L`OSSERVATORE ROMANO
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L`OSSERVATORE ROMANO
Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLVII n. 24 (47.458) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano lunedì-martedì 30-31 gennaio 2017 . Due uomini armati fanno irruzione in una moschea a Québec e ammazzano sei fedeli Nuovo appello del Papa per i terremotati dell’Italia centrale Uccisi mentre pregavano Più solidarietà meno burocrazia Il Pontefice si unisce al dolore dei familiari e condanna la violenza QUÉBEC, 30. Terrore in Canada. Uomini armati hanno fatto irruzione ieri sera in una moschea a Québec aprendo il fuoco sui fedeli riuniti per la preghiera. Sei persone sono state uccise, altre otto ferite. In un telegramma a firma del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, inviato al cardinale Gérald Cyprien Lacroix, arcivescovo di Québec, Papa Francesco ha espresso solidarietà a tutti coloro che sono stati colpiti dalla tragedia e ha condannato l’attacco. «Apprendendo dell’attentato a Québec in una sala di preghiera del centro culturale islamico, che ha causato numerose vittime, Papa Francesco affida alla misericordia di Dio le persone che hanno perso la vita e si unisce nella preghiera al dolore dei loro cari». Il Pontefice — prosegue il telegramma — «esprime la propria profonda vicinanza ai feriti e alle loro famiglie, così come a tutte le persone che hanno contribuito ai soccorsi, chiedendo al Signore di dare loro conforto e consolazione nella prova». Il Papa «ancora una volta condanna fermamente la violenza che provoca tante sofferenze e, chiedendo a Dio il dono del rispetto reciproco e della pace, invoca sulle famiglie messe alla prova e sulle persone toccate da questo dramma, così come su tutti gli abitanti del Québec, i benefici delle Benedizioni divine». Già questa mattina, dopo la messa a Santa Marta, il Papa si era intrattenuto con il cardinale Lacroix, assicurando preghiere per le vittime. Nel breve incontro il Pontefice ha sottolineato l’importanza di restare in questi momenti tutti uniti nella preghiera, cristiani e musulmani. Il cardinale, in questi giorni a Roma, è subito ripartito per il Canada e in un tweet ha scritto: «I musulmani sono nostri fratelli e sorelle. Condoglianze e preghiere». Anche il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso attraverso un comunicato ha espresso «profonda tristezza e indignazione» per l’attentato. «Con questo gesto insensato La moschea a Québec colpita dall’attacco (Ansa) sono stati violati la sacralità della vita umana e il rispetto dovuto a una comunità in preghiera e al luogo di culto che l’accoglieva»: per questo il Pontificio consiglio «condanna fermamente quest’atto di inaudita violenza e desidera far pervenire la sua piena solidarietà ai musulmani del Canada, assicurando la sua fervida preghiera per le vittime e le loro famiglie». L’attacco a Québec è stato definito dal primo ministro canadese, Ju- stin Trudeau, «un attacco terroristico contro i musulmani». È straziante — ha aggiunto il premier — «vedere una simile violenza insensata». Espressioni di solidarietà e vicinanza al Canada sono giunte dagli Stati Uniti, dalla Russia e da numerosi altri Paesi. «L’Unione europea è con il Canada e con tutti i canadesi in questo triste giorno» ha dichiarato l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza comune, Federica Mogherini. «Il governo è vicino alle vittime, ai familiari, alla comunità musulmana canadese, oltre che al governo e al premier Trudeau» ha detto il presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni. Il capo dello stato francese, François Hollande, ha espresso una «netta condanna» contro «l’odioso attentato». Anche Al Azhar, massima autorità dell’islam sunnita, ha condannato oggi «il doloroso attentato» ed espresso «la sua profonda inquietudine». La dinamica dell’attentato a Québec non è ancora del tutto chiara. Né ci sono rivendicazioni al momento. L’attacco è avvenuto intorno alle 20 (ora locale), nella sezione maschile della moschea, mentre una cinquantina di persone era raccolta nel luogo di culto. Un testimone ha riferito di aver visto due uomini coperti da maschera nera; uno di loro aveva un «marcato accento del Québec». I due hanno fatto irruzione nell’edificio, eludendo i controlli, e aperto il fuoco sui presenti. Molti sono riusciti a fuggire in un centro sportivo collegato alla moschea. Gli attentatori si sono poi dati alla fuga. La polizia, che indaga per terrorismo, ha reso noto che al momento due persone sono state arrestate. Nulla porta a ritenere che ve ne siano altre in fuga. Rafforzate, intanto, le misure di sicurezza in tutte le principali città canadesi. Le autorità locali hanno disposto un aumento della presenza degli agenti nei pressi di tutte le moschee e dei centri culturali islamici. Il primo ministro Trudeau ha ricordato che «i musulmani canadesi sono una parte importante della nostra azienda nazionale, e questi atti senza senso non trovano posto nelle nostre comunità, città e paesi». La diversità «è la nostra forza e la tolleranza religiosa è un valore che, come canadesi, abbiamo caro». Nei giorni scorsi Trudeau aveva affermato la volontà di accogliere i rifugiati «indipendentemente dalla loro fede». Un nuovo appello per «le popolazioni dell’Italia Centrale che ancora soffrono le conseguenze del terremoto e delle difficili condizioni atmosferiche» è stato lanciato da Papa Francesco al termine dell’Angelus del 29 gennaio. In particolare il Pontefice ha auspicato che non vengano a mancare «il costante sostegno delle istituzioni e la comune solidarietà» e che «qualsiasi tipo di burocrazia non faccia aspettare e ulteriormente soffrire» queste persone, alle quali ha voluto rinnovare la propria vicinanza. In precedenza il Pontefice aveva commentato per i fedeli presenti in piazza San Pietro il vangelo della domenica, incentrato sulle beatitudini (Matteo 5, 1-12a). Definendo «il grande discorso detto “della montagna”, la “magna charta” del Nuovo testamento», il Papa ha ricordato che in esso «Gesù manifesta la volontà di Dio di condurre gli uomini alla felicità». E se questo era un tema «già presente nella predicazione dei profeti», in quella di Gesù il «motivo della beatitudine, cioè della felicità, non sta nella condizione richiesta, ma nella suc- cessiva promessa, da accogliere con fede come dono di Dio». Dunque, ha chiarito il Papa, «si parte dalla condizione di disagio per aprirsi al dono e accedere al mondo nuovo, il “regno” annunciato da Gesù». Certo, ha avvertito Francesco, questo «non è un meccanismo automatico, ma un cammino di vita al seguito del Signore, per cui la realtà di disagio e di afflizione viene vista in una prospettiva nuova e sperimentata secondo la conversione che si attua». Infatti, «non si è beati se non si è convertiti, in grado di apprezzare e vivere i doni» del Signore. Al termine della preghiera mariana il Papa ha ricordato la giornata mondiale dei malati di lebbra e ha salutato i gruppi presenti, tra i quali i coloratissimi ragazzi dell’Azione cattolica della diocesi di Roma, due dei quali si sono affacciati con lui e hanno letto un breve messaggio. Al termine sono stati liberati in volo numerosi palloncini simbolo di pace. PAGINA 8 La Conferenza episcopale internazionale Santi Cirillo e Metodio in visita «ad limina» Contro il provvedimento del presidente Trump sul blocco dell’immigrazione da sette paesi islamici Proteste negli Stati Uniti y(7HA3J1*QSSKKM( +/!z!=!%!#! 1WASHINGTON, 30. Sta facendo discutere il recente provvedimento del presidente statunitense, Donald Trump, che stabilisce lo stop degli ingressi nel paese per i cittadini provenienti da sette Paesi considerati a rischio terrorismo: Iran, Iraq, Libia, Siria, Somalia, Sudan e Yemen. I procuratori di quindici stati e di Washington hanno emesso una dichiarazione congiunta con cui condannano come incostituzionale il provvedimento, affermando che la libertà religiosa è un principio fondamentale del Paese. I giudici auspicano che l’ordine esecutivo sia ritirato e si impegnano a garantire che il minor numero possibile di persone soffrano per questa situazione. Una prima breccia legale nell’ordine di Trump era arrivata nella notte tra sabato e domenica dalla giudice Ann M. Donnelly, del tribunale del distretto federale di Brooklyn. Donnelly aveva stabilito che i rifugiati o altre persone interessate dalla misura arrivate negli aeroporti statunitensi non potevano essere espulsi. La giudice non ha però stabilito che queste stesse persone debbano essere ammesse negli Stati Uniti. Intanto, diverse manifestazioni di protesta sono state organizzate in molte città, a cominciare da New York e Washington. Una protesta montata anche negli aeroporti statunitensi, dove migliaia di persone manifestano all’interno e all’esterno de- gli scali aerei e decine di avvocati si mobilitano per offrire assistenza legale alle persone bloccate nei terminal di New York, Chicago, Los Angeles, Boston e di altre città. Commenti negativi sull’ordine esecutivo di Trump sono giunti dalla Uccisi 14 membri di Al Qaeda in un raid statunitense Cento morti in una battaglia nello Yemen comunità internazionale. Durissima la reazione dell'alto commissario del Consiglio per i diritti umani dell'Onu, Zeid Al Hussein, che ha definito il divieto di ingresso «illegale e meschino». Il premier britannico Theresa May ha detto esplicitamente di non essere d’accordo con la misura. Posizione molto simile a quella espressa dal cancelliere tedesco, Angela Merkel, e da altri leader europei. Dalle nazioni colpite dall’ordine esecutivo, invece, arrivano le prime contromisure. L’Iran ha già deciso di impedire l’ingresso nel proprio territorio dei cittadini statunitensi. Trump, in un primo momento, ha confermato la linea dura: «Il nostro Paese ha bisogno di confini molto forti e di controlli rigorosi adesso. Guardate che cosa succede in tutta Europa e nel mondo, un caos orribile». Successivamente ha corretto il tiro, sottolineando che il provvedimento «non è un bando contro i musulmani. Ci sono altri 40 Paesi a maggioranza islamica non interessati dal provvedimento. La questione non è la religione, ma il terrorismo e la lotta per la sicurezza del Paese. Torneremo a rilasciare i visti una volta che avremo rivisto e completato le politiche più sicure nei prossimi 90 giorni». I vescovi degli Usa sull’immigrazione Mai come ora è tempo di accogliere PAGINA 6 Il dibattito su «Silence» di Martin Scorsese Forze lealiste combattono nei pressi del porto di Mokha (Reuters) PAGINA 3 PAGINA 5 Nella mattina di lunedì 30 gennaio, Papa Francesco ha ricevuto in udienza i presuli di Serbia, Montenegro, Kosovo ed ex-Repubblica Jugoslava Macedonia, in occasione della visita «ad limina Apostolorum» della Conferenza episcopale internazionale Santi Cirillo e Metodio NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza le Loro Eccellenze i Monsignori: — Francisco Polti Santillán, Vescovo emerito di Santiago del Estero (Argentina); — Jean-Claude Hollerich, Arcivescovo di Luxembourg; — Stanislav Hočevar, Arcivescovo di Beograd (Serbia), in visita «ad limina Apostolorum»; — János Pénzes, Vescovo di Subotica (Serbia), in visita «ad limina Apostolorum»; — Ladislav Nemet, Vescovo di Zrenjanin (Serbia), in visita «ad limina Apostolorum»; — Đuro Gašparović, Vescovo di Srijem (Serbia), in visita «ad limina Apostolorum»; — Djura Džudžar, Vescovo titolare di Acrasso, Esarca Apostolico per i fedeli di rito bizantino (Serbia), in visita «ad limina Apostolorum»; — Rrok Gjonlleshaj, Arcivescovo di Bar (Montenegro), in visita «ad limina Apostolorum»; — Ilija Janjić, Vescovo di Kotor (Montenegro), in visita «ad limina Apostolorum»; — Dodë Gjergji, Amministratore Apostolico di Prizren (Kosovo), in visita «ad limina Apostolorum»; — Kiro Stojanov, Vescovo di Skopje (Macedonia); Esarca Apostolico per i fedeli di rito bizantino residenti nella ex-Repubblica Jugoslava di Macedonia. Dalle Chiese Orientali Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Eparchia di Saida dei Maroniti (Libano), presentata da Sua Eccellenza Monsignor Elias Nassar. L’Eparchia sarà retta da Sua Eccellenza Monsignor Maroun Ammar, Vescovo titolare di Canata e Vicario Patriarcale di Joubbé, in qualità di Amministratore Apostolico sede vacante. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 lunedì-martedì 30-31 gennaio 2017 Salvataggio di migranti nel Canale di Sicilia (Reuters) Auspicate risposte concrete in tema di crescita economica e di migrazioni Si compatta il fronte dell’Europa meridionale LISBONA, 30. I paesi che si ritrovano nella definizione di Europa meridionale auspicano valori saldi e risposte concrete, sia in tema di crescita economica che in tema di migrazioni. È quanto emerso al vertice EuroMed, che sabato a Lisbona ha visto riuniti il presidente francese, François Hollande, il presidente cipriota Nikos Anastasiadīs, il presidente del governo spagnolo Mariano Rajoy, il primo ministro greco Alexis Tsipras, l’omologo portoghese António Costa, il maltese Joseph Muscat, e il presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni. I leader si erano riuniti una prima volta ad Atene a settembre scorso e si sono dati appuntamento per aprile a Madrid. A Lisbona si è parlato di crescita, sicurezza, a partire dal contrasto alla radicalizzazione, e di immigrazione. A proposito di questioni economiche, è emersa la linea critica nei confronti di troppa austerità. Hollande ha affermato che «ci sono paesi che cinque anni fa vivevano gravi difficoltà e hanno fatto enormi progressi ma non basta». Tutti han- Schulz candidato dell’Spd alla cancelleria BERLINO, 30. L’ex presidente dell’europarlamento Martin Schulz è stato scelto all’unanimità dai leader del partito socialdemocratico (Spd) come candidato alla cancelleria alle elezioni del 24 settembre. Lo hanno detto fonti dell’Spd durante il vertice di ieri del partito a Berlino. Schulz scende, dunque, in campo contro Angela Merkel, con l’obiettivo di prenderne il posto. E mettere la parola fine all’esperienza della Große Koalition. «L’Spd partecipa alle elezioni del 2017 per diventare la prima forza politica del Paese. E io corro per diventare cancelliere», ha affermato, nel suo primo discorso dopo l’ufficializzazione della candidatura da parte del presidio del partito. «Con questa politica non si può andare avanti, serve un nuovo inizio in Germania», ha dichiarato dal canto suo Sigmar Gabriel, che nei giorni scorsi ha passato a Schulz il testimone alla presidenza del partito socialdemocratico. Giustizia sociale e lotta ai populismi i temi principali toccati nella prima uscita pubblica in vista delle elezioni legislative del 24 settembre prossimo. Schulz, in questo primo discorso, ha attaccato il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, Alternative Für Deutschland (Afd), il partito di destra ed euroscettico, e la Csu bavarese, senza mai citare Angela Merkel. Ma ha puntato il dito contro la litigiosità dell’unione (Cdu-Csu), e ha sferzato il ministro delle finanze, Wolfgang Schäuble. «In Germania servono investimenti per creare lavoro, investimenti sulle infrastrutture e sull’istruzione — ha detto — e il fatto che il ministro delle finanze voglia usare il surplus di bilancio per tagliare le tasse, invece di investirlo per i nostri figli, vuol dire che serve un ministro delle finanze socialdemocratico». Se si fanno concessioni miliardarie alle banche «mentre l’intonaco cade dalle pareti nelle scuole non è giusto» ha insistito in un altro passaggio del lungo intervento. «L’Spd — ha poi aggiunto — vuole recuperare il suo profilo sociale, battendosi per la giustizia fiscale, contro le fughe di capitale, e per un’istruzione gratuita dall’asilo all’università». Temi, ha garantito Schultz, che saranno tutti al centro della prossima campagna elettorale. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va no concordato sul fatto che «ora servono politiche economiche più coordinate nel senso di una «spinta alla crescita». Gentiloni ha chiesto «sostegno a investimenti e lavoro, unione bancaria e un’interpretazione delle regole favorevole alla crescita». I sette leader, sostanzialmente concordi su questa linea, hanno sottolineato come un momento importante per discutere di politiche economiche sarà il vertice dell’Ue convocato il 25 marzo a Roma, nell’anniversario della firma dei Trattati fondativi. In quell’occasione — ha sottolineato Gentiloni — «dovranno essere riaffermati i valori dell’Europa, perché non sono più scontati». Per quanto riguarda la gestione dei migranti, è stato ribadito che «ognuno deve assumere un pezzo di responsabilità». Venerdì prossimo ne parleranno tutti i capi di stato e di governo dell’Ue nel vertice fissato a Malta. La commissione presenterà il suo piano per bloccare i flussi dall’Africa, che prevede, tra l’altro, un accordo particolare con la Libia. Vertice Euro-Med a Lisbona (Ansa) La Gauche sceglie Hamon mier, il cui governo ha dovuto vedersela per lunghi mesi con la “fronda” interna capeggiata, fra gli altri, proprio da Hamon, ha ribadito l’inconciliabilità dei programmi. «Io mi batto perché i giovani abbiano un lavoro, non perché abbiano i sussidi», con evidente riferimento al progetto distintivo del programma dell’avversario, il cosiddetto “reddito universale”. Valls ha rivendicato «il bilancio di questi anni» di governo: «La lotta e l’impegno contro il terrorismo, nonostante le difficoltà di bilancio, la legge sulle nozze gay e la tenuta dei conti, nonostante tutti gli sforzi per rilanciare il lavoro». Il primo turno delle presidenziali francesi è in programma per il 23 aprile. Il ballottaggio è invece previsto per il 7 maggio. Il vincitore delle primarie socialiste Benôit Hamon (Epa) Crollata ad Amatrice parte della chiesa di Sant’Agostino ROMA, 30. La terra continua a tremare nell’Italia centrale. Dopo la scossa di ieri di magnitudo 3,8 sulla scala Richter, è crollata nel paese di Amatrice la parete destra della chiesa di Sant’Agostino, già pesantemente lesionata dai precedenti terremoti. Lo riferiscono i vigili del fuoco in una nota. L’evento sismico, secondo i dati dell’istituto di Geofisica e vulcanologia, si è verificato a una profondità di 6 chilometri. Non ci sono persone coinvolte. La scossa è stata avvertita anche nei vicini centri GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va ROMA, 30. Un gruppo di 40 profughi siriani, tra cui molti bambini, donne, malati e anziani, è stamane arrivato all’aeroporto di Fiumicino con un volo di linea dal Libano. Si tratta infatti dell’iniziativa dei «corridoi umanitari» promossi dalla comunità di Sant’Egidio, dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia e dalla Tavola Valdese in collaborazione con il governo italiano. I nuovi arrivi, provenienti soprat- ATENE, 30. In Grecia fa scalpore la chiusura per debiti di uno dei più seguiti quotidiani del paese «Ta Nea». Ha annunciato la sospensione delle pubblicazioni dopo che la sua casa editrice, Lambrakis, non è riuscita a pagare i 99 milioni di euro in scadenza lo scorso dicembre. Identica sorte tocca a un’altra storica testata pubblicata dallo stesso gruppo, il settimanale «To Vima». La società Lambrakis, oltre alle due testate che scompaiono, controlla alcune riviste e la stazione radio «Vima Fm» e possiede una quota dell’altrettanto indebitata stazione televisiva «Mega». La casa editrice, in una nota, ha accusato le banche creditrici di aver pignorato tutti i suoi utili in maniera indistinta, «che vengano dalle vendite dei giornali o dalla pubblicità». Negli scorsi mesi, il presidente del gruppo editoriale, Stavros Psycharis, era stato messo sotto processo per evasione fiscale e riciclaggio. «Ta Nea» e «To Vima», sono stati fortemente critici nei confronti del primo ministro Alexis Tsipras. In ogni caso, due settimane fa il governo ha tentato di salvare il gruppo tramite un commissariamento, ma l’opposizione si è opposta accusando Tsipras di voler prendere il controllo del gruppo. Colloqui sul Kosovo di Accumoli, Cittareale, Borbona, Campotosto e Montereale. Proseguono senza sosta, intanto, le indagini della procura di Pescara sulla tragedia dell’hotel Rigopiano del 18 gennaio scorso, dove sono morte 29 persone. A tenere banco è, soprattutto, la questione dell’allerta valanghe, emessa poco prima della slavina che ha investito l’hotel di Farindola. Ieri in diversi comuni tra Marche e Abruzzo hanno avuto luogo i funerali di alcune delle vittime. Servizio vaticano: [email protected] A Roma quaranta siriani con i corridoi umanitari Due quotidiani greci chiusi per debiti Primarie socialiste per le presidenziali francesi PARIGI, 30. L’esponente della sinistra del partito socialista francese (Psf), Benôit Hamon, ha vinto di larga misura il ballottaggio di ieri delle primarie del Psf per la candidatura all’Eliseo. Secondo i dati ufficiali, Hamon ha ottenuto il 58,65 per cento dei voti, contro il 41,41 per cento del centrista ed ex primo ministro, Manuel Valls. Nel suo primo discorso dopo l’investitura, Hamon — vincitore contro ogni previsione del primo turno delle primarie di domenica scorsa — ha annunciato che «la gauche ha risollevato la testa» e che da oggi inseguirà il non facile progetto di riunire tutta la sinistra. «Proporrò a tutti i candidati della sinistra e degli ecologisti, tra i quali Jean-Luc Mélenchon e Yannick Jadot, di costruire insieme una maggioranza governativa coerente». Una dichiarazione — indicano gli analisti politici — che suona come una rottamazione del presidente, François Hollande, di Manuel Valls e dei cinque anni anni trascorsi nel tentativo di riformare la Francia. «Il nostro Paese — ha continuato Hamon — ha bisogno di una sinistra moderna e innovatrice. Bisogna scrivere una nuova pagina della nostra storia». Nel riconoscere la netta sconfitta, Valls ha dichiarato di «non portare rancore», affermando che è Benoit Hamon a rappresentare ora «tutta la famiglia socialista». Ma l’ex pre- Mentre continuano i soccorsi nel Mediterraneo BELGRAD O, 30. Il premier serbo, Aleksandar Vučić, e il presidente kosovaro, Hashim Thaçi, hanno avuto ieri un colloquio telefonico nel quale hanno concordato sulla prosecuzione del dialogo fra Belgrado e Pristina. Come riferisce l’edizione on line del quotidiano belgradese «Blic», i due interlocutori hanno sottolineato che il negoziato è l’unico modo per risolvere tutti i punti di disaccordo. Vučić e Thaçi, aggiunge il giornale, hanno espresso la volontà delle due parti di lavorare attiva- Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale mente per preservare pace e stabilità nella regione e per migliorare i rapporti tra serbi e albanesi, tra Belgrado e Pristina. I due leader si erano incontrati martedì scorso a Bruxelles per una nuova sessione di colloqui nell’ambito del dialogo sul Kosovo, sotto l’egida dell’Unione europea. Alla riunione, con l’alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, avevano preso parte anche il presidente serbo, Tomislav Nikolić, e il premier kosovaro, Isa Mustafa. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 tutto dalle città siriane di Aleppo, Homs e Damasco, sono i primi nel nuovo anno. Nel corso del 2016 con le stesse modalità ne sono arrivati 540. Intanto, sempre questa mattina, nel Mediterraneo si è svolta l’ennesima operazione di soccorso: 125 profughi a bordo di un gommone sono stati avvistati e salvati a 15 miglia dalle coste libiche, a ovest di Tripoli. Gli ultimi intercettati in ordine di tempo sono 108 uomini e 17 donne, due delle quali incinte, e 21 minorenni, di cui 20 non accompagnati. Nel weekend sono state centinaia le persone salvate. Solo in un caso è stato trovato un corpo senza vita. In Sicilia, al porto di Catania sono sbarcati oltre 700 migranti tratti in salvo in diverse operazioni, al porto di Messina sono stati accolti i 285 migranti che erano stati recuperati su uno stesso barcone al largo del canale di Sicilia. E proprio guardando alla tragedia di chi affronta il viaggio in mare e poi il difficilissimo iter dei centri di accoglienza e della richiesta di asilo, tra tanti numeri colpisce la singola vicenda del giovane eritreo che si è tolto la vita in un centro di accoglienza di Milano, dove si trovava da 12 mesi. Era giunto in Italia nel 2011, poi nel 2015 si era trasferito in Slovacchia, ma gli era stata respinta la richiesta di asilo e era stato rimandato in Italia. Per la Svizzera la Brexit non può attendere LONDRA, 30. Come e quando negoziare nuovi accordi commerciali con Londra. È la Svizzera a sollevare la questione, chiedendo che subito dopo la realizzazione della Brexit entrino in vigore i trattati nuovi. Ma il Regno Unito non può aprire negoziati senza aver realizzato il divorzio da Bruxelles. Il ministro dell’economia svizzero, Johann Schneider-Ammann, ha chiesto che un nuovo trattato di libero scambio con la Gran Bretagna entri immediatamente in vigore dopo l’uscita di quest’ultima dall’Ue. Precisamente, ha affermato che «non deve passare una giornata senza che una regolamentazione sia di nuovo in vigore» e che «la nuova intesa deve essere per lo meno altrettanto buona di quella attuale». Il punto è che la Gran Bretagna ha due anni di tempo per concludere i negoziati con Bruxelles. E il ministro britannico del commercio, Liam Fox, che si è detto molto interessato a un accordo con la Svizzera, ha precisato che Londra non può stipulare nuovi accordi finché è membro dell’Ue. Anche trattative formali sono vietate. Da segnalare, intanto, che domani il parlamento di Westminster discute la legge sulla Brexit proposta dal governo britannico. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 30-31 gennaio 2017 pagina 3 Uccisi 14 membri di Al Qaeda nel raid di un commando statunitense Cento morti in una battaglia nello Yemen Forze siriane riconquistano la valle del fiume Barada DAMASCO, 30. Avanzano i governativi in Siria. Grazie a un nuovo accordo raggiunto con alcuni gruppi di ribelli che controllavano la zona, le forze del presidente Assad sono entrate nella valle del fiume Barada, pochi chilometri a nord-ovest di Damasco, strategica per le sue risorse idriche che costituiscono la principale fonte di approvvigionamento per la capitale e il circondario. La battaglia durava da diverse settimane. L’area, nella quale sono presenti ancora ventimila civili in una situazione critica, era stata esclusa dalla tregua in corso nel paese poiché tra i ribelli sono presenti anche fazioni jihadiste, in particolare gli ex qaedisti di Jabhat Fateh Al Sham, già noto come Fronte Al Nusra. Gli insorti hanno cominciato a ritirarsi mentre le truppe governative entravano ad Ayn Al Fijeh, dove sgorgano le sorgenti di maggiore portata, nonché l’impianto di pompaggio dell’acqua della capitale. Insieme ai soldati nel villaggio sono arrivati tecnici e operai addetti alla manutenzione per riparare i danni subiti dalla struttura, non più operativa dal 23 dicembre scorso. Tale inattività aveva lasciato senza acqua ben cinque milioni di abitanti. Come detto, da cinque settimane l’area, che si estende a ridosso della catena montuosa del Qalamoun lungo il confine con il Libano, è stata teatro di violenti combattimenti malgrado il cessate il fuoco in vigore nell’intera Siria dal 30 dicembre. Una ventina di giorni fa era stata proclamata una temporanea sospensione delle ostilità, subito revocata in seguito all’uccisione di un mediatore, l’ufficiale a riposo Ahmed al Gadban, da parte di un cecchino. Una prima intesa complessiva raggiunta all’epoca era così rimasta lettera morta. Stando a quanto dichiarato all’agenzia di stampa ufficiale Sana dal capo negoziatore del regime, Ali Mohammed Yousuf, la tregua attuale prevede che i combattenti dell’opposizione consegnino le armi pesanti e siano trasferiti quindi in pullman a Deir Muqarin, località distante circa cinque chilometri in direzione est e ancora nelle mani dei loro compagni. SANA’A, 30. Nonostante lo Yemen occupi una posizione strategica molto importante, controllando parte dello stretto di Bab El Mandeb, che collega il Mar Rosso con lo stretto di Aden, il conflitto che vi sta combattendo resta praticamente dimenticato dai media internazionali. Che hanno anche ignorato la battaglia in corso nella regione di Mokha, sul Mar Rosso, nella quale, in sole 24 ore, sono morte oltre cento persone, per la maggior parte combattenti huthi. Nello Yemen si sta consumando «una catastrofe umanitaria senza precedenti», ha scandito Stephen O’Brien, vicesegretario generale per gli affari umanitari delle Nazioni Unite. E il coordinatore dell’O nu, Jamie McGoldrick, ha affermato la scorsa settimana che almeno 10.000 civili sono rimasti uccisi dall’inizio del conflitto, 40.000 feriti e tre milioni di persone hanno dovuto abbandonare le proprie case. Ma non sono molti a dedicare spazio e attenzione a questa carneficina. Nella battaglia sul Mar Rosso iniziata lo scorso 7 gennaio — con l’of- Nel blitz, scattato all’alba di domenica nel distretto rurale di Yakla, nella provincia di Bayda, sono stati uccisi Abdul-Raouf Al Dhahab, Sultan Al Dhahab e Seif Al Nims, tre leader di Al Qaeda nel paese, ma non tutto è andato come previsto. Oltre al soldato statunitense ucciso, infatti, altri quattro militari americani sono rimasti feriti, l’esercito ha perso un velivolo — un elicottero, secondo le indiscrezioni dei media — ma soprattutto l’operazione ha provocato un alto numero di vittime civili. Da parte sua, Donald Trump ha definito il raid un «successo» e ha definito «eroico» il militare ucciso, auspicando una pronta guarigione ai soldati feriti. «In un raid di successo contro i quartieri generali di Al Qaeda le coraggiose forze statunitensi sono state determinanti nell’uccidere un numero stimato in 14 membri di Aqap e nell’impossessarsi di importanti informazioni di intelligence che aiuteranno gli Stati Uniti a prevenire atti di terrorismo contro cittadini e persone in tutto il mondo», si legge in un comunicato. Carri armati in azione sulla costa del Mar Rosso (Afp) All’esame del parlamento israeliano L’esercito afghano non è in grado di contrastare i talebani Legge per la sanatoria degli insediamenti Una quarantina di scuole chiuse a Herat TEL AVIV, 30. Viene presentata oggi alla Knesset la legge sulla sanatoria degli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Se venisse approvata, sarebbero regolarizzati tra i 2500 e i 4000 alloggi tra i quali figurano — secondo l’associazione Peace Now — anche circa 797 strutture in 55 avamposti. Il premier Benjamin Netanyahu ha spiegato, nella seduta di governo tenutasi ieri, che la proposta di legge è destinata a «normalizzare lo status degli insediamenti e a prevenire i ricorrenti tentativi di danneggiarli». Nella stessa occasione il capo dell’esecuti- vo ha detto che «l’ambasciata statunitense dovrebbe essere a Gerusalemme»: un chiaro riferimento alla recente proposta del presidente Donald Trump. Intanto, non si fermano le violenze nella regione. Un palestinese di 19 anni è stato ucciso ieri in scontri con l’esercito israeliano nel corso di un’operazione che ha portato all’arresto di ricercati nel campo profughi di Jenin nel nord della Cisgiordania. Secondo l’esercito israeliano, i soldati hanno risposto al lancio di ordigni esplosivi da parte di due giovani e uno di loro è stato colpito. Un insediamento ebraico vicino alla città di Hebron in Cisgiordania (Epa) Ad Addis Abeba il vertice dell’Unione africana ADDIS ABEBA, 30. Il vertice dell’Unione africana (Ua) che si apre oggi ad Addis Abeba promette di essere uno dei più importanti degli ultimi anni. All’ordine del giorno figurano la richiesta di reintegrazione del Marocco, l’elezione di un nuovo esecutivo e l’analisi delle crisi che colpiscono il continente. Secondo alcuni esperti il summit potrebbe rivelarsi decisivo per il futuro dell’organizzazione e per la sua coesione interna. L’Ua è chiamata a trovare un punto di equilibrio nelle varie controversie, anche per presentarsi unita di fronte alle nuove sfide rappresentate dall’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca e dall’entrata in carica del nuovo segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, che aprirà il vertice. Per oggi è prevista in particolare la discussione sull’eventuale rientro del Marocco a pieno titolo nell’or- fensiva delle forze lealiste del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi appoggiate dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita contro i ribelli huthi sostenuti dai miliziani dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh al potere per oltre trent’anni — centinaia di combattenti sono rimasti uccisi. Le truppe lealiste tentano di conquistare completamente la città di Mokha ma gli huthi oppongono una strenua resistenza. Approfittando di questa situazione di instabilità, Al Qaeda nella penisola arabica (Aqap) e i miliziani del cosiddetto stato islamico (Is) hanno rafforzato la loro posizione. E gli Stati Uniti non hanno dato tregua in questi ultimi anni ad Al Qaeda nella penisola arabica. E almeno 14 membri dell’organizzazione terroristica sono stati uccisi, oltre a un soldato statunitense, nella prima operazione approvata ieri dal presidente statunitense, Donald Trump. Un raid con un commando sul terreno nel centro dello Yemen che aveva per obiettivo l’uccisione di tre alti esponenti di Al Qaeda. ganizzazione. Il regno ha lasciato l’Ua nel 1984 per protesta contro l’ammissione della Repubblica araba Saharawi democratica proclamata dal fronte Polisario nel Sahara occidentale, un territorio che Rabat considera sotto il suo controllo. Nel mese di luglio il Marocco ha reso nota la sua volontà di tornare nell’organizzazione e re Mohammed VI ha annunciato la sua presenza ad Addis Abeba. Già ieri ad Addis Abeba si sono avute le prime dichiarazioni. In particolare Guterres durante un incontro sulla situazione umanitaria in Etiopia, ha elogiato la generosità di Addis Abeba che anche di fronte alla peggiore siccità degli ultimi 50 anni ha continuato ad accogliere i rifugiati provenienti da paesi vicini in crisi. Si tratta di «un esempio», ha detto il segretario generale dell’O nu. KABUL, 30. Oltre 40 scuole sono state chiuse nella provincia occidentale afghana di Herat per motivi di sicurezza. Lo riferisce oggi Tolo tv di Kabul. Citando fonti del dipartimento dell’educazione provinciale, l’emittente precisa che si tratta di almeno 2000 bambini che non possono usufruire del loro diritto all’istruzione. Il problema riguarda, ha indicato il portavoce del governo provinciale Farhad Jalani, 41 scuole che si trovano nei distretti di Shindand, Guzra, Gulran, Oba e Zindagan dove le forze di sicurezza afghane non sono in grado di contrastare efficacemente l’attività dell’insorgenza. Sempre Tolo tv sostiene inoltre che esistono studi secondo cui attualmente oltre 150 scuole sono chiuse nelle province occidentali dell’Afghanistan per ragioni di sicurezza. E intanto, il vicecapo della commissione militare dei talebani in Afghanistan è stato ucciso venerdì sera nel corso di una imboscata tesagli dalle forze di sicurezza nella provincia meridionale afghana di Zabul. Il capo della sicurezza di Zabul, Ghulam Jailani Farahi, ha indicato che Mawlawi Sidiqullah è stato ucciso insieme ad altri nove insorti. Lo stesso Farahi ha aggiunto che dopo l’opportuna identificazione, il cadavere del responsabile militare talebano è stato trasferito all’ospedale di Qalat City, il capoluogo provinciale. Da parte loro i responsabili dei talebani afghani non han- Proteste e caos nel Camerun YAOUNDÉ, 30. Nella regione meridionale del Camerun dove la maggioranza della popolazione parla inglese, sono in corso proteste per chiedere la fine dell’uso esclusivo della lingua francese nei tribunali e nel sistema scolastico. Le manifestazioni di dissenso sono iniziate nel mese di ottobre dello scorso anno, quando un gruppo di avvocati anglofoni sono scesi in piazza nella città di Bamenda, capitale della regione nord-occidentale, per contestare l’uso del francese nei tribunali e la mancanza di versioni in inglese di alcuni atti giuridici. A loro nel tempo si sono uniti altri gruppi che rivendicano più in generale una autonomia maggiore della popolazione anglofona, che è considerata discriminata dal governo centrale di Yaoundé. La risposta dell’esecutivo è stata molto dura, concretizzandosi di fatto nel ricorso alle forze dell’ordine. Si sono registrati arresti e una severa repressione delle manifestazioni. Le proteste però non si sono interrotte sia nel nord-ovest, sia nel sud-ovest, le due regioni a maggioranza anglofona abitate da circa 3,2 milioni di persone. Dal 17 gennaio, inoltre, i collegamenti a internet sono stati interrotti proprio nelle regioni dove si parla prevalentemente la lingua inglese, provocando disagi e una vera e propria paralisi dell’economia. Il sud del paese era la parte meridionale del mandato britannico del Camerun in Africa occidentale. Dal 1984 fa parte della Repubblica del Camerun. Nello stesso anno è stato creato il Movimento anglofono del Camerun che, dopo un’iniziale richiesta di autonomia ha iniziato a rivendicare l’indipendenza completa dall’autorità centrale. no finora commentato la notizia per confermarla o smentirla. Nel frattempo, Kabul lancia una campagna per l’arruolamento di donne soldato a poche settimane dalle polemiche per la richiesta di asilo negli Stati Uniti presentata dalla prima pilota militare afghana, la top gun Nilofar Rahmani. Il ministero della difesa ha annunciato incentivi per le reclute donne dell’esercito (Ana). Secondo i dati ufficiali sono arruolate nell’esercito 1575 donne soldato e l’obiettivo è arrivare a 195.000 unità. Attualmente, ha spiegato il portavoce del ministero Dawlat Waziri, più di 400 donne stanno frequentando i corsi di addestramento. Tra le future soldatesse c’è anche un gruppo di afghane che si sta addestrando in Turchia. «Ci sono 5000 posizioni aperte per reclutare donne nell’esercito», ha affermato Waziri. A più di 15 anni dalla caduta del regime dei talebani, l’uguaglianza di genere in Afghanistan resta un miraggio ed è infuocato il dibattito sulla presenza di donne tra le fila delle forze di sicurezza. Assassinato un consulente di Aung San Suu Kyi NAYPYIDAW, 30. Ko Ni, un avvocato e consigliere legale della Lega nazionale per la democrazia, il partito in Myanmar guidato dal premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, è stato assassinato ieri a colpi di arma da fuoco all’aeroporto di Yangoon. Ex attivista ed ex detenuto politico, musulmano, Ko Ni — esperto di diritto costituzionale, che ha lavorato al progetto della Lega nazionale per la democrazia di emendare la carta fondamentale voluta dai militari — è morto dopo essere stato colpito alla testa mentre prendeva un taxi. Al momento dell’aggressione, aveva con sé un bambino, probabilmente il nipote, rimasto illeso. Ucciso anche l’autista del taxi, mentre altre sette persone sono rimaste ferite. Un uomo è stato arrestato dalla polizia. L’anno scorso, Ko Ni aveva contribuito a fondare l’associazione degli avvocati musulmani di Myanmar e aveva sottolineato pubblicamente la necessità di lottare per i diritti dei musulmani nel paese del sudest asiatico. Era molto noto per le sue posizioni a favore della democrazia, della tolleranza religiosa e del pluralismo. Suu Kyi non ha ancora commentato l’accaduto, ma l’omicidio — rilevano gli analisti — rischia di innescare un pericoloso periodo di tensioni nella nascente democrazia del Myanmar, da neanche un anno guidata dietro le quinte da Suu Kyi nel governo di Htin Kyaw. Ko Ni aveva spesso criticato l’eccessivo potere nelle mani dell’esercito — che tuttora controlla tre ministeri chiave, tra cui gli interni e la difesa — così come lo stesso partito del Nobel per la pace, che l’anno scorso non aveva candidato nessun musulmano tra i suoi ranghi in vista delle legislative. Negli ultimi mesi, inoltre, si è riaccesa in Myanmar la questione della minoranza etnica musulmana dei rohingya. Toyota cede a Volkswagen il primato mondiale delle vendite TOKYO, 30. La compagnia automobilistica giapponese Toyota ha perso il primato mondiale delle vendite, scalzata dalla tedesca Volkswagen. Nel 2016 Toyota ha venduto 10,18 milioni di auto, con un leggero rialzo rispetto all’anno precedente che però non le permette di superare le 10,3 milioni di unità registrate dal colosso tedesco. Per la Volkswagen si tratta di un livello record, raggiunto nonostante l’impatto negativo del «dieselgate». Toyota ha dunque perso una supremazia mondiale che deteneva ininterrottamente dal 2008, con l’eccezione del 2011, anno dello tsunami che ha devastato il Giappone. Dietro ai due colossi, secondo gli esperti, dovrebbe piazzarsi General Motors, che nel 2015 ha registrato vendite per 9,8 milioni di unità e che per il 2016 deve ancora fornire dati ufficiali. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 lunedì-martedì 30-31 gennaio 2017 Pio XI in visita ai padiglioni dei Musei vaticani in allestimento per l’esposizione del 1925 Cristianesimo e cambiamento di epoca di RODRIGO GUERRA LÓPEZ a letteratura sull’esaurirsi della modernità e sulle reazioni che vengono definite postmoderne è immensa. Da diversi decenni campeggia ovunque la consapevolezza che un’epoca è giunta al suo termine e che a livello globale sta emergendo una certa novità culturale: in ambiti molto diversi come la teoria dell’architettura, la filosofia o la sociologia si sono forgiate importanti interpretazioni sulla crisi epocale contemporanea che a loro volta sono state un sintomo dello sconcerto dinanzi al crollo di certezze fino a poco tempo fa incontestate o considerate incontestabili. La Chiesa non è rimasta ai margini di tali riflessioni. I poveri, le donne e i giovani sono tre modi di toccare la frontiera, l’avanguardia, la periferia dell’esperienza cristiana al momento di un “cambio di epoca” come quello attuale. L’America latina è una comunità pluriculturale di nazioni in cui il sostrato cattolico opera come uno degli elementi più decisivi e agglutinanti della sintesi culturale che ci caratterizza come regione. Questo sostrato cattolico non è puramente religioso né puramente culturale, bensì mostra l’efficacia dell’inculturazione del Vangelo e dell’evangelizzazione della cultura che, seguendo l’analogia dell’Incarnazione, assume e riassume in ogni generazione i cammini umani che come persone e come popoli intraprendiamo. Le erosioni e i mutamenti di questo sostrato identitario sono evidenti e sicuramente proseguiranno a lungo. Pubblichiamo l’inizio e la Nondimeno, nella conclusione di un intervento al loro consistenza convegno intitolato «Da Puebla profonda possiamo ad Aparecida. Chiesa e società in osservare che si rinAmerica latina (1979-2007)» e nova continuamenorganizzato dall’Istituto di studi te e si riformula ciò politici San Pio V con il che sta all’origine patrocinio dell’Istituto italodi tutto: la sensibilatinoamericano. Tenuta il 26 e 27 lità dei popoli pregennaio scorso a Roma nella sede colombiani, l’eredidell’Istituto Luigi Sturzo, tà ispano-lusitana e l’iniziativa ha delineato un il cristianesimo. bilancio del presente e del Anche nelle comupassato recente del cattolicesimo , nità più secolarizzasullo sfondo dell’elezione del te dell’America latiprimo Papa americano. Rodrigo na questi elementi Guerra López presiede il Centro fusi sono riconoscide Investigación Social Avanzada bili, come è riconodi Querétaro, in Messico. scibile che non L Il metodo Guadalupe smettono di occupare un livello centrale, fondante, nella dinamica sociale, anche quando le persone si possono identificare come “non credenti”. In altre parole, anche il fenomeno della non credenza in America latina è costruito all’interno della matrice culturale fondamentale, dove l’esperienza religiosa continua a svolgere un ruolo simbolico e agglutinante. Se dovessimo individuare un luogo di sintesi originaria di tutto questo complesso fenomeno storico e sociale, difficilmente troveremmo un esempio migliore del potenziale simbolico e religioso che possiede l’evento guadalupano, e la sua trascendenza. Lasciando per un momento da parte le questioni storiografiche complesse ed esaminando soltanto il suo carattere esemplare e sintetico, ritengo che sia possibile affermare che nella presenza di Maria di Guadalupe e nel suo messaggio a Juan Diego si possono percepire gli elementi fondamentali che fanno sì che l’inculturazione del Vangelo e l’evangelizzazione della cultura nei momenti di cambiamento epocale possano realizzarsi e proseguire in modo creativo. È chiaro che non basta ripetere discorsi rivelatisi efficaci in passato. Ed è altresì chiaro che nuove problematiche e sensibilità vanno accolte prima di essere giudicate. Perciò, al di là delle metodologie esogene, il cristianesimo latinoamericano possiede in Guadalupe un metodo proprio che curiosamente possiede una pertinenza singolarissima per il momento tardo-moderno o post-moderno che stiamo vivendo e che ad alcuni di noi appare di così difficile interpretazione. In lei il calore e la vicinanza del divino si manifestano con volto femminile. In lei non c’è traccia di moralismo ma di attenzione tenera e fedele alla fragilità e al dolore. Inoltre, in Maria di Guadalupe è possibile individuare un messaggio profetico e liberatore che trascende di molto l’orizzonte del cristianesimo borghese e il facile impegno ideologico apparentemente anti-sistemico. Perciò, a quattordici anni dal quinto centenario dell’evento guadalupano, forse è bene volgere lo sguardo a esso e cercare di imparare ancora qualche lezione pertinente per il presente e il futuro delle nostre società e della nostra Chiesa. Approfondire la questione, richiederà, sicuramente, nuove ricerche. Dal 1851 al 2015 Il Vaticano e le esposizioni internazionali di ARABELLA CIFANI ’idea di «Esposizione Universale» nacque per la prima volta nel 1851, a Londra. Alberto, marito della regina Vittoria, presidente della Royal Society of Arts, ebbe l’intuizione di organizzare una grande esposizione per mostrare al mondo le meraviglie dei progressi tecnologici e della nascente industrializzazione. Le Expo universali si susseguirono con crescente successo. A Parigi nel 1867, per i fasti del secondo impero, furono quindici i milioni di visitatori; a Vienna nel 1873 sette milioni. Nel 1876 fu la volta del nuovo mondo: a Philadelphia venne commemorato il centenario dell’indipendenza americana. Nel 1889 si tornò a Parigi nel centenario della rivoluzione francese; la Tour Eiffel divenne simbolo, da allora perenne, della città: si presentarono i primi prototipi di automobili e la luce elettrica: invenzioni destinate a cambiare il mondo. Nel 1906 Milano solennizzò l’apertura del traforo del Sempione: apertura dell’Italia del nord industrializzata verso l’Europa. Nel 1915 l’Expo fu tenuta a San Francisco per l’apertura del Canale di Panama: i visitatori furono 18 milioni. Dopo la prima guerra mondiale, nel 1928 fu creato per l’Expo, che favoriva un business straordinario, il Bureau International des Expositions. L’Expo di Parigi del 1931 aprì ai paesi coloniali. Nell’occasione fu anche evidenziato il ruolo delle missioni nel programma di civilizzazione colonialistica: furono costruite due chiese, una cattolica e una protestante. Seguirono: nel 1933 Chicago e nel 1937 Parigi. La seconda guerra mondiale sospese la grande manifestazione, che riaprì a Bruxelles nel 1958. La Chiesa è sempre stata in prima fila nelle Expo sino dal lontano 1851 e ha partecipato quasi sempre a questi eventi, fino all’ultima di Milano del 2015, testimoniando così dei molteplici interessi che la animano, del L Per l’Expo del 1867 Pio IX volle la ricostruzione su scala reale delle catacombe romane E la volle visionare prima dell’invio a Parigi coraggio nel confrontarsi senza remore con altre culture e religioni. Un innovativo volume Attraversare la storia. Mostrare il presente. Il Vaticano e le Esposizioni internazionali 1851-2015 (pagine 272, euro 39) appena pubblicato dalle Edizioni dei Musei Vaticani e da 24 Ore Cultura, a cura di Micol Forti, direttore delle collezioni vaticane di Arte moderna, Federica Guth e Rosalia Pagliarani, con presentazione del cardinale Gianfranco Ravasi e prefazione di Antonio Paolucci, viene a ripercorrere, con il supporto di una ricca documentazione d’archivio, la lunga storia delle partecipazioni della Santa Sede alle Esposizioni universali. Il primo capitolo si occupa delle partecipazioni della Chiesa alle Expo dal tempo di Pio IX fino alla mostra di Chicago del 1893. Non certo una Chiesa imbalsamata e odorosa di sacrestia. A Londra nel 1851 furono presentate sculture squisite come l’Amore e Psiche di Giovanni Maria Benzoni; inoltre mosaici della celebre Scuola vaticana, cammei, ma anche minerali, asfalti naturali, allume e altri prodotti industriali provenienti dagli stati pontifici. Pio IX non si sottrasse al confronto tecnico scientifico, anzi. Nel 1855 la Chiesa cattolica fu presente all’Expo di Parigi, pur nella difficile temperie politica italiana. Nell’Expo di Londra del 1862 lo Stato pontificio, anche se nella drammaticità dell’immediato momento post-unitario italiano, ebbe uno stand proprio con oggetti appartenenti alle belle arti, industria e arti meccaniche. A Parigi, nel 1867, la presenza della Santa Sede era ormai assodata e con solida esperienza. Pio IX volle che si realizzasse in scala reale una suggestiva ricostruzione idealizzata delle catacombe romane, che volle visionare personalmente prima della partenza per la Francia e che fu visitatissima. C’erano però anche strumenti scientifici all’avanguardia come il meteorografo di padre Secchi, che permetteva le prime previsioni del tempo su base accertata. Dopo la presa di Porta Pia nel 1870, la Santa Sede incominciò a guardare con crescente simpatia agli Stati Uniti. Fu così presente all’Esposizione del 1876 a Philadelphia, sia pure con pochi pezzi di mosaico e di arazzi. A Chicago, nel 1892, il Vaticano inviò mosaici, lettere originali e in copia di Colombo; inoltre contribuì alla ricostruzione del convento francescano di Palos dove aveva soggiornato Colombo. La Santa Sede, durante l’O ttocento, organizzò anche mostre a Roma. Del 1870 è L’esposizione romana delle opere di ogni arte eseguite pel culto cattolico promossa da Pio IX pochi mesi prima di Porta Pia: Virginio Vespignani progettò le strutture espositive nel chiostro della basilica di Santa Maria degli Angeli. Nel 1888 un’altra mostra fu aperta nelle Gallerie e nei Giardini vaticani: una serie di splendide foto storiche evoca il gusto del neogotico allora trionfante. Fra 1904-1936 ne seguirono altre in Vaticano: expo missionarie, mariane, stampa cattolica; una foto del 1925 presenta Pio XI che assiste personalmente all’allestimento dei padiglioni all’interno dei Musei vaticani. Nel 1904 la Santa Sede fu presente all’Expo di Saint Louis con pezzi preziosi provenienti dalla Biblioteca vaticana, con gigantografie della Cappella Sistina e delle Stanze di Raffaello, disegni delle catacombe, copie da Guido Reni. Nel 1929 a Barcellona, nel 1931 a Parigi e nel 1935 a Bruxelles, la Santa Sede partecipò con un ruolo significativo e si dimostrò assai sensibile ai nuovi linguaggi per l’arte sacra, e alle grandi mutazioni sociali che stavano investendo le comunità cattoliche, nel settore delle famiglie, delle scienze dei dibattiti culturali. Fra 1950 e 1958 due furono gli eventi di maggior rilievo nel settore espositivo: la mostra internazionale di arte sacra per il giubileo, e l’Expo di Bruxelles. Ma è indubbiamente l’Expo di New York del 1964-1965 a catalizzare i visitatori, poiché in quell’occasione fu esposta la Pietà di Michelangelo, mai uscita prima dal Vaticano. L’allestimento dello scenografo Jo Mielziner trasformò l’esposizione della Pietà in una apoteosi visitata da ventisette milioni di persone. Il padiglione volle nell’occasione tracciare una storia della cristianità da Cristo al concilio Vaticano II; fu allora presentata anche la ricostruzione della tomba di san Pietro sotto la basilica vaticana. Montreal 1967 e Osaka 1970 videro la nascita di “padiglioni ecumenici” e un Christian pavillon radunò sette comunità religiose fra cui quella cattolica. L’affascinante storia delle Expo è proseguita dagli anni ottanta del Novecento ai giorni nostri. Il Vaticano si è sempre distinto per prestiti altissimi: la Pietà di Caravaggio e gli me tavola al centro della sala e una superficie multimediale sulla quale venivano proiettate le immagini di tutti i contesti quotidiani in cui si può usare un tavolo: raduno familiare, altare, mensa, base di lavoro degli artigiani, banco di cucina, tavolo operatorio in ospedale, refettorio di un monastero. La suggestiva struttura architettonica, scheggiata da scritte sottili, progettata da Corrado Annoni, Stefano Parodi, Michele Reginaldi e Daniela Saviola, ha inteso comunicare l’idea della roccia, della pietra su cui Cristo ha costruito la sua Chiesa. La mostra del 1888 in Vaticano arazzi di Raffaello a New Orleans nel 1984; il Ciborio di Sisto IV a Siviglia nel 1992. Il ricordo dell’Expo di Milano del 2015 è invece ancora vivissimo. La Santa Sede, in una “dimensione etica e antropologica”, si è dedicata alla custodia della terra, all’educazione, al cibo fattore di vita e al cibo eucaristico fattore di vita eterna: temi che hanno coinvolto e invitato il pubblico a riflettere. Focus dell’expo vaticana, una enor- Il bellissimo volume chiude il lungo viaggio finora compiuto dal Vaticano nelle Expo fino al 2015. Conclusione provvisoria. La Chiesa sicuramente continuerà a essere presente in questo «gran quadro sinottico della civiltà umana», che presenta «adunato quanto l’uomo ha compiuto di meraviglioso sopra la terra» (Guido Gozzano), nell’ottica della sua vocazione universale a salvaguardia dell’uomo. Salmi a ritmo di reggae Non è certo una novità che la musica reggae, con il suo inconfondibile ritmo in levare, attinga a piene mani dai testi biblici per proporre il suo messaggio di riscatto. E in questa scia si inserisce l’iniziativa lanciata da Prixm, che nella sua newsletter pubblicata il 29 gennaio, rilancia un video di Alpha Blondy — cantante reggae ivoriano con alle spalle una prestigiosa collaborazione con i Wailers di Bob Marley — con la sua versione del salmo di Davide. Il video ha superato i due milioni di visualizzazioni in rete ed è un esempio calzante dell’obiettivo di Prixm, che nasce per «ridare gusto alla Bibbia». La newsletter offre gratuitamente ogni settimana un approfondimento dedicato a un testo biblico, con un commento e le sue interpretazioni nelle diverse forme artistiche. Il suo scopo è far comprendere, con una comunicazione dai toni giocosi e attraverso contenuti che non richiedono più di tre minuti di attenzione, «come la Bibbia abbia influenzato l’arte per oltre duemila anni. Cosa dicono i suoi testi e cosa vogliono significare». Prixm è uno dei quattro progetti di «Pitch my Church #2», un’iniziativa promossa da Église et innovation numérique per favorire in Francia la nascita di startup cattoliche nell’ambito delle nuove tecnologie. (solène tadié) L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 30-31 gennaio 2017 pagina 5 La scena del martirio Il dibattito su «Silence» di LUCETTA SCARAFFIA l film di Scorsese sta suscitando ampi dibattiti, dentro e fuori del mondo cattolico, proprio a motivo della ricchezza dei temi che affronta. Riguarda il Giappone del Seicento, ma anche l’oggi, tempo di persecuzione dei cristiani per la loro fede, e propone una serie di domande alle quali da tempo non eravamo più abituati a rispondere. La prima, sicuramente, è quella cruciale: ha senso morire per Dio? Oggi e ieri questa domanda scuote fin nel profondo il senso della fede, e il valore che diamo alla vita, la vigliaccheria e il coraggio, la speranza e la disperazione. La risposta dei contadini giapponesi suggerisce che è più facile avere il coraggio di morire — se sappiamo di andare in paradiso dove staremo molto meglio che nel mondo in cui viviamo — per chi in questo mondo vive in situazioni di oppressione e di fatica estrema. Questa domanda ne apre un’altra: esiste ancora qualcosa per la quale nelle nostre società si è disposti a morire? In realtà, pensiamo che non ci sia più niente per cui valga la pena offrire la vita, anzi, non osiamo neppure più porci la domanda. Ma questa non è l’unica scossa che il film procura alla coscienza dello spettatore: altre tre sono le questioni gravi che po- I Grandi domande dimenticate ne il film. Una riguarda le possibilità di inculturazione della fede cristiana: i contadini giapponesi che soffrono sotto le terribili persecuzioni sono veramente cristiani o hanno costruito una religione sincretistica, alla quale credono sì ciecamente, ma che alla fine poco ha a che vedere con la tradizione cristiana? Non lo sapremo mai, ma la domanda aleggia su tutta la vicenda, mettendo in crisi il progetto di evangelizzazione dei gesuiti fin dalle fondamenta. La risposta di Ferreira a questa domanda è negativa: i cristiani giapponesi non sono veri cristiani, tutta l’opera di conversione in cui tanti si sono impegnati fino a perdere la vita è stata un fallimento. E in questo trova la giustificazione della sua apostasia. Ma alle radici dell’apostasia dei due gesuiti sta un’altra ragione: la sofferenza che il loro rifiuto arrecava a dei con- tadini inermi. Un cristiano è padrone di donare la sua vita, ma non quella di un altro. Ed è attraverso questo scambio di destino che i giapponesi riescono a provocare la resa dei due missionari. Ma accettare di rinnegare il cristianesimo per salvare altri da orribili torture, per dei veri credenti significa perdere la propria anima: ha un senso dannarsi l’anima per gli altri? Non è questo forse il supremo sacrificio che Cristo richiede ai due gesuiti? Non è questo l’atto di carità suprema, e non un tradimento? La questione in un certo senso rimane aperta, ma la fedeltà a Gesù di Rodrigues è testimoniata dal piccolo crocifisso che la moglie giapponese gli mette in mano dopo la morte. Una sepoltura buddista, ma in mano l’obolo per il paradiso cristiano... Il tema del tradimento e del perdono rimane sotteso a tutte le vicende, rappresen- tato dal giapponese vigliacco e traditore che però, con la sua assillante richiesta di perdono, riporta il gesuita Rodrigues al ruolo sacerdotale, e che alla fine farà una morte da martire. Ma la questione che ha più intrigato i commentatori laici — in primo luogo il filosofo Roberto Esposito — è il silenzio di Dio, dal quale prende il nome il romanzo e poi il film. Il silenzio di Dio che è stato al centro delle riflessioni e dell’esperienza di mistici e filosofi, e si è posto come questione drammaticamente attuale dopo la tragedia della Shoah. Una risposta possibile, suggerita dal filosofo, è che questa eclissi di Dio nel momento più drammatico lascerebbe l’uomo libero di decidere, e quindi anche di scoprire che non hanno alcun valore le differenze religiose, quindi non sarebbe un peccato l’apostasia. Questa interpretazione mi lascia molto perplessa: nel film di Scorsese il continuo riferimento alla passione di Cristo — dal Getsemani al grido di Gesù sulla croce — suggeriscono invece che la via dell’apostasia per salvare gli altri è una via di amore simile a quella del crocefisso. La complessità della questione, o per meglio dire delle questioni, che il film propone costituiscono il centro del suo in- Il film di Scorsese sta suscitando dibattiti per la ricchezza dei temi affrontati Riguarda il Giappone del Seicento ma propone anche interrogativi a cui non eravamo più abituati a rispondere teresse e svolgono senza dubbio una funzione di risveglio delle coscienze assopite. E quindi la ragione principale dell’interesse e del dibattito che sta suscitando. L’arte e i cattolici di JUAN MANUEL DE PRADA entirei se affermassi che mi hanno sorpreso le esecrazioni e gli anatemi che ha ricevuto Silence, l’ultimo film di Scorsese, da certi ambiti cattolici. Mentirei anche se dicessi che mi ha scandalizzato il fatto che, per denigrarlo, siano stati usati metodi scorretti, divulgando interpretazioni false e strampalate del film. Ma mentirei pure se, come artista, nascondessi che tali esecrazioni mi hanno costernato e ferito profondamente. M Già Charles Péguy avvertiva dei pericoli insiti nel trasformare la mistica in politica nell’avvolgere i nostri pregiudizi ideologici in alibi religiosi Perché queste reazioni dimostrano nuovamente l’incomprensione che da certi ambiti cattolici si professa per ogni arte che non sia schematica o dottrinaria, ma complessa e problematica (ossia autentica arte). Fenomeno che, a mio giudizio, costituisce una delle prove più tristi della decadenza di molta cultura cattolica. Che in certi ambiti cattolici esista una franca ostilità verso l’arte è un’evidenza innegabile. Come lo è anche, naturalmente, che tale ostilità sia a volte la reazione logica verso un’arte nichilista, espressione di un’epoca che odia la bellezza e pugnala la nostra sensibilità. Ma questa ostilità si rivolge anche di frequente a opere di grande valore che, semplicemente, non si inquadrano in un sentimentalismo devoto. Non ci sfugge che, dietro tale ostilità, si celano ragioni o irragionevolezze di tipo ideologico (già Charles Péguy ci avvertiva dei pericoli insiti nel trasformare la mistica in politica, nell’avvolgere i nostri pregiudizi ideologici in alibi religiosi). E neppure che un certo fariseismo ha trovato in questa ostilità la scusa perfetta per con- dannare l’artista, che generalmente è una persona dai costumi licenziosi o eterodossi. Ma la verità è che molte vette dell’arte cattolica sono state realizzate proprio da artisti dai costumi licenziosi ed eterodossi, da Caravaggio a Pasolini, passando per Lope de Vega o Oscar Wilde. Ed è perché la grazia — come c’insegna ancora Péguy — molte volte utilizza la porta di ingresso del peccato per benedire i suoi prediletti. Dio sceglie spesso quanti sono caduti e sporchi come depositari dell’arte più alta e sublime; e il rifiuto degli artisti “reprobi” è in fondo il rifiuto della grazia divina. Questo rifiuto ha provocato una triste decadenza dell’arte cattolica, oggi naufraga nella più assoluta irrilevanza, che, mentre espelle artisti come Martin Scorsese, accoglie opere inani, sdolcinate, pacchiane e affettate, pura arte dis-graziata nel senso più stretto del termine. Senza rendercene conto, noi cattolici cominciamo ad assomigliare a quegli eretici iconoclasti dei primi secoli bizantini, che proclamavano orgogliosi il loro odio per l’espressione sensibile della divinità. L’unione del creatore con la creatura non si ferma, per il cattolico, all’essere razionale dell’uomo, ma abbraccia anche il suo essere corporale e, per suo tramite, la natura materiale dell’intero universo. E questa unione di Dio con il mondo materiale e sensibile raggiunge la sua espressione più gloriosa nell’arte, che è strumento reale e immagine visibile di Dio. Rifiutare l’arte è togliere ogni realtà all’incarnazione divina e costituisce, come scriveva Solovev, una terribile «soppressione del cristianesimo». A questa tentazione iconoclasta si somma una certa infezione di radice puritana, che rifiutando il dogma del peccato originale nega la possibilità del “dramma”, che è il fulcro costitutivo della vera arte. Sopprimendo il peccato originale, si negano le conseguenze del male sulla natura umana; e tale negazione ha dato luogo in ambiti anticattolici a un’arte frivola in cui le categorie morali si confondono fino a diventare interscambiabili, o meglio un’arte cinica dove il male di- venta fatidicamente invincibile e dove si nega la capacità dell’uomo di combatterlo e sconfiggerlo. Ma in ambito cattolico questa infezione puritana ha avuto anche conseguenze funeste, conferendo legittimità a un’arte infantilizzata che nega il principio della felix culpa e la natura drammatica della vita umana, quella “libertà imperfetta” che caratterizza la lotta dell’uomo in cerca di redenzione. Una lotta che, come ci avvisava Flannery O’Connor, si dispiega in un territorio che è in larga misura “proprietà del Nemico”: una lotta che a volte si risolve in un trionfo, altre in una sconfitta, e altre ancora in un conflitto straziante, con un’infinita gamma di zone di penombra che un certo cattolicesimo troppo rigido intende negare. Ma negare tali penombre equivale a negare l’arte; e inoltre è anche una sordida blasfemia. Leonardo Castellani insorgeva contro quei cattolici che rivendicano un’arte dalle soluzioni nette, dai trionfi apoteosici, un’arte senza penombra né conflitto. Sono cattolici che vorrebbero attribuire a Cristo «il ruolo di un conquistatore, di un Attila egualitario e devastatore». Ma Cristo stesso ha provato in diverse occasioni il sapore del fallimento. Non ha forse fallito con il giovane ricco? E non ha forse fallito con quei nove lebbrosi che non sono tornati per ringraziarlo, dopo che li aveva guariti? Non ha forse fallito con Pilato e Giuda? Mentre sudava sangue nel Getsemani, non era forse consapevole che il suo sacrificio sarebbe stato rifiutato da molti uomini? Cristo sapeva che la vita dell’uomo è dramma; sapeva che nella vita ci sono giovani ricchi, lebbrosi ingrati, gente compiacente o vigliacca, traditori e apostati; e ha amato tutti, pur sapendo che molti avrebbero tentennato e vacillato, e avrebbero persino rifiutato la sua redenzione. E se Cristo li ha amati, perché l’arte dovrebbe ignorarli? Certo, dipingere o scrivere la vita dei santi può essere un eccellente motivo artistico; ma lo è anche dipingere o scrivere la vita di quanti non sono — di noi che non siamo! — eroici né impeccabili. Perché queste vite conflittuali e drammatiche possono aiutarci ancor di più a superarci; perché, affacciandoci sul loro abisso, capiremo meglio la misericordia divina, il profondo amore che Cristo ci ha dimostrato, immolandosi anche per noi. E la vera arte cattolica deve affacciarsi su questo abisso. Castellani riteneva che il grande poeta cattolico del XIX secolo fosse stato Charles Baudelaire, che naturalmente — annotava con il suo abituale acume — «non è una lettura per ragazze che si nutrono di hot dog e di romanzi yankee, e neppure per i bigotti, i borghesi, gli asini, e neanche per i sacerdoti incauti, gli uomini senza percezione artistica e l’immensa parrocchia del moralismo edulcorato e dell’ortodossia infantile». Ma questo “moralismo edulcorato” e questa “ortodossia infantile” sono ciò che oggi, purtroppo, si esige da certi ambiti cattolici, quando si propugna un’arte senza conflitto, un arte dalle soluzioni nette e trionfanti. Solo che questo “moralismo edulcorato” e questa “ortodossia infantile”, lungi dall’essere strumento di evangelizzazione, generano ripugnanza negli animi sensibili che, provando curiosità per la fede, rifiutano — a ragion veduta — le soluzioni facili. Baudelaire fu condannato come “immorale” da un tribunale. Ma quella non fu una condanna cattolica, bensì “borghese”, nel senso più buio e anticattolico del termine. Baudelaire fu condannato dal fariseismo e dalla demenza religiosa dei beghini; fu condannato perché i suoi libri — autentiche opere d’arte — osavano addentrarsi nel territorio “proprietà del Nemico”, mostrando quel conflitto straziante che è il fulcro e la sostanza del dramma. Erano, alla fine, libri pienamente cattolici; poiché l’arte cattolica non è quella che fugge dinanzi al pericolo, ma quella che s’immerge in esso, consapevole che quell’immersione può condurla fino al cuore di tenebre. Certo, leggere Baudelaire — come Marcelino Menéndez Pelayo scriveva su La Celestina — «può comportare pericoli per chi non è molto sicuro di contemplare le opere d’arte con amore Gli attori Andrew Garfield e Shinya Tsukamoto disinteressato. Poiché, quanto più vigorosa e animata sarà la rappresentazione della vita, tanto più parteciperà ai pericoli inerenti alla vita stessa». Ma è qui, proprio qui, nei «pericoli inerenti alla vita stessa» che l’artista cattolico svolge il suo lavoro. È peraltro molto istruttivo scoprire che La Celestina, opera estremamente scabrosa, fin dal primo momento godette di franchigia tra i consultori del Santo Uffizio, che la considerarono pienamente cattolica, poiché, sebbene mostrasse il male senza ritegno, descriveva anche il veleno che il male introduce nelle anime. Fu all’inizio del XIX secolo, quando l’Inquisizione si era già riempita — per riprendere le parole di Menéndez Pelayo — di «giansenisti e bacchettoni» (di puritani e di baciapile diremmo oggi), che La Celestina fu inclusa nell’Indice. E quei «giansenisti e bacchettoni» non erano più capaci di capire che l’arte che ritrae le debolezze dell’essere umano può essere profondamente morale, infinitamente più morale dell’arte buonista e infantilizzata che ci mostra un falso mondo rosa e fiori; un mondo senza giovani ricchi, senza lebbrosi ingrati, senza vigliacchi né traditori, un mondo senza sudore di sangue nel Getsemani. Per secoli, l’arte cattolica è stata un’arte piena di grazia perché ha saputo addentrarsi nel “territorio del Nemico” e far luce sul conflitto che si scatena nelle zone di penombra del cuore umano. Perciò la Chiesa non ha esitato ad abbracciare l’arte dei molto procaci Plauto e Terenzio, o dell’irreligioso Lucrezio. Grazie a ciò, oggi possiamo leggere i maestri antichi, che i monaci dei monasteri hanno salvato dalla distruzione, inserendoli in una portentosa — usiamo qui la felice espressione di Girolamo — “biblioteca divina”. Diceva Barbey d’Aurevilly nel prologo di Les diaboliques che «i pittori di polso possono dipingere tutto e la loro pittura è sempre morale quando è tragica e ispira orrore verso ciò che riproduce; sono immorali solo gli ignavi e i beffardi». Lo scrittore avrebbe dovuto inserire nel suo elenco d’immorali gli iconoclasti e i puritani della nostra epoca. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 WASHINGTON, 30. «Profondo disaccordo» con l’ordine esecutivo della Casa Bianca che sospende per tre mesi l’ingresso negli Stati Uniti dei cittadini di sette paesi a maggioranza islamica — Iran, Yemen, Siria, Sudan, Libia, Iraq, Somalia — è stato espresso dall’episcopato cattolico statunitense. «Crediamo che mai come ora accogliere i nuovi venuti e i rifugiati sia un atto di amore e speranza», sostiene il vescovo di Austin, Joe Steve Vasquez, presidente del Comitato episcopale per la migrazione, in una nota diffusa sul sito della Conferenza episcopale. «Lavoreremo con vigore — assicura il presule — per assicurare che i rifugiati siano accolti in modo umano in collaborazione con la Caritas senza sacrificare la nostra sicurezza o i nostri valori fondamentali di americani, e per assicurare che le famiglie possano ricongiungersi con i loro cari». Quanto alla specifica sospensione dell’ammissione dei rifugiati siriani, a cui farà seguito una politica che darà la priorità alle minoranze religiose perseguitate, «gli Stati Uniti — commenta il vescovo — sono stati leader nei programma di reinsediamento dei rifugiati. Crediamo che si debba prestare assistenza a tutti coloro che sono vulnerabili e che fuggono la persecuzione, a prescindere dalla loro religione. Ciò comprende i cristiani, così come gli yazidi e i musulmani sciiti dalla Siria, i rohingya dal Myanmar e altre minoranze religiose. Dobbiamo proteggere tutti i nostri fratelli e le nostre sorelle di tutte le fedi, compresi i musulmani, che hanno perso famiglia, casa, paese. Sono figli di Dio e hanno diritto a essere trattati con dignità umana. Crediamo che aiutando i più vulnerabili a reinsediarsi, viviamo la fede cristiana come Gesù ce l’ha insegnata». Per questo, sostiene, «siamo in profondo disaccordo con l’ordine esecutivo che ferma le ammissioni di rifugiati». Attualmente, ricorda monsignor Vasquez, «più di 65 milioni di persone in tutto il mondo so- Il cardinale Parolin in Madagascar Un programma di vita L’episcopato statunitense sui limiti all’immigrazione Mai come ora è tempo di accogliere no state costrette a lasciare la loro casa. È un livello eccezionale di sofferenza e i vescovi cattolici degli Stati Uniti raddoppieranno il loro sostegno e i loro sforzi per proteggere tutti coloro che fuggono la persecuzione e la violenza, come parte del perenne e globale lavoro della Chiesa in questo campo». Molto ferma anche la presa di posizione del cardinale arcivescovo di Chicago, Blase Joseph Cupich, che in una nota parla di un «momento oscuro nella storia degli Stati Uniti», anche perché, osserva, l’ordine esecutivo dell’amministrazione statunitense «è contrario tanto ai valori cattolici quanto a quelli americani». Il porporato ricorda, invece, come «gli Stati Uniti hanno una lunga storia di accoglienza ai rifugiati che fuggono per salvare le proprie vite e le organizzazioni cattoliche hanno aiutato a reinserirsi molte famiglie, uomini, donne e bambini da tutto il mondo. Molti dei nostri preti, religiosi e laici hanno accompagnato i nuovi arrivati per aiutarli in questo processo. Proprio per questa storia di aiuto nell’inserimento dei rifugiati e dei migranti che dura da decenni, sappiamo quanto sono lunghi e accurati i controlli che devono superare prima di essere ammessi nel nostro paese. E nelle comunità locali abbiamo visto la paura iniziale trasformarsi in una generosa volontà di accogliere e integrare i rifugiati. Qui a Chicago generazioni di migranti hanno trovato una nuova casa. E ci hanno resi migliori». Cupich mette in guardia dalle conseguenze di seguire una strada sbagliata. «Il mondo — afferma — ci sta guardando mentre abbandoniamo il nostro impegno di fedeltà ai valori dell’America. Queste azioni aiutano e rafforzano quanti vorrebbero distruggere il nostro stile di vita. Fanno diminuire la nostra stima agli occhi dei molti popoli che vogliono riconoscere nell’America il paese che difende i diritti umani e la libertà religiosa, non una nazione che mette nel mirino dei gruppi religiosi e chiude loro le sue porte». E ricordando le parole pronunciate da Papa Francesco davanti al Congresso nel corso della visita del settembre 2015 — «Se vogliamo sicurezza, diamo sicu- Appello dei vescovi di Croazia e Bosnia ed Erzegovina Solidarietà prima di tutto ZAGABRIA, 30. La solidarietà prima di tutto. Così come ieri, nei tempi tragici della guerra dei Balcani, anche oggi, in tempo di pace, il sostegno ai più deboli e ai bisognosi costituisce una priorità. È quanto è stato sottolineato nell’ultimo incontro congiunto degli episcopati cattolici di Croazia e Bosnia ed Erzegovina. La tradizionale assemblea, si tratta del diciannovesimo incontro, è stata ospitata nei giorni scorsi nella capitale croata sotto la guida dei presidenti delle due conferenze episcopali, l’arcivescovo di Zadar (Croazia), Želimir Puljić, e il cardinale arcivescovo di Sarajevo (Bosnia ed Erzegovina), Vinko Puljić. Tramite il nunzio apostolico in Croazia, l’arcivescovo Alessandro D’Errico, ai partecipanti sono giunti il saluto e la benedizione di Papa Francesco. Nelle parole del nunzio — secondo quanto riferisce un comunicato congiunto delle segreterie delle due conferenze episcopali — anche l’apprezzamento per simili incontri che permettono, è stato osservato, di considerare insieme importanti questioni e le principali sfide pastorali anche alla luce delle difficoltà della storia recente. Importanti e numerosi i temi in agenda. In primo luogo, ci si è soffermati sui fedeli originari di entrambi i paesi ed emigrati altrove, che sono stati esortati a non dimenticare la loro patria e a dare «una coraggiosa testimonianza della fede in Dio e della fedeltà alla Chiesa cattolica là dove hanno costruito una nuova casa». Al contempo, i presuli hanno espresso apprezzamento e gratitudine per i «numerosi sacerdoti, religiosi e operatori pastorali che proclamano il Vangelo in lunedì-martedì 30-31 gennaio 2017 tante parti del mondo». Al centro dei lavori dell’assemblea è stata comunque la riflessione sull’operato della rete delle Caritas. In particolare, è stata richiamata l’importanza di alcune iniziative ritenute significative come la “Domenica della solidarietà”, grazie alla quale numerose parrocchie hanno sostenuto comunità con pochi fedeli o distrutte dal sanguinoso conflitto nei Balcani, dimostrando così «il desiderio della Chiesa di sopravvivere e di vivere con dignità», anche là dove tante popolazioni sono state costrette a emigrare. «I vescovi — si sostiene nella nota — esortano i fedeli a provvedere al sostentamento dei più deboli e dei più bisognosi, come già avvenuto in tempo di guerra, e a perseverare in questo compito anche in tempo di pace affinché i legami reciproci divengano una vera benedizione per chi dà e per chi riceve». In particolare, i presuli raccomandano il rafforzamento di «legami spirituali e di preghiera che contribuiscono al miglioramento della Chiesa e della società». Spazio nel corso dei lavori è stato destinato anche alla ricostruzione storica e alla riscoperta di quelle figure esemplari di entrambi i paesi «che hanno do- nato la loro vita per amore della fede e per i quali dovrebbe essere possibile avviare la causa di beatificazione». Nello specifico, si è deciso di «trasmettere le aspettative dei vescovi ai funzionari governativi croati per quanto riguarda le misure da adottare per indagare sulle vittime dei sistemi totalitari». Nell’ottica ancora di un operato congiunto, i due episcopati hanno evidenziato inoltre la necessità di «una fruttuosa collaborazione» in ambito missionario, nel settore «scolastico educativo» e in una possibile «campagna congiunta nell’area dell’ecumenismo e del dialogo». rezza; se vogliamo vita, diamo vita; se vogliamo opportunità, provvediamo opportunità» — il porporato ha detto che «è tempo di mettere da parte la paura e di unirsi per ritrovare chi siamo e che cosa rappresentiamo in un mondo che ha tanto bisogno di speranza e di solidarietà». Una presa di posizione critica nei confronti del provvedimento della Casa Bianca è contenuta anche in una lettera che il cardinale arcivescovo di Washington, Donald William Wuerl, ha indirizzato al clero diocesano. Se nei giorni scorsi «le nostre voci, la nostra presenza, non poteva ignorare la difesa dei non nati», ha scritto facendo riferimento alla marcia per la vita che si è snodata nelle strade della capitale, «così anche ora alziamo le nostre voci a sostegno di tutti i rifugiati, in particolare quelli in fuga dalla persecuzione religiosa». In precedenza, dichiarazioni fortemente critiche erano state diffuse anche dal cardinale arcivescovo di Boston, Sean Patrick O’Malley e dal cardinale arcivescovo di Newark, Joseph William Tobin. (fabrizio contessa) In Austria una guida per i nuovi arrivati VIENNA, 30. Si chiama «Grüß Gott in Österreich» ed è una guida, pubblicata in tre edizioni: tedesco/arabo, tedesco/farsi e tedesco/inglese, che presenta agli immigrati e ai rifugiati tradizioni austriache, simboli, cultura e feste, oltre alle basi della fede cristiana. «Stiamo assistendo — ha spiegato il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna — alla curiosità di molti rifugiati, ma riceviamo anche molte domande quando si incontrano le nostre tradizioni. L’opuscolo è stato progettato per aiutare i rifugiati a comprendere le radici cristiane dell’Austria e, in tal modo, far conoscere meglio il nostro paese è un contributo alla pacifica convivenza». Gli argomenti sono scritti in maniera semplice e analitica perché «non è un libro di testo — ha sottolineato il porporato in occasione della pubblicazione della prima edizione della guida — ma un mezzo per avviare una prima comprensione, per spiegare al meglio ciò che è richiesto sulle basi della nostra vita in comune, come la religione o la libertà di espressione e quindi il testo deve essere capito da tutti coloro che sono nuovi arrivati in Austria». Nella guida «Grüß Gott in Österreich», diffusa inizialmente in 34.000 copie, alle quali si aggiungono le nuove 22.000 dell’edizione tedesco/inglese, sono pubblicati tutti i contatti per ricevere assistenza e proposte della Chiesa cattolica. «Le beatitudini vanno messe in pratica per sperimentare tutta la loro azione trasformatrice: sul piano personale, spirituale e sociale». Parlando agli ottantamila fedeli che domenica 29 gennaio hanno riempito lo stadio Mahamasina di Antananarivo per la solenne messa celebrata in occasione dei cinquant’anni delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Repubblica di Madagascar, il cardinale Pietro Parolin ha ricordato che «la Chiesa, le istituzioni, la società intera e particolarmente i giovani», devono fare delle beatitudini «un programma di vita». In particolare, ha detto, bisogna comprendere e mettere in pratica, il significato della «povertà di spirito» sottolineata nel discorso della montagna: «Il povero è colui ad approfondire, insieme allo studio intellettuale, la conoscenza del vangelo, e contribuire così alla crescita integrale della personalità che, nel rispetto delle differenze, sa dialogare e impegnarsi per il bene comune. Nella tarda mattinata, il segretario di Stato ha inaugurato e benedetto la nuova sede della Conferenza episcopale del Madagascar (Cem), attigua al campus universitario, e ha visitato la residenza per giovani universitari poveri. Nel rivolgersi agli studenti ospiti, il cardinale li ha esortati a comprendere la responsabilità derivante dall’opportunità offerta loro dalla Chiesa malgascia. Tale condizione favorevole li dovrà stimolare, un giorno, a portare questo beneficio agli altri giovani «Il discorso della montagna» (arte africana) che intimamente consapevole della sua non autosufficienza, rivolge la sua supplica a Dio come un mendicante per sentirsi sempre bisognoso di lui, per essere consolato»; ma è anche colui che, mite, sa essere «accogliente nei confronti del prossimo», «capace di amare», «costruttore del regno». Il segretario di Stato — che ha concelebrato insieme al cardinale Maurice Piat, vescovo di Port-Louis, in rappresentanza della Conferenza episcopale dell’oceano Indiano, al nunzio apostolico Paolo Gualtieri, a tutti i vescovi del Madagascar e a circa duecento sacerdoti — è stato accolto con grande entusiasmo dai fedeli assiepati sugli spalti: tra fazzoletti e bandiere bianche e gialle, un migliaio di bambini ospiti del centro caritativo Padre Pedro hanno eseguito danze preparate per l’occasione. Nella serata di domenica, dopo il pranzo ufficiale con il cardinale Piat e con l’intero episcopato locale, il cardinale Parolin ha visitato il monastero delle carmelitane. Il viaggio del porporato nel paese africano era cominciato il 27 gennaio con l’arrivo all’aeroporto della capitale, l’incontro con il presidente della Repubblica Hery Martial Rajaonarimampianina e il ricevimento dell’alta onorificenza di grande officiale dell’Ordine nazionale del Madagascar. Il giorno successivo il cardinale Parolin ha avuto modo di visitare l’Università cattolica fondata nel 1952. Accolto dal rettore Marc Ravelonantdandro e dalle altre autorità accademiche, ha poi incontrato nella cappella tutti i professori e gli studenti. Per l’occasione erano presenti il cardinale Piat, il vescovo di Antananarivo Odon M. A. Razanakolona, gran cancelliere dell’università, e il ministro dell’insegnamento superiore e della ricerca scientifica. Prendendo la parola dopo il saluto del rettore, il porporato ha invitato gli studenti a ricercare sinceramente la verità, per prepararsi a diventare adulti responsabili, capaci di pensare in maniera critica e positiva, per poi contribuire pienamente allo sviluppo e al benessere dei propri rispettivi paesi. Li ha anche esortati che, per le ristrettezze economiche e per la povertà, non potranno accedere agli studi superiori. Si è svolto invece nel pomeriggio l’incontro con i presuli del Madagascar. Dopo aver ascoltato dai vescovi locali i problemi pastorali e le sfide sociali di un paese nel quale la povertà tocca circa il 95 per cento della popolazione, il segretario di Stato ha esortato i pastori a collaborare per arginare la corruzione, a difendere sempre i più deboli e gli emarginati, e a cercare di offrire loro servizi in ambito educativo, sanitario e sociale. Per quanto riguarda il rapporto con le altre religioni, e in particolare con l’islam, il porporato ha suggerito di rafforzare il dialogo nel reciproco rispetto. † Il Segretario S.E.R. Mons. Juan Ignacio Arrieta, il Sotto-Segretario Mons. Markus Graulich, gli Officiali e il Personale tutto del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi sostenuti dalla speranza della risurrezione partecipano con profonda commozione il ritorno alla Casa del Padre del dottor MARIO CO CCOPALMERIO Nell’elevare al Signore la loro preghiera ne ricordano la signorile umanità e la profonda fede e si uniscono al dolore di S.E.R. il Card. Francesco Coccopalmerio, Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, dei suoi cari e di coloro che lo hanno conosciuto e amato. L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 30-31 gennaio 2017 pagina 7 Giacomo Manzù, «Giovanni XXIII e monsignor Capovilla» (1961) A quattrocento anni dalla fondazione degli scolopi Ogni studente è un sogno di Dio In ricordo di Loris Capovilla Ponti levatoi di MARCO BOATO Loris Capovilla è universalmente conosciuto come l’antico segretario — non si è mai considerato “ex”, fino alla morte — di Giovanni XXIII, per l’instancabile impegno nel custodire la sua memoria e i suoi scritti, anche quelli precedenti al patriarcato e al papato e tutti quelli, a cominciare da Il Giornale dell’anima, che furono gradualmente da lui resi noti solo dopo il 3 giugno 1963 (per esplicita volontà di Papa Giovanni). Papa Francesco, nella prima telefonata che gli fece nella primavera 2013 (il 1° aprile, lunedì di Pasqua), poco dopo la sua elezione, oltre ad avergli parlato a lungo di Papa Giovanni, gli disse personalmente: «Monsignor Capovilla, lei è molto conosciuto anche in America latina». Eppure, la sua figura umana e sacerdotale, e poi episcopale, pur nel programmatico nascon- Umiltà e dialogo «Loris Capovilla. Umiltà e dialogo» è il titolo del volume (Padova, Edizioni Messaggero, 2016, pagine 115, euro 9) che presenta una antologia di scritti e discorsi dell’antico segretario di Papa Roncalli, divenuto poi arcivescovo e cardinale, morto il 26 maggio dello scorso anno. Pubblichiamo stralci dell’introduzione scritta dal curatore. dimento della propria persona — «mettere il proprio io sotto i piedi» — emerge anche con forza nella sua autonomia, nella sua identità culturale e spirituale. Del resto, se il patriarca Roncalli nel 1953 lo volle scegliere senza esitazione come proprio di JOSÉ BELTRÁN segretario particolare a Venezia, confermandolo nel 1958 in Vaticano, è proprio perché individuò in lui la personalità ecclesiale più in sintonia con la sua dimensione pastorale. Fin da giovane prete e poi sempre più, Loris Capovilla, prima ancora di conoscere e incontrare Roncalli, aveva dimostrato una mentalità aperta al dialogo e al rispetto di tutti, vicini e “lontani”, come si diceva allora. Era fin dall’inizio interamente dentro la storia, la tradizione, la teologia della Chiesa, ma concependo questa tradizione non in modo «mummificato», non in modo chiuso «con i ponti levatoi alzati». Aveva fin da giovane prete la capacità di vivere l’apertura della Chiesa verso il mondo e la società contemporanea, con il coraggio di innovare, individuando evangelicamente i segni dei tempi. Quando conobbe il patriarca Roncalli, questi gli ricordò più volte il monito che a lui stesso, giovane segretario, gli aveva rivolto il suo vescovo di Bergamo Giacomo Radini Tedeschi: «Don Angelo, il cuore crocifisso e il sorriso sulle labbra: ricordatelo, per fare il prete bisogna pensare in grande e guardare alto e lontano». Prima ancora di conoscere questo monito, Loris Capovilla fin dagli anni quaranta seppe pensare in grande e guardare alto e lontano. Nella prefazione ai commenti di Loris Capovilla al Vangelo per Radio Rai Venezia del 19451946 (pubblicati nel 2014), il cardinale Angelo Comastri ha scritto: «Ho letto queste pagine scritte tanti anni fa, all’indomani della fine della seconda guerra mondiale, quando l’Italia era un cumulo di macerie e tentava i primi passi della ricostruzione materiale e morale. Sapete quale è stata la sorpresa? Queste riflessioni sono sorprendentemente attuali e gettano vivida luce sul nostro faticoso presente». In esse era già viva la lezione della misericordia, con la quale Capovilla si ritrovò poi in piena sintonia con Roncalli e, negli ultimi tre anni della sua vita, con Papa Francesco, in cui gli parve di rivivere — e lo scrisse pubblicamente — la testimonianza pastorale di Papa Giovanni. Nell’introduzione allo stesso volume, il curatore Ivan Bastoni ha scritto: «In queste pagine è racchiusa la personalità, la passione pastorale dell’uomo e del sacerdote, fin dalla giovinezza». E ancora, collegando quelle antiche testimonianze di dialogo a tutto il resto della sua vita: «Conoscitore di uomini, ha accolto e accoglie con rispetto e amicizia, sapendo parlare a ciascuno. Chiunque l’ha avvicinato, anche per un breve colloquio, ne conserva ricordo indelebile. La sua vita è punto di incontro continuo, quasi fontana del villaggio a cui tutti possono attingere, per un attimo di sollievo e il ristoro di un sorso d’acqua. Dai primi giorni di sacerdozio, sino a oggi, ha saputo dispensare amicizia e misericordia». Prima, durante e dopo Papa Giovanni, la sua cultura e la sua spiritualità si arricchiranno, con nuove letture e nuovi incontri, ma restando fedeli a se stesse, senza barriere ideologiche, dogmatismi teologici e riserve mentali, Capovilla fu fermo nella fedeltà al Vangelo e aperto sempre a nuovi incontri e a nuovi dialoghi. «Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio», ripeteva con Papa Giovanni. Rifiutava i «profeti di sventura», che Roncalli aveva stigmatizzato nel discorso di apertura del concilio l’11 ottobre 1962. Preferiva «la medicina della misericordia» e con lui ha ripetuto fiducioso, fino al termine della sua vita, Tantum aurora est, siamo appena all’inizio. Entro nella scuola degli scolopi di Getafe. Convinto di avere qualcosa da offrire. Mi sbaglio. A ricevere sono io. Ancora una volta. Qualcuno ha lasciato una busta a mio nome in portineria. Non resisto e appena uscito la apro. Un post-it e un biglietto con una preghiera: «Affinché preghi per noi in questo anno giubilare». È questa la visione calasanziana dinanzi alla realtà. Anticipare le preoccupazioni di ognuno per dare una risposta. Con la pedagogia del Vangelo. Dio come sorpresa permanente. Oggi come ieri. Come quattrocento anni fa, quando Paolo V eresse l’ordine. «Al nostro amato figlio Giuseppe Calasanzio […], incarichiamo e affidiamo, secondo il nostro beneplacito, la prefettura, la cura, il governo e l’amministrazione delle scuole pie». Fino a oggi. Lo Spirito continua a soffiare. Quello Spirito che guidò con fermezza Calasanzio e che ora sospinge migliaia di maestri che vorrebbero dedicare più tempo ai loro alunni e dimora nel cuore di quei religiosi che continuano a impegnarsi per diventare un tutt’uno con i più piccoli. Vale la pena commemorarlo. Con un motto: educare, annunciare, trasformare. Verbi all’infinito che fanno memoria del passato, per esigere Scuola popolare pubblica Nel 2017 ricorre il quarto centenario della nascita delle Scuole pie come congregazione religiosa e il duecentocinquantesimo anniversario della canonizzazione del loro fondatore Giuseppe Calasanzio. Con lui nasceva la prima scuola popolare pubblica. Per l’occasione Papa Francesco — in un messaggio inviato al preposito generale degli scolopi, padre Pedro Aguado Cuesta, e di cui L’Osservatore Romano del 3 dicembre scorso ha dato notizia — ha osservato fra l’altro che, «benché le circostanze nelle quali nacque l’Ordine non siano quelle odierne, le necessità a cui esso risponde continuano a essere essenzialmente le medesime». Pubblichiamo un articolo del direttore di «Vida Nueva» uscito sul settimanale dell’arcidiocesi di Madrid «Alfa y Omega» del 22 dicembre scorso. presente e futuro. Per coniugarli al singolare, a partire dalla vocazione che Dio offre a ognuno. Per viverli al plurale, perché evangelizzare educando è possibile solo a partire dalla comunità e dalla fraternità. Nei chiostri, nelle aule e nelle mense scolastiche, nei collegi, nelle università, nelle parrocchie, nelle case, nei centri socioeducativi. In missione condivisa. Religiosi e laici. Una famiglia calasanziana dove c’è posto per tutti. E dove tutti contano. Con la rubrica di Calasanzio. Un provocatore, ma non un piantagrane. Un ribelle alla maniera di Colui che guariva il sabato, che parlava alle donne, che poneva al centro i bambini. Perché il regno di Dio è di quanti sono come lui. Costante. Instancabile. Anche se gli diedero più di un motivo per gettare la spugna. Anzi più di due. Così era l’uomo che giunse a Ro- Dalle prime costituzioni cappuccine a Papa Francesco di FELICE ACCRO CCA Nella lettera apostolica Misericordia et misera Papa Francesco invita i sacerdoti «a prepararsi con grande cura al ministero della confessione» e chiede loro «di essere accoglienti con tutti; testimoni della tenerezza paterna nonostante la gravità del peccato; solleciti nell’aiutare a riflettere sul male commesso; chiari nel presentare i principi morali; disponibili ad accompagnare i fedeli nel percorso penitenziale, mantenendo il loro passo con pazienza; lungimiranti nel discernimento di ogni singolo caso; generosi nel dispensare il perdono di Dio». Come Gesù, il Lutto nell’episcopato Monsignor Paul Lanneau, vescovo titolare di Tusuro, già ausiliare di Mechelen-Brussel, è morto in Belgio giovedì 26 gennaio, all’età di 91 anni. Il compianto presule era infatti nato il 22 luglio 1925 ad Anderlecht, nell’arcidiocesi di Mechelen-Brussel, ed era stato ordinato sacerdote il 24 luglio 1949. Eletto alla sede titolare di Tusuro e nel contempo nominato ausiliare dell’arcivescovo di MechelenBrussel il 15 febbraio 1982, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 20 marzo. Ed esattamente venti anni dopo, il 20 marzo 2002, aveva rinunciato all’ufficio pastorale. Il timbro della misericordia ministro di Dio dev’essere «magnanimo di cuore, sapendo che ogni penitente lo richiama alla sua stessa condizione personale: peccatore, ma ministro di misericordia» (n. 10). Non sempre la Chiesa ha utilizzato tali accenti, come riconobbe Giovanni XXIII aprendo il concilio Vaticano II. Papa Roncalli asserì infatti che in ogni tempo la Chiesa si era opposta agli errori, spesso anche condannandoli «con la massima severità. Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo — disse — preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore». La linea ora tracciata da Papa Francesco trova comunque straordinari precedenti nella storia della Chiesa, tanto che si potrebbe scrivere una storia della clemenza e una del rigore, una della misericordia e una della giustizia, avendo peraltro presente che si tratta di due facce di un’unica medaglia. Si prendano a esempio le prime costituzioni cappuccine, che hanno normato, con successivi aggiornamenti, la vita dell’ordine fino al 1968, lasciando una traccia profonda nella vita dei frati. Nel 1529 pochi di loro, riuniti ad Albacina, stilarono le prime ordinazioni capitolari che ressero la nascente famiglia religiosa fino al 1536, quando, a seguito dello svolgimento del capitolo di Roma-Sant’Eufemia, furono stilate le costituzioni che sarebbero rimaste in vigore fino al dopo concilio. Nelle ordinazioni stabilite ad Albacina la preoccupazione principale sembrò essere quella di garantire ai frati una vita ritirata nel rigido rispetto di una quotidianità fissata nei dettagli. Con poca frequenza si parlava di amore e mai si usò il termine “misericordia”. Nelle costituzioni del 1536, invece, sotto l’influsso di uomini come Bernardino Ochino, Giovanni da Fano, Bernardino d’Asti, il tema dell’amore era indubbiamente prioritario: nei loro rapporti con Dio i frati venivano infatti invitati a «dirizzare» a Lui «tutti li pensieri», a Lui «voltar tutti l’intenti e desideri nostri, con ogni possibile impeto di amore, acciò con tutto el core, mente e anima, forze e virtù, con actuale, continuo, intenso e puro amore ci uniamo al nostro optimo Patre» (art. 63). Nei loro rapporti fraterni dovevano inoltre mantenere «un core et una anima», amarsi «cordialmente, supportando li difetti l’uno de l’altro, sempre exercitandosi nel divino amore e fraternal carità» (art. 139). Una tale impostazione lascia emergere con chiarezza il sostrato di tutta una letteratura spirituale che, attraverso opere come il Dialogo della unione spirituale de Dio con l’anima di Bartolomeo Cordoni da Città di Castello, affondava le proprie radici nello Speculum simplicium animarum della beghina Margherita Porete. In questo quadro di riferimento acquistano piena luce le disposizioni sulla confessione. Nella mente dei legislatori i penitenti erano essenzialmente altri frati, visto che nessuno di loro poteva confessare «seculari, senza licenzia del capitulo o del padre vicario generale» (art. 90), ma per mangiarsi il mondo, ma fu digerito da una Trastevere che alla fine del XVI secolo aveva poco di turistico e molto di periferico. scelta poi ampiamente superata; le norme varate imprimevano tuttavia un timbro che i frati non potevano non mantenere anche nei riguardi degli estranei, visto che, «per nutrire la carità», si doveva comunque ricevere «con ogni possibile umanità cristiana» (art. 93) qualsiasi persona che bussasse ai conventi. Ebbene, ai frati confessori veniva intimato di tenere a mente che il «padre san Francesco era solito dire che, se volevamo relevare uno che è caduto, bisogna inclinarci per pietà, sì come fece Cristo, piissimo Salvatore, quando li fu presentata l’adultera, e non star con rigida iustizia e crudeltà in sul tirato» (art. 95). Dovevano inoltre considerare che «se Dio con rigida iustizia avesse a iudicarci, pochi o nisciuno si salvarebe». Nell’imporre la penitenza si chiedeva poi sempre di avere «l’occhio aperto di salvare e non perdere l’anima e la fama di quel povero frate», sapendo che «ognun di noi farebbe molto peggio se Dio con la sua grazia non ci preservasse». Il timbro della misericordia, peraltro, prevaleva anche allorché si ribadiva l’esigenza della giustizia. I confessori venivano invitati a considerare che «non punire chi pecca è uno aprire la porta d’ogni vizio»: essi, tuttavia, «con misericordia» dovevano imporre «la condigna penitenza», perché «ne le correzione e punizione de’ frati, non se observi la subtilità de le lege, o vero le iudiciarie tele» (art. 96). Non le sottigliezze della legge, ma la misericordia, capace di andare oltre la giustizia senza tradirla: il magistero di Papa Francesco trova così nella primitiva legislazione cappuccina un luminoso precedente. Da quella digestione nacque la prima scuola popolare pubblica gratuita d’Europa. Sì. Un sacerdote precorse ogni altra ideologia. Stato e patto educativo in erba. Fu un religioso a dare carta, penna e banco all’innocente, senza badare al credo, all’origine o al conto in banca di chi varcava l’uscio. Quell’imprenditore maño (aragonese) anticipò due parole che oggi si recitano come un mantra in qualsiasi progetto educativo: inclusione e innovazione. Lui le visse e le trasmise senza averle coniate come tali in quegli impeccabili scritti e lettere senza data di scadenza: «Metti tutto il tuo impegno nell’aiutare gli alunni, soprattutto animando e motivando quelli più sviati verso la loro crescita personale». Non come un mero gesto di carità. Era la sua scommessa per cambiare il mondo. Il migliore fondo d’investimento per costruire il Regno: un bambino, un adolescente, un giovane. Con benevolenza e studio. Con fede e cultura. Un carisma per tutta la Chiesa, un servizio per tutta la società che giunge oggi a oltre duecento centri, dove ogni studente è un sogno di Dio, quando lo si guarda come tale. Qualche mese fa, in un’omelia a Cracovia, ho ascoltato il preposito generale degli scolopi, padre Pedro Aguado Cuesta, dire di evitare ogni egocentrismo che porti a tenere sotto vuoto il dono ricevuto: «Calasanzio può essere nostro padre solo se ci porta a Cristo. A lui non piacerebbe che restassimo a contemplarlo». Eredità per contagiare Gesù. Attenti e aperti al bisognoso di oggi: tra i computer della lezione di informatica, sulla moquette dell’oratorio, al banco di legno in Guinea. Tornare all’essenza di Trastevere. Iniziare da zero in territorio sconosciuto, come il Mozambico, dove è stata appena fondata la prima comunità degli scolopi. O per promuovere l’accesso alle lezioni attraverso l’Istituto «Calasanzio» di diritto all’educazione aperto da poco a Yaoundé, in Camerun. «Chi non ha spirito per educare i poveri non ha vocazione educativa scolopia». Quattrocento anni dell’ordine delle Scuole pie e, per finire, un altro anniversario tondo nello stesso giubileo: duecentocinquant’anni dalla canonizzazione di Calasanzio. Tempo di grazia e di grazie per riconoscere, insieme a lui, altrettanti uomini e donne che hanno seguito e seguono quello stesso cammino di santità, nell’ombra, dedicandosi ai piccoli e alle piccole. È l’auspicio di Papa Francesco nel messaggio che rivolge a tutta la famiglia calasanziana per questo giubileo: «Soprattutto, seguite le tracce che i bambini e i giovani portano scritte nei loro occhi. Guardateli in faccia e fatevi contagiare dalla loro lucentezza per essere portatori di futuro e di speranza. Dio vi conceda di trovarvi profeticamente presenti negli angoli dove i più piccoli soffrono ingiustamente». Riprendo il post-it. E il biglietto. Guardo l’illustrazione: tre ragazzi insieme al maestro Calasanzio. Leggo. Prego: «Benedici con amore di Padre tutti i bambini e i giovani a cui ci dedichiamo e tutti quelli che non hanno un padre o un maestro che li accompagni nel cammino». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 lunedì-martedì 30-31 gennaio 2017 All’Angelus il pensiero del Papa alle popolazioni terremotate dell’Italia centrale Più solidarietà meno burocrazia «Alle popolazioni dell’Italia centrale che ancora soffrono le conseguenze del terremoto e delle difficili condizioni atmosferiche» non devono mancare «il costante sostegno delle istituzioni e la comune solidarietà». Con questo appello lanciato al termine dell’Angelus del 29 gennaio Papa Cari fratelli e sorelle, buongiorno! La liturgia di questa domenica ci fa meditare sulle Beatitudini (cfr. Mt 5, 1-12a), che aprono il grande discorso detto “della montagna”, la “magna charta” del Nuovo Testamento. Gesù manifesta la volontà di Dio di condurre gli uomini alla felicità. Questo Francesco ha auspicato che «qualsiasi tipo di burocrazia non faccia aspettare e ulteriormente soffrire» queste persone. In precedenza il Pontefice aveva commentato per i fedeli presenti in piazza San Pietro il vangelo della domenica, incentrato sulle beatitudini. sagio per aprirsi al dono di Dio e accedere al mondo nuovo, il «regno» annunciato da Gesù. Non è un meccanismo automatico, questo, ma un cammino di vita al seguito del Signore, per cui la realtà di disagio e di afflizione viene vista in una prospettiva nuova e sperimentata secondo la conversione che si attua. Non Sotto il tendone Nell’anno in cui l’Azione cattolica celebra un secolo e mezzo di vita, i ragazzi romani appartenenti all’associazione si sono ritrovati in piazza San Pietro insieme al Papa per concludere, com’è tradizione, il mese dedicato alla pace. All’insegna del duplice slogan «CIRCO ndati di gioia» e «CIRCO ndati di pace» i piccoli — ha spiegato il tredicenne Francesco Macrì, che era accanto al Pontefice insieme con Cristiana Magnante, 9 anni — stanno vivendo l’anno associativo «alla scoperta del mondo del circo e della sua comunità, dell’impegno e della costanza che gli artisti mettono nel realizzare le loro esibizioni a partire dai propri talenti». Proprio «come nel circo — ha proseguito — vogliamo accogliere sotto il nostro tendone tutti i ragazzi che non sono fortunati come noi». A questo scopo sono stati raccolti fondi destinati a una casa famiglia della Caritas romana per mamme in difficoltà e dell’associazione napoletana “Il tappeto di Iqbal” che aiuta i giovani. Per i ragazzi l’appuntamento è il prossimo 29 aprile, quando si ritroveranno insieme al Papa per celebrare il centocinquantesimo anniversario dell’associazione. messaggio era già presente nella predicazione dei profeti: Dio è vicino ai poveri e agli oppressi e li libera da quanti li maltrattano. Ma in questa sua predicazione Gesù segue una strada particolare: comincia con il termine «beati», cioè felici; prosegue con l’indicazione della condizione per essere tali; e conclude facendo una promessa. Il motivo della beatitudine, cioè della felicità, non sta nella condizione richiesta — per esempio, «poveri in spirito», «afflitti», «affamati di giustizia», «perseguitati»... — ma nella successiva promessa, da accogliere con fede come dono di Dio. Si parte dalla condizione di di- si è beati se non si è convertiti, in grado di apprezzare e vivere i doni di D io. Mi soffermo sulla prima beatitudine: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (v. 4). Il povero in spirito è colui che ha assunto i sentimenti e l’atteggiamento di quei poveri che nella loro condizione non si ribellano, ma sanno essere umili, docili, disponibili alla grazia di Dio. La felicità dei poveri — dei poveri in spirito — ha una duplice dimensione: nei confronti dei beni e nei confronti di Dio. Riguardo ai beni, ai beni materiali, questa povertà in spirito è sobrietà: non necessariamente rinuncia, ma capacità di gustare l’essenziale, di condivisione; capacità di rinnovare ogni giorno lo stupore per la bontà delle cose, senza appesantirsi nell’opacità della consumazione vorace. Più ho, più voglio; più ho, più voglio: questa è la consumazione vorace. E questo uccide l’anima. E l’uomo o la donna che fanno questo, che hanno questo atteggiamento “più ho, più voglio”, non sono felici e non arriveranno alla felicità. Nei confronti di Dio è lode e riconoscimento che il mondo è benedizione e che alla sua origine sta l’amore creatore del Padre. Ma è anche apertura a Lui, docilità alla sua signoria: è Lui, il Signore, è Lui il Grande, non io sono grande perché ho tante cose! È Lui: Lui che ha voluto il mondo per tutti gli uomini e l’ha voluto perché gli uomini fossero felici. Il povero in spirito è il cristiano che non fa affidamento su se stesso, sulle ricchezze materiali, non si ostina sulle proprie opinioni, ma ascolta con rispetto e si rimette volentieri alle decisioni altrui. Se nelle nostre comunità ci fossero più poveri in spirito, ci sarebbero meno divisioni, contrasti e polemiche! L’umiltà, come la carità, è una virtù essenziale per la convivenza nelle comunità cristiane. I poveri, in questo senso evangelico, appaiono come coloro che tengono desta la meta del Regno dei cieli, facendo intravedere che esso viene anticipato in germe nella comunità fraterna, che privilegia la condivisione al possesso. Questo vorrei sottolinearlo: privilegiare la condivisione al possesso. Sempre avere il cuore e le mani aperte (fa il gesto), non chiuse (fa il gesto). Quando il cuore è chiuso (fa il gesto), è un cuore ristretto: neppure sa come amare. Quando il cuore è aperto (fa il gesto), va sulla strada dell’amore. La Vergine Maria, modello e primizia dei poveri in spirito perché totalmente docile alla volontà del Signore, ci aiuti ad abbandonarci a Dio, ricco in misericordia, affinché ci ricolmi dei suoi doni, specialmente dell’abbondanza del suo perdono. Al termine della preghiera mariana il Papa ha ricordato tra l’altro la giornata mondiale dei malati di lebbra e ha salutato i ragazzi di Azione cattolica e i gruppi presenti. Cari fratelli e sorelle, come vedete, sono arrivati gli invasori ... sono qui! Si celebra oggi la Giornata mondiale dei malati di lebbra. Questa malattia, pur essendo in regresso, è ancora tra le più temute e colpisce i più poveri ed emarginati. È importante lottare contro questo Prese di possesso cardinalizie San Giuliano martire Nella mattina di domenica 29 gennaio il cardinale statunitense Kevin Joseph Farrell, prefetto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, ha preso possesso solennemente della diaconia di San Giuliano martire. Nella chiesa romana di via Cassia il porporato è stato accolto dal parroco, don Massimo De Propris. Hanno concelebrato il vescovo Fernando Vérgez Alzaga, segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticana, e il vescovo Brian Farrell, fratello del porporato. Ha diretto il rito monsignor Kevin Gillespie, cerimoniere pontificio, che ha dato lettura della bolla. Santa Maria delle Grazie a via Trionfale Domenica mattina, 29 gennaio, il cardinale redentorista statunitense Joseph William Tobin, arcivescovo di Newark, ha preso solennemente possesso del titolo di Santa Maria delle Grazie a via Trionfale. Nella chiesa romana il cardinale è stato accolto dal parroco, don Antonio Raimondo Fois, che gli ha presentato il crocifisso per il bacio e la venerazione. Con il porporato hanno concelebrato il cardinale João Braz de Aviz e l’arcivescovo José Rodríguez Carballo, rispettivamente prefetto e segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, monsignor Antonio De Luca, vescovo di Teggiano-Policastro, e monsignor José Luiz Ferreira Salles, vescovo di Pesqueira in Brasile, entrambi redentoristi. Hanno concelebrato anche quarantatré sacerdoti, tra i quali monsignor Stefano Sanchirico, il superiore generale della congregazione del Santissimo Redentore, padre Michael Brehl, e il vicario parrocchiale don Carol Iakel. Ha diretto il rito monsignor Pier Enrico Stefanetti, cerimoniere pontificio, che ha dato lettura della bolla, assistito da monsignor Ján Dubina. morbo, ma anche contro le discriminazioni che esso genera. Incoraggio quanti sono impegnati nel soccorso e nel reinserimento sociale di persone colpite dal male di Hansen, per le quali assicuriamo la nostra preghiera. Saluto con affetto tutti voi, venuti da diverse parrocchie d’Italia e di altri Paesi, come pure le associazioni e i gruppi. In particolare, saluto gli studenti di Murcia e Badajoz, i giovani di Bilbao e i fedeli di Castellón. Saluto i pellegrini di Reggio Calabria, Castelliri, e il gruppo siciliano dell’Associazione Nazionale Genitori. Vorrei anche rinnovare la mia vicinanza alle popolazioni dell’Italia Centrale che ancora soffrono le conseguenze del terremoto e delle difficili condizioni atmosferiche. Non manchi a questi nostri fratelli e sorelle il costante sostegno delle istituzioni e la comune solidarietà. E per favore, che qualsiasi tipo di burocrazia non li faccia aspettare e ulteriormente soffrire! Mi rivolgo ora a voi, ragazzi e ragazze dell’Azione Cattolica, delle parrocchie e delle scuole cattoliche di Roma. Quest’anno, accompagnati dal Cardinale Vicario, siete venuti al termine della “Carovana della Pace”, il cui slogan è Circondati di Pace: bello, lo slogan. Grazie per la vostra presenza e per il vostro generoso impegno nel costruire una società di pace. Adesso, tutti ascoltiamo il messaggio che i vostri amici, qui accanto a me, ci leggeranno. [lettura del messaggio] Ed ora vengono lanciati i palloncini, simbolo di pace. Simbolo di pace... A tutti auguro buona domenica, auguro pace, umiltà, condivisione nelle vostre famiglie. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci! Messa a Santa Marta Se il martire non fa notizia Per «i martiri di oggi», per i cristiani perseguitati e in carcere, per le Chiese senza libertà, con un pensiero particolare a quelle più piccole: è questa l’intenzione con cui il Papa ha offerto la messa celebrata lunedì mattina, 30 gennaio, nella cappella della Casa Santa Marta. Nella consapevolezza che «una Chiesa senza martiri è una Chiesa senza Gesù», il Pontefice ha riaffermato che sono proprio i martiri a sostenere e portare avanti la Chiesa. E se anche «i media non lo dicono, perché non fa notizia», oggi «tanti cristiani nel mondo sono beati perché perseguitati, insultati, carcerati soltanto per portare una croce o per confessare Gesù Cristo». Dunque, quando noi ci lamentiamo «se ci manca qualcosa», dovremmo piuttosto pensare «a questi fratelli e sorelle che oggi, in numero più grande dei primi secoli, soffrono il martirio». Per la sua meditazione il Pontefice ha anzitutto rilanciato i contenuti della lettera agli Ebrei. «Verso la fine — ha affermato — l’autore fa un appello alla memoria: “Chiamate alla memoria i vostri antenati, chiamate alla memoria i primi giorni della vostra vocazione, ricordatevi, chiamate alla memoria tutta la storia del popolo del Signore”». Tutto ciò «per aiutare a fare più salda la nostra speranza: ricordare meglio per sperare meglio; senza memoria non c’è speranza». Proprio «la memoria delle cose che il Signore ha fatto fra di noi — ha spiegato Francesco — ci dà il fiato per andare avanti e anche la consistenza». Così «in questa fine della lettera agli Ebrei, nel capitolo 11, che è quello che la liturgia ci propone in questi giorni, c’è la memoria della docilità di tanta gente, incominciando dal nostro padre Abramo che uscì dalla sua terra senza sapere dove andava, docile: memoria di docilità». «Poi, oggi, ci sono due memorie» ha fatto notare ancora il Pontefice citando espressamente il passo della lettera proposto dalla liturgia (11, 32-40). Anzitutto «la memoria delle grandi gesta del Signore, fatte da uomini e donne, e dice l’autore della lettera: “Mi mancherebbe il tempo se volessi narrare di...”». Tanto che «comincia a nominare Gedeone, Barak, Sansone, Iefte, Davide: tanta gente che ha fatto grandi gesta nella storia di Israele». Questa «è la memoria, possiamo dire, dei nostri eroi del popolo di Dio». E «il terzo gruppo» — il primo «era quello di coloro che sono stati docili alla chiamata del Signore», il secondo «di coloro che hanno fatto grandi cose» — richiama «la memoria di quelli che hanno sofferto e hanno dato la vita come Gesù». Si legge infatti nella lettera: «Altri, infine, subirono insulti e flagelli, catene e prigionia. Furono lapidati, torturati, tagliati in due, furono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati — di loro il mondo non era degno! — vaganti per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra». In una parola è la «memoria dei martiri». E la Chiesa è proprio «questo popolo di Dio che è peccatore ma docile, che fa grandi cose e anche dà testimonianza di Gesù Cristo fino al martirio». «I martiri — ha affermato a questo proposito il Papa — sono quelli che portano avanti la Chiesa; sono quelli che sostengono la Chiesa, che l’hanno sostenuta e la sostengono oggi. E oggi ce ne sono più dei primi secoli», anche se «i media non lo dicono perché non fa notizia: tanti cristiani nel mondo oggi sono beati perché perseguitati, insultati, carcerati». Oggi, ha insistito Francesco, «ce ne sono tanti in carcere, soltanto per portare una croce o per confessare Gesù Cristo: questa è la gloria della Chiesa e il nostro sostegno e anche la nostra umiliazione, noi che abbiamo tutto, tutto sem- bra facile per noi e se ci manca qualcosa ci lamentiamo». Ma «pensiamo a questi fratelli e sorelle che oggi, in numero più grande dei primi secoli, soffrono il martirio». «Non posso dimenticare — ha confidato il Papa — la testimonianza di quel sacerdote e quella suora nella cattedrale di Tirana: anni e anni di carcere, lavori forzati, umiliazioni, i diritti umani non esistono per loro». Era il 21 settembre 2014 quando, durante i vespri nella cattedrale di San Paolo a Tirana, vennero presentate al Pontefice le toccanti testimonianze di due sopravvissuti alle persecuzioni del regime contro i cristiani: presero la parola suor Maria Kaleta e don Ernest Simoni, che poi Francesco ha voluto creare e pubblicare cardinale nel concistoro del 19 novembre scorso. «Apertura del quinto sigillo» (miniatura da un commentario all’Apocalisse di Beato di Liébana, Anche noi, ha proseguito il Pontefice, è giusto che «siamo soddisfatti quando vediamo un atto ecclesiale grande, che ha avuto un gran successo, i cristiani che si manifestano». E questo può essere visto come una «forza». Ma «la più grande forza della Chiesa oggi è nelle piccole Chiese, piccoline, con poca gente, perseguitate, con i loro vescovi in carcere. Questa è la nostra gloria oggi e la nostra forza oggi». Anche perché, ha affermato, «una Chiesa senza martiri, oserei dire, è una Chiesa senza Gesù». Così Francesco ha invitato a pregare «per i nostri martiri che soffrono tanto, per quelli che sono stati e che sono in carcere, per quelle Chiese che non sono libere di esprimersi: loro sono il nostro sostegno, loro sono la nostra speranza». Già «nei primi secoli della Chiesa un antico scrittore diceva: “Il sangue dei cristiani, il sangue dei martiri, è seme dei cristiani”». Essi «con il loro martirio, la loro testimonianza, con la loro sofferenza, anche dando la vita, offrendo la vita, seminano cristiani per il futuro e nelle altre Chiese». E per questa ragione, appunto, il Papa ha voluto offrire la «messa per i nostri martiri, per quelli che adesso soffrono, per le Chiese che soffrono, che non hanno libertà», ringraziando «il Signore di essere presenti con la fortezza del suo Spirito in questi fratelli e sorelle nostri che oggi danno testimonianza di lui». XI secolo)