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01 cover e quartanew
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L’ O S S E R V A T O R I O I N T E R N A Z I O N A L E S U L L E T E N D E N Z E D E L R E T A I L E D E I C O N S U M I
a cura di Thomas Bialas
numero_cinque
i Radical
Imprese estreme
4
Radical less
Privazioni estreme
6
Radical food-fiction
Innovazioni estreme
8
Radical cheap
Convenienze estreme
10
Radical items
Esempi estremi
12
Radical risk
Eventi estremi
14
Progetto grafico Walter Tinelli
2
Via Brescia 53/65 Cernusco s/Naviglio
Radical Future
Scenari estremi
Stampa Rotolito Lombarda
Direttore Responsabile Luigi Rubinelli
I CONTENUTI
Alla radice
delle tendenze
02e03n
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global update
Radical Future
Scenari estremi
Tolto il dente tolto il male. Delle decisioni
difficili. Ma così non funziona.
È come un eco. Lo sentiamo quotidianamente.
Così le cose non vanno. Così le cose non
funzionano. Così non si può andare avanti.
C’è bisogno di innovazioni definitive, vere.
Di cambiamenti radicali. Ma attenzione a non
confondere. Radicale non è sinonimo di
estremismo. Stereotipo assai diffuso. Ma anzi,
il suo esatto contrario. Chi è estremo va
all’estremità e si allontana dal problema e
quindi dalla soluzione. Chi è radicale va in
profondità e trova la radice della questione.
È tutto molto semplice. Radicale, radix, radice.
Chiedetelo al vostro dentista come si
ricostruisce un dente e dunque un futuro.
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Racconti estremi
01
Possibilità estreme
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Ci crediamo tutti perché ce lo raccontano così bene. Cosa? Il
futuro. Chi? Coloro che lo forzano. Il Secolo Biotech, Rifkin,
l’uomo oltre l’uomo. Le conseguenze della rivoluzione
biotecnologica, di Fukuyama, Pictures of the Future, rivista di
scenari tecnologici della Siemens, ma anche Focus, Quark, La
Macchina del Tempo e Jack. Tutti con un unico obiettivo:
raccontare un futuro già scritto. Oggi il futuro appartiene a chi
racconta le migliori storie. Le visioni estreme indirizzano e
seducono ricercatori, imprese, investitori, politici e consumatori.
Anche perché siamo di fronte a un cambiamento epocale nella
fruizione della conoscenza. La percezione dello sviluppo
scientifico e tecnologico non proviene più da scuola, università o
circoli culturali ma in prima istanza dai media.
Il confine fa scienza e finzione si è dissolto.
Le storie che circolano di tecnologia, economia, società e
comportamenti umani di domani hanno una funzione virale che
contamina e si autoreplica nella mente delle persone. La sciencefiction diventa un programma sostenibile. I Ceo della imprese
multinazionali si presentano volentieri come portavoce e visionari
di un futuro estremamente diverso (vedi Vodafone).
Come sottolinea lo scenario Radical Trends Guide (Rüschlikon,
2004) le imprese non possono più permettersi di sottovalutare
un futuro radicalmente imprevedibile.
Passare i confini. Simbolicamente il progetto più estremo viene da
Giappone. XSEED4000: più che un grattacielo, una città verticale
alta 4 mila metri, in pratica come il Monte Bianco.
Ologrammi di parenti, macchine per sognare, internet integrato nel
cervello, scanner nella pattumiera, frigoriferi intelligenti, scarpe
pensanti, cibi interattivi, cure online e la cosiddetta medicina
genetica predittiva. Niente è più impossibile e tutto sa di
cambiamento possibile. Manipolare il futuro alla radici è il gioco non
dichiarato dei radical trends. Un’ottimo esempio è l’Rfid. Il
potenziale erede del codice a barre domina nel retail ogni tipo di
dibattito sull’innovazione tecnologica. Le possibili applicazioni sono,
o dovrebbero, essere infinite, garantiscono i visionari dell’IT. In
realtà, fa notare uno studio del GDI (think tank svizzero di scenari),
gli aspetti critici sono tantissimi e le potenzialità ampiamente
sopravvalutate. Euforia e aspettative pericolosamente estreme,
dunque. Non a caso il contrasto tra inefficienza quotidiana (vedere
treni dei pendolari) e futuro tecnologico si fa sempre più radicale.
Un contrasto che l’epistemologo John Horgan
ha già anticipato nel 1996 con il saggio “The End of Science”.
L’inizio della fine del “Homo S@piens”?
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apple
update
i Radical
Imprese estreme
Chi è radicale
può cambiare il mondo
se ciò non è possibile
allora se ne crea uno nuovo
Questa la mission iPossible
di Steven Jobs,
fondatore Apple
e profeta
di Silicon Valley
Tutto il mondo dell’informatica può andare a
farsi fottere. Così pare che replicasse in
passato a chi gli faceva presente che non
poteva sfidare i colossi come IBM, HewlettPackard o Microsoft. Asociale e radicale. Fu
silurato dalla Apple nel 1985 con l’esplicita
motivazione : “il suo estremismo danneggia
l’azienda”. Ma dopo 10 anni e passa di
isolamento il ragazzo terribile tornò nel 1997
alla guida della mela che non demorde per
ri-diffondere il suo verbo o modello
d’impresa: o la va o la spacca. Niente
mezze misure. iMac, iBook, iPod, iTunes.
Innovazioni che, ieri come oggi, fanno presa
sull’immaginario collettivo, anche se spesso
di nicchia. Ma di quelle che contano.
“A Hollywood Steve è un mito” racconta
Paul Saffo, fondatore dell’Institute for the
Future. E anche il mondo dei media non è
da meno. Giornalisti, pubblicitari e p.r., da
sempre fedelissimi utenti e “portavoce”, lo
difendono radicalmente e contribuiscono a
mantenere vivo il mito. Un mito che non
teme paragoni.
Slalom parallelo: Bill Gates viene
perseguitato (dagli hackers, virus e
antitrust), Steven Jobs viene adorato (dai
fedeli fans e ossequiosi media per i quali è
un intoccabile); Gates possiede moltissimo
denaro, Jobs moltissimi lupetti neri (circa
5.000), Gates è un gelido calcolatore, Jobs
un focoso imbonitore, Gates vende logiche
soluzioni, Jobs magiche illusioni. Tipi
radicalmente diversi. Davide contro Golia.
E poco importa se la Apple è rinata anche
grazie ai soldi e alla partnership del tanto
“odiato” Bill Gates. Ma questa è un’altra
storia.
Biografia estrema
01
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Innovazioni estreme
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Radical status symbol. Genialmente esile e asciutto nella linea,
grande più o meno come un pacchetto di sigarette l’iPod è stato il
blockbuster tecnologico dell’anno. Lo stilista Karl Lagerfeld ne
possiede ben 22 (ricordate gli orologi Swatch?) tant’è che la
stampa lo ha ribattezzato “monsiuer iPod”. Una mania che ha
contagiato tutti: solo negli ultimi tre mesi sono stati venduti 4,5
milioni di lettori Mp3 iPod. Radical legal. Mentre le case
discografiche litigavano sugli effetti
della pirateria Steven Jobs è andato
alla radice del problema: “volete
scaricare in modo semplice,
conveniente e legale la
musica dalla rete? ecco
iTunes”. Il music store
online della Apple vende
oramai quasi 1.000
canzoni al minuto. In
pratica il 70% del mercato
delle canzoni scaricate
legalmente da Internet è in
mano all’azienda di
Cupertino. Radikal cheap.
L’ultimo azzardo di casa
Apple. Un computer minuscolo
grande più o meno come una
scatola di cioccolatini, senza
tastiera, mouse e schermo che
costa meno di 500 dollari. Per molti
autorevoli opinionisti il mini Mac sarà un
radical flop e la mela morsicata andrà a male
perché nessuno comprerà mai un computer
senza mouse, tastiera e schermo. Ancora una volta: o la va o la
spacca.Radical space. L’altra fissa di Steven Jobs è di ridurre il
computer alla pura essenza, fino a quasi farlo scomparire. Lo
scorso anno la terza generazione iMac ha fatto sparire il significato
di hard disk schiacciato nel modesto spessore dello schermo
bianco. Un monitor computer. Certo sono innovazioni che tutti
possono replicare, eccetto una: la Apple ha il monopolio assoluto
dell’elemento più difficile da copiare dai concorrenti:
essere radical cool. Un plus leggero come l’aria.
Misticismo estremo
03
Non è tanto questione di design o di
presunte innovazioni. C’è dell’altro.
Umberto Eco in modo semplice ma
sinteticamente acuto ha scritto “con
Steven Jobs la tecnologia si è fusa
con la religione”. Una storia dunque di
discepoli, di apostoli e di un
messia che ha una
missione divina da
compiere. Si prega
di non ridere. È tutto
radicalmente vero.
Nel 1997 l’osannata
rivista Wired dedicò la storia
di copertina al frutto proibito
informatico con tanto di aureola
celestiale e il titolo secco
“pregate” (per la rinascita della
Apple). Un alone di
misticismo e
soprattutto
fidelizzazione qui
intesa come fede.
Gli stessi Apple
Store più che dei
negozi sono dei
santuari candidamente
e biancamente
immacolati.
Gli utenti della mela, spesso
fricchettoni creativi ex radical chic
con la puzza sotto il naso, amano questa radicale
diversità (dai tempi del posizionamento think
different), questo appartenere a una setta quasi
esoterica, dove conta la suggestione e non tanto la
ragione. Facile prendere in giro questo fanatismo.
Meno facile imitare questa alchimia che seduce il
consumatore alla radice. Ci riescono in pochi, per
esempio Harley-Davidson classificabile come
discepolo o forse co-messia.
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simplify update
Radical less
Privazioni estreme
O da una parte o dall’altra.
Oramai ci sono due classi
ben distinte con esigenze
altrettanto distinte.
I consumatori con molto
denaro ma senza tempo
e i consumatori con molto
tempo ma senza denaro.
I primi vogliono una vita
senza attese, i secondi
subiscono una vita
senza pretese.
Premium o discount.
Radicale ma vero.
Consumi decaffeinati. In fondo è
questo quello che il
consumatore oggi chiede.
Come dire: la sostanza senza
la sostanza. Capostipite
dell’esaltazione della sottrazione
è il supermercato e i relativi
prodotti alimentari. Caffè senza
caffeina, panna e yogurt senza
grassi, birra senza alcol, caramelle
senza zucchero, formaggi senza
additivi, té senza teina, cracker senza
colesterolo, piatti pronti senza cottura, acqua
minerale senza sodio ma anche sali minerali
senza acqua, creme senza profumo, frutta senza
trattamenti ma anche vitamine senza frutta, e
perfino sale senza sale e zucchero senza zucchero.
E poi ancora prodotti senza sfruttamento (vedi equo
solidale), senza conservanti, senza coloranti, senza
calorie, senza ogm, e ovviamente le numerose diete
che sono sempre senza qualcosa. E infine passando
alla quattro ruote nuovi modelli senza anticipi e
senza rate. Banalmente ovvio e risaputo? Forse
sì. Ma questo è solo l’inizio del less is more …
business (vedere il boom del low carb food
negli Stati Uniti).
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!!!
Consumatore
senza profilo
Non dico quello che penso,
non penso quello che sento,
non sento quello che faccio
e soprattutto non compro
quello che dovrei
Saturazione. Less is more. Nel mondo
occidentale il consumatore medio ha in casa
circa 15 mila oggetti. Senza si vive forse
meglio, confessano le famiglie agli istituti di
ricerca. Stress da scaffale: 777.350.000 mq di
superficie di vendita in Usa e 180.600.000 in
Europa. La complessità frena il consumo? “Non
compro niente prima di comprare qualcosa di
sbagliato” si sfoga una casalinga in un
sondaggio della rivista Focus. Privazioni
estreme. La storia o meglio il trend è ormai
vecchio: bisogna semplificare e ridurre. Già detto e scritto
più volte su questa testata. Ma a ben guardare le aziende
italiane non ci sentono ancora abbastanza da
quest’orecchio. Eppure che gli esempi, anche recenti, non
mancano. La Philips ha appena investito 80 milioni di euro
nella nuova filosofia aziendale battezzata “Sense e simplicity”.
Sense come soluzioni sensate ed essenziali e simplicity come
tecnologie con pochi fronzoli, ovvero senza inutili accessori.
Ma il più radical less, almeno fra i retailer, è sicuramente Aldi
che opera senza comunicazione, senza staff, senza
ricerche di mercato, senza budgeting, senza Iso
9000, senza relazioni esterne, senza consulenti e
senza inutili tecnologie. Eppure è senza veri
concorrenti. Ma attenzione a non esagerare
con i senza. Come diceva Albert Einstein,
“rendete tutto il più semplice possibile,
ma non più semplice”.
Senza se e senza ma. Questo
ritornello della sinistra radicale
ci dice già qualcosa. In una
parola un destino. La nostra
economia è senza prospettive,
titolano molti quotidiani.
Dobbiamo arrangiarci senza,
ammettono sconsolati molti
consumatori. L’ Europa è
ormai senza radici,
ammonisce il cardinale
Ratzinger. Il mercato è senza
barriere, gridano le aziende
tessili del veneto. Viviamo
senza orari e senza privacy. La
stessa lotta all’inquinamento
delle auto è partita
ideologicamente in questo
universo-senza: benzina senza
piombo. E che dire del
business moralmente
corretto? È non profit, ossia
senza profitto. Le coppie
sono soprattutto senza figli.
E dopo il sesso senza figli
arrivano i figli senza sesso.
Sullo storico slogan della Rai
“di tutto, di più” della società
opulenta cala il sipario del “di
meno, di niente”. Per decenni
ci siamo ingozzati come delle
oche e sommerso il mercato
fino a farlo affogare. Ora
pretendiamo qualcosa di
radicalmente diverso. Per
esempio una vita senza
morte.
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vision
update
Radical food-fiction
Innovazioni estreme
Occupiamoci solo degli eccessi, giacché più di tanto non si può bere, e quindi vendere, per pura fisiologica sete. L’idea è semplice:
aumentare radicalmente l’ebbrezza, l’euforia, l’eccitazione, le prestazioni o lo stato di veglia. Perché se giochiamo a carte scoperte è
questo il trend: alcolizzare sostanza ed esistenza con ogni mezzo. Tra l’altro con un indiscutibile vantaggio. L’alcol fa venire sete e il
cerchio si chiude per il business del beverage. Sul mercato da fine gennaio la B (e), l’innovativa bevanda della Anheuser-Bush, va già
ben oltre le varie bibite energetiche tipo Red Bull. B come Budweiser E come extra, come eccesso. È birra che non sa di birra, è
bevanda fruttata che non sa di sciroppo. Per esagerare dentro c’è caffeina, ginseng, guaranà e ovviamente alcol (6,6%). Per una vita
esagerata, di quelle che non dormi mai. “La più grande svolta scientifica del secolo o l’inizio della fine dell’era della civilizzazione” si
chiede il Washington Post? Ancora più estremo il primo ready to drink solubile. Subyou è stordimento istantaneo in bustina, polvere
con gradazione alcolica del 4,8%., drink ai gusti trendy di Tropical White Rum“ e Blackberry Vodka“, ma soprattutto bevanda non
bevanda che si infila in un vuoto legislativo. Anche i bambini possono comprarla e consumarla. Fino a legge contraria. Da adolescenza
ad alcolescenza? Intanto Tony Blair ha detto sì alla proposta di estendere a 24 ore al giorno la vendita di alcolici. Molto dionisiaco. Ma
Nieztsche non beveva. Chiaramente non tutti stanno a guardare e le aziende si muovono sempre sul filo del rasoio. Le bevande gasate,
come d’altronde il cibo spazzatura, sono nel mirino di nutrizionisti, dietologi, medici e autorità pubbliche. Nel caso poi dell’alcol le
battaglie diventano ancora più aspre, soprattutto oltreoceano (patria delle tendenze a venire). Sono appena partite in Usa ben cinque
class-action (cause collettive) contro le industrie del beverage colpevoli secondo i consumatori di incoraggiare l’uso dell’alcol nei
giovanissimi e di disimulare il gusto alcolico con sapienti mix (additati per esempio Smirnoff Ice e Mike’s Hard Lemonade). E se
proprio volete puntare su qualcosa di più leggero, per esempio l’acqua, beh allora almeno con delle strategie radicalmente “invasive”.
Schoolwater è un ottimo esempio. Distributore automatico di acqua minerale messo gratuitamente a disposizione delle scuole con
tanto di schermo per spot pubblicitari, porta depliant e bottiglie con logo dello sponsor.
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In futuro il cibo sarà un quasi inutile accessorio. Un appendice dell’esistenza. Emanciparsi da alimentazione e digestione è la sfida
finale. Somministrazione essenziale per via endovenosa e stimolazione sensoriale per via neurale. Il leggero piacere del gusto liberato
dal peso dell’alimento. La vera innovazione del food è quindi il non food? Ma procediamo con ordine. Radicalizzare significa
rivoluzionare il cibo alla radice. Food design, gen food, cyber food. Le definizioni si sprecano ma la sostanza non cambia, o più
esattamente cambia radicalmente. “La scienza alimentare è nel pieno di una rivoluzione senza precedenti” afferma eccitato Jozef
Kokini, direttore del Center for Advanced Food Technology di New Jersey. L’era nanotecnogenetica annuncia radicali cambiamenti: il
cibo diventa modulare, astratto e accessoriato di funzioni o optional che trascendono il modello base previsto dalla “creazione”. Per
esempio il nutrizionismo genetico che studia le possibili interazioni dei cibi con i geni di ciascuno e che promette screening
personalizzati e universali per sapere cosa e bene mangiare o evitare. Oppure la nanotecnologia spinta che almeno in teoria consente
di riprodurre “artificialmente” qualunque alimento, anche una bistecca, ricavata dagli atomi di idrogeno, ossigeno e carbonio. La
manipolazione passa da macro a micro a nano. La produzione di cibo come gioco molecolare, da montare e ri-smontare.
Simbolicamente Legorientend. Fino ad arrivare all’immortalità del prodotto alimentare. Cibo senza scadenza. Già in fase di studio per lo
Space Center di Houston. Cos’altro ci riserva il futuro? Il McRobot, un robot di AccuTemp già ai fornelli di alcuni fast food in
sostituzione dei più costosi e lenti concorrenti umani. Packaging, come quello sviluppato dalla Kraft, dotato di nanosensori che
analizzano il contenuto e danno l’allarme quando il prodotto non è più commestibile. Brain power food, prevention food, show food
come i futuri cibi interattivi e d’intrattenimento. Dal cono pizza al risotto da passeggio fino alla radicale estetizzazione del cibo, oramai
polisensoriale e mediatico, tutto già rimanda al termine di gastronauta, avventure nello spazio alimentare senza più confini. Rimane un
dubbio. Il consumatore accetterà questa invasione del cibo alieno o si rifugerà nei presidi e oasi protette di Slow Food.
Radical
size
Nulla ha successo
come l’eccesso.
I consumatori americani
fanno la coda per ammirare
e assaggiare
il nuovo Monsterburger
di Hardee’s: mezzo chilo
di carne trita, quattro strisce
di bacon, tre sottilette più
maionese e liquami vari.
Oltre 1.500 calorie.
Al confronto il Big Mac
con le sue 590 calorie
sembra uno stuzzichino
anoressico
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retail
update
Radical cheap
Convenienze estreme
Immaginate di aprire una videoteca. Immaginate di aprirla proprio a fianco a
Blockbuster. Immaginate di praticare prezzi estremamente bassi. Immaginate di
chiamare il negozio Blockbastard, prezzi bastardi che segano le gambe alla
concorrenza. Immaginate che ogni volta che lui abbassa i prezzi voi li abbassate di
più, così, giusto per il gusto della sfida. Benvenuti nel club del radical cheap. Ma
attenzione. Non è solo questione di abbassare i prezzi ma di alzare il tiro. Chi è
radicale non guarda in faccia nessuno. Va dritto per la sua strada e alla radice del
problema. Simbolicamente un caso educativo è quello del superconveniente latte
in polvere per lattanti a marchio Coop: 9 euro anziché 37 euro, cifra media
praticata in Italia. Certo ha le spalle grosse, ma sfidare i signori del latte che
fanno cartello è comunque una scelta radicale, tra l’altro ampiamente ripagata
dal clamoroso successo ottenuto sia come vendita (le confezioni sono
andate letteralmente a ruba in poche settimane lasciando scaffali
e magazzini desolatamente vuoti) sia come posizionamento
“consumeristico”. Quello delle sfide estreme sarà un grande
tema del futuro. L’Asia e in particolare la Cina dettano le regole
della nuova competizione senza frontiere e radici nazionali.
Recentemente anche de’Longhi si è fatto “condizionare” dal
radical cheap: taglia la produzione in Veneto e apre in Cina. È
solo uno degli ultimi o dei primi di un nutrito gruppo di valigie
pronte che in futuro potrebbe riempire un intero elenco
telefonico. E mentre in Italia cadono le ultime barriere di
protezione sul tessile i mega brand si interrogano sul loro
futuro. Sono tempi duri per le grandi marche. Utili in calo per
Unilever, Colgate-Palmolive, Henkel e Beiersdorf nel vecchio
continente, tanto per fare alcuni esempi. Anche per loro la
nuova sfida sta “nell’estremo Oriente”. Unilever fa affari in India
con detersivi low price mentre Ericsson e Nokia in Asia con
telefonini “primo prezzo”. Resta da chiedersi cosa vendere in
futuro ai nuovi miserabili delle vecchie potenze industriali.
Ma questa è un’altra sfida.
Sfide estreme
Ha ridotto in polvere
il prezzo del latte
01
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Cosa propone il mercato, o meglio l’operatore ex medio? Per esempio l’abbonamento di un
anno all’Espresso a soli 39 euro (73% di sconto). E poi? Ferrovie low cost Milano-Roma con 9
euro (www.trenok.com), distributori automatici di libri a un euro (Sukultur, Germania), bare
vendute sottoprezzo nella catena di supermercati Usa Costco (60% di sconto), lettori Dvd a 30
euro (Expert in Italia) e addirittura negozi che mettono in gioco il prezzo: a Milano da Visconti si
può puntare l’intero importo del conto alla slot machine: se escono tre stelle si porta a casa tutto
a gratis. E poi cos’altro ancora? Proposte di lavoro estreme o meglio oscene. Lavorare come
dei muli (precari) per un tozzo di pane. E non è la solita lagna di qualche estremista di sinistra o
anche di destra ma uno scenario recentemente tracciato da Franz Josef Radermacher, futurologo
dell’università di Ulm. La sua sintesi “o il mondo si dà una calmata e diventa armonicamente
ecosociale oppure si va verso una fatale radicalizzazione del mercato globale con conseguente
boom del cheap jobbing, lavorare sottocosto”. Scenari estremi, non c’è che dire. Non stupisce
quindi che anche in Italia tutti corrono ai ripari poiché è chiaro che l’era del costa meno
trasformerà radicalmente il commercio. Ma quanto hanno deriso e snobbato i profeti della
discountizzazione che da trent’anni predicano il low cost come modello del futuro. Dunque tutti a
ripetizione da Aldi. Lezione numero 1: “il nostro vantaggio competitivo deve essere preservato
applicando le leggi dell’economia nella loro forma più estrema”. Questa l’unica massima messa
per iscritto dal colosso tedesco. Le altre lezioni sono disponibili nel libro Bare Essentials di Dieter
Brandles oppure ne “In Rilievo” pubblicato su GDOWEEK n° 321. Un modello radicale da
studiare e tenere (o temere) a mente.
Cosa chiede il mercato o meglio il consumatore ex medio? Per esempio di accorciare
radicalmente la filiera. Come il Ciclo Corto, uno dei tanti nuovi gruppi d’acquisto (GAS)
appena nati. Iniziative, aggregazioni e sigle che testimoniano quanto sia sentita la voglia di
cercare canali radicalmente alternativi per acquistare all’ingrosso o direttamente dai produttori
o contadini di fiducia. Se ne accorta anche la “politica”: il comune di Padova ha deciso di
mettere a disposizione dei gruppi d’acquisto una piattaforma logistica per lo stoccaggio e la
distribuzione di carne, olio e tutto quanto le famiglie reperiscono in giro per l’Italia, facendo
arrivare in alcuni casi caffè e cacao direttamente dal sudamerica, e anche la capitale ha in
cantiere un progetto analogo. E poi? Prezzo trasparente, alla sorgente. Insomma alla radice. I
consumatori evoluti vogliono sapere quanti soldi vanno nelle tasche di chi produce creando
magari una proficua alleanza. Fenomeni irrilevanti da liquidare sbuffando come ha fatto il
presidente del Confcommercio Billè durante uno speciale sui consumi alla trasmissione “Porta
a Porta” di Bruno Vespa, o segnali sommersi ma chiari di una radicale volontà di cambiamento
da parte del cittadino? Una cosa è certa: mai a Milano si era vista in passato una tale ressa di
famiglie, anziani e giovani il sabato mattina ai cancelli dell’ortomercato. E poi cos’altro ancora?
Trovare il prezzo migliore per qualunque articolo e magari pure con comparazioni in tempo
reale mentre si passeggia con il carrello fra gli scaffali. Radicale utopia? Non negli Stati Uniti
dove Scanbuy ha lanciato un servizio di comparazione prezzi instant via Sms: al consumatore
basta fotografare con il telefonino il barcode del prodotti, inviare il messaggio e attendere l’Sms
con l’elenco delle migliori offerte. Ovviamente questi piccoli esempi sono solo la punta
dell’iceberg. Ma il trend è chiaro. Il bisogno, ma anche il desiderio, di prezzi bassi non sono
fenomeni congiunturali passeggeri ma un riflesso condizionato oramai radicato nel DNA del
consumatore postconsumista che pretende prodotti freschi, sicuri, convenienti e convenience.
Risvolto per il retail? Aspettative esagerate non facili da soddisfare.
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Offerte estreme
Domande estreme
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societ y update
Radical items
Esempi estremi
01_Radical Pil
Se vado contro un muro e sfascio la macchina,
il pil sale. Nei paesi devastati dallo tsunami, il
pil salirà. Il pil è solo spazzatura? Dati Eurispes
alla mano uno cosa è certa: nel 2000-2003 la
produzione della spazzatura è salita del 3,8%,
quella del pil solo del 2,4.
02_Radical life
Riflessioni del consumatore sotto assedio: rischio
tutto e mi indebito fino al collo e pago la prima
rata nel luglio 2006, se mi va bene nel frattempo il
retailer fallisce, e non pago il debito, se mi va
male e fallisco io, non pago comunque il debito.
Al limite faccio una scelta radicale: mi sparo.
03_Radical flop
Dalle stelle alle stalle. Lo Space Park di Brema, il
più grande retailtainment center coperto d’Europa,
è prossimo al fallimento. Ma anche i presunti
innovatori non se la passano bene. Un dato su cui
riflettere: solo in Germania vengono messi ogni
anno sugli scaffali 30 mila nuovi prodotti, di cui
due terzi spariscono velocemente senza lasciare
traccia. Per le imprese il business è diventato un
aut aut. O si emerge o si sprofonda. Rimanere
semplicemente a galla non è più possibile.
04_Radical solutions
Risolvere le questioni alla radice. Per milioni di
uomini in tutto il mondo non c’è tortura
peggiore che accompagnare la moglie,
fidanzata o amante a fare shopping? La trovata
della catena Marks&Spencer: angoli relax con
divani e tv sintonizzata sui canali di sport,
giochini elettronici, birra e patatine a volontà,
gratis per giunta. I cinesi non consumano
abbastanza? La trovata del governo di Pechino:
Jiari Jingji, espressione impronunciabile che
significa “liberi di consumare”. Tre volte
all’anno i cinesi ricevono in omaggio una
settimana di ferie. L’invito perentorio: fare
shopping o spendere i soldi in viaggi.
05_Radical non sense
Una casalinga americana compra
una confezione di caffè e la trova
colma di burro di arachidi.
Mentre il proprietario del marchio,
non sa spiegarsi l’accaduto la
signora Mary dichiara che Maxwell
House rimane comunque la sua
marca preferita.
Altro che acquabomber.
06_Radical outsourcing
Allontanare è l’unico modo per
restare competitivi, giurano i
delocalizzatori radicali. Trasferire
tutto fuori, altrove e mantenere
poche funzioni strategiche, magari
ricerca e design. Outsourcing come
diktat aziendale e categoria
esistenziale, dei consumatori futuri.
Educazione dei figli, gestione della
casa e degli anziani, salute
personale, cura delle piante,
matrimonio, sempre più aspetti
nella sfera della vita privata
vengono trasferiti a terzi, almeno
all’estero. E se ci pensiamo bene
anche la tanto decantata adozione a
distanza altro non è che solidarietà
data in outsourcing.
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nextfuture 13
10_Radical church
Ovvero: quando la chiesa è contro la spesa.
Chiaramente solo in Usa poteva nascere la
church of stop shopping. Le intemperanze
demagogiche del reverendo Billy che gira per
gli Stati Uniti con tanto di coro gospel
scagliando anatemi contro McDonald’s,
Starbuck’s, Wal-Mart e il consumismo in
generale possono anche far ridere.
Però, che seguito.
Almeno a giudicare dal sito revbilly.com.
07_Radical promotion
Rivolto alle catene della grande
distribuzione, agli ipermercati o ai
piccoli retailer; espropriproletari.com
propone vere e proprie invasioni sul
punto vendita con sottrazione merce,
volantinaggio, megafonate sul caro vita
e la presenza di veri leader no-global.
08_Radical beauty
Applicazioni cosmetiche trans-cutanee
istantanee come il nuovo Botoina,
crociere di chirurgia estetica nel mare dei
caraibi, reality show o meglio beauty
show come The Swan “finalmente belli”
o il format di MTV “I want a famous
face” che si spinge oltre e trasforma i
partecipanti, dopo numerose operazioni,
nei loro idoli, per esempio faccia e seno
di Pamela Anderson. Un trend che ha già
generato un controtrend. Il brand Dove ha
lanciato un fondo per l’austostima e
manifesto per la bellezza autentica.
09_Radical consumer
L’Istat afferma che i salari crescono più
dell’inflazione? Allora l’Intesa
Consumatori insorge. La comunità
scientifica afferma che l’obesità causa
400 mila decessi ogni anno? Allora The
Center For Consumer Freedom parte
all’attacco con un contro dossier che
smentisce tutti i dati. Gli schermi tv sono
una presenza sempre più invadente nelle
sale attesa, bar, ristoranti e negozi? Allora
se non bastano le proteste si passa alle
via di fatto con il nuovo Tv-B-Gone, un
minuscolo telecomando che spegne
qualsiasi televisore diffuso sul mercato.
11_Radical marketing
Radical Marketing e Radical Brand. Due libri della
fine degli anni novanta. L’inizio delle ostilità.
Guerilla marketing, trojan marketing,
psicogeomarketing, spy marketing, terrorismo
pubblicitario e soprattutto neuromarketing, la
nuova scienza per impossessarsi del cervello del
consumatore. Un trend di cui in Italia si discute
troppo poco. E a torto, poiché all’estero le grandi
multinazionali sono entusiaste e creano alleanze
con psicologi, medici e scienziati. Motto futuro:
con i neuroni si fanno i milioni.
12_Radical fusion
Il fusion, un trend già ampiamente affermato, si
radicalizza. In due sensi. I retailer sperimentano
continuamente nuove contaminazioni - una delle
ultime viste, Cleanicum, lavanderia self service
con internet cafe e happy hour - le persone
attendono rassegnate o gasate la fusione fra
uomo e macchina. “Il mio computer è parte
integrante del mio io” racconta con innocenza un
bambino di 10 anni. Non è un caso se Bill Gates
investe così tanto nella bioinformatica.
13_Radical imitation
È l’era delle imitazioni estremamente identiche o
per dirla con un titolo della rivista Fortune
“imitation follows innovation”. La Cina copia
praticamente tutto compreso il marchio CE con
la scusa che si tratta di una innocua
abbreviazione per Cina Export. Geniale. Le
imprese hanno un bel da fare per educare i
consumatori a distinguere il falso dall’originale e
soprattutto a preferirlo (i quotidiani sono pieni di
inserzioni in quel senso).
14_Radical products
L’orsacchiotto Crazy for You in camicia di forza
con tanto di mandato di ricovero in ospedale
psichiatrico ha sollevato un putiferio negli Stati
Uniti: richieste di ritiro dal mercato sono giunte
dai legislatori dello stato del Vermont (sede
dell’azienda), dal governatore, dall’ambiente
medico e dalle associazioni dei malati mentali.
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strategy update
Radical Risk
Eventi estremi
Paure estreme. C’è una grande voglia di apocalisse, temuta o
sperata. L’apocalittica trilogia di Oriana Fallaci ha venduto
complessivamente più di tre milioni di copie in un paese che
notoriamente legge poco. L’establishment culturale snobba il
fenomeno e la scrittrice ma il popolo pende dalla sue labbra e
invettive catastrofiche. Eurispes, Censis o Doxa, tutti sono
concordi nel rilevare che gli italiani temono il futuro.
Futuri consumatori schizofrenici e psicopatici?
Cure estreme. Controindicazioni: in soggetti predisposti
provoca mortalità. È questo quello che leggeremo in futuro sui
fogli illustrativi dei medicinali? I segnali non mancano. Se
confermata, la strage del Vioxx, il farmaco killer che secondo le
rilevazioni della rivista Lancet e l’accusa della Food and Drug
Administration ha ucciso oltre centomila pazienti, potrebbe fare
concorrenza allo tsunami. Per l’azienda incriminata la strategia
“chi non risica non rosica” si è trasformata in un boomerang,
o in una Wild Card che sbanca il tavolo da gioco.
Rischi estremi. Bomba atomica, bomba demografica, bomba
dell’informazione e ora bomba genetica. Nei laboratori di mezzo
mondo si lavora a clonazioni, ibridazioni e nuove manipolazioni.
Ogni scienza crea nuovi incidenti potenziali. E sempre stato
così. Inventando l’auto l’uomo ha inventato gli incidenti stradali.
Niente di male. Ogni scelta ha un prezzo. Ma la differenza, fa
notare uno studio della McKinsey, è che oggi troppo bolle in
pentola e non certo a fuoco lento. E la fretta, si sa, aumenta il
fattore rischio, enormemente. Basta un piccolo seme dal
comportamento bizzarro a scatenare una reazione a catena o
effetto domino sulla catena alimentare. Imprese, assicurazioni,
ri-assicurazioni. Alla fine qualcuno rimarrà con il cerino in
mano.
Dubbi estremi. E cosa succede se il frigorifero intelligente
anziché ordinare due birre ne ordina duemila? Chi si prende la
responsabilità? Il retailer, il produttore, il softwarista, il
dipendente che ha evaso l’ordine o il consumatore non ancora
avvezzo con le future diavolerie tecnologiche?
Sicurezze estreme. Gli eventi catastrofici degli ultimi anni
rimettono in discussione certezze e scatenano paure. Tutti
pretendono ansiosamente una totale sicurezza e basta un
niente per finire nei guai. Storico il caso di una vecchietta
americana di 81anni che ha ottenuto al processo contro la
McDonald’s quasi 3 milioni di dollari come risarcimento per
essersi ustionata le mani con un caffè troppo bollente. Garantire
la totale sicurezza, proteggere la privacy, blindare l’esistenza,
vendere tranquillità, ecco cosa offrire al futuro consumatore a
caccia di certezze.
Divieti estremi. “Caschi obbligatori su tutti i mezzi, cinture di
sicurezze, niente sigarette, niente droghe, niente alcol, niente
merendine grasse, vivremo più a lungo ma ci romperemo le
scatole in modo impressionante”, gridano “le iene” dagli
schermi di Italia 1. La morsa si fa sentire, anche per le aziende.
La Svezia ha vietato gli spot pubblicitari di merendine per i
piccolissimi, la Francia vuole vietare i distributori di merendine
nelle scuole, Genova vieta i pesci rossi in premio nei luna park,
il ministro Sirchia medita campagne con relativi divieti anti
obesità. Ma gli estremismi possono assumere anche contorni
umoristici - il presidente bielorusso Lukascenko ha deciso di
vietare l’esportazione delle top model, definendo le bellezze
locali risorsa strategica nazionale sottoposta a tutela
commerciale. Prossima tappa: vietare il futuro ai minori.
Libertà estreme. In Libertaria tutto è permesso. Secondo Tyler
Brulé, opinionista di spicco del Financial Times, il futuro
appartiene alla nazioni radicalmente libere dove niente è vietato
o regolato. Qualche esempio? Nessun limite di velocità per le
automobili, neanche nei centri abitati, nessun piano regolatore,
che ognuno costruisca come li va a genio e il commercio
ovviamente iperliberista. Molto radical Far West.
Natura estrema. Quando la natura passa al terrorismo sono guai
seri con effetti devastanti anche sulle imprese. Tsunami retail. Il
recente disastro in Sud Asia ha costretto alcune compagnie a
ridefinire drasticamente le proprie strategie di marketing. È il caso
della Pepsi&Co che ha sospeso il nuovo spot con David Beckam
e altri calciatori ambientato tra grandi onde in uno scenario surf o
della Toyota canadese che ha reso noto il cambio di nome del
nuovo modello che stava per essere lanciato sul mercato:
anziché Celica Tsunami l’auto si chiamerà più semplicemente
Celica Sports Package. Ben poco da fare invece per l’agenzia
hawaiana TsunamiMarketing. I rischi del mestiere.
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15-02-2005
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W.C.
Wild Cards
Facile scaricare le
responsabilità. Meno facile non
sprofondare. Chernobyl 1986, crollo del
muro di Berlino, 11 settembre, Sars,
kamikaze, scontro di civiltà, catastrofi climatiche,
Tsunami, innovazioni improvvisamente impazzite, la
stessa globalizzazione e no globalizzazione. Una volta
si chiamavano variabili esogene oggi, che il progresso
vertiginoso rende tutto possibile ma anche rischiosamente
imprevedibile, semplicemente wild cards, Un’espressione
meno elegante ma che rende bene l’idea: rischi fantomatici,
imprevisti mutanti del business aziendale. Terremoti che
scuotono il futuro e che cambiano radicalmente la nostra
percezione della realtà e le aspettative (anche dei
consumatori) per il domani. Nessuna impresa può più
permettersi di restare dietro la porta ad aspettare.
Quando una wild card bussa è già troppo tardi per
barricarsi in casa. Meglio stare alla finestra a
scrutare. Tracciare scenari estremi e allenarsi alla
reattività non sono più un lusso esclusivo
della grandi multinazionali ma un
bisogno primario per sopravvivere
in un mondo che cambia
01 cover e quartanew
15-02-2005
15:50
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OSSERVATORIO INTERNAZIONALE SULLE TENDENZE DEL RETAIL E DEI CONSUMI
2020_Nascono
le prime iniziative
di solidarietà
per salvare
i commercianti
in crisi
“Il futuro
è già scritto.
Leggetelo
in anteprima”
Firmato