Crisi della finanza: abbassiamo la terribile leva
Transcript
Crisi della finanza: abbassiamo la terribile leva
dossier DAVIDE MONTELEONE / CONTRASTO a cura di Paola Baiocchi, Matteo Cavallito, Andrea Di Stefano e Mauro Meggiolaro Freniamo l’industria più distruttiva della storia >18 Fannie Mae e Freddie Mac. Mutui a colazione >20 La fine della crisi comincia dal basso >22 La ricetta: tassi alti e tasse basse >24 Contro la leva nuove regole per derivati e opzioni >26 Veduta notturna di 90 Feet Road, una delle strade principali di Dharavi. Lo slum più grande dell’Asia è un ricco piatto per i costruttori. Il suo valore potrebbe crescere fino a 100 miliardi di dollari. Mumbai, 2007 Crisi della finanza Abbassiamo la terribile leva La globalizzazione finanziaria ha prodotto un’idra incontrollabile che sta distruggendo le risorse del Pianeta e l’economia reale. È l’ora delle regole | 16 | valori | ANNO 8 N.62 | SETTEMBRE 2008 | | ANNO 8 N.62 | SETTEMBRE 2008 | valori | 17 | | dossier | mercati in caduta libera | Freniamo l’industria più distruttiva della storia CHI HA PERSO DI PIÙ? GLOSSARIO Le perdite delle più grandi banche del mondo da agosto 2007 ad agosto 2008 PRINCIPALI BANCHE MONDIALI SVALUTAZIONI E PERDITE [IN MILIARDI DI DOLLARI] DESTINO DELL’A.D. RENDIMENTO IN BORSA (%) 54,6 51,8 38,2 27,4 22 21,2 15,9 15,2 14,8 14,4 Sostituito Sostituito Sostituito Confermato Sostituito Confermato Sostituito Confermato Confermato Confermato - 58 - 62 - 63 -6 - 61 - 31 - 83 - 53 - 86 - 30 Citigroup Merrill Lynch UBS HSBC Wachovia Bank of America Ikb Royal Bank of Scotland Washington Mutual Morgan Stanley DERIVATO: strumento finanziario il cui prezzo/rendimento deriva dai parametri di prezzo/rendimento di un altro strumento finanziario principale detto sottostante. Presentano un elevato livello di rischio e possono essere usati per operazioni speculative o di copertura. Rientrano in questa categoria i future, le opzioni e gli swap. EFFETTO RICCHEZZA: si tratta del tramite attraverso cui incrementi di valore dei mercati finanziari possono generare effetti reali sulla domanda aggregata: gli investitori, godendo di plusvalenze sui titoli che hanno in portafoglio, si sentono più ricchi (anche se questa maggior ricchezza è in un certo senso potenziale, non si è ancora concretizzata) e dunque aumentano i propri consumi, generando un effetto positivo sulla domanda aggregata. FONTE: THOMSON DATASTREAM, PER IL FINANCIAL TIMES | dossier | mercati in caduta libera | di Mauro Meggiolaro Investiti negli hedge funds 39 miliardi di dollari nel 1990, 1.800 miliardi alla fine del 2007. Sono una scommessa. Se si azzecca, i profitti sono stratosferici. Se si sbaglia, le perdite possono far crollare il sistema | 18 | valori | ANNO 8 N.62 | SETTEMBRE 2008 | Se sbagliano, le perdite si amplificano e possono destabilizzare tutto il sistema. Nel 1990 erano investiti in queste mine vaganti 39 miliardi di dollari. A fine 2007 la quota è arrivata a 1.800 miliardi, quasi il doppio del prodotto interno lordo italiano. Dopo le scommesse sbagliate sul mercato immobiliare, molti hedge sono stati costretti a chiudere bottega. Carlyle Capital, Old Lane, Tribeca, Blue Wave, ogni settimana c’è un nuovo necrologio sulle pagine dei quotidiani finanziari. Ma lo spettacolo deve continuare. Nel solo mese di maggio Greg Coffey, la superstar del fondo speculativo londinese GLG Partners (150 milioni di dollari il suo stipendio nel 2007), ha cambiato tutti i titoli in portafoglio 56 volte. «Negli ultimi mesi il tasso medio di movimentazione dei portafogli è quasi raddoppiato», spiega il Wall Street Journal. «Gli hedge reagiscono in modo sempre più attivo alla volatilità dei mercati. Il caso di Coffey è un esempio straordinario». La madre di tutte le crisi Comprare, vendere, ricomprare, rivendere. Il mostro è ferito, ran- LEVA FINANZIARIA: indebitamento con lo scopo di investire il capitale preso a prestito. La leva finanziaria è conveniente per l’investitore solo se il rendimento dell’investimento è superiore all’interesse richiesto dal prestatore. L’uso della leva finanziaria è tipico dei fondi hedge, dei derivati e dei private equity. POLITICA FISCALE: la manovra di bilancio dello Stato e di altri enti pubblici con finalità di variazione del reddito e dell’occupazione nel breve periodo. POLITICA MONETARIA: le scelte dell’autorità monetaria (di solito la Banca Centrale) riguardo all’offerta di moneta. Una riduzione dell’offerta di moneta (politica monetaria restrittiva) comporta un aumento dei tassi e una diminuzione dei prezzi. Un aumento dell’offerta di moneta (politica monetaria espansiva), genera una diminuzione dei tassi e può portare all’aumento dell’inflazione. SOTTOSTANTE: strumento finanziario dal cui valore dipende quello di un titolo derivato o strutturato. I sottostanti tipici di un derivato sono azioni, obbligazioni, indici, tassi di interesse, ma anche valute e materie prime. VALORE NOZIONALE (DI UN DERIVATO): valore complessivo delle valute, delle merci, delle azioni sottostanti ai derivati. Ad esempio, per uno swap sui tassi d’interesse, il valore nozionale è il capitale su cui sono calcolati gli interessi scambiati dalle controparti. FONTI: FOREX, PATTI CHIARI, WIKIPEDIA, BORSAITALIANA, N. GREGORY MANKIW, MACROECONOMIA, ZANICHELLI I l mostro non dorme mai. Sotto il ghiaccio dei mercati bloccati dalla crisi si agita, riparte all’attacco, azzanna nuove prede. Non è mai sazio. Le ultime statistiche della Cayman Islands Monetary Authority, rese pubbliche in agosto, lo festeggiano con entusiasmo: «i fondi speculativi (hedge) registrati off-shore nell’isola dei Caraibi hanno raggiunto quota 10.000, aumentando del 12% in un anno. È un traguardo storico per l’industria finanziaria, in un contesto di grave deterioramento dei mercati internazionali». Gli hedge sono tra gli strumenti finanziari meno regolati e meno trasparenti del mondo. Non sono tenuti a dire dove investono, possono speculare al ribasso, indebitarsi per comprare titoli facendo “leva” fino a 10, in alcuni casi anche 50 volte il proprio patrimonio. Se azzeccano le scommesse portano a casa profitti stratosferici. FONDI HEDGE: definiti in Italia “fondi speculativi”, sono prodotti di investimento che ricercano un rendimento assoluto, indipendentemente dall’andamento dei mercati. Hanno la possibilità, negata ai fondi tradizionali, di usare uno o più strumenti o strategie di investimento sofisticati quali “short selling” (vendita allo scoperto), derivati, e leverage (o leva finanziaria). In Italia sono regolamentati dal decreto 228/1999, che limita l’adesione ad un singolo fondo hedge ad un massimo di 200 partecipanti, con un investimento minimo non inferiore a 500.000 euro. tola, ma quando meno te l’aspetti ritrova lo slancio, rialza la testa. Anche se questa crisi l’ha colpito nel vivo. Più di ogni altra negli ultimi settant’anni. Tutto inizia nell’agosto del 2007, con l’esplosione della bomba immobiliare. Il marciume dei mutui subprime affiora in ogni angolo della terra e porta alla deriva le banche, le borse e milioni di persone che avevano sognato una casa di proprietà. In un anno le banche bruciano 1.600 miliardi di dollari di valore. Il gigante americano Citigroup iscrive a bilancio perdite per 54,6 miliardi. Ma non è il solo. Lo seguono i pilastri di Wall Street: Merril Lynch, Morgan Stanley, JPMorgan, Bear Stearns. Dall’altra parte dell’oceano crolla UBS, piangono Credit Suisse e Deutsche Bank, l’inglese Northern Rock è costretta al salvataggio statale. Le banche centrali reagiscono iniettando miliardi di dollari di liquidità nel sistema, la Federal Reserve taglia i tassi di interesse, come aveva sempre fatto in casi del genere. Ma stavolta non funziona. The Big Freeze, il grande congelamento dei mercati, che doveva sciogliersi a novembre dell’anno scorso, continua più forte che mai. Il fondo dell’abisso sembra ancora lontano, e ogni giorno si leggono nuove profezie di sventura. «Prima della fine della crisi ci potrebbero essere numerose banche e altre istituzioni finanziarie che, sull’orlo del fallimento, finiranno per essere salvate dai governi», ha dichiarato Alan Greenspan, ex presidente della Fed (Banca Centrale USA, ndr). Un piccolo assaggio lo abbiamo avuto a metà luglio, quando è fallita Indymac, una cassa di risparmio californiana: il terzo fallimento bancario di tutti i tempi in America. Quasi negli stessi giorni crollavano Fannie Mae e Freddie Mac, le due centrali dei mutui USA, garantite “implicitamente” dallo Stato (vedi ARTICOLO a pag 20). Presto potrebbe essere l’ora del credito al consumo, delle assicurazioni, delle grandi società immobiliari. Come la spagnola Martinsa Fadesa, che in luglio ha dichiarato bancarotta, sepolta dai debiti. Intanto, mentre scriviamo, stanno scendendo i prezzi delle materie prime perché molti di quelli che | ANNO 8 N.62 | SETTEMBRE 2008 | valori | 19 | | dossier | mercati in caduta libera | “Nelle sale ad agosto. Quando il debito americano sarà pari a 9.500 miliardi di dollari”. Compariva questa scritta sul sito Internet dedicato all’ultimo documentario di denuncia della crisi economica americana. Una carrellata di interviste a personaggi come Warren Buffett, Alan Greenspan, Paul O’Neill, Robert Rubin e Paul Volcker per “svegliare l’America” (così scrive il sito) su quello che potrebbe essere un disastro epocale. www.iousathemovie.com | 20 | valori | Home, sweet home Il nome Fannie Mae sta per Federal National Mortgage Association, un nomignolo inventato dal Congresso Usa nel 1938 quando creò l’ente, all’uscita dalla depressione. Accanto agli affitti calmierati dell’edilizia popolare classica, Fannie Mae doveva servire a mettere sul mercato mutui a più basso costo, per garantire a tutti il sogno della casa di proprietà. Era l’epoca che Robert B. Reich, nel suo libro Supercapitalismo, come cambia l’economia globale e i rischi per la democrazia ha definito “capitalismo democratico” (un ossimoro come “guerra umanitaria”) in cui il capitalismo ha permesso ai lavoratori, indebitandosi facilmente, di diventare classe media: impiegati e operai, che potevano permettersi lussi che noi vediamo solo nei film di Hollywood. La General Motors era il più grande datore di ANNO 8 N.62 | SETTEMBRE 2008 | “F” come federale Dal 1968 Fannie Mae è una corporation privata quotata in borsa. Successivamente è stata quotata anche Freddie Mac. Private, ma la “F” del loro nome sta per “Federale” e questo rappresenta una differenza e un’anomalia. Perché quando le due sorelle dei mutui chiedono prestiti alle banche, li ottengono a tasso agevolato ed è implicita per gli investitori la garanzia che Fannie e Freddie non possono fallire come tutti gli altri istituti, ma ci sarà sempre lo Stato ad intervenire. Quello che Paul Krugman sul New York Times ha definito “privatizzare i profitti e socializzare le perdite”. E, infatti, a fine luglio il Senato ha approvato, in un’insolita seduta di sabato, un ingente provvedimento di salvataggio per il mercato immobiliare, offrendo finanziamenti di emergenza a Fannie Mae e Freddie Mac, che potrebbero garantirgli la sopravvivenza per i prossimi 18 mesi e ha creato un nuovo organo regolatore per i giganti del mutuo. Ora il provvedimento è legge, dopo la firma del presidente Bush, ma le perdite continuano: Freddie Mac ha accumulato nel secondo trimestre del 2008 una perdita da 821 milioni di dollari (1,63 dollari per azione) a fronte di un utile di 729 milioni di dollari nello stesso perio- Flettersi e fluttuare, in mezzo le persone All’inizio di agosto il ministro del Tesoro Usa, Henry Paulson, ha annunciato che non interverrà con ulteriori rifinanziamenti alle due società. Aprendo la porta agli speculatori e mettendo la sordina alle critiche dei cantori del libero mercato, come il premio Nobel per l’economia Edmund Phelps, che, in un’intervista su La Stampa, suggerisce di lasciar fluttuare i mercati, lasciare che l’occupazione fletta perché si tratta della fine del boom immobiliare, nient’altro che “uno sviluppo strutturale” che corregge la sopravvalutazione delle case. La soluzione quindi - suggerisce Phelps - sta nell’approfittare del rallentamento delle attività per “concentrarsi sulle riforme strutturali di base”. Purtroppo l’intervistatore non ha chiesto a Phelps di chiarire a quali riforme pensasse e l’economista (con una deformazione professionale tipica della categoria) non considera che nelle “flessioni e fluttuazioni” del mercato ci sono le persone. 12 6 0 –6 I piromani che vogliono riscrivere le leggi 2008 2006 2004 2002 –18 2000 –12 1998 do del 2007. Si tratta del quarto trimestre in rosso consecutivo: in un anno Freddie Mac ha cumulato un buco da 4,6 miliardi di dollari. L’istituto ha fatto sapere di aver avviato procedure di pignoramento su ben 22 mila proprietà immobiliari. E prevede di perdere fino al 26% del valore di ciascun mutuo erogato. Mentre le insolvenze aumentano è stato deliberato un taglio del dividendo dell’80 per cento. Fannie Mae ha chiuso i conti del secondo trimestre con una perdita di 2,3 miliardi di dollari (2,54 dollari per azione) anche se le stime del mercato erano decisamente più caute, orientate per una perdita di 0,70 dollari. Nel primo trimestre le perdite erano state di 2,2 miliardi, contro un utile di 1,8 miliardi nello stesso periodo dell’anno precedente. 18 1996 lavoro degli Usa, ma dava garanzie e stipendi annui pari a 60 mila dollari attuali, mentre Wal-Mart, l’attuale più grande datore di lavoro del mondo, retribuisce i suoi dipendenti con circa 17.500 dollari l’anno. Freddie Mac viene creata nel 1975, sempre dal Congresso; il suo nome completo è Federal Home Loan and Mortgage Corporation. Il meccanismo con cui operano le due agenzie è lo stesso: comprano mutui già emessi da istituti finanziari e cartolarizzano il debito raggruppandolo in emissioni di maxibond, poi spezzettati in obbligazioni acquistate dagli investitori. [ VARIAZIONE % ANNUA ] I prezzi delle case americane continuano a scendere. A maggio (ultima rilevazione) avevano raggiunto il livello dell’agosto 2004. L’indice S&P/CaseShiller, che misura il mercato immobiliare nelle prime 20 città Usa, in un anno è calato del 15,8% 1994 S Fannie Mae e Freddie Mac, il metro per capire la portata e la pericolosità della grande crisi finanziaria partita dagli Stati Uniti. Con quei nomi da mucche da gran premio, i due enti paradi Paola Baiocchi governativi portano in pancia numeri da paura: bond in circolazione per 5 mila miliardi di dollari che coprono circa la metà dei 12 mila miliardi di prestiti immobiliari erogati. I loro bond corrispondono a più di un terzo del Pil statunitense (14 mila miliardi) mentre il debito federale, tra titoli pubblici FILM emessi (5300 miliardi) e impegni previdenziali o altro (4300 miliardi), rappresenta meno del doppio del valore globale dei bond Fannie e Freddie. Una mostruosità per dimensioni (il fallimento Bear Stearns era da 29 miliardi), un bilancio federale dentro il bilancio federale, una mina vagante all’interno dell’economia I.O.U.S.A. egemone nel mondo, a cui mettere mano con cautela, One nation. perché il suo salvataggio potrebbe raddoppiare il deUnder stress. In debt. bito degli States. FONTE: STANDARD & POOR’S E FISERV CASE: CADUTA SENZA FINE, SI TORNA AI PREZZI DEL 2004 Limitare la crescita speculativa del valore delle case. È la lezione che ci arriva dalla crisi immobiliare Usa, da rimettere al centro dell’agenda politica per non vivere nuovi crack. ONO LE DUE GIGANTESCHE CENTRALI AMERICANE DEI MUTUI, . NUMERI I momenti di crisi, sostiene Naomi Klein in Shock Eco1.600 nomy, l’ascesa del capitalismo dei disastri, sono i miglioMILIARDI DI DOLLARI ri per far passare i provvedimenti più antidemocratici, Il valore totale della capitalizzazione con la tattica dello Shock and Awe, “colpire quando tutpersa nell’ultimo anno ti sono sotto shock”. Per studiare la cura della crisi di (al 1 agosto 2008) Freddie Mac e Fannie Mae, il Tesoro americano ha asdai titoli del settore bancario. segnato una consulenza alla banca di investimenti Morgan Stanley: come chiamare il piromane a spegnere il fuoco, scrive su Il Sole 24 Ore Donato Masciandaro, professore di Economia della regolamentazione finanziaria all’università Bocconi di Milano, riferendosi al ruolo della Fed, ma anche di Fannie e Freddie, nella crescita dell’indebitamento privato e nella “tracimazione” della leva finanziaria. Limitare la crescita speculativa del valore delle case, considerandole solo un bene primario è l’obiettivo VOLUME DEI MUTUI USA [ IN MIGLIAIA DI MLD DI $ ] da rimettere al centro dell’agenda politica per risolvere la 6.880 6.000 crisi finanziaria. «Che non può 5.000 essere affrontata da un solo 4.000 Paese – afferma il sociologo te3.000 desco Ulrich Beck - ma deve 2.000 3.000 passare attraverso una regola2.200 1.000 zione transnazionale tra Stati, FANNIE MAE ALTRI 0 FREDDIE MAC perché anche i fautori del libe- | ANNO 8 N.62 | SETTEMBRE 2008 FONTE: THOMSON DATASTREAM E OFHEO Fannie Mae e Freddie Mac Mutui a colazione accumulato scommesse finanziarie in strumenti derivati per 676.000 miliardi di dollari. Dodici volte il valore dell’economia reale mondiale. Bastano piccole scintille, per farlo saltare in aria. Dalla politica e dai mercati stanno arrivando le prime, timide, ammissioni di colpa, le prime proposte di riforma. La strada da percorrere è questa: per ripartire servono nuove regole, capaci di sgonfiare il ventre abnorme del mostro finanziario. Altrimenti, dopo periodi di tregua sempre più brevi, tornerà inevitabilmente a colpire. 1992 C’è una via di uscita alla crisi? Per ora sembrerebbe di no. Probabilmente perché si stanno cercando le soluzioni nei posti sbagliati. Dalla fine degli anni ottanta la Fed risponde alle crisi finanziarie abbas- mondo fosse veramente cambiato», ha dichiarato Larry Fink, direttore del gruppo finanziario BlackRock. «Si è creata una fiducia incrollabile nel capitale intellettuale di Wall Street, supportata dal fatto che le banche per anni hanno continuato a guadagnare tantissimo». Poi la fiducia è crollata. Le banche centrali hanno risposto all’incendio gettando benzina sul fuoco, cercando di placare la fame del mostro con bocconi sempre più grandi. Ma il mostro è ormai fuori controllo. E ha sempre più fame. Negli ultimi dieci anni ha 1990 È ora di affamare il mostro sando i tassi di interesse e iniettando liquidità. La cosiddetta “Dottrina Greenspan” ha sempre permesso ai mercati di ripartire. Sicuri che la banca centrale americana sarebbe sempre intervenuta a togliere le castagne dal fuoco, i grandi operatori finanziari hanno continuato a innovare, inventando scommesse sempre più sofisticate. I rischi sono stati spezzettati, impacchettati, spediti in ogni angolo del mondo, con l’illusione che sarebbero diventati sempre più piccoli, fino quasi a scomparire. «La gente ha cominciato a credere che il 1988 avevano puntato sulla nuova bolla stanno realizzando per compensare, almeno in parte, le perdite subite sui subprime e poi sui mercati borsistici. | dossier | mercati in caduta libera | | valori | 21 | | dossier | mercati in caduta libera | ro mercato manifestano sempre più esplicitamente il dubbio che dopo il collasso del comunismo sia rimasto soltanto un avversario della libera economia di mercato – ossia la libera economia di mercato senza briglie - che ha dimenticato le sue responsabilità per la democrazia e la società e agisce esclusivamente in base al principio della massimizzazione dei profitti a breve termine». Lo strapotere della finanza ha creato instabilità e una distribuzione iniqua del reddito. E perché la crisi non sembra di facile soluzione? Non possiamo rispondere a queste domande senza capire le dinamiche della finanziarizzazione, cioè il dirottamento di Andrea Fumagalli del risparmio delle famiglie sui titoli e Stefano Lucarelli* azionari. L’economia americana dopo gli anni Ottanta è caratterizzata dal processo di liberalizzazione dei mercati e dalla conseguente esplosione di nuovi strumenti di investimento. La valutazione borsistica diventa il principale indicatore economico, la chiave che governa tanto l’investimento quanto il consumo (attraverso l’effetto ricchezza, vedi GLOSSARIO ). Questo fenomeno apre la strada a scenari inediti. Se la finanziarizzazione è molto sviluppata, cioè se la ric- P INCONTRI SU QUESTI TEMI E DOMANDE, il 12 e 13 settembre presso la Facoltà di Scienze Politiche a Bologna, si terrà un incontro di riflessione e discussione organizzato dalla rete Uninomade Italia, un network di studiosi e ricercatori. PROGRAMMA VENERDÌ 12 SETTEMBRE Crisi della finanza, trasformazioni della democrazia, critica della politica. Seminario di studio Ore 10-13 Dinamiche e crisi dei mercati finanziari Introduce: Sandro Mezzadra (Università di Bologna) Christian Marazzi (SUPSI – Lugano) Andrea Di Stefano (direttore della rivista «Valori»): Crisi finanziaria e leva finanziaria tra banche centrali e fondi sovrani Discussant: Adelino Zanini (Università di Ancona) Ore 15-18 Le conseguenze sociali della crisi finanziaria Introduce: Federico Chicchi (Università di Bologna) Carlo Vercellone (Università di Paris I – Sorbonne) Stefano Lucarelli (Università di Bergamo): Il biopotere della finanza Discussant: Andrea Fumagalli (Università di Pavia) SABATO 13 SETTEMBRE Ore 10-14 Scenari politici nella crisi finanziaria. Discussione generale Introducono: Sandro Mezzadra (Università di Bologna) Toni Negri (Uninomade, Venezia) Interverranno tra gli altri: Beppe Caccia, Federico Chicchi, Sandro Chignola, Alessandro Pandolfi, Tiziana Terranova, Benedetto Vecchi, Matko Mestrovic. | 22 | valori | ANNO 8 N.62 | SETTEMBRE 2008 | VARIAZIONI DEGLI INDICI AZIONARI NELL’ULTIMO ANNO [ AL 18 AGOSTO 2008 ] LONDRA FTSE 100 . La fine della crisi comincia dal basso ERCHÉ I MERCATI SONO DI NUOVO IN CRISI? IL TONFO DELLE BORSE MONDIALI –13,80% PARIGI CAC 40 NEW YORK NASDAQ –3,51 chezza delle famiglie dipende più dalla quota di reddito proveniente dai mercati finanziari che dal salario, una moderazione salariale, che favorisce la redditività delle imprese quotate in borsa, può favorire i consumi delle famiglie (arricchite dall’investimento in Borsa) anche in presenza di salari reali decrescenti. Questo fenomeno capovolge le relazioni fra la sfera reale e la sfera finanziaria, mettendo in crisi il paradigma fordista-keynesiano: il nesso tra produttività, salario reale (e quello produzione) e consumo di massa. In pratica, la dinamica borsista finisce per rimpiazzare il salario come fonte di crescita. Le magnifiche sorti della borsa Nel periodo 1993-2000, la borsa di New York esplode verso l’alto. Si afferma un regime di accumulazione guidato dalla finanza e strettamente connesso alle innovazioni nel campo delle tecnologie informatiche (la cosiddetta new economy). In questo regime di accumulazione si sviluppano forme di remunerazione legate al rendimento in borsa delle imprese: il fenomeno delle stock options per i manager ma anche per molti quadri intermedi coinvolge anche i fondi pensione e di investimento che si convincono che la remunerazione in azioni possa assicurare una maggiore attenzione alla “creazione di valore” per l’azionista. Queste forme di remunerazione in realtà si sono tradotte in gravissime manipolazioni dell’andamento delle quotazioni, come certificato da decine di inchieste giudiziarie, alcune sfociate in pesanti condanne per i manager coinvolti. Di fatto in assenza di un’adeguata politica di redistribuzione il sistema viene condotto all’instabilità. Oltre a distribuire in modo diseguale i nuovi redditi borsistici, il ponte di comando della new economy li crea distruggendo salario e stabilità occupazionale, in linea con un nuovo senso comune: per creare valore azionario bisogna promuovere processi di ristrutturazione aziendale, delocalizzazione, outsourcing, fusione e acquisizione. I capitali necessari a queste ristrutturazioni sono di fatto sottratti alla remunerazione della forza lavoro. La crisi del marzo 2000, con lo scoppio della bolla della new economy, alimenta una nuova fase di crescita della finanziarizzazione. Mentre i mercati scendono, la Fed aumenta straordinariamente la liquidità a disposizione delle borse. Il 97% della popolazione americana, colpita dall’abbassamento dei salari, riesce a conservare il proprio tenore di vita grazie al rialzo del prezzo degli immobili, alla generosità con cui funziona il mercato del credito americano e al basso prezzo dei manufatti importati dall’Asia. Nel 2003 le borse cominciano a riprendersi, ma solo grazie al boom del mercato degli immobili. Dopo aver esaurito le prospettive e le aspirazioni dei salariati vendendo loro i sogni del- NEW YORK NYSE MOSCA MICEX TOKIO NIKKEY 225 –13,30% FONTE: BLOOMBERG | dossier | mercati in caduta libera | –13,80% FRANCOFORTE DAX –12,81%* –17,06% –10,13 +2,67 MADRID IBEX 100 –17,98% MILANO S&PMIB –25,43% HONG KONG HANG SENG BOMBAY SENSEX –29,79% SINGAPORE STRAITS TIME –9,38 +9,82%* SHANGAI SE COMP SAN PAOLO BOVESPA +5,08% Tutti i rendimenti sono in valuta locale senza reinvestimento dei dividendi tranne: * Rendimenti total return con il reinvestimento dei dividendi –50,18% JOHANNESBURG TOP 40 le borse, comincia la vendita di un altro sogno: la casa acquistabile con merciale quasi 100 dollari di scambi finanziari, ciò che avviene nei il denaro concesso a credito: un credito infinito e a forte rischio di in- mercati finanziari non può non avere immediati effetti sull’economia globale. L’inflazione da finanza necessiterebbe quindi di un insolvenza (ecco comparire i subprime). tervento di regolazione dall’alto dei mercati finanziari che oggi appare di difficile realizzazione: le autorità monetarie e politiche Un nuovo ciclo di lotte sociali La crisi dell’agosto 2007 arriva dopo un periodo di forte espansione del preposte al controllo e alla regolazione sono le prime a sostenere le credito immobiliare: la finanziarizzazione per funzionare ha infatti bi- attività speculative per evitare una crisi degli stessi mercati finanziasogno di includere un numero crescente di economie domestiche nel- ri, che avrebbe ripercussioni drammatiche. I fattori di instabilità sono così destinati ad acuirsi, a meno che tala creazione di valore. Oggi però, nel mezzo della crisi, i fattori di instabilità stanno aumentando. Gli interventi di politica economica sia le regolazione non venga imposta da vincoli che sorgano da un pronegli Stati Uniti che in Europa non sembrano adeguati alle novità ap- cesso di pressione dal basso. Alcuni segnali di resistenza, seppur ancoportate dall’attuale situazione. Alle tensioni presenti sui mercati finan- ra embrionali, sono già presenti: nuove concezioni di azione sindacale ziari si aggiunge l’instabilità dei prezzi. Ma l’inflazione, che in Europa legati al web 2.0, la nascita di agenzie per il conflitto sul lavoro precaè tornata a superare il 4%, non è né inflazione da domanda, né infla- rio, forme nuove di agitazione culturale sparse un po’ in tutto il monzione da salari. Si tratta piuttosto di un’inflazione trainata dalla specu- do. Non sarà nell’immediato, ma è comunque chiaro che un nuovo cilazione finanziaria sulle materie prime (alimentari e non). Un’inflazio- clo di lotte è destinato ad aprirsi nel prossimo futuro, magari nell’arco ne da finanza. Un fenomeno del tutto nuovo, rispetto al quale le dei prossimi sette anni. manovre sui tassi d’interesse non riescono ad incidere. L’inflazione da finanza conferma che i mercati finanziari svol- * Andrea Fumagalli è docente di economia politica all’Università gono un ruolo “reale” nell’economia, non sono affatto neutrali. A degli Studi di Pavia. Stefano Lucarelli è professore associato di scienza fronte di una situazione che vede per ogni dollaro di scambio comdelle finanze all’Università di Bergamo. . | ANNO 8 N.62 | SETTEMBRE 2008 | valori | 23 | NOV 1948 OTT 1949 AGO 1929 MAR 1933 Grande depressione, fallimenti bancari e industriali a catena, crack della borsa 100.000 10.000 1.000 FEB 1945 OTT 1945 MAG 1937 GIU 1938 APR 1960 FEB 1961 APR 1960 FEB 1961 DIC 1969 NOV 1970 NOV 1973 MAR 1975 La prima crisi petrolifera e le spese per il Vietnam portano gli Usa alla stagflazione LUG 1981 NOV 1982 La stretta monetaria Usa per combattere l’inflazione porta a una fase recessiva 1985 1975 1965 1955 1945 1935 1925 LUG 1990 MAR 1991 La crisi delle borse dopo lo scoppio della bolla internet causa una breve fase recessiva in Usa La caduta dei Junk Bonds e il Credit Crunch provocano il calo del 25% del Pil Usa 100 10 MAR 2001 NOV 2001 DERIVATI SCAMBIATI NEL MONDO Dicembre 2007: 676.600 mld di $ I dati fanno riferimento al valore nozionale dei derivati MERCATI REGOLAMENTATI 12% CRESCITA DERIVATI NEGOZIATI OTC I dati fanno riferimento al valore nozionale dei derivati 600 595,0 500 516,4 400 414,3 369,5 300 297,7 OTC (OVER THE COUNTER) 200 88% 100 2005 1.000.000 LUG 1953 MAG 1954 Recessione dopo la guerra di Corea, dovuta a politiche monetarie restrittive e agli alti tassi 1995 OTT 1926 NOV 1927 [ BASE 1925 = 100 ] 0 DIC 05 GIU 06 DIC 06 GIU 07 DIC 07 Over the counter: speculazione impunita I mercati fuori dalle borse sono difficilmente controllabili. Per gli operatori più spericolati è un ambiente ideale dove il valore dei derivati sfiora i 600 mila miliardi di dollari. e mezzo mondo da comprare”, ripetono i guru delle tecniche di vendita. Ma, se è evidente che il mondo è grande, è altrettanto ovvio che le piazze regolamentate risultano troppo piccole per contenerlo. Nascono così le zone franche di di Matteo Cavallito scambio semi-invisibili e, per questo, particolarmente attraenti per la finanza: i mercati Over the counter (OTC), vere e proprie “borse fuori dalle borse”. A costituire l’OTC è qualsiasi negoziazione che avvenga al di fuori dei circuiti ufficiali di Borsa. Lo sviluppo della telematica ha permesso di annullare le distanze, aprendo la strada a una miriade di piazze virtuali dove una telefonata o un input informatico possono spostare titoli per milioni di dollari. Gli Stati Uniti sono stati dei precursori: nel 1990 hanno inaugurato l’Otc Bulletin Board, un sistema di contrattazione elettronica che avrebbe ispirato nove anni dopo il suo gemello, il Pink Sheets. Nei mercati Over the counter possono teoricamente trovare spazio tutti i titoli non quotati nelle borse ufficiali. Possono esserci azioni in attesa di debutto a Wall Street, ma anche titoli rischiosi con un rating particolarmente basso. Una popolazione piuttosto varia, insomma, con un’unica caratteristica in comune: una diffusa deregolamentazione che spazia dall’assenza di modalità standard di “C’ È MEZZO MONDO DA VENDERE scambio alla mancanza di obbligo informativo. Quest’ultimo punto rappresenta oggi il problema numero uno. Senza regole, i derivati sguazzano Verificare la liceità delle operazioni OTC è spesso impossibile e gli speculatori possono assumere posizioni distorsive nell’assoluta impunità. Il problema si aggrava notevolmente quando nel contesto Over the counter si inseriscono i titoli derivati, di per sè dotati di maggiore volatilità e, per questo, inclini alla speculazione. Gli ultimi dati resi noti dalla Banca dei Regolamenti Internazionali hanno stimato in 596 mila miliardi di dollari il valore complessivo del mercato dei derivati OTC, un nozionale senza eguali superato solo dall’omologo di borsa (692 mila miliardi, +30% rispetto alla fine del 2006). È evidente che una simile esposizione continua a rappresentare una colossale anomalia, contro la quale i regolatori possono fare ben poco. I derivati, che funzionano come “assicurazione” d’investimento, possono essere costruiti potenzialmente su qualsiasi cosa, dalle valute agli indici, dalle obbligazioni alle materie prime. L’apporto di operazioni speculative trasforma i derivati in vere e proprie scommesse, ma, a differenza di quanto accade in un’agenzia di bookmakers (dove il rendimento promesso, cioè la quotazione, è facilmente controllato e modificato in base alla domanda e la crescita di puntate sospette può indurre i gestori a sospendere il “titolo”), in un mercato OTC non c’è la possibilità di bloccare un’impennata di puntate sul fallimento di una società da parte, ad esempio, dei sottoscrittori di credit default swaps (CDS). Un tentativo di arginare il problema Molti osservatori americani hanno attribuito alla speculazione OTC sulle materie prime la responsabilità del rialzo dei prezzi nel comparto energetico e alimentare. Le autorità Usa hanno provato a estendere il proprio potere di controllo sulle piattaforme virtuali. A giugno il Wall Street Journal ha riferito di un accordo siglato tra la Commodity Futures Trading Commission e la Financial Services Authority britannica per ricevere aggiornamenti sui movimenti sospetti in atto presso l’Inter Continental Exchange (di base a Londra) e sul raggiungimento di livelli speculativi assimilabili a quelli fissati per il NYMEX di New York. È un inizio ma ancora non basta. La Casa Bianca si rifiuta di approvare l’abolizione dell’Enron Loophole (Valori n. 61, luglio-agosto 2008) che garantisce ampia libertà agli operatori finanziari dell’energia. La strada da percorrere resta ancora molto lunga. . Contro la crisi, tassi alti e tasse basse La politica monetaria deve andare contro vento: essere restrittiva di fronte a una rapida crescita del credito (lo sostiene anche Draghi). Ma serve anche una politica fiscale espansiva. di Alberto Berrini* | 24 | valori | ANNO 8 N.62 «L | SETTEMBRE 2008 | A PROTRATTA ESPANSIONE MONETARIA NEGLI STATI UNITI e in altri Paesi si è propagata alle maggiori economie emergenti a causa del sostanziale ancoraggio del loro cambio al dollaro. La fragilità dei mercati ha trovato origine in un terreno regolamentare lacunoso e si è ampliata per gli incentivi perversi che hanno alimentato la crescita tu- multuosa dell’industria finanziaria. Ma la sua radice, come quella della stessa debolezza del dollaro, sta anche in politiche monetarie troppo accomodanti». Le parole sono di Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, tratte dal suo intervento all’assemblea dell’ABI (Associazione Ban- FONTE: BANCA DEI REGOLAMENTI INTERNAZIONALI LE RECESSIONI NEGLI USA E L’ANDAMENTO DELL’INDICE S&P 500, DELLE 500 AZIENDE STATUNITENSI A MAGGIORE CAPITALIZZAZIONE FONTE: BANCA DEI REGOLAMENTI INTERNAZIONALI | dossier | mercati in caduta libera | GLOBAL FINANCIAL DATA, NIBER, WEGELIN & CO. | dossier | mercati in caduta libera | LO STRANO DESTINO DEI CRT VALUTAZIONI ERRATE, scarsa trasparenza ed eccessiva complessità hanno permesso al credito strutturato e ai prodotti di trasferimento del rischio (credit risk transfer – CRT) di svilupparsi in modo inadeguato tra il 2005 e il 2007 aprendo la strada a quella crisi che tuttora attanaglia il mercato globale. È la conclusione raggiunta dal Joint Forum del Comitato di Basilea nel rapporto “Risk Transfer Developments from 2005 to 2007”, reso pubblico a fine luglio dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI). Un destino beffardo quello che ha accompagnato i CRT, trasformandoli da strumenti “assicurativi” in veri e propri veicoli di contagio nell’epidemia subprime, pur non evidenziando responsabilità dirette in quel colossale investimento fallimentare che è stato il mercato dei mutui Usa. Un mercato che, a ben vedere, sembrava evidenziare fin da subito preoccupanti anomalie. Gli standard di sicurezza dei mortgage (mutui), si sottolinea nel rapporto, risultavano spesso inadeguati soprattutto a causa di gravi carenze informative come quelle, ad esempio, relative alle garanzie patrimoniali dei sottoscrittori. È stato così che l’ingresso sulla scena di derivati CRT come le Collateralized Debt Obligations (CDOs) sulle AssetBacked Securities (ABS) ha fatto aumentare paradossalmente proprio il livello del rischio, incrementando la complessità dei prodotti in gioco. Siamo alla fine del 2006 e il collasso è dietro l’angolo. Gli scarsi rendimenti dei CDOs (che si erano sobbarcati i rischi) si accompagnano alla recessione che, proprio in quel momento, travolge il mercato immobiliare. Gli investitori che avevano puntato sui CRT cercano di ritirarsi dal mercato attingendo alla propria liquidità bancaria e così gli istituti che avevano emesso ampi quantitativi di CDOs si ritrovano a patire un’inaspettata carenza di fondi o, per dirla con il Joint Forum, a vivere il passaggio da un “fenomeno di credito ad uno di liquidità”. Il meccanismo è assodato, dunque, ma qual è in definitiva la causa ultima del disastro? Per gli analisti del JF non ci sono dubbi: gli investitori (comprese le principali banche d’affari del mondo) avrebbero sottostimato i rischi, facendo un eccessivo affidamento ai giudizi, per loro natura parziali, delle agenzie di rating. Queste ultime, è bene ricordarlo, si limitano a certificare la qualità di un credito senza esprimere previsioni circa l’andamento del mercato sul quale i prodotti derivati vengono costruiti. È un fatto noto eppure le banche non sembrano essersene accorte in tempo utile, preferendo, per usare un espressione da economia industriale, “deverticalizzare” l’analisi del rischio all’insaputa delle stesse agenzie di rating. E le conseguenze? Ironicamente a pagare lo scotto di mercato potrebbero essere le obbligazioni del tipo “Collateralized Loan” e “Collateralized Debt” che, allo stato attuale, rischiano addirittura di sparire. Alle società del settore, invece, spetterà l’onere di sviluppare strumenti di analisi più accurati per incrementare il livello di trasparenza da offrire agli investitori. Nel frattempo, ha sottolineato la BRI, il comportamento di questi ultimi ha evidenziato “un cauto ritorno della tolleranza verso il rischio”. M.C. | ANNO 8 N.62 | SETTEMBRE 2008 | valori | 25 | | dossier | mercati in caduta libera | | dossier | mercati in caduta libera | una più alta inflazione, i cui danni sociali sono già sotto gli occhi di tutti. È un fatto che il tasso di riferimento statunitense al 2%, ampiamente negativo in termini reali, stia destabilizzando, attraverso la debolezza del dollaro, l’economia mondiale. Al contrario io condivido l’idea della BRI che la politica monetaria debba “andare contro vento”: essere restrittiva di fronte a una preoccupante combinazione di rapida crescita del credito e delle quotazioni di borsa. Insomma, a differenza di quanto comunemente si crede, lo scontro Fed–Bce non riguarda la diversa priorità che le due banche centrali attribuiscono a crescita ed inflazione. Il punto controverso è piuttosto il rapporto tra la politica monetaria e l’inflazione finanziaria, ossia il rapporto tra Banche Centrali e bolle. L’evoluzione dei mercati finanziari impone un nuovo approccio alla politica monetaria. L’odierna crisi finanziaria ha evidenziato, al di là di ogni possibile dubbio, che è necessario contrastare una crescita troppo rapida del credito: un eccessivo aumento della leva finanziaria è alla base degli attuali squilibri. E le Banche centrali hanno sicuramente la responsabilità di non aver prestato sufficiente attenzione a tale fenomeno. È lo stesso Draghi, nel passaggio citato, a denunciare la fragilità del sistema finanziario. Ma tale fragilità ha una connotazione endogena, cioè dipende dalla tendenza delle singole unità (gli operatori che compongono il sistema finanziario) ad adottare comportamenti e strutture di finanziamento dal carattere fortemente speculativo, con un eccessivo livello di indebitamento. Dunque, in ultima analisi, il grado di fragilità dipende dal livello di leverage (indebitamento rispetto al capitale) raggiunto dal sistema finanziario. Il grado di leverage, oltre che dalla propensio- - 0,25 10 aprile 2008 2,75 + 0,25 13 sett. 2007 VALUTAZIONE ATTRAENTE 10 0 FONTE: CLARIDENLEU 5 2007 Banca d’Inghilterra * Economista, ha scritto “Le crisi finanziarie – oltre la cronaca”, editrice Monti, 2007 20 2005 30 aprile 2008 2003 - 0,25 . SOPRAVVALUTAZIONE 30 2001 2 È L’INDICATORE EMPIRICO per valutare se conviene investire in borsa. Si ottiene sommando il p/e (rapporto tra il prezzo del titolo e gli utili della società) dell’indice S&P 500 e il tasso di inflazione americana. Se è superiore a 20, il mercato è sopravvalutato (non conviene investire). Se è inferiore a 20, è sottovalutato (conveniente), se è attorno a 20, è correttamente valutato. Oggi il p/e dell’S&P 500 è 16, il tasso di inflazione statunitense 4,2%. La somma è 20, quindi non c’è da aspettarsi un granchè dalla Borsa. 1999 Fed – Federal Reserve (Usa) Banca Nazionale Svizzera DATA 1997 3 luglio 2008 1995 + 0,25 1993 ULTIMA VARIAZIONE 4,25 A tutti questi ragionamenti si potrebbe obiettare che non tengono in considerazione l’altro aspetto su cui impatta la politica monetaria: la crescita. Ma di sviluppo si dovrebbero occupare principalmente i governi attraverso una politica economica (fiscale) espansiva, non le Banche Centrali con il controllo dell’offerta di moneta. Nei periodi di crisi, una politica fiscale espansiva dovrebbe accompagnare una politica monetaria necessariamente restrittiva, perché volta al controllo dell’inflazione e della stabilità finanziaria. Per rilanciare la crescita non serve quindi una “nuova” leva finanziaria, ma piuttosto una “vecchia” leva fiscale, che rilanci la domanda a partire dai consumi dei ceti più deboli. È per questo che si parla troppo e solo di politica monetaria. Perché non si vuole tornare a discutere di distribuzione del reddito. Un vero tabù per le politiche liberiste. Un tema che, però, va affrontato con urgenza se si vuole dare una risposta duratura all’attuale crisi. LA REGOLA DEL 20 (PER LA BORSA DI WALL STREET) 1991 TASSO ATTUALE Bce – Banca Centrale europea Torniamo alla leva fiscale Pa. Bai. 1989 I MOVIMENTI DELLE BANCHE CENTRALI FONTE: IL SOLE 24 ORE Questa “scuola”, ancora una volta, rischia di affrontare il problema dei “cattivi debiti” utilizzando un’ulteriore espansione del credito e FINO AD OGGI NARVIK, comune norvegese di 18 mila abitanti, era ricordata dagli esperti di storia per la battaglia navale combattuta nel suo fiordo durante la Seconda guerra mondiale, ed era conosciuta dai filatelici per un francobollo francese emesso nel 1952 in ricordo dello scontro. Ora è nota per aver massicciamente investito in prodotti ad alto rischio “loan limon” e per aver perso, a causa dei subprime, 25 milioni di dollari, un quarto del bilancio comunale. Tanto da aver annunciato al Guardian che saranno costretti a tagliare la spesa sociale almeno per i prossimi quattro anni. Assieme a Narvik altri sette comuni del Circolo Polare Artico sono caduti nella trappola dei prodotti finanziari della banca statunitense Citigroup, commercializzati dal brooker norvegese Terra Securities, fallito dopo la revoca della licenza da parte dell’autorità di controllo, per non aver informato gli amministratori pubblici dei rischi (erano convinti di comprare titoli norvegesi al 100 per cento). La battaglia legale è in corso, ma la notizia in tutto ciò è che il governo norvegese non ha nessuna intenzione di intervenire: «Non siamo un’assicurazione politica per gli amministratori che prendono cattive decisioni» ha affermato il premier laburista Jens Stoltenberg. 1985 Pompieri contro piromani ne al rischio degli operatori, dipende dalla disponibilità di credito e dunque ha a che fare con le politiche monetarie delle Banche centrali e, in particolare, con la struttura dei tassi di interesse che esse impongono alle economie. Del resto “la teoria della Fed” sostiene che è suo compito raccogliere i cocci dopo che il danno è avvenuto, cioè, come si dice, “fare pulizia” ex post (dopo). Tutto l’opposto di ciò che andrebbe fatto: intervenire ex ante (prima). AL CIRCOLO POLARE ARTICO NON TI FIDARE DEI CREDITI AL LIMONE 1987 caria Italiana) del 9 luglio scorso. Sono parole che pesano come macigni in ciascuna delle tre frasi citate. Nella prima si accenna ad un sistema monetario internazionale in cui i rapporti di cambio delle singole valute sono ben lontaAlberto Berrini ni dal costituire un elemento di riequilibrio Le crisi finanziarie, tra le varie economie nazionali, come invece oltre la cronaca dovrebbe essere secondo il credo liberista. Editrice Monti 2007 Piuttosto sono l’espressione dell’incapacità di governare la globalizzazione che la stessa politica neo-liberista ha prodotto. Nella seconda si denuncia l’assenza di un’adeguata regolamentazione dei mercati finanziari che, in un contesto di frenetica innovazione finanziaria, ha determinato la fragilità dei mercati stessi. Ma è l’ultima frase che più sorprende: un’accusa precisa ed esplicita alla politica monetaria dell’ex governatore della Federal Reserve (la Banca Centrale USA) Alan Greenspan. Il riferimento è al passato. Ma il tema riguarda come uscire dall’attuale crisi finanziaria perché vi sono due scuole a confronto. La “scuola BRI” (Banca dei Regolamenti Internazionali, ossia la Banca delle Banche Centrali) che annovera tra i suoi adepti principali Bce (Banca centrale europea) e Banca del Giappone. E la “scuola Fed”. LIBRI Quasi il 50% degli operatori che lavorano sul mercato dei futures petrolifero hanno un profilo puramente speculativo, secondo la commissione di controllo Usa che per anni è stata mantenuta nell’oblio Contro la leva nuove regole per derivati e opzioni A partire dal petrolio, dove il mercato dei future è cresciuto di 1.000 volte rispetto agli anni Settanta, si moltiplicano le proposte di riforma. In Italia la Cisl ha preparato una piattaforma che sarà lanciata in autunno. La finanza mondiale in meno di vent’anni ha prodotto un gigantesco castello di carte che rischia di franare ad ogni puntura di spillo: tra derivati e prodotti assicurativi che dovrebbero garandi Andrea Di Stefano tire dai rischi derivanti dal debito delle grandi aziende (i famigerati credit default swap), sono in circolazione almeno 700.000 miliardi di dollari, oltre 10 volte il prodotto interno lordo di tutto il mondo. È arrivato il momento di mettere fine alle dinamiche più perverse, restituendo al regolatore il ruolo fondamentale di argine nei confronti di quella che i più benevoli chiamano “euforia irrazionale” dei mercati e che molto più concretamente sembra essere, a tutti gli effetti, la vera emergenza per il sistema economico mondiale. A | 26 | valori | BBASSIAMO LA LEVA. ANNO 8 N.62 | SETTEMBRE 2008 | Andiamo verso una situazione nuova, caratterizzata da una domanda crescente, persino degli attori più spregiudicati, di nuove regole che siano in grado di ristabilire la fiducia che, a dispetto di quello che si può pensare, è il primo carburante per il mondo finanziario. E nel mirino ci sono soprattutto derivati e opzioni. Dopo anni di oblio la commissione federale Usa, che dovrebbe vigilare sui contratti future, CFTC, sta preparando un rapporto sulle responsabilità di questi prodotti finanziari, nati originariamente per proteggersi dalle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime (energetiche ma non solo), nell’ascesa dei prezzi del petrolio. Un deciso cambio di rotta rispetto alla cultura del libero mercato “capace di autoregolarsi” che per anni ha caratterizzato la CFTC stessa. Le spinte al giro di vite da parte del Congresso e del Senato sembrerebbero in grado di prevalere sulle pressioni condotte in senso contrario dalle lobbies di Wall Street preoccupate da un’eccessiva offensiva regolamentare. La CFTC ribatte sottolineando come l’evoluzione del mercato dei derivati implichi un nuovo impegno da parte dei supervisori. Il mercato dei futures petroliferi è aumentato di 1000 volte rispetto agli anni Settanta ma, nel corso degli ultimi tre decenni, la CFTC ha visto il proprio personale ridursi di pari passo con il suo budget che, nel 2007, ha toccato il minimo storico di 98 milioni di dollari (un decimo di quanto gestito dalla SEC). Lo stesso Wall Street Journal, dopo il crollo delle quotazioni dei future sul petrolio e la fase di ipervolati- lità che ha portato a fluttuazioni giornaliere dei prezzi anche di 6 dollari, ha evidenziato che secondo le nuove analisi gli operatori attivi al Nymex (il mercato delle opzioni di New York) che hanno un profilo eminentemente speculativo rappresentano il 49% di un mercato stimato in 4,78 trilioni di dollari. In Italia anche la Cisl sta ultimando una proposta di riforma dei mercati finanziari che contiene una serie di proposte volte a regolamentare il sistema di derivati e opzioni: dall’obbligo di maggiore trasparenza che permetta di identificare con ragionevole chiarezza la leva finanziaria utilizzata da ogni singolo operatore all’obbligo di deposito in percentuale rispetto al volume nozionale dei contratti siglati. . | ANNO 8 N.62 | SETTEMBRE 2008 | valori | 27 |