illimitée aux obligations sociales.
Dans les sociétés de capitaux, la société répond sur son propre
patrimoine vis-à-vis des tiers et toute responsabilité directe des associés
sur leur patrimoine personnel est exclue.
Le décès d’un associé, membre d’une société de personnes ou de
capitaux, soulève naturellement quelques interrogations. Qui va le
remplacer en tant que nouvel associé ? Les associés survivants ont-ils
leur mot à dire sur l’entrée des héritiers de l’associé décédé dans la
société ? Dans les sociétés de personnes, les héritiers, nouveaux associés,
répondent-ils de manière illimitée aux obligations sociales, y compris
pour la période antérieure à leur entrée dans la société ? Toutes ces
questions, ainsi que d’autres, se posent chaque fois qu’une succession
englobant une société est en jeu.
L’autonomie privée est largement préservée, grâce à la rédaction de
clauses du contrat de sociétés qui réglementent la transmission de la
participation sociale pour cause de décès 5 . Ici encore, il est nécessaire de
faire une distinction entre société de personnes et société de capitaux.
Dans les sociétés de personnes, le Code civil dispose que : “sauf
disposition contraire du contrat de société, en cas de décès de l’un des
associés, les autres associés doivent liquider sa quote-part aux héritiers, à
moins qu’ils ne préfèrent dissoudre la société ou bien la poursuivre avec
les héritiers, après accord de ces derniers” (art. 2284 du Code civil).
Le principe est donc que les associés survivants sont les arbitres de
l’avenir des parts de l’associé décédé, dans la mesure où il leur appartient
de décider soit de liquider la quote-part en numéraire soit de permettre
aux héritiers d’accéder à la société (toujours avec leur accord) ou encore
de dissoudre la société.
Voir sur ce thème AULETTA, Clausole di continuazione della società coll’erede del socio
personalmente responsabile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1951; IUDICA, Clausole di continuazione
della società con gli eredi dell’accomandatario, in Riv. dir. civ., 1975, 1975, II, 208;
REVIGLIONO, Le clausole limitative delle partecipazioni sociali tra principi successori e regole
societarie, in Diritto privato, 1998; RIVOLTA, Clausole societarie e predisposizione successoria, in
Riv. trim. dir. e proc. civ., 1995, p. 1197 e ss; TASSINARI, Clausole societarie in caso di morte
del socio, in Notariato, 1995, 60 ss.; TATARANO, Patti successori e partecipazioni sociali,
Napoli, 2004.
5
85
REVUE JURIDIQUE DE L’ISAIDAT
1-2010
Le contrat de société peut cependant prévoir des règles différentes
telles, par exemple, la consolidation automatique 6 , sous réserve du droit
des héritiers à percevoir la valeur de la participation de l’associé décédé,
ou bien l’entrée des héritiers dans la société. Le choix des associés
s’effectue souvent sur la base de rapports de parenté ou de mariage.
Dans les sociétés familiales, les associés donnent dès le départ leur
accord préalable à l’entrée de leurs potentiels héritiers dans la société,
quitte à spécifier que cet accord ne s’applique qu’aux descendants de
l’associé, avec exclusion expresse du conjoint. La seule limite à
l’autonomie de la volonté est constituée par la nécessité de l’accord des
héritiers qui accèdent à la société, conformément au principe selon lequel
l’accord de l’intéressé est toujours indispensable lorsqu’il se soumet à une
responsabilité illimitée.
Les héritiers ne deviennent pas associés par simple acceptation de
l'héritage, un acte d’adhésion autonome étant nécessaire. Leur entrée
dans la société ne s’effectue donc pas à titre héréditaire, mais au travers
d'autres actes ultérieurs entre vifs. C’est dans ce même sens que s’est
toujours prononcée la jurisprudence, comme l’indique, notamment, un
arrêt de la Cour de cassation du 23 mars 2005, 6263 (in Le Società 2006,
185), selon lequel: “dans les sociétés de personnes, les héritiers de
l’associé décédé n’acquièrent pas la position de ce dernier au sein de la
société et ne deviennent donc pas à leur tour des associés, dans la mesure
où ils ont uniquement le droit à la liquidation de la participation de
l’associé décédé, droit qui naît indépendamment du fait que la société se
poursuive ou soit dissoute”.
Dans les sociétés de capitaux, le principe de la substitution
automatique de l’héritier dans les droits de participation prévaut 7 . Les
statuts de la société peuvent cependant prévoir certaines restrictions en
matière d’inscription au registre des associés. Concrètement, on peut
donc affirmer que la vocation successorale de l’héritier porte sur la valeur
des parts, mais pas sur la participation au sens technique.
Dans les sociétés par actions, il est expressément prévu que les
clauses des statuts qui subordonnent le transfert des actions pour cause
6 Voir sur ce thème: BARALIS, Le clausole di consolidamento in caso di morte di socio di società
personali, le clausole di consolidazione pure e semplici e quelle con liquidazione del mero capitale.
Problemi di validità, in Quaderni di Vita Notarile, 2, Palerme, 1983; ID., Le clausole di
consolidazione in caso di morte di un socio nelle società di persone, in Quaderni di Vita Notarile, 2,
1983; D’AURIA, Clausole di consolidazione societaria e patti successori, in Riv. not., 2003, 657.
7 Sur cette question, v. BOERO, Società di capitali e successioni mortis causa , in Azienda ed
Impresa, individuale e collettiva, nella successione mortis causa, in Nuovi Quaderni di Vita Notarile,
2, Palerme, 1983. Voir également, CALVOSA, Clausole di riscatto di azioni e divieto dei patti
successori, in Banca, Borsa e titoli di credito, 1992, I, 635; ID., La clausola di riscatto nella società
per azioni, Milan, 1995.
86
F. PENE VIDARI : SUCCESSIONS ET ENTREPRISES
de décès à des conditions particulières, sont inefficaces si elles ne
prévoient pas, à la charge de la société ou des autres associés, une
obligation d’achat ou un droit de retrait (art. 2355 bis du Code civil).
D’où la création d’options d’achat, de put and call 8 , d’hypothèses de vente
ou d’achat conjoints, liées au décès d’un associé. Ces options sont parfois
intégrées dans les statuts, tandis que, dans d’autres cas, elles sont réglées
par contrat dans le cadre de pactes « para-sociaux ».
Des principes similaires s’appliquent aux sociétés à responsabilité
limitée. Les participations sont librement transmissibles pour cause de
mort, sauf disposition contraire contenue dans l’acte de constitution de la
société. Dans ce dernier cas, les héritiers auront toujours la faculté
d’aliéner les participations de l’associé décédé, sur la base des valeurs
préétablies par la loi pour les cas de retrait (art. 2469 du Code civil).
L’associé, ou ses héritiers, ne doivent pas devenir « prisonniers » de
la participation. Si les associés entendent réglementer le transfert pour
cause de mort dans les statuts de leur société, ils doivent définir en même
temps une voie de sortie pour les héritiers de l’associé décédé. Si les
héritiers de ce dernier ne sont pas appréciés par les autres associés, ils ne
pourront pas le devenir à leur tour. Dans ce cas, ils deviendront des
créanciers de la société ou des associés exerçant l’éventuelle option
d’achat prévue par les statuts. La question de l’organe chargé d’exprimer
cette appréciation (organe administratif ou assemblée) ainsi que les
majorités requises à cet effet, sont certaines des questions centrales de la
gouvernance d’une société familiale.
En raison de la grande autonomie privée en la matière, il est donc
nécessaire de vérifier au cas par cas les modalités concrètes de
transmission de la participation, en fonction du type de société et des
éventuelles clauses des statuts.
3. Les clauses du contrat de société en matière successorale.
Exemples pratiques
Après cet aperçu des principes généraux, il est utile d’examiner
certaines clauses successorales des statuts des sociétés de personnes et de
capitaux.
BARCELLONA, Clausole di put & call a prezzo predefinito fra divieto fra divieto di patto
leonino e principio di corrispettività, Milan, 2004.
8
87
REVUE JURIDIQUE DE L’ISAIDAT
1-2010
Sociétés de personnes
Clause de poursuite facultative, réservée aux associés survivants
Une première clause attribuant aux associés survivants la faculté de
décider de l’avenir des participations et de la société, pourrait être la
suivante : “En cas de décès de l’un des associés, les associés survivants
décideront soit de poursuivre la société avec les héritiers ou les légataires
de l’associé décédé, avec leur accord, soit de liquider leur participation
par une somme d’argent ; ce paiement devra être effectué par la société
sans intérêts, dans les six mois qui suivent le décès de l’associé”.
Cette clause, très répandue dans la pratique, délègue aux associés
survivants toute latitude quant à la poursuite de la société avec les
successeurs de l’associé décédé 9 . Sur la base d’évaluations
discrétionnaires ou d’opportunité, les associés survivants bénéficient
d’une totale autonomie décisionnelle, sous réserve – en cas de refus
exprimé à l’égard de l’entrée des descendants de l’associé décédé dans la
société – de l’obligation de la part de celle-ci de leur verser une somme
d’une valeur égale à celle de la participation en question. En ce cas, la
question porte évidemment sur la détermination de cette valeur.
Imaginons donc la suite de la clause précédente: “Aux fins de
l’application de cet article, la valeur de la participation sera déterminée
par les administrateurs sur la base de la valeur courante des actifs de la
société à la date du décès de l’associé, après déduction de l’éventuel
passif. En cas de contestation, cette valeur sera déterminée sur la base
d’un compte-rendu patrimonial assermenté, dressé par un expertcomptable désigné d’un commun accord par les intéressés ou, en cas de
désaccord, par le Président de l’Ordre des Experts-Comptables dans le
ressort duquel se trouve le siège de la société”. Au besoin, il est par
ailleurs possible d’ajouter des corrections ou des critères
complémentaires telle, par exemple, une réduction sur les participations
de minorité, avec la formulation suivante: “En cas de décès, une
réduction de minorité de 20% sera appliquée à la valeur déterminée selon
les critères indiqués ci-dessus dans des circonstances déterminées (par
exemple, une participation inférieure à 30%)”. Ces indications sont
Les juges du fond ainsi que la Cour de cassation ont eu fréquemment l'occasion de
s'exprimer sur cette question. Voir, parmi de nombreux exemples, App. Milan, 30 mars
1993, in Giur. it., 1994, I, 2, 352, qui a retenu qu’une clause d’un contrat de société en
commandite simple en vertu de laquelle, en cas de décès d'un associé commandité, la
société continue avec les héritiers de ce dernier, qui succèdent automatiquement au
défunt en tant qu'associés commandités, même en acceptant tacitement l'héritage, est
valable et ne viole pas l'interdiction des pactes successoraux. En doctrine, v. GHIDINI,
Società personali, Padoue, 1972, 503.
9
88
F. PENE VIDARI : SUCCESSIONS ET ENTREPRISES
certainement utiles, dans la mesure où il est légitime que la valeur d’une
participation fasse l’objet d’une prime de majorité en positif et d’une
réduction de minorité en négatif 10 .
Clause de poursuite automatique en raison d’un rapport de
parenté
Les associés souhaitent parfois stipuler, dès la constitution de leur
société, que : “En cas de décès d’un associé, les autres associés (ou la
société) devront liquider sa participation à ses héritiers sur la base de la
situation patrimoniale de la société à la date du décès. Toutefois, si les
héritiers ou les légataires de l’associé décédé sont ses descendants en
ligne directe, ils lui succèderont de droit, s’ils le souhaitent, dans la
société” ou bien “En cas de décès d’un associé, les autres associés (ou la
société) devront liquider sa participation aux héritiers sur la base de la
situation patrimoniale de la société à la date du décès. Toutefois, si les
héritiers de l’associé sont des descendants en ligne directe (prénom et
nom des associés dont les descendants ont été préalablement autorisés à
entrer dans la société), ils lui succèderont de droit, s’ils le souhaitent,
dans la société”.
Cette clause permet d'évaluer préalablement entre les associés
quels seront les héritiers potentiels autorisés d’un commun accord par les
survivants à entrer dans la société. Les associés souhaitent très souvent
obtenir l’accord formel préalable des autres associés pour la succession
de leurs descendants directs ; en revanche, on omet expressément toute
référence au conjoint, qui est considéré, notamment dans les sociétés
familiales élargies, comme un étranger.
Clause de consolidation (avec obligation de liquidation)
Dans d’autres cas, la volonté des associés vise à toujours liquider
les participations aux héritiers, sauf accord unanime différent, en
privilégiant l’intuitus personae. Voici un exemple de clause allant en ce sens
: “En cas de décès d’un associé, la participation de ce dernier se
consolide et accroît automatiquement celles des autres associés,
proportionnellement à la valeur de leurs participations respectives. Dans
les six mois qui suivent l’ouverture de la succession, les associés
survivants devront verser aux héritiers de l’associé, proportionnellement
à la valeur de leurs participations respectives, une somme d’argent
déterminée sur la base de la situation patrimoniale de la société (ou sur
10
Sur ce point, v. plus largement F. PENE VIDARI, op cit., 159-160.
89
REVUE JURIDIQUE DE L’ISAIDAT
1-2010
d’autres critères objectifs)”. Cette clause transforme automatiquement la
participation de l’associé décédé en une valeur monétaire à laquelle les
héritiers ont droit vis à vis des autres associés 11 . Naturellement, en cas
d’accord unanime opposé, la succession des héritiers dans la société sera
possible, le principe demeurant toutefois une « tontine » avec obligation
de liquidation de la valeur réelle. A ce propos, la jurisprudence affirme
sans ambiguïté qu’il est nécessaire de prévoir une liquidation sur la base
de valeurs effectives, les clauses avec prévision de valeurs nominales ou
consolidation sans liquidation n’étant pas licites, dans la mesure où il
s’agit là de pactes tontiniers interdits par le système juridique italien 12 .
Clause de dissolution automatique de la société
Une solution plus draconienne consiste à considérer le décès d’un
associé comme une cause de dissolution de la société, en vertu de clauses
du contrat de société à la teneur suivante : “En cas de décès de l’associé
(prénom et nom de l’associé en question), la société sera dissoute, en
dérogation aux dispositions légales”. Cette option est particulièrement
rigide, mais elle peut s’avérer opportune chaque fois que la société ou le
groupe sous-jacent exercent des activités où l'achalandage lié à la
personnalité d’un associé impose en amont une telle décision. Pour éviter
toute controverse future, les associés conviennent dès le départ que le
décès de l’un d’entre eux entraînera automatiquement la dissolution de la
société.
Sociétés de capitaux
Clause de rachat
Dans les sociétés de capitaux 13 , les clauses successorales les plus
fréquentes sont assurément les clauses de rachat en question, lesquelles
attribuent aux associés survivants le droit d’acquérir les actions des
héritiers à un prix plus ou moins préétabli. Voici un exemple de ce type
de clause : “Les actions, parvenues par succession légitime ou
testamentaire à des sujets autres que les descendants de l’associé décédé,
Sur la question, on relèvera les observations D’AURIA, op. cit., 658. Cf. également,
App. Bologne, 23 octobre 1996, in Soc., 1997, 414, qui exclut que la clause de
consolidation viole l'interdiction des pactes successoraux, Cass. 17 mars 1951, n. 685, in
Riv. dir. comm. e obbligazioni, 1951, II, 216. Voir,contra, Cass. 16 avril 1975, n. 1434, in
Successioni e donazioni, annoté par Triola, in La Cassazione civile, percorsi giurisprudenziali, de
Bessone, Milan, 2000, 12.
12 Sur ce point, PENE VIDARI, op. cit.,160-161.
13 PENE VIDARI, op. cit., 163-164.
11
90
F. PENE VIDARI : SUCCESSIONS ET ENTREPRISES
devront être proposées en option aux actionnaires selon les modalités
suivantes (indication complète de ces modalités). Il reste entendu que
l’évaluation des actions ne pourra en aucun cas être inférieure à celle
effectuée par un expert-comptable désigné d’un commun accord par les
parties ou, en cas de désaccord, par le Président de l’Ordre des ExpertsComptables dans le ressort duquel se trouve le siège de la société”. Cette
clause ne permet la transmission automatique des actions qu’en présence
d’un successeur qui est un descendant de l’associé ; dans tous les autres
cas, les associés survivants bénéficient d’un droit de rachat à des valeurs
équitables et acceptées par les héritiers de l’associé. Il s’agit là d’une
hypothèse très fréquente qui, en substance, a déjà fait l’objet d’une
validation par la Cour de cassation (Cass. 16 avril 1994, n. 3609, in
Giur.It. 1995, I, 1, 1334), aux motifs suivants : “la clause statutaire qui
accorde aux associés survivants d’une société de capitaux, en cas de
décès de l’un d’entre eux, le droit d’acheter aux héritiers du de cujus les
actions ayant appartenues à celui-ci et parvenues iure successionis à ces
mêmes héritiers, ne contredit pas l’interdiction des pactes sur succession
future visée à l’art. 458 c.c., le lien réciproque en découlant à la charge
des associés n’étant destiné à produire ses effets qu’après ouverture de la
procédure successorale et transfert (par la loi ou par testament) des
actions aux héritiers. Il s’ensuit que le décès d’un associé constitue
uniquement le moment à partir duquel il est possible d’exercer l’option
pour ce rachat, sans que celà n’affecte les règles légales de la vocation
successorale ou sans que cela ne constitue les éléments d’un pacte de
consolidation des actions entre les associés. Au contraire, cette clause ne
constituant qu’un acte inter vivos, elle n’est pas en contradiction, en tant
que telle, avec l’art. 2355, 3e alinéa (version ancienne, antérieure à la
réforme de 2004), qui autorise les dispositions statutaires visant à
subordonner l’aliénation des actions nominatives à des conditions
particulières”. La conception de cette clause en tant qu’option la rend
pleinement licite, y compris au regard de l’interdiction des pactes sur
succession future, la principale caractéristique étant ici le droit des
héritiers à percevoir une valeur monétaire correspondante à celle des
parts rachetées par les autres associés. En attendant la liquidation de la
participation, les héritiers ne peuvent pas prétendre à l’inscription au
registre des associés, mais ils ont droit à la liquidation patrimoniale dans
les délais de l’exercice éventuel de l’option. Si les autres associés
n’exercent pas l’option de rachat dans les délais prévus par les statuts, les
héritiers auront le droit de devenir associés à leur tour.
91
REVUE JURIDIQUE DE L’ISAIDAT
1-2010
Variante de la clause de rachat (sociétés à responsabilité limitée)
“Les participations transmises par succession légitime ou
testamentaire à des sujets autres que les descendants en ligne directe de
l’associé, devront être proposées en option aux associés selon les
modalités suivantes. Il reste entendu que, si l’évaluation a été effectuée
par un expert-comptable, la cession devra s’effectuer à la valeur
déterminée par ce dernier”. Cette clause est une simple variante pour les
parts dans des sociétés à responsabilité limitée. Le registre des associés a
récemment été aboli pour les sociétés à responsabilité limitée, mais la
substance de la réglementation des clauses « successorales » n’a pas
changé. En effet, rien ne s’oppose à l’introduction volontaire du registre
des associés, ce qui facilite indéniablementle contrôle de la circulation
des participations et du respect des clauses statutaires en la matière. A
défaut de registre des associés, la structure de la propriété est précisée au
Registre du Commerce et des Sociétés; Toutefois, l’inscription au
Registre en violation des règles de circulation des participations soulève
des interrogations auxquelles il n’est pas aisé de répondre. Le conflit
entre la société, les associés survivants et les nouveaux associés inscrits
en violation des règles statutaires, sera probablement résolu en faveur des
premiers, qui seront toutefois tributaires des délais judiciaires. A cet
égard, on ne peut donc que constater à nouveau que la sauvegarde
préventive est à préférer à la sauvegarde successive.
4. La responsabilité de l’héritier et de l’associé
A moins qu’il (n’) ait accepté avec bénéfice d’inventaire, l’héritier
répond des dettes du de cujus, y compris sur son patrimoine personnel.
L’associé d‘unesociété de personnes répond des dettes sociales de
manière illimitée. Par conséquent, son héritier devra répondre de la
même manière des obligations sociales antérieures.
Le droit italien s’oppose à ce qu’une personne soit débitrice d’une
responsabilité illimitée contre sa propre volonté. C’est pourquoi, dans les
sociétés de personnes, les clauses de poursuite obligatoire selon
lesquelles les héritiers sont tenus de succéder à l’associé décédé, ne sont
pas considérées comme licites 14 . Ainsi, dans la perspective de la poursuite
de la société avec les héritiers, leur accord étant indispensable, il
conviendra toujours de stipuler la mention « à condition qu’ils (les
héritiers) expriment leur accord », pour que la clause de succession soit
valable.
14
Sur ce point, v. FERRI, Le società, in Trattatti Vassalli, 1985, 273.
92
F. PENE VIDARI : SUCCESSIONS ET ENTREPRISES
Toujours pour les seules sociétés de personnes, le conflit entre les
normes du bénéfice d’inventaire et les règles sociétaires de la
responsabilité illimitée, est plus problématique.
Le régime successoral du bénéfice d’inventaire devrait prévaloir,
car la séparation entre le patrimoine du de cujus et le patrimoine de
l’héritier n’est autre que la continuation de la situation juridique qui
existait avant le décès de l’associé.
5. La transmission aux descendants de la richesse dans la pratique
(société simple, commandite par action, pacte de famille)
Le passage aux descendants dans l’entreprise permet la croissance
de celle-ci et joue un rôle central dans tout système économique,
particulièrement en présence d’un nombre important d’entreprises de
petite et moyenne dimensions à contrôle familial.
Bien entendu, il n’existe pas de schéma adapté a priori pour le
transfert par voie successorale des participations. D’où la nécessité de
distinguer les différentes situations concrètes.
Il est parfois opportun d’attendre le décès du titulaire de la
participation de contrôle ; dans d’autres cas, il est préférable d' anticiper,
en impliquant , du vivant du titulaire, la génération plus jeune dans la
gouvernance et la propriété. Dans d’autres cas encore, des exigences
particulières peuvent pousser à sauter une génération.
La possibilité de séparer propriété et administration ainsi que la
présence de chaînes de contrôle sociétaire, rendent complexes et variés
les hypothèses d’implication de la nouvelle génération dans l’entreprise.
Le transfert de propriété entre personnes physiques ne peut
qu’advenir au sommet de la chaîne de contrôle de la holding. En effet,
dans la quasi totalité des cas, c’est la holding de contrôle, constituée de
personnes physiques unies par des liens familiaux, qui détient le capital
d’une ou de plusieurs sociétés contrôlées à partir de chaînes plus ou
moins complexes. Les jeux du passage aux descendants et des
négociations successorales « anticipées » ont donc toujours lieu à ce
niveau.
Les types de sociétés utilisées comme holding sont les plus
disparates, incluant les sociétés à responsabilité limitée classiques et les
sociétés par actions. La société simple et la société en commandite par
action méritent certainement quelques considérations supplémentaires 15 .
Ces sociétés, apparemment que tout oppose, sont fréquemment le «
15 Sur l'utilisation de la société en commandite par actions pour la transmission aux
descendants de la gouvernance sociétaire, v. CORSI, Società in accomandita per azioni, in
Digesto/comm., XIV, Turin, 1997, spec. 236.
93
REVUE JURIDIQUE DE L’ISAIDAT
1-2010
coffre-fort » de contrôle, y compris de grands groupes, grâce à une
multitude de règles particulières de gouvernance 16 .
Théoriquement, la société simple n’est pas prévue pour l’exercice
d’activités commerciales au sens technique. Cependant, dans certaines
régions italiennes, surtout nord-occidentales, elle est utilisée en tant que
société de jouissance de biens immobiliers ou de participations sociales.
Compte tenu de la responsabilité illimitée des associés, cette société
exerce généralement une simple activité de gestion statique de ses
propres participations, sans assumer d’obligations vis-à-vis de tiers. La
possibilité de moduler les pactes sociaux selon les exigences les plus
diverses des associés, même au travers de l’apport en industrie, ainsi que
la possibilité de maintenir une confidentialité pratiquement totale sans
inscription au registre des sociétés, sont à l’origine du succès de ce type
de société. Il est fréquemment stipulé que la propriété et l’administration
soient séparées, de pair avec des règles de gouvernance prédéfinies en
fonction de l’âge des associés administrateurs et de l’éventuelle incapacité
de l’un d’entre eux.
Dans la société en commandite par actions, les associés
commandités sont les administrateurs de droit ; en cas de pluralité, la
désignation de nouveaux commandités devra être approuvée par les
associés toujours en exercice. De même, les modifications des statuts
doivent être approuvées par l’ensemble des associés commandités. Ces
attributions particulières confèrent à chaque associé commandité des
pouvoirs très utiles sur le plan de la transmission générationnelle de la
gestion d’une chaîne de contrôle sociétaire. L’ancienne génération peut
progressivement impliquer la nouvelle génération, tout en gardant un
droit de veto sur les décisions les plus importantes (par exemple, la
désignation des administrateurs ou l’approbation d’opérations statutaires
exceptionnelles). Compte tenu de la responsabilité illimitée de ses
administrateurs, la société en commandite souscrit rarement des
obligations et fait office de holding « statique » de contrôle, au sein de
laquelle se joue la gouvernance des grands groupes industriels italiens.
Grâce au pacte de famille, en dérogation à l’interdiction des pactes
sur succession future et des règles sur le rapport et sur la réduction,
16 En la matière, une doctrine avisée a affirmé que “les statuts des sociétés en
commandite les plus importantes contiennent des règles de transmission du contrôle
dans des termes qui, non seulement pour les grandes familles mais aussi pour la
collectivité, sont souvent plus importants que ceux énoncés dans les statuts régionaux
ou dans les chartes institutionnelles d'autres organismes publics. Le contrat de société
constitue alors un ordre dynastique et, dans la reconstruction de la réalité, il faut peutêtre le repenser comme tel”. V. WEIGMANN, L’accomandita per azioni come cassaforte
familiare, in La trasmissione familiare della ricchezza, Padoue, 1995, 151.
94
F. PENE VIDARI : SUCCESSIONS ET ENTREPRISES
l’entrepreneur peut, avec l’accord de l’ensemble de ses héritiers
potentiels, transférer l’entreprise ou ses propres participations à l’un de
ses descendants.
Il s’agit là d’une nouveauté importante introduite en 2006 dans
l’ordre juridique italien, permettant de réglementer, à l’avance et par
dérogation aux normes successorales, le transfert des parts sociales à
cause de mort. On a parlé de succession anticipée de nature
contractuelle, souscrite par tous les intéressés, à travers laquelle le
testateur attribue l’entreprise ou ses participations à un descendant,
lequel compense à son tour les autres ayants droit de manière directe ou
indirecte. Ce qui est attribué par le pacte ne rentre pas dans la succession
héréditaire et n’est pas pris en compte dans les réserves des héritiers
réservataires, car il est établi que “ce qui a été reçu par les parties
contractantes n’est sujet ni à rapport ni à réduction” (art. 768 quater, 4e
alinéa).
La possibilité de liquider à l’avance une partie de la réserve permet
de négocier les attributions entre les héritiers réservataires et le testateur
ainsi qu’entre héritiers réservataires. Du vivant du testateur, le pacte
successoral avec liquidation de la réserve potentielle est admis, y compris
la renonciation à celle-ci de la part d’un ou de plusieurs héritiers, si
d'autres biens lui ou leur sont attribués.
En outre, la faculté de résiliation dont bénéficient les parties
contractantes 17 (y compris le testateur), rend cet instrument
particulièrement intéressant, car il permet de changer d’idée, en
rétablissant la structure de propriété d’origine au cas où la nouvelle
génération ne serait pas à la hauteur des attentes, ou encore pour d’autres
raisons personnelles.
Le pacte de famille ouvre une voie contractuelle partagée par tous
les héritiers réservataires potentiels pour le transfert générationnel des
entreprises familiales.
Le droit des sociétés devra tenir compte lui aussi du pacte de
famille. En effet, dans les clauses de préemption et d’agrément, il sera
éventuellement nécessaire de préciser que ces restrictions à la circulation
des parts ne s’appliquent pas au transfert par pacte de famille. De même,
dans l’hypothèse où, pour d’autres raisons, on en déciderait autrement, il
faudra réglementer en détail avec des clauses spécifiques le
fonctionnement de la préemption face à un pacte de famille.
Le défi du passage aux descendants des entreprises italiennes de
petite et moyenne dimensions passe aussi par le biais du succès de ce
En matière de résiliation, voir les observations proposées in PENE VIDARI, La
successione legittima, cit., 118 et s.
17
95
REVUE JURIDIQUE DE L’ISAIDAT
1-2010
nouvel instrument qui, nous le répétons, recèle un potentiel non
négligeable dans une économie dynamique, caractérisée par une
circulation des richesses toujours plus rapide.
96
IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO
ITALIANO DELLE SUCCESSIONI 
JACOPO RE**
SOMMARIO : 1. Osservazioni introduttive. - 2. Ambito della giurisdizione italiana. - 3. Il
riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze e degli atti stranieri. - 4. La legge
applicabile alle successioni internazionali. - 5. La proposta di regolamento comunitario.
1. Osservazioni introduttive
La legge 31 maggio 1995 n. 218 di riforma del sistema italiano di
diritto internazionale privato dedica, nel titolo III, un apposito capo al
diritto internazionale privato delle successioni 1 . Il capo VII, rubricato
successioni, contiene quattro articoli relativi alla legge applicabile, nonché
una disposizione specifica per la determinazione dell’ambito della
giurisdizione italiana in materia. In particolare, l’art. 46 disciplina la legge
applicabile alla successione per causa di morte e alla divisione ereditaria,
gli articoli 47 e 48 si occupano di alcune questioni relative al testamento

Il presente articolo riproduce, con alcune variazioni, la relazione presentata alle Journées
Roumaines (23-28 mai 2010, Bucarest et Cluj-Napoca) Les successions, organizzate dalla
Association Henri Capitant des amis de la culture juridique française.
** Dottorando di ricerca nell’Università Bocconi.
1 La letteratura sull’argomento è alquanto ampia. Si veda ex multis BALLARINO, Successioni
(diritto internazionale privato), in Enc. dir. Aggiornamento, Milano, 1997, p. 943 ss.; ID.,
Diritto internazionale privato, 3ª ed., Padova, 1999, p. 514 ss.; PICONE, La legge applicabile
alle successioni, in ID., La riforma italiana del diritto internazionale privato, Padova, 1998, p. 55
ss.; DAMASCELLI, La legge applicabile alla successione per causa di morte secondo il diritto
internazionale privato italiano, in Riv. dir. int. priv. proc., 2003, p. 85 ss.; CALÒ, Le successioni
nel diritto internazionale privato, Milano, 2007, passim; MOSCONI, CAMPIGLIO, Diritto
internazionale privato e processuale. Parte speciale, 2ª ed., Torino, 2006, p. 143 ss.;
TROMBETTA-PANIGADI, Le successioni mortis causa nel diritto internazionale privato, in
Trattato di diritto della successioni e donazioni diretto da BONILINI, vol. V, Milano, 2009, p.
211 ss. Per i vari commenti agli articoli del capo VII della legge di riforma si rimanda,
tra gli altri, a CLERICI, Articoli 46-50, in POCAR, TREVES, CARBONE, GIARDINA,
LUZZATTO, MOSCONI, CLERICI, Commentario del nuovo diritto internazionale privato, Padova,
1996, p. 230 ss.; ID. Articoli 46-50, in CUFFARO, DELFINI (a cura di), Delle successioni, artt.
713-768 octies e leggi collegate, in GABRIELLI (diretto da), Commentario del codice civile,
Torino, 2010, p. 521 ss.; DELI, Articoli 46-50, in BARIATTI (a cura di), Legge 31 maggio
1995, n. 218. Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, in Nuove leggi, civ. com.,
1996, p. 1278 ss.; TONOLO, Successioni, in CONETTI, TONOLO, VISMARA, Commento alla
riforma del diritto internazionale privato italiano, 2ª ed., Torino, 2009, p. 197 ss.
97
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
quali, rispettivamente, la capacità di testare e la forma del testamento,
mentre l’art. 49 contiene una norma materiale in merito alla successione
dello Stato. Mancano, invece, specifiche disposizioni in tema di
riconoscimento ed esecuzione dei provvedimenti stranieri. Al riguardo,
troveranno dunque applicazione le norme di carattere generale contenute
negli articoli 64 e seguenti della legge di riforma.
La disciplina posta in essere dalle legge n. 218/1995, pur
abrogando la previgente normativa di cui all’art. 23 delle disp. prel. cod.
civ. del 1942, si pone in sostanziale continuità per quanto concerne i
principi ispiratori delle norme in materia.
Infatti, conformemente ai principi di unità e universalità della
successione, la successione mortis causa è regolata interamente da un’unica
legge: quella della cittadinanza del de cuius al momento della morte. In tal
guisa, il diritto internazionale privato delle successioni si conforma
all’idea, propria degli ordinamenti di tradizione romanistica, di
continuazione della persona del defunto in quella degli eredi, con
conseguente acquisto della universitas dei rapporti patrimoniali spettanti al
defunto, da regolarsi in base ad una disciplina unitaria.
Se la riforma del diritto internazionale privato italiano non ha
modificato i principi di base della disciplina in esame, la legge n.
218/1995 non ha tuttavia mancato di introdurre alcune importanti
novità. In primo luogo, il legislatore ha accordato al de cuius, seppur in
maniera molto circostanziata, la facoltà di scegliere la legge applicabile
alla propria successione (c.d. professio iuris) 2 . In secondo luogo, e a
parziale rottura della nuova disciplina con i tradizionali principi di unità e
personalità, anche la regolamentazione delle successioni internazionale è
soggetta all’operare delle disposizioni relative al rinvio 3 . L’adesione a
questa figura non è del tutto priva di conseguenze, dal momento che essa
può compromettere il principio di unità della successione. Infatti, qualora
la legge nazionale del defunto si ispiri al criterio della scissione, ciò
richiede l’applicazione di leggi diverse a seconda della natura e della
situazione dei beni ereditari. L’accoglimento del rinvio può implicare,
inoltre, l’eventuale sostituzione del criterio di collegamento personale
della cittadinanza con quello del domicilio o della residenza del de cuius.
Si veda sul punto CARELLA, Autonomia della volontà e scelta di legge nel diritto internazionale
privato, Bari, 1999, p. 175 ss.; DE CESARI, Autonomia della volontà e legge regolatrice delle
successioni, Padova, 2001, passim.
3 Sui riflessi dell’introduzione del rinvio nel diritto internazionale privato italiano e con
specifico riferimento alla regolamentazione delle successioni internazionali, cfr.
FUMAGALLI, Rinvio ed unità della successione nel nuovo diritto internazionale privato italiano, in
Riv. dir. int. priv. proc., 1997, p. 829 ss.; CALÒ, op. cit., p. 18 ss. e 54 ss.
2
98
J. RE : IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO ITALIANO DELLE SUCCESSIONI
Oltre alla disciplina contenuta nella legge di riforma occorre
annoverare, tra le fonti del diritto internazionale privato delle
successioni, anche le numerose convenzioni internazionali multilaterali e
bilaterali di cui l’Italia è parte 4 . Tra le prime, sono in vigore per il nostro
Paese la convenzione di Basilea del 16 maggio 1972 relativa all’istituzione
di un sistema di registrazione dei testamenti e la convenzione di
Washington del 26 ottobre 1973 che istituisce una legge uniforme sulla
forma di un testamento internazionale 5 . Per contro, l’Italia non è parte
contraente della convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 sui conflitti di
leggi in materia di forma delle disposizioni testamentarie, della
convenzione dell’Aja del 2 ottobre 1973 sull’amministrazione
internazionale delle successioni e di quella del 1° agosto 1989 sulla legge
applicabile alle successioni a causa di morte.
Infine, si sottolinea che alcuni aspetti specifici della materia
successoria, di natura amministrativa e giurisdizionale, sono disciplinati
da numerose convenzioni consolari, mentre determinati aspetti di natura
fiscale sono regolati dai c.d. trattati di amicizia, commercio e
navigazione 6 .
2. Ambito della giurisdizione italiana
L’ambito della giurisdizione italiana in materia successoria è
determinato, in linea generale e con una certa ampiezza, dall’art. 50 della
Il coordinamento tra le convenzioni internazionali e le disposizioni nazionali di
conflitto è disciplinato dall’art. 2 della legge n. 218/1995, il quale assicura la prevalenza
degli impegni internazionali sulle disposizioni di diritto comune. Cfr. al riguardo
CARBONE, Art. 2, in POCAR, TREVES, CARBONE, GIARDINA, LUZZATTO, MOSCONI,
CLERICI (a cura di), Commentario cit., p. 8 ss., nonché CONETTI, Art. 2, in CONETTI,
TONOLO, VISMARA, Commento cit., p. 7 s.
5 Cfr. TROMBETTA-PANIGADI, Le successioni cit., p. 215 ss., la quale ricomprende, tra gli
altri trattati multilaterali in vigore per l’Italia che, pur non regolando direttamente le
successioni internazionali, presentano rilievi di interesse per la materia, sia la
convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, relativa alla legge applicabile al trust e al suo
riconoscimento, in quanto vi potrebbero essere problemi di coordinamento tra leggi
applicabili alla successione, in caso di trust istituito mortis causa sul patrimonio del
defunto, sia la convenzione di Vienna del 24 aprile 1963 sulle relazioni consolari, nella
misura in cui l’art. 5 lett. g) conferisce ai consoli il potere di tutelare gli interessi dei
cittadini dello Stato di invio nelle successioni mortis causa nel territorio dello Stato di
residenza, in conformità con le leggi e i regolamenti di quest’ultimo.
6 In linea generale, tali accordi disciplinano i poteri e le funzioni consoli in relazione a
successioni di cittadini aperte nello Stato di residenza e sono generalmente basate sul
principio di universalità, mentre il criterio per l’attribuzione dei poteri dei consoli è
perlopiù quello della cittadinanza del de cuius. Per le convenzioni di cui la Repubblica
italiana è parte si rinvia a TROMBETTA-PANIGADI, Le successioni cit., p. 216, note 14 e 15.
4
99
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
legge n. 218/95. Sono infatti previsti ben sette titoli di giurisdizione
alternativi: la cittadinanza italiana del de cuius, l’apertura in Italia della
successione, la situazione in Italia della parte dei beni di maggiore
consistenza economica, il domicilio o la residenza del convenuto in Italia,
l’accettazione della giurisdizione italiana e la localizzazione in Italia dei
beni oggetto della domanda.
Si è posto il dubbio, in dottrina, se l’art. 50 ponga in essere titoli di
giurisdizione esclusivi, piuttosto che concorrenti con le norme generali di
giurisdizione contenute, in particolare, nell’art. 3 della legge di riforma 7 .
Detto articolo determina l’ambito della giurisdizione italiana in virtù del
domicilio o della residenza del convenuto, della presenza in Italia di un
rappresentante autorizzato a stare in giudizio ai sensi dell’art. 77 cod.
proc. civ., ovvero rinviando a talune norme della convenzione di
Bruxelles del 1968 o in base ai criteri stabiliti per la competenza per
territorio. Tuttavia, posto che i titoli di giurisdizione del domicilio e della
residenza del convenuto sono richiamati da entrambe le disposizioni, che
la competenza per territorio di cui all’art. 22 cod. proc. civ. rinvia al
giudice del luogo di apertura della successione, ovvero, se la successone
si è aperta al di fuori della Repubblica, al giudice del luogo in cui è posta
la maggior parte dei beni o, in mancanza, a quello del luogo di residenza
del convenuto o di alcuno dei convenuti, e che la materia successoria è
esplicitamente esclusa dall’ambito di applicazione materiale della
convenzione di Bruxelles del 1968, l’unico titolo contenuto nell’art. 3 che
potrebbe venire in rilievo è quello relativo alla presenza in Italia di un
rappresentante autorizzato a stare in giudizio. A tal riguardo, il Tribunale
di Lucca ha dichiarato la sussistenza della giurisdizione italiana in materia
successoria, dando rilevanza al fatto che il convenuto avesse un
rappresentante autorizzato a stare in giudizio 8 , affermando dunque una
complementarietà tra disciplina speciale e normativa generale 9 .
Analizzando brevemente i singoli titoli di giurisdizione contenuti
nell’art. 50, si nota subito come il legislatore non abbia voluto porre in
essere dei criteri esorbitanti quali, ad esempio, la nazionalità italiana degli
eredi 10 , o il fatto che la successione sia sottoposta, in virtù delle norme di
Sui termini della questione testé delineata e per le opportune indicazioni bibliografiche
v. CLERICI, Art. 50, in CUFFARO, DELFINI (a cura di), Delle successioni cit., p. 572 ss.
8 Trib. Lucca, 23 settembre 1997, in Riv. dir. int. priv. proc., 1998, p. 818 ss.
9 Cfr. TROMBETTA-PANIGADI, Le successioni cit., p. 253 s.,
10 Nel sistema previgente la legge di riforma, era stata affermata la sussistenza della
giurisdizione italiana in relazione a domande successorie intentate contro un cittadino
italiano. La Corte di appello di Trieste, 22 novembre 1961, in Riv. dir. int., 1962, p. 430
ss., aveva infatti fondato la giurisdizione italiana sull’abrogato art. 4 secondo comma
cod. proc. civ., a norma del quale il giudice italiano poteva conoscere delle cause relative
a domande che riguardavano “successioni ereditarie di cittadino italiano”, sostenendo
7
100
J. RE : IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO ITALIANO DELLE SUCCESSIONI
conflitto, alla legge italiana. Conferma questa indicazione anche il tenore
letterale dell’art. 50, lett. a) a norma del quale sussiste la giurisdizione
italiana se il de cuius era cittadino italiano al momento della morte, non
rilevando la cittadinanza delle altre parti coinvolte nella successione.
Oltre al criterio personale della cittadinanza del defunto, l’art. 50
della legge n. 218/1995 pone in essere titoli di giurisdizione ispirati sia a
criteri di fatto sia a criteri di diritto. Appartengono alla prima categoria i
titoli di giurisdizione che prendono in considerazione la localizzazione in
Italia dei beni del de cuius. Invero, a norma della lett. c) dell’art. 50 sussiste
la giurisdizione italiana se la parte dei beni ereditari di maggiore
consistenza economica è situata in Italia, mentre in virtù della successiva
lett. e) il giudice italiano conosce delle cause successorie se la domanda
concerne beni situati in Italia. Quanto al primo titolo, occorre ricordare
che la generica espressione di beni è idonea a ricomprendere tanto i beni
mobili, quanto i beni immobili, ma non quelli immateriali 11 . Inoltre, ai
fini della determinazione del valore dei beni, il giudice italiano può
ricorrere, per i beni situati in Italia, agli articoli 14 e 15 cod. proc. civ.,
mentre per i beni situati all’estero potrà adottare dei parametri adeguati al
valore che essi hanno nello Stato in cui sono situati 12 e in linea con quelli
impiegati dai giudici di dell’ordinamento in questione. Quanto al titolo di
cui alla lett. e), invece, benché in astratto sia in grado di individuare la
competenza giurisdizionale del giudice italiano anche nel caso in cui la
maggior parte dei beni ereditari si trovi all’estero, la sua operatività
appare in realtà limitata alle sole cause relative a diritti reali su beni
immobili ed alle azioni possessorie 13 , e non può quindi configurarsi quale
titolo di giurisdizione esorbitante 14 .
che tale espressione si riferisse alla situazione in cui l’erede fosse cittadino italiano e che
non rilevasse la cittadinanza italiana del defunto. Cfr. anche Cass. S.U., 22 novembre
1984 n. 5984, in Riv. dir. int. priv. proc., 1984, p. 140 ss.
11 Trib. Milano, 24 settembre 1990, in Riv. dir. int. priv. proc., 1991, p. 463 ss.
12 V. TROMBETTA-PANIGADI, Le successioni cit., p. 257 e in maniera conforme CLERICI,
Art. 50, in CUFFARO, DELFINI (a cura di), Delle successioni cit., p. 577 ss.
13 Così BALLARINO, Successioni cit., p. 954.
14 In senso conforme, cfr. BALLARINO, Diritto internazionale privato cit., p. 552. Per
un’interpretazione differente, che vede nella norma in esame un titolo di giurisdizione
potenzialmente esorbitante e, pertanto, idoneo a radicare davanti al giudice italiano
anche una controversia avente un esiguo collegamento con il nostro ordinamento, cfr.
CLERICI, Art. 50, in CUFFARO, DELFINI (a cura di), Delle successioni cit., p. 578 s.
Secondo l’Autrice, tuttavia, la prospettata estensione della giurisdizione italiana non è
passibile di censura se tramite essa si può giungere a «una (felice) coincidenza tra ius e
forum quando gli eredi sottopongano la divisione dei loro beni situati in Italia alla legge
italiana, ai sensi dell’art. 46, 3° co., l. n. 218/1995». Cfr. op. loc. ult. cit.
101
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
Tra i titoli di giurisdizione che si basano su criteri di diritto assume
primaria rilevanza l’apertura della successione in Italia, apertura che deve
essere individuata, in base all’art. 456 cod. civ., nel luogo dell’ultimo
domicilio del defunto (art. 50, lett. b). Inoltre, anche il domicilio e la
residenza in Italia del convenuto, secondo quanto disposto dall’art. 43
cod. civ., e l’accettazione della giurisdizione italiana da parte del
convenuto costituiscono titoli di giurisdizione che si richiamano a criteri
di diritto (art. 50, lett. d). L’accettazione della giurisdizione, inoltre, andrà
valutata secondo quanto disciplinato dall’art. 4 della medesima legge 15 ,
ma non potrà costituire titolo di giurisdizione per le controversie relative
a beni immobili situati all’estero, per espressa previsione della norma in
esame.
Si deve ancora sottolineare, inoltre, che l’art. 50 della legge n.
218/1995 ha una portata generale, volta a regolare tutte le cause in
materia successoria. Infatti, diversamente da quanto previsto
dall’abrogato art. 4, 2° comma, cod. proc. civ., che fondava la
giurisdizione italiana in merito a «successioni ereditarie» e nei casi
espressamente enumerati dall’art. 22 cod. proc. civ., la legge di riforma
utilizza la formula più ampia di «materia successoria». In tal modo, il
legislatore prescinde da ogni delimitazione della materia successoria, con
la conseguenza che l’art. 50 potrebbe essere destinato ad operare per
qualsiasi controversia relativa alla materia in esame e quindi anche per
quelle cause che presentano una connessione indiretta, ma abbastanza
stretta con la materia successoria, come, ad esempio, quelle in materia
divisoria 16 .
Infine, ragioni di completezza inducono a ricordare che la legge n.
218/1995 pone in essere una norma generale dedicata ai procedimenti di
volontaria giurisdizione (art. 9) – in virtù della quale, per esempio, il
giudice italiano è competente a nominare un esecutore testamentario se
tale provvedimento riguarda la successione di un cittadino italiano o di
una persona residente in Italia o qualora la successione sia regolata dalla
legge italiana – e una disposizione relativa alla materia cautelare (art. 10).
Quest’ultima norma, oltre ad attribuire, ovviamente, la giurisdizione in
materia cautelare al giudice italiano nel caso in cui egli abbia giurisdizione
Come è noto, l’art. 4 della legge di riforma disciplina i casi di proroga e deroga alla
giurisdizione italiana. Per un commento cfr. CONETTI, Art. 4, in CONETTI, TONOLO,
VISMARA, Commento cit., p. 17 ss.
16 È quindi rimesso alla giurisprudenza il compito di definire i confini della portata
applicativa della disposizione in esame. Per un’analisi della prima giurisprudenza della
nostra Suprema Corte, v. CLERICI, Art. 50, in CUFFARO, DELFINI (a cura di), Delle
successioni cit., p. 574 s.
15
102
J. RE : IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO ITALIANO DELLE SUCCESSIONI
nel merito, la riconosce anche nel caso in cui il provvedimento debba
essere eseguito in Italia.
3. Il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze e degli atti
stranieri
Il legislatore italiano non ha sentito l’esigenza di predisporre delle
norme particolari in merito al riconoscimento e all’esecuzione delle
decisioni e degli atti stranieri in materia successoria. In questo ambito,
pertanto, troverà applicazione la normativa generale disciplinata dagli
articoli 64 – 68 della legge n. 218/1995 17 . In estrema sintesi, non essendo
questa la sede opportuna per una dettagliata analisi delle citate
disposizioni, occorre subito rilevare che la legge 218/1995 fa proprio il
principio del riconoscimento automatico, in presenza di determinate
condizioni, delle decisioni e dei provvedimenti stranieri. L’art. 64, infatti,
espressamente dispone che la sentenza straniera è riconosciuta in Italia,
senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento, se sono stati
rispettati alcuni requisiti. In primo luogo, la sentenza straniera deve
essere emessa da un giudice che poteva conoscere della causa secondo i
principi sulla competenza giurisdizionale propri dell’ordinamento
italiano. In altre parole, la sentenza straniera deve essere pronunciata dal
giudice di un ordinamento col quale la causa presentava una significativa
connessione e, più precisamente, una di quelle connessioni che, in casi
analoghi, sono ritenute idonee ad attribuire la giurisdizione al giudice
italiano.
In secondo luogo, la sentenza straniera deve essere il risultato di un
processo equo, nel quale sia stato rispettato il principio del
contradditorio. Di conseguenza, l’atto introduttivo del giudizio deve
essere stato portato a conoscenza del convenuto in conformità con
quanto previsto dalla legge del luogo ove si è svolto il processo e le parti
si sono costituite in giudizio, ovvero ne è stata dichiarata la contumacia,
in conformità con detta legge. Inoltre, nel procedimento straniero non
devono essere stati lesi i diritti essenziali della difesa.
È inoltre richiesto che la sentenza straniera sia passata in giudicato
– nel senso che non siano più esperibili i mezzi ordinari di impugnazione
e sia quindi divenuta definitiva – e che non contrasti con un’altra
sentenza pronunciata da un giudice italiano passata in giudicato.
17 Sul riconoscimento e sull’esecuzione delle decisioni e degli atti stranieri in Italia,
secondo quanto previsto dalle legge di riforma, v. BALLARINO, Diritto internazionale
privato cit., p. 152 ss.; BAREL, ARMELLINI, Manuale breve di diritto internazionale privato, 4ª
ed., Milano, 2009, p. 276 ss.; MOSCONI, CAMPIGLIO, Diritto internazionale privato e
processuale. Parte generale e obbligazioni, 4ª ed., Torino, 2010, p. 343 ss.;
103
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
Infine, la decisione straniera è riconosciuta se non pende un
processo davanti a un giudice italiano per il medesimo oggetto e tra le
stesse parti, e se non produce effetti contrari con l’ordine pubblico 18 .
Anche i provvedimenti stranieri in materia di giurisdizione
volontaria beneficiano del riconoscimento automatico a condizione che
rispettino alcuni requisiti. Anzitutto, il provvedimento deve essere
emanato o dal giudice dotato di competenza giurisdizionale secondo i
criteri propri dell’ordinamento italiano, o da quello dello Stato la cui
legge è richiamata dalle norme di conflitto italiane, ovvero se si tratta di
un provvedimento che produce effetti nell’ordinamento a cui rinviano le
norme di conflitto italiane, anche se emanato dal giudice di un Paese
diverso. Inoltre, il provvedimento in questione non deve produrre effetti
contrari all’ordine pubblico. Infine, devono essere stati rispettati i diritti
fondamentali di difesa.
4. La legge applicabile alle successioni internazionali
Come è già stato accennato, il diritto internazionale privato italiano
delle successioni è informato ai principi di unità e universalità della
successione. In conformità con il principio romanistico dell’unità della
successione, che comporta la reductio ad unum di tutti i rapporti giuridici
che facevano capo al de cuius, indipendentemente dalla natura dei beni
che ne costituiscono l’oggetto, l’intero asse ereditario viene pertanto
assoggettato ad una sola legge. Infatti, l’art. 46 1° comma della legge n.
218/1995 stabilisce che la successione per causa di morte è regolata dalla
legge nazionale del de cuius al momento della morte. Tale disposizione
adotta un criterio di collegamento rigido, di facile determinazione da
parte dell’operatore del diritto e di agevole applicazione nella pratica. Il
criterio della cittadinanza del defunto, peraltro, è espressione del forte
legame tra il soggetto e la sua comunità nazionale 19 e si conforma alla
teoria di fondo del nostro diritto materiale, secondo la quale la
Al riguardo, si assiste ad una significativa diminuzione della portata dell’eccezione
dell’ordine pubblico internazionale, inteso nella sua doppia veste di limite al
riconoscimento e all’esecuzione di una decisione e di un atto pubblico straniero, da un
lato, e di margine all’applicazione della legge straniera, dall’altro lato. Per quanto
rilevante in questa sede, basti sottolineare che il limite dell’ordine pubblico non può
essere invocato al fine di non dare applicazione alla lex successionis per il solo fatto che
detta legge straniera non conosce l’istituto della riserva a favore dei legittimari. V.,
anche per ulteriori ipotesi, CLERICI, Art. 46, in CUFFARO, DELFINI (a cura di), Delle
successioni cit., p. 540 ss.
19 Sul detto legame si rinvia alla magistrale lezione di MANCINI, Della nazionalità come
fondamento del diritto delle genti, riprodotta in JAYME (a cura di), Della nazionalità come
fondamento del diritto delle genti, Torino, 1994, p. 21 ss.
18
104
J. RE : IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO ITALIANO DELLE SUCCESSIONI
successione è intesa come la continuazione nell’ambito familiare della
persona e dei rapporti giuridici che a questa facevano capo. Dato che con
la successione si verifica il trasferimento di un patrimonio da una
persona ad un’altra, la sua regolamentazione è direttamente collegata allo
statuto personale ed alla condizione del defunto.
A fronte del pregio relativo alla facile determinazione della legge
applicabile, il criterio di collegamento della cittadinanza può tuttavia
risultare inadeguato in certe situazioni. Alcune complicazioni potrebbero
insorgere, ad esempio, nell’ipotesi in cui il defunto abbia più di una
cittadinanza o sia un apolide o un rifugiato. Nel primo caso, l’art. 19 della
legge n. 218/1995 prevede il ricorso all’applicazione della legge del Paese
con cui il soggetto ha il collegamento più stretto, a meno che la persona
non abbia, tra l’altro, la cittadinanza italiana, la quale prevale, anche se
non è quella effettiva. Per i restanti casi, il medesimo articolo prevede la
sostituzione della legge nazionale con quella dello Stato ove si trova il
domicilio della persona interessata o, in mancanza, quello della sua
residenza. Inoltre, l’ordinamento straniero richiamato dal criterio di
collegamento della cittadinanza potrebbe essere articolato in più
sottosistemi di legislazione civilistica su base territoriale o personale.
L’art. 18 della legge di riforma risolve questo problema nel senso che la
legge applicabile deve essere determinata secondo i criteri di
collegamento interlocali propri dell’ordinamento richiamato. Tuttavia, se
tali criteri non possono essere individuati, si applica il sistema normativo
con il quale la situazione è più strettamente collegata 20 .
Come si è già accennato, il principio dell’unità e dell’universalità
della successione si scontra con l’adozione, nel diritto internazionale
privato italiano, del rinvio 21 . Infatti, tale procedimento può
compromettere il principio dell’unità della successione nel caso in cui la
legge nazionale del defunto sia informata al criterio della scissione e porti
all’applicazione di leggi diverse a seconda della natura e della situazione
dei beni ereditari 22 . Si pensi ad esempio alla successione di un cittadino
canadese – ai cui rapporti sia applicabile, tramite l’operare dell’art. 19
della legge di riforma, la legge della provincia del Québec – con ultimo
domicilio in Italia, che possedeva beni immobili in Francia. In questo
caso il giudice italiano, tramite l’operare del rinvio, sottoporrà la
successione dei beni mobili alla legge italiana e quella dei beni immobili
alla legge francese, dal momento che la norma di conflitto québécoise
Sul rinvio ad ordinamenti plurilegislativi, cfr. RICCI, Il richiamo
di ordinamenti plurilegislativi nel diritto internazionale privato, Padova, 2004, passim.
21 Nel sistema previgente, il rinvio era escluso per espressa disposizione dell’abrogato
art. 30 delle disposizioni preliminari al codice civile.
22 Così TONOLO, Successioni cit., p. 198.
20
105
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
utilizza per la successione dei beni mobili il criterio della lex domicilii e per
la successione dei beni immobili quello della lex rei sitae. Se l’operatività di
leggi diverse può comportare certi svantaggi, quali il rischio di
coesistenza di discipline poco omogenee o problemi connessi al rispetto
dell’esigenza di uguaglianza nei rapporti successori – con particolare
riguardo, ad esempio, ai diritti dei legittimari – si deve sottolineare che
l’applicazione del rinvio favorisce, da un lato, l’uniformità di soluzioni tra
i vari ordinamenti in presenza e contribuisce a garantire, dall’altro lato,
una maggiore effettività e circolazione delle deliberazioni normative e
delle decisioni italiane in materia. Il ricorso al rinvio, inoltre, è
circoscritto alle sole ipotesi di rinvio altrove accetto e di rinvio indietro
alla legge italiana 23 .
Il criterio di collegamento della cittadinanza del de cuius potrebbe
condurre, in determinare circostanze, all’applicazione di una legge poco
collegata alla fattispecie concreta. Si pensi, ad esempio, alla
regolamentazione della successione di un cittadino italiano trasferitosi
all’estero e che all’estero abbia stabilito il centro dei propri interessi e
della propria vita. Per ovviare a queste situazioni e con l’intento di
perseguire finalità di giustizia sostanziale, il legislatore italiano ha
introdotto, accanto al criterio di collegamento oggettivo della
cittadinanza, la possibilità di scelta della legge applicabile alla successione.
Secondo quanto disposto dall’art. 46 2° comma, tuttavia, il de cuius non è
libero di scegliere la legge di qualsiasi Stato, ma può optare a favore di
una sola legge: quella dello Stato in cui ha la propria residenza. Tuttavia
la scelta è inefficace se il defunto, al momento della morte, non aveva più
la propria residenza in detto Stato. È pertanto richiesto un costante e
duraturo collegamento con lo Stato la cui legge viene scelta,
collegamento che deve necessariamente sussistere sia al tempo della
scelta sia al momento della morte. La scelta deve avere per oggetto
l’intera successione ed esclude l’operatività del rinvio. Inoltre, la professio
iuris, la sua modifica o la revoca della stessa devono essere espresse e
devono avvenire in forma testamentaria, mentre l’esistenza e la validità
sostanziale della manifestazione di volontà e le questioni relative agli
eventuali vizi della volontà sono valutati sulla base della lex causae 24 . I
requisiti di capacità necessari per compiere la scelta sono invece regolati
dalla legge nazionale del soggetto al momento del compimento dell’atto,
secondo quanto disposto dall’art. 47 della legge n. 218/1995. Infine, la
scelta della legge applicabile da parte del de cuius italiano non può
Cfr. ult. op. cit., p. 198 s.
Cfr. TROMBETTA-PANIGADI, Le successioni cit., p. 224, a cui si rinvia per un’analisi
delle diverse opinioni dottrinali sul punto in questione.
23
24
106
J. RE : IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO ITALIANO DELLE SUCCESSIONI
pregiudicare i diritti successori dei legittimari residenti in Italia al
momento della sua morte.
L’ambito di applicazione della lex successionis copre tutti i tre
momenti in cui si sviluppa il procedimento successorio: da quello della
devoluzione, a quello della trasmissione ereditaria dei beni, a quello della
divisione. In via preliminare occorre, tuttavia, distinguere due fasi: la fase
dell’acquisto del titolo ereditario, sottoposta alla lex successionis e quella in
cui concretamente si acquistano i beni formanti la massa ereditaria,
regolata, a norma dell’art. 51 della legge di riforma, dalla lex rei sitae 25 .
Andando ad analizzare quali sono le materie regolate dalla lex
successionis, occorre constatare, innanzitutto, che essa disciplina, in primo
luogo, le questioni relative all’apertura della successione ab intestato e
testamentaria, tra le quali, ad esempio, il tempo, il luogo e la causa di
apertura. La medesima legge disciplina anche gli aspetti relativi alla fase
della delazione dell’eredità e, quindi, l’individuazione, l’ordine ed il
concorso dei chiamati a succedere. Quanto alla determinazione dei
successibili, l’accertamento di un rapporto familiare con il defunto
avviene ai sensi della legge che disciplina detto rapporto 26 e non, come in
altri sistemi, sulla base della legge che regola le successione. Quest’ultima,
d’altro canto, torna ad essere competente a disciplinare le questioni
relative alla capacità di succedere 27 , tra cui le cause di indegnità e
l’eventuale riabilitazione.
Con riferimento alla successione testamentaria, la lex successionis
disciplina gli aspetti relativi al contenuto e alla validità del testamento,
quali, ad esempio, la previsione di istituti che mirano alla tutela di alcune
tipologie di successibili, la determinazione delle disposizioni e delle
condizioni che il testatore ha facoltà di porre in essere, nonché
Trib. Brescia, 25 novembre 1999, in Riv. dir. int. priv. proc., 2000, p. 1041 ss., con
commento di FUMAGALLI, Questioni di diritto internazionale privato delle successioni in una
giurisprudenza recente, ivi, p. 931 ss.
26 V. Trib. Milano, 10 marzo 1997, in Fam. dir., 1998, p. 170 ss. In questo caso,
l’accertamento dello status di figlio del de cuius di un presunto erede, è stato valutato ex
art. 33 della l. 218/1995, che individua nella legge nazionale del figlio al momento della
nascita la legge applicabile alle questioni di filiazione, e non sulla base delle disposizioni
della lex successionis. Ne segue che, in materia di successioni, le questioni preliminari
vanno risolte secondo la c.d. soluzione disgiunta, la quale consiste nell’applicare alla
detta questione la sua propria regola di conflitto, in modo indipendente dalla quella
impiegata per la risoluzione della questione principale. Cfr. sul punto BALLARINO,
Diritto internazionale privato cit., p. 266 ss.; CALÒ, op. cit., p. 12 s.
27 In quanto capacità speciale, le capacità di succedere è sottratta, ex art. 20, seconda
frase della legge di riforma, al dominio della legge nazionale della persona fisica
interessata. Cfr. sul punto TONOLO, Art. 20, in CONETTI, TONOLO, VISMARA,
Commento cit., p. 65 ss.
25
107
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
l’interpretazione dello stesso testamento e la facoltà di revoca e di
modifica 28 .
La disciplina della lex successionis, inoltre, regola alcuni istituti vietati
nell’ordinamento italiano, ma previsti in altri sistemi giuridici, quali il
testamento congiuntivo, nelle due vesti di testamento collettivo e di
testamento reciproco, la sostituzione fedecommissaria e i patti
successori. Questi ultimi, vietati ex art. 458 cod. civ., possono venire in
considerazione in Italia, ove validi e ammessi dal diritto straniero che
regola la successione. Al riguardo, la giurisprudenza si è pronunciata nel
senso di non poter più contestare a priori la loro contrarietà con l’ordine
pubblico internazionale italiano 29 .
Con riferimento al momento dell’amministrazione e della
trasmissione dell’eredità, la lex successionis regola la determinazione e la
consistenza della massa ereditaria, gli atti che il chiamato può compiere
sui beni prima dell’accettazione, gli atti necessari e le modalità
dell’accettazione dell’eredità, nonché le modalità e gli effetti
dell’eventuale rinuncia, i poteri e gli atti di amministrazione sul
patrimonio ereditario acquisito, l’addebito a carico degli eredi dei debiti
contratti dal de cuius e di ogni altra passività a carico della massa
ereditaria 30 .
28 In tema di successione testamentaria occorre ricordare che la legge di riforma dedica
alla capacità di testare e alla forma del testamento due specifiche disposizioni. L’art. 47
sottopone la capacità di disporre per testamento, di modificarlo o di revocarlo, alla
legge nazionale del disponente al momento del testamento, della modifica o della
revoca. L’art. 48, invece, ispirato al principio del favor testamenti, prevede il concorso
alternativo di ben sette leggi diverse applicabili in materia di forma quali la legge del
luogo in cui il testatore ha disposto, la legge nazionale e quella dello Stato in cui si trova
il domicilio o la residenza del testatore al momento della redazione del testamento o al
momento della morte.
29 V. Trib. Bolzano, 8 marzo 1968, in Riv. giur. Alto Adige, 1968, p. 220 s.; Cass., 5 aprile
1984 n. 2215, in Foro it., 1984, I, c. 2253. Al riguardo, occorre accennare al fatto che il
divieto di contrarre patti successori ha subito una certa attenuazione a seguito
dell’entrata in vigore della l. 14 febbraio 2006, n. 55 istitutiva del c.d. patto di famiglia.
Sul punto v. PERONI, Patti successori, patto di famiglia e ambito di applicazione delle norme di
diritto internazionale privato, in Dir. comm. int., 2007, p. 611 ss; DAMASCELLI, Il patto di
famiglia nel diritto internazionale privato, in AA.VV., Studi in onore di Vincenzo Starace, Vol. II,
Napoli, 2008, p. 1423 ss.
30 La natura in senso lato procedurale della fase dell’amministrazione e della
liquidazione dell’eredità potrebbe, per determinate questioni, comportare l’applicazione
della legge del luogo in cui la procedura si svolge, al posto della lex successionis. V. Trib.
Brescia cit., p. 1041 ss. secondo il quale non rientrano nell’ambito di applicazione della
legge successoria le questioni in cui concretamente si realizzano le modalità di
acquisizioni dei beni che costituiscono la massa ereditaria, che pertanto restano soggette
alla lex rei sitae.
108
J. RE : IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO ITALIANO DELLE SUCCESSIONI
La legge di riforma ha riservato alle questioni relative alla divisione
ereditaria un’apposita norma di conflitto contenuta nel 3° comma
dell’art. 46 secondo il quale la divisione ereditaria è regolata, in linea
generale, dalla lex successionis. La disposizione citata prevede, inoltre, la
possibilità di scelta, da parte degli eredi, della legge applicabile alla
divisione ereditaria. I condividenti, d’accordo tra loro, possono infatti
concludere di sottoporre la divisione o alla legge del luogo di apertura
della successione, oppure a quella del luogo in cui si trovano uno o più
beni ereditari. Detta optio legis, inoltre, è ammessa sia quando la legge
regolatrice della successione è la legge nazionale del defunto al momento
della morte, sia nel caso in cui la lex successionis è il risultato della scelta di
legge operata dal de cuius. Qualora i condividenti abbiano scelto come
applicabile la legge del luogo in cui si trovano uno o più beni, ciò non
comporta la possibilità di un frazionamento della disciplina applicabile,
ma solamente la sottoposizione dell’intera divisione alla legge dello Stato
in cui si trovano detti beni. La lex successionis, in ogni caso, rimarrà
competente a regolare alcune questioni quali la quantificazione delle
quote spettanti agli eredi, la collazione delle donazioni e il retratto
successorio, mentre la lex rei sitae assumerà rilievo come legge regolatrice
del modo di acquisto dei beni che compongono l’asse ereditario (art. 51)
e delle forme di pubblicità degli atti aventi ad oggetto diritti reali (art. 55).
Infine, l’art. 49 della legge di riforma disciplina, con una
disposizione materiale di carattere unilaterale, la successione dello Stato.
Essa trova applicazione nel caso in cui i beni (mobili o immobili) che
costituiscono la successione di un cittadino straniero e che si trovano in
Italia rimangano vacanti per assenza di eredi legittimi o testamentari. In
questo caso, qualora la legge applicabile alla successione dello straniero
non attribuisca la devoluzione dei beni allo Stato, questi dovranno essere
attribuiti allo Stato italiano.
5. La proposta di regolamento comunitario
Nell’ambito del processo di costruzione di uno spazio giudiziario
europeo 31 , iniziato dall’allora Comunità europea a seguito dell’entrata in
vigore del Trattato di Amsterdam, uno dei settori sui quali è attualmente
focalizzata l’attenzione del legislatore dell’Unione è quello delle
successioni. Difatti, a seguito della pubblicazione da parte della
Commissione europea, nel marzo 2005, del Libro verde «Successioni e
31 Al riguardo la letteratura è amplissima. V. per tutti, e per una rassegna dei più
importanti strumenti adottati dalla Comunità BONOMI (a cura di), Diritto internazionale
privato e cooperazione giudiziaria in materia civile, Torino, 2009, passim.
109
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
testamenti» e delle consultazioni pubbliche tenute nel corso del 2006, il
14 ottobre 2009 la Commissione europea ha adottato la Proposta di
regolamento del Parlamento e del Consiglio relativo alla competenza, alla
legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e degli
atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato
successorio europeo 32 . La Proposta di regolamento dell’Unione europea
in materia presenta vari punti di interesse e di novità rispetto al diritto
internazionale privato italiano delle successioni. Tuttavia, occorre subito
sottolineare come uno dei principi cardini del sistema italiano delle
successioni internazionali, quello dell’unità del regime successorio, abbia
trovato accoglienza anche come principio informatore della disciplina di
conflitto comunitaria. Infatti, l’art. 19 del progetto di regolamento
dispone espressamente che la lex successionis regola l’intera successione,
dal momento della sua apertura, fino alla trasmissione definitiva
dell’eredità agli aventi diritto. Se l’adesione della proposta di regolamento
al principio dell’unità e dell’universalità della successione, così come si
evince dal citato art. 19 e dal considerando n. 17, non comporta
conseguenze rilevanti sulla concezione alla base del diritto materiale
interno, secondo la quale nella successione si verifica una sorta di
continuità della persona del defunto in quella degli eredi, la proposta di
regolamento contiene, nondimeno, rilevanti novità in relazione ai criteri
di collegamento adottati tanto in materia di legge applicabile, quanto in
tema di competenza giurisdizionale.
La proposta di regolamento, infatti, adotta quale criterio di
collegamento oggettivo quello della residenza abituale del defunto al
momento della morte (art. 16). Si ravvisa in questa scelta l’abbandono del
principio di personalità del regime applicabile alle successioni, secondo il
quale i rapporti successori rientrano nello statuto personale, a favore
dell’operatività di una disciplina vicina agli interessi del de cuius e che
presenta legami effettivi con la fattispecie concreta. Tale scelta di politica
legislativa non comporta, tuttavia, un abbandono definitivo del criterio di
Documento COM(2009) 154 def.. Si segnala che la proposta ha subito una rettifica,
che non riguardava la versione italiana della stessa, il 7 dicembre 2009. Per un primo
commento alla proposta di regolamento cfr. CLERICI, Articoli 46-50, in CUFFARO,
DELFINI (a cura di), Delle successioni cit., p. 549 ss. e 581 s.; MARINO, La proposta di
regolamento sulla cooperazione giudiziaria in materia di successioni, in Riv. dir. int., 2010, p. 463
ss. In merito al dibattito relativo all’adozione di uno strumento comunitario in materia
di successioni, si veda DAVÌ, Riflessioni sul futuro diritto internazionale privato europeo delle
successioni, in Riv. dir. int., 2005, p. 297 ss.; TROMBETTA-PANIGADI, Verso una disciplina
comunitaria delle successioni per causa di morte, in Fam. pers. succ., 2009, p. 10 ss., nonché i
diversi contributi sulle successioni internazionali pubblicati in BARUFFI, CAFARI
PANICO (a cura di), Le nuove competenze comunitarie: obbligazioni alimentari e successioni,
Padova, 2009, passim.
32
110
J. RE : IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO ITALIANO DELLE SUCCESSIONI
collegamento della cittadinanza, dal momento che la legge a cui essa
rinvia può formare l’oggetto di un’electio iuris (art. 17) da parte del de cuius.
Altri elementi di novità e di rottura con il diritto internazionale privato
italiano in materia sono la previsione di un’apposita disposizione per la
regolamentazione dei patti successori (art. 18) e la mancata adozione
della tecnica del rinvio.
Anche la scelta dei titoli di giurisdizione contenuti nella proposta
di regolamento innova profondamente il vigente diritto internazionale
privato italiano. Infatti, la proposta di regolamento, nel suo intento di
perseguire l’istituzione di uno spazio giudiziario europeo, opta per una
rigida ripartizione della competenza giurisdizionale tra i giudici degli Stati
membri sulla base di un unico titolo di giurisdizione informato al luogo
di residenza abituale del defunto al momento della morte (art. 4). In tal
modo, non solo non sono previsti altri titoli di giurisdizione alternativi –
come invece prevede l’art. 50 della legge n. 218/1995 – ma si evince, in
maniera del tutto evidente, la propensione del legislatore europeo a far
coincidere ius e forum. A conferma di ciò, l’art. 5 introduce un complesso
meccanismo di rinvio alla giurisdizione più adatta a conoscere della causa
– una sorta di forum non conveniens in materia successoria – in virtù del
quale il giudice competente ex art. 4 può, a determinate condizioni,
invitare le parti ad adire gli organi giurisdizionali dello Stato la cui legge
sia stata oggetto di una professio iuris da parte del defunto. Inoltre, nel caso
in cui il defunto non avesse avuto la propria residenza abituale in
nessuno Stato membro, ma possedesse alcuni beni della successione nel
territorio di uno di questi, i giudici del luogo in cui si trovano tali beni
possono conoscere delle controversie in materia successoria, a titolo di
competenza residua, se il detto luogo si trova nello stesso Stato in cui il
defunto aveva stabilito la propria precedente residenza abituale nei
cinque anni antecedenti la sua morte, o di cui era cittadino al momento
della morte, o nel quale un erede o un legatario risiedono abitualmente o
se la domanda riguarda esclusivamente tali beni.
Infine, è degna di nota l’intenzione del legislatore europeo di
facilitare il più possibile le successioni internazionali all’interno
dell’Unione, perseguita tramite l’istituzione di un Certificato successorio
europeo. L’istituzione di detto Certificato rappresenta infatti, uno degli
obiettivi più importanti contenuti nella proposta, dal momento che la
prova della qualità di erede o di amministratore o di esecutore
testamentario costituisce una delle maggiori difficoltà riscontrate in una
successione internazionale. Esso, infine, si presenta come un’assoluta
novità per il sistema giuridico italiano, in considerazione del fatto che
l’Italia non è vincolata da convenzioni internazionali che istituiscono
111
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
certificati simili, come ad esempio quella dell’Aja del 2 ottobre 1973
sull’amministrazione internazionale delle successioni.
112
LA PROPRIETA PRIVATA NEL SISTEMA
DELLA CONVENZIONE EUROPEA
DEI DIRITTI DELL’UOMO
SABRINA PRADUROUX 
Introduzione - 1. L’interpretazione dell’articolo 1 del Protocollo no. 1. - 1.1 Sistematica
dell’oggetto del diritto. - 1.1.1 I beni materiali e immateriali. - 1.1.2 I diritti
sufficientemente patrimoniali. - 1.1.3 Gli interessi sostanziali. - 1.2 Il principio del
rispetto della proprietà. - 1.3 La privazione della proprietà. - 1.4 La regolamentazione
dell’uso dei beni. - 1.4.1 La regolamentazione dell’uso dei beni in modo conforme
all’interesse generale. - 1.4.2 La regolamentazione dell’uso dei beni per assicurare il
pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende. - 2. I parametri di
controllo. - 2.1 Il principio di legalità. - 2.2 L’utilità pubblica e l’interesse generale. - 2.3
Il principio di proporzionalità. - 3. Il rapporto tra l’art. P1-1 e altri articoli della
Convenzione. - 3.1 Il diritto di proprietà e le esigenze del giusto processo. - 3.2 Il diritto
di proprietà e il divieto di discriminazione. - 3.3. Il diritto di proprietà e il diritto al
rispetto della vita privata e familiare. - 4. Equa soddisfazione in caso di constatata
violazione. - Considerazioni conclusive.
Introduzione
L’inclusione di una specifica garanzia della proprietà nel testo della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali (CEDU) fu oggetto di controversia, sebbene la
protezione di tale diritto fosse già consacrata da molti testi delle
Costituzioni degli Stati europei e riconosciuta dalla Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo da poco proclamata 1 .
Da una parte, i membri conservatori sostenevano l’esigenza di
includere una specifica protezione per il diritto di proprietà,
argomentando trattarsi di un diritto naturale, estensione della libertà
personale; dall’altra, i membri socialisti riferendosi al diritto alla
proprietà, ne sottolineavano il carattere sociale ed economico, valevole
l’esclusione da uno strumento volto alla protezione dei diritti
fondamentali.
Oltre a quest’ultimo argomento di carattere marcatamente politico,
furono anche avanzati, contro l’inclusione di una garanzia a favore della

Assegnista di ricerca presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università del Piemonte
Orientale.
1 La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo fu infatti adottata dall’Assemblea
generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, mentre i lavori dell’Assemblea
Consultativa del Consiglio d’Europa per la redazione della CEDU ebbero inizio nei
primi mesi dell’anno successivo.
113
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
proprietà privata, ragioni di carattere “tecnico”. Osservando trattarsi di
un diritto da tutti incontestabilmente considerato avente carattere
relativo, premessa necessaria per una garanzia effettiva era, secondo
alcuni membri dell’Assemblea, l’individuazione del nucleo essenziale del
diritto 2 ; infatti, in assenza di una definizione comunemente accettata del
diritto di proprietà e dei suoi limiti, la sua protezione sarebbe stata
inutile 3 .
Nel Novembre del 1949 il Comitato dei Ministri del Consiglio
d’Europa incaricò della questione un Comitato di esperti espressamente
istituito. Quest’ultimo pronunciò parere favorevole all’enunciazione del
diritto di proprietà tra i diritti garantiti, menzionando quale unica
motivazione la tendenza dei regimi totalitari a considerare le ingerenze
nel diritto di proprietà come mezzi legittimi di pressione. Un anno non
fu però sufficiente ai membri dell’Assemblea Consultativa per
raggiungere un accordo e nel testo della Convenzione, firmato il 4
Novembre 1950 a Roma, non v’è menzione del diritto di proprietà.
I lavori dunque proseguirono, mettendo in luce l’estrema difficoltà
insita in ogni tentativo di definire con una formula breve, ed in termini
generali il diritto di proprietà 4 . Il raggiungimento di un compromesso tra
le differenti concezioni del diritto di proprietà, in particolare quella
individualista-personale vs. quella sociale, richiese quasi un altro anno: la
2 De La Vallée-Pussin (Belgio), Conseil de l’Europe, Recueil des Travaux Préparatoires de la
Convention Européenne des Droits de l’homme, Martinus Nijhohh, La Haye, 1975, Vol. II, p.
63, osservò: “le droit de propriété, tel qu’il est aujourd’hui appliqué par les différentes
nations européennes, est un droit incontestablement considéré par tout le monde
comme un droit relatif. (…). Par conséquent, ce droit étant un droit relatif, nous
pourrions le garantir d’une façon efficace, mais il faut que nous examinions l’angle sous
le quel nous le considérons comme essentiel. Ce travail n’est pas fait; il ne l’est même
pas par les idéologies. Dans ces conditions, vouloir protéger d’une façon aussi vague le
droit de propriété serait inutile”.
3 Edberg (Svezia), Conseil de l’Europe, Recueil des Travaux Préparatoires de la Convention
Européenne des Droits de l’homme, Martinus Nijhohh, La Haye, 1975, Vol. II, p. 87,
sottolineò chiaramente il punto: “il s’agit de savoir s’il est possible de donner du droit
de propriété une définition qui donne satisfaction à tous. Si c’est la chose impossible, il
est complètement absurde de faire mention de ce droit, et cette définition ne
constituerait qu’une formule de programme politique. Il serait, à mon sens, tout à fait
fâcheux que la majorité de l’Assemblée insistât sur l’adoption d’une formule qui
n’aurait, et ne pourrait avoir, aucune signification véritable, mais ne constituerait qu’une
attitude politique”.
4 In particolare, Roberts (Regno Unito), Conseil de l’Europe, Recueil des Travaux
Préparatoires de la Convention Européenne des Droits de l’homme, Martinus Nijhohh, La Haye,
1975, Vol. VI, p. 89, espresse insoddisfazione per l’uso del termine possessions, estraneo
al linguaggio giuridico inglese: “le mot «possessions» utilisé dans le texte anglais n’est
pas véritablement satisfaisant. (…) C’est un mot que l’on ne trouverait pas dans une loi
britannique ni dans aucun autre document juridique”.
114
S. PRADUROUX: LA PROPRIETÀ PRIVATA NEL SISTEMA DELLA CONVENZIONE EUROPEA
garanzia della proprietà trova infine posto nell’articolo 1 del Primo
Protocollo firmato a Parigi il 20 marzo 1952 5 .
Entrato in vigore il 18 maggio 1984, il Protocollo no. 1 è stato
ratificato da 45 dei 47 Stati appartenenti al Consiglio d’Europa 6 .
Nel commentare l’articolo 1 del Protocollo no. 1 (art. P1-1), René
Cassin si dichiarò non pienamente soddisfatto del testo, ma considerò
tuttavia esso potesse fornire una buona base per la futura giurisprudenza.
I fatti gli hanno dato ragione.
Dal punto di vista quantitativo, la giurisprudenza in materia
proprietaria ha registrato un significativo incremento nell’ultimo
decennio, cui hanno considerevolmente contribuito alcuni Paesi dell’ex
blocco sovietico che hanno aderito alla Convenzione negli anni 1990. 7
1. L’interpretazione dell’articolo 1 del Protocollo no. 1.
In una delle prime sentenze in cui la Corte è stata chiamata ad
applicare l’art. P1-1 8 , essa ha statuito che: “riconoscendo a ciascuno il diritto al
Il testo finale dell’articolo 1 fu, però, già adottato il 2 Agosto 1951.
Non hanno proceduto alla sua ratifica: Monaco e Svizzera. Altri Stati hanno ratificato
apponendo delle riserve con riferimento specifico al diritto di proprietà, è il caso di:
Austria, Bulgaria, Estonia, Georgia, Lettonia, Lussemburgo, San Marino e Spagna.
7 Al 31 dicembre 2010, la Corte aveva pronunciato 2414 sentenze, in cui riscontrava
esservi stata una violazione dell’art. P1-1; di queste: 431 contro la Romania; 430 contro
la Russia; 293 contro l’Ucraina. Il primato negativo spetta comunque alla Turchia, con
574 sentenze. Un numero considerevole di condanne (297) riguarda infine l’Italia.
Cfr.: http://www.echr.coe.int/NR/rdonlyres/37EC6A43-A7E7-4732-A5F1- E705900
AC611/0 /Tableau_de_violations_19592010_FRE.pdf
8 Si tratta della sentenza Marckx c. Belgio, del 13 giugno 1979. Nel caso di specie la
presunta violazione del diritto di proprietà era stata fatta valere, sia come motivo
autonomo che in combinato disposto con l’art. 14 (divieto di discriminazione), contro il
diritto belga delle successioni, laddove attribuiva al figlio naturale riconosciuto diritti
successori minori a quelli attribuiti al figlio legittimo. La Corte ha escluso esservi una
violazione dell’art. P1–1 isolatamente considerato ed ha accolto invece il secondo
motivo di ricorso.
La sentenza Marcks è, dal punto di vista cronologico, la seconda in cui la Corte ha
applicato l’art. P1-1. Il primo caso, deciso tre anni prima, concerneva una misura di
confisca e distruzione di beni, per motivi di ordine pubblico (sent. Handyside c. Regno
Unito, del 7 dicembre 1976). Un apprezzabile numero di pronunce era invece già stato
emesso dalla Commissione dei diritti dell’uomo. Si ricorda, brevemente, che nel disegno
originario tre istituzioni condividevano la responsabilità del controllo del rispetto da
parte degli Stati contraenti degli obblighi da essi assunti in sede di ratifica della
Convenzione: la Commissione europea dei diritti dell’uomo (istituita nel 1954), la Corte
europea dei diritti dell’uomo (istituita nel 1959, l’accettazione della cui giurisdizione era
in un primo momento facoltativa) ed il Comitato dei ministri. La piena
“giurisdizionalizzazione” del sistema di controllo attraverso l’unificazione dei tre organi
5
6
115
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
rispetto dei suoi beni, l’articolo 1 (P1-1) garantisce in sostanza il diritto di
proprietà”. Questa formula, frutto di sintesi ermeneutica, ha consentito
alla Corte di superare le ambiguità terminologiche presenti nelle due
versioni originali, in inglese e in francese, del testo dell’articolo.
Confrontando i due testi, si nota infatti che la versione inglese apre
statuendo che “Every natural o legal person is entitled to the peaceful enjoyment of
his possessions”, laddove il testo francese enuncia che “toute personne physique
ou morale a droit au respect de ses biens”. Il testo inglese prosegue poi
riprendendo l’uso del termine “possessions” quando assoggetta
l’espropriazione a condizioni determinate, mentre qui il testo francese
sostituisce il termine “biens” con quello di “propriété”. Infine, il testo
inglese fa salvo il potere degli Stati di adottare normative finalizzate a “to
control the use of property”, espressione resa in francese con “réglementer l’usage
des biens” 9 .
Dopo avere individuato nel diritto di proprietà il diritto protetto
dall’art. P1-1, la Corte ha precisato che: “il diritto di disporre dei propri beni
costituisce un elemento tradizionale fondamentale del diritto di proprietà”(§ 63).
Malgrado il tenore perentorio delle due statuizioni, esse non
rispecchiano affatto l’opinione di tutti i giudici del collegio. In
particolare, il giudice Gerald Fitzmaurice osservò che la prima delle due
affermazioni sopra riportate non è che un postulato, frutto di
un’estrapolazione in parte giustificabile in ragione della redazione
mediocre del testo, tanto nella versione inglese che in quella francese. In
secondo luogo, egli rimproverò ai giudici della Corte di avvalersi del
termine “uso”, di cui al secondo paragrafo, per conferire all’insieme
decisionali è stata posta in essere con il Protocollo n. 11, entrato in vigore il 1°
novembre 1998.
9 Secondo SCHWELB E., The Protection of the Right of Property of Nationals under the First
Protocol to the European Convention on Human Rights, in American Comparative Law Journal,
1964, p. 520, “the only reasonable conclusion which can be drawn from this lack of
terminological symmetry and consistency is that for the purposes of the Protocol all the
terms employed in Article 1 mean the same, namely “property”, “propriété”, and that the
use of different expression is legally irrelevant”. Sui problemi che pone la nozione di
bene in prospettiva comparata si veda più in generale CANDIAN A., La notion de biens, in
Electronic
Journal
Of
Comparative
Law
(December
2007),
http://www.ejcl.org/113/article113-7.pdf. Ma anche il diritto italiano è lungi dall’essere
soddisfacente: GAMBARO A., Il diritto di proprietà, in Trattato di diritto civile e
commerciale già diretto da Cicu e Messineo, VII, t. 2, Milano, 1995, 127 ss.; d’altra
parte, come nota Mattei U., La proprietà, in Trattato di diritto civile diretto da Rodolfo
Sacco, Torino, 2001, la stessa nozione di proprietà presenta un volto universale, e un
volto locale.
116
S. PRADUROUX: LA PROPRIETÀ PRIVATA NEL SISTEMA DELLA CONVENZIONE EUROPEA
dell’articolo una portata esorbitante la nozione di proprietà, sì da
inglobare i diritti successori e di disposizione 10 .
In conclusione, secondo Fitzmaurice – la cui opinione è stata
sostanzialmente condivisa anche dai giudici Franz Matscher e João de Deus
Pinheiro Farinha -, il principale, se non il solo, oggetto dell’art. P1–1 era,
nella mente dei redattori dell’articolo in questione, di impedire i sequestri, le
confische, le espropriazioni ed ogni altra arbitraria interferenza dello Stato
nel libero godimento dei beni, come già verificatisi in passato. Pertanto
riconoscere, sulla base di detto articolo, agli individui dei diritti che, sebbene
siano legati alla nozione di proprietà, superano di molto la nozione di
“rispetto dei beni”, significa attribuirgli una portata che non gli è propria.
Ad ogni modo, nella giurisprudenza successiva, la Corte non è
ritornata sui suoi passi e alla sentenza Marckx ha fatto seguito la pronuncia
Sporrong e Lönnroth c. Svezia del 23 settembre 198211 , in cui la Corte ha
formulato i tre principi che sono alla base di tutta la giurisprudenza in
materia proprietaria. Al § 61 della sentenza si legge: “[l’art. P1-1] contiene tre
norme distinte. La prima, di ordine generale, enuncia il principio del rispetto della
proprietà, essa è espressa nella prima frase del primo comma. La seconda riguarda la
privazione della proprietà e la sottomette a determinate condizioni, essa figura nella
seconda frase dello stesso comma. Quanto alla terza essa riconosce agli Stati il potere, tra
altri, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale e adottando le
leggi che essi reputano necessarie a tal fine, essa si evince dal secondo comma”.
Qualificando la seconda e la terza disposizione come norme di
carattere speciale rispetto alla prima, in sede di applicazione, prima di
pronunciarsi su quest’ultima, la Corte procede appurando che la
fattispecie concreta al suo esame non ricada nell’ambito delle altre due.
Si legge nell’opinione dissenziente allegata alla sentenza: “A mon sens, «usage»
signifie l’usage de ce qu’on a ou possède encore, et «l’usage des biens» n’est pas le
langage qu’on aurait normalement employé si l’on avait voulu englober l’usage sous
forme de disposition des biens par testament, donation entre vifs, etc. Aucun juriste
compétent ne se contenterait de faire allusion à l’usage des biens s’il avait à rédiger une
clause s’appliquant clairement à ces matières”.
11 I ricorrenti si dolevano delle limitazioni ai loro diritti di proprietà, derivanti
dall’esistenza di autorizzazioni ad espropriare, accompagnate da un divieto di costruire,
“a lungo termine” – in quanto il termine di 5 anni inizialmente previsto per il
completamento della procedura di esproprio fu più volte prorogato -. La Corte ha
osservato che, intatta la titolarità formale dei beni, le limitazioni de quibus incidevano
sulla sostanza stessa della proprietà (§ 60) ed era, pertanto, suo compito verificare se
fosse stato rispettato il giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della
comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (§ 69).
Sul punto il giudizio della Corte, considerate la durata e l’intensità del vincolo, è stato
negativo.
10
117
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
Nella sentenza Sporrong e Lönnroth, la Corte ha fissato anche il
principio che delimita l’ambito di controllo: suo compito è verificare “se
un giusto equilibrio sia stato rispettato tra le esigenze dell’interesse generale della
comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo”,
poiché essendo “inerente all’insieme della Convenzione, la preoccupazione di
garantire un tale equilibrio si riflette anche nella struttura dell’articolo 1” (§ 69).
Rimane, dunque, alla Corte da definire la portata materiale della
protezione apprestata dalla disposizione in questione, decretando cosa
possa essere considerato un bene ai sensi della Convenzione e cosa no.
1.1 Sistematica dell’oggetto del diritto.
“La nozione di «beni» comprende sia dei «beni attuali» che dei valori
patrimoniali” 12 ; ossia, seguendo l’impostazione interpretativa della Corte:
(a) i beni materiali e immateriali; (b) i diritti sufficientemente
patrimoniali; (c) gli interessi sostanziali.
1.1.1 I beni materiali e immateriali.
Sono protetti sia i beni mobili che quelli immobili 13 . Per quanto
riguarda i beni mobili, il contenzioso non è rimasto limitato, come da
alcuni auspicato in sede di lavori preparatori, ai beni di uso personale 14 ,
ma si è esteso alle cose più varie: dalle suppellettili domestiche (sentenza
Öneryildiz) agli utensili di lavoro (sentenza Gasus Dossier), dagli animali
domestici (sentenza Akkum) alle azioni di una società (sentenza
Sovtransavto Holding).
Requisito essenziale, comune ad entrambe le categorie, è che si
tratti di beni attuali, ossia di beni che si trovano nella sfera di disposizione,
giuridica o di fatto, del soggetto 15 .
Sent. Principe Hans-Adam II di Liechtenstein c. Germania, del 12 luglio 2001, § 83.
Nella decisione Wiggins c. Regno Unito dell’8 febbraio 1978, la Commissione ha
precisato che: “il testo francese è chiaro in merito, il termine «beni», che figura nei primi
due paragrafi dell’articolo 1, concerne sia i beni mobili che quelli immobili” (§ 3).
14 Sostenne Philip (Francia), Conseil de l’Europe, Recueil des Travaux Préparatoires de la
Convention Européenne des Droits de l’homme, Martinus Nijhohh, La Haye, 1975, Vol. II, p.
73, “je crois être véritablement le droit de propriété individuelle conçu comme un droit
fondamental de l’homme. C’est le droit pour chacun de nous à la propriété de ses biens
d’usage personnel – véritable prolongement de sa personne – qui sont lié à son être. Je
parle des meubles, d la maison où il habite (…)”.
15 L’espressione “beni attuali” è stata coniata dalla Corte nella sentenza Marckx, per escludere
che l’articolo potesse essere invocato a protezione di un “diritto di acquisire beni per via
testamentaria o per atti di liberalità” (§ 50). Nulla quaestio, invece se, come nei casi Inze c.
Austria e Mazurek c. Francia, il diritto a ereditare sia già sorto, essendo la successione aperta.
In tale ipotesi, infatti, l’erede è titolare di un diritto attuale sull’asse ereditario del de cuius.
12
13
118
S. PRADUROUX: LA PROPRIETÀ PRIVATA NEL SISTEMA DELLA CONVENZIONE EUROPEA
Per quanto riguarda, infine, i beni immateriali, la Corte ha
affermato che “la proprietà intellettuale in quanto tale beneficia
indubbiamente della protezione dell’articolo 1” 16 . Del pari, in virtù del
suo valore economico, è considerata come bene anche la clientela 17 .
1.1.2 I diritti sufficientemente patrimoniali.
Vengono in rilievo, anzitutto, i diritti di credito sufficientemente
stabiliti da essere esigibili 18 , indipendentemente dalla circostanza che
l’obbligato sia lo Stato o un privato 19 . È altresì irrilevante la fonte del
Sent. Anheuser-Busch Inc. c. Portogallo, dell’11 ottobre 2005, § 43. Per la soluzione della
controversia la Corte ha affrontato la questione di “sapere in quale momento il diritto alla
protezione del marchio diventa un bene ai sensi dell’art. 1” (§ 45). La Corte si è espressa in
favore dell’attribuzione della qualifica di bene ad un marchio, ponendo la condizione
dell’avvenuta “registrazione definitiva della rispettiva domanda, secondo le regole in vigore
nello Stato interessato” e precisando che “prima di una tale registrazione, l’interessato
dispone, certo, di una speranza a ottenere un tal bene, ma non si una speranza legittima
giuridicamente protetta” (§ 52).
17 Sent.: Van Marle c. Paesi Bassi, del 26 giugno 1986, § 41; Iatridis c. Grecia, del 25 marzo
1999, § 54.
18 Sent. Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia, del 9 dicembre 1994, § 59.
19 Del c.d. “effetto orizzontale”, ossia del principio secondo cui la Convenzione esplica
i suoi effetti anche nei rapporti tra privati, si è occupato SUDRE F., Droit européen et
international des droits de l’homme, 6ª ed., PUF, Parigi, 2003, pp. 234 – 237. L’autore delinea
due ipotesi in cui la responsabilità dello Stato può essere chiamata in causa per il fatto di
un terzo – persona privata -: a) (ipotesi più frequente), quando gli organi dello Stato
non hanno adottato le misure idonee a prevenire o limitare eventuali violazioni di un
diritto garantito dalla Convenzione, derivanti dal comportamento di un privato; b)
quando lo Stato fornisce all’individuo i mezzi per violare il diritto di un altro soggetto.
Dal canto suo, la Corte ha stimato che “non è auspicabile, ancor meno necessario,
elaborare una teoria generale in merito alla misura in cui le garanzie della Convenzione
devono essere estese alle relazioni tra persone private” (sent. VgT Verein Gegen
Tierfabriken c. Svizzera, del 28 giugno 2001, § 46). Per quanto riguarda nello specifico la
disposizione convenzionale oggetto del presente studio, la Corte ha statuito che “ lo
Stato può essere tenuto responsabile delle ingerenze nell’esercizio del diritto al rispetto
dei beni, derivanti da transazioni concluse tra privati” (sent. Gustafsson c. Svezia, del 25
aprile 1996, § 60), tuttavia, alcuna responsabilità statale può essere invocata, “dove i fatti
motivi di doglianza non sono il prodotto dell’esercizio dell’autorità statuale, ma
attengono esclusivamente relazioni di natura contrattuale tra privati” (decisione di
irricevibilità del 6 aprile 2000, O. N. c. Bulgaria).
Un esempio di applicazione orizzontale dell’at. P1-1 è fornito da due sentenze rese l’una
contro l’Italia, e l’altra contro la Grecia. I fatti all’origine delle dispute sono analoghi. In
entrambi i casi, i ricorrenti patirono una diminuzione del valore del proprio immobile a
seguito dell’edificazione, da parte di privati, di opere che privavano le loro abitazioni di
vista e luce, nell’un caso, e della vista mare, nell’altro. In entrambi i casi, i ricorrenti
lamentavano una violazione del loro diritto di proprietà in ragione del rifiuto delle
autorità amministrative di conformarsi alle sentenze dei rispettivi Consiglio di Stato che
16
119
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
diritto di credito. Nella sentenza Pressos Compania Naviera S. A. e altri c.
Belgio del 20 novembre 1995, ad esempio, la Corte è stata chiamata a
decidere in merito all’applicabilità dell’art. P1-1 con riferimento a un
credito risarcitorio per i danni patiti dai ricorrenti a seguito di sinistri
marittimi. Al fine della decisione, la Corte ha preso in considerazione il
diritto nazionale vigente al momento della presunta violazione, e, rilevato
trattarsi di un regime aquiliano che fa sorgere i crediti risarcitori nel
momento della sopravvenienza del danno, ha concluso a favore
dell’esistenza di un bene.
In materia di diritto di credito ex contractu, invece, la Corte ha
considerato come beni, ad esempio, il corrispettivo di una prestazione
lavorativa 20 ed il diritto a percepire una retribuzione pensionistica,
quando il datore di lavoro si è obbligato a versare una pensione a delle
condizioni che possono essere considerate come facenti parte del
contratto di lavoro 21 .
In ogni caso, come ha precisato la Corte, la valutazione circa
l’esigibilità del credito deve essere operata caso per caso, alla luce dei
concreti fatti di causa. Sulla base delle indicazioni ricavabili dalla casistica
giurisprudenziale, si può affermare che devono essere considerati esigibili
i crediti: - accertati in via giudiziale, con pronuncia dotata dell’autorità di
cosa giudicata e riconosciuta dall’ordinamento come valido titolo
esecutivo 22 ; - riconosciuti dal debitore 23 ; - il cui an è certo sulla base di
una disposizione di legge 24 o di una giurisprudenza costante 25 .
Altra figura ascrivibile alla categoria dei diritti sufficientemente
patrimoniali, è quella del diritto alla ripetizione di una somma indebitamente
dichiaravano l’irregolarità delle opere contestate. Tanto è bastato alla Corte di
Strasburgo per affermare che le autorità nazionali erano responsabili dell’ingerenze nei
diritti di proprietà delle ricorrenti (Antonetto c. Italia, del 20 luglio 2000, §34; Fotopoulou c.
Grecia, del 18 novembre 2004, § 33).
Critico sull’argomento RAYMOND J., “L’article 1 du Protocole additionnel et les rapports entre
particuliers”, in AA. VV., Protecting human rights: the European dimension / Protection des droits
de l'homme : la dimension européenne ; studies in honour of Gerard J. Wierda, Carl Heymanns,
1990, p. 531, secondo cui le incidenze della garanzia della proprietà sui rapporti di
diritto privato non erano presenti negli animi degli autori del Protocollo addizionale,
preoccupati solamente di garantire gli individui da arbitrarie espropriazioni,
nazionalizzazioni e confische.
20 Sent.:, Saggio c. Italia, del 25 ottobre 2001; L. F. c. Italia, 20 dicembre 2001.
21 Sent. Azinas c. Cipro, del 20 giugno 2002, § 34.
22 Sent. Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis.
23 Sent. Saggio.
24 Sent. OGIS-Institut Stanislas e altri c. Francia, del 27 maggio 2004.
25 Sent.: National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire
Building Society c. Regno Unito, del 23 ottobre 1997; Maurice c. Francia (Grande Camera),
del 6 ottobre 2005.
120
S. PRADUROUX: LA PROPRIETÀ PRIVATA NEL SISTEMA DELLA CONVENZIONE EUROPEA
corrisposta. Nel caso Dangeville c. Francia, la ricorrente si duole del fatto di non
aver potuto recuperare le somme versate a titolo di IVA, in forza di un regime
di imposizione contrario alle norme comunitarie in materia. La Corte
riconosce essere la ricorrente titolare di un bene ai sensi della Convenzione,
identificato nel credito che ella può vantare sulla base di una norma
comunitaria perfettamente chiara e precisa, e direttamente applicabile26 .
Analogamente la Corte ha ritenuto coperto dalla protezione offerta dall’art.
P1-1, il credito sorto in virtù delle disposizioni di diritto interno in materia di
arricchimento senza causa27 .
L’articolo in questione offre, inoltre, rimedio anche alle pretese di
un soggetto su di un bene materiale, che non sia in suo possesso, e sul
quale egli pretenda avere un diritto alla restituzione. Questo tipo di
contenzioso vede coinvolti soprattutto i paesi dell’ex area socialista, e
riguarda le proprietà confiscate, nazionalizzate od oggetto di vendita
forzata, durante il periodo sovietico. Ricorrenti sono o coloro
spossessati, che chiedono di essere reintegrati nel possesso dei propri
beni, o coloro che nel frattempo sono entrati nel possesso di detti beni e
si ritengono lesi dalle misure di restituzione. La posizione della Corte
verso le leggi di restituzione, espressione della “preoccupazione del
legislatore di attenuare i torti patrimoniali posti in essere sotto il regime
comunista”, è nel senso del riconoscimento dell’effettiva loro
rispondenza a una causa di pubblica utilità, riservandosi però un
controllo qualitativo delle diverse leggi, al fine di determinare se esse
consentano di prendere in considerazione le circostanze particolari di
ciascun caso, evitando di far gravare il peso della responsabilità dello
Stato che aveva proceduto alla confisca sugli acquirenti di buona fede.
Così, ad esempio, la Corte ha dichiarato contraria alle esigenze imposte
dall’art. P1-1, una legge fondiaria del 1991 della repubblica Ceca, che
consentiva ai tribunali di procedere all’annullamento dei contratti di
cessione di beni, risalenti agli anni del regime comunista, senza prendere
in considerazioni eventuali somme corrisposte all’epoca dal cessionario o
la manifestazione di consenso dell’ex proprietario 28 .
Infine, con la sentenza Gaygusuz c. Austria del 16 settembre 1996,
la Corte ha eletto a rango di beni alcune pretese ad usufruire di
prestazioni sociali. L’art. P1-1 è stato invocato insieme all’art. 14 contro
la natura discriminatoria della legislazione austriaca che poneva la
cittadinanza austriaca tra i requisiti per ottenere un sussidio per indigenti.
La Corte ha osservato che poiché il ricorrente aveva pagato i contributi
Sentenza del 16 aprile 2002, §§ 47 e 48.
Decisione di irricevibilità O. N. c. Bulgaria.
28 Sent. Zvolský e Zvolská c. Repubblica Ceca, del 12 novembre 2002.
26
27
121
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
alla cassa disoccupati allo stesso titolo e nella stessa misura dei cittadini
austriaci, la prestazione in questione non poteva essergli negata sulla base
del requisito della cittadinanza. In una successiva sentenza del 12 luglio
2005 29 , avente ad oggetto un sussidio per persone portatrici di handicap,
la Corte ha precisato che la sentenza Gaygusuz non deve essere letta nel
senso che solo le pretese a prestazioni sociali a base contributiva
possono essere considerate beni ai fini della Convenzione.
1.1.3 Gli interessi sostanziali.
In virtù dell’applicazione della tecnica interpretativa c.d. delle
“nozioni autonome” 30 , non è necessario che il ricorrente si trovi,
rispetto al bene, in una posizione giuridica qualificabile, nel sistema
giuridico sotto la cui giurisdizione ricade la fattispecie portata a
conoscenza del giudice europeo dei diritti dell’uomo, come diritto di
proprietà od altro diritto reale. È quanto ha statuito la Corte di
Strasburgo nella sentenza Gasus Dosier 31 , in cui, per superare l’argomento
del governo olandese fondato sulla distinzione tra l’istituto della riserva
di proprietà e il diritto di proprietà, ha fatto valere la portata autonoma
della nozione di beni, “che non si limita certamente alla proprietà dei
beni fisici: alcuni altri diritti ed interessi che costituiscono degli attivi
possono essere considerati dei «diritti di proprietà» e dunque dei «beni»”
ai fini dell’art. P1-1 (§ 53).
In particolare, quando il ricorrente non può vantare un valido titolo di
proprietà ai sensi del diritto nazionale, la Corte applica l’art. P1-1
sussumendo nella categoria dei beni protetti le prerogative di fatto esercitate
Koua Poirrez c. Francia.
L’art. 6 (diritto a un processo equo) CEDU, con le espressioni “diritti e doveri di
carattere civile” e “accusa penale”, costituisce un ambito privilegiato di applicazione
della tecnica di interpretazione autonoma, ed, infatti, in tale contesto si collocano le
prime pronunce in cui la Commissione prima, e la Corte poi, statuiscono che le nozioni
che regolano l’applicazione di un diritto garantito dalla Convenzione devono essere
interpretati indipendentemente dai diritti interni degli Stati contraenti. Il giudice
europeo, in sede di interpretazione della Convenzione, è dunque libero dai vincoli
costituiti dal significato attribuito alle nozioni de quibus dal diritto nazionale. Nella
sentenza König c. Germania del 28 giugno 1978, il giudice Matscher ha espresso
l’opinione secondo cui nel procedere a interpretazione autonoma, il giudice dovrebbe in
sostanza procedere ad un’analisi comparativa delle legislazioni nazionali, al fine di
individuare il “denominatore comune” sotteso al termine in questione. A tal proposito
cita una sentenza della Corte di giustizia del 14 ottobre 1976, secondo cui le nozioni
autonome devono essere interpretate “facendo riferimento, da un lato, agli obiettivi e al
sistema della Convenzione e, dall’altro, ai principi generali desumibili dal complesso
degli ordinamenti nazionali”.
31 Sent. Gasus Dosier und Fördertechnik GmbH c. Paesi Bassi del 23 febbraio 1995.
29
30
122
S. PRADUROUX: LA PROPRIETÀ PRIVATA NEL SISTEMA DELLA CONVENZIONE EUROPEA
sul bene. Ad esempio, nella sentenza Matos e Silva Lda e altri c. Portogallo del
16 settembre 1996, la Corte ha considerato costituire dei beni i diritti di fatto
esercitati su terreni, e il profitto ricavato dallo sfruttamento degli stessi, la cui
titolarità del relativo diritto di proprietà era controversa a livello interno (§
75). In modo analogo, nella sentenza Beyeler32 , la Corte ha ritenuto rientrare
nell’ambito della sfera di protezione dell’art. P1-1, l’interesse patrimoniale su
un’opera d’arte posseduta sulla base di un titolo d’acquisto nullo alla luce
delle disposizioni legislative nazionali. L’affermazione dell’esistenza di un
interesse patrimoniale del ricorrente è collegata, nel ragionamento della
Corte, alle circostanze, da un lato, che la situazione possessoria si era
prolungata per vari anni e, dall’altro, che in diverse occasioni le autorità
nazionali avevano considerato il ricorrente come se fosse stato il vero
proprietario.
Gli interessi sostanziali rappresentano una categoria
complementare rispetto alle due precedenti, volta per lo più ad operare
laddove, per l’appunto, sia in contestazione il rapporto giuridico con il
bene. È esemplificativa in proposito, la sentenza della Grande Camera
nel caso Öneryildiz 33 . Il ricorso era stato presentato dall’abitante di una
baracca illegalmente costruita in una bidonville situata nei pressi di una
discarica di rifiuti, che invocava la responsabilità dello Stato a fronte della
perdita della stamberga in un’esplosione avvenuta nella discarica. La
Corte di Strasburgo, dopo aver escluso l’esistenza in capo al ricorrente di
un credito sufficientemente stabilito e giustiziabile a vedersi riconoscere
la proprietà del terreno su cui egli aveva edificato il proprio abituro, ha
ritenuto applicare l’art. P1-1 sulla base della considerazione che
l’interessato e i suoi prossimi avevano un interesse patrimoniale sulla loro
abitazione e sui loro beni mobili, sufficientemente importante e
riconosciuto da costituire un interesse sostanziale, dunque un bene (§§
127 e 129).
La categoria di cui si discute ha raggiunto una certa ampiezza di
contenuto. I giudici di Strasburgo hanno, ad esempio, per questa via,
qualificato come beni: - il diritto di praticare la pesca nelle acque
territoriali in virtù di una concessione governativa 34 ; - gli interessi
economici legati alla gestione di un ristorante 35 , alla realizzazione di un
progetto immobiliare 36 , allo sfruttamento di una cava 37 e di un
allevamento di suini 38 .
Beyeler c. Italia, del 5 gennaio 2000.
Öneryildiz c. Turchia, del 30 novembre 2004.
34 Sent. Posti e Rahko c. Finlandia, del 24 settembre 2002, § 74.
35 Sent. Tre Traktörer Aktielobag c. Svezia, del 7 luglio 1989.
36 Sent. Pine Valley c. Irlanda, del 29 novembre 1991.
32
33
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RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
In tutti questi casi, la Corte, in sostanza, ha concesso dignità di
bene agli interessi economici connessi a un particolare modo di
godimento della proprietà.
1.2 Il principio del rispetto della proprietà.
Il rispetto della proprietà rappresenta la norma generale, che pone
il principio alla luce di cui devono essere lette le altre due norme.
Escluse dal suo campo di applicazione le ipotesi di
regolamentazione e privazione della proprietà, specificamente previste
dalle altre due norme, essa copre le ipotesi in cui vi sia una violazione
della sostanza del diritto di proprietà, consentendo di sanzionare,
anzitutto, le misure che, lasciando formalmente intatto il diritto di
proprietà, ne rendono precario l’esercizio, in ragione della situazione di
incertezza giuridica cui sono posti i beni oggetto del diritto. Emblematica
è la giurisprudenza sviluppatasi in riferimento alla situazione di
impossibilità, di fatto, per i greco-ciprioti di accedere alle loro proprietà,
a seguito dell’invasione del nord di Cipro ad opera delle forze turche 39 .
Altri terreni privilegiati di applicazione sono rappresentati dalle ipotesi
in cui al ricorrente sia stata riconosciuta, con pronuncia giudiziale avente
valore di titolo esecutivo in diritto interno, la titolarità di un bene, ma costui si
trovi nell’impossibilità di ottenere l’esecuzione della sentenza40 , e dai casi in
cui si verifica una diminuzione della disponibilità e/o del valore del bene,
quale conseguenza, ad esempio, dell’essere, il bene in questione, oggetto di
un’autorizzazione a espropriare41 .
Sent. Fredin c. Svezia, del 18 febbraio 1991.
Sent. Adelfoi Io Verri A.E. Choirotrofiki Epicheirisi c. Grecia, del 27 luglio 2006
39 Leading case in materia è la sentenza Loizidou c. Turchia del 18 dicembre 1996, nella
quale la Corte ha riconosciuto esservi una violazione permanente dell’art. P1-1.
La nozione di violazione permanente consente alla Corte di superare eventuali eccezioni di
incompetenza ratione temporis, e conoscere di ingerenze nel diritto di proprietà i cui fatti
costitutivi hanno avuto inizio anteriormente all’accettazione della giurisdizione della
Corte.
40 Sent.: Antonakopoulos c. Grecia (riconoscimento di un credito), del 14 dicembre 1999;
Frascino c. Italia (riconoscimento di un diritto a ottenere un’autorizzazione a edificare),
dell’11 dicembre 2003; Sabin Popescu c. Romania (attribuzione di due lotti di terreno), 2
marzo 2004; Tunc c. Turchia (riconoscimento di un’indennità complementare di
espropriazione), del 24 maggio 2005.
41 Sent.: Matos e Silva; Elia Srl c. Italia, del 2 agosto 2001; Terrazzi Srl c. Italia, del 17
ottobre 2002; Scordino c. Italia, del 15 luglio 2004.
37
38
124
S. PRADUROUX: LA PROPRIETÀ PRIVATA NEL SISTEMA DELLA CONVENZIONE EUROPEA
1.3 La privazione della proprietà.
La fattispecie copre non solo le espropriazioni formali e i
trasferimenti definitivi di proprietà 42 , ma anche le espropriazioni di fatto.
Tuttavia, non ogni misura che ha effetti estintivi su un bene è ipso facto
qualificata dalla Corte come privazione di proprietà. Questo discorso
vale in particolare per i beni appartenenti alla terza categoria.
Esemplificativa in proposito è la sentenza Adelfoi. In questo caso la Corte
ha riconosciuto come bene l’autorizzazione a gestire un’attività di
allevamento di suini sul proprio terreno; di conseguenza, essa ha ritenuto
che la chiusura dell’allevamento ad opera delle autorità amministrative
costituisse un’ingerenza nel diritto di proprietà del ricorrente, ma non
l’ha qualificata come privazione di proprietà, bensì ha applicato la regola
generale (§ 37).
Analogamente nelle sentenze Tre Traktörer Aktielobag e Fredin, la
Corte ha ritenuto non costituire privazione di proprietà la revoca di una
licenza, rispettivamente, a vendere alcolici ed a sfruttare una cava di
ghiaia. In ambedue i casi essa ha concluso per la qualificazione delle
misure contestate come misure di regolamentazione dell’uso dei beni,
sulla base della considerazione che i ricorrenti avevano comunque
conservato degli interessi economici sui loro beni immobiliari.
Nella sentenza Papamichalopoulos e altri c. Grecia del 24 giugno 1993, i
giudici di Strasburgo hanno ravvisato per la prima volta l’esistenza di
un’espropriazione di fatto. I fatti di causa traevano origine dall’applicazione di
una legge adottata nel 1967, pochi mesi dopo l’insediamento della dittatura,
che, in vista della costruzione di una base navale e di un club nautico,
prevedeva l’ablazione dei terreni necessari alla realizzazione del progetto. In
assenza di un qualsiasi atto di espropriazione, i singoli proprietari dei terreni
interessati dalla misura rimasero formalmente titolari della proprietà dei beni,
senza tuttavia poterne più disporre. La Corte ha ritenuto che “la perdita della
possibilità di disporre dei beni in causa, accompagnata dal fallimento dei
tentativi condotti per rimediare alla situazione incriminata, (avesse) generato
delle conseguenze abbastanza gravi, da poter considerare che gli interessati
abbiano subito un’espropriazione di fatto incompatibile con il diritto al
rispetto dei loro beni” (§ 44).
Altra figura ablativa ammessa, almeno in via di principio, dalla
Corte di Strasburgo è quella dell’espropriazione parziale, intesa come
Nella sentenza Poiss c. Austria del 23 aprile 1987, § 64, la Corte ha escluso potesse
essere qualificato come privazione di proprietà ai fini dell’applicazione dell’art. P1-1, il
trasferimento provvisorio, quale fase di un programma di riordino fondiario e
accorpamento dei terreni agricoli, di una parte dei terreni dei ricorrenti ad altri
agricoltori.
42
125
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
diminuzione sostanziale, o perdita, del valore di scambio di un bene. In
merito non può però dirsi esistere una giurisprudenza consolidata. Nella
decisione di ricevibilità Taşkin e altri c. Turchia del 29 gennaio 2004 43 , la
Corte dopo aver rilevato che l’art. P1-1 non garantisce, in via di
principio, il diritto a godere dei beni in un ambiente gradevole, ha
ammesso che attività suscettibili di causare problemi all’ambiente
possono incidere pesantemente sul valore di un immobile o finanche
renderlo invendibile e costituire, di conseguenza, un’espropriazione
parziale. Tuttavia nel caso di specie, il motivo è stato dichiarato
irricevibile, in quanto i ricorrenti non avevano previamente sollevato la
questione davanti alle giurisdizioni nazionali, come richiesto dall’art. 35
CEDU. Lo stesso principio si trova già statuito nella decisione della
Commissione del 16 luglio 1986, riguardante il caso Rayner c. RegnoUnito 44 . Neppure in questo caso i giudici di Strasburgo avevano però
avuto occasione di pronunciarsi nel merito, in quanto il motivo era stato
respinto sulla base della considerazione che i ricorrenti non avevano
prodotto alcun elemento a dimostrazione del fatto che le loro proprietà
avevano subito una sostanziale diminuzione del proprio valore.
Per quanto riguarda l’indennizzo, la Corte ha escluso che il rinvio
ai principi generali del diritto internazionale contenuto nella seconda
frase dell’articolo P1-1, valga ad estenderne l’ambito di applicazione
all’ipotesi di espropriazione nei confronti di un individuo da parte dello
Stato di cui egli è cittadino 45 , e nel silenzio del dato testuale,
43 I ricorrenti lamentavano che lo sfruttamento di giacimenti aurei, siti nelle vicinanza delle
loro proprietà, utilizzando la tecnica della cianurizzazione ledeva il loro diritto al rispetto dei
beni.
44 L’asserita violazione del diritto di proprietà era qui ricollegata alle immissioni sonore
provenienti da un aeroporto.
45 Sent. James c. Regno Unito, del 21 febbraio 1986, § 66. A tale conclusione la Corte è
giunta sulla base dell’analisi dei lavori preparatori, da cui emerge che il rinvio ai principi
generali del diritto internazionale fu inserito come formula di compromesso, per
conciliare le diverse posizioni in ordine alla necessità di enunciare espressamente
l’obbligo di indennizzo per ogni provvedimento di espropriazione.
L’opinione della Corte non è condivisa da parte della dottrina. CONDORELLI L., La proprietà
nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Rivista di diritto internazionale, 1970, pp. 175 – 232,
propone quattro argomenti a favore dell’estensione, ai cittadini dello Stato espropriante, delle
garanzie previste dai principi di diritto internazionale: 1. letterale: l’art. 1 CEDU definisce
l’ambito di applicazione delle garanzie previste dalla Convenzione facendo riferimento a “ogni
persona”; 2. sistematico: l’art. 14 CEDU vieta ogni forma di discriminazione; 3. teleologico:
l’idea fondamentale della Convenzione è superare la distinzione tradizionale in diritto
internazionale tra cittadini e non-cittadini; 4. storico: inutilità del ricorso ai lavori preparatori.
L’argomento più convincente sembra quello fondato sull’art. 14. In merito, nella sentenza citata
la Corte si è limitata ad affermare che “possono esistere buoni motivi per distinguere, in
materia di indennizzo, tra cittadini e non-cittadini. Questi ultimi sono più vulnerabili di fronte
126
S. PRADUROUX: LA PROPRIETÀ PRIVATA NEL SISTEMA DELLA CONVENZIONE EUROPEA
appoggiandosi ai principi vigenti nei sistemi giuridici nazionali, ha
affermato la necessità, ai fini di una protezione reale ed efficace del
diritto di proprietà, che le condizioni e l’ammontare dell’indennizzo
siano prese in considerazione nel momento in cui viene valutata la
proporzionalità di una misura ablativa di un bene 46 . Con riferimento
all’ammontare dello stesso, la Corte ha statuito che esso deve essere
ragionevolmente correlato al valore del bene 47 , inteso, quest’ultimo, in
un’accezione ampia, che supera il riferimento al mero valore di scambio
del bene. Ad esempio, nella sentenza Lallement 48 , a fronte di un esproprio
ai danni di un agricoltore di circa il 30% della superficie totale della sua
tenuta, ossia circa il 60% dei terreni da lui destinati all’allevamento di
mucche da latte – sua fonte principale di reddito -, la Corte ha posto
l’accento sul fatto che il bene espropriato costituiva lo strumento di
lavoro del ricorrente. Pertanto, secondo la Corte, l’indennizzo, per
soddisfare i requisiti di garanzia imposti dalla Convenzione, doveva
coprire questa perdita specifica. Tuttavia, i giudici di Strasburgo non
hanno al riguardo fornito alcun criterio utile ai fini del calcolo del giusto
indennizzo ed in sede di allocazione di un’equa riparazione si sono
trovati confrontati alla difficoltà di un calcolo preciso delle perdite subite
dal ricorrente, stante l’aleatorietà intrinseca all’attività produttiva
esercitata dal ricorrente 49 .
Altro esempio è fornito dal caso Pincova e Pinc c. Repubblica Ceca del
5 novembre 2002. I ricorrenti avevano acquistato, nel 1967, un edificio
in parte adibito a loro abitazione, ignorando trattarsi di un immobile
anteriormente confiscato. Trent’anni dopo, in virtù di quanto prescritto
dalla legge sulle restituzioni del 1991, la proprietà del bene fu attribuita,
per via giudiziale, agli eredi di coloro che ne erano stati i proprietari
prima della confisca, mentre ai ricorrenti fu rimborsata la somma
corrisposta al momento della compravendita, più una somma a titolo di
rimborso spese per le opere di manutenzione dell’immobile. La Corte,
alla legislazione interna rispetto ai primi: contrariamente a essi non hanno alcun ruolo
nell’elezione o designazione dei suoi autori e non sono consultati prima della sua adozione.
Inoltre, se un’espropriazione deve sempre rispondere a esigenze di pubblica utilità, fattori
dissimili possono valere per i cittadini e per gli stranieri, può esservi una ragione legittima per
chiedere ai primi di sopportare, nell’interesse generale, un sacrificio maggiore” (§ 63).
46 Sent. James, § 54.
47 Lasciando agli Stati il potere di determinare i criteri di stima del valore dei beni
esprorpriati e di calcolo dell’indennizzo, la Corte ha comunque, in alcuni casi, sulla base
di perizie prodotte dai ricorrenti, qualificato arbitrari gli indennizzi corrisposti dalle
autorità nazionali. V., ex plurimis, sent.: Platakou c. Grecia, dell’11 gennaio 2001; Yiltas
Yildiz Turistik Tesisleri AS c. Turchia, del 24 aprile 2003.
48 Sent. Lallement c. Francia, dell’11 aprile 2002.
49 Sent. Lallement c. Francia (equa riparazione), del 12 giugno 2003.
127
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
qualificando i fatti di causa come esproprio e tenendo in particolare
considerazione, da un lato, la buona fede dei ricorrenti al momento
dell’acquisto e, dall’altro, il fatto che il bene costituiva per loro l’unica
possibilità abitativa, ha stimato contrario all’art. P1-1 l’ammontare
dell’indennizzo corrisposto dalle autorità nazionali.
Tra gli altri elementi da prendere in considerazione al fine di
valutare il carattere adeguato dell’indennizzo, figurano il tempo trascorso
tra l’esproprio e l’effettivo versamento della somma. La sentenza Akkus
del 9 luglio 1997, è la prima di una lunga serie di condanne contro la
Turchia fondate sul principio secondo cui “un ritardo anormalmente
lungo nel pagamento di un indennizzo in materia di espropriazione ha
per conseguenza di aggravare la perdita finanziaria della persona
espropriata e di porla in una situazione d’incertezza” tale da rompere il
giusto equilibrio che deve regnare tra la salvaguardia del diritto di
proprietà e le esigenze dell’interesse generale (§ 29).
È dato infine osservare che, come dimostra la sentenza Almeida 50 ,
le dispute concernenti il riconoscimento di un indennizzo non
ragionevole, o la mancata corresponsione dell’indennizzo previsto dal
diritto nazionale, o il ritardo nel versamento dell’indennizzo liquidato
dalle autorità nazionali, sono suscettibili di essere risolte applicando la
prima piuttosto che la seconda regola contenuta nell’art. P1-1, in quanto
l’interesse economico dell’espropriato ad ottenere l’indennizzo
costituisce un diritto credito verso lo Stato, ossia un bene ai sensi della
Convenzione. Nella sentenza citata, la Corte ha dichiarato che il mancato
pagamento dell’indennizzo dovuto ex lege, a distanza di 24 anni
dall’avvenuto esproprio, integrava un’ingerenza nel diritto dei ricorrenti
al rispetto dei loro beni, rilevante ai fini dell’applicazione della prima
regola dell’art. P1-1 (§ 48). La Corte ha poi riconosciuto esservi una
violazione di questo articolo sulla base della considerazione che i
ricorrenti avevano dovuto sopportare un peso speciale ed esorbitante in
ragione della situazione di incertezza creatasi, aggravata dall’inesistenza di
un ricorso interno efficace, suscettibile di porre rimedio a tale situazione
(§ 54). È plausibile, alla luce della giurisprudenza illustrata nelle pagine
precedenti, affermare che la Corte avrebbe concluso nel senso di una
violazione anche qualora avesse proceduto all’esame del caso applicando
la seconda regola. In tal caso però, verosimilmente, la motivazione
sarebbe stata incentrata sul mancato versamento dell’indennizzo quale
fatto di per sé in grado di rompere il giusto equilibrio tra le esigenze
dell’interesse generale e quelle derivanti dal diritto al rispetto dei beni.
50
Almeida Garrett, Mascarenhas Falcão e altri c. Portogallo, dell’11 gennaio 2000.
128
S. PRADUROUX: LA PROPRIETÀ PRIVATA NEL SISTEMA DELLA CONVENZIONE EUROPEA
1.4 La regolamentazione dell’uso dei beni.
I redattori della Convenzione hanno fatto salvo il potere degli Stati
di applicare le leggi che essi ritengano opportune al fine di regolare l’uso
dei beni nell’interesse generale o per assicurare il pagamento di imposte,
ammende o altri contributi. Se si guarda all’economia dell’articolo, la
preposizione appare clausola con funzione delimitativa della competenza
giurisdizionale della Corte, tuttavia conferendole dignità di norma
autonoma, i giudici dei diritti dell’uomo hanno di fatto avocato a sé il
controllo in merito all’opportunità delle norme di diritto interno che
disciplinano i modi di godimento della proprietà privata.
1.4.1 La regolamentazione dell’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale.
Vengono in rilievo le disposizioni nazionali che, per motivi di
interesse generale, fanno gravare sui proprietari obblighi positivi o, più
frequentemente, restrizioni alle facoltà di godimento. Anche misure
privative della proprietà possono rientrare in questa ipotesi, ove la
privazione o la distruzione del bene sia necessaria a porre fine o a
prevenire un uso dello stesso non conforme all’interesse generale. La
Corte ha, ad esempio, statuito che l’ordine di demolire un immobile
costruito senza la prescritta autorizzazione delle autorità amministrative
costituisce un atto necessario per disciplinare l’uso dei beni ai sensi del
secondo paragrafo dell’art. P1-1, in quanto misura volta a garantire il
rispetto delle regole generali in materia di urbanistica 51 . Analogamente,
misure di confisca o sequestro, quando volte ad impedire un uso
criminoso dei beni, costituiscono atti di disciplina dell’uso dei beni 52 .
1.4.2 La regolamentazione dell’uso dei beni per assicurare il pagamento delle imposte
o di altri contributi o delle ammende.
L’imposizione fiscale, così come l’imposizione di un’ammenda,
costituiscono, in via di principio, delle ingerenze nel diritto di proprietà,
poiché “privano la persona interessata di un elemento della proprietà,
ossia la somma che deve pagare” 53 .
La Corte ha fatto specifico riferimento alla terza norma estrapolata
dall’art. P1-1, nel caso Gasus Dosier, avente ad oggetto il sequestro e la
vendita di un bene da parte delle autorità nazionali al fine di acquisire la
somma necessaria a soddisfare il credito che il fisco vantava nei confronti
Sent. Saliba c. Malta, dell’8 novembre 2005, § 44.
Sent.: Raimondo c. Italia, del 22 febbraio 1994; Air Canada c. Regno Unito, del 5 maggio
1995.
53 Decisione di ricevibilità Valico c. Italia, del 21 marzo 2006.
51
52
129
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
del soggetto in possesso del bene. In questa occasione la Corte ha
precisato di non dover procedere alla verifica se, nel caso di specie, la
disposizione in questione dovesse essere interpretata nel senso che
debbano ritenersi ricadere nella fattispecie de qua solo le leggi fiscali che
regolamentano le formalità di imposizione e recupero dei crediti fiscali o
se invece debbano essere considerate rientrare nella stessa anche le leggi
fiscali sostanziali, ossia quelle che determinano le circostanze in cui
l’imposta e dovuta ed il suo ammontare. Neppure la giurisprudenza è
intervenuta a chiarire la questione di sapere se sia sufficiente il carattere
fiscale di una legge per fondare l’applicabilità della terza norma dell’art.
P1-1. Nel caso Hentrich c. Francia del 22 settembre 1994, a fronte
dell’esercizio del diritto di prelazione esercitato dalle autorità statali sulla
base di una norma fiscale che, volta a prevenire il versamento di
un’imposta di registro inferiore a quella effettivamente dovuta in base al
reale valore dell’immobile, consentiva l’esercizio della prelazione sugli
immobili nell’ipotesi in cui la competente autorità avesse stimato il
prezzo dichiarato nell’atto di compravendita inferiore al valore del bene,
la Corte ha individuato la ratio della norma nella finalità generale di
prevenire la frode fiscale - anziché quella più specifica di garantire il
corretto pagamento delle imposte – ed ha ritenuto che i fatti dovessero
essere qualificati come privazione di proprietà. Nel caso National &
Provincial Building Society, invece, la Corte ha analizzato alla luce della terza
norma, il venir meno, per effetto di una norma retroattiva in materia
fiscale, della speranza legittima al riconoscimento di un credito.
Analogamente, casi Stere e altri c. Romania del 23 febbraio 2006, e Stîngaciu
e Tudor c. Romania del 3 agosto 2006, in cui il bene in causa era una
somma di denaro versata ai ricorrenti, in esecuzione di una sentenza
passata in giudicato, a titolo di rimborso di somme indebitamente
trattenute dallo Stato a titolo d’imposta e la cui restituzione era stata poi
loro richiesta, a seguito dell’annullamento della sentenza, la Corte ha
ritenuto dirimente il fatto che le somme fossero destinate a soddisfare il
pagamento di un’imposta, per cui ha applicato la terza norma.
Cronologicamente anteriore è invece il caso Dangeville 54 , in cui la Corte,
ha affermato che “è vero che un’ingerenza nell’esercizio dei diritti di
credito verso lo Stato può essere analizzata come privazione di proprietà.
Tuttavia, trattandosi di un’imposta, il modo di procedere più naturale
imporrebbe di esaminare la doglianza dal punto di vista di una
Si ricorda, per semplificazione espositiva, che nel ricorso introduttivo la ricorrente
lamenta aver subito una privazione di beni ai sensi della seconda frase del primo
comma dell’art. P1-1, per il fatto del rifiuto delle autorità amministrative di procedere
alla restituzione di somme corrisposte a titolo di IVA sulla base di una disciplina non
conforme al diritto comunitario.
54
130
S. PRADUROUX: LA PROPRIETÀ PRIVATA NEL SISTEMA DELLA CONVENZIONE EUROPEA
regolamentazione dell’uso dei beni nell’interesse generale «per garantire il
pagamento delle imposte», ai sensi della regola di cui al secondo comma
dell’articolo 1”, ma non ha ritenuto poi dover decidere in merito, “dal
momento che le due regole sono in rapporto tra loro, essendo due
esempi particolari di violazioni del diritto di proprietà, e, che quindi
devono essere interpretate alla luce del principio consacrato nella prima
frase del primo comma dell’articolo 1” (§ 51).
Come enunciato dalla sentenza da ultimo richiamata, e come sarà
meglio chiarito nelle pagine che seguono, l’applicazione della norma
generale piuttosto che della norma specifica, di cui al secondo paragrafo
dell’art. P1-1, è senza conseguenze per la soluzione di un caso concreto,
poiché la Corte adotta in entrambe le fattispecie gli stessi parametri di
controllo.
2. I parametri di controllo.
Nella sentenza Lopez Ostra c. Spagna del 9 dicembre 1994, in nome
dell’effettività dei diritti garantiti, la Corte ha affermato che gli Stati
hanno l’obbligazione positiva di adottare le misure ragionevoli ed adeguate
in vista della protezione dei diritti proclamati dalla Convenzione. Nella
sentenza Öneryildiz 55 , la teoria delle obbligazioni positive ha trovato la
sua prima applicazione nel contesto dell’art. P1-1. Al § 145 si legge che
“la Corte ricorda l’importanza cruciale del diritto consacrato dall’articolo
1 del Protocollo n. 1 e considera che l’esercizio reale ed efficace di
questo diritto non può esser fatto dipendere unicamente dal dovere dello
Stato di astenersi da ogni ingerenza: esso può esigere delle misure
positive di protezione. Per determinare se vi sia un’obbligazione positiva,
occorre tenere in considerazione – preoccupazione sottesa alla
Convenzione nel suo complesso – il giusto equilibrio da stabilire tra
l’interesse generale e gli interessi individuali, nel senso che una tale
obbligazione si impone in particolare laddove esiste un legame diretto tra
la misura che un ricorrente potrebbe legittimamente pretendere dalle
autorità e il godimento dei suoi beni”. Nel caso di specie, la Corte ha
rimproverato alle autorità amministrative turche, che sapevano od
avrebbero dovuto sapere del pericolo incombente sul ricorrente, di non
aver fatto, in forza dei poteri loro riconosciuti, tutto ciò che si poteva
ragionevolmente attendere che esse facessero al fine di prevenire la
realizzazione del rischio 56 .
Öneryildiz c. Turchia, del 18 giugno 2002.
I fatti di causa, si ricorda, riguardavano la distruzione dell’abitazione e delle
suppellettili domestiche del ricorrente, a seguito di un’esplosione in una discarica di
55
56
131
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
La Corte ha fatto applicazione del principio delle obbligazioni
positive in diverse occasioni. Nel caso Azas c. Grecia del 19 settembre
2002, in cui ha constatato la violazione dell’art. P1-1 sulla base della
considerazione dell’esistenza di una presunzione di parziale “auto–
indennizzo” nel caso di esproprio di terreni al fine dell’allargamento di
una strada pubblica 57 , in virtù della quale i soggetti interessati erano
obbligati “a moltiplicare le procedure al fine di avere la possibilità di
ottenere un’indennità adeguata al valore del bene espropriato”, laddove
l’ammontare degli onorari degli avvocato rimborsabili era limitato ad una
somma che non copriva l’effettivo ammontare degli onorari esigibili, con
la conseguenza che una parte di essi rimanevano a carico del soggetto. In
altre parole, la condanna della Corte di Strasburgo riposa
sull’inottemperanza dello Stato convenuto all’obbligo positivo di
apprestare “una procedura che assicuri un apprezzamento globale delle
conseguenze di un esproprio, ossia la corresponsione di un’indennità
commisurata al valore del bene espropriato, l’individuazione degli aventi
diritto all’indennità e ogni altra questione afferente all’esproprio,
comprese le spese di procedura” (§ 48).
Altro esempio è fornito dalla sentenza Matheus c. Francia del 31
marzo 2005, in cui la Corte ha fatto riferimento alla figura delle
obbligazioni positive per sanzionare il rifiuto delle autorità statali di
ricorrere alle forze di polizia al fine di dare esecuzione a una decisione di
espulsione degli occupanti dell’immobile di proprietà del ricorrente 58 .
Infine, il caso Sovtransavto Holding 59 , in cui il ricorrente lamentava
che per effetto di un comportamento omissivo degli organi dello Stato
deputati ad esercitare un controllo sulle società, la società di cui essa era
azionaria prese decisioni che ebbero ripercussioni negative sul valore
rifiuti presso cui l’immobile, in spregio al divieto di costruire predisposto da una
normativa nazionale, era sito.
57 Prova contraria a tale presunzione è stata ammessa in seguito a un revirement
giurisprudenziale della Corte di cassazione indotto dalle sentenze della Corte europea
dei diritti dell’uomo nei casi Katikaridis c. Grecia, e Tsomtsos c. Grecia, entrambe del 15
novembre 1996.
58 In fatto il caso si presta ad analogie con il contenzioso contro l’Italia inaugurato con
la sentenza Scollo del 28 settembre 1995; tuttavia, la Corte ha operato un distinguo: nel
caso di specie, “il rifiuto di far ricorso alla forza pubblica non discende[va]
dall’applicazione di una legge in materia di politica sociale ed economica nel settore
dell’abitazione, ma da una mancanza dell’ufficiale giudiziario e del prefetto, ossia da un
rifiuto deliberato da parte di quest’ultimi” (§ 68), laddove nella casistica italiana la
sospensione dell’esecuzione forzata delle ordinanze di sfratto era, per l’appunto, frutto
di una scelta di politica legislativa dettata dalla necessità di far fronte alle esigenze
abitative della popolazione.
59 Sovtransavto Holding c. Ucraina, del 25 luglio 2002.
132
S. PRADUROUX: LA PROPRIETÀ PRIVATA NEL SISTEMA DELLA CONVENZIONE EUROPEA
delle sue azioni, ha dato spunto alla Corte per affermare che nei casi in
cui la lite riguarda esclusivamente persone fisiche o morali, lo Stato ha
l’obbligazione positiva di predisporre “un sistema giudiziario dotato delle
garanzie e procedure necessarie da consentire ai tribunali nazionali di
risolvere efficacemente ed equamente ogni eventuale litigio tra individui”
(§ 96) 60 .
Ad ogni modo, come la Corte stessa ha riconosciuto nella sentenza
Broniowki c. Polonia del 22 giugno 2004 61 , “la frontiera tra le obbligazioni
positive e negative dello Stato a titolo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1
non sempre si presta a una precisa definizione. I principi applicabili sono
tuttavia comparabili. Che si analizzi il caso in termini di obbligazioni
positive dello Stato o dell’ingerenza dei poteri pubblici, i criteri da
applicare non differiscono nella sostanza. In entrambi i casi, occorre
guardare al giusto equilibrio tra gli interessi concorrenti dell’individuo e
della società nel suo insieme” (§ 144) 62 .
2.1 Il principio di legalità.
Primo ed indefettibile requisito affinché una qualsiasi ingerenza nel
diritto di proprietà possa essere considerata conforme alle esigenze
imposte dalla Convenzione, è che essa sia conforme alla legge, intesa,
quest’ultima, in senso sostanziale, non formale. Ossia, devono
considerarsi rientrare nella nozione di legge sia le norme positive che i
principi giurisprudenziali 63 . La regola, positiva o pretoria, deve essere poi
60 Nel caso di specie, la Corte ha dedotto la violazione dell’art. P1-1 dal carattere iniquo
della procedura contenziosa instaurata dalla ricorrente davanti alle competenti autorità
giudiziarie nazionali per far valere l’illegittimità delle decisioni de quibus.
61 La sentenza é nota per essere la sentenza pilota, in cui per la prima volta la Corte ha
constatato una violazione c.d. strutturale, ossia derivante dal disfunzionamento della
legislazione e della pratica amministrativa nazionali, e, pertanto, ha suggerito allo Stato
quali misure di carattere generale adottare, in un tempo ragionevole, aggiornando
l’esame delle oltre 200 richieste aventi lo stesso oggetto.
62 Nel caso di specie, con riferimento all’art. P1-1, la Corte é stata chiamata ad accertare
se tale articolo dovesse essere ritenuto violato in ragione del comportamento dello Stato
polacco in sede di attuazione del diritto del ricorrente ad ottenere dei beni a titolo di
compensazione, come previsto dalla legge nazionale. Dato che l’impossibilità del
ricorrente ad ottenere i beni lui spettanti per legge, era conseguenza tanto di omissioni
quanto di un comportamento ostroziunistico delle autorità legislative ed amministrative,
la Corte ha ritenuto inutile “determinare precisamente se impostare la causa sotto
l’angolo delle obbligazioni positive dello Stato o sul terreno delle obbligazioni negative
dello stesso di astenersi di porre in essere ingerenze ingiustificate nel diritto al rispetto
dei beni” (§ 146).
63 A prescindere dalla considerazione che nell’ordinamento nazionale di riferimento
operi o meno la regola dello stare decisis, considera, infatti, la Corte che: “[elle] a toujours
entendu le terme "loi" dans son acception "matérielle" et non "formelle"; elle y a inclus
133
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
sufficientemente accessibile e precisa, di modo che i destinatari della
stessa possano prevedere le conseguenze delle loro azioni 64 .
In ogni caso, la Corte si è riservata il sindacato in merito alla
ragionevolezza della disposizione, attribuendosi la competenza a valutare
se le scelte di politica legislativa operate in sede nazionale rispettino il
giusto equilibrio tra interessi individuali ed interesse pubblico. Un
esempio è fornito dai casi Katikaridis e Tsomtsos. Il diritto greco, sulla base
di una presunzione iure et de iure secondo cui il proprietario di un terreno
adiacente ad una strada pubblica trae sempre beneficio dall’allargamento
di quest’ultima, prevedeva che, in caso di espropriazione per realizzare
l’allargamento di una strada, l’indennità di esproprio dovesse essere
calcolata decurtando una somma pari al valore di una striscia di terreno
di 15 metri. La Corte, ha giudicato siffatto sistema come
“manifestamente sprovvisto di una base ragionevole” (§ 49) e tale da
“necessariamente infrangere, con riferimento a un gran numero di
proprietari, il giusto equilibrio che deve regnare tra la salvaguardia del
diritto al rispetto dei beni e le esigenze dell’interesse generale” (§ 40).
à la fois des textes de rang infralégislatif (…) et le "droit non écrit". Les arrêts Sunday
Times, Dudgeon et Chappell concernaient certes le Royaume-Uni, mais on aurait tort
de forcer la distinction entre pays de common law et pays "continentaux"; le
Gouvernement le souligne avec raison. La loi écrite (statute law) revêt aussi, bien
entendu, de l’importance dans les premiers. Vice versa, la jurisprudence joue
traditionnellement un rôle considérable dans les seconds, à telle enseigne que des
branches entières du droit positif y résultent, dans une large mesure, des décisions des
cours et tribunaux. La Cour l’a du reste prise en considération en plus d’une occasion
pour de tels pays (…). A la négliger, elle ne minerait guère moins le système juridique
des États "continentaux" que son arrêt Sunday Times du 26 avril 1979 n’eût "frappé à la
base" celui du Royaume-Uni s’il avait écarté la common law de la notion de "loi" (série
A no 30, p. 30, § 47). Dans un domaine couvert par le droit écrit, la "loi" est le texte en
vigueur tel que les juridictions compétentes l’ont interprété en ayant égard, au besoin, à
des données techniques nouvelles” (sent. Kruslin c. Francia, del 24 aprile 1990, § 29).
64 “Parmi les conditions qui, selon la Cour, se dégagent des mots "prévue par la loi"
figurent les suivantes: a) On ne peut qualifier de "loi" qu’une norme énoncée avec assez
de précision pour permettre à chacun - en s’entourant au besoin de conseils éclairés - de
prévoir, à un degré raisonnable dans les circonstances de la cause, les conséquences de
nature à découler d’un acte déterminé; b) Le membre de phrase "prévue par la loi" ne se
borne pas à renvoyer au droit interne, mais concerne aussi la qualité de la "loi"; il la veut
compatible avec la prééminence du droit. Il implique ainsi que le droit interne doit
assurer une certaine protection contre des atteintes arbitraires de la puissance publique
aux droits garantis. c) Ne méconnaît pas, en soi, la condition de prévisibilité une loi qui,
tout en ménageant un pouvoir d’appréciation, en précise l’étendue et les modalités avec
assez de netteté, compte tenu du but légitime poursuivi, pour fournir à l’individu une
protection adéquate contre l’arbitraire” ( sent. Olsson c. Svezia, del 24 marzo 1988, § 61).
134
S. PRADUROUX: LA PROPRIETÀ PRIVATA NEL SISTEMA DELLA CONVENZIONE EUROPEA
2.2 L’utilità pubblica e l’interesse generale.
Pur ammettendo, in via di principio, differenze di significato tra le
due nozioni 65 , la Corte considera, di fatto, le due espressioni come
equivalenti.
Una loro interpretazione compiuta è fornita dalla Corte nella
sentenza James. Oggetto di disputa era una legge che conferiva al
conduttore, vincolato da un contratto d’affitto enfiteutico di durata
superiore a 21 anni, il diritto di ottenere la cessione della proprietà
dell’abitazione alle condizioni ed al prezzo fissato dalla legge. Inquadrata
la fattispecie come ipotesi espropriativa, la Corte ha respinto l’argomento
della ricorrente secondo cui non corrispondeva ad utilità pubblica il
trasferimento di proprietà a favore di una persona privata, per il suo
esclusivo profitto, osservando che, “il trasferimento obbligatorio di
proprietà da un individuo a un altro, in determinate circostanze, può
rappresentare un mezzo legittimo per servire l’interesse generale” 66 . Tale
è, ad esempio, il caso delle misure espropriative prese nel quadro di una
politica di giustizia sociale 67 . Fissato, dunque, il principio secondo cui
“un trasferimento di proprietà operato nel quadro di una politica
legittima – di ordine sociale, economico o altro – può rispondere
all’«utilità pubblica» anche se la collettività nel suo insieme non si serve o
non trae profitto dal bene” (§ 45) 68 , la Corte ha proceduto ad esaminare
se, nel caso concreto, la legislazione contestata perseguisse
effettivamente l’utilità pubblica, così definita. Dopo aver premesso che
“le autorità nazionali si trovano, in via di principio, in una posizione
migliore, rispetto al giudice internazionale, per determinare gli obiettivi di
«utilità pubblica»”, e che tale nozione “è ampia per natura”, la Corte ha
fissato la linea guida da seguire in siffatto tipo di controllo, affermando
che essa “rispetta il modo in cui [uno Stato] concepisce gli imperativi di
«utilità pubblica», salvo che la scelta si riveli manifestamente sprovvista di
base ragionevole” (§ 46).
V. sent. James c. Regno Unito, del 21 febbraio 1986, § 43.
§ 40, in cui la Corte ha fatto ricorso al diritto comparato per negare l’esistenza di un
principio comune secondo cui la nozione di utilità pubblica, riferito all’istituto
dell’espropriazione, valga ad escludere a priori ogni trasferimento di proprietà a favore
di un soggetto privato.
67 La Corte ha ritenuto che una tale interpretazione sia quella che meglio concilia le
versioni inglese e francese del testo, avuto riguardo allo scopo dell’articolo, ossia
proteggere gli individui da espropriazioni arbitrarie (§ 42).
68 Principio ribadito anche nella sentenza del 20 luglio 2004, Bäck c. Finlandia, con
riferimento ad una legge che prevedeva la possibilità di estinzione giudiziale di un
debito, con danno dei creditori.
65
66
135
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
I giudici che si sono susseguiti alla Corte di Strasburgo hanno
aderito a questa linea guida. In effetti, rari sono i casi in cui la Corte ha
censurato l’operato del legislatore nazionale sotto il profilo della
rispondenza all’utilità pubblica di una misura restrittiva della proprietà.
La Corte appare infatti più incline a fondare una constatazione di
violazione sul rilievo dell’imposizione di uno svantaggio eccessivo in
capo all’individuo. Ad esempio, nel caso Lecarpentier c. Francia, la Corte ha
dubitato che la legge nazionale che modificava con effetto retroattivo
alcune disposizioni in materia di mutui - privando i ricorrenti della
speranza legittima, fondata sullo stato del diritto preesistente, di ottenere
il rimborso di una somma versata all’istituto di credito - rispondesse a
una causa di utilità pubblica; tuttavia è sulla base di un alquanto
sommario giudizio di proporzionalità stricto sensu che la Corte ha rilevato
esservi una violazione dell’art. P1-1, affermando che la misura contestata
faceva “gravare un «peso anormale ed esorbitante» sui ricorrenti” 69 .
2.3 Il principio di proporzionalità.
Il principio di proporzionalità assolve, nell’economia del sistema di
controllo approntato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la
funzione di limite e correttivo della dottrina del margine di
apprezzamento fondata, quest’ultima, sull’assunto secondo cui le
istituzioni nazionali si trovano in una posizione migliore per ponderare
gli interessi privati e quelli generali 70 . Esso richiede, da un lato, che
l’interferenza sia appropriata rispetto al fine perseguito e necessaria al
raggiungimento di quest’ultimo e, dall’altro, che non vi sia sproporzione
tra il pregiudizio arrecato al singolo e il contributo apportato alla
realizzazione dell’interesse generale. Le prime due condizioni sono
altrettante garanzie contro scelte arbitrarie dei pubblici poteri, in sede di
adozione delle misure di attuazione degli obiettivi di interesse generale;
mentre il terzo requisito sposta, in ultima analisi, il giudizio di
bilanciamento tra gli interessi pubblici e quelli privati dal legislatore
nazionale al giudice europeo dei diritti dell’uomo.
Sentenza del 14 febbraio 2006, §§ 49 e 52.
La dottrina del margine di apprezzamento é una creazione pretoria fondata sul
principio di sussidiarietà; principio che trova espressione, sotto il profilo sostanziale,
negli artt. 1 e 13, nonché, sotto il profilo procedurale, negli artt. 19, 34 e 35 della
Convenzione. Essa riflette l’ideologia secondo cui, nell’espletare il suo mandato, la
Corte deve comunque tenere conto e rispettare il pluralismo culturale e giuridico
europeo. Ne consegue, tra altro, che una legislazione nazionale divergente rispetto a un
orientamento condiviso dagli altri legislatori nazionali non é ipso facto contraria alla
Convenzione (v. sent F. c. Svizzera, del 18 dicembre 1987).
69
70
136
S. PRADUROUX: LA PROPRIETÀ PRIVATA NEL SISTEMA DELLA CONVENZIONE EUROPEA
Intenso come sopra, il controllo di proporzionalità ha anche per
effetto di estendere il giudizio in merito al carattere necessario di una
disciplina volta a regolamentare l’uso dei beni, ai sensi della terza norma
contenuta nell’art. P1-1. Come accennato nelle conclusioni del
precedente capitolo, in una prima interpretazione della disposizione, gli
organi della Convenzione avevano eletto “gli Stati contraenti quali
esclusivi giudici circa la necessità di un’ingerenza” 71 , limitando il proprio
giudizio al controllo della legalità e finalità della misura. Interpretazione
poi superata ritenendo il principio di proporzionalità applicabile a tutte le
norme racchiuse nell’art. P1-1 72 , attraverso la già ricordata affermazione
secondo cui la preoccupazione generale di garantire un giusto equilibrio
tra le esigenze dell’interesse della comunità e gli imperativi della
salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo informa di sé anche
l’art. P1-1.
Alcuni autori hanno osservato che il giudizio di proporzionalità
costituisce uno strumento di controllo a contenuto variabile, che
consente alla Corte di modulare l’intensità del suo controllo e, di
conseguenza, far variare l’ambito di discrezionalità lasciato agli Stati,
qualificando più o meno rigorosamente la condizione di
proporzionalità 73 . La Corte stessa ha più volte affermato, in via generale,
che l’estensione del margine di apprezzamento varia a seconda delle
circostanze, dell’ambito e del contesto, e la presenza o meno di un
denominatore comune ai sistemi giuridici degli Stati contraenti può
costituire un fattore rilevate in proposito. Con riferimento al contenzioso
in materia di proprietà, la Corte fa riferimento ai principi comuni solo
nella sentenza James per escludere, come precedentemente illustrato,
un’interpretazione in senso stretto della nozione di “utilità pubblica”.
In alcune materie rilevanti per il diritto di proprietà, quali la politica
dell’abitazione e quella dell’ambiente, la Corte ha dichiarato di accordare
al legislatore nazionale un ampio margine di apprezzamento e di
rispettare pertanto le scelte del legislatore nazionale, salvo ove siano
manifestamente sprovviste di base ragionevole. Tuttavia, anche in questi casi, il
controllo della Corte va oltre la misura legislativa astrattamente
71 Decisioni della Commissione: Wiggins c. Regno Unito, dell’8 febbraio 1968; A., B., C. e
D. c. Regno Unito del 10 marzo 1981; sent: Handyside, § 62; Marckx, § 64.
72 In verità, la formula degli Stati quali unici giudici della necessità delle leggi necessarie
a disciplinare l’uso dei beni nell’interesse generale non è completamente scomparsa
dalla giurisprudenza della Corte. Essa è ad esempio utilizzata, in tempi recenti, nella
decisione di ricevibilità Mancini c. Italia, del 13 ottobre 2005.
73 SERMET L., La Convention européenne des Droits de l’Homme et le droit de propriété, éd. rév.,
Editions du Conseil de l’Europe, Strasbourg, 1998, p. 37; SUDRE F., Droit européen et
international des droits de l’homme, 6ª ed., PUF, Paris, 2003, p. 213.
137
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
considerata e prende in considerazione, caso per caso, la situazione di
fatto risultante dall’applicazione concreta della legge. Esemplificativa è la
giurisprudenza riguardante la disciplina in materia di esecuzione delle
ordinanze di sfratto per finita locazione posta in essere dal legislatore
italiano a partire dai primi anni 1980. In un primo tempo, la Corte ha
ritenuto la legislazione in materia conforme alle esigenze poste dall’art.
P1-1 74 , ma a far data dalla sentenza Immobiliare Saffi 75 , la Corte, pur senza
rimettere in discussione il fatto che la misura in sé fosse fondata su una
base ragionevole, ha ritenuto che l’impossibilità, protratta per diversi
anni, a rientrare in possesso del proprio immobile, causata dalla rigidità
del sistema posto in essere dal legislatore, costituisca per i ricorrenti un
peso eccessivo, tale da rompere il giusto equilibrio che deve regnare tra la
protezione del diritto al rispetto dei beni e l’interesse generale. Del pari,
chiamata a conoscere della conformità all’art. P1-1 di un atto
amministrativo che designava i terreni da destinarsi a rimboschimento, la
Corte, dopo aver enunciato trattarsi di un atto che ricadeva in un ambito
in cui al legislatore deve essere accordato un ampio margine di
apprezzamento, ha proceduto comunque a verificare se fosse stato
rispettato il principio di legalità, se l’atto perseguisse un interesse generale
e se vi fosse proporzionalità tra l’ingerenza e l’interesse generale 76 .
3. Il rapporto tra l’art. P1-1 e altri articoli della Convenzione.
In molti ricorsi in cui è denunciata una violazione del diritto di
proprietà è allegato, con riferimento agli stessi fatti, anche il richiamo ad
altri articoli della Convenzione. Primo fra tutti, l’articolo 6, ed a seguire
gli articoli 14 e 8.
Normalmente l’ordine seguito dalla Corte nell’esaminare le
doglianze è quello sistematico della Convenzione, per cui gli artt. 6 e 8
sono esaminati prima dell’art. P1-1. L’osservazione è rilevante, in quanto
in alcuni casi constatata la violazione di un articolo la Corte dichiara di
non doversi procedere all’esame degli altri motivi di ricorso, ciò accade
principalmente, ma non esclusivamente, nei casi in cui l’ingerenza statale
nell’esercizio dei diritti garantiti è sanzionata sotto il profilo della legalità.
V. sent. Spadea Scalabrino c. Italia, del 28 settembre 1995.
Immobiliare Saffi c. Italia, del 28 luglio 1999.
76 Sent.: Lazaridi c. Grecia, Nikas e Nika c. Grecia e Kortessi c. Grecia del 13 luglio 2006.
La Corte ha concluso per la non violazione, osservando che, da un lato, l’unica
limitazione imposta dalla destinazione a rimboschimento del terreno era il divieto di
costruire, e, dall’altro, non risultava che nessuno dei ricorrenti avesse pianificato di
edificare.
74
75
138
S. PRADUROUX: LA PROPRIETÀ PRIVATA NEL SISTEMA DELLA CONVENZIONE EUROPEA
In altri casi la Corte dichiara esservi violazione di due o più articoli della
Convenzione.
3.1 Il diritto di proprietà e le esigenze del giusto processo.
Il riconoscimento dell’esistenza di un bene determina non solo
l’applicabilità delle garanzie contemplate all’art. P1-1, bensì, date talune
circostanze, rende operative anche le garanzie previste all’art. 6 § 1 della
Convenzione, in materia di diritto a un processo equo 77 . La Corte ha,
infatti, più volte affermato che l’art 6 § 1 trova applicazione, in materia
civile, con riferimento a “tutte le procedure il cui esito è determinante
per dei diritti e obbligazioni di carattere privato” 78 . Pertanto, soddisfatta
tale condizione 79 , è del tutto irrilevante il fatto che la controversia debba
essere decisa sulla base di una legge di natura amministrativa piuttosto
che civile, così come è irrilevante che competente a conoscere della lite a
livello nazionale sia un tribunale amministrativo piuttosto che civile.
Con riferimento al diritto di proprietà, la Corte ha affermato che
esso ha, senza alcun dubbio, carattere civile 80 . Il riconoscimento della
natura di diritto civile del diritto di proprietà implica, anzitutto, che la
procedura di esproprio, avendo ripercussioni dirette sul diritto di
proprietà, ricade nella sfera di applicazione dell’art. 6. Viene così a crearsi
una parziale sovrapposizione della sfera di applicazione degli artt. P1-1 e
6. Alcuni aspetti procedurali possono, infatti, assumere rilievo sotto
entrambi gli articoli. È il caso della durata della procedura
L’art. 6 è volto a garantire: il diritto di accesso a un tribunale; l’indipendenza e
imparzialità del giudice, la pubblicità e celerità della procedura; il diritto all’esecuzione
del giudicato.
Si tratta di un articolo molto importante, eletto dalla Corte a principio cardine
dell’ordine pubblico europeo dei diritti dell’uomo. In quest’ottica, il giudice interno può
valersi dell’eccezione di ordine pubblico europeo per negare l’exequatur a una sentenza
di un paese terzo, qualora sia stata adottata in base a una procedura non conforme alle
esigenze poste dall’art. 6 della Convenzione (v. sent. Pellegrini c. Italia, del 20 luglio
2001).
78 Sent. Ringeisen c. Austria, del 16 luglio 1971, § 94.
79 La Corte esclude, invece, che un legame tenue o ripercussioni remote possano
giustificare l’operare delle garanzie di cui all’articolo in questione. Ad esempio, nel caso
Athanassoglou c. Svizzera del 6 aprile 2000, la Corte ha rigettato la domanda dei ricorrenti
volta a far dichiarare non conforme all’art. 6 una procedura di rinnovo di
un’autorizzazione di sfruttamento di una centrale nucleare, sulla base del motivo che
“tale procedura non [aveva] «deciso» una controversia avente a oggetto «diritti di
carattere civile» - per esempio i diritti alla vita, all’integrità fisica o al rispetto dei beni” (§
55).
80 V. sent. Sporrong, § 79.
La Corte usa indistintamente le espressioni “diritto di carattere civile”/ “diritto di
carattere privato”, senza dare una definizione astratta della categoria.
77
139
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
dell’indennizzo. Un ritardo eccessivo può essere censurato sia in quanto
contrario alle esigenze di celerità della procedura imposte dall’art. 6, sia
quale elemento che, da sé solo od in concorso con altri, determina la
rottura del giusto equilibrio che deve regnare tra l’interesse proprietario
del singolo e l’interesse generale.
Al di fuori dei procedimenti espropriativi, altri tipi di lite in materia
proprietaria sono passibili di un controllo volto a verificarne la
conformità alle esigenze imposte dal diritto a un giusto processo. Nel
caso Zander c. Svezia del 25 novembre 1993, in cui i ricorrenti
lamentavano di non aver avuto la possibilità di esperire alcun ricorso
giudiziario contro la decisione del governo che autorizzava il rinnovo
della licenza ad esercitare attività di discarica di rifiuti sui terreni
confinanti con quelli dei ricorrenti - malgrado fosse stato rilevato un
inquinamento delle falde acquifere legato a detta attività -, la Corte, dopo
aver identificato il diritto oggetto del ricorso mancato nel “diritto a
disporre dell’acqua dei loro pozzi a fini potabili, elemento del loro diritto
di proprietari del terreno” (§ 27), ha ritenuto applicabile il disposto
dell’art. 6 § 1.
Infine, considerato che - come precedentemente illustrato - dall’art.
P1-1 discende l’obbligazione positiva per gli Stati di apprestare una
procedura giudiziaria che consenta ai tribunali nazionali di dirimere
efficacemente ed equamente le liti in materia proprietaria, la Corte è
solita censurare separatamente, sotto il profilo dell’art. P1-1, i difetti
endemici di ordine procedurale che sollevano fondati dubbi quanto alla
capacità del sistema giudiziario nazionale a soddisfare l’obbligazione
positiva in questione 81 .
3.2 Il diritto di proprietà e il divieto di discriminazione.
Come osservato in apertura di questo studio, nella prima
pronuncia di condanna in materia di proprietà, la Corte ha constatato
esservi una violazione dell’art. P1-1 in combinato disposto con l’art. 14.
Quest’ultimo consente di censurare le discriminazioni nel godimento di
uno dei diritti o delle libertà garantiti dalla Convenzione.
Il principio di uguaglianza sotteso al divieto di cui trattasi è quello
dell’uguaglianza sostanziale, per cui non ogni differenza di trattamento
nel godimento di un diritto si pone automaticamente in contrasto con la
Convenzione. Occorre invece stabilire che persone che versano in una
situazione identica od analoga godono di trattamenti diversi, e che tale
distinzione sia discriminatoria, ossia manchi di giustificazione obiettiva e
ragionevole. Quest’ultima, come enunciato dalla Corte, deve essere
81
V. sent. Sovtransavto Holding.
140
S. PRADUROUX: LA PROPRIETÀ PRIVATA NEL SISTEMA DELLA CONVENZIONE EUROPEA
apprezzata alla luce dei principi che prevalgono normalmente nelle
società democratiche 82 .
Nell’ambito del contenzioso in materia di diritto di proprietà, l’articolo
de quo ha consentito il riconoscimento dello status di bene, ai sensi della
Convenzione, alle prestazioni sociali. La Corte non avrebbe infatti,
verosimilmente, potuto conoscere delle liti in materia ove l’art. P1-1 fosse
stato isolatamente invocato, non potendo far discendere da esso un diritto alle
prestazioni sociali tout court; una volta però che tale diritto è riconosciuto dal
legislatore nazionale, la Corte assume il ruolo di garante del rispetto del divieto
di discriminazioni nella determinazione delle condizioni di accesso al diritto a
usufruire delle prestazioni sociali corrisposte dallo Stato – diritto che ha
contenuto patrimoniale ed è, pertanto, un bene -.
4.3 Il diritto di proprietà e il diritto al rispetto della vita privata e familiare83.
Dalla sentenza Marckx emerge una nozione di vita familiare tesa a
ricomprendere anche la dimensione economica del fenomeno
associativo. In tale occasione la Corte ha infatti affermato che la vita
familiare non comprende solamente le relazioni di carattere sociale,
morale o culturale, ma “ingloba anche gli interessi materiali” (§ 52) e,
oltre ad un’interferenza discriminatoria nel diritto di proprietà, essa ha
ravvisato una violazione dell’art. 8, isolatamente considerato ed altresì in
combinato disposto con l’art. 14.
Al di fuori della materia successoria, altri tipi di interferenze sono
suscettibili di essere esaminate sia come ingerenze nel diritto al pacifico
godimento dei beni, che in quello al rispetto della vita privata e familiare. È il
caso, ad esempio, delle immissioni. Sotto il primo profilo, viene infatti in rilievo
la diminuzione del valore del bene, mentre sotto il secondo aspetto, rileva la
diminuzione di amenità dei luoghi. Come precedentemente osservato, la Corte
si è tuttavia dimostrata più incline a inquadrare la materia delle immissioni nel
contesto dell’art. 8. Un segno di apertura verso un diverso apprezzamento della
fattispecie è ravvisabile nella citata sentenza Zander, rispetto cui tuttavia la
Grande Camera sembra fare un passo indietro decidendo il caso Athanassoglou.
In realtà, leggendo oltre la poco felice statuizione della Grande Camera
(riportata in nota 79), i due casi, in punto di fatto, si distinguono l’uno dall’altro
in ragione della circostanza che nel caso Zander l’ingerenza nel godimento del
diritto di proprietà presentava il carattere dell’attualità, in quanto l’inquinamento
V. sent. Zarb Adami c. Malta, del 2 giugno 2006, §§ 71 – 74.
L’art. 8 che garantisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare, rappresenta
sicuramente l’articolo della Convenzione nell’interpretare il quale la Corte di Strasburgo
ha espresso appieno la propria attitudine per un’interpretazione evolutiva, fino a
forzarne i limiti e sconfinare dall’attività interpretativa in quella creativa.
82
83
141
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
delle falde acquifere si era già verificato al momento della presentazione del
ricorso davanti alla Corte di Strasburgo, mentre nel caso Athanassoglou i
ricorrenti lamentavano solo un pericolo generale derivante dall’uso dell’energia
nucleare, non essendo dato riscontrare, al momento della trattazione del caso,
alcun danno attuale derivante dall’attività della centrale nucleare84 .
Sotto il profilo della tutela sostanziale dell’individuo, si può comunque
affermare che il grado di protezione offerto dalla Corte non varia in funzione
dell’articolo applicato. Infatti, dalla comparazione tra, da un lato, il test di
proporzionalità applicato per vagliare la “convenzionalità” delle interferenze
nel diritto di proprietà, e, dall’atro, il giudizio in merito alla qualificazione o
meno di una misura come necessaria in una società democratica85 , risulta che,
al di là delle differenze terminologiche e concettuali, i due criteri di giudizio
possono essere assimilati, in quanto entrambi focalizzati sulla ricerca del giusto
bilanciamento degli interessi privati, da un lato, e generali, dall’altro86 .
La Corte è infine solita riconoscere la violazione di entrambi gli
articoli di cui si discute nei casi di distruzione materiale dell’abitazione 87
o di impossibilità di accedervi 88 .
84 Mutati mutandis, v. decisione di irricevibilità del 4 dicembre 1995, Tauira + 18 c. Francia. I
ricorrenti, dei cittadini francesi residenti a Tahiti, a fronte della decisione del Presidente della
Repubblica francese di riprendere gli esperimenti nucleari sull’atollo di Mururoa, invocavano,
tra altre, la violazione dell’art. P1-1, asserendo l’assimilabilità ad un esproprio di fatto l’esistenza
di un serio rischio di contaminazione radioattiva. Infatti, nel caso in cui il rischio si fosse
realizzato, le terre di loro proprietà sarebbero divenute inutilizzabili, o quantomeno la loro
possibilità di utilizzazione sarebbe stata sostanzialmente ridotta. La Commissione ha respinto il
ricorso per difetto della qualità di vittime in capo ai ricorrenti, osservando che, affinché un
individuo possa pretendersi vittima di una violazione della Convenzione, deve esistere un nesso
sufficientemente diretto tra il soggetto e il pregiudizio che egli sostiene di aver subito a seguito
di un atto o di un’omissione imputabile ad uno Stato contraente. Solo in circostanze del tutto
eccezionali il rischio di una violazione futura può conferire al ricorrente la qualità di vittima,
restando egli onerato, in tal caso, di produrre indizi ragionevoli e convincenti quanto alla
probabilità del realizzarsi di una violazione.
85 L’art. 8 § 2 statuisce che: “non può esservi ingerenza della pubblica autorità
nell’esercizio di tale diritto [diritto al rispetto della vita privata e familiare] se non in
quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in
una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il
benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o
della morale, o la protezione dei diritti o delle libertà altrui”.
86 Sul punto v. anche, VAN BANNING T., The Human Right to Property, Intersentia,
Antwerpen-Oxford-New York, 2002, p. 98.
87 Sent. Akdivar c. Turchia (Grande Camera), del 16 settembre 1996, in cui il ricorrente
lamentava l’incendio deliberato della propria abitazione, e del suo contenuto, ad opera
delle forze di polizia dello Stato, durante i disordini creati dal Partito dei lavoratori del
Kurdistan.
142
S. PRADUROUX: LA PROPRIETÀ PRIVATA NEL SISTEMA DELLA CONVENZIONE EUROPEA
4. Equa soddisfazione in caso di constatata violazione.
L’art. 41 della Convenzione prevede che, accertata la violazione di
uno dei diritti garantiti e qualora il diritto interno dello Stato contraente
consenta di riparare le conseguenze di tale violazione solo in modo
incompleto, la Corte possa accordare al ricorrente un’equa riparazione 89 .
Principio cardine in materia è l’esistenza di un nesso di causalità
diretto tra il danno allegato e la violazione della Convenzione. Due le
voci di danno che vengono in rilievo: danno materiale e danno morale,
mentre sono respinte, ove proposte, le domande per punitive damages 90 .
Quanto al danno materiale, la Corte sembra orientata a richiedere
la restitutio in integrum nelle ipotesi di privazione di proprietà risultata
essere avvenuta in spregio del principio di legalità 91 . Alla base di siffatto
orientamento, la considerazione che il carattere illecito dello
spossessamento si ripercuote necessariamente sui criteri da seguire in
sede di determinazione dell’equa riparazione; cosicché ove la restituzione
del bene non sia più possibile, l’ammontare dell’indennità dovrà
comunque riflettere l’idea dell’eliminazione totale delle conseguenze
Nel caso Öneryildiz, invece la Grande Camera rilevata una violazione del diritto alla vita
(art. 2) e del diritto di proprietà, ha reputato inutile esaminare la doglianza concernente
l’art. 8.
88 Sent. Loizidou.
89 Ai sensi dell’art. 60 del regolamento della Corte, la richiesta di un’equa riparazione deve
essere oggetto di domanda specifica del ricorrente, divisa per voci, quantificata nell’ammontare,
e supportata da relativi documenti giustificativi. La Corte non può infatti pronunciarsi ex officio
in merito. Ad esempio, nella sentenza Ambruosi c. Italia del 19 ottobre 2000, la Corte, rilevato
che la ricorrente non aveva avanzato alcuna domanda in punto spese ed equa riparazione, ha
statuito che la constatazione di una violazione costituisce di per sé sufficiente compensazione
per i danni non patrimoniali e non ha accordato alcuna somma a titolo di equa riparazione ex
art. 41 (§ 40); mentre nella sentenza Chassagnou c. Francia del 22 aprile 1999, la Corte ha negato
ai ricorrenti un risarcimento per i danni morali, in quanto essi non avevano allegato alcun
documento giustificativo delle somme richieste. In altri casi, la richiesta di risarcimento di danni
materiali è stata respinta dalla Corte perché formulata in termini troppo vaghi (v. sent. Raimondo
c. Italia, del 22 febbraio 1994, § 49) o perché tardiva (v. sent. Vendittelli c. Italia, dell’8 luglio
1994).
Spesso la questione è trattata dalla Corte successivamente alla pronuncia nel merito, per
dare tempo alle parti di depositare memorie complementari.
90 Sent. Akdivar e altri c. Turchia del 1° aprile 1998, § 38;
91 Ovviamente ove la restituzione sia possibile. L’ostacolo alla restituzione può essere tanto
un’impossibilitá materiale, quanto giuridica. Ad esempio, nel caso Hentrich, tenuto conto del
fatto che il diritto francese non consentiva la retrocessione del terreno alla ricorrente, la
Corte ha proceduto alla liquidazione del danno secondo equità (sentenza del 3 marzo 1995,
§§ 10 e 11).
143
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
dell’illecita ingerenza statale 92 . Pertanto, non sarà sufficiente una somma
che copre il solo valore del bene alla data dello spossessamento, ma la
stessa dovrà essere determinata tenendo conto del valore attuale del bene
e di altri eventuali pregiudizi patiti dal ricorrente 93 .
Ai fini della determinazione del valore dei beni, la Corte si avvale
di norma delle perizie prodotte dalle parti. Qualora tuttavia ricorrente e
convenuto presentino perizie fortemente discordanti, la Corte statuisce
secondo equità.
Nella diversa ipotesi in cui la Corte constati la legittimità della
misura espropriativa, poi però sanzionata sotto il profilo della
proporzionalità, allo Stato è ingiunto il versamento di una somma che
non necessariamente corrisponde all’intero valore del bene. Con
ragionamento analogo a quello di cui sopra, la Corte considera, infatti,
che il “carattere lecito di uno spossessamento si ripercuote
necessariamente sui criteri da utilizzare per determinare il risarcimento
In questo suo orientamento la Corte si è esplicitamente ispirata alla giurisprudenza
internazionale, espressamente citata nella sentenza Papamichalopoulos c. Grecia del 31
ottobre 1995, § 36. Si tratta della sentenza Chorzów del 13 settembre 1928, in cui la
Corte internazionale di giustizia ha affermato che “la riparazione deve, per quanto
possibile, eliminare tutte le conseguenze dell’atto illecito e ristabilire lo stato di fatto che
verosimilmente esisterebbe se detto atto non fosse stato commesso. Restituzione in
natura, o, se essa non è possibile, pagamento di una somma corrispondente al valore
equivalente della restituzione in natura; allocazione, se del caso, di un risarcimento per
le perdite subite e non coperte dalla restituzione in natura o dal pagamento effettuato in
luogo della restituzione; tali sono i principi cui deve ispirarsi la determinazione
dell’ammontare dell’indennità dovuta in forza di un fatto contrario al diritto
internazionale”.
Nel caso Papamichalopoulos, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dunque considerato
che il modo per porre i ricorrenti in una situazione il più possibile equivalente a quella
in cui si sarebbero trovati se non fossero stati vittime di un’espropriazione di fatto,
consisteva nel restituire loro i terreni e nell’attribuirgli la titolarità delle opere sopra di
essi costruite. La Corte ha previsto poi, per il caso in cui il governo greco non avesse
proceduto in tal senso entro sei mesi dalla data della sentenza, che lo stesso
corrispondesse ai ricorrenti il valore attuale dei terreni, computando il plus valore
apportato dall’esistenza di edifici e del loro costo di costruzione.
93 Ad esempio, nel caso Belvedere Alberghiera Srl c. Italia, avente ad oggetto l’occupazione
acquisitiva del terreno usato dalla ricorrente come parcheggio e via di accesso diretta al
mare, la Corte ha statuito che l’indennità doveva considerare anche il mancato
godimento del bene, il deprezzamento del valore dell’immobile ed il mancato guadagno
dell’attività alberghiera (sentenza del 30 ottobre 2003, § 36). Mentre nel caso Carbonara e
Ventura c. Italia, concernente l’occupazione acquisitiva di un terreno per il
completamento dei lavori di costruzione di una scuola, la Corte ha decretato che il
valore attuale del bene doveva essere valutato tenendo conto della plus valenza
derivante dalla costruzione dell’immobile (sentenza dell’11 dicembre 2003, § 40).
92
144
S. PRADUROUX: LA PROPRIETÀ PRIVATA NEL SISTEMA DELLA CONVENZIONE EUROPEA
dovuto dallo Stato convenuto” 94 . In quest’ipotesi, la Corte rinvia ai
criteri generali elaborati in materia di indennizzo nella giurisprudenza
concernente la seconda regola contenuta nell’art. P1-1.
Infine, nelle ipotesi di privazione di proprietà non qualificabili
come esproprio, la Corte accorda anche un risarcimento per perdita di
chances. Ad esempio, nel caso Tsironis c. Grecia del 6 dicembre 2001, la
Corte ha ritenuto che la vendita forzata di un terreno, e della serra su
esso installata, del ricorrente per conseguire la somma necessaria ad
estinguere il debito da questi contratto con una banca, costituisse
un’ipotesi di privazione di proprietà. Rilevando che le circostanze di fatto
in cui la procedura aveva avuto luogo erano tali da non soddisfare il
principio di proporzionalità, la Corte ha constatato una violazione, oltre
che dell’art. 6, anche dell’art. P.1-1. Il ricorrente chiedeva a titolo di
danno materiale oltre al valore dei beni, la somma pari all’ipotetico ricavo
che avrebbe ottenuto dal loro sfruttamento. La Corte non ha accolto la
prospettazione di parte ricorrente, ma ha ritenuto ragionevole sostenere
che egli avesse patito una perdita di chances, ed ha liquidato tale danno in
via equitativa (§ 47).
Quanto al danno morale, esso è volto ad offrire ristoro ai
sentimenti d’angoscia, impotenza e frustrazione provati dalle vittime di
una violazione di uno dei diritti garantiti dalla Convenzione. Sul punto é
difficile distinguere precisi orientamenti della Corte. A volte essa stima la
constatazione della violazione come misura sufficiente, altre volte liquida
il danno morale in via equitativa insieme a quello materiale. In linea
generale, si può comunque affermare che la Corte prende in
considerazione, da un lato, se oltre all’art. P1-1 siano stati violati anche
altri articoli della Convenzione, e, dall’altro, la gravità della violazione.
La Corte si è in diverse occasioni interrogata sulla possibilità di
riconoscere siffatto danno anche in capo alle persone giuridiche 95 . Nella
sentenza Sovtransavto Holding la Corte ha deciso di allocare un’indennità
addizionale, oltre al ristoro del danno materiale, in ragione della
considerazione che la situazione di incertezza creatasi a seguito del
Sent. Ex Re di Grecia c. Grecia, del 28 novembre 2002, § 75. Anche in questo caso la
Corte si è ispirata alla giurisprudenza internazionale, più specificamente ad una
decisione del tribunale Iran – Stati Uniti del 14 luglio 1987, che, riferendosi alla
sentenza della Corte internazionale di giustizia nel caso Chorzów, ha statuito che:
“occorre distinguere nettamente tra espropriazioni lecite ed espropriazioni illecite,
poiché le regole applicabili all’indennità che lo Stato dovrà versare all’avente diritto
variano in funzione della qualificazione giuridica dello spossessamento”.
95 Nella sentenza Belvedere, § 40, la Corte ha considerato che “non si deve escludere in
via generale la possibilità di accordare una riparazione per il pregiudizio morale allegato
dalle persone giuridiche”, in quanto, in particolare per le società, può esservi un danno
altro, distinto da quello materiale, che chiede di essere risarcito.
94
145
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
comportamento delle autorità nazionali aveva obiettivamente causato, da
un lato, dei problemi considerevoli nella pianificazione delle decisioni da
prendere in ordine alla gestione della società e, dall’altro, dei disaccordi
nelle relazioni della ricorrente, quale holding, con le società controllate
utilizzanti il marchio Sovtransavto. La Corte ha ritenuto detta situazione
suscettibile, nel suo complesso, di arrecare pregiudizio alla reputazione
del marchio agli occhi dei clienti attuali e potenziali.
Infine, l’articolo 41 consente alla Corte di ordinare il rimborso
delle spese e degli onorari degli avvocati, sostenuti dal ricorrente sia nel
procedimento davanti al giudice nazionale che davanti alla Corte di
Strasburgo. Sul punto, il controllo esercitato dalla Corte sulle note
giustificative prodotte dai ricorrenti è volto a verificarne l’effettività, la
necessità e la ragionevolezza, in considerazione della complessità del
caso.
Considerazioni conclusive
La prima considerazione che può essere svolta riguarda la
fisionomia del diritto di proprietà tracciata dalla giurisprudenza della
Corte europea dei diritti dell’uomo. I giudici di Strasburgo ammettono
che alcuni diritti patrimoniali di origine contrattuale possano essere
oggetto del diritto di proprietà, tuttavia ciò non vale nei casi in cui il
titolare di siffatto diritto sia anche il titolare del bene su cui è esercitato il
diritto contrattuale stesso. È in questo modo salvaguardata una visione
unitaria del diritto di proprietà, secondo cui i diritti che vengono ad
esistenza correlativamente a un determinato uso della proprietà sono
espressione del diritto di proprietà e non autonomi e distinti diritti. La
necessità di una tale visione nell’economia dell’art. P1-1 è spiegata dalla
Commissione dei diritti dell’uomo, osservando che “se ognuno di questi
diritti fosse considerato come una proprietà separata suscettibile di
esproprio ai sensi del primo paragrafo dell’articolo 1 non rimarrebbe più
spazio per la regolamentazione dell’uso dei beni ai sensi del secondo
paragrafo” 96 .
La seconda considerazione concerne la scelta della regola per la
soluzione del caso concreto. Si può rilevare che la Corte non procede in
Rapporto dell’11 luglio 1988 relativo al caso Mellacher e altri c. Austria, §§ 184 – 186. I
ricorrenti, coproprietari di un immobile, lamentavano una violazione del loro diritto di
proprietà per il fatto di esser stati obbligati, per conformarsi al disposto di una legge
nazionale, a ridurre l’ammontare del canone di locazione previamente liberamente
pattuito con i conduttori. La Corte ha stimato la misura contestata idonea e
proporzionata al perseguimento degli obiettivi di interesse generale individuati nella
lotta alla speculazione immobiliare e nel favorire l’accesso alla casa, e, pertanto, ha
escluso esservi una violazione dell’art. P1-1.
96
146
S. PRADUROUX: LA PROPRIETÀ PRIVATA NEL SISTEMA DELLA CONVENZIONE EUROPEA
modo rigoroso e coerente in sede di qualificazione delle fattispecie
sottopostele, come privazione di proprietà o regolamentazione dell’uso
dei beni, al fine dell’individuazione della norma, generale o speciale,
applicabile. Ad esempio, con riferimento a misure che hanno per effetto
di privare i ricorrenti della speranza legittima di ottenere soddisfazione di
un credito, la Corte ha applicato in tre diversi casi le tre diverse norme
contenute nell’art. P1-1. Nel caso Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis,
in cui i ricorrenti lamentavano di essere stati privati, per effetto di una
legge avente effetto retroattivo, di un credito riconosciutogli da una
sentenza arbitrale definitiva, la Corte ha stimato che “l’ingerenza in
questione non costitui[va] né un’espropriazione né una regolamentazione
dell’uso dei beni, ma rientra[va] nella fattispecie prevista alla prima frase
del primo comma dell’articolo 1” (§ 68). Nella sentenza Pressos Compania
Naviera, concernente un credito risarcitorio per sinistri marittimi causati
da comportamenti colposi di piloti belgi, la Corte ha qualificato come
privazione di proprietà la situazione prodotta dall’entrata in vigore di una
legge che esonerava, con effetto retroattivo, da responsabilità per colpa
le imprese di trasporto marittimo e limitava la responsabilità personale
dei piloti. Del pari, nei casi Draon e Maurice la Corte ha stimato essere i
ricorrenti vittime di una privazione di proprietà per il fatto dell’entrata in
vigore, nelle more del giudizio davanti alle giurisdizioni interne, di una
legge che incideva in malam partem sulla loro posizione creditoria 97 .
Infine, nel caso National & Provincial Building Society, la privazione di un
credito in forza di una legge fiscale è stata analizzata dalla Corte alla luce
della terza norma.
Se è vero che la soluzione di un caso applicando la prima piuttosto
che la terza norma non dà luogo a risultati differenti, altrettanto non può
essere affermato con riferimento alla seconda norma. Anzitutto, la Corte
ha più volte ribadito che “senza il versamento di una somma in
ragionevole rapporto con il valore del bene, una privazione di proprietà
costituisce normalmente un’ingerenza eccessiva, e la totale assenza di
indennizzo può giustificarsi, nell’ambito dell’articolo 1 del Protocollo n.
Sent. Draon c. Francia e Maurice c. Francia, del 6 ottobre 2005. La misura legislativa
oggetto di giudizio era l’art. 1 della legge n. 2002-303 del 4 marzo 2002 che escludeva
che i genitori potessero chiedere il risarcimento del danno derivante dall’handicap,
colposamente non diagnosticato dal medico nel corso degli esami prenatali, del figlio;
risarcimento fino ad allora concesso dai tribunali francesi sotto forma di rendita
vitalizia. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha stimato che la legge in questione
ponesse in essere, con riferimento alla situazione dei ricorrenti, una privazione di
proprietà non rispettosa del giusto equilibrio che deve regnare tra le esigenze
dell’interesse generale e la salvaguardia del diritto al rispetto dei beni.
97
147
RIVISTA GIURIDICA DELL’ISAIDAT
1-2010
1, solo in circostanze eccezionali” 98 ; mentre nei casi di regolamentazione
dell’uso dei beni l’assenza di indennizzo per una misura che incide
gravemente o per un lungo periodo su un bene è considerata, in sede di
controllo di proporzionalità, come circostanza aggravante non idonea, da
sé sola, a rompere il giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse
generale e la salvaguardia del diritto al rispetto dei beni.
In secondo luogo, la Corte ha affermato il principio della restitutium
in integrum esclusivamente con riferimento ai casi di illegale privazione di
proprietà. Ne consegue che in caso di un’ingerenza nel diritto di
proprietà non rispettosa del principio di legalità, così come interpretato
dalla Corte, disparità di trattamento potrebbero trovare spazio in sede di
determinazione dell’equa riparazione ex art. 41 CEDU, a seconda che la
Corte qualifichi o meno l’illegale ingerenza come privazione di proprietà.
98
Draon, § 87.
148
Abstracts/Résumés
B. POZZO : LAW & LITERATURE E DIRITTO COMPARATO
Il movimento di Law and Literature si è sviluppato negli Stati Uniti a
partire dagli inizi del Novecento e grazie all’opera di James Boyd White vive
una vera e propria rinascita. Nelle analisi dei comparatisti tale movimento
appare di particolare interesse, laddove permetta di raggiungere un più
approfondito grado di conoscenza delle dinamiche sociali e delle relazioni tra
diritto e lingua, diritto e cultura e quindi ci permetta di scoprire i valori più
profondi che si celano dietro il velo del diritto.
***
The Law and Literature movement has been developing in the United States
since the beginning of the 20th century and has undergone a real Renaissance
thanks to the work of James Boyd White. From the standpoint of a
comparative law analysis, this movement is of particular interest as it provides a
deeper knowledge of the social dynamics and the relationships between law and
language, law and culture, thereby disclosing the deep-seated values that are
hidden behind the veil of the law.
***
Le mouvement de droit et littérature s’est développé aux Etats-Unis à
partir du XX siècle et graçe à l’œuvre de James Boyd White vit une période de
forte renaissance. Dans l’analyse de droit comparé ce mouvement acquiert un
certaine intérêt parce que il nous permet de atteindre une connaissance plus
profonde des dynamiques sociales et des relations entre droit et langue, droit et
culture et ainsi nous permet de découvrir les valeurs les plus profondes
existantes derrière le voile du droit.
C. JAMIN : L’INCONTRO MANCATO DEI CIVILISTI FRANCESI CON IL REALISMO
La crisi intellettuale del modello liberale classico alla fine del XIX°
secolo, ed i conflitti che si svilupparono tra la borghesia, preoccupata di
mantenere i propri privilegi, e la classe operaia, alla ricerca di una sua
emancipazione, portarono in Francia all'elaborazione della teoria del
bilanciamento degli interessi ed all'affrancamento dei giudici dalla stretta
osservanza dei testi legislativi.
Taluni autori francesi furono indotti da tali eventi ad elaborare una teoria
giuridica affine al Realismo giudico statunitense. Tuttavia, tale dottrina è stata
respinta dalla maggioranza dei giuristi francesi, che hanno preferito continuare
ad utilizzare le nozioni di principio e ad elaborare ampie e ormai classiche
costruzioni giuridiche.
L'autore esamina tale evoluzione, attraverso lo studio del pensiero di tre
noti giuristi, Saleilles, Demogue e Ripert, e degli avvenimenti storici del periodo.
149
***
The intellectual crisis of the classic liberal model at the end of the XIXth
century and the ongoing conflicts between the bourgeoisie, anxious to preserve
its privileges, and the working class, fighting for emancipation, brought forth in
France the theory of the balance of interests, and freed judges from the duty to
obey the letter of the civil code provisions and statutes.
Those circumstances led French scholars to elaborate legal theory which
was to a degree akin to American legal Realism. Nevertheless, the majority of
the French jurists rejected it, favouring instead the recourse to abstract legal
principles and the framing of legal notions that were to provide boundaries to
judicial discretion.
The author investigates this evolution, by examining the ideas of three
leading legal scholars, Saleilles, Demogue and Ripert, in the light of the
historical events of this period.
***
La crise intellectuelle du modèle libéral classique à la fin du XIX° siècle,
et les conflits qui en découlèrent entre une bourgeoisie soucieuse de maintenir
ses privilèges et une classe ouvrière en quête d'émancipation, amenèrent en
France à l'élaboration de la théorie de la balance des intérêts et à
l'affranchissement des juges de la stricte observance des textes de loi.
Ces événements conduisirent une partie des auteurs français à élaborer
une pensée juridique qui se rapprochait au Réalisme juridique américain.
Cependant, cette doctrine fut rejetée par la majorité des civilistes français qui
préfèrent recourir aux notions de principe et procéder à de vastes et très
classiques constructions juridiques.
L'auteur examine cette évolution en étudiant la pensée de trois juristes
célèbres - Saleilles, Demogue et Ripert - en la reliant aux événements
historiques de l’époque.
A. FUSARO : LE DROIT DES SUCCESSIONS ET LA FAMILLE EN ITALIE
L’articolo propone un’analisi delle principali disposizioni di diritto
italiano delle successioni che sono in rapporto con le norme del diritto di
famiglia. Guardando in modo critico alle linee direttrici sottese alle norme
sancite dal Codice civile, l’autore rileva l’influenza della tradizione cattolica, in
particolare in materia di divorzio e di status successorio di figli legittimi e
naturali.
Diversamente dal diritto francese, quello italiano riconosce tuttora
unicamente la famiglia fondata sul matrimonio. Manca infatti la
regolamentazione dell’unione fra persone dello stesso sesso e una legge sulle
coppie non sposate.
150
In una prospettiva de iure condendo, l’autore sostiene la necessità di
modernizzare il diritto delle successioni e il diritto matrimoniale, per stare al
passo con l’evoluzione della società e diminuire i procedimenti contenziosi. Del
resto, molte cause in materia di separazione personale dei coniugi riguardano il
regime di comunione legale, dal momento che le regole che la disciplinano sono
legate a un modello economico sorpassato.
***
The article surveys the main provisions of the Italian law of succession
and the family. In taking a critical look at the guiding principles of the rules laid
down by the Civil Code, the author points to the topical issue of the influence
of Catholic tradition, in particular on the body of regulations on divorce and
the status of legitimate and natural children in successions.
Unlike current French law, Italian law recognises only the family
founded on marriage, and legislates neither on same-sex marriage nor on
unmarried couples.
In discussing how the law should change, the author points to the need
to update the law of succession and the regulation of matrimonial regimes in
order to keep pace with developments in society and to reduce disputes. Many
disputes on separation from bed and board in fact concern community of
property, since the rules are linked to an outdated economic model.
***
L’article donne un aperçu des principales dispositions du droit italien des
successions et de la famille. Portant un regard critique sur les principes
directeurs des règles posées par le Code civil, l’auteur relève l’influence de la
tradition catholique, notamment sur la réglementation du divorce et du statut
successoral des enfants légitimes et naturels.
Contrairement au droit français actuel, le droit italien reconnaît
uniquement la famille fondée sur le mariage. Une réglementation sur le mariage
entre personnes du même sexe et une loi sur les couples non mariés font en
effet défaut.
De lege ferenda, l’auteur met en évidence la nécessité de actualiser le
droit successoral et la réglementation des régimes matrimoniaux, afin de suivre
l’évolution de la société et réduire le contentieux. Au demeurant, de nombreux
contentieux en matière de séparation de corps concernent la communauté
légale dans la mesure où les règles sont liées à un modèle économique dépassé.
A. MUSY: LE SUCCESSIONI
DELL’IMPRESA IN ITALIA
E
IL
PRIMO
PASSAGGIO
GENERAZIONALE
Lo sviluppo del diritto delle successioni italiano con l'introduzione dei
Patti di Famiglia, la tendenza ad elaborare un surrogato nazionale dell’istituto
anglosassone del trust e a sviluppare una legislazione sul contratto di fiducia
dimostra che il diritto italiano prova a riorganizzarsi per rispondere ai bisogni di
una società che si confronta con il primo passaggio generale nella proprietà
dell'impresa. L’impianto successorio recepito dal codice civile del 1942 aveva
151
una struttura classica: da un lato la libertà testamentaria era mitigata dall’istituto
della legittima in favore dei figli, del coniuge e, in caso di mancanza di questi,
dei genitori del de cuius. Dall’altro, in caso di successione intestata, era prevista
una successione necessaria del coniuge, ma non era una successione piena,
poiché ad esso (ma nella normalità dei casi si trattava della moglie) veniva
riservato solo l’usufrutto dei beni immobili che cadevano in successione. Tale
modello, messo in discussione dalla riforma del diritto di famiglia nel 1975,
garantiva la separazione tra le famiglie. Il principio era quello dell’esclusione
degli affini, principio perfettamente compatibile con gli unici veri e propri
beneficiari delle norme in tema di successione nel 1952 e cioè l’alta borghesia,
spesso figlia di un’evoluzione sociale dei grandi proprietari terrieri e
dell’aristocrazia. Solo queste classi sociali, che rappresentavano una parte
minima della società italiana, infatti, si potevano avvantaggiare delle disposizioni
in materia di successioni. Nel saggio che segue proponiamo qualche prima
riflessione sulle modalità tecniche e sulle evoluzioni interpretative che
consentono il meccanismo successorio in un sistema sociale fortemente mutato
ed i limiti che la struttura delle regole civilistiche presenta.
***
The development of the Italian law of succession, with the introduction
of the family contracts (patti di famiglia), the tendency to make use of a
surrogate of the institution of the trust, and to develop a legislation on fiduciary
contracts, shows that Italian law is trying to reorganize itself to meet the needs
of a society facing the challenge of transgenerational transfer of enterprise
property. The Italian law of succession under the civil code of 1942 used to
have a classic structure: on the one hand the freedom to dispose by will was
limited by the reserved portion in favour of children, the spouse and, when
lacking these, the parents of the de cuius; on the other hand, in case of intestate
succession, the statute provided that the spouse, (in most cases the wife) had
limited succession rights, in the form of a usufruct over immovable property
left by the de cujus. Such a system, altered by the reform of family law of 1975,
guaranteed the separation of family wealth according to kinship. The principle
implied the exclusion of relatives of the spouse, according to logic that
benefited only an upper middle-class society, often bred from a social evolution
of the great landowners and the aristocracy. Only these social classes, i.e. a
minority of the Italian society, were able to take full advantage of those
provisions on succession upon death. The essay presents some considerations
on the technical methods and the evolving interpretation through which the
inheritance mechanism becomes viable within a deeply changed social system
and on the limits the of the current structure of the law of succession in Italy.
***
Le développement du droit italien des successions par l’introduction des pactes
de famille, l’élaboration d’un substitut national au trust anglo-saxon et le
152
développement d’une législation sur le contrat de fiducie révèlent une tentative
du droit italien de se réorganiser afin de répondre aux besoins d’une société
confrontée au premier passage générationnel de la propriété d’entreprises. Le
droit des successions du Code civil de 1942 avait une structure classique: tout
d’abord, la liberté testamentaire était limitée par la règle de la réserve héréditaire
en faveur des enfants, du conjoint et, en leur absence, des parents du de cujus ;
ensuite, en cas de succession ab intestat, la vocation successorale du conjoint (le
plus souvent l’épouse) était systématique, bien qu’il ne s’agît pas d’une
succession en pleine propriété mais d’un usufruit des biens immobiliers faisant
partie de la masse successorale. Ce modèle, remis en cause par la réforme du
droit de la famille de 1975, garantissait la séparation entre les familles. La règle
était l’exclusion des alliés. Elle était parfaitement acceptable par les seuls vrais
bénéficiaires des normes successorales en 1952, à savoir la haute bourgeoisie,
souvent héritière de l’évolution sociale des grands propriétaires terriens et de
l’aristocratie. En effet, seules ces classes sociales, qui représentaient une frange
minime de la société italienne, pouvaient se prévaloir des règles en matière
successorale. Nous proposons dans l’article qui suit les prémisses d’une
réflexion sur les modalités techniques et sur les évolutions interprétatives
entourant le mécanisme successoral dans un système social fortement modifié
ainsi que sur les limites inhérentes à la structure des règles générales du droit
civil.
J. RE : IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO ITALIANO DELLE SUCCESSIONI
L’autore propone un’analisi critica dello stato attuale del diritto
internazionale privato italiano delle successioni, evidenziando i cambiamenti
introdotti dalla legge n° 218 del 31 maggio 1995 e quelli che risulterebbero
dall’adozione della Proposta di regolamento dell’Unione europea in materia di
successioni.. In particolare, mentre la competenza giurisdizionale in materia di
successioni è attualmente determinata in base a sette criteri alternativi, la
proposta di regolamento, nell’ottica di creare uno spazio giudiziario europeo,
sceglie di ripartire la competenza giurisdizionale tra i giudici degli Stati Membri
basandosi su un criterio di competenza unica.
Particolare attenzione è dedicata alle regole concernenti la legge
applicabile alle successioni internazionali, dove i principi fondamentali di unità e
universalità della successione sono rimessi in discussione dall’operare del
rinvio.
***
The author proposes a critical analysis of the current status of the Italian
private international law of succession, highlighting the innovations introduced
by Italian Law 218 of 31 May 1995, as well as those that may ensue from the
adoption of the European Union’s proposed Regulation on successions. In
particular, whereas the framework of Italian jurisdiction in matters of
succession today is determined on the basis of seven alternative titles of
jurisdiction, the proposed regulation, in its declared aim of pursuing the
153
establishment of a European judicial area, is opting for a rigid distribution of
jurisdiction among the courts of the Member States, based on a single title of
jurisdiction.
Special attention is devoted to the rules on the law applicable to
international successions, an area in which the fundamental principles of the
unity and universality of succession are being challenged by the principle of the
renvoi.
***
L’auteur propose une analyse critique de l’état actuel du droit
international privé italien des successions, en mettant l’accent sur les
innovations introduites par la loi n° 218 du 31 mai 1995, ainsi que sur celles qui
résulteraient de l’adoption de la Proposition de règlement de l’Union
Européenne en matière de succession. En particulier, alors que le cadre de la
compétence juridictionnelle italienne en matière de succession est aujourd’hui
déterminé sur la base de sept chefs de compétence alternatifs, la proposition de
règlement, dans l’optique de parvenir à la mise en place d’un espace judiciaire
européen, opte pour une répartition rigide de la compétence juridictionnelle
entre les juges des Etats membres en se basant sur un chef de compétence
unique.
Une attention particulière est accordée aux règles concernant la loi
applicable aux successions internationales, matière où les principes
fondamentaux d’unité et d’universalité de la succession sont remis en cause par
le principe du renvoi.
S. PRADUROUX: LA PROPRIETÀ PRIVATA NEL SISTEMA DELLA CONVENZIONE
EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
L’inclusione di una specifica garanzia del diritto di proprietà nel testo
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali (CEDU) fu oggetto di controversia, data la valenza
economica e politica dello stesso. Ad ogni modo, il diritto di proprietà fu infine
proclamato all’articolo 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione (art. P11).
Nel corso degli anni, la Corte europea dei diritti dell’uomo è riuscita a
superare le reticenze degli Stati europei nei confronti di un controllo
internazionale in una materia considerata di dominio riservato di ciascuno
Stato. Esiste dunque oggi un’ampia giurisprudenza in materia proprietaria.
Questo saggio intende illustrare i principi fondamentali in tema di protezione
della proprietà, attraverso un’esposizione sistematica dei casi decisi dalla Corte
di Strasburgo
***
Abstract. The inclusion of a specific provision to protect property rights
in the European Convention on Human Rights (ECHR) has proven to be a
most controversial issue in the eyes of State representatives, due to the central
role of property in domestic political and economic discourse. However, it was
154
finally included in Article 1 of Protocol no. 1 to the Convention (Art. P1-1).
Over the years, the European Court of Human Rights has managed to
overcome the reluctance of European nation-states towards international
supervision on a matter considered as a cherished preserve of national
sovereignty. As a result, there is now substantial case law concerning Art. P1-1.
This study provides a thorough description and examination of this case law, in
order to outline the key principles on property rights protection under the
ECHR.
***
Résumé. La reconnaissance d’une protection spécifique pour le droit de
propriété dans la Convention européenne des droits de l’Homme (CEDH) a
fait l'objet de vives discussions, en raison du rôle joué par la propriété dans la
politique économique nationale. Cependant, le droit de propriété fut finalement
intégré dans l’Article 1 du Protocole n°1 de la Convention (art. P1-1). Au fil des
années, la Cour européenne des droits de l’Homme a réussi à surmonter la
réticence des pays européens vers une supervision internationale dans un
domaine de compétence nationale jalousement gardé. Il existe donc aujourd’hui
une vaste jurisprudence concernant l’art. P1-1. Cet essai vise à rigoureusement
examiner cette jurisprudence, afin d’éclairer les principes fondamentaux en
matière de protection du droit de propriété établis par la CEDH.
155