L`OSSERVATORE ROMANO

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L`OSSERVATORE ROMANO
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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLVII n. 24 (47.458)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
lunedì-martedì 30-31 gennaio 2017
.
Due uomini armati fanno irruzione in una moschea a Québec e ammazzano sei fedeli
Nuovo appello del Papa per i terremotati dell’Italia centrale
Uccisi mentre pregavano
Più solidarietà
meno burocrazia
Il Pontefice si unisce al dolore dei familiari e condanna la violenza
QUÉBEC, 30. Terrore in Canada. Uomini armati hanno fatto irruzione ieri sera in una moschea a Québec
aprendo il fuoco sui fedeli riuniti
per la preghiera. Sei persone sono
state uccise, altre otto ferite. In un
telegramma a firma del cardinale
Pietro Parolin, segretario di Stato,
inviato al cardinale Gérald Cyprien
Lacroix, arcivescovo di Québec, Papa Francesco ha espresso solidarietà
a tutti coloro che sono stati colpiti
dalla tragedia e ha condannato l’attacco. «Apprendendo dell’attentato
a Québec in una sala di preghiera
del centro culturale islamico, che ha
causato numerose vittime, Papa
Francesco affida alla misericordia di
Dio le persone che hanno perso la
vita e si unisce nella preghiera al dolore dei loro cari». Il Pontefice —
prosegue il telegramma — «esprime
la propria profonda vicinanza ai feriti e alle loro famiglie, così come a
tutte le persone che hanno contribuito ai soccorsi, chiedendo al Signore di dare loro conforto e consolazione nella prova». Il Papa «ancora una volta condanna fermamente
la violenza che provoca tante sofferenze e, chiedendo a Dio il dono del
rispetto reciproco e della pace, invoca sulle famiglie messe alla prova e
sulle persone toccate da questo
dramma, così come su tutti gli abitanti del Québec, i benefici delle Benedizioni divine».
Già questa mattina, dopo la messa
a Santa Marta, il Papa si era intrattenuto con il cardinale Lacroix, assicurando preghiere per le vittime.
Nel breve incontro il Pontefice ha
sottolineato l’importanza di restare
in questi momenti tutti uniti nella
preghiera, cristiani e musulmani. Il
cardinale, in questi giorni a Roma, è
subito ripartito per il Canada e in
un tweet ha scritto: «I musulmani
sono nostri fratelli e sorelle. Condoglianze e preghiere».
Anche il Pontificio consiglio per il
dialogo interreligioso attraverso un
comunicato ha espresso «profonda
tristezza e indignazione» per l’attentato. «Con questo gesto insensato
La moschea a Québec colpita dall’attacco (Ansa)
sono stati violati la sacralità della vita umana e il rispetto dovuto a una
comunità in preghiera e al luogo di
culto che l’accoglieva»: per questo il
Pontificio consiglio «condanna fermamente quest’atto di inaudita violenza e desidera far pervenire la sua
piena solidarietà ai musulmani del
Canada, assicurando la sua fervida
preghiera per le vittime e le loro famiglie».
L’attacco a Québec è stato definito dal primo ministro canadese, Ju-
stin Trudeau, «un attacco terroristico
contro i musulmani». È straziante —
ha aggiunto il premier — «vedere
una simile violenza insensata».
Espressioni di solidarietà e vicinanza
al Canada sono giunte dagli Stati
Uniti, dalla Russia e da numerosi altri Paesi. «L’Unione europea è con il
Canada e con tutti i canadesi in questo triste giorno» ha dichiarato l’alto
rappresentante Ue per la politica
estera e di sicurezza comune, Federica Mogherini. «Il governo è vicino
alle vittime, ai familiari, alla comunità musulmana canadese, oltre che al
governo e al premier Trudeau» ha
detto il presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni. Il capo dello
stato francese, François Hollande, ha
espresso una «netta condanna» contro «l’odioso attentato».
Anche Al Azhar, massima autorità
dell’islam sunnita, ha condannato
oggi «il doloroso attentato» ed
espresso «la sua profonda inquietudine».
La dinamica dell’attentato a Québec non è ancora del tutto chiara.
Né ci sono rivendicazioni al momento. L’attacco è avvenuto intorno alle
20 (ora locale), nella sezione maschile della moschea, mentre una cinquantina di persone era raccolta nel
luogo di culto. Un testimone ha riferito di aver visto due uomini coperti
da maschera nera; uno di loro aveva
un «marcato accento del Québec». I
due hanno fatto irruzione nell’edificio, eludendo i controlli, e aperto il
fuoco sui presenti. Molti sono riusciti a fuggire in un centro sportivo
collegato alla moschea. Gli attentatori si sono poi dati alla fuga. La
polizia, che indaga per terrorismo,
ha reso noto che al momento due
persone sono state arrestate. Nulla
porta a ritenere che ve ne siano altre
in fuga.
Rafforzate, intanto, le misure di
sicurezza in tutte le principali città
canadesi. Le autorità locali hanno
disposto un aumento della presenza
degli agenti nei pressi di tutte le moschee e dei centri culturali islamici.
Il primo ministro Trudeau ha ricordato che «i musulmani canadesi sono una parte importante della nostra
azienda nazionale, e questi atti senza
senso non trovano posto nelle nostre
comunità, città e paesi». La diversità
«è la nostra forza e la tolleranza religiosa è un valore che, come canadesi, abbiamo caro». Nei giorni scorsi
Trudeau aveva affermato la volontà
di accogliere i rifugiati «indipendentemente dalla loro fede».
Un nuovo appello per «le popolazioni dell’Italia Centrale che ancora soffrono le conseguenze del terremoto e delle difficili condizioni
atmosferiche» è stato lanciato da
Papa Francesco al termine dell’Angelus del 29 gennaio. In particolare
il Pontefice ha auspicato che non
vengano a mancare «il costante sostegno delle istituzioni e la comune
solidarietà» e che «qualsiasi tipo di
burocrazia non faccia aspettare e
ulteriormente soffrire» queste persone, alle quali ha voluto rinnovare
la propria vicinanza.
In precedenza il Pontefice aveva
commentato per i fedeli presenti in
piazza San Pietro il vangelo della
domenica, incentrato sulle beatitudini (Matteo 5, 1-12a). Definendo
«il grande discorso detto “della
montagna”, la “magna charta” del
Nuovo testamento», il Papa ha ricordato che in esso «Gesù manifesta la volontà di Dio di condurre
gli uomini alla felicità». E se questo era un tema «già presente nella
predicazione dei profeti», in quella
di Gesù il «motivo della beatitudine, cioè della felicità, non sta nella
condizione richiesta, ma nella suc-
cessiva promessa, da accogliere con
fede come dono di Dio». Dunque,
ha chiarito il Papa, «si parte dalla
condizione di disagio per aprirsi al
dono e accedere al mondo nuovo,
il “regno” annunciato da Gesù».
Certo, ha avvertito Francesco,
questo «non è un meccanismo automatico, ma un cammino di vita
al seguito del Signore, per cui la
realtà di disagio e di afflizione viene vista in una prospettiva nuova e
sperimentata secondo la conversione che si attua». Infatti, «non si è
beati se non si è convertiti, in grado di apprezzare e vivere i doni»
del Signore.
Al termine della preghiera mariana il Papa ha ricordato la giornata
mondiale dei malati di lebbra e ha
salutato i gruppi presenti, tra i
quali
i
coloratissimi
ragazzi
dell’Azione cattolica della diocesi
di Roma, due dei quali si sono affacciati con lui e hanno letto un
breve messaggio. Al termine sono
stati liberati in volo numerosi palloncini simbolo di pace.
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La Conferenza episcopale
internazionale Santi Cirillo e Metodio
in visita «ad limina»
Contro il provvedimento del presidente Trump sul blocco dell’immigrazione da sette paesi islamici
Proteste negli Stati Uniti
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1WASHINGTON, 30. Sta facendo discutere il recente provvedimento del
presidente
statunitense,
Donald
Trump, che stabilisce lo stop degli
ingressi nel paese per i cittadini provenienti da sette Paesi considerati a
rischio terrorismo: Iran, Iraq, Libia,
Siria, Somalia, Sudan e Yemen.
I procuratori di quindici stati e di
Washington hanno emesso una dichiarazione congiunta con cui condannano come incostituzionale il
provvedimento, affermando che la libertà religiosa è un principio fondamentale del Paese. I giudici auspicano che l’ordine esecutivo sia ritirato
e si impegnano a garantire che il minor numero possibile di persone soffrano per questa situazione. Una prima breccia legale nell’ordine di
Trump era arrivata nella notte tra sabato e domenica dalla giudice Ann
M. Donnelly, del tribunale del distretto federale di Brooklyn. Donnelly aveva stabilito che i rifugiati o altre persone interessate dalla misura
arrivate negli aeroporti statunitensi
non potevano essere espulsi. La giudice non ha però stabilito che queste
stesse persone debbano essere ammesse negli Stati Uniti.
Intanto, diverse manifestazioni di
protesta sono state organizzate in
molte città, a cominciare da New
York e Washington. Una protesta
montata anche negli aeroporti statunitensi, dove migliaia di persone manifestano all’interno e all’esterno de-
gli scali aerei e decine di avvocati si
mobilitano per offrire assistenza legale alle persone bloccate nei terminal di New York, Chicago, Los Angeles, Boston e di altre città.
Commenti negativi sull’ordine
esecutivo di Trump sono giunti dalla
Uccisi 14 membri di Al Qaeda in un raid statunitense
Cento morti
in una battaglia nello Yemen
comunità internazionale. Durissima
la reazione dell'alto commissario del
Consiglio per i diritti umani dell'Onu, Zeid Al Hussein, che ha definito
il divieto di ingresso «illegale e meschino». Il premier britannico Theresa May ha detto esplicitamente di
non essere d’accordo con la misura.
Posizione molto simile a quella
espressa dal cancelliere tedesco, Angela Merkel, e da altri leader europei. Dalle nazioni colpite dall’ordine
esecutivo, invece, arrivano le prime
contromisure. L’Iran ha già deciso
di impedire l’ingresso nel proprio
territorio dei cittadini statunitensi.
Trump, in un primo momento, ha
confermato la linea dura: «Il nostro
Paese ha bisogno di confini molto
forti e di controlli rigorosi adesso.
Guardate che cosa succede in tutta
Europa e nel mondo, un caos orribile». Successivamente ha corretto il
tiro, sottolineando che il provvedimento «non è un bando contro i
musulmani. Ci sono altri 40 Paesi a
maggioranza islamica non interessati
dal provvedimento. La questione
non è la religione, ma il terrorismo e
la lotta per la sicurezza del Paese.
Torneremo a rilasciare i visti una
volta che avremo rivisto e completato le politiche più sicure nei prossimi 90 giorni».
I vescovi degli Usa sull’immigrazione
Mai come ora
è tempo di accogliere
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Il dibattito su «Silence»
di Martin Scorsese
Forze lealiste combattono nei pressi del porto di Mokha (Reuters)
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Nella mattina di lunedì 30 gennaio, Papa Francesco ha ricevuto in udienza i presuli di Serbia,
Montenegro, Kosovo ed ex-Repubblica Jugoslava Macedonia, in occasione della visita «ad limina
Apostolorum» della Conferenza episcopale internazionale Santi Cirillo e Metodio
NOSTRE INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza le Loro
Eccellenze i Monsignori:
— Francisco Polti Santillán,
Vescovo emerito di Santiago del
Estero (Argentina);
— Jean-Claude Hollerich, Arcivescovo di Luxembourg;
— Stanislav Hočevar, Arcivescovo di Beograd (Serbia), in
visita «ad limina Apostolorum»;
— János Pénzes, Vescovo di
Subotica (Serbia), in visita «ad
limina Apostolorum»;
— Ladislav Nemet, Vescovo
di Zrenjanin (Serbia), in visita
«ad limina Apostolorum»;
— Đuro Gašparović, Vescovo
di Srijem (Serbia), in visita «ad
limina Apostolorum»;
— Djura Džudžar, Vescovo titolare di Acrasso, Esarca Apostolico per i fedeli di rito bizantino (Serbia), in visita «ad limina Apostolorum»;
— Rrok Gjonlleshaj, Arcivescovo di Bar (Montenegro), in
visita «ad limina Apostolorum»;
— Ilija Janjić, Vescovo di Kotor (Montenegro), in visita «ad
limina Apostolorum»;
— Dodë Gjergji, Amministratore Apostolico di Prizren (Kosovo), in visita «ad limina Apostolorum»;
— Kiro Stojanov, Vescovo di
Skopje (Macedonia); Esarca
Apostolico per i fedeli di rito
bizantino residenti nella ex-Repubblica Jugoslava di Macedonia.
Dalle Chiese Orientali
Il Santo Padre ha accettato la
rinuncia al governo pastorale
dell’Eparchia di Saida dei Maroniti (Libano), presentata da
Sua Eccellenza Monsignor Elias
Nassar.
L’Eparchia sarà retta da Sua
Eccellenza Monsignor Maroun
Ammar, Vescovo titolare di Canata e Vicario Patriarcale di
Joubbé, in qualità di Amministratore Apostolico sede vacante.
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lunedì-martedì 30-31 gennaio 2017
Salvataggio di migranti
nel Canale di Sicilia (Reuters)
Auspicate risposte concrete in tema di crescita economica e di migrazioni
Si compatta
il fronte dell’Europa meridionale
LISBONA, 30. I paesi che si ritrovano
nella definizione di Europa meridionale auspicano valori saldi e risposte
concrete, sia in tema di crescita economica che in tema di migrazioni. È
quanto emerso al vertice EuroMed,
che sabato a Lisbona ha visto riuniti
il presidente francese, François Hollande, il presidente cipriota Nikos
Anastasiadīs, il presidente del governo spagnolo Mariano Rajoy, il primo ministro greco Alexis Tsipras,
l’omologo portoghese António Costa, il maltese Joseph Muscat, e il
presidente del Consiglio italiano
Paolo Gentiloni.
I leader si erano riuniti una prima
volta ad Atene a settembre scorso e
si sono dati appuntamento per aprile
a Madrid. A Lisbona si è parlato di
crescita, sicurezza, a partire dal contrasto alla radicalizzazione, e di immigrazione. A proposito di questioni
economiche, è emersa la linea critica
nei confronti di troppa austerità.
Hollande ha affermato che «ci sono
paesi che cinque anni fa vivevano
gravi difficoltà e hanno fatto enormi
progressi ma non basta». Tutti han-
Schulz
candidato
dell’Spd
alla cancelleria
BERLINO, 30. L’ex presidente dell’europarlamento Martin Schulz è stato
scelto all’unanimità dai leader del
partito socialdemocratico (Spd) come candidato alla cancelleria alle
elezioni del 24 settembre. Lo hanno
detto fonti dell’Spd durante il vertice di ieri del partito a Berlino.
Schulz scende, dunque, in campo
contro Angela Merkel, con l’obiettivo di prenderne il posto. E mettere
la parola fine all’esperienza della
Große Koalition. «L’Spd partecipa alle elezioni del 2017 per diventare la
prima forza politica del Paese. E io
corro per diventare cancelliere», ha
affermato, nel suo primo discorso
dopo l’ufficializzazione della candidatura da parte del presidio del partito. «Con questa politica non si
può andare avanti, serve un nuovo
inizio in Germania», ha dichiarato
dal canto suo Sigmar Gabriel, che
nei giorni scorsi ha passato a Schulz
il testimone alla presidenza del partito socialdemocratico.
Giustizia sociale e lotta ai populismi i temi principali toccati nella
prima uscita pubblica in vista delle
elezioni legislative del 24 settembre
prossimo. Schulz, in questo primo
discorso, ha attaccato il presidente
degli Stati Uniti, Donald Trump,
Alternative Für Deutschland (Afd),
il partito di destra ed euroscettico, e
la Csu bavarese, senza mai citare
Angela Merkel. Ma ha puntato il dito contro la litigiosità dell’unione
(Cdu-Csu), e ha sferzato il ministro
delle finanze, Wolfgang Schäuble.
«In Germania servono investimenti
per creare lavoro, investimenti sulle
infrastrutture e sull’istruzione — ha
detto — e il fatto che il ministro delle finanze voglia usare il surplus di
bilancio per tagliare le tasse, invece
di investirlo per i nostri figli, vuol
dire che serve un ministro delle finanze socialdemocratico». Se si fanno concessioni miliardarie alle banche «mentre l’intonaco cade dalle
pareti nelle scuole non è giusto» ha
insistito in un altro passaggio del
lungo intervento. «L’Spd — ha poi
aggiunto — vuole recuperare il suo
profilo sociale, battendosi per la giustizia fiscale, contro le fughe di capitale, e per un’istruzione gratuita
dall’asilo all’università». Temi, ha
garantito Schultz, che saranno tutti
al centro della prossima campagna
elettorale.
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no concordato sul fatto che «ora servono politiche economiche più coordinate nel senso di una «spinta alla
crescita». Gentiloni ha chiesto «sostegno a investimenti e lavoro, unione bancaria e un’interpretazione delle regole favorevole alla crescita».
I sette leader, sostanzialmente
concordi su questa linea, hanno sottolineato come un momento importante per discutere di politiche economiche sarà il vertice dell’Ue convocato il 25 marzo a Roma, nell’anniversario della firma dei Trattati
fondativi. In quell’occasione — ha
sottolineato Gentiloni — «dovranno
essere riaffermati i valori dell’Europa, perché non sono più scontati».
Per quanto riguarda la gestione
dei migranti, è stato ribadito che
«ognuno deve assumere un pezzo di
responsabilità». Venerdì prossimo ne
parleranno tutti i capi di stato e di
governo dell’Ue nel vertice fissato a
Malta. La commissione presenterà il
suo piano per bloccare i flussi
dall’Africa, che prevede, tra l’altro,
un accordo particolare con la Libia.
Vertice Euro-Med a Lisbona (Ansa)
La Gauche sceglie Hamon
mier, il cui governo ha dovuto vedersela per lunghi mesi con la
“fronda” interna capeggiata, fra gli
altri, proprio da Hamon, ha ribadito l’inconciliabilità dei programmi.
«Io mi batto perché i giovani abbiano un lavoro, non perché abbiano i sussidi», con evidente riferimento al progetto distintivo del
programma dell’avversario, il cosiddetto “reddito universale”. Valls ha
rivendicato «il bilancio di questi
anni» di governo: «La lotta e l’impegno contro il terrorismo, nonostante le difficoltà di bilancio, la
legge sulle nozze gay e la tenuta
dei conti, nonostante tutti gli sforzi
per rilanciare il lavoro».
Il primo turno delle presidenziali
francesi è in programma per il 23
aprile. Il ballottaggio è invece previsto per il 7 maggio.
Il vincitore delle primarie socialiste Benôit Hamon (Epa)
Crollata ad Amatrice
parte della chiesa di Sant’Agostino
ROMA, 30. La terra continua a tremare nell’Italia centrale. Dopo la
scossa di ieri di magnitudo 3,8 sulla scala Richter, è crollata nel paese di Amatrice la parete destra della chiesa di Sant’Agostino, già pesantemente lesionata dai precedenti terremoti. Lo riferiscono i vigili
del fuoco in una nota.
L’evento sismico, secondo i dati
dell’istituto di Geofisica e vulcanologia, si è verificato a una profondità di 6 chilometri. Non ci sono
persone coinvolte. La scossa è stata avvertita anche nei vicini centri
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
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ROMA, 30. Un gruppo di 40 profughi siriani, tra cui molti bambini,
donne, malati e anziani, è stamane
arrivato all’aeroporto di Fiumicino
con un volo di linea dal Libano. Si
tratta infatti dell’iniziativa dei «corridoi umanitari» promossi dalla comunità di Sant’Egidio, dalla Federazione delle chiese evangeliche in
Italia e dalla Tavola Valdese in collaborazione con il governo italiano.
I nuovi arrivi, provenienti soprat-
ATENE, 30. In Grecia fa scalpore
la chiusura per debiti di uno dei
più seguiti quotidiani del paese
«Ta Nea». Ha annunciato la sospensione delle pubblicazioni
dopo che la sua casa editrice,
Lambrakis, non è riuscita a pagare i 99 milioni di euro in
scadenza lo scorso dicembre.
Identica sorte tocca a un’altra
storica testata pubblicata dallo
stesso gruppo, il settimanale «To
Vima».
La società Lambrakis, oltre alle due testate che scompaiono,
controlla alcune riviste e la stazione radio «Vima Fm» e possiede una quota dell’altrettanto
indebitata stazione televisiva
«Mega». La casa editrice, in
una nota, ha accusato le banche
creditrici di aver pignorato tutti
i suoi utili in maniera indistinta,
«che vengano dalle vendite dei
giornali o dalla pubblicità». Negli scorsi mesi, il presidente del
gruppo
editoriale,
Stavros
Psycharis, era stato messo sotto
processo per evasione fiscale e
riciclaggio. «Ta Nea» e «To Vima», sono stati fortemente critici nei confronti del primo ministro Alexis Tsipras. In ogni caso,
due settimane fa il governo ha
tentato di salvare il gruppo tramite un commissariamento, ma
l’opposizione si è opposta accusando Tsipras di voler prendere
il controllo del gruppo.
Colloqui
sul Kosovo
di Accumoli, Cittareale, Borbona,
Campotosto e Montereale.
Proseguono senza sosta, intanto,
le indagini della procura di Pescara sulla tragedia dell’hotel Rigopiano del 18 gennaio scorso, dove
sono morte 29 persone.
A tenere banco è, soprattutto, la
questione dell’allerta valanghe,
emessa poco prima della slavina
che ha investito l’hotel di Farindola.
Ieri in diversi comuni tra Marche e Abruzzo hanno avuto luogo
i funerali di alcune delle vittime.
Servizio vaticano: [email protected]
A Roma quaranta siriani
con i corridoi umanitari
Due quotidiani
greci
chiusi per debiti
Primarie socialiste per le presidenziali francesi
PARIGI, 30. L’esponente della sinistra del partito socialista francese
(Psf), Benôit Hamon, ha vinto di
larga misura il ballottaggio di ieri
delle primarie del Psf per la candidatura all’Eliseo. Secondo i dati ufficiali, Hamon ha ottenuto il 58,65
per cento dei voti, contro il 41,41
per cento del centrista ed ex primo
ministro, Manuel Valls.
Nel suo primo discorso dopo
l’investitura, Hamon — vincitore
contro ogni previsione del primo
turno delle primarie di domenica
scorsa — ha annunciato che «la
gauche ha risollevato la testa» e che
da oggi inseguirà il non facile progetto di riunire tutta la sinistra.
«Proporrò a tutti i candidati della
sinistra e degli ecologisti, tra i quali
Jean-Luc Mélenchon e Yannick Jadot, di costruire insieme una maggioranza governativa coerente».
Una dichiarazione — indicano gli
analisti politici — che suona come
una rottamazione del presidente,
François Hollande, di Manuel Valls
e dei cinque anni anni trascorsi nel
tentativo di riformare la Francia.
«Il nostro Paese — ha continuato
Hamon — ha bisogno di una sinistra moderna e innovatrice. Bisogna
scrivere una nuova pagina della nostra storia».
Nel riconoscere la netta sconfitta,
Valls ha dichiarato di «non portare
rancore», affermando che è Benoit
Hamon a rappresentare ora «tutta
la famiglia socialista». Ma l’ex pre-
Mentre continuano i soccorsi nel Mediterraneo
BELGRAD O, 30. Il premier serbo,
Aleksandar Vučić, e il presidente
kosovaro, Hashim Thaçi, hanno
avuto ieri un colloquio telefonico
nel quale hanno concordato sulla
prosecuzione del dialogo fra Belgrado e Pristina. Come riferisce
l’edizione on line del quotidiano
belgradese «Blic», i due interlocutori hanno sottolineato che il negoziato è l’unico modo per risolvere
tutti i punti di disaccordo.
Vučić e Thaçi, aggiunge il giornale, hanno espresso la volontà
delle due parti di lavorare attiva-
Segreteria di redazione
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
mente per preservare pace e stabilità nella regione e per migliorare i
rapporti tra serbi e albanesi, tra
Belgrado e Pristina.
I due leader si erano incontrati
martedì scorso a Bruxelles per una
nuova sessione di colloqui nell’ambito del dialogo sul Kosovo, sotto
l’egida dell’Unione europea. Alla
riunione, con l’alto rappresentante
dell’Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, avevano preso parte anche il
presidente serbo, Tomislav Nikolić,
e il premier kosovaro, Isa Mustafa.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
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Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
tutto dalle città siriane di Aleppo,
Homs e Damasco, sono i primi nel
nuovo anno. Nel corso del 2016
con le stesse modalità ne sono arrivati 540.
Intanto, sempre questa mattina,
nel Mediterraneo si è svolta l’ennesima operazione di soccorso: 125
profughi a bordo di un gommone
sono stati avvistati e salvati a 15 miglia dalle coste libiche, a ovest di
Tripoli.
Gli ultimi intercettati in ordine
di tempo sono 108 uomini e 17
donne, due delle quali incinte, e 21
minorenni, di cui 20 non accompagnati. Nel weekend sono state centinaia le persone salvate. Solo in
un caso è stato trovato un corpo
senza vita. In Sicilia, al porto di
Catania sono sbarcati oltre 700 migranti tratti in salvo in diverse operazioni, al porto di Messina sono
stati accolti i 285 migranti che erano stati recuperati su uno stesso
barcone al largo del canale di
Sicilia.
E proprio guardando alla tragedia di chi affronta il viaggio in mare e poi il difficilissimo iter dei
centri di accoglienza e della richiesta di asilo, tra tanti numeri colpisce la singola vicenda del giovane
eritreo che si è tolto la vita in un
centro di accoglienza di Milano,
dove si trovava da 12 mesi. Era
giunto in Italia nel 2011, poi nel
2015 si era trasferito in Slovacchia,
ma gli era stata respinta la richiesta
di asilo e era stato rimandato in
Italia.
Per la Svizzera
la Brexit
non può attendere
LONDRA, 30. Come e quando negoziare nuovi accordi commerciali
con Londra. È la Svizzera a sollevare la questione, chiedendo che
subito dopo la realizzazione della
Brexit entrino in vigore i trattati
nuovi. Ma il Regno Unito non può
aprire negoziati senza aver realizzato il divorzio da Bruxelles.
Il ministro dell’economia svizzero, Johann Schneider-Ammann, ha
chiesto che un nuovo trattato di libero scambio con la Gran Bretagna
entri immediatamente in vigore dopo l’uscita di quest’ultima dall’Ue.
Precisamente, ha affermato che
«non deve passare una giornata
senza che una regolamentazione sia
di nuovo in vigore» e che «la nuova intesa deve essere per lo meno
altrettanto buona di quella attuale». Il punto è che la Gran Bretagna ha due anni di tempo per concludere i negoziati con Bruxelles. E
il ministro britannico del commercio, Liam Fox, che si è detto molto
interessato a un accordo con la
Svizzera, ha precisato che Londra
non può stipulare nuovi accordi
finché è membro dell’Ue. Anche
trattative formali sono vietate.
Da segnalare, intanto, che domani il parlamento di Westminster discute la legge sulla Brexit proposta
dal governo britannico.
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Uccisi 14 membri di Al Qaeda nel raid di un commando statunitense
Cento morti
in una battaglia nello Yemen
Forze siriane
riconquistano
la valle
del fiume Barada
DAMASCO, 30. Avanzano i governativi in Siria. Grazie a un nuovo
accordo raggiunto con alcuni
gruppi di ribelli che controllavano
la zona, le forze del presidente
Assad sono entrate nella valle del
fiume Barada, pochi chilometri a
nord-ovest di Damasco, strategica
per le sue risorse idriche che costituiscono la principale fonte di approvvigionamento per la capitale e
il circondario. La battaglia durava
da diverse settimane. L’area, nella
quale sono presenti ancora ventimila civili in una situazione critica, era stata esclusa dalla tregua in
corso nel paese poiché tra i ribelli
sono presenti anche fazioni jihadiste, in particolare gli ex qaedisti di
Jabhat Fateh Al Sham, già noto
come Fronte Al Nusra.
Gli insorti hanno cominciato a
ritirarsi mentre le truppe governative entravano ad Ayn Al Fijeh,
dove sgorgano le sorgenti di maggiore portata, nonché l’impianto
di pompaggio dell’acqua della capitale. Insieme ai soldati nel villaggio sono arrivati tecnici e operai addetti alla manutenzione per
riparare i danni subiti dalla struttura, non più operativa dal 23 dicembre scorso. Tale inattività aveva lasciato senza acqua ben cinque milioni di abitanti.
Come detto, da cinque settimane l’area, che si estende a ridosso
della catena montuosa del Qalamoun lungo il confine con il Libano, è stata teatro di violenti
combattimenti malgrado il cessate
il fuoco in vigore nell’intera Siria
dal 30 dicembre. Una ventina di
giorni fa era stata proclamata una
temporanea sospensione delle
ostilità, subito revocata in seguito
all’uccisione di un mediatore, l’ufficiale a riposo Ahmed al Gadban,
da parte di un cecchino. Una prima intesa complessiva raggiunta
all’epoca era così rimasta lettera
morta.
Stando a quanto dichiarato
all’agenzia di stampa ufficiale Sana dal capo negoziatore del regime, Ali Mohammed Yousuf, la
tregua attuale prevede che i combattenti dell’opposizione consegnino le armi pesanti e siano trasferiti quindi in pullman a Deir
Muqarin, località distante circa
cinque chilometri in direzione est
e ancora nelle mani dei loro compagni.
SANA’A, 30. Nonostante lo Yemen
occupi una posizione strategica
molto importante, controllando parte dello stretto di Bab El Mandeb,
che collega il Mar Rosso con lo
stretto di Aden, il conflitto che vi
sta combattendo resta praticamente
dimenticato dai media internazionali. Che hanno anche ignorato la battaglia in corso nella regione di Mokha, sul Mar Rosso, nella quale, in
sole 24 ore, sono morte oltre cento
persone, per la maggior parte combattenti huthi.
Nello Yemen si sta consumando
«una catastrofe umanitaria senza
precedenti», ha scandito Stephen
O’Brien, vicesegretario generale per
gli affari umanitari delle Nazioni
Unite. E il coordinatore dell’O nu,
Jamie McGoldrick, ha affermato la
scorsa settimana che almeno 10.000
civili sono rimasti uccisi dall’inizio
del conflitto, 40.000 feriti e tre milioni di persone hanno dovuto abbandonare le proprie case. Ma non
sono molti a dedicare spazio e attenzione a questa carneficina.
Nella battaglia sul Mar Rosso iniziata lo scorso 7 gennaio — con l’of-
Nel blitz, scattato all’alba di domenica nel distretto rurale di Yakla,
nella provincia di Bayda, sono stati
uccisi Abdul-Raouf Al Dhahab, Sultan Al Dhahab e Seif Al Nims, tre
leader di Al Qaeda nel paese, ma
non tutto è andato come previsto.
Oltre al soldato statunitense ucciso,
infatti, altri quattro militari americani sono rimasti feriti, l’esercito ha
perso un velivolo — un elicottero,
secondo le indiscrezioni dei media
— ma soprattutto l’operazione ha
provocato un alto numero di vittime
civili. Da parte sua, Donald Trump
ha definito il raid un «successo» e
ha definito «eroico» il militare ucciso, auspicando una pronta guarigione ai soldati feriti. «In un raid di
successo contro i quartieri generali
di Al Qaeda le coraggiose forze statunitensi sono state determinanti
nell’uccidere un numero stimato in
14 membri di Aqap e nell’impossessarsi di importanti informazioni di
intelligence che aiuteranno gli Stati
Uniti a prevenire atti di terrorismo
contro cittadini e persone in tutto il
mondo», si legge in un comunicato.
Carri armati in azione sulla costa del Mar Rosso (Afp)
All’esame del parlamento israeliano
L’esercito afghano non è in grado di contrastare i talebani
Legge per la sanatoria
degli insediamenti
Una quarantina di scuole chiuse a Herat
TEL AVIV, 30. Viene presentata oggi
alla Knesset la legge sulla sanatoria
degli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Se venisse approvata,
sarebbero regolarizzati tra i 2500 e i
4000 alloggi tra i quali figurano —
secondo l’associazione Peace Now
— anche circa 797 strutture in 55
avamposti. Il premier Benjamin
Netanyahu ha spiegato, nella seduta di governo tenutasi ieri, che la
proposta di legge è destinata a
«normalizzare lo status degli insediamenti e a prevenire i ricorrenti
tentativi di danneggiarli». Nella
stessa occasione il capo dell’esecuti-
vo ha detto che «l’ambasciata statunitense dovrebbe essere a Gerusalemme»: un chiaro riferimento alla
recente proposta del presidente Donald Trump. Intanto, non si fermano le violenze nella regione. Un palestinese di 19 anni è stato ucciso ieri in scontri con l’esercito israeliano
nel corso di un’operazione che ha
portato all’arresto di ricercati nel
campo profughi di Jenin nel nord
della Cisgiordania. Secondo l’esercito israeliano, i soldati hanno risposto al lancio di ordigni esplosivi
da parte di due giovani e uno di loro è stato colpito.
Un insediamento ebraico vicino alla città di Hebron in Cisgiordania (Epa)
Ad Addis Abeba
il vertice dell’Unione africana
ADDIS ABEBA, 30. Il vertice
dell’Unione africana (Ua) che si
apre oggi ad Addis Abeba promette
di essere uno dei più importanti degli ultimi anni. All’ordine del giorno figurano la richiesta di reintegrazione del Marocco, l’elezione di un
nuovo esecutivo e l’analisi delle crisi che colpiscono il continente.
Secondo alcuni esperti il summit
potrebbe rivelarsi decisivo per il futuro dell’organizzazione e per la
sua coesione interna. L’Ua è chiamata a trovare un punto di equilibrio nelle varie controversie, anche
per presentarsi unita di fronte alle
nuove sfide rappresentate dall’elezione di Donald Trump alla Casa
Bianca e dall’entrata in carica del
nuovo segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, che
aprirà il vertice.
Per oggi è prevista in particolare
la discussione sull’eventuale rientro
del Marocco a pieno titolo nell’or-
fensiva delle forze lealiste del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi
appoggiate dalla coalizione guidata
dall’Arabia Saudita contro i ribelli
huthi sostenuti dai miliziani dell’ex
presidente Ali Abdullah Saleh al
potere per oltre trent’anni — centinaia di combattenti sono rimasti uccisi. Le truppe lealiste tentano di
conquistare completamente la città
di Mokha ma gli huthi oppongono
una strenua resistenza.
Approfittando di questa situazione di instabilità, Al Qaeda nella penisola arabica (Aqap) e i miliziani
del cosiddetto stato islamico (Is)
hanno rafforzato la loro posizione.
E gli Stati Uniti non hanno dato
tregua in questi ultimi anni ad Al
Qaeda nella penisola arabica. E almeno 14 membri dell’organizzazione
terroristica sono stati uccisi, oltre a
un soldato statunitense, nella prima
operazione approvata ieri dal presidente statunitense, Donald Trump.
Un raid con un commando sul terreno nel centro dello Yemen che
aveva per obiettivo l’uccisione di tre
alti esponenti di Al Qaeda.
ganizzazione. Il regno ha lasciato
l’Ua nel 1984 per protesta contro
l’ammissione della Repubblica araba Saharawi democratica proclamata dal fronte Polisario nel Sahara
occidentale, un territorio che Rabat
considera sotto il suo controllo. Nel
mese di luglio il Marocco ha reso
nota la sua volontà di tornare
nell’organizzazione e re Mohammed VI ha annunciato la sua presenza ad Addis Abeba.
Già ieri ad Addis Abeba si sono
avute le prime dichiarazioni. In
particolare Guterres durante un incontro sulla situazione umanitaria
in Etiopia, ha elogiato la generosità
di Addis Abeba che anche di fronte
alla peggiore siccità degli ultimi 50
anni ha continuato ad accogliere i
rifugiati provenienti da paesi vicini
in crisi. Si tratta di «un esempio»,
ha detto il segretario generale
dell’O nu.
KABUL, 30. Oltre 40 scuole sono
state chiuse nella provincia occidentale afghana di Herat per motivi di
sicurezza. Lo riferisce oggi Tolo tv
di Kabul. Citando fonti del dipartimento dell’educazione provinciale,
l’emittente precisa che si tratta di almeno 2000 bambini che non possono usufruire del loro diritto all’istruzione.
Il problema riguarda, ha indicato
il portavoce del governo provinciale
Farhad Jalani, 41 scuole che si trovano nei distretti di Shindand, Guzra, Gulran, Oba e Zindagan dove
le forze di sicurezza afghane non
sono in grado di contrastare efficacemente l’attività dell’insorgenza.
Sempre Tolo tv sostiene inoltre che
esistono studi secondo cui attualmente oltre 150 scuole sono chiuse
nelle province occidentali dell’Afghanistan per ragioni di sicurezza.
E intanto, il vicecapo della commissione militare dei talebani in Afghanistan è stato ucciso venerdì sera
nel corso di una imboscata tesagli
dalle forze di sicurezza nella provincia meridionale afghana di Zabul. Il
capo della sicurezza di Zabul, Ghulam Jailani Farahi, ha indicato che
Mawlawi Sidiqullah è stato ucciso
insieme ad altri nove insorti.
Lo stesso Farahi ha aggiunto che
dopo l’opportuna identificazione, il
cadavere del responsabile militare
talebano è stato trasferito all’ospedale di Qalat City, il capoluogo
provinciale. Da parte loro i responsabili dei talebani afghani non han-
Proteste e caos
nel Camerun
YAOUNDÉ, 30. Nella regione meridionale del Camerun dove la maggioranza della popolazione parla inglese, sono in corso proteste per
chiedere la fine dell’uso esclusivo
della lingua francese nei tribunali e
nel sistema scolastico.
Le manifestazioni di dissenso sono iniziate nel mese di ottobre dello
scorso anno, quando un gruppo di
avvocati anglofoni sono scesi in
piazza nella città di Bamenda, capitale della regione nord-occidentale,
per contestare l’uso del francese nei
tribunali e la mancanza di versioni
in inglese di alcuni atti giuridici. A
loro nel tempo si sono uniti altri
gruppi che rivendicano più in generale una autonomia maggiore della
popolazione anglofona, che è considerata discriminata dal governo centrale di Yaoundé.
La risposta dell’esecutivo è stata
molto dura, concretizzandosi di fatto
nel ricorso alle forze dell’ordine. Si
sono registrati arresti e una severa
repressione delle manifestazioni. Le
proteste però non si sono interrotte
sia nel nord-ovest, sia nel sud-ovest,
le due regioni a maggioranza anglofona abitate da circa 3,2 milioni di
persone.
Dal 17 gennaio, inoltre, i collegamenti a internet sono stati interrotti
proprio nelle regioni dove si parla
prevalentemente la lingua inglese,
provocando disagi e una vera e propria paralisi dell’economia.
Il sud del paese era la parte meridionale del mandato britannico del
Camerun in Africa occidentale. Dal
1984 fa parte della Repubblica del
Camerun. Nello stesso anno è stato
creato il Movimento anglofono del
Camerun che, dopo un’iniziale richiesta di autonomia ha iniziato a rivendicare l’indipendenza completa
dall’autorità centrale.
no finora commentato la notizia per
confermarla o smentirla.
Nel frattempo, Kabul lancia una
campagna per l’arruolamento di
donne soldato a poche settimane
dalle polemiche per la richiesta di
asilo negli Stati Uniti presentata
dalla prima pilota militare afghana,
la top gun Nilofar Rahmani. Il ministero della difesa ha annunciato
incentivi per le reclute donne
dell’esercito (Ana). Secondo i dati
ufficiali sono arruolate nell’esercito
1575 donne soldato e l’obiettivo è arrivare a 195.000 unità.
Attualmente, ha spiegato il portavoce del ministero Dawlat Waziri,
più di 400 donne stanno frequentando i corsi di addestramento. Tra
le future soldatesse c’è anche un
gruppo di afghane che si sta addestrando in Turchia. «Ci sono 5000
posizioni aperte per reclutare donne
nell’esercito», ha affermato Waziri.
A più di 15 anni dalla caduta del regime dei talebani, l’uguaglianza di
genere in Afghanistan resta un miraggio ed è infuocato il dibattito
sulla presenza di donne tra le fila
delle forze di sicurezza.
Assassinato un consulente
di Aung San Suu Kyi
NAYPYIDAW, 30. Ko Ni, un avvocato e consigliere legale della Lega
nazionale per la democrazia, il
partito in Myanmar guidato dal
premio Nobel per la pace, Aung
San Suu Kyi, è stato assassinato
ieri a colpi di arma da fuoco
all’aeroporto di Yangoon.
Ex attivista ed ex detenuto politico, musulmano, Ko Ni — esperto
di diritto costituzionale, che ha lavorato al progetto della Lega nazionale per la democrazia di emendare la carta fondamentale voluta
dai militari — è morto dopo essere
stato colpito alla testa mentre
prendeva un taxi. Al momento
dell’aggressione, aveva con sé un
bambino, probabilmente il nipote,
rimasto illeso. Ucciso anche l’autista del taxi, mentre altre sette persone sono rimaste ferite. Un uomo
è stato arrestato dalla polizia.
L’anno scorso, Ko Ni aveva
contribuito a fondare l’associazione degli avvocati musulmani di
Myanmar e aveva sottolineato
pubblicamente la necessità di lottare per i diritti dei musulmani nel
paese del sudest asiatico. Era molto noto per le sue posizioni a favore della democrazia, della tolleranza religiosa e del pluralismo.
Suu Kyi non ha ancora commentato l’accaduto, ma l’omicidio
— rilevano gli analisti — rischia di
innescare un pericoloso periodo di
tensioni nella nascente democrazia
del Myanmar, da neanche un anno
guidata dietro le quinte da Suu
Kyi nel governo di Htin Kyaw.
Ko Ni aveva spesso criticato
l’eccessivo potere nelle mani
dell’esercito — che tuttora controlla
tre ministeri chiave, tra cui gli interni e la difesa — così come lo
stesso partito del Nobel per la pace, che l’anno scorso non aveva
candidato nessun musulmano tra i
suoi ranghi in vista delle legislative. Negli ultimi mesi, inoltre, si è
riaccesa in Myanmar la questione
della minoranza etnica musulmana
dei rohingya.
Toyota cede a Volkswagen
il primato mondiale delle vendite
TOKYO, 30. La compagnia automobilistica giapponese Toyota ha
perso il primato mondiale delle
vendite, scalzata dalla tedesca Volkswagen. Nel 2016 Toyota ha venduto 10,18 milioni di auto, con un
leggero rialzo rispetto all’anno precedente che però non le permette
di superare le 10,3 milioni di unità
registrate dal colosso tedesco. Per
la Volkswagen si tratta di un livello record, raggiunto nonostante
l’impatto negativo del «dieselgate». Toyota ha dunque perso una
supremazia mondiale che deteneva
ininterrottamente dal 2008, con
l’eccezione del 2011, anno dello
tsunami che ha devastato il Giappone. Dietro ai due colossi, secondo gli esperti, dovrebbe piazzarsi
General Motors, che nel 2015 ha
registrato vendite per 9,8 milioni
di unità e che per il 2016 deve ancora fornire dati ufficiali.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
lunedì-martedì 30-31 gennaio 2017
Pio XI in visita ai padiglioni dei Musei vaticani
in allestimento per l’esposizione del 1925
Cristianesimo
e cambiamento
di epoca
di RODRIGO GUERRA LÓPEZ
a letteratura sull’esaurirsi della modernità e sulle reazioni che vengono definite
postmoderne è immensa. Da diversi decenni campeggia ovunque la consapevolezza che un’epoca è giunta al suo termine e che a livello globale sta emergendo una
certa novità culturale: in ambiti molto diversi come
la teoria dell’architettura, la filosofia o la sociologia si sono forgiate importanti interpretazioni sulla
crisi epocale contemporanea che a loro volta sono
state un sintomo dello sconcerto dinanzi al crollo
di certezze fino a poco tempo fa incontestate o
considerate incontestabili.
La Chiesa non è rimasta ai margini di tali riflessioni. I poveri, le donne e i giovani sono tre modi
di toccare la frontiera, l’avanguardia, la periferia
dell’esperienza cristiana al momento di un “cambio
di epoca” come quello attuale.
L’America latina è una comunità pluriculturale
di nazioni in cui il sostrato cattolico opera come
uno degli elementi più decisivi e agglutinanti della
sintesi culturale che ci caratterizza come regione.
Questo sostrato cattolico non è puramente religioso né puramente culturale, bensì mostra l’efficacia dell’inculturazione del Vangelo e dell’evangelizzazione della cultura che, seguendo l’analogia
dell’Incarnazione, assume e riassume in ogni generazione i cammini
umani che come
persone e come popoli intraprendiamo.
Le erosioni e i
mutamenti di questo sostrato identitario sono evidenti
e sicuramente proseguiranno a lungo.
Pubblichiamo l’inizio e la
Nondimeno, nella
conclusione di un intervento al
loro
consistenza
convegno intitolato «Da Puebla
profonda possiamo
ad Aparecida. Chiesa e società in
osservare che si rinAmerica latina (1979-2007)» e
nova continuamenorganizzato dall’Istituto di studi
te e si riformula ciò
politici San Pio V con il
che sta all’origine
patrocinio dell’Istituto italodi tutto: la sensibilatinoamericano. Tenuta il 26 e 27
lità dei popoli pregennaio scorso a Roma nella sede
colombiani, l’eredidell’Istituto Luigi Sturzo,
tà ispano-lusitana e
l’iniziativa ha delineato un
il
cristianesimo.
bilancio del presente e del
Anche nelle comupassato recente del cattolicesimo ,
nità più secolarizzasullo sfondo dell’elezione del
te dell’America latiprimo Papa americano. Rodrigo
na questi elementi
Guerra López presiede il Centro
fusi sono riconoscide Investigación Social Avanzada
bili, come è riconodi Querétaro, in Messico.
scibile che non
L
Il metodo
Guadalupe
smettono di occupare un livello centrale, fondante, nella dinamica sociale,
anche quando le persone si possono identificare
come “non credenti”. In altre parole, anche il fenomeno della non credenza in America latina è costruito all’interno della matrice culturale fondamentale, dove l’esperienza religiosa continua a
svolgere un ruolo simbolico e agglutinante.
Se dovessimo individuare un luogo di sintesi
originaria di tutto questo complesso fenomeno storico e sociale, difficilmente troveremmo un esempio migliore del potenziale simbolico e religioso
che possiede l’evento guadalupano, e la sua trascendenza. Lasciando per un momento da parte le
questioni storiografiche complesse ed esaminando
soltanto il suo carattere esemplare e sintetico, ritengo che sia possibile affermare che nella presenza di Maria di Guadalupe e nel suo messaggio a
Juan Diego si possono percepire gli elementi fondamentali che fanno sì che l’inculturazione del
Vangelo e l’evangelizzazione della cultura nei momenti di cambiamento epocale possano realizzarsi
e proseguire in modo creativo.
È chiaro che non basta ripetere discorsi rivelatisi
efficaci in passato. Ed è altresì chiaro che nuove
problematiche e sensibilità vanno accolte prima di
essere giudicate. Perciò, al di là delle metodologie
esogene, il cristianesimo latinoamericano possiede
in Guadalupe un metodo proprio che curiosamente possiede una pertinenza singolarissima per il
momento tardo-moderno o post-moderno che stiamo vivendo e che ad alcuni di noi appare di così
difficile interpretazione. In lei il calore e la vicinanza del divino si manifestano con volto femminile. In lei non c’è traccia di moralismo ma di attenzione tenera e fedele alla fragilità e al dolore.
Inoltre, in Maria di Guadalupe è possibile individuare un messaggio profetico e liberatore che trascende di molto l’orizzonte del cristianesimo borghese e il facile impegno ideologico apparentemente anti-sistemico. Perciò, a quattordici anni dal
quinto centenario dell’evento guadalupano, forse è
bene volgere lo sguardo a esso e cercare di imparare ancora qualche lezione pertinente per il presente
e il futuro delle nostre società e della nostra Chiesa. Approfondire la questione, richiederà, sicuramente, nuove ricerche.
Dal 1851 al 2015
Il Vaticano e le esposizioni internazionali
di ARABELLA CIFANI
’idea di «Esposizione
Universale» nacque per la
prima volta nel 1851, a
Londra. Alberto, marito
della regina Vittoria, presidente della Royal Society of Arts,
ebbe l’intuizione di organizzare una
grande esposizione per mostrare al
mondo le meraviglie dei progressi
tecnologici e della nascente industrializzazione. Le Expo universali si
susseguirono con crescente successo.
A Parigi nel 1867, per i fasti del secondo impero, furono quindici i milioni di visitatori; a Vienna nel 1873
sette milioni. Nel 1876 fu la volta del
nuovo mondo: a Philadelphia venne
commemorato il centenario dell’indipendenza americana. Nel 1889 si
tornò a Parigi nel centenario della rivoluzione francese; la Tour Eiffel divenne simbolo, da allora perenne,
della città: si presentarono i primi
prototipi di automobili e la luce elettrica: invenzioni destinate a cambiare il mondo. Nel 1906 Milano solennizzò l’apertura del traforo del Sempione: apertura dell’Italia del nord
industrializzata verso l’Europa. Nel
1915 l’Expo fu tenuta a San Francisco per l’apertura del Canale di Panama: i visitatori furono 18 milioni.
Dopo la prima guerra mondiale, nel
1928 fu creato per l’Expo, che favoriva un business straordinario, il Bureau International des Expositions.
L’Expo di Parigi del 1931 aprì ai
paesi coloniali. Nell’occasione fu anche evidenziato il ruolo delle missioni nel programma di civilizzazione
colonialistica: furono costruite due
chiese, una cattolica e una protestante. Seguirono: nel 1933 Chicago e nel
1937 Parigi. La seconda guerra mondiale sospese la grande manifestazione, che riaprì a Bruxelles nel 1958.
La Chiesa è sempre stata in prima
fila nelle Expo sino dal lontano 1851
e ha partecipato quasi sempre a questi eventi, fino all’ultima di Milano
del 2015, testimoniando così dei molteplici interessi che la animano, del
L
Per l’Expo del 1867 Pio IX
volle la ricostruzione su scala reale
delle catacombe romane
E la volle visionare
prima dell’invio a Parigi
coraggio nel confrontarsi senza remore con altre culture e religioni.
Un innovativo volume Attraversare
la storia. Mostrare il presente. Il Vaticano e le Esposizioni internazionali
1851-2015 (pagine 272, euro 39) appena pubblicato dalle Edizioni dei
Musei Vaticani e da 24 Ore Cultura,
a cura di Micol Forti, direttore delle
collezioni vaticane di Arte moderna,
Federica Guth e Rosalia Pagliarani,
con presentazione del cardinale
Gianfranco Ravasi e prefazione di
Antonio Paolucci, viene a ripercorrere, con il supporto di una ricca documentazione d’archivio, la lunga
storia delle partecipazioni della Santa Sede alle Esposizioni universali.
Il primo capitolo si occupa delle
partecipazioni della Chiesa alle
Expo dal tempo di Pio IX fino alla
mostra di Chicago del 1893. Non
certo una Chiesa imbalsamata e
odorosa di sacrestia. A Londra nel
1851 furono presentate sculture squisite come l’Amore e Psiche di Giovanni Maria Benzoni; inoltre mosaici
della celebre Scuola vaticana, cammei, ma anche minerali, asfalti naturali, allume e altri prodotti industriali provenienti dagli stati pontifici.
Pio IX non si sottrasse al confronto
tecnico scientifico, anzi. Nel 1855 la
Chiesa cattolica fu presente all’Expo
di Parigi, pur nella difficile temperie
politica italiana. Nell’Expo di Londra del 1862 lo Stato pontificio, anche se nella drammaticità dell’immediato momento post-unitario italiano, ebbe uno stand proprio con oggetti appartenenti alle belle arti, industria e arti meccaniche. A Parigi,
nel 1867, la presenza della Santa Sede era ormai assodata e con solida
esperienza. Pio IX volle che si realizzasse in scala reale una suggestiva ricostruzione idealizzata delle catacombe romane, che volle visionare
personalmente prima della partenza
per la Francia e che fu visitatissima.
C’erano però anche strumenti scientifici all’avanguardia come il meteorografo di padre Secchi, che permetteva le prime previsioni del tempo
su base accertata. Dopo la presa di
Porta Pia nel 1870, la Santa Sede incominciò a guardare con crescente
simpatia agli Stati Uniti. Fu così
presente all’Esposizione del 1876 a
Philadelphia, sia pure con pochi
pezzi di mosaico e di arazzi. A Chicago, nel 1892, il Vaticano inviò mosaici, lettere originali e in copia di
Colombo; inoltre contribuì alla ricostruzione del convento francescano
di Palos dove aveva soggiornato Colombo.
La Santa Sede, durante l’O ttocento, organizzò anche mostre a Roma.
Del 1870 è L’esposizione romana delle
opere di ogni arte eseguite pel culto cattolico promossa da Pio IX pochi mesi
prima di Porta Pia: Virginio Vespignani progettò le strutture espositive
nel chiostro della basilica di Santa
Maria degli Angeli. Nel 1888 un’altra mostra fu aperta nelle Gallerie e
nei Giardini vaticani: una serie di
splendide foto storiche evoca il gusto del neogotico allora trionfante.
Fra 1904-1936 ne seguirono altre in
Vaticano: expo missionarie, mariane,
stampa cattolica; una foto del 1925
presenta Pio XI che assiste personalmente all’allestimento dei padiglioni
all’interno dei Musei vaticani.
Nel 1904 la Santa Sede fu presente all’Expo di Saint Louis con pezzi
preziosi provenienti dalla Biblioteca
vaticana, con gigantografie della
Cappella Sistina e delle Stanze di
Raffaello, disegni delle catacombe,
copie da Guido Reni. Nel 1929 a
Barcellona, nel 1931 a Parigi e nel
1935 a Bruxelles, la Santa Sede partecipò con un ruolo significativo e si
dimostrò assai sensibile ai nuovi linguaggi per l’arte sacra, e alle grandi
mutazioni sociali che stavano investendo le comunità cattoliche, nel
settore delle famiglie, delle scienze
dei dibattiti culturali. Fra 1950 e 1958
due furono gli eventi di maggior rilievo nel settore espositivo: la mostra
internazionale di arte sacra per il
giubileo, e l’Expo di Bruxelles. Ma è
indubbiamente l’Expo di New York
del 1964-1965 a catalizzare i visitatori, poiché in quell’occasione fu esposta la Pietà di Michelangelo, mai
uscita prima dal Vaticano. L’allestimento dello scenografo Jo Mielziner
trasformò l’esposizione della Pietà in
una apoteosi visitata da ventisette
milioni di persone. Il padiglione volle nell’occasione tracciare una storia
della cristianità da Cristo al concilio
Vaticano II; fu allora presentata anche la ricostruzione della tomba di
san Pietro sotto la basilica vaticana.
Montreal 1967 e Osaka 1970 videro
la nascita di “padiglioni ecumenici”
e un Christian pavillon radunò sette
comunità religiose fra cui quella cattolica.
L’affascinante storia delle Expo è
proseguita dagli anni ottanta del
Novecento ai giorni nostri. Il Vaticano si è sempre distinto per prestiti
altissimi: la Pietà di Caravaggio e gli
me tavola al centro della sala e una
superficie multimediale sulla quale
venivano proiettate le immagini di
tutti i contesti quotidiani in cui si
può usare un tavolo: raduno familiare, altare, mensa, base di lavoro degli artigiani, banco di cucina, tavolo
operatorio in ospedale, refettorio di
un monastero. La suggestiva struttura architettonica, scheggiata da scritte sottili, progettata da Corrado Annoni, Stefano Parodi, Michele Reginaldi e Daniela Saviola, ha inteso
comunicare l’idea della roccia, della
pietra su cui Cristo ha costruito la
sua Chiesa.
La mostra del 1888 in Vaticano
arazzi di Raffaello a New Orleans
nel 1984; il Ciborio di Sisto IV a Siviglia nel 1992. Il ricordo dell’Expo
di Milano del 2015 è invece ancora
vivissimo. La Santa Sede, in una
“dimensione etica e antropologica”,
si è dedicata alla custodia della terra, all’educazione, al cibo fattore di
vita e al cibo eucaristico fattore di
vita eterna: temi che hanno coinvolto e invitato il pubblico a riflettere.
Focus dell’expo vaticana, una enor-
Il bellissimo volume chiude il lungo viaggio finora compiuto dal Vaticano nelle Expo fino al 2015. Conclusione provvisoria. La Chiesa sicuramente continuerà a essere presente
in questo «gran quadro sinottico
della civiltà umana», che presenta
«adunato quanto l’uomo ha compiuto di meraviglioso sopra la terra»
(Guido Gozzano), nell’ottica della
sua vocazione universale a salvaguardia dell’uomo.
Salmi a ritmo di reggae
Non è certo una novità che la
musica reggae, con il suo
inconfondibile ritmo in levare,
attinga a piene mani dai testi
biblici per proporre il suo
messaggio di riscatto. E in questa
scia si inserisce l’iniziativa lanciata
da Prixm, che nella sua newsletter
pubblicata il 29 gennaio, rilancia
un video di Alpha Blondy —
cantante reggae ivoriano con alle
spalle una prestigiosa
collaborazione con i Wailers di
Bob Marley — con la sua versione
del salmo di Davide. Il video ha
superato i due milioni di
visualizzazioni in rete ed è un
esempio calzante dell’obiettivo di
Prixm, che nasce per «ridare gusto
alla Bibbia». La newsletter offre
gratuitamente ogni settimana un
approfondimento dedicato a un
testo biblico, con un commento e
le sue interpretazioni nelle diverse
forme artistiche. Il suo scopo è far
comprendere, con una
comunicazione dai toni giocosi e
attraverso contenuti che non
richiedono più di tre minuti di
attenzione, «come la Bibbia abbia
influenzato l’arte per oltre duemila
anni. Cosa dicono i suoi testi e
cosa vogliono significare». Prixm è
uno dei quattro progetti di «Pitch
my Church #2», un’iniziativa
promossa da Église et innovation
numérique per favorire in Francia
la nascita di startup cattoliche
nell’ambito delle nuove tecnologie.
(solène tadié)
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 30-31 gennaio 2017
pagina 5
La scena
del martirio
Il dibattito
su «Silence»
di LUCETTA SCARAFFIA
l film di Scorsese sta suscitando
ampi dibattiti, dentro e fuori del
mondo cattolico, proprio a motivo
della ricchezza dei temi che affronta. Riguarda il Giappone del Seicento, ma anche l’oggi, tempo di persecuzione dei cristiani per la loro fede, e propone una serie di domande alle quali da
tempo non eravamo più abituati a rispondere.
La prima, sicuramente, è quella cruciale:
ha senso morire per Dio? Oggi e ieri questa domanda scuote fin nel profondo il
senso della fede, e il valore che diamo alla
vita, la vigliaccheria e il coraggio, la speranza e la disperazione. La risposta dei
contadini giapponesi suggerisce che è più
facile avere il coraggio di morire — se sappiamo di andare in paradiso dove staremo
molto meglio che nel mondo in cui viviamo — per chi in questo mondo vive in situazioni di oppressione e di fatica estrema.
Questa domanda ne apre un’altra: esiste
ancora qualcosa per la quale nelle nostre
società si è disposti a morire? In realtà,
pensiamo che non ci sia più niente per cui
valga la pena offrire la vita, anzi, non
osiamo neppure più porci la domanda.
Ma questa non è l’unica scossa che il
film procura alla coscienza dello spettatore: altre tre sono le questioni gravi che po-
I
Grandi domande dimenticate
ne il film. Una riguarda le possibilità di
inculturazione della fede cristiana: i contadini giapponesi che soffrono sotto le terribili persecuzioni sono veramente cristiani
o hanno costruito una religione sincretistica, alla quale credono sì ciecamente, ma
che alla fine poco ha a che vedere con la
tradizione cristiana? Non lo sapremo mai,
ma la domanda aleggia su tutta la vicenda, mettendo in crisi il progetto di evangelizzazione dei gesuiti fin dalle fondamenta.
La risposta di Ferreira a questa domanda è negativa: i cristiani giapponesi non
sono veri cristiani, tutta l’opera di conversione in cui tanti si sono impegnati fino a
perdere la vita è stata un fallimento. E in
questo trova la giustificazione della sua
apostasia. Ma alle radici dell’apostasia dei
due gesuiti sta un’altra ragione: la sofferenza che il loro rifiuto arrecava a dei con-
tadini inermi. Un cristiano è padrone di
donare la sua vita, ma non quella di un altro. Ed è attraverso questo scambio di destino che i giapponesi riescono a provocare la resa dei due missionari. Ma accettare
di rinnegare il cristianesimo per salvare altri da orribili torture, per dei veri credenti
significa perdere la propria anima: ha un
senso dannarsi l’anima per gli altri? Non è
questo forse il supremo sacrificio che Cristo richiede ai due gesuiti? Non è questo
l’atto di carità suprema, e non un tradimento? La questione in un certo senso rimane aperta, ma la fedeltà a Gesù di Rodrigues è testimoniata dal piccolo crocifisso che la moglie giapponese gli mette in
mano dopo la morte. Una sepoltura buddista, ma in mano l’obolo per il paradiso
cristiano...
Il tema del tradimento e del perdono rimane sotteso a tutte le vicende, rappresen-
tato dal giapponese vigliacco e traditore
che però, con la sua assillante richiesta di
perdono, riporta il gesuita Rodrigues al
ruolo sacerdotale, e che alla fine farà una
morte da martire.
Ma la questione che ha più intrigato i
commentatori laici — in primo luogo il filosofo Roberto Esposito — è il silenzio di
Dio, dal quale prende il nome il romanzo
e poi il film. Il silenzio di Dio che è stato
al centro delle riflessioni e dell’esperienza
di mistici e filosofi, e si è posto come questione drammaticamente attuale dopo la
tragedia della Shoah.
Una risposta possibile, suggerita dal filosofo, è che questa eclissi di Dio nel momento più drammatico lascerebbe l’uomo
libero di decidere, e quindi anche di scoprire che non hanno alcun valore le differenze religiose, quindi non sarebbe un
peccato l’apostasia. Questa interpretazione
mi lascia molto perplessa: nel film di
Scorsese il continuo riferimento alla passione di Cristo — dal Getsemani al grido
di Gesù sulla croce — suggeriscono invece
che la via dell’apostasia per salvare gli altri è una via di amore simile a quella del
crocefisso.
La complessità della questione, o per
meglio dire delle questioni, che il film
propone costituiscono il centro del suo in-
Il film di Scorsese sta suscitando dibattiti
per la ricchezza dei temi affrontati
Riguarda il Giappone del Seicento
ma propone anche interrogativi
a cui non eravamo più abituati a rispondere
teresse e svolgono senza dubbio una funzione di risveglio delle coscienze assopite.
E quindi la ragione principale dell’interesse e del dibattito che sta suscitando.
L’arte e i cattolici
di JUAN MANUEL
DE
PRADA
entirei se affermassi che mi hanno
sorpreso le esecrazioni e gli anatemi
che ha ricevuto Silence, l’ultimo film di Scorsese, da
certi ambiti cattolici. Mentirei anche se dicessi che mi ha scandalizzato il fatto che, per denigrarlo,
siano stati usati metodi scorretti,
divulgando interpretazioni false e
strampalate del film. Ma mentirei
pure se, come artista, nascondessi
che tali esecrazioni mi hanno costernato e ferito profondamente.
M
Già Charles Péguy avvertiva
dei pericoli insiti nel trasformare
la mistica in politica
nell’avvolgere i nostri pregiudizi
ideologici in alibi religiosi
Perché queste reazioni dimostrano
nuovamente l’incomprensione che
da certi ambiti cattolici si professa
per ogni arte che non sia schematica o dottrinaria, ma complessa e
problematica (ossia autentica arte).
Fenomeno che, a mio giudizio, costituisce una delle prove più tristi
della decadenza di molta cultura
cattolica.
Che in certi ambiti cattolici esista una franca ostilità verso l’arte è
un’evidenza innegabile. Come lo è
anche, naturalmente, che tale ostilità sia a volte la reazione logica
verso un’arte nichilista, espressione
di un’epoca che odia la bellezza e
pugnala la nostra sensibilità.
Ma questa ostilità si rivolge anche di frequente a opere di grande
valore che, semplicemente, non si
inquadrano in un sentimentalismo
devoto. Non ci sfugge che, dietro
tale ostilità, si celano ragioni o irragionevolezze di tipo ideologico
(già Charles Péguy ci avvertiva dei
pericoli insiti nel trasformare la
mistica in politica, nell’avvolgere i
nostri pregiudizi ideologici in alibi
religiosi). E neppure che un certo
fariseismo ha trovato in questa
ostilità la scusa perfetta per con-
dannare l’artista, che generalmente
è una persona dai costumi licenziosi o eterodossi. Ma la verità è
che molte vette dell’arte cattolica
sono state realizzate proprio da artisti dai costumi licenziosi ed eterodossi, da Caravaggio a Pasolini,
passando per Lope de Vega o
Oscar Wilde. Ed è perché la grazia — come c’insegna ancora Péguy — molte volte utilizza la porta
di ingresso del peccato per benedire i suoi prediletti. Dio sceglie
spesso quanti sono caduti e sporchi come depositari dell’arte più
alta e sublime; e il rifiuto degli artisti “reprobi” è in fondo il rifiuto
della grazia divina. Questo rifiuto
ha provocato una triste decadenza
dell’arte cattolica, oggi naufraga
nella più assoluta irrilevanza, che,
mentre espelle artisti come Martin
Scorsese, accoglie opere inani,
sdolcinate, pacchiane e affettate,
pura arte dis-graziata nel senso più
stretto del termine.
Senza rendercene conto, noi cattolici cominciamo ad assomigliare
a quegli eretici iconoclasti dei primi secoli bizantini, che proclamavano orgogliosi il loro odio per
l’espressione sensibile della divinità. L’unione del creatore con la
creatura non si ferma, per il cattolico, all’essere razionale dell’uomo,
ma abbraccia anche il suo essere
corporale e, per suo tramite, la natura materiale dell’intero universo.
E questa unione di Dio con il
mondo materiale e sensibile raggiunge la sua espressione più gloriosa nell’arte, che è strumento reale e immagine visibile di Dio. Rifiutare l’arte è togliere ogni realtà
all’incarnazione divina e costituisce, come scriveva Solovev, una
terribile «soppressione del cristianesimo».
A questa tentazione iconoclasta
si somma una certa infezione di
radice puritana, che rifiutando il
dogma del peccato originale nega
la possibilità del “dramma”, che è
il fulcro costitutivo della vera arte.
Sopprimendo il peccato originale,
si negano le conseguenze del male
sulla natura umana; e tale negazione ha dato luogo in ambiti anticattolici a un’arte frivola in cui le categorie morali si confondono fino
a diventare interscambiabili, o meglio un’arte cinica dove il male di-
venta fatidicamente invincibile e
dove si nega la capacità dell’uomo
di combatterlo e sconfiggerlo. Ma
in ambito cattolico questa infezione puritana ha avuto anche conseguenze funeste, conferendo legittimità a un’arte infantilizzata che
nega il principio della felix culpa e
la natura drammatica della vita
umana, quella “libertà imperfetta”
che caratterizza la lotta dell’uomo
in cerca di redenzione.
Una lotta che, come ci avvisava
Flannery O’Connor, si dispiega in
un territorio che è in larga misura
“proprietà del Nemico”: una lotta
che a volte si risolve in un trionfo,
altre in una sconfitta, e altre ancora in un conflitto straziante, con
un’infinita gamma di zone di penombra che un certo cattolicesimo
troppo rigido intende negare. Ma
negare tali penombre equivale a
negare l’arte; e inoltre è anche una
sordida blasfemia.
Leonardo Castellani insorgeva
contro quei cattolici che rivendicano un’arte dalle soluzioni nette,
dai trionfi apoteosici, un’arte senza
penombra né conflitto. Sono cattolici che vorrebbero attribuire a
Cristo «il ruolo di un conquistatore, di un Attila egualitario e devastatore». Ma Cristo stesso ha provato in diverse occasioni il sapore
del fallimento. Non ha forse fallito
con il giovane ricco? E non ha forse fallito con quei nove lebbrosi
che non sono tornati per ringraziarlo, dopo che li aveva guariti?
Non ha forse fallito con Pilato e
Giuda? Mentre sudava sangue nel
Getsemani, non era forse consapevole che il suo sacrificio sarebbe
stato rifiutato da molti uomini?
Cristo sapeva che la vita dell’uomo
è dramma; sapeva che nella vita ci
sono giovani ricchi, lebbrosi ingrati, gente compiacente o vigliacca,
traditori e apostati; e ha amato
tutti, pur sapendo che molti avrebbero tentennato e vacillato, e
avrebbero persino rifiutato la sua
redenzione. E se Cristo li ha amati, perché l’arte dovrebbe ignorarli? Certo, dipingere o scrivere la
vita dei santi può essere un eccellente motivo artistico; ma lo è anche dipingere o scrivere la vita di
quanti non sono — di noi che non
siamo! — eroici né impeccabili.
Perché queste vite conflittuali e
drammatiche possono aiutarci ancor di più a superarci; perché, affacciandoci sul loro abisso, capiremo meglio la misericordia divina,
il profondo amore che Cristo ci ha
dimostrato, immolandosi anche
per noi.
E la vera arte cattolica deve affacciarsi su questo abisso. Castellani riteneva che il grande poeta cattolico del XIX secolo fosse stato
Charles Baudelaire, che naturalmente — annotava con il suo abituale acume — «non è una lettura
per ragazze che si nutrono di hot
dog e di romanzi yankee, e neppure per i bigotti, i borghesi, gli asini, e neanche per i sacerdoti incauti, gli uomini senza percezione artistica e l’immensa parrocchia del
moralismo edulcorato e dell’ortodossia infantile». Ma questo “moralismo edulcorato” e questa “ortodossia infantile” sono ciò che oggi,
purtroppo, si esige da certi ambiti
cattolici, quando si propugna
un’arte senza conflitto, un arte
dalle soluzioni nette e trionfanti.
Solo che questo “moralismo edulcorato” e questa “ortodossia infantile”, lungi dall’essere strumento di
evangelizzazione, generano ripugnanza negli animi sensibili che,
provando curiosità per la fede, rifiutano — a ragion veduta — le soluzioni facili.
Baudelaire fu condannato come
“immorale” da un tribunale. Ma
quella non fu una condanna cattolica, bensì “borghese”, nel senso
più buio e anticattolico del termine. Baudelaire fu condannato dal
fariseismo e dalla demenza religiosa dei beghini; fu condannato perché i suoi libri — autentiche opere
d’arte — osavano addentrarsi nel
territorio “proprietà del Nemico”,
mostrando quel conflitto straziante
che è il fulcro e la sostanza del
dramma.
Erano, alla fine, libri pienamente cattolici; poiché l’arte cattolica
non è quella che fugge dinanzi al
pericolo, ma quella che s’immerge
in esso, consapevole che quell’immersione può condurla fino al
cuore di tenebre. Certo, leggere
Baudelaire — come Marcelino Menéndez Pelayo scriveva su La Celestina — «può comportare pericoli
per chi non è molto sicuro di contemplare le opere d’arte con amore
Gli attori Andrew Garfield e Shinya Tsukamoto
disinteressato. Poiché, quanto più
vigorosa e animata sarà la rappresentazione della vita, tanto più
parteciperà ai pericoli inerenti alla
vita stessa». Ma è qui, proprio qui,
nei «pericoli inerenti alla vita stessa» che l’artista cattolico svolge il
suo lavoro. È peraltro molto istruttivo scoprire che La Celestina, opera estremamente scabrosa, fin dal
primo momento godette di franchigia tra i consultori del Santo
Uffizio, che la considerarono pienamente cattolica, poiché, sebbene
mostrasse il male senza ritegno,
descriveva anche il veleno che il
male introduce nelle anime.
Fu all’inizio del XIX secolo,
quando l’Inquisizione si era già
riempita — per riprendere le parole
di Menéndez Pelayo — di «giansenisti e bacchettoni» (di puritani e
di baciapile diremmo oggi), che
La Celestina fu inclusa nell’Indice.
E quei «giansenisti e bacchettoni»
non erano più capaci di capire che
l’arte che ritrae le debolezze
dell’essere umano può essere profondamente morale, infinitamente
più morale dell’arte buonista e infantilizzata che ci mostra un falso
mondo rosa e fiori; un mondo senza giovani ricchi, senza lebbrosi
ingrati, senza vigliacchi né traditori, un mondo senza sudore di sangue nel Getsemani.
Per secoli, l’arte cattolica è stata
un’arte piena di grazia perché ha
saputo addentrarsi nel “territorio
del Nemico” e far luce sul conflitto che si scatena nelle zone di penombra del cuore umano. Perciò
la Chiesa non ha esitato ad abbracciare l’arte dei molto procaci
Plauto e Terenzio, o dell’irreligioso
Lucrezio. Grazie a ciò, oggi possiamo leggere i maestri antichi, che
i monaci dei monasteri hanno salvato dalla distruzione, inserendoli
in una portentosa — usiamo qui la
felice espressione di Girolamo —
“biblioteca divina”. Diceva Barbey
d’Aurevilly nel prologo di Les diaboliques che «i pittori di polso possono dipingere tutto e la loro pittura è sempre morale quando è
tragica e ispira orrore verso ciò che
riproduce; sono immorali solo gli
ignavi e i beffardi». Lo scrittore
avrebbe dovuto inserire nel suo
elenco d’immorali gli iconoclasti e
i puritani della nostra epoca.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
WASHINGTON, 30. «Profondo disaccordo» con l’ordine esecutivo
della Casa Bianca che sospende
per tre mesi l’ingresso negli Stati
Uniti dei cittadini di sette paesi a
maggioranza islamica — Iran, Yemen, Siria, Sudan, Libia, Iraq,
Somalia — è stato espresso
dall’episcopato cattolico statunitense. «Crediamo che mai come
ora accogliere i nuovi venuti e i
rifugiati sia un atto di amore e
speranza», sostiene il vescovo di
Austin, Joe Steve Vasquez, presidente del Comitato episcopale
per la migrazione, in una nota
diffusa sul sito della Conferenza
episcopale. «Lavoreremo con vigore — assicura il presule — per
assicurare che i rifugiati siano accolti in modo umano in collaborazione con la Caritas senza sacrificare la nostra sicurezza o i nostri valori fondamentali di americani, e per assicurare che le famiglie possano ricongiungersi con i
loro cari».
Quanto alla specifica sospensione dell’ammissione dei rifugiati siriani, a cui farà seguito una
politica che darà la priorità alle
minoranze religiose perseguitate,
«gli Stati Uniti — commenta il
vescovo — sono stati leader nei
programma di reinsediamento dei
rifugiati. Crediamo che si debba
prestare assistenza a tutti coloro
che sono vulnerabili e che fuggono la persecuzione, a prescindere
dalla loro religione. Ciò comprende i cristiani, così come gli yazidi
e i musulmani sciiti dalla Siria, i
rohingya dal Myanmar e altre minoranze religiose. Dobbiamo proteggere tutti i nostri fratelli e le
nostre sorelle di tutte le fedi,
compresi i musulmani, che hanno
perso famiglia, casa, paese. Sono
figli di Dio e hanno diritto a essere trattati con dignità umana.
Crediamo che aiutando i più vulnerabili a reinsediarsi, viviamo la
fede cristiana come Gesù ce l’ha
insegnata». Per questo, sostiene,
«siamo in profondo disaccordo
con l’ordine esecutivo che ferma
le ammissioni di rifugiati».
Attualmente, ricorda monsignor Vasquez, «più di 65 milioni
di persone in tutto il mondo so-
Il cardinale Parolin in Madagascar
Un programma
di vita
L’episcopato statunitense sui limiti all’immigrazione
Mai come ora
è tempo di accogliere
no state costrette a lasciare la loro
casa. È un livello eccezionale di
sofferenza e i vescovi cattolici degli Stati Uniti raddoppieranno il
loro sostegno e i loro sforzi per
proteggere tutti coloro che fuggono la persecuzione e la violenza,
come parte del perenne e globale
lavoro della Chiesa in questo
campo».
Molto ferma anche la presa di
posizione del cardinale arcivescovo di Chicago, Blase Joseph Cupich, che in una nota parla di un
«momento oscuro nella storia degli Stati Uniti», anche perché, osserva, l’ordine esecutivo dell’amministrazione statunitense «è
contrario tanto ai valori cattolici
quanto a quelli americani». Il
porporato ricorda, invece, come
«gli Stati Uniti hanno una lunga
storia di accoglienza ai rifugiati
che fuggono per salvare le proprie vite e le organizzazioni cattoliche hanno aiutato a reinserirsi
molte famiglie, uomini, donne e
bambini da tutto il mondo. Molti
dei nostri preti, religiosi e laici
hanno accompagnato i nuovi arrivati per aiutarli in questo processo. Proprio per questa storia di
aiuto nell’inserimento dei rifugiati
e dei migranti che dura da decenni, sappiamo quanto sono lunghi
e accurati i controlli che devono
superare prima di essere ammessi
nel nostro paese. E nelle comunità locali abbiamo visto la paura
iniziale trasformarsi in una generosa volontà di accogliere e integrare i rifugiati. Qui a Chicago
generazioni di migranti hanno
trovato una nuova casa. E ci hanno resi migliori».
Cupich mette in guardia dalle
conseguenze di seguire una strada sbagliata. «Il mondo — afferma — ci sta guardando mentre
abbandoniamo il nostro impegno
di fedeltà ai valori dell’America.
Queste azioni aiutano e rafforzano quanti vorrebbero distruggere
il nostro stile di vita. Fanno diminuire la nostra stima agli occhi
dei molti popoli che vogliono riconoscere nell’America il paese
che difende i diritti umani e la libertà religiosa, non una nazione
che mette nel mirino dei gruppi
religiosi e chiude loro le sue porte». E ricordando le parole pronunciate da Papa Francesco davanti al Congresso nel corso della
visita del settembre 2015 — «Se
vogliamo sicurezza, diamo sicu-
Appello dei vescovi di Croazia e Bosnia ed Erzegovina
Solidarietà prima di tutto
ZAGABRIA, 30. La solidarietà prima
di tutto. Così come ieri, nei tempi
tragici della guerra dei Balcani, anche oggi, in tempo di pace, il sostegno ai più deboli e ai bisognosi costituisce una priorità. È quanto è
stato sottolineato nell’ultimo incontro congiunto degli episcopati cattolici di Croazia e Bosnia ed Erzegovina. La tradizionale assemblea, si
tratta del diciannovesimo incontro,
è stata ospitata nei giorni scorsi nella capitale croata sotto la guida dei
presidenti delle due conferenze episcopali, l’arcivescovo di Zadar
(Croazia), Želimir Puljić, e il cardinale arcivescovo di Sarajevo (Bosnia
ed Erzegovina), Vinko Puljić. Tramite il nunzio apostolico in Croazia,
l’arcivescovo Alessandro D’Errico, ai
partecipanti sono giunti il saluto e
la benedizione di Papa Francesco.
Nelle parole del nunzio — secondo
quanto riferisce un comunicato congiunto delle segreterie delle due
conferenze episcopali — anche l’apprezzamento per simili incontri che
permettono, è stato osservato, di
considerare insieme importanti questioni e le principali sfide pastorali
anche alla luce delle difficoltà della
storia recente.
Importanti e numerosi i temi in
agenda. In primo luogo, ci si è soffermati sui fedeli originari di entrambi i paesi ed emigrati altrove,
che sono stati esortati a non dimenticare la loro patria e a dare «una
coraggiosa testimonianza della fede
in Dio e della fedeltà alla Chiesa
cattolica là dove hanno costruito
una nuova casa». Al contempo, i
presuli hanno espresso apprezzamento e gratitudine per i «numerosi
sacerdoti, religiosi e operatori pastorali che proclamano il Vangelo in
lunedì-martedì 30-31 gennaio 2017
tante parti del mondo». Al centro
dei lavori dell’assemblea è stata comunque la riflessione sull’operato
della rete delle Caritas. In particolare, è stata richiamata l’importanza
di alcune iniziative ritenute significative come la “Domenica della solidarietà”, grazie alla quale numerose
parrocchie hanno sostenuto comunità con pochi fedeli o distrutte dal
sanguinoso conflitto nei Balcani, dimostrando così «il desiderio della
Chiesa di sopravvivere e di vivere
con dignità», anche là dove tante
popolazioni sono state costrette a
emigrare. «I vescovi — si sostiene
nella nota — esortano i fedeli a
provvedere al sostentamento dei più deboli e dei più bisognosi, come già avvenuto in tempo di
guerra, e a perseverare in questo compito
anche in tempo di
pace affinché i legami
reciproci divengano
una vera benedizione
per chi dà e per chi
riceve». In particolare, i presuli raccomandano il rafforzamento di «legami
spirituali e di preghiera che contribuiscono al miglioramento della Chiesa e
della società».
Spazio nel corso
dei lavori è stato destinato anche alla ricostruzione storica e
alla
riscoperta
di
quelle figure esemplari di entrambi i
paesi «che hanno do-
nato la loro vita per amore della fede e per i quali dovrebbe essere
possibile avviare la causa di beatificazione». Nello specifico, si è deciso
di «trasmettere le aspettative dei vescovi ai funzionari governativi croati
per quanto riguarda le misure da
adottare per indagare sulle vittime
dei sistemi totalitari».
Nell’ottica ancora di un operato
congiunto, i due episcopati hanno
evidenziato inoltre la necessità di
«una fruttuosa collaborazione» in
ambito missionario, nel settore «scolastico educativo» e in una possibile
«campagna
congiunta
nell’area
dell’ecumenismo e del dialogo».
rezza; se vogliamo vita, diamo vita; se vogliamo opportunità,
provvediamo opportunità» — il
porporato ha detto che «è tempo
di mettere da parte la paura e di
unirsi per ritrovare chi siamo e
che cosa rappresentiamo in un
mondo che ha tanto bisogno di
speranza e di solidarietà».
Una presa di posizione critica
nei confronti del provvedimento
della Casa Bianca è contenuta
anche in una lettera che il cardinale arcivescovo di Washington,
Donald William Wuerl, ha indirizzato al clero diocesano. Se nei
giorni scorsi «le nostre voci, la
nostra presenza, non poteva ignorare la difesa dei non nati», ha
scritto facendo riferimento alla
marcia per la vita che si è snodata nelle strade della capitale, «così anche ora alziamo le nostre voci a sostegno di tutti i rifugiati, in
particolare quelli in fuga dalla
persecuzione religiosa». In precedenza, dichiarazioni fortemente
critiche erano state diffuse anche
dal cardinale arcivescovo di Boston, Sean Patrick O’Malley e dal
cardinale arcivescovo di Newark,
Joseph William Tobin. (fabrizio
contessa)
In Austria
una guida
per i nuovi arrivati
VIENNA, 30. Si chiama «Grüß
Gott in Österreich» ed è una guida, pubblicata in tre edizioni: tedesco/arabo, tedesco/farsi e tedesco/inglese, che presenta agli immigrati e ai rifugiati tradizioni austriache, simboli, cultura e feste,
oltre alle basi della fede cristiana.
«Stiamo assistendo — ha spiegato il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna — alla
curiosità di molti rifugiati, ma riceviamo anche molte domande
quando si incontrano le nostre
tradizioni. L’opuscolo è stato progettato per aiutare i rifugiati a
comprendere le radici cristiane
dell’Austria e, in tal modo, far conoscere meglio il nostro paese è
un contributo alla pacifica convivenza».
Gli argomenti sono scritti in
maniera semplice e analitica perché «non è un libro di testo — ha
sottolineato il porporato in occasione della pubblicazione della
prima edizione della guida — ma
un mezzo per avviare una prima
comprensione, per spiegare al meglio ciò che è richiesto sulle basi
della nostra vita in comune, come
la religione o la libertà di espressione e quindi il testo deve essere
capito da tutti coloro che sono
nuovi arrivati in Austria».
Nella guida «Grüß Gott in
Österreich», diffusa inizialmente
in 34.000 copie, alle quali si aggiungono
le
nuove
22.000
dell’edizione tedesco/inglese, sono
pubblicati tutti i contatti per ricevere assistenza e proposte della
Chiesa cattolica.
«Le beatitudini vanno messe in
pratica per sperimentare tutta la loro azione trasformatrice: sul piano
personale, spirituale e sociale». Parlando agli ottantamila fedeli che
domenica 29 gennaio hanno riempito lo stadio Mahamasina di Antananarivo per la solenne messa celebrata in occasione dei cinquant’anni
delle relazioni diplomatiche tra la
Santa Sede e la Repubblica di Madagascar, il cardinale Pietro Parolin
ha ricordato che «la Chiesa, le istituzioni, la società intera e particolarmente i giovani», devono fare
delle beatitudini «un programma di
vita». In particolare, ha detto, bisogna comprendere e mettere in pratica, il significato della «povertà di
spirito» sottolineata nel discorso
della montagna: «Il povero è colui
ad approfondire, insieme allo studio intellettuale, la conoscenza del
vangelo, e contribuire così alla crescita integrale della personalità che,
nel rispetto delle differenze, sa dialogare e impegnarsi per il bene comune.
Nella tarda mattinata, il segretario di Stato ha inaugurato e benedetto la nuova sede della Conferenza episcopale del Madagascar
(Cem), attigua al campus universitario, e ha visitato la residenza per
giovani universitari poveri. Nel rivolgersi agli studenti ospiti, il cardinale li ha esortati a comprendere la
responsabilità derivante dall’opportunità offerta loro dalla Chiesa malgascia. Tale condizione favorevole li
dovrà stimolare, un giorno, a portare questo beneficio agli altri giovani
«Il discorso della montagna» (arte africana)
che intimamente consapevole della
sua non autosufficienza, rivolge la
sua supplica a Dio come un mendicante per sentirsi sempre bisognoso
di lui, per essere consolato»; ma è
anche colui che, mite, sa essere «accogliente nei confronti del prossimo», «capace di amare», «costruttore del regno».
Il segretario di Stato — che ha
concelebrato insieme al cardinale
Maurice Piat, vescovo di Port-Louis, in rappresentanza della Conferenza episcopale dell’oceano Indiano, al nunzio apostolico Paolo
Gualtieri, a tutti i vescovi del Madagascar e a circa duecento sacerdoti — è stato accolto con grande
entusiasmo dai fedeli assiepati sugli
spalti: tra fazzoletti e bandiere
bianche e gialle, un migliaio di
bambini ospiti del centro caritativo
Padre Pedro hanno eseguito danze
preparate per l’occasione. Nella serata di domenica, dopo il pranzo
ufficiale con il cardinale Piat e con
l’intero episcopato locale, il cardinale Parolin ha visitato il monastero
delle carmelitane.
Il viaggio del porporato nel paese africano era cominciato il 27 gennaio con l’arrivo all’aeroporto della
capitale, l’incontro con il presidente
della Repubblica Hery Martial
Rajaonarimampianina e il ricevimento dell’alta onorificenza di
grande officiale dell’Ordine nazionale del Madagascar.
Il giorno successivo il cardinale
Parolin ha avuto modo di visitare
l’Università cattolica fondata nel
1952. Accolto dal rettore Marc Ravelonantdandro e dalle altre autorità accademiche, ha poi incontrato
nella cappella tutti i professori e gli
studenti. Per l’occasione erano presenti il cardinale Piat, il vescovo di
Antananarivo Odon M. A. Razanakolona, gran cancelliere dell’università, e il ministro dell’insegnamento
superiore e della ricerca scientifica.
Prendendo la parola dopo il saluto
del rettore, il porporato ha invitato
gli studenti a ricercare sinceramente
la verità, per prepararsi a diventare
adulti responsabili, capaci di pensare in maniera critica e positiva, per
poi contribuire pienamente allo sviluppo e al benessere dei propri rispettivi paesi. Li ha anche esortati
che, per le ristrettezze economiche
e per la povertà, non potranno accedere agli studi superiori.
Si è svolto invece nel pomeriggio
l’incontro con i presuli del Madagascar. Dopo aver ascoltato dai vescovi locali i problemi pastorali e le
sfide sociali di un paese nel quale
la povertà tocca circa il 95 per cento della popolazione, il segretario
di Stato ha esortato i pastori a collaborare per arginare la corruzione,
a difendere sempre i più deboli e
gli emarginati, e a cercare di offrire
loro servizi in ambito educativo, sanitario e sociale. Per quanto riguarda il rapporto con le altre religioni,
e in particolare con l’islam, il porporato ha suggerito di rafforzare il
dialogo nel reciproco rispetto.
†
Il Segretario S.E.R. Mons. Juan Ignacio Arrieta, il Sotto-Segretario Mons.
Markus Graulich, gli Officiali e il Personale tutto del Pontificio Consiglio
per i Testi Legislativi sostenuti dalla
speranza della risurrezione partecipano con profonda commozione il ritorno alla Casa del Padre del dottor
MARIO CO CCOPALMERIO
Nell’elevare al Signore la loro preghiera ne ricordano la signorile umanità e la profonda fede e si uniscono
al dolore di S.E.R. il Card. Francesco
Coccopalmerio, Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi,
dei suoi cari e di coloro che lo hanno
conosciuto e amato.
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 30-31 gennaio 2017
pagina 7
Giacomo Manzù, «Giovanni XXIII
e monsignor Capovilla» (1961)
A quattrocento anni dalla fondazione degli scolopi
Ogni studente
è un sogno di Dio
In ricordo di Loris Capovilla
Ponti
levatoi
di MARCO BOATO
Loris Capovilla è universalmente conosciuto come l’antico segretario — non si è mai considerato “ex”, fino alla morte — di
Giovanni XXIII, per l’instancabile impegno nel custodire la sua
memoria e i suoi scritti, anche
quelli precedenti al patriarcato e
al papato e tutti quelli, a cominciare da Il Giornale dell’anima,
che furono gradualmente da lui
resi noti solo dopo il 3 giugno
1963 (per esplicita volontà di Papa Giovanni). Papa Francesco,
nella prima telefonata che gli fece nella primavera 2013 (il 1°
aprile, lunedì di Pasqua), poco
dopo la sua elezione, oltre ad
avergli parlato a lungo di Papa
Giovanni, gli disse personalmente: «Monsignor Capovilla, lei è
molto conosciuto anche in America latina».
Eppure, la sua figura umana e
sacerdotale, e poi episcopale,
pur nel programmatico nascon-
Umiltà e dialogo
«Loris Capovilla. Umiltà e dialogo» è il
titolo del volume (Padova, Edizioni
Messaggero, 2016, pagine 115, euro 9)
che presenta una antologia di scritti e
discorsi dell’antico segretario di Papa
Roncalli, divenuto poi arcivescovo e
cardinale, morto il 26 maggio dello
scorso anno. Pubblichiamo stralci
dell’introduzione scritta dal curatore.
dimento della propria persona —
«mettere il proprio io sotto i
piedi» — emerge anche con forza nella sua autonomia, nella
sua identità culturale e spirituale. Del resto, se il patriarca Roncalli nel 1953 lo volle scegliere
senza esitazione come proprio
di JOSÉ BELTRÁN
segretario particolare a Venezia,
confermandolo nel 1958 in Vaticano, è proprio perché individuò in lui la personalità ecclesiale più in sintonia con la sua
dimensione pastorale.
Fin da giovane prete e poi
sempre più, Loris Capovilla, prima ancora di conoscere e incontrare Roncalli, aveva dimostrato
una mentalità aperta al dialogo
e al rispetto di tutti, vicini e
“lontani”, come si diceva allora.
Era fin dall’inizio interamente
dentro la storia, la tradizione, la
teologia della Chiesa, ma concependo questa tradizione non in
modo «mummificato», non in
modo chiuso «con i ponti levatoi alzati». Aveva fin da giovane
prete la capacità di vivere l’apertura della Chiesa verso il mondo
e la società contemporanea, con
il coraggio di innovare, individuando evangelicamente i segni
dei tempi. Quando conobbe il
patriarca Roncalli, questi gli ricordò più volte il monito che a
lui stesso, giovane segretario, gli
aveva rivolto il suo vescovo di
Bergamo Giacomo Radini Tedeschi: «Don Angelo, il cuore crocifisso e il sorriso sulle labbra:
ricordatelo, per fare il prete bisogna pensare in grande e guardare alto e lontano». Prima ancora di conoscere questo monito, Loris Capovilla fin dagli anni quaranta seppe pensare in
grande e guardare alto e lontano.
Nella prefazione ai commenti
di Loris Capovilla al Vangelo
per Radio Rai Venezia del 19451946 (pubblicati nel 2014), il cardinale Angelo Comastri ha scritto: «Ho letto queste pagine
scritte tanti anni fa, all’indomani
della fine della seconda guerra
mondiale, quando l’Italia era un
cumulo di macerie e tentava i
primi passi della ricostruzione
materiale e morale. Sapete quale
è stata la sorpresa? Queste riflessioni sono sorprendentemente attuali e gettano vivida luce
sul nostro faticoso presente». In
esse era già viva la lezione della
misericordia, con la quale Capovilla si ritrovò poi in piena sintonia con Roncalli e, negli ultimi tre anni della sua vita, con
Papa Francesco, in cui gli parve
di rivivere — e lo scrisse pubblicamente — la testimonianza pastorale di Papa Giovanni.
Nell’introduzione allo stesso
volume, il curatore Ivan Bastoni
ha scritto: «In queste pagine è
racchiusa la personalità, la passione pastorale dell’uomo e del
sacerdote, fin dalla giovinezza».
E ancora, collegando quelle antiche testimonianze di dialogo a
tutto il resto della sua vita: «Conoscitore di uomini, ha accolto e
accoglie con rispetto e amicizia,
sapendo parlare a ciascuno.
Chiunque l’ha avvicinato, anche
per un breve colloquio, ne conserva ricordo indelebile. La sua
vita è punto di incontro continuo, quasi fontana del villaggio
a cui tutti possono attingere, per
un attimo di sollievo e il ristoro
di un sorso d’acqua. Dai primi
giorni di sacerdozio, sino a oggi,
ha saputo dispensare amicizia e
misericordia».
Prima, durante e dopo Papa
Giovanni, la sua cultura e la sua
spiritualità si arricchiranno, con
nuove letture e nuovi incontri,
ma restando fedeli a se stesse,
senza barriere ideologiche, dogmatismi teologici e riserve mentali, Capovilla fu fermo nella fedeltà al Vangelo e aperto sempre a nuovi incontri e a nuovi
dialoghi.
«Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo
a comprenderlo meglio», ripeteva con Papa Giovanni. Rifiutava
i «profeti di sventura», che
Roncalli aveva stigmatizzato nel
discorso di apertura del concilio
l’11 ottobre 1962. Preferiva «la
medicina della misericordia» e
con lui ha ripetuto fiducioso, fino al termine della sua vita,
Tantum aurora est, siamo appena
all’inizio.
Entro nella scuola degli scolopi di
Getafe. Convinto di avere qualcosa
da offrire. Mi sbaglio. A ricevere sono io. Ancora una volta. Qualcuno
ha lasciato una busta a mio nome in
portineria. Non resisto e appena
uscito la apro. Un post-it e un biglietto con una preghiera: «Affinché
preghi per noi in questo anno giubilare». È questa la visione calasanziana dinanzi alla realtà. Anticipare le
preoccupazioni di ognuno per dare
una risposta. Con la pedagogia del
Vangelo. Dio come sorpresa permanente. Oggi come ieri. Come quattrocento anni fa, quando Paolo V
eresse l’ordine. «Al nostro amato figlio Giuseppe Calasanzio […], incarichiamo e affidiamo, secondo il nostro beneplacito, la prefettura, la cura, il governo e l’amministrazione
delle scuole pie». Fino a oggi. Lo
Spirito continua a soffiare. Quello
Spirito che guidò con fermezza Calasanzio e che ora sospinge migliaia
di maestri che vorrebbero dedicare
più tempo ai loro alunni e dimora
nel cuore di quei religiosi
che continuano a impegnarsi per diventare un tutt’uno con i
più piccoli.
Vale la pena commemorarlo. Con
un motto: educare, annunciare, trasformare. Verbi all’infinito che fanno memoria del passato, per esigere
Scuola popolare pubblica
Nel 2017 ricorre il quarto centenario della nascita delle Scuole pie come
congregazione religiosa e il duecentocinquantesimo anniversario della
canonizzazione del loro fondatore Giuseppe Calasanzio. Con lui nasceva
la prima scuola popolare pubblica. Per l’occasione Papa Francesco — in
un messaggio inviato al preposito generale degli scolopi, padre Pedro
Aguado Cuesta, e di cui L’Osservatore Romano del 3 dicembre scorso
ha dato notizia — ha osservato fra l’altro che, «benché le circostanze
nelle quali nacque l’Ordine non siano quelle odierne, le necessità a cui
esso risponde continuano a essere essenzialmente le medesime».
Pubblichiamo un articolo del direttore di «Vida Nueva» uscito sul
settimanale dell’arcidiocesi di Madrid «Alfa y Omega» del 22 dicembre
scorso.
presente e futuro. Per coniugarli al
singolare, a partire dalla vocazione
che Dio offre a ognuno. Per viverli
al plurale, perché evangelizzare
educando è possibile solo a partire dalla comunità e dalla fraternità. Nei chiostri, nelle
aule e nelle mense scolastiche, nei collegi, nelle
università, nelle parrocchie, nelle case, nei centri
socioeducativi. In missione
condivisa. Religiosi e laici.
Una famiglia calasanziana
dove c’è posto per tutti. E
dove tutti contano. Con la
rubrica di Calasanzio. Un
provocatore, ma non un
piantagrane. Un ribelle
alla maniera di Colui
che guariva il sabato,
che parlava alle
donne, che poneva
al centro i bambini. Perché il regno
di Dio è di quanti
sono come lui.
Costante. Instancabile. Anche se
gli diedero più di
un motivo per gettare la spugna.
Anzi più di due.
Così era l’uomo
che giunse a Ro-
Dalle prime costituzioni cappuccine a Papa Francesco
di FELICE ACCRO CCA
Nella lettera apostolica Misericordia
et misera Papa Francesco invita i sacerdoti «a prepararsi con grande cura al ministero della confessione» e
chiede loro «di essere accoglienti
con tutti; testimoni della tenerezza
paterna nonostante la gravità del
peccato; solleciti nell’aiutare a riflettere sul male commesso; chiari nel
presentare i principi morali; disponibili ad accompagnare i fedeli nel
percorso penitenziale, mantenendo
il loro passo con pazienza; lungimiranti nel discernimento di ogni singolo caso; generosi nel dispensare il
perdono di Dio». Come Gesù, il
Lutto nell’episcopato
Monsignor Paul Lanneau, vescovo titolare di Tusuro, già ausiliare
di Mechelen-Brussel, è morto in
Belgio giovedì 26 gennaio, all’età
di 91 anni.
Il compianto presule era infatti
nato il 22 luglio 1925 ad Anderlecht, nell’arcidiocesi di Mechelen-Brussel, ed era stato ordinato
sacerdote il 24 luglio 1949. Eletto
alla sede titolare di Tusuro e nel
contempo nominato ausiliare
dell’arcivescovo di MechelenBrussel il 15 febbraio 1982, aveva
ricevuto l’ordinazione episcopale
il successivo 20 marzo. Ed esattamente venti anni dopo, il 20
marzo 2002, aveva rinunciato
all’ufficio pastorale.
Il timbro della misericordia
ministro di Dio dev’essere «magnanimo di cuore, sapendo che ogni
penitente lo richiama alla sua stessa
condizione personale: peccatore, ma
ministro di misericordia» (n. 10).
Non sempre la Chiesa ha utilizzato tali accenti, come riconobbe Giovanni XXIII aprendo il concilio Vaticano II. Papa Roncalli asserì infatti
che in ogni tempo la Chiesa si era
opposta agli errori, spesso anche
condannandoli «con la massima severità. Quanto al tempo presente, la
Sposa di Cristo — disse — preferisce
usare la medicina della misericordia
invece di imbracciare le armi del rigore». La linea ora tracciata da Papa Francesco trova comunque
straordinari precedenti nella storia
della Chiesa, tanto che si potrebbe
scrivere una storia della clemenza e
una del rigore, una della misericordia e una della giustizia, avendo peraltro presente che si tratta di due
facce di un’unica medaglia.
Si prendano a esempio le prime
costituzioni cappuccine, che hanno
normato, con successivi aggiornamenti, la vita dell’ordine fino al
1968, lasciando una traccia profonda
nella vita dei frati. Nel 1529 pochi
di loro, riuniti ad Albacina, stilarono le prime ordinazioni capitolari
che ressero la nascente famiglia religiosa fino al 1536, quando, a seguito
dello svolgimento del capitolo di
Roma-Sant’Eufemia, furono stilate
le costituzioni che sarebbero rimaste
in vigore fino al dopo concilio.
Nelle ordinazioni stabilite ad Albacina la preoccupazione principale
sembrò essere quella di garantire ai
frati una vita ritirata nel rigido rispetto di una quotidianità fissata nei
dettagli. Con poca frequenza si parlava di amore e mai si usò il termine
“misericordia”. Nelle costituzioni
del 1536, invece, sotto l’influsso di
uomini come Bernardino Ochino,
Giovanni da Fano, Bernardino
d’Asti, il tema dell’amore era indubbiamente prioritario: nei loro rapporti con Dio i frati venivano infatti
invitati a «dirizzare» a Lui «tutti li
pensieri», a Lui «voltar tutti l’intenti e desideri nostri, con ogni possibile impeto di amore, acciò con tutto el core, mente e anima, forze e
virtù, con actuale, continuo, intenso
e puro amore ci uniamo al nostro
optimo Patre» (art. 63). Nei loro
rapporti fraterni dovevano inoltre
mantenere «un core et una anima»,
amarsi «cordialmente, supportando
li difetti l’uno de l’altro, sempre
exercitandosi nel divino amore e fraternal carità» (art. 139).
Una tale impostazione lascia
emergere con chiarezza il sostrato di
tutta una letteratura spirituale che,
attraverso opere come il Dialogo della unione spirituale de Dio con l’anima di Bartolomeo Cordoni da Città
di Castello, affondava le proprie radici nello Speculum simplicium animarum della beghina Margherita
Porete.
In questo quadro di riferimento
acquistano piena luce le disposizioni
sulla confessione. Nella mente dei
legislatori i penitenti erano essenzialmente altri frati, visto che nessuno di loro poteva confessare «seculari, senza licenzia del capitulo o del
padre vicario generale» (art. 90),
ma per mangiarsi il mondo, ma fu
digerito da una Trastevere che alla
fine del XVI secolo aveva poco di turistico e molto di periferico.
scelta poi ampiamente superata; le
norme varate imprimevano tuttavia
un timbro che i frati non potevano
non mantenere anche nei riguardi
degli estranei, visto che, «per nutrire la carità», si doveva comunque ricevere «con ogni possibile umanità
cristiana» (art. 93) qualsiasi persona
che bussasse ai conventi. Ebbene, ai
frati confessori veniva intimato di
tenere a mente che il «padre san
Francesco era solito dire che, se volevamo relevare uno che è caduto,
bisogna inclinarci per pietà, sì come
fece Cristo, piissimo Salvatore,
quando li fu presentata l’adultera, e
non star con rigida iustizia e crudeltà in sul tirato» (art. 95). Dovevano
inoltre considerare che «se Dio con
rigida iustizia avesse a iudicarci, pochi o nisciuno si salvarebe».
Nell’imporre la penitenza si chiedeva poi sempre di avere «l’occhio
aperto di salvare e non perdere
l’anima e la fama di quel povero
frate», sapendo che «ognun di noi
farebbe molto peggio se Dio con la
sua grazia non ci preservasse». Il
timbro della misericordia, peraltro,
prevaleva anche allorché si ribadiva
l’esigenza della giustizia. I confessori venivano invitati a considerare
che «non punire chi pecca è uno
aprire la porta d’ogni vizio»: essi,
tuttavia, «con misericordia» dovevano imporre «la condigna penitenza», perché «ne le correzione e punizione de’ frati, non se observi la
subtilità de le lege, o vero le iudiciarie tele» (art. 96). Non le sottigliezze della legge, ma la misericordia,
capace di andare oltre la giustizia
senza tradirla: il magistero di Papa
Francesco trova così nella primitiva
legislazione cappuccina un luminoso precedente.
Da quella digestione nacque la
prima scuola popolare pubblica gratuita d’Europa. Sì. Un sacerdote
precorse ogni altra ideologia. Stato e
patto educativo in erba. Fu un religioso a dare carta, penna e banco
all’innocente, senza badare al credo,
all’origine o al conto in banca di chi
varcava l’uscio. Quell’imprenditore
maño (aragonese) anticipò due parole che oggi si recitano come un mantra in qualsiasi progetto educativo:
inclusione e innovazione. Lui le visse
e le trasmise senza averle coniate come tali in quegli impeccabili scritti e
lettere senza data di scadenza: «Metti tutto il tuo impegno nell’aiutare
gli alunni, soprattutto animando e
motivando quelli più sviati verso la
loro crescita personale».
Non come un mero gesto di carità. Era la sua scommessa per cambiare il mondo. Il migliore fondo
d’investimento per costruire il Regno: un bambino, un adolescente,
un giovane. Con benevolenza e studio. Con fede e cultura. Un carisma
per tutta la Chiesa, un servizio per
tutta la società che giunge oggi a
oltre duecento centri, dove ogni studente è un sogno di Dio, quando lo
si guarda come tale.
Qualche mese fa, in un’omelia a
Cracovia, ho ascoltato il preposito
generale degli scolopi, padre Pedro
Aguado Cuesta, dire di evitare ogni
egocentrismo che porti a tenere sotto vuoto il dono ricevuto: «Calasanzio può essere nostro padre solo se
ci porta a Cristo. A lui non piacerebbe che restassimo a contemplarlo». Eredità per contagiare Gesù.
Attenti e aperti al bisognoso di oggi: tra i computer della lezione di
informatica, sulla moquette dell’oratorio, al banco di legno in Guinea.
Tornare all’essenza di Trastevere.
Iniziare da zero in territorio sconosciuto, come il Mozambico, dove è
stata appena fondata la prima comunità degli scolopi. O per promuovere l’accesso alle lezioni attraverso l’Istituto «Calasanzio» di diritto all’educazione aperto da poco
a Yaoundé, in Camerun. «Chi non
ha spirito per educare i poveri non
ha vocazione educativa scolopia».
Quattrocento anni dell’ordine
delle Scuole pie e, per finire, un altro anniversario tondo nello stesso
giubileo:
duecentocinquant’anni
dalla canonizzazione di Calasanzio.
Tempo di grazia e di grazie per riconoscere, insieme a lui, altrettanti
uomini e donne che hanno seguito e
seguono quello stesso cammino di
santità, nell’ombra, dedicandosi ai
piccoli e alle piccole. È l’auspicio di
Papa Francesco nel messaggio che
rivolge a tutta la famiglia calasanziana per questo giubileo: «Soprattutto, seguite le tracce che i bambini
e i giovani portano scritte nei loro
occhi. Guardateli in faccia e fatevi
contagiare dalla loro lucentezza per
essere portatori di futuro e di speranza. Dio vi conceda di trovarvi
profeticamente presenti negli angoli
dove i più piccoli soffrono ingiustamente».
Riprendo il post-it. E il biglietto.
Guardo l’illustrazione: tre ragazzi
insieme al maestro Calasanzio. Leggo. Prego: «Benedici con amore di
Padre tutti i bambini e i giovani a
cui ci dedichiamo e tutti quelli che
non hanno un padre o un maestro
che li accompagni nel cammino».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
lunedì-martedì 30-31 gennaio 2017
All’Angelus il pensiero del Papa alle popolazioni terremotate dell’Italia centrale
Più solidarietà
meno burocrazia
«Alle popolazioni dell’Italia centrale che ancora soffrono le
conseguenze del terremoto e delle difficili condizioni
atmosferiche» non devono mancare «il costante sostegno
delle istituzioni e la comune solidarietà». Con questo appello
lanciato al termine dell’Angelus del 29 gennaio Papa
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
La liturgia di questa domenica ci fa
meditare sulle Beatitudini (cfr. Mt 5,
1-12a), che aprono il grande discorso
detto “della montagna”, la “magna
charta” del Nuovo Testamento. Gesù
manifesta la volontà di Dio di condurre gli uomini alla felicità. Questo
Francesco ha auspicato che «qualsiasi tipo di burocrazia non
faccia aspettare e ulteriormente soffrire» queste persone.
In precedenza il Pontefice aveva commentato per i fedeli
presenti in piazza San Pietro il vangelo della domenica,
incentrato sulle beatitudini.
sagio per aprirsi al dono di Dio e
accedere al mondo nuovo, il «regno» annunciato da Gesù. Non è un
meccanismo automatico, questo, ma
un cammino di vita al seguito del
Signore, per cui la realtà di disagio e
di afflizione viene vista in una prospettiva nuova e sperimentata secondo la conversione che si attua. Non
Sotto il tendone
Nell’anno in cui l’Azione cattolica celebra un secolo e mezzo di vita, i ragazzi romani appartenenti all’associazione si sono ritrovati in
piazza San Pietro insieme al Papa per concludere, com’è tradizione,
il mese dedicato alla pace. All’insegna del duplice slogan «CIRCO ndati di gioia» e «CIRCO ndati di pace» i piccoli — ha spiegato il tredicenne Francesco Macrì, che era accanto al Pontefice insieme con
Cristiana Magnante, 9 anni — stanno vivendo l’anno associativo
«alla scoperta del mondo del circo e della sua comunità, dell’impegno e della costanza che gli artisti mettono nel realizzare le loro esibizioni a partire dai propri talenti». Proprio «come nel circo — ha
proseguito — vogliamo accogliere sotto il nostro tendone tutti i ragazzi che non sono fortunati come noi». A questo scopo sono stati
raccolti fondi destinati a una casa famiglia della Caritas romana per
mamme in difficoltà e dell’associazione napoletana “Il tappeto di
Iqbal” che aiuta i giovani. Per i ragazzi l’appuntamento è il prossimo 29 aprile, quando si ritroveranno insieme al Papa per celebrare
il centocinquantesimo anniversario dell’associazione.
messaggio era già presente nella predicazione dei profeti: Dio è vicino ai
poveri e agli oppressi e li libera da
quanti li maltrattano. Ma in questa
sua predicazione Gesù segue una
strada particolare: comincia con il
termine «beati», cioè felici; prosegue
con l’indicazione della condizione per
essere tali; e conclude facendo una
promessa. Il motivo della beatitudine,
cioè della felicità, non sta nella condizione richiesta — per esempio,
«poveri in spirito», «afflitti», «affamati di giustizia», «perseguitati»...
— ma nella successiva promessa, da
accogliere con fede come dono di
Dio. Si parte dalla condizione di di-
si è beati se non si è convertiti, in grado di apprezzare e vivere i doni di
D io.
Mi soffermo sulla prima beatitudine: «Beati i poveri in spirito, perché di
essi è il regno dei cieli» (v. 4). Il povero in spirito è colui che ha assunto i
sentimenti e l’atteggiamento di quei
poveri che nella loro condizione non
si ribellano, ma sanno essere umili,
docili, disponibili alla grazia di Dio.
La felicità dei poveri — dei poveri in
spirito — ha una duplice dimensione:
nei confronti dei beni e nei confronti
di Dio. Riguardo ai beni, ai beni
materiali, questa povertà in spirito è
sobrietà: non necessariamente rinuncia, ma capacità di gustare l’essenziale, di condivisione; capacità di
rinnovare ogni giorno lo stupore per
la bontà delle cose, senza appesantirsi nell’opacità della consumazione
vorace. Più ho, più voglio; più ho,
più voglio: questa è la consumazione
vorace. E questo uccide l’anima. E
l’uomo o la donna che fanno questo,
che hanno questo atteggiamento
“più ho, più voglio”, non sono felici
e non arriveranno alla felicità. Nei
confronti di Dio è lode e riconoscimento che il mondo è benedizione e
che alla sua origine sta l’amore creatore del Padre. Ma è anche apertura
a Lui, docilità alla sua signoria: è
Lui, il Signore, è Lui il Grande, non
io sono grande perché ho tante cose!
È Lui: Lui che ha voluto il mondo
per tutti gli uomini e l’ha voluto
perché gli uomini fossero felici.
Il povero in spirito è il cristiano
che non fa affidamento su se stesso,
sulle ricchezze materiali, non si ostina sulle proprie opinioni, ma ascolta
con rispetto e si rimette volentieri alle decisioni altrui. Se nelle nostre comunità ci fossero più poveri in spirito, ci sarebbero meno divisioni, contrasti e polemiche! L’umiltà, come la
carità, è una virtù essenziale per la
convivenza nelle comunità cristiane.
I poveri, in questo senso evangelico,
appaiono come coloro che tengono
desta la meta del Regno dei cieli, facendo intravedere che esso viene anticipato in germe nella comunità fraterna, che privilegia la condivisione
al possesso. Questo vorrei sottolinearlo: privilegiare la condivisione al
possesso. Sempre avere il cuore e le
mani aperte (fa il gesto), non chiuse
(fa il gesto). Quando il cuore è chiuso (fa il gesto), è un cuore ristretto:
neppure sa come amare. Quando il
cuore è aperto (fa il gesto), va sulla
strada dell’amore.
La Vergine Maria, modello e primizia dei poveri in spirito perché totalmente docile alla volontà del Signore, ci aiuti ad abbandonarci a
Dio, ricco in misericordia, affinché
ci ricolmi dei suoi doni, specialmente dell’abbondanza del suo perdono.
Al termine della preghiera mariana il
Papa ha ricordato tra l’altro la
giornata mondiale dei malati di lebbra
e ha salutato i ragazzi di Azione
cattolica e i gruppi presenti.
Cari fratelli e sorelle,
come vedete, sono arrivati gli invasori ... sono qui! Si celebra oggi la
Giornata mondiale dei malati di lebbra. Questa malattia, pur essendo in
regresso, è ancora tra le più temute e
colpisce i più poveri ed emarginati.
È importante lottare contro questo
Prese di possesso cardinalizie
San Giuliano martire
Nella mattina di domenica 29 gennaio il cardinale statunitense Kevin Joseph Farrell, prefetto del Dicastero per i laici, la famiglia e la
vita, ha preso possesso solennemente della
diaconia di San Giuliano martire. Nella chiesa romana di via Cassia il porporato è stato
accolto dal parroco, don Massimo De Propris. Hanno concelebrato il vescovo Fernando
Vérgez Alzaga, segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticana,
e il vescovo Brian Farrell, fratello del porporato. Ha diretto il rito monsignor Kevin Gillespie, cerimoniere pontificio, che ha dato lettura della bolla.
Santa Maria delle Grazie a via Trionfale
Domenica mattina, 29 gennaio, il cardinale redentorista statunitense Joseph William Tobin, arcivescovo di Newark, ha
preso solennemente possesso del titolo di Santa Maria delle
Grazie a via Trionfale. Nella chiesa romana il cardinale è stato accolto dal parroco, don Antonio Raimondo Fois, che gli
ha presentato il crocifisso per il bacio e la venerazione. Con
il porporato hanno concelebrato il cardinale João Braz de
Aviz e l’arcivescovo José Rodríguez Carballo, rispettivamente
prefetto e segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, monsignor Antonio De Luca, vescovo di Teggiano-Policastro, e monsignor
José Luiz Ferreira Salles, vescovo di Pesqueira in Brasile, entrambi redentoristi. Hanno concelebrato anche quarantatré
sacerdoti, tra i quali monsignor Stefano Sanchirico, il superiore generale della congregazione del Santissimo Redentore,
padre Michael Brehl, e il vicario parrocchiale don Carol Iakel. Ha diretto il rito monsignor Pier Enrico Stefanetti, cerimoniere pontificio, che ha dato lettura della bolla, assistito
da monsignor Ján Dubina.
morbo, ma anche contro le discriminazioni che esso genera. Incoraggio
quanti sono impegnati nel soccorso
e nel reinserimento sociale di persone colpite dal male di Hansen, per
le quali assicuriamo la nostra preghiera.
Saluto con affetto tutti voi, venuti
da diverse parrocchie d’Italia e di altri Paesi, come pure le associazioni e
i gruppi. In particolare, saluto gli
studenti di Murcia e Badajoz, i giovani di Bilbao e i fedeli di Castellón.
Saluto i pellegrini di Reggio Calabria, Castelliri, e il gruppo siciliano
dell’Associazione Nazionale Genitori. Vorrei anche rinnovare la mia vicinanza alle popolazioni dell’Italia
Centrale che ancora soffrono le conseguenze del terremoto e delle difficili condizioni atmosferiche. Non
manchi a questi nostri fratelli e sorelle il costante sostegno delle istituzioni e la comune solidarietà. E per
favore, che qualsiasi tipo di burocrazia non li faccia aspettare e ulteriormente soffrire!
Mi rivolgo ora a voi, ragazzi e ragazze dell’Azione Cattolica, delle
parrocchie e delle scuole cattoliche
di Roma. Quest’anno, accompagnati
dal Cardinale Vicario, siete venuti al
termine della “Carovana della Pace”,
il cui slogan è Circondati di Pace:
bello, lo slogan. Grazie per la vostra
presenza e per il vostro generoso impegno nel costruire una società di
pace. Adesso, tutti ascoltiamo il
messaggio che i vostri amici, qui accanto a me, ci leggeranno.
[lettura del messaggio]
Ed ora vengono lanciati i palloncini, simbolo di pace. Simbolo di
pace...
A tutti auguro buona domenica,
auguro pace, umiltà, condivisione
nelle vostre famiglie. Per favore, non
dimenticatevi di pregare per me.
Buon pranzo e arrivederci!
Messa a Santa Marta
Se il martire non fa notizia
Per «i martiri di oggi», per i cristiani perseguitati e in carcere, per le Chiese senza libertà,
con un pensiero particolare a quelle più piccole: è questa l’intenzione con cui il Papa ha offerto la messa celebrata lunedì mattina, 30
gennaio, nella cappella della Casa Santa Marta. Nella consapevolezza che «una Chiesa senza martiri è una Chiesa senza Gesù», il Pontefice ha riaffermato che sono proprio i martiri a
sostenere e portare avanti la Chiesa. E se anche «i media non lo dicono, perché non fa notizia», oggi «tanti cristiani nel mondo sono
beati perché perseguitati, insultati, carcerati
soltanto per portare una croce o per confessare
Gesù Cristo». Dunque, quando noi ci lamentiamo «se ci manca qualcosa», dovremmo
piuttosto pensare «a questi fratelli e sorelle
che oggi, in numero più grande dei primi secoli, soffrono il martirio».
Per la sua meditazione il Pontefice ha anzitutto rilanciato i contenuti della lettera agli
Ebrei. «Verso la fine — ha affermato — l’autore
fa un appello alla memoria: “Chiamate alla
memoria i vostri antenati, chiamate alla memoria i primi giorni della vostra vocazione, ricordatevi, chiamate alla memoria tutta la storia
del popolo del Signore”». Tutto ciò «per aiutare a fare più salda la nostra speranza: ricordare meglio per sperare meglio; senza memoria non c’è speranza».
Proprio «la memoria delle cose che il Signore ha fatto fra di noi — ha spiegato Francesco
— ci dà il fiato per andare avanti e anche la
consistenza». Così «in questa fine della lettera
agli Ebrei, nel capitolo 11, che è quello che la
liturgia ci propone in questi giorni, c’è la memoria della docilità di tanta gente, incominciando dal nostro padre Abramo che uscì dalla
sua terra senza sapere dove andava, docile:
memoria di docilità».
«Poi, oggi, ci sono due memorie» ha fatto
notare ancora il Pontefice citando espressamente il passo della lettera proposto dalla liturgia (11, 32-40). Anzitutto «la memoria delle
grandi gesta del Signore, fatte da uomini e
donne, e dice l’autore della lettera: “Mi mancherebbe il tempo se volessi narrare di...”».
Tanto che «comincia a nominare Gedeone,
Barak, Sansone, Iefte, Davide: tanta gente che
ha fatto grandi gesta nella storia di Israele».
Questa «è la memoria, possiamo dire, dei nostri eroi del popolo di Dio». E «il terzo gruppo» — il primo «era quello di coloro che sono
stati docili alla chiamata del Signore», il secondo «di coloro che hanno fatto grandi cose»
— richiama «la memoria di quelli che hanno
sofferto e hanno dato la vita come Gesù».
Si legge infatti nella lettera: «Altri, infine,
subirono insulti e flagelli, catene e prigionia.
Furono lapidati, torturati, tagliati in due, furono uccisi di spada, andarono in giro coperti di
pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati,
maltrattati — di loro il mondo non era degno!
— vaganti per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra». In una parola è
la «memoria dei martiri». E la Chiesa è proprio «questo popolo di Dio che è peccatore
ma docile, che fa grandi cose e anche dà testimonianza di Gesù Cristo fino al martirio».
«I martiri — ha affermato a questo proposito il Papa — sono quelli che portano avanti la
Chiesa; sono quelli che sostengono la Chiesa,
che l’hanno sostenuta e la sostengono oggi. E
oggi ce ne sono più dei primi secoli», anche se
«i media non lo dicono perché non fa notizia:
tanti cristiani nel mondo oggi sono beati perché perseguitati, insultati, carcerati». Oggi, ha
insistito Francesco, «ce ne sono tanti in carcere, soltanto per portare una croce o per confessare Gesù Cristo: questa è la gloria della
Chiesa e il nostro sostegno e anche la nostra
umiliazione, noi che abbiamo tutto, tutto sem-
bra facile per noi e se ci manca qualcosa ci lamentiamo». Ma «pensiamo a questi fratelli e
sorelle che oggi, in numero più grande dei primi secoli, soffrono il martirio».
«Non posso dimenticare — ha confidato il
Papa — la testimonianza di quel sacerdote e
quella suora nella cattedrale di Tirana: anni e
anni di carcere, lavori forzati, umiliazioni, i diritti umani non esistono per loro». Era il 21
settembre 2014 quando, durante i vespri nella
cattedrale di San Paolo a Tirana, vennero presentate al Pontefice le toccanti testimonianze
di due sopravvissuti alle persecuzioni del regime contro i cristiani: presero la parola suor
Maria Kaleta e don Ernest Simoni, che poi
Francesco ha voluto creare e pubblicare cardinale nel concistoro del 19 novembre scorso.
«Apertura del quinto sigillo»
(miniatura da un commentario all’Apocalisse di Beato di Liébana,
Anche noi, ha proseguito il Pontefice, è giusto che «siamo soddisfatti quando vediamo un
atto ecclesiale grande, che ha avuto un gran
successo, i cristiani che si manifestano». E
questo può essere visto come una «forza». Ma
«la più grande forza della Chiesa oggi è nelle
piccole Chiese, piccoline, con poca gente, perseguitate, con i loro vescovi in carcere. Questa
è la nostra gloria oggi e la nostra forza oggi».
Anche perché, ha affermato, «una Chiesa
senza martiri, oserei dire, è una Chiesa senza
Gesù».
Così Francesco ha invitato a pregare «per i
nostri martiri che soffrono tanto, per quelli
che sono stati e che sono in carcere, per quelle
Chiese che non sono libere di esprimersi: loro
sono il nostro sostegno, loro sono la nostra
speranza». Già «nei primi secoli della Chiesa
un antico scrittore diceva: “Il sangue dei cristiani, il sangue dei martiri, è seme dei cristiani”». Essi «con il loro martirio, la loro testimonianza, con la loro sofferenza, anche dando
la vita, offrendo la vita, seminano cristiani per
il futuro e nelle altre Chiese». E per questa ragione, appunto, il Papa ha voluto offrire la
«messa per i nostri martiri, per quelli che
adesso soffrono, per le Chiese che soffrono,
che non hanno libertà», ringraziando «il Signore di essere presenti con la fortezza del suo
Spirito in questi fratelli e sorelle nostri che oggi danno testimonianza di lui».
XI
secolo)