Spunti e nuove riflessioni sulla PMA – Edizione

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Spunti e nuove riflessioni sulla PMA – Edizione
Fertilità a 360°? Spunti e nuove riflessioni sulla PMA – Edizione 2016
Responsabile scientifico: Dr Claudio Castello, Responsabile del Centro Fisiopatologia della Riproduzione,
Ospedale Maria Vittoria, Torino
Sanitanova è accreditato dalla Commissione Nazionale ECM (accreditamento n. 12 del 7/2/2013) a fornire
programmi di formazione continua per tutte le professioni.
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ECM.
Data inizio svolgimento: 30/06/2016; ID evento: 12-160288
Modulo 3. Fattore aging in PMA: dalla patient education ai protocolli più
indicati
Autore: dr.ssa Carolina Becattini, Specialista in Ginecologia e Ostetricia con indirizzo Fisiopatologia della
Riproduzione Umana, Responsabile del Centro privato-convenzionato di Procreazione Medicalmente
Assistita Futura Diagnostica Medica PMA, Firenze.
Obiettivi formativi
Al termine del modulo formativo, i discenti dovrebbero essere in grado di:



comprendere l’importanza di una valutazione dell’invecchiamento ovarico;
conoscere i sistemi di valutazione della riserva ovarica;
valutare i migliori protocolli nelle diverse fasce d’età.
Parole chiave: Prevenzione, approccio alla paziente, counselling, fattore età, patient education, protocolli
mirati, social freezing, aneuploidie embrionali.
Introduzione
In questi ultimi anni si è verificato un costante aumento dell’età in cui le coppie ricercano la gravidanza e
questo dato, riscontrato in tutte le casistiche dei paesi occidentali, è legato a diversi fattori tra i quali il più
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importante è l’evoluzione del ruolo della donna nella società moderna che, per esigenze lavorative o ricerca
di stabilità economica e talvolta relazionale, tende a rimandare la ricerca della gravidanza. Da un punto di
vista biologico, però, non c’è stata alcuna evoluzione e, come da tempo dimostrato da numerosi studi
epidemiologici1, la fertilità nella donna raggiunge il suo massimo tra i 20 e i 25 anni per poi diminuire
gradualmente fino a 35 anni. Passata questa età, la diminuzione della fertilità risulta sempre più evidente e
al di sopra dei 40 anni la donna si avvia verso quella fase di progressivo esaurimento della funzionalità
ovarica che si conclude con la menopausa (età media 50 anni) (vedi Figura 1).
Figura 1. Declino del numero di follicoli (linea piena) e aumento del numero di ovociti di scarsa qualità
(linea tratteggiata). Fonte: referenza bibliografica 1
Questi dati sono stati confermati negli anni da numerosi studi epidemiologici che hanno valutato l’effetto
dell’età femminile sul tasso di nascita con concepimento spontaneo; tutti gli studi hanno dimostrato una
diminuzione del tasso di fertilità in relazione con l’età della donna. Lo studio ormai storico, pubblicato da
Menken e coll. nel 1986 sulla rivista Science, aveva mostrato come in diverse popolazioni mondiali e in
diverse epoche storiche il tasso di concepimento si riducesse in modo simile all’aumentare dell’età della
donna2.
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Figura 2. Il tasso di concepimento spontaneo per età femminile - Fonte: referenza bibliografica 2
In queste valutazioni non era considerato il ruolo della componente maschile e come potesse associarsi alla
diminuzione della fertilità ma studi condotti su donne sottoposte a inseminazione con seme di donatore
per azoospermia del partner hanno confermato lo stesso trend di diminuzione dei concepimenti con l’età
della donna3, mostrando un tasso cumulativo di gravidanza in 12 cicli di inseminazione del 73% per donne
al di sotto dei 31 anni versus il 54% in donne al di sopra dei 35 anni.
Epidemiologia
Alla luce delle problematiche suddette, non stupisce il fatto che gli specialisti della Medicina della
Riproduzione si trovino sempre più frequentemente a fronteggiare richieste di assistenza medica per
difficoltà al concepimento in donne > 40 anni.
Un’analisi della casistica del Centro dell’autrice, eseguita nel 2012, ha mostrato un costante aumento
dell’età media delle donne che avevano eseguito trattamenti di PMA sia di I sia di II livello (dai 34,5 anni del
2002 ai 37 del 2011, vedi Figura 3).
38
37
36
Età media INS
35
Età media FIVET
34
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
33
Figura 3. Distribuzione dell’età media femminile suddivisa per tecniche di inseminazione e di fecondazione
in vitro dal 2002 al 2011. Fonte: referenza bibliografica 4
La distribuzione in percentuale nelle 3 classi di età femminile ha mostrato chiaramente quasi un
dimezzamento della fascia di età più “giovane” (al di sotto dei 35 anni), mentre la fascia al di sopra dei 40
anni era praticamente raddoppiata, superando il 30% delle pazienti (vedi Figura 4).
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3
50
45
40
35
30
≤ 34
25
35-39
20
≥ 40
15
10
5
0
2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
Figura 4. Distribuzione delle coppie sottoposte a FIVET per fascia di età (anni 2002 – 2011). Fonte: referenza
bibliografica 4
Questo riscontro “allarmante” di un aumento dell’età femminile delle coppie che si sottopongono a
procedure di PMA in questi ultimi anni ha trovato conferma in tutte le casistiche mondiali. Tuttavia, l’Italia
presenta uno dei valori più alti in Europa, come riportato anche nel Registro Nazionale PMA istituito presso
l’Istituto Superiore di Sanità (età media della donna 36,6 anni; 31% di pazienti con età maggiore o uguale a
40 anni – dati anno 2013) (vedi Figura 5).
Figura 5. Registro Nazionale PMA. Distribuzione dei cicli a fresco per classi di età delle pazienti (anni 20052013). Fonte: referenza bibliografica 5
L’altro fattore altrettanto allarmante è la percezione errata da parte delle pazienti degli effetti dell’età sulla
fertilità; durante la pratica clinica quotidiana accade di trovarsi a “discutere” con pazienti di età riproduttiva
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avanzata sull’impossibilità da parte della medicina della riproduzione di fornire risultati tangibili in queste
fasce di età.
Infatti se da un lato, soprattutto negli ultimi anni, la classe medica ha cominciato a parlare di un’ipofertilità
fisiologica della donna al di sopra dei 35 anni, d’altra parte la stampa generalista riferisce di gravidanze in
donne dello spettacolo ben al di sopra dei 40 anni grazie alla PMA, senza specificare che in questi casi si
possa essere ricorsi a procedure di fecondazione eterologa. Questa comunicazione distorta ha come
conseguenza la creazione nelle coppie, soprattutto over 40, di aspettative sulle tecniche ben al di là delle
reali possibilità di successo.
I risultati delle metodiche di procreazione assistita suddivisi per età femminile nelle principali casistiche
internazionali mostrano come la probabilità di nascita si riduca al di sopra dei 40 anni fino quasi ad azzerarsi
al di sopra dei 44 anni; l’età femminile rappresenta il principale fattore prognostico nelle tecniche di PMA
(vedi Figura 6).
CDC
HFEA
ISS*
39,9
32,8
27,7
26,35
24
29,2
25,8
21
19,5
13,1 12
11,1
3,4 4,4 4,6
< 34 anni
35-39 anni
40-42 anni
> 43 anni
TOTALE
Figura 6. Andamento della probabilità di nascita nelle classi di età femminile per ciclo FIVET-ICSI iniziato
CDC (Center of Disease Control - 2013)
HFEA (Human Fertilisation and Embriology Authority – 2012)
*ISS (2013 - non riporta percentuale di nascita [dati persi al follow up] ma percentuale di gravidanza clinica)
Fonte: referenze bibliografiche 5-7
Ovarian aging: meccanismi biologici
I fattori alla base della diminuzione della fertilità femminile sono molto diversi:


con l’età aumenta il rischio di patologie ginecologiche che possono diminuire la fertilità (es. fibromi,
endometriosi, patologia flogistica);
per tutte le donne l’invecchiamento ovocitario (ovarian aging) aumenta con l’età della donna.
Si analizzano ora quali siano i principali meccanismi biologici alla base dell’ovarian aging.
Il numero di ovociti e follicoli a disposizione per ciascun feto femmina è determinato nella vita
intrauterina e non può essere in alcun modo implementato nel corso della vita8-10. Questo numero subisce
un depapeuramento costante secondo una curva esponenziale dal 2° trimestre di vita intrauterina fino alla
menopausa; in media si verifica:
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5





a 16-20 settimane di gravidanza circa 6-7 milioni di oogoni;
alla nascita circa 1-2 milioni di ovociti;
alla pubertà circa 300-500.000 ovociti;
a 35-38 anni circa 25.000 ovociti;
alla menopausa meno di 1000 follicoli.
Nei quarant’anni di vita riproduttiva circa 500 ovociti giungono all’ovulazione.
L’altro fattore implicato nell’ovarian aging è la qualità degli ovociti, che fa riferimento alla loro competenza
biologica (cioè alla loro capacità di essere fertilizzati e di sviluppare un embrione competente).
Gli ovociti pronti per l’ovulazione devono avere la giusta morfologia e qualità citoplasmatica e genetica; un
fattore fondamentale è inoltre rappresentato dalla disposizione del fuso mitotico che appare diversa in
base alla qualità degli ovociti e che, quando non appare regolare, può favorire la disgiunzione anomala dei
cromosomi.
In pratica, con l’avanzare dell’età femminile peggiora la capacità ovarica di produrre ovociti (diminuita
riserva ovarica) e la qualità degli ovociti stessi, da un punto di vista non solo genetico (aumento di errori di
disgiunzione cromosomica) ma anche metabolico. La Figura 7 mostra come, all’aumento progressivo
dell’età femminile, corrisponda un aumento del rischio di errori di disgiunzione cromosomica per
alterazioni del fuso mitotico.
a) Chromosomally Normal Egg
from a woman in her 20's
Chromosomes line up straight on
spindle
b) Chromosomally Abnormal Egg
from a woman in her early 40's
Chromosomes line up erratically
Figura 7. Disposizione del fuso mitotico in ovocita di donna giovane (a) e donna di 40 anni (b)
Fonte: referenza bibliografica 11
Studi più recenti, eseguiti su cicli di fecondazione in vitro con screening genetico delle blastocisti, hanno
confermato come il tasso di nati vivi in caso di transfer di embrione euploide (ovvero cromosomicamente
corretto) subisca solo un minimo decremento all’aumentare dell’età femminile, suggerendo che l’ovarian
aging impatti negativamente sulla percentuale di blastocisti euploidi ottenibili12. Questo dato suggerisce,
inoltre, che la qualità citoplasmatica dell’ovocita incida negativamente sulla competenza biologica
ovocitaria, soprattutto a causa dell’alterazione della disposizione del fuso mitotico, anche se sicuramente
sono presenti altri fattori. Tra questi la diminuzione della produzione energetica mitocondriale correlata
con l’età sembra essere un fattore che possa influenzare la qualità citoplasmatica; in studi su animali la
somministrazione di coenzima Q10 (un componente essenziale nella produzione energetica cellulare)
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agisce infatti sulla qualità del fuso mitotico e sull’energia disponibile per la divisione cellulare e per le altre
funzioni13. L’impiego clinico del coenzima Q10 tuttavia è ancora da studiare.
Anche il livello di androgeni intraovarici sembra poter essere implicato nella crescita dei follicoli antrali e
delle cellule della granulosa e sembra correlare negativamente con il tasso di apoptosi delle cellule della
granulosa (tutti fattori che possono alterare la competenza ovocitaria); l’impiego di androgeni nelle pazienti
di età avanzata è una strategia per cercare di migliorare la risposta ovarica, anche se le evidenze
scientifiche al momento sono ancora controverse14.
Alla luce di quanto detto, emerge chiaramente come i meccanismi biologici di ovarian aging siano
molteplici e ancora da studiare; tuttavia l’aumento delle aneuploidie ovocitarie ed embrionali rimane a oggi
il principale fattore determinante sui risultati delle tecniche di PMA. Infatti con l’età della donna aumenta il
numero di aneuploidie dei cromosomi, come confermato in diversi studi di preimplantation genetic
screening (PGS)15-17; ciò potrebbe spiegare anche l’aumento del tasso di aborto e di aneuploidie nei
concepimenti naturali all’aumentare dell’età femminile18.
Lo stesso trend viene confermato nelle casistiche che valutano i concepimenti assistiti con tecniche di PMA
dove si evidenzia un tasso di aborto del 22% al di sotto dei 33 anni e del 63% al di sopra dei 42 anni19.
A oggi, l’unica strategia per contrastare gli effetti dell’età sulla qualità ovocitaria è rappresentata dalla
conservazione dei propri ovociti mediante vitrificazione, il cosiddetto “social freezing”. È importante
sottolineare che i fattori determinanti per l’efficacia di questa tecnica sono il numero di ovociti conservati e
l’età alla quale viene eseguito il congelamento (che dovrebbe essere inferiore ai 35 anni). Tuttavia le
evidenze scientifiche sull’efficacia del social freezing sono ancora da confermare, soprattutto in relazione
alla durata della conservazione e ai risultati ottenibili al momento dello scongelamento20.
La riserva ovarica
Fattori variabili da paziente a paziente influenzano questo scenario, quali la presenza di patologie
ginecologiche aggiuntive e lo stato della riserva ovarica; con i moderni test è possibile determinare per
ciascuna paziente lo stato della riserva ovarica, eseguendo il dosaggio dell’ormone antimulleriano (che ha
ormai soppiantato la valutazione di FSH ed LH nella fase follicolare precoce del ciclo) associato alla conta
ecografica transvaginale dei follicoli antrali del diametro tra i 2 e i 10 mm.
La valutazione della riserva ovarica ha un ruolo fondamentale nella fase di inquadramento della paziente di
età avanzata, dal momento che diversi gruppi di ricerca hanno correlato l’esito del ciclo di PMA non solo
all’età della donna ma anche al numero di ovociti recuperati e in queste casistiche il numero ottimale di
ovociti è compresa tra 10 e 1421,22.
Il lavoro di Sunkara e coll. nel 2011 ha fornito, su ampia casistica, un normogramma che correla l’età
femminile e il numero di ovociti recuperati con il tasso di nascita da tecniche di FIVET-ICSI; come si
evidenzia nelle due figure seguenti (vedi Figure 8 e 9) l’associazione tra età della donna ≥ 40 anni e il
numero di ovociti < 5 rappresenta un fattore critico per la probabilità di nascita. Infatti se un ridotto
numero di ovociti rappresenta un parametro prognostico negativo di per sé, è indubbio che l’associazione
con una età femminile superiore ai 38 anni e ancora di più superiore ai 40 anni incrementa in maniera
sostanziale questa associazione negativa. Ad esempio, 4 ovociti a 38-39 anni forniscono una stima di
probabilità di nascita del 15%, che diventa però 8% al di sopra dei 40 anni.
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Figura 8. Associazione tra numero di ovociti e tasso di nascita
Figura 9. Normogramma per calcolare la probabilità di nascita in base all’età materna e al numero di ovociti
Fonte: referenza bibliografica 22
In pratica, se all’età femminile si aggiunge una diminuzione del numero di ovociti prodotti, la probabilità di
nascita diminuisce fino a rendere inutile il ricorso alla tecnica di PMA. Emerge di conseguenza la necessità
di caratterizzare il prima possibile la coppia che sta cercando la gravidanza, per indirizzarla verso la PMA nei
tempi e nei modi corretti, informando le coppie sull’impatto dell’età sul potenziale riproduttivo,
individuando possibili fattori di rischio per patologie che influenzano negativamente la fertilità sia
femminile (endometriosi, fibromi, esiti flogistici) sia maschile (criptorchidismo, varicocele, disordini
sessuali) e caratterizzando gli altri fattori prognostici all’interno della coppia, quali la riserva ovarica.
Il protocollo di stimolazione
Considerato quanto appena descritto, diventa fondamentale cercare di ottimizzare il numero di ovociti
prodotti: da qui l’importanza di una corretta scelta del protocollo di stimolazione ovarica.
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La scelta del protocollo di stimolazione più adeguato deve tenere conto della “tipologia della paziente”, che
presuppone una corretta valutazione effettuata durante la fase diagnostica, in quanto la riposta al
trattamento potrebbe risultare diversa da paziente a paziente.
Questa valutazione si basa su diversi parametri che sono:
 stato della riserva ovarica (da valutare tramite dosaggio dell’AMH e conta dei follicoli antrali);
 età: la risposta alla stimolazione si riduce progressivamente a partire da 35-37 anni;
 eventuali interventi di chirurgia ovarica (estesa resezione, ovariectomia monolaterale);
 presenza di endometriosi ovarica;
 modalità di risposta a precedenti cicli di stimolazione ovarica controllata (Controlled ovarian
hyperstimulation, COH);
 BMI.
I farmaci più utilizzati per l’induzione della superovulazione sono le gonadotropine. Alcuni autori impiegano
anche il citrato di clomifene (da solo o in associazione alle gonadotropine) per il suo costo ridotto. In realtà
l’utilizzo del clomifene per indurre la COH è ancora controverso per il suo possibile impatto negativo sul
muco cervicale e sulla qualità endometriale.
In merito alla tipologia di gonadotropina, negli ultimi anni sono stati pubblicati diversi lavori che hanno
dimostrato un miglioramento degli outcome clinici nei protocolli in cui veniva utilizzato LH ricombinante in
aggiunta all’ FSH ricombinante nelle pazienti a bassa prognosi, dovuta all’età avanzata24 o alla ridotta
riserva ovarica25.
In merito infine al tipo di protocollo di soppressione, la paziente over 40 spesso presenta problematiche di
riserva ovarica ridotta e, come ampiamente dimostrato, non esiste un protocollo che fornisce risultati
superiori ad altri in queste tipologie di pazienti25. Lo scopo principale della stimolazione rimane la
produzione del maggiore numero possibile di ovociti di buona qualità ed è importante anche ottimizzare la
compliance della paziente al trattamento, privilegiando protocolli corti.
Secondo l’esperienza del centro dell’autrice, infatti, la personalizzazione del protocollo rappresenta un
momento fondamentale per ottimizzare la risposta ovarica: è possibile utilizzare diverse strategie anche
nella fase di preparazione, che vanno dall’impiego dei contraccettivi orali agli estrogeni dalla fase luteale
precedente fino alla partenza su ciclo naturale; a oggi nessuno di questi “protocolli di sincronizzazione” è
risultato superiore in termini di risultati clinici26.
La letteratura ha fornito invece in questi ultimi anni importanti strumenti per personalizzare il dosaggio di
gonadotropine basandosi sui valori basali di AMH e sulla conta dei follicoli antrali, come ad esempio il
normogramma pubblicato da La Marca e Sunkara nel 2014, che era già stato proposto dal gruppo
statunitense di Nelson nel 201321,22,27.
Proprio il normogramma di Nelson è stato modificato sui valori di riferimenti della popolazione afferente al
Centro dell’autrice (vedi Figura 10), per prevedere la risposta ovarica e conseguentemente il protocollo di
stimolazione ovarica consigliato. Il riferimento dell’AMH è basato sulla modalità di dosaggio del laboratorio
di riferimento; in caso di AMH eseguito presso laboratorio esterno, secondo l’esperienza dell’autrice è
consigliabile privilegiare la conta dei follicoli antrali.
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Figura 10. Normogramma per la scelta del protocollo di stimolazione e dosaggio gonadotropina in uso
presso il Centro Futura Diagnostica Medica PMA
Allo scopo di aumentare la produzione di ovociti, è stato proposto anche di ripetere la stimolazione ovarica
nello stesso ciclo ovulatorio, iniziando un secondo ciclo di stimolazione nella fase luteale (ovvero pochi
giorni dopo il prelievo ovocitario), dal momento che recenti evidenze hanno mostrato che il ciclo ovarico è
caratterizzato da ondate di reclutamento follicolare e che questo processo non avviene solo in fase
follicolare precoce. Questo tipo di protocollo, denominato “dual stim/duo stim”, in studi pilota28 ha
mostrato di poter fornire un numero aumentato di ovociti riducendo il tempo di attesa per la paziente;
inoltre, sebbene la stimolazione luteale non abbia fornito risultati migliori rispetto a quella follicolare
classica, questa “doppia stimolazione” può rappresentare una risorsa aggiuntiva soprattutto per le pazienti
con problematiche di bassa risposta29.
Iter terapeutico
Il punto di partenza è eseguire un corretto counseling e, in caso di donne di 40 anni che stanno cercando la
gravidanza, l’iter diagnostico deve essere iniziato in maniera molto precoce (dopo 3 mesi di rapporti liberi
senza concepimento secondo le linee guida americane30).
Più discusso è quale trattamento consigliare alla paziente di età uguale o superiore a 40 anni, dal momento
che i risultati sono comunque ridotti anche con i trattamenti teoricamente più efficaci, come la
fecondazione in vitro.
Nel 2014 uno studio randomizzato statunitense ha evidenziato come l’esecuzione immediata di
fecondazione in vitro consentisse di ottenere delle percentuali di successo maggiori rispetto a un approccio
graduale con primo step di 3 cicli di IUI con stimolazione ovarica controllata con gonadotropine (COH) e in
un secondo step la FIVET31. Nel gruppo di pazienti sottoposte a cicli di inseminazione con COH, infatti, la
percentuale di nato vivo per ciclo di IUI è risultata del 6,6% versus un 15,6% per ciclo di FIVET.
Questi dati confermano le probabilità di successo riscontrate nelle varie casistiche in questa fascia di età e
spingono a velocizzare il passaggio alla FIVET; spinge verso questo approccio anche l’ulteriore diminuzione
dei risultati in relazione all’età femminile soprattutto al di sopra dei 42 anni, diminuzione che arriva a
rendere il percorso praticamente inutile.
Rimane da sottolineare il fatto che, anche in questo contesto clinico, la personalizzazione dell’iter
terapeutico rappresenta un passaggio fondamentale; infatti la riserva ovarica della paziente modifica in
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maniera sostanziale la percentuale di successo della FIVET, fino a renderla meno competitiva rispetto alla
IUI, e deve essere presa in considerazione l’eventuale presenza di problematiche maschili, sempre più
indagate soprattutto negli ultimi anni.
È importante spiegare bene alla coppia quindi le differenze nei due percorsi soprattutto in riferimento alla
procedura, ai rischi e ai costi economici, in modo da permettere una scelta consapevole e informata.
Negli ultimi anni, la possibilità di eseguire la valutazione genetica per aneuploidie su blastocisti (PGD-A), ha
migliorato la probabilità di impianto nelle donne al di sopra dei 40 anni32, riducendo in parallelo anche il
rischio di aborto e “azzerando” il fattore età, come riassunto nella Figura 11. In pratica, in cicli con
trasferimento di embrioni euploidi l’implantation rate non mostra più le differenze riscontrate in cicli
standard in base all’età femminile33.
Figura 11. Tassi di impianto dopo trasferimento di embrioni euplodi in funzione dell’età materna
Fonte: referenza bibliografica 32
Anche in questo percorso, secondo l’esperienza dell’autrice, è fondamentale eseguire un corretto
counselling con la coppia, dal momento che in oltre la metà dei cicli iniziati non si arriva al trasferimento
embrionario per assenza di embrioni trasferibili. La probabilità di successo rispetto ai cicli iniziati non
differisce rispetto ai trattamenti di FIVET “classici”; tuttavia la diminuzione dell’abortività e la selezione
dell’embrione con le migliori probabilità di impianto rappresentano due fattori fondamentali per
ottimizzare il tempo di ottenimento della gravidanza (il cosiddetto “time to pregnancy”), con conseguente
riduzione dello stress emotivo per la coppia (diminuzione dei fallimenti di impianto e di eventuali
gravidanze non evolutive).
Conclusioni
Le ricerche effettuate dalla medicina della riproduzione hanno fornito gli strumenti per comprendere il
progressivo declino della fertilità, determinato dall’ovarian aging. Tuttavia l’evoluzione sociale del ruolo
della donna ha spinto a rimandare l’età di ricerca della gravidanza con conseguente aumento dei casi di
infertilità per ovarian aging.
Un corretto counseling deve obbligatoriamente indirizzare in maniera tempestiva le pazienti alla ricerca
della soluzione più appropriata, tenendo in considerazione i vari fattori implicati in questo complesso
fenomeno biologico di ovarian aging.
La classe medica ha la responsabilità di fornire il più possibile informazioni corrette ai propri pazienti sulle
reali potenzialità riproduttive naturali ma soprattutto assistite, perché il falso mito che la PMA risolva tutto
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nel 2016 non è più giustificabile a meno che non si voglia ricorrere sempre di più alla fecondazione
eterologa.
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Questionario ECM
1. La percentuale di donne di età uguale o superiore ai 40 anni sottoposte a trattamenti di PMA di II livello
in Italia nel 2013 (dati del Registro Nazionale PMA) è stata del:
A) 10% circa
B) 15% circa
C) 30% circa
D) 50% circa
2. Quale delle seguenti affermazioni meglio descrive la diminuzione della fertilità con l’età femminile:
A) il tasso di atresia ovocitaria aumenta in maniera significativa sopra i 35 anni
B) le aneuploidie non si verificano negli ovociti al di sotto dei 35 anni di età
C) la diminuzione dell’attività sessuale con l’età rappresenta il maggior fattore sulla infertilità
D) con l’aumentare dell’età femminile si determina una diminuzione del numero e della qualità
ovocitaria
3. Gli studi eseguiti su donne che si sottopongono a cicli FIVET hanno evidenziato che la percentuale di
gravidanza:
A) comincia a diminuire dopo i 40 anni
B) diminuisce progressivamente all’aumentare dell’età femminile
C) diminuisce nelle donne che ricevono ovociti da donatrice
D) diminuisce soltanto nelle donne che si sono sottoposte a chemioterapia
4. Il declino della fertilità con l’età femminile è accompagnato da:
A) aumento del tasso di aneuploidie e di aborto
B) diminuzione del tasso di aneuploidie e di aborto
C) aumento del tasso di aneuploidie e diminuzione del tasso di aborto
D) diminuzione del tasso di aneuploidie e aumento del tasso di aborto
5. La percentuale di nascita da tecniche di PMA di II livello nelle donne di età uguale o superiore ai 40 anni
nelle varie casistiche internazionali è del:
A) 10 – 15%
B) 5 - 10%
C) 20 - 25%
D) 25 – 30%
6. La ridotta riserva ovarica è definita come:
A. riduzione del numero e della qualità dei follicoli antrali ovarici
B. riduzione del numero dei follicoli antrali ovarici
C. riduzione del volume delle ovaie
D. riduzione della qualità dei follicoli antrali ovarici
7. Quali sono i marker più “ moderni” per la valutazione della riserva ovarica?
A. AMH e Inibina B
B. AMH e AFC
C. FSH e AFC
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D. solo FSH
8. Una paziente di 40 anni con rapporti liberi da 3 mesi senza successo con partner maschile e con un
figlio da precedente relazione; quale consiglio dareste alla coppia?
A) iniziare subito un percorso diagnostico di infertilità
B) continuare a provare ancora per 6 mesi e poi iniziare iter diagnostico
C) continuare a provare ancora per 1 anno e poi iniziare iter diagnostico
D) inviare il marito da un specialista per una visita
9. Giunge alla vostra osservazione una paziente di 41 anni con rapporti liberi da 2 anni senza successo con
partner maschile lievemente oligo-astenospermico e AMH 1,5 ng/ml; quale consiglio dareste alla
coppia?
A) iniziare subito un percorso di fecondazione in vitro per le maggiori probabilità di successo
B) percorso graduale con 3 cicli di IUI e poi FIVET in caso di insuccesso
C) fecondazione in vitro con ovociti donati
D) stimolazione ovarica con citrato di clomifene per almeno 3 cicli
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