Globalizzazione e mercato dell`arte contemporanea

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Globalizzazione e mercato dell`arte contemporanea
Tafter Journal
scritto da Federica Codignola il 1 giugno 2010
Globalizzazione e mercato dell’arte contemporanea
1. Dall’ “internazionalizzazione” alla “globalizzazione”
A proposito del mercato dell’arte contemporanea, la letteratura scientifica corrente tende normalmente a
parlare di “internazionalizzazione”. Tale concetto può essere misurato dal grado di penetrazione dei
differenti mercati: domestico, regionale, internazionale e globale; o può essere valutato a seconda del tipo
di organizzazione: monocentrica, policentrica e geocentrica(1). Successive considerazioni sull’argomento,
possono essere fatte osservando le diverse tipologie operative adottate dalla stessa organizzazione:
esportazione, multinazionali, alleanze, sussidiarietà, ecc. Il primo aspetto da tener presente riguarda la
tesi secondo la quale l’internazionalizzazione tocca sia la domanda che l’offerta. Johanson e
Widersheim(2) hanno individuato più passaggi per descrivere la graduale internazionalizzazione di
un’azienda intesa come l’allargamento delle operazioni secondo il concetto di “distanza fisica” (l’insieme
di fattori che vanno a toccare i flussi informativi intercorrenti fra l’azienda ed il suo mercato). Un secondo
aspetto da tener presente in tali processi è la misura del potenziale percepito in un mercato. Turnbull
contesta l’idea dei passaggi graduali sostenendo che si tratta di un processo continuo di scelta o di
adattamento(3). Esso, dunque, si determina quando l’ambiente operativo e la struttura sia industriale che
aziendale guidano le strategie di marketing(4).
Diversi gradi di internazionalizzazione possono riscontrarsi anche nel mercato dell’arte contemporanea. A
partire dagli anni Novanta il volume delle esportazioni globali delle opere d’arte si è notevolmente
ampliato(5); allo stesso tempo molte gallerie continuano ad operare in mercati domestici. Le maggiori case
d’asta, per esempio Sotheby’s e Christie’s, hanno svariate organizzazioni sussidiarie in diversi paesi e
possono così essere comparate alle compagnie multinazionali di altre industrie. I collezionisti, i critici, gli
sponsor e i consulenti di questo mercato stanno diventando sempre più cosmopoliti. A proposito del
contesto artistico, l’aspetto più complesso risulta forse essere quello relativo al processo produttivo. Il
nucleo propriamente produttivo appartiene infatti ancora agli artisti, i quali lavorano in altri paesi o si
aprono ad altre nazioni, per lavoro o ricerca, senza necessariamente esportare o partecipare agli altri
passaggi del processo di internazionalizzazione. A questo punto vale la pena considerare le osservazioni
fatte da Johansson e Vahlne, i quali legano tale processo al concetto di network. Essi sostengono che uno
sviluppo in questo senso si costruisce intorno alla creazione di network costituiti dalle relazioni
commerciali intrattenute con altri paesi per l’effetto dell’estensione geografica, della penetrazione e
dell’integrazione internazionale(6). Le relazioni di un’organizzazione possono quindi essere utilizzate come
ponti verso altri network, e al tempo stesso la medesima organizzazione può diventare parte di network
internazionali e intrattenere dette relazioni commerciali.
L’approccio di Johansson e Vahlne legato ai network sembra mantenere una certa validità anche quando
lo si utilizzi per analizzare il mercato dell’arte contemporanea. I mercati in cui l’industria artistica è legata
al commercio mondiale di opere d’arte (ieri primariamente Stati Uniti e Gran Bretagna, oggi anche Cina,
Russia e India) sono infatti i più diretti verso logiche di internazionalizzazione. In un mercato dell’arte in
cui i confini geografici sono sempre più labili, essere parte del network mondiale dell’arte, comprensivo di
quei circoli artistici che decidono non solo il valore dell’opera d’arte, ma, in quanto custodi della
conoscenza e dell’expertise, influenzano la domanda internazionale delle opere, risulta essere
fondamentale. Lo sviluppo per fasi in un network artistico di questo tipo, può essere valutato a livello
individuale (artisti e mercanti), a livello organizzativo (gallerie, musei, fiere e case d’asta) o a livello dei
singoli paesi (se l’artista il mercante o il polo distributivo è situato nei centri strategici del mercato
dell’arte(7) invece che in periferia). Si potrebbe dunque considerare un simile cambiamento del generico
mercato dell’arte come logica di adesione graduale ad una rete mondiale costituita da network.
Tale osservazione potrebbe allora rivelarsi utile analizzando il più specifico segmento dell’arte
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contemporanea, considerato in un contesto che, oltrepassate le soglie teoriche
dell’internazionalizzazione, si sceglierà di denominare “globale”. Si tenterà dunque di realizzare questo
passaggio, da un lato utilizzando alcune considerazioni di Porter e Colbert, appunto, sulla globalizzazione
della concorrenza in riferimento al settore della cultura, e dall’altro mettendo in luce quell’aspetto
strutturale del network che vede interagire le sue entità in maniera coordinata, pur se in sedi geografiche
diverse.
2. Globalizzazione e concorrenza
Secondo Colbert, “la globalizzazione della concorrenza ha aperto nuove prospettive ai consumatori e ha
reso possibile l’esportazione di alcuni prodotti culturali. In compenso altri prodotti hanno potuto essere
importati da nazioni straniere e questo ha significato concorrenza ulteriore per i prodotti locali. Nelle
industrie culturali le organizzazioni sono raggruppate o concentrate così che un numero esiguo di
multinazionali controlla la creazione di un gran numero di prodotti culturali”(8). Le imprese culturali devono
lavorare sinergicamente per ottenere un posizionamento vantaggioso a livello internazionale, tenendo in
considerazione non soltanto i prodotti, ma anche tutti gli altri anelli della catena produttiva.
La concorrenza, inoltre, può anche essere intensificata dalla frammentazione degli stessi settori
produttivi. Porter elenca cinque forze che possono causare tale frammentazione(9): “forze (…) rivali
all’interno del settore; nuovi concorrenti; fornitori; acquirenti; prodotti sostitutivi (…)”. “Il settore delle arti” –
continua Porter – si presenta come un settore frammentato con molte piccole organizzazioni(10)” , ma,
contrariamente al settore industriale, quello artistico “non offre alcuna possibilità di concentrazione”(11). Infatti, se si considera il settore specifico dell’arte contemporanea, non vi sono barriere all’entrata (aprire
una galleria è facile perché non richiede un investimento iniziale alto come per avviare un’impresa
industriale), e, data la natura del prodotto, non possono attuarsi economie di scala. Più o meno
frammentate, le organizzazioni di detto settore per emergere devono ricercare un vantaggio competitivo
per esempio “in una caratteristica di prodotto, in uno strumento promozionale, in un modo diverso di
utilizzare le reti distributive o in una politica di prezzi interessante”(12).
Nel caso delle strutture distributive dell’arte contemporanea, si può ad esempio notare come la distinzione
fra attività di vendita o rivendita di valori artistici affermati e attività di valorizzazione o commercio di valori
artistici emergenti risulti complessa, sia perché vi sono gallerie che svolgono entrambe le funzioni, sia
perché vi sono molte gallerie le quali, se in passato svolgevano un’attività d’avanguardia valorizzando
nuovi artisti, hanno poi continuato a lavorare con questi ultimi ormai affermati, impegnandosi sempre di
meno nel settore delle nuove proposte. Gallerie di questo tipo, tendono a perdere progressivamente la loro
funzione di “gallerie di orientamento” poichè anche nel processo d’innovazione artistica la concorrenza è
forte e così facendo vengono oltrepassate.
Se le strategie commerciali del cosiddetto mercato “avanguardista” rappresentavano un modello per i
mercanti più innovatori, oggi queste lo sono meno a causa dei molti cambiamenti dovuti all’articolazione
sempre più complessa del sistema dell’arte contemporanea: quest’ultimo, infatti, ha tempi ormai molto più
rapidi anche all’interno delle dinamiche di rinnovamento dei movimenti artistici. Esiste infatti una stretta
connessione fra la rete internazionale delle gallerie e case d’asta leader, grandi collezionisti e musei, per
cui l’attività dei mercanti più innovatori, ma scarsamente dotati di mezzi finanziari e organizzativi, a livello
internazionale diventa più complessa. La funzione di questi mercanti, nei più importanti centri artistici
quali Londra o New York, può risultare particolarmente efficace nella prima fase di scoperta e sostegno di
nuove tendenze e giovani artisti. Una volta raggiunto il successo, detti mercanti devono però lasciare
l’azione alle grandi gallerie con cui, se la competizione risulta impossibile, è allora meglio collaborare pur
in posizione subordinata.
3. Concorrenza e valorizzazione artistica
Le strategie di valorizzazione di nuovi artisti non hanno più tempi lunghi in vista di una progressiva
legittimazione delle opere e storicizzazione degli artisti, ma seguono invece tempi molto rapidi grazie a
cospicui investimenti, a un’organizzazione quantitativamente e qualitativamente forte di mostre in musei e
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gallerie e a una significativa promozione a livello critico e mediatico. Essendo infatti oggi la qualità
dell’artista e la qualità dell’opera soltanto due fra le componenti che contribuiscono a determinare
affermazione e successo, tali strategie di valorizzazione posseggono il fine ultimo di produrre un “evento”
e di stimolare rapidamente l’interesse collezionistico e/o speculativo.
Se è dunque vero che lo scenario dell’attuale mercato dell’arte contemporanea è uno scenario di
globalizzazione in cui il potere del brand e del logo è più che assestato(13), non ci si deve stupire se
Thompson, a proposito del funzionamento dell’economia del mercato contemporaneo, parla di opere
d’arte in termini di “creazione del brand” o delle conseguenti “aste di brand” o “galleristi di brand”,
ecc.(14). Pur senza arrivare a tanto si può però sostenere come oggi, anche in un settore come quello
artistico, l’immagine abbia assunto una forte rilevanza, divenendo fonte di valore aggiunto, specialmente
se si tratta di case d’asta di una certa portata, o la galleria di riferimento sia una galleria conosciuta, o
ancora quando l’artista abbia partecipato a determinate mostre o abbia vinto premi di un certo valore, ecc.
In una situazione in cui la competizione è globalizzata e in cui “l’immagine è tutto”(15), anche l’arte
sembrerebbe doversi cibare d’immagine e pubblicità, stravolgendo l’assunto warholiano per cui, invece, la
pubblicità è arte(16). Ecco perché collocare l’opera di un artista oltre che nella tradizionale sede museale
anche in una mediatica evening sale di Sotheby’s a New York o in una collezione come quella del
brandizzato Charles Saatchi a Londra può risultare particolarmente efficace. In una situazione competitiva
tipica della globalizzazione le stesse gallerie devono dotarsi di un’immagine di grande prestigio, anche a
livello economico (ad esempio grazie al sostegno di finanziatori esterni), e di capacità relazionali da cui
trarre riconoscimento nel sistema globalizzato dell’arte in termini di alleanze e di collaborazione
(networking) con gli altri attori del mercato (critici, mercanti, direttori di biennali, musei, ecc). Infatti, se al
vertice del sistema dell’arte contemporanea vige una strategia economico-commerciale basata sul
controllo monopolistico (od oligopolistico) della produzione degli artisti (affermati o emergenti), i leader che
determinano le tendenze dominanti sono pochi.
La penetrazione nel mercato più allargato si compie dunque attraverso la costruzione di filiali e attraverso
una sorta di associazionismo con gallerie attive in diversi mercati e paesi. Queste gallerie-satellite
possono fungere da agenti commerciali, ad esempio facilitando l’acquisto di opere da parte della galleria
leader. Se anche dovesse accumulare un certo numero di opere con il rischio di lasciarle invendute,
quest’ultima può comunque permettersi di rintracciare continuativamente nuovi artisti da promuovere,
rinnovando così l’offerta in maniera permanente.
Per quanto riguarda i nuovi operatori, quasi sempre l’unica maniera per crescere è quella di lanciare un
nuovo movimento o artista. In tal modo, fra le esigenze della concorrenza del mercato e quelle di un
rinnovamento continuo si crea una relazione di circolarità permanente. Emblematico risulta essere il caso
del boom dell’arte contemporanea cinese, risalente al 2007, anno in cui la Cina, appunto, rifletteva
attraverso i suoi artisti sul cambiamento sociale in atto nel Paese. Già da tempo Sotheby’s e Christie’s
tenevano in Cina aste di arte moderna cinese, provocando in soli tre anni una moltiplicazione dei prezzi. Il
gallerista inglese Charles Saatchi aggiornò proprio nel 2007 il suo sito Internet dedicando una sezione
speciale all’arte contemporanea cinese e abilitando una modalità di chat nelle due versioni, inglese e
cinese. L’anno successivo lo stesso gallerista aprì alla Saatchi Gallery una mostra che esponeva le opere
della sua collezione di arte conteporanea cinese. Tutt’oggi, le biennali occidentali d’arte contemporanea
continuano ad esporre artisti cinesi i quali vengono continuativamente rappresentati da galleristi
occidentali; anche Gagosian ha aperto un suo ufficio ad Hong Kong. Attualmente, il risultato di tutto
questo è che più cresce la domanda di arte contemporanea cinese in Occidente, più aumenta la domanda
della stessa in Cina.
La globalizzazione e l’aumento della concorrenza anche nel mercato dell’arte sono due fenomeni che
hanno concorso all’ampliamento del sistema artistico contemporaneo il quale, progressivamente, è
diventato sempre più rapido su scala internazionale. Allo stesso tempo, la logica commerciale risulta
essere sempre più condizionante. Diventa così impossibile, per le nuove ricerche artistiche in quanto
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espressioni di valori culturali, rispettare i tempi autonomi di maturazione.
I prodotti artistici di valore possono sì emergere, ma solo sottostando alle logiche di tale sistema
complesso. Rispetto ai numerosi artisti il cui successo è breve ed effimero in quanto frutto di
un’operazione commerciale a breve termine, il numero di artisti dotati di un’immagine talmente forte da
essere trasformati in valori assoluti, consolidati e dunque permanenti, è molto ridotto. Ecco perchè le
quotazioni degli artisti “effimeri” possono toccare cifre molto alte, seppur instabili, ridimensionandosi dopo
il primo stadio di esaltazione speculativa. Viceversa, le quotazione degli artisti “forti” possono certamente
subire altrettante fluttuazioni speculative importanti, ma con il tempo tendono ad aumentare e consolidarsi
a livelli superiori.
4. Globalizzazione, concorrenza e centri di fruizione e distribuzione delle opere d’arte
contemporanea
I cambiamenti del mercato stanno modificando anche i meccanismi dei mercanti/collezionisti, i quali, se
prima potevano non passare per i galleristi grazie alle case d’asta, oggi sono ancora più incentivati a farlo
grazie all’avvento delle fiere di arte contemporanea. Esaminando come si struttura, in uno scenario
globale come quello odierno, la competizione fra i diversi poli distributivi, può risultare interessante
analizzare innanzitutto il fenomeno delle fiere. Queste, storicamente erano eventi esclusivamente rivolti al
segmento dei collezionisti; oggi, invece, le fiere sono quantitativamente aumentate ampliando verso
l’esterno la cerchia dei fruitori a livello internazionale. Gruppi di finanziatori di musei europei volano alla
fiera di Miami Basel dove incontrano collezionisti cinesi e nuovi galleristi russi. Contro la forte capacità
finanziaria, il potere d’immagine e la straordinaria attività delle vendite private di leader come Sotheby’s e
Christie’s, i galleristi hanno visto nelle grandi fiere d’arte contemporanea una buona opportunità
competitiva. Thompson sostiene che le fiere internazionali sono “mostre commerciali di livello industriale
in cui i galleristi si riuniscono per alcuni giorni per mettere in vendita le opere in cui sono specializzati” e
che “le opere che vengono presentate (…) sono pari, per qualità e quantità, a quelle che circolano nel
corso di una stagione nel mondo delle aste”(17). Contrariamente alla casa d’aste(18) o alla galleria
privata, la fiera offre all’acquirente potenziale una pluralità di prodotti grazie ad un’offerta diversificata e
forte. Se poi si considera la fiera anche come evento culturale, la stessa può rappresentare un centro
aggregativo aperto a tutti gli operatori del mercato, affiancando alle opere d’arte anche conferenze,
rassegne speciali, mostre, ecc. Ad oggi, le più importanti fiere d’arte internazionali, eventualmente anche
in grado di valorizzare le opere presenti grazie alla potenza d’immagine ad esse legata, sono TEFAF di
Maastricht, Art Basel di Basilea, Art Basel di Miami Beach e Frieze di Londra.
Più in generale, però, esistono varie tipologie di fiere in cui sembra sussistere una strategia competitiva
basata sulla differenziazione delle proproste. Vi sono infatti manifestazioni più esclusive, dotate di un
numero più ristretto di espositori altamente selezionati, o altre strutturate come grandi mostre e dunque
alla portata di un pubblico più ampio. Il comune denominatore di queste ultime è l’internazionalità. Se
inizialmente ognuna di queste grandi fiere raccoglieva un bacino di utenza strategicamente funzionale alla
localizzazione della stessa (Miami Basel è nata per dare accesso alla ricca domanda dell’America del
Nord, ma anche a quella del Sud), oggi sia gli espositori quanto i visitatori/potenziali acquirenti(19) provengono davvero da ogni parte del globo. Di globalizzazione si può anche parlare nel momento in cui
si analizzino gli sponsor di questi grandi eventi: la svizzera UBS sponsorizza Miami Basel, Deutsche Bank
sponsorizza Frieze, e così via. Se dunque la fiera è un momento determinante di confronto con un numero
molto alto di potenziali acquirenti che in un’unica occasione possono agevolmente paragonare i prezzi
delle opere o avere contatti con diverse gallerie, allo stesso tempo essa è causa di una netta diminuzione
del numero di acquirenti nella sede tradizionale della galleria.
Come si è detto, il grande concorrente diretto delle fiere internazionali di arte contemporanea è costituito
dalle case d’asta le quali, prima di diventare dei competitor, storicamente fungevano da partner e fornitrici
degli operatori del mercato. Una fra le tante cause di una simile trasformazione si potrebbe far risalire alla
rivoluzione apportata dalla globalizzazione con riferimento allo sviluppo delle nuove tecnologie e
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soprattutto di Internet (si pensi anche all’avvento delle aste on line). Fino a pochi anni fa, ad esempio, era
impensabile che i collezionisti potessero ottenere in tempo reale le informazioni relative ai risultati delle
aste internazionali; oggi, invece, un numero crescente di siti Interent specializzati permette a collezionisti e
acquirenti di controllare con estrema precisione l’andamento a breve, medio e lungo termine di ogni artista
o di ogni opera battuta in asta. Ciò risulta di fondamentale importanza quando le condizioni dell’intero
mercato dell’arte sono giudicate a partire dai fatturati dei due leader Sotheby’s e Christie’s in occasione
delle principali evening sale annuali.
Tornando a parlare di dinamiche competitive, mentre la competizione “interna” fra i due leader è storica,
quella che si è venuta a sviluppare fra case d’asta da una parte e galleristi e collezionisti dall’altra è più
recente. Oggi il numero di collezionisti dotati di ampio potere d’acquisto è molto cresciuto e proviene non
più soltanto dagli Stati Uniti, ma anche dalla Russia, dall’India e dalla Cina. Investire in opere d’arte
contemporanea può in effetti rappresentare una valida alternativa (oltre agli investimenti in immobili o beni
di lusso) senza che vi siano forti rischi di svalutazione. Questo genere di collezionismo di derivazione
soprattutto russa e dell’Estremo Oriente, principiante quanto potente, tende ad acquistare le opere tramite
la casa d’aste proprio grazie alle dinamiche di rassicurazione legate all’immagine, all’autorevolezza e alla
reputazione che posseggono le case d’asta, esattamente come succede per i brand più potenti di
qualsiasi altra industria. Le politiche di sviluppo delle due maggiori case d’asta, infatti, non si limitano ad
accrescere il business nei paesi in cui la tradizione dell’arte contemporanea è già consolidata e dove i
mercati sono già solidi, ma si concentra sulle realtà emergenti come i mercati di Cina, India, Emirati Arabi
Uniti e Russia. Tali paesi, oltre a mostrare grandi potenzialità dal punto di vista dell’offerta artistica (si
pensi al boom degli artisti contemporanei cinesi), risultano dunque anche interessanti per ciò che
concerne la fascia di nuovi potenziali acquirenti. Ecco perché sistematicamente vengono aperte nuove
filiali od organizzate vendite in città come Mumbai, Beijing e Dubai.
La diffusione globale dell’arte contemporanea è un fenomeno di origini recenti che tuttavia si sta
velocemente ampliando, coinvolgendo dunque i maggiori luoghi di vendita e fruizione delle opere, tra cui le
case d’asta. La forte concentrazione di mercato che si è sviluppata attorno ai due leader e la grande
concorrenza del settore, hanno reso imprescindibili l’adozione di strategie di gestione globali, al fine di
aumentare la propria domanda e ovviamente il numero di transazioni a livello internazionale. Sotheby’s e
Christie’s dispongono di una quarantina di sedi dislocate nel mondo e hanno creato un forte network di
corrispondenti a livello internazionale che ha consentito loro di sviluppare livelli di promozione e risalto
mediatico senza precedenti. I risultati raggiunti, anche in termini di volume d’affari, fanno sì che le due
case si possano permettere di adottare politiche e strategie su scala globale. Il portale MySotheby’s è un
esempio di gestione di tipo globale delle relazioni con la clientela, finalizzato a valorizzare il cliente per
mezzo dell’erogazione di servizi più personalizzati e più specializzati.
Si può infine parlare di globalizzazione dell’arte contemporanea anche prendendo in esame l’istituzione
museale: i musei di arte contemporanea rappresentano infatti, nel mercato, la dimensione più culturale
all’interno del processo di fruizione, circolazione, valorizzazione e legittimazione delle opere. Per questo
motivo il dinamismo legato alla recente evoluzione di questi musei può contribuire ad una più ampia
definizione della nuova scena globale dell’arte e del mercato. Soltanto negli Emirati Arabi Uniti sono stati
aperti quattro nuovi musei (in cui figura anche “un” Louvre). Il caso del Guggenheim Museum e della sua
espansione internazionale è emblematico. Da New York, dopo aver aperto la sede di Bilbao, meta ormai
di un turismo d’arte divenuto globale, sono infatti state aperte o si apriranno ulteriori sedi a Berlino, Abu
Dhabi, Rio de Janeiro, Guadalajara, Singapore e Taiwan.
5.Conclusioni
L’estrema complessità di uno specifico ambito artistico connesso a logiche commerciali risulta accentuata
dalla profonda commistione che si viene a creare tra le nuove forme di produzione/consumo culturale
(Internet, nuovi luoghi del consumo culturale) e i domini culturali strutturalmente e storicamente più legati
alla tradizione. La globalizzazione ha fatto sì che vi sia stata una certa ibridazione fra lo spazio e la
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funzione di fruizione artistica con le logiche di fruizione commerciale per cui, ad esempio, i siti Internet
delle gallerie, dei musei, delle case d’asta o i siti specializzati sono diventati strumenti fondamentali per
l’accesso e o la conservazione dell’informazione legata all’opera d’arte. Il commercio delle opere d’arte
vive dunque una nuova fase di ripensamento delle sue strutture, dovendosi confrontare con i nuovi
pubblici, i nuovi canali e i nuovi mercati tipici della globalizzazione. Se quindi l’offerta delle opere d’arte da
una parte affronta i rischi e le potenzialità della diffusione, dall’altra essa deve forzatamente relazionarsi
con tutte le conseguenze strutturali che porta con sé anche la nuova concorrenza. Il dinamismo legato a
tali fenomeni caratterizza infatti il contesto nel quale oggi agiscono tutte le imprese, incluse ovviamente
quelle artistiche e la figura stessa dell’artista. I cambiamenti più evidenti, come si è visto, riguardano il
contesto ambientale, che a sua volta influisce su quello competitivo costringendo le organizzazioni a
tenerne conto nella determinazione delle strategie. In relazione a quanto osservato, un aspetto sembra
essere particolarmente indicativo: la domanda, più frammentata e diversificata, ha subito una forte crescita
e si è globalizzata. La domanda come l’offerta, si è dunque fisicamente spostata in funzione della
morfologia del mercato.
Tutto il mercato dell’arte contemporanea, insomma, si è globalizzato, inserendo ogni spazio artistico
nazionale in un sistema globale di scambi culturali ed economici e favorendo l’inteconnessione ai mercati
di attori, opere e informazione. Se le grandi case d’asta organizzano le proprie vendite nella maggior parte
delle capitali mondiali, ogni settimana nel mondo si tiene anche una fiera d’arte. Ma se da un lato rispetto
alla domanda sussiste un grado piuttosto alto di concentrazione del mercato, nonostante l’ingresso di
nuovi flussi di acquirenti provenienti da paesi quali la Cina, l’India, la Russia e gli Emirati Arabi, dall’altro si
assiste a una forte dispersione dei luoghi di distribuzione e vendita. Il graduale sviluppo a livello
internazionale delle fiere, si è detto, enfatizza la globalizzazione della scena artistica, ampliando, in questo
senso, la stessa offerta. I mercati dell’arte regionali e locali hanno spinto la competizione attraverso
l’espansione internazionale delle fiere, delle vendite all’asta o delle filali di gallerie localizzate nel mondo.
Inoltre si può sostenere come la presenza globale possa innalzare il profilo e il valore dell’opera d’arte, e
dunque, anche movimenti artistici provenienti da Cina, Africa, America Latina, Russia, ecc., vengono
esportati e resi noti. Contemporaneamente si sono sviluppate a livello globale gallerie, musei e mostre
consacrate all’arte contemporanea mondiale, integrando spesso produzioni artistiche di diverse
culture(20). Infine, è interessante osservare come, se da un lato, resta valida la spinta verso l’innovazione
attraverso la ricerca di nuove tendenze e nuovi artisti, dall’altro, perdura la tendenza da parte degli
intermediari a minimizzare il rischio, soprattutto quello di ordine finanziario; ciò, finisce per gonfiare il
valore di artisti provenienti da centri d’arte affermati e quindi più facili da promuovere.
Per concludere, si è osservato come la misurazione del livello di internazionalizzazione a seconda del
grado di penetrazione dei differenti mercati o a seconda del tipo di organizzazione risulti essere
un’operazione difficilmente applicabile al mercato dell’arte contemporanea(21). Quest’ultimo, infatti, è un
sistema complesso (o network) formato da attori ed entità comunicanti, che seppur in sedi geografiche
differenti, si trovano a dover operare in maniera coordinata. Può certamente risultare utile agli studiosi
della materia, ma anche agli operatori del mercato, analizzare il fenomeno della globalizzazione attraverso
le diverse tipologie strutturali appartenenti al mercato dell’arte contemporanea. Per entrambi però tale
analisi risulta ancora più efficace quando dette tipologie vengano viste quali elementi di un unico sistema
integrato(22). Se dunque la globalizzazione influenza contemporaneamente sia la domanda che l’offerta,
tutti gli agenti di questo mercato dovrebbero stabilire, in maniera graduale ma dinamica, relazioni efficaci e
continuative. Scegliere quindi di organizzare la produzione e la diffusione del bene artistico
contemporaneo seguendo un simile orientamento significa tener conto del particolare sistema dei valori
immateriali a cui inevitabilmente il bene-opera d’arte è legato: si pensi per esempio alla forza
dell’immagine legata ad un artista o ad un collezionista, o alla sopraccitata “brandizzazione” di Thompson.
Il risultato, per i diversi partecipanti al sistema del mercato dell’arte contemporanea, potrebbe così essere
fonte di differenziazione e di successo.
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Note
(1) Cfr. H. PERLMUTTER, “The Tortuous Evolution of the Multinational Corporation”, in Columbia Journal
of World Business, pp.9-18, 1969.
(2) Cfr. J. JOHANSON e P. WIEDERSHEIM, “The Internationalization of the Firm”, in Journal of
Management Studies, n.4, 1990.
(3) Sull’argomento si veda: R. LUOSTANINEN e L. WELCH, International Business Operations, Praeger, 1990.
(4) Cfr. P. TURNBULL, “A Challenge to Stages Theory of the Internationalization Process”, in Managing
Export Entry and Expansion, Praeger, 1987.
(5) Sull’argomento si veda: www.artprice.com e L. UUSITAALO e A. JYRAMA, Economic Trends and
Changes in the Art Market, Helsinki School of Business working paper n. w-20, 1992.
(6) Sull’argomento si veda: J. JOHANSSON e J. VAHLNE, “The Mechanism of Internationalization”, in
International Management Review, n.4, 1990.
(7) Ai grandi centri quali Londra e New York, oggi, ad esempio, si sono aggiunte città come Beijing,
Mosca e Dubai.
(8) v. F. COLBERT, Marketing delle arti e della cultura, Etas, Milano, 2000, p.73.
(9) Sull’argomento si veda: F. COLBERT, Ibidem, 2000, pp.73-76.
(10) v. F. COLBERT, Ibidem, 2000, p.75.
(11) v. F. COLBERT, Ibidem, 2000, p.75.
(12) v. F. COLBERT, Ibidem, 2000, p.76.
(13) Sull’argomento si veda: N. KLEIN, No logo, Knopf Canada, Toronto 2000.
(14) Cfr. D. THOMPSON, Lo squalo da 12 milioni di dollari, Mondadori, Milano, 2009.
(15) Cfr. N. KLEIN, Op. Cit., 2000.
(16) Sull’argomento si veda: E. GRAZIOLI, Arte e pubblicità, Mondadori, Milano, 2001.
(17) v. D. THOMPSON, Op. Cit., 2009, p.240.
(18) Nelle vendite all’asta però, l’opera parte “democraticamente” da un prezzo piuttosto accessibile, ma
in pochi istanti lo stesso raggiunge picchi molto alti a causa degli alti livelli delle offerte che vengono fatte
in sala.
(19) A tal proposito, può risultare interessante il dato riportato da Thompson secondo cui “nel dicembre
2005 novanta musei, tra cui in MOMA e il Guggenheim di New York, la Tate Modern, il Reina Sofia e il
MOMA di San Paolo, hanno organizzato viaggi a Miami per i membri dei loro consiglieri di
amministrazione e i loro mecenati nella speranza che avrebbero donato al museo alcune delle opere
comprate”. v. D. THOMPSON, Op. Cit., 2009, p.250.
(20) Cfr. A. QUEMIN, “La dimension territoriale de l’art contemporain”, in Pratiques, n°1, 2002.
(21) Si veda il paragrafo 1; cfr. H. PERLMUTTER, “The Tortuous Evolution of the Multinational
Corporation”, in Columbia Journal of World Business, 1969, pp. 9-18.
(22) Poli, in Italia, è stato il primo a denominare “sistema” quello dell’arte contemporanea. Cfr. S. POLI, Il
sistema dell’arte contemporanea, Laterza, Bari-Roma, 2006.
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