INTERVISTA A UN CASCO BIANCO IN AFRICA OCCIDENTALE

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INTERVISTA A UN CASCO BIANCO IN AFRICA OCCIDENTALE
INTERVISTA A UN CASCO BIANCO IN AFRICA OCCIDENTALE: Chiara Brunelli
Sono una ragazza di Verona come tante altre, con la differenza di sentirmi intrappolata se rimango troppo a
lungo nella mia bella città. Ho 26 anni e ho concluso due anni fa una laurea magistrale in Lingue per la
Comunicazione e la Cooperazione Internazionale a Padova.
 Cosa ti ha spinto a scegliere di impegnare un anno della tua vita al servizio degli altri? E perché hai scelto il
servizio internazionale?
Sono stata da sempre orientata verso il mondo del sociale, sia per un’inclinazione personale, sia per esempi
familiari, sia per il mio lungo percorso all’interno dello scoutismo. A questo si è da subito aggiunta la mia
voglia di conoscere il mondo e le diverse culture, la mia voglia di viaggiare per vedere come vive la gente
negli altri Paesi, cosa fa, come pensa. Con il tempo ho deciso di voler trasformare questa mia inclinazione in
qualcosa di più concreto, di farla diventare parte integrante e preponderante della mia vita. È così che dopo
la laurea ho iniziato a guardarmi intorno e a cercare un modo per partire, non più solo per una breve
esperienza di conoscenza ma per provare a mettermi concretamente alla prova nel lavoro sul campo. È
questa la possibilità che dà il servizio civile internazionale: impegnare un anno della propria vita in progetti
di cooperazione e mettersi in gioco per scoprire quale potrebbe essere la propria strada, perché
un’esperienza così forte e totalizzante obbliga anche a riflettere su se stessi.
 Che valore/senso dai al servizio internazionale proposto da Caritas Italiana in collaborazione con le Caritas
diocesane?
Ho deciso di fare domanda per lavorare con la Caritas Italiana dopo aver letto i tanti progetti proposti da
varie ONG e organizzazioni umanitarie italiane. Quello che mi ha colpito dell’approccio Caritas è il voler
collaborare nei Paesi in via di sviluppo INSIEME alla gente, non PER la gente. La maggior parte dei progetti
infatti sono in mano ad uno staff completamente locale, con cui la Caritas Italiana tiene regolarmente i
contatti per un impegno comune. È questa modalità di lavoro che mi ha portato a fare domanda per un
progetto di accompagnamento e rafforzamento delle capacità nella diocesi di N’Zérékoré, in Guinea
Conakry, un Paese poco conosciuto dell’Africa Occidentale.
 Qual'è la situazione socio-politica?
La realtà del posto non è facile. La Guinea è uno tra i dieci Paesi più poveri al mondo (al 178esimo posto su
187 Paesi secondo l’Indice di Sviluppo Umano delle Nazioni Unite del 2012). È un Paese ricco di materie
prime, ma ancora incapace di “decollare”. È un Paese di maggioranza musulmana ma che presenta diverse
etnie e religioni al suo interno che faticano a dialogare. È un Paese che tra i primi ha voluto, nel 1958, la
totale indipendenza dopo il periodo coloniale francese, ma che subito dopo ha avuto per quasi 30 anni una
dittatura comunista che ha limitato ogni libertà di espressione. È il Paese in cui ora vivo, con le strade
sconnesse di terra rossa e i pentoloni di riso fumanti.
 Dove fai servizio? Di cosa ti occupi? Quali le difficoltà?
Sono stata inserita all’interno dell’OCPH (Organisation pour la Promotion Humaine), la Caritas della diocesi
di N’Zérékoré, nel sud del Paese. Lo staff è tutto guineano, e poi ci siamo io e Michele, il mio compagno di
viaggio. Al nostro arrivo abbiamo visitato i tanti progetti dell’organizzazione che toccano le fasce più
disagiate della popolazione: malati, donne vedove e abbandonate, carcerati… Il nostro ruolo è quello di
seguire con loro i progetti e di lavorare insieme dando idee e il nostro contributo, per quanto possibile.
L’attività a cui devo dedicare più tempo è l’organizzazione e la gestione del CMC, il centro medicochirurgico finanziato dalla Caritas Italiana e gestito completamente da personale locale. È un lavoro non
certo facile, che si scontra ogni giorno con le difficoltà concrete legate alla realtà del luogo e con le
differenze culturali che di sicuro sono molto marcate.
 Come riesci ad intessere relazioni con la popolazione locale?
 Come ti sei trovata? Quale impatto ha avuto su di te emotivamente il vivere in un paese tanto diverso dal
nostro?
Oltre al lavoro, la vita nella regione forestale della Guinea scorre lenta, la città non offre molti svaghi e ho
dovuto dimenticare la marea di attività e proposte presenti in Italia. La Guinea offre tempi lunghi, una
preponderante vita comunitaria, tante danze di donne e giochi di strada di bambini. Intessere relazioni
umane con la gente del luogo non è stato difficile, mi sono sempre sentita bene accolta, anche se le
differenze culturali sono tante e a volte mi sembra di viaggiare su mondi davvero diversi e difficilmente
comunicabili. Tuttavia, un piatto di riso in mezzo alla propria famiglia allargata è una proposta che mi è
stata fatta molte volte e a cui non ho mai saputo rinunciare.
 I primi mesi sono stati piuttosto impegnativi a causa degli spostamenti per ragioni legate al pericolo ebola....ti
restano 8 mesi di servizio, fai delle previsioni?
Tutto questo ricco mondo in cui mi sono catapultata appena scesa dall’aereo l’ho dovuto abbandonare solo
dopo un mese e mezzo di vita lì. A causa di una pericolosa epidemia di ebola, infatti, sono stata spostata
per un mese a Dakar, in Senegal, e da lì sono poi ritornata in Italia per un rientro intermedio e per seguire il
corso di formazione proposto dalla Caritas a Roma. Ora che l’allarme ebola si sta lentamente ritirando, sono
di nuovo in partenza per il mio progetto originario in Guinea. Il mio desiderio più grande è quello di riuscire
ad inserirmi al massimo nel lavoro dell’OCPH e a sentire che il mio contributo serve. Non parto per salvare il
mondo, ma per lavorare insieme ai guineani e, come dice Baden Powell, cercare di renderlo un po’ migliore
di come l’ho trovato.
 Un messaggio ai tuoi coetanei affinché scelgano il servizio civile e soprattutto i Caschi Bianchi.
Ai ragazzi che, come sono stata io, sono in attesa di partire, dico di buttarsi con entusiasmo e cercare di
prendere il meglio dall’enorme possibilità che offre il servizio civile internazionale. Il confronto con il
diverso ci aiuta a metterci in discussione, a conoscere meglio noi stessi e gli altri, a ragionare senza
pregiudizi. Un’esperienza che sono sicura servirebbe a tutti vivere.