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flp magazine
rivista mensile del giornale online firstlinepress.org
Palestina
Germania
Campania
Roma
Brasile
Canada
Terza Pagina
il supplemento culturale di
First Line Press
The Quart Side of
the Moon
il nuovo fumetto di HOBO
@FirstLinePress
youtube.com/firstlinepress
Aprile 201
4
rivista mensile del giornale online firstlinepress.org
numero 0 | marzo 2014
First Line Press
#1
flp magazine
magazine
Ci occupiamo di conflitti, periferie,
volti, storie che c’imbrattano diventando libere di essere raccontate.
First Line Press Magazine
anno 1 | numero #1
Rivista mensile curata dalla
redazione del sito internet
firstlinepress.org
Redazione giornalistica
Lorenzo Giroffi
Andrea Leoni
Domenico Musella
Flavia Orlandi
Giuseppe Ranieri
Natascia Silverio
Illustrazioni
Hobo
Progetto grafico e layout
Domenico Musella
In copertina
Foto di Andrea Leoni
In quarta di copertina
Banner di Marta Ghezzi
First Line Press è una testata giornalistica
regolarmente registrata presso il Tribunale
Civile
di
Santa
Maria
Capua
Vetere
Autorizzazione
n.
810
del
24/10/2013
Quest’opera è distribuita con Licenza
Creative Commons
Attribuzione - Condividi allo stesso modo 4.0
Internazionale
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editoriale | #1
Barriere per definizione
1. Costruzione le cui dimensioni longitudinali e di altezza prevalgono in genere sullo spessore; è realizzato
mediante sovrapposizione di elementi come mattoni, pietre naturali e squadrate, con o senza leganti;
2. Ciò che per densità, compattezza, altezza o altri elementi può ricordare un muro;
3. (per estensione) Riparo, difesa;
4. (in senso figurato) Barriera, ostacolo.
Questo è quello che si trova sullo Zingarelli alla voce muro. Nell’introdurre questo numero tematico di First
Line Press Magazine vogliamo innanzitutto riflettere sul senso di questo termine, con definizioni che ci possano orientare.
«La tentazione del muro non è nuova. Ogni volta che una civiltà non è riuscita a pensare l’altro, queste rigide
difese di filo spinato, di reti elettrificate o di ideologie chiuse si sono innalzate, sono crollate e ora ritornano con
nuovi stridori», dicono Patrick Chamoiseau e Édouard Glissant in Quando cadono i muri (Nottetempo, 2008).
Un muro può essere tante cose, può esistere in diverse forme e con diverse caratteristiche: vogliamo offrirvene
una panoramica, di certo non esaustiva, ma variegata e da diversi angoli di mondo.
I muri sono in primis fisici, come quello di 700 km innalzato in Cisgiordania che ricalca con la sua solidità la
colonizzazione e l’apartheid delle autorità israeliane. Andrea Leoni ci offre uno squarcio della vita in uno dei
campi palestinesi nei pressi del muro, Aida, mostrandoci come alla barriera fisica si accompagnino anche altri
ostacoli, che bloccano il futuro del popolo palestinese. Parlando di muri non si può non pensare a Berlino, che
dal 1961 al 1989 ne ha ospitato uno storico, che ha diviso il mondo e segnato un’epoca. Un confine che proseguiva nelle menti e nelle persone, come Natascia Silverio ci spiega provando a guardarlo con gli occhi di un tedesco.
Con Flavia Orlandi facciamo poi tappa nelle gated communities negli Stati Uniti e in Brasile: la nuova frontiera
della segregazione nelle grandi metropoli. Vere e proprie comunità chiuse per ricchi, circondate da muri che in
nome del neoliberismo proteggono i “buoni” da fantomatici “cattivi”. Restando nel continente americano, Domenico Musella ci parla delle popolazioni indigene del Canada, storicamente isolate in riserve che discriminano e
reprimono. Muri che si sommano a quello delle istituzioni, che respinge ogni richiesta di autodeterminazione,
e a barriere di difesa che i Nativi provano a tenere in piedi per sottrarre terra e acqua all’ottusa speculazione di
Stato e corporations.
Il viaggio di questo numero #1 tocca poi anche l’Italia, affrontando due tipologie di muri. Muri istituzionali,
che ostacolano la distribuzione di un bene comune come l’acqua, privatizzandola, e che bloccano la volontà popolare espressasi nel 2011 in un partecipatissimo referendum. Accade in diversi comuni, tra cui Quarto, poco
fuori Napoli, tra un commissariamento e la quotidiana resistenza di una comunità, come dal campo ci racconta
Lorenzo Giroffi. Giuseppe Ranieri ci presenta invece una seconda possibilità che possono avere i muri, quella di
trasformarsi in spazi artistici e trampolino di lancio per azioni politiche dal basso: di questo e non solo si può
leggere nell’intervista alla crew di graffiti Partizan, all’opera a Roma.
Ma i muri esistono anche per essere abbattuti. E in queste pagine lo facciamo simbolicamente anche noi, aprendo il Magazine non solo ad un’altra forma di racconto, il fumetto, con la vignettista Hobo che dopo gli schizzi
sul sito web porta la sua pungente matita anche da queste parti in The Quart Side of the Moon; ma anche ad una
nuova pagina culturale, curata questo mese da Monia Marchionni.
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#1 | sommario
6
PALESTINA
Rompere il muro dell’occupazione
Il campo profughi palestinesi di Aida: la resistenza all’apartheid
e ad altre barriere
10
GERMANIA
Il muro e la cortina di ferro
Racconti di confini e democrazia nei ricordi di un tedesco
15
CAMPANIA
Quando lo Stato è un muro per i referendum
Quarto, il commissariamento e l’acqua pubblica
20
ROMA
Partizan: graffiti e musica per far rivivere i muri e per lottare
Intervista ai creatori di Dans la Rue
24
BRASILE
Alphaville: muro di paura o muro di privilegi
Le contraddizioni di una gated community
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30
CANADA
Stretti tra lo Stato e le multinazionali
Le riserve e la lotta anti-fracking dei Nativi Elsipogtog: ecologia, futuro e
autodeterminazione
36
TERZA PAGINA
Giancarlo Basili:
«Il cinema secondo me»
39
In allegato
The Quart Side of the Moon
il nuovo fumetto di HOBO
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6
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PALESTINA
Rompere il muro
dell’occupazione
Il campo profughi palestinesi di Aida:
la resistenza all’apartheid e ad altre
barriere
Andrea Leoni
I
palestinesi lo chiamano jidār al-fasl
al-’unsūrī ovvero «muro di separazione razziale», molti israeliani invece ‫« ןוחטיבה רדג‬barriera di sicurezza».
Sostanzialmente è un muro di cemento
che si estende lungo il territorio palestinese in Cisgiordania per circa 700
km, costruito dopo la seconda intifada,
per la retorica sionista serve a “proteggere lo stato di Israele dagli attacchi
kamikaze dei palestinesi”, mentre per
i palestinesi, per qualsiasi persona di
buonsenso, è uno dei molti esempi di
come lo stato occupante, raggirando
ogni convenzione internazionale, attui
una politica razzista e colonialista: un
muro dell’apartheid, come non ha esitato a definirlo anche Roger Waters in
un’intervista apparsa il 18 settembre
scorso sul giornale israeliano Yedioth
Ahronoth.
È proprio all’interno di uno di questi
muri che sono scoppiati violenti scontri che continuano da giorni: il campo
profughi di Aida Camp, due chilometri
a nord di Betlemme. Uno dei tanti campi in cui molti palestinesi si sono ammassati nel 1950 credendo fosse una
sistemazione provvisoria dopo essere
stati cacciati dalle proprie case. L’escalation degli scontri è stata registrata il
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18 marzo quando un pezzo del muro è
stato fatto crollare e la torre dalla quale
i soldati israeliani sorvegliano è andata in fuoco (anche se non era la prima
volta).
L’evento ha avuto un forte valore
simbolico, spiega a First Line Press Bilal che lavora all’interno del campo di
Aida: «I giovani si sono organizzati molto bene per buttare giù il muro. Si sono
preparati per fare un grande buco nel
muro affinché i giornalisti puntassero
i riflettori non solo per il 30 di marzo
[giornata della Terra palestinese, ndr],
«
È un modo di
organizzarsi molto
rapido e risolutivo,
qui ad Aida per
far qualcosa basta
parlarsi dieci minuti
per strada e dopo
mezz’ora non si
aspetta nessun
permesso, si parte»
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stazione con molti solidali occidentali
è testimonianza anche l’utilizzo delle
armi nelle ultime proteste: tre militari
israeliani sono rimasti feriti gravemente. I giovani non si sono limitati a tirare
sassi ma hanno fatto comparsa oltre
alle bottiglie incendiarie anche delle
bombe artigianali, «Bisogna diversificare cosa succede in un villaggio, in una
città o in un campo profughi – spiega
Bilal – e queste bombe artigianali non
L’azione bisognerebbe comprendevono sorprendere: non è la prima
derla all’interno di tutto il contesto
volta che sono state utilizzate, pensa
della resistenza palestinese oggi in
che è a partire dalla seconda intifada
Cisgiordania: non è la prima volta che
(ma anche prima) che i ragazzi sanno
la rabbia nel campo profughi di Aida
anche come costruire armi artigianalCamp scoppia in maniera improvvisa e
spontanea, al di fuori quasi di qualsiasi
mente». Le rivolte all’Aida Camp quindi
non sono come «tutte le manifestazioni
logica di partito o di comitato popolare.
contro il muro che durano un giorno e
Gli scontri sono stati “organizzati” con
basta: qui continuano e la repressione
cura, altrimenti il confronto con l’eserDella diversità rispetto anche ad è forte e indiscriminata, per esempio
cito israeliano non sarebbe mai potuto
durare per numerosi giorni dalla matti- altri villaggi dove il venerdì della rab- ieri [mercoledì 3 aprile, ndr] hanno
na alla sera. Giorni in cui Aida Camp ha bia si trasforma in una piccola manife- arrestato un bambino di 14 anni. Gli
israeliani che lo hanno arrestato hanno
chiesto una cauzione dell’equivalente
PALESTINA | Il muro che separa il campo profughi di Aida con l’hinterland di Gerusalemme
di 200 euro, una famiglia con quei sol(Young Shanahan)
di ci mangia per un mese, piuttosto di
pagare e finanziare così ulteriormente
l’occupazione israeliana molte famiglie
preferiscono aspettare un mese o due
per rivedere il proprio figlio libero». Il
bilancio fino ad oggi è di cinque palestinesi arrestati e quindici feriti in modo
grave, innumerevoli le intossicazioni
dovute all’utilizzo di gas lacrimogeno
da parte dei soldati israeliani.
non hanno esitato ed hanno organizzato quest’azione per far sì che si potesse
mandare un messaggio al mondo: che
si dicesse che in Palestina ogni giorno
si soffre l’occupazione e non solo il 30
di marzo o il giorno della Nakba, anche
perché qui ci sono ancora profughi di
65 anni che aspettano di ritornare a
casa».
subìto il coprifuoco, misure restrittive
per gli abitanti e una forte repressione
da parte dell’esercito. E ciò lo conferma
anche Bilal: «Se noi torniamo indietro
di 14 anni quando c’era l’Intifada e
quando fu bloccato il campo profughi
di Jenin, il primo campo ad insorgere
fu quello di Aida Camp, ma anche quando ci fu l’attacco dello scorso anno a
Gaza, Aida Camp insorse subito senza
che nessun gruppo politico o comitato
dicesse qualcosa. È un modo di organizzarsi molto rapido e risolutivo, qui
ad Aida per far qualcosa basta parlarsi
dieci minuti per strada e dopo mezz’ora
non si aspetta nessun permesso, si parte. Quando c’è qualcosa che non va bene
si trova subito la soluzione o come raffrontarci con le forze di occupazione».
Chi combatte per strada sono gli
shebāb, i giovani, anche se tutta la gente
del campo vigila ed è complice: «Anche
perché quando scoppiano gli scontri
l’esercito spara anche dentro le case
dei cittadini del campo. Tutte le famiglie sono vicine a questi giovani, anche
loro sono troppo stanche di vedere il
muro: li aiutano portando cipolle e limoni e pensano a tutto un tipo di aiuto
logistico, c’è chi sta vicino alla finestra
e vede da dove arriva la polizia. Ognuno contribuisce e sta contribuendo a
modo suo. La gente è stanca. La gente
si sveglia e vede il muro, si addormenta vedendo sempre e solo un muro: è
come se rinchiudessi un gatto dentro
una piccola stanza e lo tenessi per molto tempo lì. Se provi ad aprire la porta
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quando il gatto esce vuole graffiare tut- a Gaza). La disoccupazione in Palestina
tocca livelli impressionanti, un elevato
ti: e così noi».
numero di gente a Gaza mangia solo
La solidarietà, però, i giovani non grazie agli aiuti umanitari, ma anche i
l’hanno ricevuta dall’Autorità Naziona- nuovi negoziati con Israele non fanno
le Palestinese guidata da Abu Mazen: intravedere una speranza di libertà:
«Non ha mai fatto nulla, anzi, hanno «I leader dei partiti – dice Bilal - sono
mandato all’interno del campo i loro
poliziotti per identificare i giovani che
partecipavano agli scontri. Ma poi se
l’ANP è interessata alla gente del campo
È come se rinchiudessi
perché lascia il libero passaggio ai solun gatto dentro una
dati israeliani? Cioè all’entrata del campo c’è un presidio di soldati palestinesi,
piccola stanza e lo tieni
perché quando scoppiano gli scontri
per molto tempo lì.
loro se ne scappano e lasciano entrare
Se provi ad aprire la
liberamente i soldati israeliani? Loro
porta quando il gatto
lasciano Aida da sola ed ora arrestano
pure i ragazzi perché si scontrano conesce vuole graffiare
tro gli israeliani».
Nel carcere a cielo aperto di Gaza la
morsa di Israele si fa sentire con numerosi raid aerei (raid militari, non aerei,
che provocano morti se ne registrano
anche in Cisgiordania) ma anche e soprattutto con l’isolamento e l’embargo, dopo che il partito islamico Hamas
ha preso il potere nella regione. Ora
la cosa si fa anche più pressante dopo
che i Fratelli Musulmani (di cui Hamas
è una costola) sono stati destituiti dal
golpe militare nel confinante Egitto. Il
malcontento della popolazione di Gaza,
data la situazione che attraversa, è a livelli molto alti così come per l’ANP in
Cisgiordania, come testimoniato da un
tutti: e così noi»
recente sondaggio del Palestinian Center for Policy and Survey Research di
nelle carceri israeliane e con loro il si- Ramallah che evidenzia come le istitugnificato stesso del partito che rappre- zioni guidate da Fatah siano “sull’orlo
sentavano». Di nomi ce ne sono molti, del fallimento” politico ed economico.
tra i più rappresentativi sicuramente
In tutto questo una nuova crisi deMarwan Barghuthi (per alcuni il Man-
«
La consapevolezza degli abitanti di
Aida Camp del fatto che i partiti non
siano la risposta alle numerose problematiche che vivono quotidianamente i
palestinesi è lo specchio di ciò che pensano in tutta la Cisgiordania (ma anche
PALESTINA |La scritta all’ingresso del campo profughi di Aida
(Foto di Andrea Leoni)
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dela palestinese) e Ahmad Sa’dat (segretario generale del Fronte Popolare
di Liberazione della Palestina, PFLP).
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stabilizza lo scenario politico palestinese: è Mohammed Dahlan, leader di
Fatah a Gaza (territorio dei rivali Hamas -c’è da ricordare che i due partiti
palestinesi sono in conflitto, vero e proprio, dalle elezioni legislative del 2006)
che potrebbe esser la stampella per il
partito islamico, sempre secondo gli
analisti, per uscire dalla condizione di
isolamento. Insomma l’uomo politico
di Fatah che andrebbe bene ad Hamas
in Cisgiordania una volta terminato il
lungo mandato di Abu Mazen, con il
quale recentemente si è scontrato.
Tariq Dana, ricercatore presso il
Graduate Institute of International
and Development Studies a Ginevra ha
commentato a First Line Press la recente crisi tra Abu Mazen e Dahlan affermando che «non sarebbe esplosa per
diversi programmi politici o ideologici,
ma di più, si basa sull’influenza politica che esercitano, sul potere e sulla
ricchezza. Entrambi sono ugualmente
politicamente e finanziariamente corrotti e non hanno alcuna legittimità a
rappresentare il popolo palestinese.
Tuttavia, i palestinesi vedono Dahlan
più pericoloso di Abu Mazen per il suo
brutale passato e la sua storia nei servizi. Dahlan sembra essere riuscito ad ot-
«
I paradossi che
vengono fuori da
questa società
sono numerosi
ed il conflitto tra
i due partiti che
governano Gaza
e Cisgiordania
è solo quello
più evidente,
superato solo
dall’occupazione
sionista»
tenere il sostegno egiziano a scapito di
Abu Mazen, e ciò è evidente con il ruolo
dei media egiziani che non esitano a
sostenere Dahlan. Da considerare è che
gli stessi media sono controllati dai militari. Ora sembra che ci sia un accordo
tra Abu Mazen e Dahlan per fermare la
controversia e dirigere il loro attacco
contro Hamas».
I muri da abbattere per i palestinesi non sono solo quelli materiali, anzi, i
paradossi che vengono fuori da questa
società sono numerosi ed il conflitto
tra i due partiti che governano Gaza e
Cisgiordania è solo quello più evidente,
superato solo dall’occupazione sionista: «Ci sono molte ragioni per ritenere
che non ci sarà riconciliazione tra Fatah ed Hamas in un breve periodo – ci
spiega Tariq – e ciò che è successo tra
Abu Mazen e Dahlan non avrà alcuna influenza sul rapporto tra Hamas e
Fatah. Naturalmente Hamas è felice di
vedere Fatah in crisi perché questo andrà a beneficio della popolarità di Hamas in Cisgiordania. Uno dei motivi per
cui Hamas e Fatah non avranno presto
un accordo è perché ora a Gaza e in Cisgiordania abbiamo versioni politiche
e ideologiche completamente diverse e
contraddittorie di governance. È molto
difficile immaginare un buon rapporto
presto, a meno che entrambi considerino l’interesse nazionale palestinese
generale: e ciò è impossibile per ora».
Per approfondire |
Paolo Napolitano, Fatah-Hamas fra radicalizzazione e istituzionalizzazione, in: “Conflitti
Globali 7. Palestina Anno Zero”,
Agenzia X, Milano, 2010.
Day After, Final Report http://
www.pcpsr.org/strategic/papers/2013/
finalreport.pdf
Girls throw stones, too di Mya
Guarnieri
h t t p : / / 9 7 2 m a g. c o m / g i r l s - t h r o w stones-too/88912/?fb_action_
ids=679918135400228&fb_act i o n _ t y p e s = o g. re co m m e n d s & f b _
source=aggregation&fb_aggregation_
id=288381481237582
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GERMANIA
Il muro e la cortina
di ferro
Racconti di confini e
democrazia nei ricordi di un
tedesco
Natascia Silverio
A
partire dagli Anni Sessanta il
muro di Berlino rappresentó
non solo una barriera fisica ma
anche sociale e psicologica. Nello stesso modo, la sua estensione, rappresentata dal confine tra la Germania Ovest e
quella Est, influiva pesantemente sulla
vita delle persone di quell’epoca. Ció
che segue è una raccolta di ricordi di un
tedesco che ha voluto ragionare insie-
«
Mi ricordo che quando
ero piccolo la cosa
peggiore era essere
considerato un
comunista. I comunisti
rappresentavano
il diavolo. Ci
insegnavano che le
persone che stavano
oltre il confine erano
comuniste, che
avevano il coltello tra
i denti e uccidevano i
bambini. Storie così,
ogni cosa cattiva era
rappresentata da loro»
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me a noi sul significato profondo della tra i denti e uccidevano i bambini. Stodemocrazia.
rie così, ogni cosa cattiva era rappresentata da loro.
Certo, quando il muro di Berlino
fu costruito non ero ancora nato ma ho
Trascorrevo molto tempo gironzovissuto il periodo che seguiva. Sono cre- lando intorno alla casa di mia nonna.
sciuto durante gli Anni Sessanta in una L’area vicino al confine era coperta di
piccola città della Bavaria, vicino al con- grandi boschi e io ci giocavo con mio
fine che separava la Germania Ovest da fratello; era molto divertente ed intequella Est, la cosiddetta DDR (Deutsche ressante guardare aldilà del filo spiDemokratische Republik, Repubblica nato, perché vedevamo altre persone
Democratica Tedesca). Per tanto tempo che peró non avevano il coltello tra i
ho vissuto insieme a mia nonna, la sua denti. Eravamo un pó confusi. Avevamo
casa era a uno-due chilometri dal con- chiesto anche a nostra nonna che tipo
fine. Quest’ultimo è stato sempre parte di uomini c’erano, lei cercava di smordella nostra vita quotidiana. Sai in quel zare il nostro interesse per non parlatempo c’era il confronto tra l’Oriente e re dell’argomento. Non abbiamo mai
l’Occidente, la guerra fredda, la Nato avuto risposte alle nostre domande.
contro il patto di Varsavia. Il confine Mia nonna preferiva dire di non essere
che esisteva era un’estensione del muro coinvolta in politica, per questo non ce
di Berlino ed era molto controllato da ne voleva parlare. Diceva che la politica
tutte e due le parti: non lo potevi sicu- è sporca e non ne voleva discutere. Era
ramente attraversare come si fa con le una sorta di malattia dei tedeschi dopo
frontiere attuali. Campi minati, soldati la seconda guerra mondiale: i nazisti
armati che sorvegliavano l’altro lato avevano ucciso molte persone, anche in
-soldati dell’Ovest che controllavano il Germania, e sai, dopo il 1945, nessuno
lato Est e viceversa… si controllavano a era più nazista… le famiglie erano comvicenda per ventiquattro ore.
poste a volte da comunisti, socialisti e
nazisti, come tutti in Germania… era tra
Mi ricordo che quando ero piccolo l’altro anche una società spaccata.
la cosa peggiore era essere considerato
un comunista. I comunisti rappresenMi ricordo di tutti gli avvenimenti
tavano il diavolo. Ci insegnavano che di allora che riguardavano il confine,
le persone che stavano oltre il confine non erano molto belli. Quando sei bamerano comuniste, che avevano il coltello bino tutte le cose proibite attraggono
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BERLINO | checkpoint a Friedrichstraße, Berlino, 1961. Stöhr, Wikimedia Commons.
Testo sul cartello di propaganda: “Cerchiamo di lavorare insieme per la pace e la comprensione! Il Trattato
Tedesco di Pace blocca il militarismo della Germania Occidentale!”
estremamente la tua immaginazione.
Ci insegnavano di non andare al confine perchè era molto pericoloso. Ma
era diventato il nostro pensiero fisso,
era molto interessante. Una volta ci
sono andato con mio fratello ed abbiamo cercato di andare dall’altra parte. E
l’abbiamo veramente fatto ma subito
qualcuno ha iniziato ad urlare. “Fermatevi! Non muovetevi!”. Eravamo
spaventati, eravamo solo dei bambini.
Ma stavano gridando molto forte; non
ci siamo mossi perché avevamo molta
paura. Dopo qualche minuto abbiamo
visto arrivare dei soldati. Avevano in
mano qualcosa che sembrava un foglio
e facevano dei movimenti strani: prima
avanti, poi indietro, a destra e a sinistra.
All’inizio non avevamo capito cosa stavano facendo ma poi abbiamo realizzato che stavano venendo da noi. Parlava-
no nelle radiotrasmittenti. Dopo un pó
sono arrivate delle guardie di confine
dell’Ovest. Abbiamo all’improvviso realizzato che eravamo all’interno di un
«
Non abbiamo mai
avuto risposte alle
nostre domande. Mia
nonna preferiva dire di
non essere coinvolta in
politica, per questo non
ce ne voleva parlare.
Diceva che la politica è
sporca e non ne voleva
discutere»
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campo minato. I soldati della parte Est
ci stavano portando fuori dal campo
minato con una mappa, in cui erano registrate tutte le mine nel terreno. Con
queste strane mosse ci stavano portando in salvo. Sai, era anche un incontro
Est-Ovest per questo tipo di cose. In
seguito i soldati della Germania Ovest
ci hanno preso con loro e hanno chiamato mia nonna dicendole di venirci
a riprendere. Quella sera ricordo che
abbiamo ricevuto molto botte da mio
nonno… ma stavo anche dicendo tra
me e me: “allora è vero, non c’è nessuno
col coltello tra i denti!”
Qualche volta i soldati facevano
delle manovre, operazioni militari
tutt’intorno al confine. Erano gli americani che effettuavano esercitazioni
per dimostrare la loro forza alla parte
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BERLINO | Muro di Berlino, East side Gallery, 2013. Freepenguin, Wikimedia Commons.
Testo dipinto: “Tante piccole persone che fanno tante piccole cose in tanti piccoli posti
possono cambiare il volto del mondo. Saggezza africana”.
Al tempo veniva effettuata anche
propaganda nelle strade, si leggevano
dichiarazioni di fronte alle fabbriche.
Molte persone ci gridavano: “Se non
amate questo paese, allora andatevene
dall’altra parte!”. Ma era il nostro paese,
perché dovevamo lasciarlo? Questa era
la nostra risposta. Era la nostra opinione -potevano accettarla o no, era un’altra questione.
Il problema reale era che quando si
criticava il sistema in vigore nella Germania Occidentale, la gente gridava di
andare dall’altra parte e noi non potevamo accettarlo. Questo tipo di propaganda anti-comunista era profondamente radicato, il risultato di quarantacinquanta anni di attività in tal senso.
Est. Carri armati e rumori che provenivano dal bosco a distanza di chilometri.
Facevamo anche “affari” con questi ragazzi americani. Dicevamo loro: “Portaci questo, portaci quello”. Rubavo il
whisky di mio padre e lo portavo a loro
guadagnando 50 dollari con questa
mossa! Era fantastico… ma il prezzo che
dovevo pagare era quello di essere picchiato da mio padre dopo; con questo
ci dovevo fare i conti e anche col fatto
che poi lui riduceva la mia paghetta settimanale. L’unica persona a cui dicevo
del mio contrabbando era il nonno. Lui
rideva e mi aiutava a cambiare il denaro
in marchi tedeschi. Poi me li restituiva.
Era un segreto tra di noi… queste erano
le nostre piccole storie.
Gli americani non parlavano tedesco e al tempo non era neanche
normale vedere persone di colore. È
quello che intendo quando parlo della
vita quotidiana al confine, tutti questi
piccoli episodi ci influenzavano la vita
ma non era così per le persone che vivevano in altri luoghi della Germania.
Qualche volta i soldati facevano anche
dei test per gli allarmi, le sirene… e noi
a scuola facevamo le esercitazioni che
simulavano l’attraversamento del confine da parte dei russi. Accadeva negli
anni Sessanta e Settanta.
Nel momento in cui ho aderito al
ra di quello che significava lo scon- partito comunista peró, la sinistra era
tro tra le potenze occidentali e quelle estremamente forte e si lottavava molorientali, l’abbiamo avuta in seguito
quando siamo cresciuti. Ma tutte queste piccole cose facevano parte della
nostra realtà quotidiana.
«
Dopo molto tempo abbiamo cercato
di capire che cosa era successo in quel
periodo. Anche a scuola ci venivano
insegnati i fatti dopo il 1945, il motivo
per cui la Germania era stata divisa e
quello della costruzione del muro di
Berlino, che significava la chiusura dei
confini. Era molto interessante ma allo
stesso tempo anche molto soggettivo,
nel senso che tutto ció era insegnato da
un punto di vista tipico della Germania
Occidentale.
Trovo anche interessante il fatto che
in seguito ho iniziato a pensare a molte
cose e ad interessarmi di politica. E mi
sono schierato con la sinistra. Ho aderito al partito comunista tedesco quando
avevo quattordici anni e questo ha fatto
cambiare di molto il pensiero che avevo
prima. Quindi non credevo più che i comunisti avessero il coltello tra i denti,
d’altronde ho smesso di credere molto
presto anche all’illusione di Babbo Natale, mi sono reso conto precocemente
che erano i genitori a portare i regali…
ma la maggior parte delle persone creNon avevamo una visione ben chia- deva a queste bugie sui comunisti.
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Per una società
“interessante” e ben
sviluppata si necessita
di opposti, di persone
che la pensano in
modo diverso: questo
significa democrazia,
quella vera, radicata.
La democrazia non
significa solo avere
un parlamento ed
eleggerlo, significa
assumersi la
responsabilità di ogni
cosa, soprattutto
all’interno della
società. Impegnarsi
alla base, sul
terreno e non avere
esclusivamente diritti
ma dover fare anche
qualcosa»
flp magazine 13
to anche contro le centrali nucleari, le
basi NATO, le restrizioni antidemocratiche nei confronti degli insegnanti che
appartenevano alla sinistra. Si impediva loro di insegnare, gli si affibbiava
semplicemente un Berufsverbot (divieto di insegnare) e così perdevano il loro
lavoro.
Gli anni Settanta ed Ottanta hanno
rappresentato un periodo di molte lotte, anche nelle strade. Pesanti e dure,
tra la polizia ed i manifestanti. Piene
di confronti e qualche volta la società
era profondamente spaccata in diverse
parti.
Stavo iniziando a recarmi nella Germania Orientale. Il partito comunista
organizzava le visite, ci si poteva andare con il passaporto peró tutto era
registrato: le informazioni venivano
passate ai servizi segreti della Germania Occidentale, motivo per cui il partito forniva alle persone passaporti con
false generalità. Ho visitato la DDR una
trentina di volte per vedere quello che
succedeva. Ci venivano mostrate le fabbriche, la vita sociale: la nostra visione
riguardo a questo pezzo di Germania
inizió a cambiare. Avevamo visto gli opposti ma avevamo anche realizzato che
tale società non era veramente libera.
In effetti, la vita lì era molto noiosa.
Ogni cosa era diretta e pianificata dal
Partito Comunista. Non venivano accettate le critiche e ció che aveva reso
le persone passive. Qualcuno cercava
di andare avanti in tali condizioni, altri
la pensavano in modo completamente
diverso. Per una società “interessante”
e ben sviluppata si necessita di opposti, di persone che la pensano in modo
diverso: questo significa democrazia,
quella vera, radicata. La democrazia
non significa solo avere un parlamento ed eleggerlo, significa assumersi la
responsabilità di ogni cosa, soprattutto all’interno della società. Impegnarsi
alla base, sul terreno e non avere esclu-
sivamente diritti ma dover fare anche
qualcosa. La democrazia non è un supermercato dove puoi entrare e dire di
aver bisogno di questo o quello, di aver
bisogno di un pó di diritti, prendere o
lasciare.
La democrazia non esisteva nella
Germania Ovest né in quella Est. Ma allora qual era la soluzione? Per noi consisteva in alcune azioni molto tattiche.
Credevamo di poterci addestrare, di
poter cambiare la società con il concetto di rivolta e insurrezione. Per questo
sapevamo che nel caso i fascisti avessero preso il potere, noi ci saremmo difesi… significava anche maneggiare delle
armi.
Ho anche studiato per qualche tempo scienze economiche nella parte Est,
il tutto era molto interessante. Ma dentro di me non ero d’accordo con questo
tipo di visione, il socialismo dev’essere
democratico.
GERMANIA |guardie di frontiera della Germania Orientale presso il confine interno tedesco a
Mackenrode, Turingia, 1960. Md61, Wikimedia Commons.
Testo vicino alla caricatura: “Più sali in alto, più in basso cadrai”
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flp magazine
Alla fine, nel gennaio/febbraio
1989, mi sono recato per l’ultima volta
lì e sono anche stato trattenuto in custodia per otto ore, a causa di contatti
con gruppi comunisti che si opponevano ai modi dominanti. Gruppi che chiedevano un vero socialismo e un vero
sistema democratico, non queste cose
che venivano esaltate nella Germania
Est. Qualche mese dopo crolló il muro
di Berlino. In quell’episodio fui dichiarato persona non grata e mi rimandarono nella Germania Ovest: fu la mia
ultima visita nella parte Est.
Se fai una ricerca sul significato che
un muro porta con sè e sul momento
in cui è stato costruito per la prima volta, scoprirai una lunga storia, simile a
quella dei confini.
Torniamo indietro fino al periodo
dei Sumeri e ancor di più, nel Neolitico:
dopo quel periodo gli esseri umani cominciarono a diventare stanziali e non
più nomadi, iniziarono ad organizzare
la vita e per la prima volta nella storia
furono capaci di mettere da parte qualcosa per il giorno seguente. Il punto
cruciale che diede inizio a molte cose.
Ció che avanzava era collocato in luoghi particolari che avevano bisogno di
guardiani. In parole semplici, i muri
furono creati per impedire gli attacchi
che provenivano dall’esterno. “Muro”
puó significare anche impedire qualcosa e allontanare da qualcuno, creare
una distanza.
Sono stato anche in carcere: rinchiudermi in una cella tra due mura
significava allontanare, tenere a distanza la società da me. In termini politici,
significava escluderti dalla società per
evitare che essa venisse in contatto con
quei modi di pensare che auspicavano
il suo cambiamento.
I muri rappresentano delle spaccature e non funzionano, in particolare di
questi tempi.
Per fare un esempio che riguarda internet, c’è sempre un modo per passare
oltre un firewall. Per sconfiggere i muri
hai bisogno di decidere di abbatterli,
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della volontà. Se non li accetti, li vedi e
li abbatti. Altre persone decidono di dipingerli: è un altro modo per criticarli e
renderli in qualche modo migliori, per
accettarli. Muri… forse è una visione
idealistica ma anche quando costruisci
qualcosa hai bisogno di muri, non puoi
mettere un tetto se non innalzi prima i
muri; ti possono proteggere dalle condizioni climatiche. Ma altri tipi di muri
come quello di Berlino rivelano un
problema della società, sono muri che
dividono solamente: la parte occidentale della Germania voleva distruggere
il sistema della parte orientale, l’unica
soluzione trovata è stata quella di costruire un muro. Se dai un’occhiata alla
storia tutto questo non ha funzionato,
se lo ha fatto è stato solo per un attimo
e perché la gente credeva che avrebbe
funzionato. Ogni volta i muri sono stati
abbattuti, hanno sempre rappresentato
anche una provocazione ad abbatterli.
Quando il muro di Berlino è crollato, io non vivevo più dove sono cresciuto ma ancora avevo contatti con
persone del posto. Dopo la riunificazione delle due parti della Germania per
creare un nuovo grande paese, simile
a quello che esisteva prima della Seconda Guerra Mondiale, la situazione
è cambiata completamente. È successo
all’improvviso, nel corso di una notte.
Persone che mai avevi visto prima arrivavano attraversando il confine, le ditte
occidentali invitavano quelle orientali
a venire a vendere i loro prodotti.
Nei primi giorni dopo la caduta del
muro, le persone della Germania Est
attraversavano il confine e rimanevano
stupefatte nel vedere quante cose potevano comprare nei negozi. Nessuno
pensava né proponeva l’unificazione,
ció è avvenuto dopo settimane. Alla
gente non interessava, voleva il capitalismo in primo luogo. Certo, se conoscevi la vita nella Germania orientale
era comprensibile che la gente la pensasse in questo modo e avesse queste
richieste. Ma dopo un pó ci si rese conto che gli occidentali stavano invitando
gli orientali, le persone persero il lavoro e ne scaturì molta disoccupazione.
Nella vita quotidiana molte cose
cambiarono: c’erano molte più persone, più scambi, soprattutto commerciali. Passo dopo passo, tutto è mutato
rappresentando una trasformazione
molto rapida nel corso degli ultimi
vent’anni. I paesi diventarono città e le
città diventarono metropoli, soprattutto quelle al confine. È normale quando
ti ritrovi nel mezzo. Si investì anche
molto nelle infrastrautture. Il confine
fu ricoperto dalla natura, le installazioni militari vennero rimosse. Non potresti neanche immaginare che una volta
in quei luoghi c’era il confine. Ma è interessante. Ora penso che i confini siano
nelle nostre teste e a volte proseguano
lì, è un problema comune…
flp magazine 15
CAMPANIA
Quando lo Stato
è un muro per i
referendum
Quarto, il commissariamento e l’acqua
pubblica
Lorenzo Giroffi
C
i sono posti che vivono in funzione di un evento, positivo o negativo che sia, portandosi dietro costantemente la sigla di un’annata. Il terremoto del 1980 è la base della storia
recente di Quarto, Comune alle porte
di Napoli, in quella che è l’area flegrea,
perché il lato vulcanico della Campania.
Prima che l’essenza tellurica di questo
territorio tuonasse col disastro sismico
dell’80, questo posto era noto per la distesa di campi coltivati ed il lavoro incessante dei contadini. Poi il cemento,
la migrazione dei terremotati dei grandi centri in quest’area, la costruzione di
interi quartieri residenziali, agricoltori
non più a seminare, ma a vendere i propri terreni ed una nuova generazione
che si è proliferata: in pratica la nuova
Quarto parte dalla generazione degli
anni 80-90, rendendo il Comune uno
dei posti abitati, in proporzione al territorio, da più giovani in Europa.
Leggendo le passate righe a molti
sarà sorta l’equazione: terremoto/ricostruzione/cemento/affari di camorra. Quarto non è venuta meno a tale
catena, basti pensare che qui operava
un cementificio gestito dal clan camorristico dei Nuvoletta. Una ragnatela d’interessi collusi che ha portato
a sciogliere, per ben due volte, l’am-
«
Interessante un’analisi
sulla fase di scrittura
dei punti referendari,
che, essendo stati
redatti per un sistema
abrogativo, hanno
lasciato aperture a
piccoli spiragli»
ministrazione comunale per infiltrazioni mafiose. Ad oggi è ancora così. Ci
sono i commissari prefettizi a reggere
il Comune. Un presidio della legalità di
Stato, che, nella matassa da sbrigliare,
composta da appalti, vecchi interessi
e bramosità, si è scontrato con diverse
coscienze civili della città. Si tratta della
gestione del territorio, unita all’ondata
di compartecipazione del referendum
First Line Press
del giugno 2011. Per intenderci ed appellandolo genericamente, quello in
merito, tra i tanti servizi pubblici, alla
gestione dell’acqua. Tanti i meccanismi
ed i cavilli che non hanno permesso la
realizzazione del reale desiderio di 25
935 372 di italiani. Sarebbe interessante un’analisi sulla fase di scrittura dei
punti referendari, che, essendo stati
redatti per un sistema abrogativo, hanno lasciato aperture a piccoli spiragli
dentro i quali poi crepe istituzionali ed
effettive inefficienze gestionali hanno
fatto insinuare un sistema di concessioni (molto simile al passato), che ancora
ha poco a che vedere con l’acqua come
una cosa prettamente pubblica. In pratica il referendum ha negato la possibilità di trarre l’adeguata remunerazione
del capitale investito dal servizio idrico
integrato, ma nella sostanza ciò ancora
non ha voluto significare zero profitto.
Comunque il plebiscito a quelle urne in
maniera emotiva aveva consigliato di
procedere per un percorso di ripubblicizzazione di tutto il settore “acqua”. In
Italia i servizi sono spesso stati affidati
a società per azioni, che il referendum
non ha interrotto, se non con modifiche
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flp magazine
di ricompensi in bolletta da custodire
ai gestori. Si parla di una percentuale,
un 7% che ha cambiato dicitura, secondo molti necessario, secondo altri chiara incongruenza con il volere degli italiani. La privatizzazione evitata del decreto Ronchi ha poi trovato strade per
ribadire l’esigenza di acqua pubblica
oltre il referendum abrogativo, come i
casi dei Comuni di Napoli e Palermo,
che si sono impegnati a costituire società di diritto pubblico, svincolandosi
da società per azioni di diritto privato,
garantendo tutti i passaggi di servizi
inerenti all’acqua in maniera totalmente pubblica e compartecipata, oppure
come a Torino, dove una delibera d’iniziativa popolare ha proposto all’amministrazione comunale di trasformare il
gestore idrico da società per azioni a
società totalmente pubblica.
A Quarto non c’era da porre modifiche, si doveva continuare con il pubblico, risanandolo, ma i commissari straordinari (Maria Grazia Nicolò – Prefetto; Savina Macchiarella – Viceprefetto;
Carmelina Vargas – Funzionario Economico Finanziario) hanno pensato che i
buchi strutturali e di management necessitassero di una concessione ad una
società terza, nello specifico la Consorzio Acquedotti SCPA. La delibera
è stata vissuta come un vero e proprio
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QUARTO | Il campo confiscato alla camorra, doveva trasformarsi in
un campo di calcio, ma è campo di sversamenti illeciti
tradimento dalla cittadinanza: “Hanno
confezionato il tutto mentre i cittadini
sono per così dire distratti: ad agosto,
poco prima di ferragosto”.
A parlare è Giulio Nuovo di Libera
– Area Flegrea, associazione antimafia che in genere fiancheggia lo Stato in
battaglie volte a stroncare le ramificazioni del polipo mafia, invece in questo
caso è a giudicare negativamente quello che dovrebbe essere un garante di
legalità sul territorio: la commissione
straordinaria che ha sostituito la politica. Incontro Giulio, assieme ad un’esponente di Legambiente Quartum,
Maria Rosaria Luongo, in uno dei posti che sembra contenere le collusioni
del passato, i fallimenti del presente e
l’annegamento delle speranze di fiducia verso le istituzioni. Un terreno confiscato al clan dei Nuvoletta, con terra
incolta ed ad arrugginire tutti gli ingranaggi del cementificio, ma anche nuovi
utensili abbandonati di recente, un camion senza targa, secchi pieni di liquame (vernice, che è la base usuale per
appiccare roghi) e copertoni pronti ad
essere bruciati: giusto per confermare
l’asfissiante e vuota etichetta di “Welcome in the land of fires”. Come in molti
terreni sequestrati in Italia, spulciando
nei dizionari dei sinonimi, ci si imbatte
in abbandono o inutilità. I sigilli consi-
stono in reti di plastica deteriorati, e le
telecamera di videosorveglianza, acquistate con fondi FAS ossia finanziamenti
governativi desinati alle aree sottosviluppate, sono rigorosamente puntate
però a terra, su un raggio ristretto della
strada adiacente il campo. E così sversare rifiuti tossici risulta semplicissimo
per i soliti impuniti/impunibili, nonostante i decreti realizzati, da momento
che consentono di tramutare i reati ambientali in condanne annullate da facili
prescrizioni.
La composizione di tali umori verso
questo posto parte dalla delusione di
un’energia non sfruttata: quella dei giovani di Quarto. Sono stati proprio loro
a denunciare la delibera dei commissari straordinari che, come spiega Maria
Rosaria Luongo, avrebbe garantito a
Consorzio Acquedotti SCPA la gestione
per venti anni, con i relativi oneri ed
introiti. Giulio Nuovo è rammaricato
perché non si tratta solo di un’azione
che spezza la volontà referendaria, anche da un punto di vista ideologico, ma
anche un favore ad un’azienda che oltre
ad essere mista (pubblico/privato) ancora non ha chiarito alcune posizioni.
“Non solo si è andati ad affidare il
servizio ad un’azienda che ha interessi
privati, ma in più la parte pubblica della
flp magazine 17
SCPA appartiene al Comune di Orta di
Atella, il cui sindaco è di recente sotto
la lente d’ingrandimento per indagini di
camorra, a causa di alcune intercettazioni con personaggi legati ai clan della
zona”.
La delusione di Giulio è legata anche al fatto che in sostanza il Comune
di Quarto sarebbe entrato in tale società, facendo perdere così alla propria comunità la possibilità di prendersi cura
del bene acqua. Si deve usare il condizionale ed il passato perché la Consulta dei Giovani di Quarto, Legambiente
e Libera hanno presentato un ricorso
al TAR per contestare tale ipotetica
concessione, condizionale perché poi
anche il Consorzio Acquedotti SCPA si
è tirato indietro da quest’affidamento
e perché i commissari hanno deciso di
cambiare strategia.
QUARTO | Partita del Quartograd, squadra di calcio dal basso
liceo, che è ancora all’interno di container che dovevano essere temporanei post-terremoto (si, dal 1980) e che
invece oggi consente solo lezioni soffocanti d’estate e gelate d’inverno, con
infiltrazioni di pioggia.
Perché affidare?
«La concessione era una via molto
più celere, viste le difficoltà economiche dell’Amministrazione e la nostra
volontà di risanare in breve tempo. Perciò avevamo optato per questa strada,
scegliendo, secondo i parametri delle
direttive europee, la società SCPA, per
garantire il servizio idrico in termini di
efficacia, prendendo ad esempio anche
altri Comuni che hanno adottato tale
via».
Bastano alcuni passi di fianco al
terreno dei fallimenti ed il pensiero
ritorna sulle occasioni perse, perché
questo spazio confiscato doveva diventare una valvola di sfogo per le lacune
di opportunità lasciate ai ragazzi, che
devono vivere anche lo sport come un
privilegio per pochi. Gli spazi pubblici
a disposizione per giocare a calcio hanno un limite di orario, insufficiente per
essere a disposizione di tutti, quindi, se
non si è in grado di affittare qualcosa di
privato, la strada e la solitudine restano le uniche scialuppe. Appunto questo
Nonostante decreti, che
terreno nei piani iniziali doveva vedere
poi dei reati ambientali
la dismissione dell’impianto arrugginifanno delle condanne
to del cementificio e la cura della distesa di terreno, per essere trasformato in
subito tramutabili in
una struttura sportiva, disponibile al
assoluzioni per facili
pubblico. Un’opera che avrebbe potuto
prescrizioni»
significare discontinuità con il passato:
togliere uno spazio che è stato della camorra e darlo ad un presente diverso.
Invece, lasciandocelo alle spalle, resta
Il prefetto Maria Grazia Nicolò illul’ombra dei rifiuti sversati, dell’abban- stra tale piano parlando anche di cosa
dono delle istituzioni e l’occupazione avrebbe comportato per il Comune di
dell’illecito.
Quarto l’affidamento al Consorzio Acquedotti SCPA: in pratica il comune saL’abbandono del territorio e le rebbe entrato in SCPA con l’acquisto di
toppe delle istituzioni
alcune quote. La strada è stata poi sbarrata, sia dal ricorso al TAR, che dalla
Entrando nel centro di Quarto mi rinuncia della stessa SCPA a tale forma
colpisce una struttura scolastica, un di affidamento. La commissione straor-
«
First Line Press
dinaria ha dovuto virare e scegliere un
piano b. Resta comunque emblematico
come lo Stato, che arriva in un Comune
sciolto per infiltrazioni camorristiche,
invece che apparire rassicurante agli
occhi della comunità, diventi un nuovo
nemico, perché comunque, dal punto di
vista delle sensibilità condivise, l’acqua
è un argomento delicato.
Non era meglio effettuare altri
tipi di operazioni? Non sarebbe stato troppo rischioso incidere su di
un servizio che avrebbe continuato
su questo binario per venti anni?
Una commissione straordinaria può
prendere tale responsabilità?
«Noi come commissione straordinaria non abbiamo limiti o vincoli, ma
agiamo, soprattutto in virtù delle infiltrazioni passate, per ripristinare in un
brevissimo tempo i principi di legalità.
Non avendo limiti possiamo agire in
maniera straordinaria su ogni struttura dell’amministrazione. Al momento
ci siamo dovuti direzionare verso un
bando pubblico che ha quindi i suoi
tempi per la pubblicazione e la valutazione. Tutto ciò dilunga le procedure e
la risoluzione di un servizio efficiente.
Perciò avevamo presentato da subito
l’idea dell’affidamento, che aveva solo
bisogno di un atto deliberativo e di adesione, quindi molto più veloce».
Il bando comunque farà entrare società esterne, perché questo fa parte
delle falle referendarie dentro le quali
le amministrazioni in difficoltà e lontane dall’idea di società di diritto pubblico, possono inserire affidamenti, conservando però il principio referendario
dell’esclusione dell’adeguata remune-
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18
flp magazine
razione del capitale investito.
Referendum tradito o referendum incompleto?
Non abbassare la guardia su una
vittoria di cittadinanza attiva, com’è
stato il referendum del 2011, è sicuramente un sentimento che ho ritrovato
nelle parole delle persone incontrate
a Quarto, al campo confiscato/abbandonato. Tuttavia resta il fatto che alla
decisione delle commissarie si è potuto
reagire con un ricorso al TAR per le modalità della concessione e non per il fatto che si fosse pensato ad una società
esterna, perseguendo una concezione
di diritto privato. Quarto è solo uno dei
tanti esempi che si potrebbero ritrovare in altri Comuni: referendum, desideri e quotidianità di gestione.
Perché in effetti alla gara potrebbe
ripresentarsi ad esempio la stessa SCPA
o comunque alla chiusura del cerchio
avere una società per azioni a gestire
il bene acqua: come già ribadito, senza
intaccare il risultato referendario. Avviene però in uno scenario particolare,
ovvero quello della regione Campania,
il cui volere politico è proprio direzionato verso una legge regionale che ancora di più si allontanerebbe dai pensieri scaturiti, dalla stragrande maggioranza degli italiani, post-referendum.
Per tutti questi motivi incontro l’avvocato Vincenzo Montalto, nel suo studio
di Napoli.
agire sempre con competenze che spettano ad un’amministrazione comunale.
Un Comune, tanto meno uno commissariato, non ha i poteri per affidare la
concessione della gestione del servizio
idrico integrato. In Italia questo potere
è stato affidato agli ambiti territoriali
ottimali (ATO). Si tratta di azioni illegittime derivanti da commissari nominati
dal ministro degli interni. Su tale fondamento si è basato il ricorso al TAR preparato dai cittadini, dalle associazioni e
dalle organizzazioni di Quarto. Nonostante ciò le commissarie straordinarie
«
quei ragazzi privati
di strutture sportive,
che sono costretti a
guardare il campo
confiscato come una
promessa violata, si
sono messi assieme per
cambiare le cose.»
non hanno deciso di ritirare l’affidamento, ma hanno semplicemente preso
atto del fatto che la SCPA si è ritirata,
ma in via del tutto temporanea».
La pessima gestione economica
del passato e l’esigenza di risanare.
Strutturalmente è scontato andare a
pescare società esterne al pubblico,
Lui è riferimento dei comitati di ricercando comunque formule ibriQuarto che hanno fatto ricorso al TAR, de?
ma più in generale è sempre stato in
prima linea per tutto quello che è sta«C’è da fare un fondamentale dita la campagna referendaria ed il tema stinguo: concessione ed appalto. Si
dell’acqua nell’area dei diritti, autore potrebbe prendere ad esempio il Cotra le altre cose del libro “L’acqua è di mune di Casal di Principe, anche quetutti” e presidente dell’Istituto Italia- sto commissariato per infiltrazioni
no per gli Studi delle Politiche Am- camorristiche. Pure in quel contesto
bientali.
è stato necessario esternalizzare un
servizio: l’attività d’istallazione dei
Quali sono stati i criteri del ricor- contatori dell’acqua e della relativa miso al TAR, dato che la commissione surazione. Si è fatta una gara, vinta da
straordinaria di Quarto può agire una società, che ad oggi sta istallando
senza alcun limite?
i contatori. La gestione resta pubblica,
perché nelle mani del Comune, che ha
«Questo è vero, però loro possono semplicemente appaltato un servizio:
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in ciò risiede la differenza tra l’appalto
e la concessione».
Le commissarie di Quarto non
hanno agito semplicemente traendo spunto dalle linee generali della
regione Campania e della possibile
legge regionale che sta per cambiare?
«Ciò è una chiara anomalia, perché
la legge proposta al Consiglio in Campania ha lo stesso orientamento della
decisione dei commissari di Quarto. La
legge regionale è assolutamente incongruente con il referendum del 2011,
perché è una proposta di legge che
blocca la gestione del servizio idrico integrato nelle mani delle multinazionali,
in funzione della volontà di arrivare a
mega gestioni che sottrarrebbero ai Comuni ed ai consorzi di enti pubblici la
possibilità di gestione diretta».
Lo sport come appropriazione
dei propri diritti
Quarto è anche l’emblema di un
abbandono sistematico, in cui però poter pure essere liberi di apprezzare un
reale esperimento di autorganizzazione. Non c’è chi recrimina, assolvendo
in pieno il ruolo di vittima sacrificale:
quei ragazzi privati di strutture sportive, che sono costretti a guardare il campo confiscato come una promessa violata, si sono messi assieme per cambiare le cose. Definiti ultimi perché privi di
opportunità, perché sempre in lista per
qualcosa, in fila a cercare attenzione.
Percorro l’asse mediano che collega
i paesi della cintura di Napoli e Caserta,
in una selva di solitudine e tristi affari,
sempre poco noti, di una provincia italiana non più terreno di tradizioni, ma
di sciagure i cui destinatari sono stati
scelti per convenienza, subdolo razzismo e stereotipi ormai di consuetudine. Nonostante i racconti sommari di
istituzioni e mass media, la vita scorre
anche in questi posti. Arrivo a Grumo
Nevano, un posto che rincontro per
caso o meglio per una partita di calcio.
Lo stadio comunale di calcio di Grumo
Nevano, campo amico della Grumese,
flp magazine
ospita una partita di calcio valevole per
la Coppa Campania. L’avversario della
gara è il Quarto Grad. Squadra di calcio
organizzatasi autonomamente, da persone che hanno contato solo su di loro,
costituendosi prima come associazione, arrivando a buoni risultati sportivi
e di civiltà, per poi arrivare a disputare
il campionato di calcio di lega nazionale dilettanti.
Una squadra che vive lo sport come
la vita, con una propria volontà di autodeterminazione nel preservare principi bistrattati da altri. Succede così
che sugli spalti dello stadio s’incontrino persone senza appellativi di tifoserie, a seguire i propri amici che giocano a calcio. Ci si offre birra e tempo
da condividere. Riscaldamento senza
tanti fronzoli, maglie per alcuni troppo larghe, ma tutto curato nei minimi
dettagli, perché è calcio fatto per bene
quello di questa partita. Arbitro a fischiare, allenatori dalle panchine a dirigere i moduli e pallone da inseguire.
Sugli spalti la società del Quarto Grad
ad ogni partita organizza anche una
diretta radiofonica, su di un piccolo tavolo in legno, ma con la voce compita
e professionale di un giovane cronista,
che omaggia microfono e corde vocali
come se fosse dietro il vetro di una diretta Rai.
rete a dividerci dal gioco e il match
è elettrico come se a giocare fossero
Manchester United e Napoli. Lo intuisco dal fatto che Giorgio, mentre gli
porgo domande, tituba nel darmi l’attenzione del suo volto, non riuscendo a
trattenersi dal buttare uno sguardo sul
campo con una costante frenesia del
collo.
«Noi crediamo alla partecipazione
attiva e dal basso: siamo nati così. Dimostriamo il fatto che sia possibile un
modello di società diversa, nata senza
l’aiuto di nessuno, ma con la volontà di chi vuol far parte di un progetto.
Siamo partiti chiedendo piccoli autofinanziamenti ed oggi disputiamo un
campionato nazionale. Stiamo provando a riscattarci dopo una devastazione
ambientale, sociale e morale. Anche i
commissariamenti non hanno portato
benefici al nostro territorio. Basti pensare a ciò che è successo con i nuovi
commissari, che erano pronti ad affidare ad un privato la gestione dell’acqua,
senza passare per il parere ed i consigli
della parte sana della città».
La partita continua ed almeno da
questi spalti per questi novanta minuti l’abbandono mi sembra lontano,
perché l’odore di una lotta silenziosa e
Capita anche che il capitano della decisa lo sento correre su di un campo.
squadra che gioca in casa, la Grumese,
avversario per questa partita, venga invitato alla diretta poco prima del calcio
d’inizio. Un paio di domande, dal tavolino credibile quanto la sala cronisti di
un super stadio di serie A, una sincera
stretta di mano e la verità dello sport
ad applicarsi. La meraviglia dell’incontro, l’agonismo, la voglia di misurarsi
con i difetti ed i pregi del proprio corpo, lo scontro, la felicità e la dimensione reale dello stare assieme. Il Quarto
Grad gioca ed il presidente della squadra, Giorgio Rollin, dopo avermi preci- Per approfondire |
sato che la sua carica è solo simbolica
e la struttura della società orizzontale, Vi segnaliamo il video-reportage, dello
mi racconta pezzi di storia di quest’e- stesso autore del pezzo, quarto, l’acqua ai tempi del commissariasperimento sportivo.
mento:
https://www.youtube.com/
Siamo a bordo campo, c’è solo la watch?v=2wv-Ttovt1U
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20
flp magazine
ROMA
Partizan:
graffiti e musica per
far rivivere i muri e
per lottare
Intervista ai creatori di Dans la Rue
Giuseppe Ranieri
C
’è chi prova a dare nuova vita ai
muri, facendoli diventare uno
spazio creativo e politico allo
stesso tempo. Tra questi c’è il gruppo
di writers Partizan, che abbiamo incontrato a Roma
Come e quando nasce la vostra crew?
«Partizan nasce a Berlino nel 2010
da un gruppo di amici, tutti o quasi con
un passato nei graffiti. Abbiamo subito
il fascino di quella città, dei suoi colori e dei suoi messaggi scritti sui muri,
stampati sui manifesti e sugli adesivi.
La propaganda genuina di movimento
sopratutto nel quartiere di Kreuzberg
è percepibile in maniera molto forte.
Messaggi contro la gentrificazione e la
speculazione sugli affitti, contro i neofascismi e il potere in generale. Tornati
a Roma abbiamo voluto riportare queste suggestioni per colmare quella che
reputavamo una mancanza nella nostra
città. A Roma potevi vedere o una scritta politica one-line tirata via, oppure un
bel graffito, però solo con il nome personale del writer di turno. Noi voleva-
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flp magazine
«
Ciò che accomuna
writers e compagni è
la sperimentazione di
pratiche che tentano di
evadere da meccanismi
di controllo sociale»
mo invece realizzare dei bei graffiti politici, curando al tempo stesso la tecnica
e il contenuto, sdoganando una pratica
riproducibile. In effetti abbiamo notato
che negli ultimi anni tutto ciò ha un po’
funzionato in questo senso».
Quali sono gli stili che preferite
adottare sui muri?
«Inizialmente ci siamo divertiti a riprendere un vecchio modo di fare scritte politiche: le rullate a vernice con il
contorno a spray, una citazione delle
vecchie scritte politiche, con un tocco
di cura in più per la veste grafica, ma
l’ effetto rimaneva comunque rudimentale e d’ impatto. Così, in pochi minuti,
possono comparire scritte di decine
di metri anche sulle arterie stradali
principali più trafficate. Ad esempio
possiamo ricordare come guardavamo
alle scritte di Militant, un collettivo
romano che ha sempre usato la tecnica delle rullate bianche, in una sorta di
rivalità… Dipingiamo treni, muri della
città e degli edifici occupati, soprattutto durante eventi ed iniziative a cui ci
invitano e che volentieri attraversiamo
per dare un contributo solidale.
Cosa è Dans la Rue?
«Dans la Rue è per la strada, nella
strada. È un modo per stare nel mondo
hip-hop senza essere schiacciati dalla
retorica mainstream del fare soldi e
business. Per noi, i graffiti sono sinonimo di comunicazione, lotta e rivolta. Le canzoni rap che ci piacciono sono
quelle che hanno accompagnato le rivolte in Maghreb. Fin qui tutto bene,
diciamo, ma DLR è anche un evento che
da 3 anni proponiamo a Roma e che
viene accolto sempre con entusiasmo.
Per fare un breve riepilogo, possiamo
dire che il primo Dans la Rue nasce
quando Casapound provò a fare un
contest di graffiti definito “internazionale” (forse perché venivano i White
Boys da Madrid, un gruppo neonazista
spagnolo che si diletta nel fare scritte).
Tutti fummo colpiti da questa iniziativa, ne cominciammo a parlare con i nostri amici nella scena, tanti si misero in
gioco, molte persone presero posizione
e si esposero personalmente. Le ragioni della contro-jam si ascoltavano su
Radio Onda Rossa, Radio Popolare e
Radio Città Futura. Così nacque Dans
la Rue: lo stesso giorno del fantomatico
evento di Casapound nasceva un block
party (festa di quartiere hiphop) selvaggio, nella periferia est di Roma, geograficamente opposto al posto dove si
erano riuniti i neo-fascisti (Area19)».
Avete qualche fonte d’ispirazione?
«La nostra fonte di ispirazione iniziale furono i muri berlinesi, con scritte
politiche e tecnicamente perfette. Può
sembrare banale, ma invece dietro tutto questo c’è un discorso molto fine.
Generalmente continuiamo a fare Così, la scena dei graffiti e il movimenun po’ di bombing per le strade e vi- to si contaminano, non si riconoscono
cino ai posti che frequentiamo. Molti come diversi ed estranei. Ad intere
di noi nel loro passato di graffitari facevano solo questo, spingere il nome,
ovunque. Poi, qualcuno di noi ha scelto
di sciogliere la propria identità personale in questo progetto collettivo, altri
Per noi i graffiti
invece continuano a fare graffiti anche
sono sinonimi di
con altre crew e a spingere comunque
comunicazione, lotta e
il proprio nome, insomma, libertà totarivolta »
le!»
«
First Line Press
crew di graffiti capita di fare un wholecar contro il prossimo G8, diventando esse stesse movimento, agitando
slogan sui vagoni della metropolitana.
Allo stesso modo il movimento impara dai writers a fare scritte sulle facciate cieche dei palazzi, calandosi con
le corde da arrampicata. Questi sono
piccoli esempi che però comunicano
bene questo concetto di stare dentro
il movimento ed imparare reciprocamente dei saperi utili. Del resto, ciò
che accomuna writers e compagni è
la sperimentazione di pratiche che
tentano di evadere da meccanismi
di controllo sociale».
Ci sono altre crew simili alla vostra
per impegno sociale?
«Ci sono tanti piccoli gruppi sparsi
in giro per l’Italia, dei nostri cari amici sono i Volk Writers di Milano, che
sono scesi anche per il Dans la Rue,
fino ai RAW (Red Antifascists Writers) di Napoli, che fecero uno splendido graffito nella seconda edizione
dell’ evento. Diciamo che di crew così
non ce ne sono mai abbastanza. In ogni
caso è pieno di singoli che si attestano
su sensibilità affini, che scrivono messaggi condivisibili anche al di fuori di
crew come le nostre. Più interessante invece è il fenomeno, che al di fuori
dell’Italia è molto più diffuso, di organizzazioni di gruppi misti composti da
ultras, writers, comitive di quartiere e
gruppi politici: le cosiddette FIRMS.
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22
flp magazine
Questi gruppi attraversano il terreno
metropolitano, partecipando insieme
ai cortei, uscendo la notte a dipingere
ed andando insieme allo stadio».
Come declinate il vostro impegno
politico sui muri?
«
Per noi il messaggio
che comunichiamo
è fondamentale,
prioritario rispetto
alla nostra stessa
firma collettiva.
Non è un caso che ci
sforziamo di trovare
sempre dei posti
visibili.»
«Per noi il messaggio che comunichiamo è fondamentale, prioritario rispetto alla nostra stessa firma
collettiva. Non è un caso che ci sforziamo di trovare sempre dei posti visibili:
sul lungolinea del treno, sui vagoni, sui
muri della tangenziale est, sulle autostrade, etc, etc … Ci capita nella maggior parte dei casi di scrivere delle frasi
o degli slogan antifascisti che possano
regalare un sorriso nel traffico mattu- mano? E di quella nazionale?
tino in macchina, ma accogliere anche
chi viene in città con il treno e si trova a
«Abbiamo notato che i messaggi
guardare fuori dal finestrino… ».
come “Acab”, “NO TAV” o semplicemente “Antifa” iniziano a comparire sempre
Quale pensate che debba essere il più spesso accanto ai graffiti “persorapporto che intercorre tra il wri- nali” di molti writers, anche dentro le
ting e gli spazi sociali?
flop di graffitari alle prime armi. Questo è un segnale positivo che cogliamo
«I centri sociali hanno aiutato e con entusiasmo. Noi da parte nostra,
cullato il movimento hip hop fin dal- come altre crew, diamo un contribule sue origini. Il nostro legame con gli to a tutto questo facendo da ponte
spazi occupati è fortissimo, tutti noi li tra i graffiti e il movimento. In gefrequentiamo in maniera assidua. Sono nerale diciamo che in tutta Italia c’è
dei posti nei quali ci sentiamo al sicuro, di nuovo voglia di scrivere i propri
dove possiamo divertirci, incontrarci e pensieri sui muri, non lasciandoli
sviluppare dei progetti. Ci capita spes- così più puliti e vuoti».
so di dipingere negli spazi occupati, ma
crediamo che il writing sia fatto per es- Nella vostra doppia veste di graffisere diffuso per le strade…»
tari e militanti, siete doppiamente
nel mirino della repressione. Avete
Come giudicate il livello di consape- avuto esperienze dirette o indirette
volezza della scena del writing ro- in merito?
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«Repressione… In questo periodo
se ne parla molto. Si, è forte , sui writers, così come nei cortei e negli stadi.
Diciamo che su di noi si sperimentano tecniche di controllo molto elevate,
unità speciali antigraffiti, denominate
Vandalsquad (la digos dei graffiti) o
come la diffusione capillare della videosorveglianza in città o nei depositi
delle metro, dove i vigilantes non è raro
che ci sparino addosso, oppure che ci
sguinzaglino contro cani sotto i tunnel
dove si dipinge, poi ci sono i sensori di
movimento vicino ai vagoni da dipingere. Ci ha colpito molto leggere del
possibile uso, in chiave antiterroristica,
dei droni per il controllo delle stazioni
in Germania, con la scusa della politica repressiva anti-graffiti. Inoltre, i casi
noti di pestaggio da parte delle forze
dell’ordine a danno dei writers colti sul
fatto si moltiplicano. Tuttavia diciamo
che la voglia di continuare a comunicare dei messaggi non ce la leva nessuno:
un modo per dipingere ovunque si trova sempre. Alcuni di noi hanno precedenti per graffiti in Italia o in Europa,
altri per manifestazioni, scontri con i
fascisti, occupazioni, ecc, ecc… Insomma, una bella collezione! Ma siamo noi
e siamo così».
Una delle vostre peculiarità è quella di avere una critica sociale molto
elaborata. Come giudicate l’attuale
momento del Movimento?
«Crediamo che in questo momento
si stiano elaborando molte cose interessanti, un rinnovato senso di riconoscimento reciproco interno al movi-
flp magazine
mento e un superamento delle diversità specifiche, per andare invece verso
un orizzonte ampio e inclusivo. Le date
autonome che hanno scandito quest’
anno ci hanno visto coinvolti e partecipi. In Italia abbiamo la lotta NO TAV, ma
in tutto il mondo si respira quest’aria. Il
Brasile, con le sue autoriduzioni e le sue
proteste contro gli sprechi e le morti
sul lavoro per i mondiali di calcio 2014,
la Turchia con Piazza Taksim, le manifestazioni contro l’aeroporto di NôtreDame-des-Landes in Francia, la Spagna
con gli scontri e le acampadas, la Grecia
con le azioni antifasciste contro Alba
Dorata e rivolte anti-austerity».
Quale pensate possano essere i suoi
approdi futuri?
«Il movimento sicuramente continuerà con una sua agenda autonoma,
poi ci sono la lotta per la casa, il movimento NO TAV. Saranno processi di liberazione lunghi e complessi, di cui è
difficile prefigurare un futuro».
Secondo voi, al suo interno ci sarà un
ruolo più definito ed “organico” per
progetti come il vostro o resterete
una “piacevole eccezione”?
«Come ci insegna la nostra esperienza, crediamo che l’organizzazione
di gruppi di writers all’interno di strutture antifa, come accade in Germania,
semplifichi molti aspetti: dall’autofinanziamento, alla diffusione di materiale, fino alla capacità di incidere sul
territorio pubblicamente. In Italia ci
sono molte differenze che non permet-
tono questo tipo di relazione e organizzazione, ad esempio a Roma ci sono dei
limiti evidenti nella carenza di strutture Antifa cittadine, con cui confrontarsi
e immaginare percorsi condivisi. Forse
le cose stanno cambiando, vedremo...»
Avete dei progetti futuri?
«Il Dans la Rue è ormai un appuntamento irrinunciabile, che stiamo
pensando di accompagnare quest’anno
con un’autoproduzione che racconti la
nostra esperienza, per dare spunti che
possano riprodurre e moltiplicare le
nostre pratiche nelle altre città, in forma autonoma. Per ora, diciamo che la
maggior parte di noi fa graffiti e djing,
ci sono tatuatori, teppisti, fumatori
d’erba e ci piacerebbe conoscere altri
che con il nostro stesso spirito fanno
del buon rap. Per quello che riguarda
Partizan, continueremo a fare quello
che abbiamo sempre fatto da quando
siamo nati: dipingere e diffondere messaggi di rivolta, aiutando ogni anno a
far crescere l’evento Dans la Rue».
Per ascoltare e leggere ulteriori
informazioni, segnaliamo il sito
internet: http://danslarueantifa.wordpress.com/
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flp magazine
BRASILE
Alphaville:
muro di paura o
muro di privilegi
Le contraddizioni di una
gated community
Flavia Orlandi
«
Di fronte ai pericoli
della più grande
metropoli del sud
del mondo, dei suoi
sincretismi, delle
sue disperazioni, la
fascia più ricca della
popolazione preferisce
isolarsi, arroccarsi su
se stessa a difesa dei
propri privilegi»
BRASILE | Riocinha Favela - Rio de Janeiro Brazil (Foto di David Berkowitz)
D
a che esiste la proprietà privata
esiste un muro per proteggerla,
un recinto, uno steccato, un filo
spinato. A volte si tratta solo di linee un
po’ più che immaginarie, a ricordare la
distanza che c’è tra ciò che si possiede
e ciò che possiede l’altro. Ma più forte è
la percezione di un pericolo esterno più
il muro è alto, corazzato, minaccioso. In
tempi di globalizzazione il vicino diventa sempre più diverso ed estraneo:
firstlinepress.org
nelle grandi città, soprattutto nel sud
del mondo, le differenze sociali sono
sempre maggiori e i poveri delle favelas
convivono al lato dell’alta borghesia e
della sorgente middle class.
In alcuni casi sono i processi di gentrificazione a prevalere: i nuovi ricchi
colonizzano aree prima di esclusivo
accesso delle fasce più disagiate, convogliano lì nuove risorse, private e pub-
bliche, ne cambiano l’aspetto e finiscono col cacciare i vecchi abitanti (se ciò
non è già avvenuto in precedenza per
mano dello Stato). Altre volte invece le
distanze sono troppo forti, il metodo
del “vaccino” insufficiente e la convivenza, seppur basata sulla distanza, impossibile. E allora i nuovi e vecchi ricchi
escono dal centro, “allungano” la città,
costruiscono dei sobborghi e li corazzano fino a trasformarli in vere e proprie
flp magazine 25
città fortezza. Sono i nuovi muri questi,
sempre più comuni e sempre più alti.
Costruiti non per ragioni politiche, per
dividere Stati o etnie, ma per ragioni
economiche, per marcare una differenza di classe sempre più forte e inconciliabile con la convivenza. Sono i muri
delle gated communities, comunità residenziali chiuse e protette da cancelli,
fili spinati, disseminate di telecamere
e spesso presidiate da polizie private a
tutela di gates, dove si è sottoposti ad
accurati controlli.
Jean-Luc Godard nel 1965, un’epoca le
cui distopie contemplavano ancora la
dittatura, il controllo, il panopticon,
e durante la quale la pervasività della
tecnologia cominciava ad incutere timore. Il film racconta le imprese di un
agente segreto all’interno della città
Alphaville, capitale di un’altra galassia,
regolata in tutto e per tutto dal controllo di un super-computer, Alpha 60.
Nel corso della storia l’agente prova a
combattere tale comando verticistico e
Godard chiaramente fa del suo film di
fantascienza una critica al potere. Oggi
invece gli abitanti di Alphaville scelgono di essere controllati, di rinunciare a
parte della loro libertà, limitata dall’onnipresenza di telecamere e dalla smania dei controlli, in virtù del bisogno di
sicurezza che la società contemporanea
produce in loro.
Negli Stati Uniti d’America sono ormai diffusissime e affollano costantemente gli annunci delle più importanti
agenzie immobiliari. Un processo partito già dagli anni ‘60 e che vede oggi
coinvolti almeno 8 milioni di residenti,
di cui mezzo milione nella sola California. Un ampio mercato si sta sviluppando anche nel sud del mondo, dove le
A partire dalla metà degli anni ‘80
distanze sociali sono ancora maggiori e infatti a San Paolo si è registrato un audove alle differenze di classe si accom- mento della criminalità. Ancora oggi la
pagnano ancora le divisioni etniche.
città è percepita come molto pericolosa. Secondo una inchiesta condotta su
In Brasile una delle prime e più famose gated communities è quella di
Alphaville, vicino San Paolo. Questo
condominio fechado è collocato a 23
Il rischio del
chilometri e mezzo dalla caotica metropoli di oltre 11 milioni di abitan“separatismo alla
ti. L’impresa Alphaville Urbanismo
Alphaville” è quello di
Corporation (AUC) è sul mercato dal
mettere in discussione
1978. Oggi è composta da 33 distinte
il concetto stesso di
aree recintate, all’interno delle quali
vivono oltre 20mila persone. Non più
cittadinanza, ciò può
un semplice quartiere residenziale, ma
rappresentare la fine
un vero e proprio centro cittadino, con
dell’uomo pubblico
una zona commerciale che ospita 2300
imprese, 11 scuole ed un’università: un
e l’affermazione
flusso giornaliero di 150mila persone.
di un più marcato
Un grande successo per l’azienda ideindividualismo.»
atrice, che ha poi prodotto altre gated
communities in altre città brasiliane:
Aracaju, Campinas, Sao José dos Campos, Ribeirao Preto, Rio de Janeiro, Go- tremila paulisti dal Centro di politiiania, Londrina, Curitiba, Maringá, Belo che pubbliche dell’Istituto di ricerHorizonte, Natal, Fortaleza, Gramado, ca e sondaggi (Insper) il 53% degli
Salvador, Manaus. Alphaville rimane abitanti di San Paolo è stato vittima di
la più grande, circondata da un muro un crimine almeno una volta nella sua
di 40 miglia, con 960 guardie a dispo- vita. Nel 64% dei casi le vittime hanno
sizione e con un nome stranamente preferito non denunciare alla polizia
autoironico. Alphaville è infatti il tito- l’accaduto, e nei casi di furto in casa la
lo di un film di fantascienza diretto da percentuale sale all’80%: c’è sfiducia
«
First Line Press
nei confronti delle forze dell’ordine se
non addirittura paura di possibili rappresaglie da parte dei criminali. I reati
più diffusi sono il sequestro lampo, la
rapina in strada ed in generale i reati
contro il patrimonio. Sono molto diffuse le rapine nei ristoranti, sia di lusso, che popolari. Ma soprattutto sono
diffusi furti e sequestri per strada. San
Paolo è una delle città al mondo in cui
gli spostamenti sono maggiormente
effettuati con mezzi privati. I residenti più poveri si affidano al trasporto
pubblico, che però non è sufficientemente sviluppato e costringe a viaggi
all’interno della città che durano ore.
Inoltre i mezzi pubblici sono percepiti
come estremamente pericolosi e quindi
la classe media opta quasi sempre per
l’acquisto di automobili: un mercato
che a San Paolo è davvero impressionante. Si calcola che sulle strade della
metropoli circolino ogni giorno circa
3,5 milioni di auto e che altre 800 ne
vengano acquistate quotidianamente.
Un flusso che ha plasmato il panorama
cittadino, afflitto dalla totale congestione stradale e dall’inquinamento atmosferico (secondo il patologo Paolo Saldiva ormai la tossicità dell’aria è tale da
produrre tra le 7 e le 10 vittime al giorno). Inoltre negli ultimi 30 anni la popolazione è cresciuta del 23%, i sistemi
autostradali del 25% e il numero delle
automobili del 280%, trasformazioni
che accentuano ulteriormente l’immagine di San Paolo come megametropoli
caotica e stressante.
Tuttavia l’utilizzo dei mezzi privati
non rappresenta affatto una fonte di sicurezza personale: molto diffuse sono
le rapine proprio a coloro che sono bloccati nel traffico con la loro macchina,
nonché i “rapimenti-lampo”. Il “sequestro express” è un delitto molto comune in Brasile: fino al 2006 il ministero
dell’interno ne ha registrato il costante
aumento del 20% all’anno, 500 al mese
nella sola San Paolo (una media di 17 al
giorno), con un movimento di circa 50
milioni di euro annui in riscatti. Le vittime predilette sono i piccoli imprenditori o i dirigenti di azienda: secondo
le statistiche i rapinatori sono nel 70%
improvvisati, piccoli delinquenti che
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flp magazine
vogliono fare cassa velocemente, anche
se cominciano a diffondersi bande specializzate. Il modus operandi è sempre
lo stesso e molto immediato: dopo aver
sequestrato una vittima vengono contattati i parenti, richiedendo loro cifre
non troppo elevate, in modo da ottenerle facilmente ed in tempi ristretti,
senza avere troppi problemi.
Un fenomeno che genera un panico diffuso tra la classe media che ha
prodotto la proliferazione del mercato delle “auto sicure”: da quando nel
1999 i figli del banchiere Jorge Paulo
Lemann hanno sventato un rapimento grazie alla loro auto blindata antiproiettile, la domanda di questo tipo
di vetture è aumentata verticalmente:
il Brasile ne è diventato il più grande
mercato al mondo, superando Colombia, Messico e Stati Uniti. Nel 2012 ne
sono state vendute circa 3000 e la domanda cresce del 15% l’anno, al punto
che le aziende produttrici sono salite,
dal 1999, da 8 a 40. L’offerta di rivolge
oggi anche alla classe media, rappresentando a sua volta un problema di
sicurezza pubblica. Spesso infatti alle
aziende produttrici vengono richiesti
gadget che da strumenti di autodifesa
possono velocemente trasformarsi in
armi: come le auto munite di spray tossici. Una preoccupazione in più per le
amministrazioni che stanno pensando
di richiedere a tali aziende automobilistiche i dati personali di tutti coloro
che acquistano uno dei nuovi mezzi
blindati: nelle mani della criminalità
potrebbero diventare una nuova spina
nel fianco per le forze dell’ordine.
La upper class tuttavia non si accontenta, infatti ha spostato una considerevole parte del trasporto urbano
negli eliporti. Si calcola che a San Paolo
siano operativi circa 450 elicotteri, solo
New York supera questa cifra. Ci sono
due eliporti attivi, due in costruzione,
e inoltre molti degli edifici di questa
parte della società (grandi aziende,
alberghi di lusso) ne forniscono uno
proprio, la stessa Alphaville ne dispone
di uno. Così l’alta borghesia ha la possibilità di staccarsi del tutto dal contesto
in cui vive, limitandosi a guardare la
firstlinepress.org
città dall’alto e confrontandosi esclusi- rezza pubblica danno prova di produrvamente con gli ambienti a cui appar- re risultati concreti. Tuttavia se la classe più ricca preferisce investire nella
tiene.
sicurezza privata, non si corre il rischio
Alphaville rientra in questa pro- che perda interesse (o magari si opspettiva di vita: di fronte ai pericoli ponga) nell’investire pubblicamente su
della più grande metropoli del sud del quella dell’intera città? In altre parole il
mondo, dei suoi sincretismi, delle sue rischio del “separatismo alla Alphavildisperazioni, la fascia più ricca della le” è quello di mettere in discussione il
popolazione preferisce isolarsi, arroc- concetto stesso di cittadinanza, ciò può
carsi su se stessa a difesa dei propri rappresentare la fine dell’uomo pubbliprivilegi. Una scelta in fondo difficile co e l’affermazione di un più marcato
da criticare, ma che comunque apre individualismo. Un processo questo,
una serie di nuove problematiche e di innescato forse dal fallimento dello Stainterrogativi. Innanzitutto sebbene la to, incapace di garantire la sicurezza
criminalità a San Paolo sia molto diffu- dei propri cittadini, ma che finisce per
sa, le amministrazioni negli ultimi anni metterne in discussione lo stesso ruolo,
stanno facendo un buon lavoro nel ri- producendo irreversibili trasformaziodurla: dal 1999 al 2009 il numero degli ni sociali.
omicidi è diminuito dell’80%, passando
Se le gated communities aspirano a
da 52,58 a 11,5 ogni 100mila abitanti.
Secondo l’Istituto Sou da Paz Iança, diventare autonome, aumenta la coma permetterlo sono state diverse po- petizione tra fornitori di beni pubblici
litiche: gli investimenti per rafforzare e fornitori di beni privati, producendo
l’efficienza della polizia, quelli nella una nuova forma di segregazione fonprevenzione del crimine, i cambiamenti data sull’accesso ai servizi. Secondo
demografici e il piano di controllo delle alcuni autori della Teoria Critica Urarmi che lo stesso Istituto ha lanciato: bana le gated communities rappresengli opportuni investimenti nella sicu- terebbero allora un esempio di “spazio
BRASILE | São Paulo City (Foto di Klaus Balzano)
flp magazine 27
di neo-liberismo”, in quanto fondate
sull’intensificazione della lotta di classe sulla scena urbana, la crescita della
paura della città e la necessità di protezione. Le conseguenze spaziali sono
la formazione di ghetti, subiti o volontari, lo sprawl urbano (ossia la crescita di metropoli rapida e disordinata),
l’esclusione, la polarizzazione sociale
e la militarizzazione degli spazi. Il sociologo urbano Mike Davis sostiene che
lo sviluppo delle città contemporanee
segue un vero e proprio modello concentrico, basato su un’Ecologia della
paura, produttrice di confini e della
dicotomia spaziale slum-città fortezza.
Tuttavia motivare lo sviluppo delle
gated communities col bisogno di sicurezza, come tentano di fare le agenzie
immobiliari nei loro annunci, è scorretto e limitante. La scelta operata dalle
classi più privilegiate di circondarsi
esclusivamente di propri simili ha anche delle motivazioni prettamente economiche. L’organizzazione dello spazio
in base all’omologazione sociale è una
scelta razionale, in quanto permette
all’interno di un gruppo omogeneo
forme di solidarietà, di assistenza reciproca e di mantenimento dell’identità
culturale. Le scuole neo-weberiane sostengono che se un gruppo si restringe
tra persone socialmente simili è possibile massimizzare guadagni ed opportunità, nonché beneficiare di determinati beni. Dentro alle palestre di lusso
di Alphaville, nei Country Club, nelle
scuole private, non ci si tiene semplicemente lontano dai pericoli della caotica
San Paolo, ma si creano legami sociali
con la propria classe che rafforzano la
propria presenza al suo interno, e conseguentemente i propri privilegi. Le gated communities sono allora dei “club
economici” che cristallizzano ulteriormente le differenze sociali. Il fatto che
inizino ad usufruirne anche i membri
della nuova classe media è un segnale
della sua aspirazione ad elevarsi socialmente e ad abbandonare definitivamente lo status economico precedente, rappresentato dal centro cittadino.
Un’illusione forse, visto che andare al
di là del cancello non vuol dire eliminare le differenze: anche lì esistono quartieri “alti” e residenze più popolari.
Questo fenomeno, che potrebbe
anche essere velocemente etichettato
come “l’aspirazione ad una vita migliore”, rischia di distruggere un più ampio
concetto di solidarietà sociale, che idealmente lo Stato dovrebbe rappresentare: cosa diventeremo se ci trincerassimo nella nostra comunità?
Addio Alphaville. Uno sguardo di
chi la vive e la lascia.
del Brasile: il padre é stato un alto dirigente di una grande corporation e la
madre un’insegnante di inglese nelle
scuole per ricchi. A queste condizioni, e
favoriti dai contatti del padre, nel 1981
la famiglia, due anni dopo la nascita di
João Pedro, ebbe la possibilità di andare a vivere in una pacifica gated community. João Pedro mi racconta infatti
che Alphaville nasce come luogo per i
dirigenti delle multinazionali, le quali
ne favorivano il collocamento vicino
alla loro sede. Continua spiegandomi
come la vita nel quartiere di lusso non
fosse tutta rose e fiori e, anche da un
punto di vista pratico, i problemi non
erano indifferenti:
“Nonostante la ricchezza di Alphaville, essa non è un luogo dove si ha molto da fare. La si può immaginare come
una bellissima Beverly Hills dove i
residenti finanziariamente indipendenti (ossia i genitori) trascorrono la
maggior parte del loro tempo lontano
per lavoro, tempo libero o per viaggi,
mentre le persone non autosufficienti economicamente (ossia i bambini e
gli anziani) vivono incarcerate a causa delle sue enormi dimensioni. Viene
addirittura chiamata bolla per questo
motivo. L’organizzazione di Alphaville si
basa fortemente sulla sicurezza armata
privata nonché sulla presenza di poliziotti regolari al di fuori delle mura di
confine. Le guardie di sicurezza private
non fanno che girare dentro e fuori le
comunità tutto il giorno a bordo di auto
e moto per ulteriori controlli. In Brasile si può avere la patente a 18 ann, e
la distanza media di una residenza dai
confini è di 1,5 km: nelle vicinanze non
ci sono negozi. Se non si ha una macchina non si può fare molto e le strade sono
tali da non consentire l’utilizzo di biciclette. Le infrastrutture sono un grande
problema. Che tu ci creda o no ancora
oggi sono ricorrenti i black out e la scarsità di acqua, soprattutto per le comunità Alphaville di più recente costruzione,
posizionate in salita”.
João Pedro oggi vive e lavora a Santa
Catarina, una regione nel sud del Brasile che si affaccia sulla costa atlantica. In
passato però ha studiato all’USP, l’università al centro di San Paolo, e ancora prima ha vissuto con i suoi genitori
dentro Alphaville, la grande gated community nei sobborghi della città. João
Pedro comincia a raccontarmi come la
sua storia si sia intrecciata con il “condominio fechado” Alphaville, il cui pensiero ultimamente produce in me tante
Secondo João Pedro infatti l’ammidomande. Per un determinato periodo nistrazione della gated community è
la famiglia del mio ospite è stata parte ostacolata dai suoi rapporti territoriali
di quella sottile fascia di privilegiati con le città che la ospitano: collocata in
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flp magazine
una zona di frontiera tra Santana de
Parnaiba e Barueri, essa rappresenta una vera e propria miniera d’oro
per entrambe le amministrazioni,
che si mantengono soprattutto grazie alle tasse che provengono da lì,
ufficiali o derivanti da meccanismi di
corruzione. Perciò, quando a fronte
dell’inadeguatezza dei servizi la comunità ha cercato di trasformarsi in
una vera e propria città, il tentativo
è stato “ferocemente soffocato” dai
politici locali.
«
Motivare lo
sviluppo delle gated
communities col
bisogno di sicurezza,
come tentano di fare
le agenzie immobiliari
nei loro annunci, è
scorretto e limitante.
La scelta operata dalle
classi più privilegiate
di circondarsi
esclusivamente di
propri simili ha anche
delle motivazioni
prettamente
economiche.»
Le grandi distanze su cui è disposta
la comunità rappresentano una difficoltà soprattutto per i lavoratori dipendenti provenienti dall’esterno, guardie
private, impiegati, badanti, addetti alle
pulizie, che non dispongono di mezzi
propri: “Gli autobus non entrano all’interno della comunità, costringendo i lavoratori esterni a camminare per un chilometro e mezzo fino alle entrate, dove
quando se ne vanno vengono accurata-
BRASILE | St.Pauli - Esso Tanke. (Foto di igowherehugo)
mente perquisiti per accertare eventuali
furti. Il progetto di una metropolitana
è stato boicottato da coloro che non
volevano i poveri di Barueri, Santana
de Parnaiba o Carapicuíba all’interno
dei confini. Carapicuíba è una cittadina
povera più vicina dei centri urbani Barueri o Santana de Parnaiba, che non
riceve alcuna imposta da Alphaville ed
è un luogo molto degradato. Sono molte
le persone provenienti da Carapicuíba e
Barueri e alcuni da Santana de Parnai-
firstlinepress.org
ba che lavorano come custodi delle case
di Alphaville, o nei centri commerciali, e
nei negozi. All’interno di Alphaville vengono trattati come una classe inferiore
ed hanno un reddito molto più basso
di residenti. Non hanno i benefici di un
buon trasporto pubblico perché non rientra tra gli interessi dei motorizzati
cittadini di Alphaville e finiscono per
perdere gran parte delle loro giornate
in pendolarismo, perché sono considerati scarti umani. La loro mancanza di
istruzione li porta a non percepire l’ingiustizia e a considerare solo la buona
opportunità di lavoro”.
Ad Alphaville ci sono circa 6 scuole
private e due pubbliche. Le pubbliche
sono mantenute dai comuni di Barueri e di Santana de Parnaiba. Per questo
motivo possono essere frequentate anche dai ragazzi lì residenti e rappresentano per loro un’ottima opportunità,
dal momento che sono entrambe molto
al di sopra degli standard brasiliani. Le
scuole private sono tuttavia ad un livello nettamente superiore: “la scuola
privata Mackenzie, dove ho frequentato
la scuola elementare, media e superiore,
ha più di 100 aule , 8 laboratori di biologia, 8 di fisica, 8 di chimica, 3 campi
da calcio, 8 piazzole interne, 8 piazzole
per tende, 6 campi da tennis, 4 piscine e
la lista potrebbe continuare all’infinito”.
Ci sono tuttavia ragazzi di Alphaville che frequentano scuole esterne,
ovviamente muniti di tutte le dovute
protezioni sociali: “Coloro che studiano
a San Paolo ci arrivano in autobus, non
sono autorizzati a lasciare il perimetro
della scuola durante le lezioni e poi se
tornano in autobus ad Alphaville. Una
volta lì svolgono attività complementari, come le classi di judo, corsi di calcio,
di inglese, di pittura, ecc. Gli adulti che
lavorano sono spesso dirigenti locali di
multinazionali, e la maggior parte di
lavoro lavorano a São Paulo. La combinazione di entrambi questi ambienti
fa di Alphaville un’area residenziale bella, pulita, molto ricca e vuota,
adatta per passeggiare col proprio
cane ed incontrare in giro solo pochi
bambini ed anziani”.
Una bolla appunto, e chiedendo a
Joao Pedro quali sono o erano per lui i
vantaggi nel vivere lì mi risponde: “È sicuramente un posto tranquillo e sicuro,
adatto ad allevare i figli o per prendersi
cura dei propri anziani. Lì è possibile lasciare la porta d’ingresso aperta, il che
è molto insolito in Brasile. Si può tranquillamente camminare o correre per le
strade a tarda notte senza problemi. Ed
è anche un ottimo posto per nascondersi dalla realtà sociale del Brasile,
flp magazine 29
come succede, paradossalmente, anche nella capitale Brasilia. Inoltre è
un luogo che ti fa sentire superiore,
perché condividi le strade con una
manciata di musicisti, politici, personaggi televisivi, sportivi famosi e
altri influenti VIP brasiliani. Tuttavia
quando ero un ragazzino sembrava assolutamente normale essere lì. Pensavo
veramente che fosse proprio così: ovunque! Poi incontrai il problema del tipo di
ragazzi che vivevano lì, che si sentivano
superiori a chiunque altro, dei veri e
propri marmocchi viziati. Sono rimasto particolarmente colpito, perché mia
madre era un insegnante di inglese alla
scuola d’elité Mackenzie (cosa che permise a me e mia sorella di ottenere una
borsa di studio). I bambini la maltrattavano in classe, per le strade e persino
dentro la mia gated community. Dopo
il college ho avuto una sorta di rigetto.
Ora vedo quel posto come una fabbrica
di idioti ed alcuni dei miei compagni di
università condividono con me questa
idea, ma molti altri si comportano come
una classe superiore. con più diritti degli
altri. Sono inclini ad ogni tipo di corruzione”.
Il forte classismo da parte della popolazione più avvantaggiata è tuttavia
comune in tutto il Brasile, e non solo ad
Alphaville: “In Brasile quasi tutto attiene allo status e all’esibizionismo. Molte
delle persone provenienti da Alphaville
(ma sicuramente non tutte, circa il 60%
direi ) di solito ama essere esibizionista
e può farlo grazie ai soldi dei genitori. Lo
status significa vestiti, auto, frequentare
luoghi dove l’entrata può costare fino a
500 dollari. Io non ho più che una manciata di amici d’infanzia lì . La maggior
parte delle persone che conoscevo lì mi
ha deluso in un modo o nell’altro. D’altra
parte, dire che si è vissuto ad Alphaville
altrove è una calamita per alcune persone. Ecco perché quando mi chiedono
di dove sono di solito rispondo Santana
de Parnaiba. Tuttavia abitare ad Alphaville è ancora uno status simbol. Molte
persone vanno lì anche solo per vederla.
Un tempo era una House Community,
adesso ogni spazio circostante è affollato da edifici molto costosi e di persone
che mirano a quel livello sociale senza
poterselo permettere”.
Cosa impedisce alla classe media
di ricollocarsi a San Paolo?
«Una volta pensavo che São Paulo
mi piacesse, ma in realtà non mi piace. Vivere nel cuore di San Paolo mi ha
esposto ad un ambiente rumoroso, affollato, costoso ed inquinato. La parte
più importante della città si trova tra i
fiumi Tietê e Pinheiros, che sono fogne a
cielo aperto. Andare a lavoro in macchina mi avrebbe portato via circa un’ora
e mezza per 6 km, così ho scelto la mia
bicicletta, ma ciò mi ha esposto a molti
pregiudizi di classe sociale. Spesso sono
stato bloccato dalla guardia al gate
dell’azienda per cui lavoravo, nonostante avessi il badge: non era possibile che
uno col mio reddito andasse in bici.»
Ci sono alternative ad Alphaville?
Rispetto al problema della sicurezza
è davvero l’unica soluzione?
«Non è sicuramente l’unica soluzione e neanche una buona soluzione per
i problemi di sicurezza di San Paolo,
che tra l’altro è una città relativamente sicura. Le sue periferie non lo sono,
ma non certo di quelle aree che si stava
parlando come alternativa. Il senso di
Alphaville è solo quello di rendere le
classi sociali sempre più separate e
creare la falsa idea che fuori sia tutto ok. Alphaville è stato costruito in
questo modo, si vede, ma anche San
Paolo sta andando in quella direzione. Spero che il sindaco Fernando
Haddad riesca a far tornare indietro
questo processo. La questione è che
alla gente piace sentirsi ricca e privilegiata. La segregazione di classe è
un bel modo per nascondere i problemi della società. Come dire: se non è
qui, non è un mio problema»
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30
flp magazine
CANADA
Stretti tra lo Stato e
le multinazionali
Le riserve e la lotta anti-fracking dei
Nativi Elsipogtog: ecologia, futuro e
autodeterminazione
Domenico Musella
T
utto il mondo è paese. Ma, allo
stesso tempo, Paese che vai,
usanza che trovi. Questi due
adagi popolari, che rappresentano in
estrema sintesi due concetti chiave
dell’antropologia culturale, vanno tenuti ben presenti per molte delle questioni internazionali, ma in particolar
modo per la vicenda che sto per raccontarvi. Una storia che ha avuto uno
dei suoi momenti più critici qualche
mese fa, ma che dura da anni e continua ancora, quasi inesistente nei media
mainstream, o trattata nei soliti toni essenzialisti e offensivi verso un popolo
che rivendica diritti.
Métis, frutto delle unioni tra indigeni e
primi colonizzatori europei. Tra le Prime nazioni del New Brunswick ce n’è
una che si chiama Elsipogtog, “fiume di
fuoco” nella lingua parlata dal gruppo
etnico dei Mi’kmaq, cui appartiene.
Gli Elsipogtog, come altre nazioni
indigene, vivono sia in contesti urbani
con le altre componenti della popolazione, sia nelle famose riserve. Sulla
carta si tratta di aree gestite completamente dai Nativi, regolamentate e
tutelate in base all’Indian Act del 1876,
più volte riformato, e a trattati bilaterali stipulati dal Canada con le singole
nazioni. Nella realtà, però, queste leggi
Tracciamo brevemente le coordina- molto complesse sono pervase da una
te per orientarci. Ci troviamo in Canada, logica piuttosto paternalista e assiminella provincia marittima sudorientale
del New Brunswick. In queste terre,
oltre ai discendenti dei colonizzatori
europei anglofoni o francofoni e a chi è
Le riserve costituiscono
arrivato da percorsi migratori, vivono
circa 20.000 Nativi americani. Quelli
un altissimo e
che ci hanno abituati a chiamare “inspessissimo muro,
diani d’America”, gli abitanti originauna separazione netta
ri della regione e che oggi in Canada
tra i “veri” canadesi,
sono più o meno 1 milione, il 4% circa della popolazione totale. La magdi cultura europea, e
gior parte di essi è rappresentata dalle
gli “altri”, inferiori: i
First Nations, le “Prime nazioni”, che
Nativi.»
hanno un’origine diversa rispetto agli
Inuit, abitanti delle zone artiche, ed ai
«
firstlinepress.org
flp magazine 31
lazionista, che mantiene perfettamente
in vita il rapporto colonizzatore-colonizzato di un tempo. I vari conquerors a
partire dal 1500 e poi lo Stato federale
canadese dal 1867 hanno sempre cercato di reprimere e di portare all’estinzione la cultura aborigena, presente
da millenni nell’area. E lo hanno fatto
in vari modi. Le indian reserves sono
forse il più ipocrita di questi: sotto
l’apparente tutela culturale, l’autogestione e la possibilità di praticare uno
stile di vita tradizionale intriso di natura e spiritualità, il sistema di riserve
costituisce un altissimo e spessissimo
muro. Uno strumento che consolida
una separazione netta tra i “veri” canadesi, ossia quelli di cultura europea,
e gli “altri”, quelli inferiori: i Nativi. Si
potrebbe passare giornate intere a parlare di tutte le forme di disuguaglianza
e discriminazione messe in atto contro
le popolazioni native, dietro la facciata
di uno Stato multiculturale, federale e
ricco. Modalità che formalmente sono
cambiate nel corso della Storia, ma che
portano sempre e comunque il marchio
della violenza e del razzismo.
Ai nostri giorni, il muro che divide
un cittadino canadese a tutti gli effetti da un Nativo, al di là di quello fisico
che separa le riserve dal resto dei territori, si compone di mattoni molto pesanti. Tra questi vi sono le numerose
restrizioni, come ad esempio quelle
legate alla libertà di spostamento e alle
migrazioni. Altri riguardano invece le
condizioni economiche e sociali dei
Nativi, che in moltissimi casi consentono a stento la sopravvivenza. Stiamo
parlando di salari e potere d’acquisto
CANADA | Manifestazione di #Elsipogtogsolidarity a Montreal
(Foto di Howl Arts Collective)
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sistematicamente inferiori a quelli dei
non-Nativi; di tassi elevati di disoccupazione e di dipendenza quasi totale
dal Welfare statale per la sussistenza;
di un sistema scolastico e di protezione dell’infanzia che lascia a desiderare
e che è costantemente soggetto a riduzioni di budget; addirittura di difficoltà ad avere acqua potabile, a causa di
infrastrutture idriche fatiscenti. Ogni
anno sui rapporti di Ong come Amnesty
o Human Rights Watch possiamo leggere varie pagine sulla continua e sistematica violazione dei diritti delle
popolazioni indigene in Canada, negli
ambiti più disparati. Un capitolo tra i
più ripugnanti è sicuramente quello
che riguarda le violenze sulle donne
aborigene: abusi, maltrattamenti, rapimenti, omicidi, con le forze dell’ordine che lasciano fare, quando non sono
direttamente coinvolte. È proprio su
queste donne che si proietta l’ombra
lunga di quel genocidio portato avanti nei secoli scorsi da Stato e Chiesa.
Un fenomeno che la Storia ufficiale ha
nascosto, ma che con il suo apparato
di assassini, torture, discriminazioni e
collaborazionisti ha rappresentato fino
a poche decine di anni fa un vero e proprio Olocausto, sempre in nome di una
non meglio precisata superiorità di una
“razza” su di un’altra, di una cultura su
di un’altra.
Fin qui ci siamo occupati, grosso
modo, di uno solo dei proverbi, quello
sul Paese e le sue usanze caratteristiche. Sebbene i genocidi, la discriminazione e la violenza abitino purtroppo
vari angoli del globo, quelli diretti contro i Nativi americani hanno le loro peculiarità, e si contraddistingono inoltre
per il loro essere sconosciuti ai più: non
solo a noi in Europa, ma molto spesso
anche nello stesso Nord America. Dove
invece in misura maggiore “il mondo si
fa paese” è nella parte più recente della nostra storia. Una parte nella quale
il sistema neoliberista, sostenuto e
vivificato dagli Stati, estende il suo
saccheggio ai danni dei popoli al limite estremo della conquista, a quei
beni essenziali che dovrebbero essere comuni: la terra, l’acqua, l’aria.
Come se non bastasse la situazione di
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32
flp magazine
controllo e sottomissione che i Nativi vivono nelle riserve, il Canada e le
grandi corporations non placano i loro
appetiti sulle terre degli indigeni. A far
loro gola sono soprattutto i sottosuoli,
i boschi e i corsi d’acqua: quelli all’interno del perimetro delle riserve sono
infatti i più ricchi di materie prime, dal
legname ai minerali agli idrocarburi.
Su firstlinepress.org all’inizio del
2013 vi abbiamo già parlato del Jobs
and Economic Growth Act, conosciuto
anche come Bill C-45: lo strumento
legislativo del governo conservatore
di Stephen Harper che rende molto più
facile appropriarsi di porzioni di territorio delle riserve, sfruttarne le risorse,
navigarne i canali, costruire impianti
industriali e cementificare a più non
posso. Abbiamo raccontato anche la resistenza pacifica dei Nativi, ovviamente
non consultati per il provvedimento,
con la campagna Idle No More! («Mai
più passivi!») che è partita da quattro
donne e ha poi raccolto molta solidarietà in tutto il Nord America e in giro per
il mondo.
L’articolo I Nativi Del Canada Ora Alzano La Voce: «Mai Più Passivi!» è
consultabile al link: Http://Firstlinepress.Org/INativi-Del-Canada-Ora-Alzano-La-Voce-MaiPiu-Passivi ]
L’offensiva della coppia Stato-multinazionali continua però imperterrita, e
da qualche anno ha preso di mira, tra
gli altri, proprio le riserve della nazione Elsipogtog del New Brunswick. Il
motivo: tra i 2.000 e i 4.000 metri di
profondità sotto queste terre vi sarebbero grandi giacimenti di gas di scisto.
Lo shale gas, forse il più grande abbaglio degli ultimi anni, è stato presentato qualche anno fa come una “fonte di
energia pulita”, l’ultima frontiera del
combustibile, tanto che Barack Obama
vi ha basato la sua politica di autosufficienza energetica da qui al 2030, cercando di svincolare gli Usa dal petrolio
mediorientale, seguito poi da molti altri capi di Stato. Peccato che di “pulito”
il gas di scisto non abbia proprio nulla.
Il complesso procedimento necessario
ad estrarlo, denominato fracking (contrazione di hydraulic fracturing, fratturazione idraulica), prevede l’utilizzo di
enormi quantità d’acqua mista a sabbia
e svariati composti chimici, molti dei
quali tossici e persino cancerogeni. Il
fluido così ottenuto viene “scagliato” in
profondità a velocità e pressioni consistenti in modo che la roccia, lo scisto
appunto, si rompa e faccia fuoriuscire
il prezioso gas depositato sotto di essa.
L’ingente spreco di quella stessa acqua
che i Nativi in molti casi non riescono
a bere, se non in bottiglia, basterebbe
da solo a rendere questo processo di
CANADA | Elsipogtog solidarity Montreal (Foto di Thien V Howl Arts Collective)
firstlinepress.org
«
Il Canada dal 2010
ha concesso 1milione
e 400mila ettari
di terre dei Nativi
del New Brunswick
all’esplorazione del gas
di scisto della SWN»
estrazione del gas del tutto insostenibile ed energeticamente sconveniente. Si
aggiunga poi che le sostanze chimiche
tossiche utilizzate nel fluido non scompaiono nel nulla, ma vanno a contaminare il suolo e le falde acquifere, mettendo a rischio agricoltura e forniture
di acqua potabile. Neanche l’aria nei
pressi del giacimento è esente da danni: non solo le componenti volatili del
fluido tossico si disperdono nell’atmosfera, ma in più la perforazione delle
rocce causa la fuoriuscita di gas serra
come il metano, con tutto il loro strascico di piogge acide, riduzione dello strato di ozono, surriscaldamento climatico etc. Insomma, l’estrazione di questo
combustibile, comunque inquinante,
causa già di per sé un enorme impatto
sull’ambiente e sulla salute delle persone.
Noncurante di tutto ciò, lo Stato
canadese ha concesso dal 2010 in poi
circa 1milione e 400mila ettari di
terre dei Nativi del New Brunswick,
un settimo della provincia, agli impianti di esplorazione del gas di scisto della SWN Resources Canada, filiale del
gruppo texano Southwestern Energy.
Consapevoli dei danni di questa iniziativa, un vero attentato all’ecosistema
ed al suo futuro, ma anche alla vita degli esseri umani, alla democrazia e alla
sovranità indigena, fin da subito gli abitanti della zona si sono mobilitati. Dibattiti, petizioni, manifestazioni si sono
susseguite negli anni, ma né l’azienda,
né le autorità federali, né il premier
del New Brunswick hanno voluto sentir ragioni. Anzi, hanno ripetutamente
negato che si potesse svolgere una con-
flp magazine 33
sultazione popolare sulla possibilità
di concedere il territorio agli impianti
SWN. Diversi sondaggi hanno dimostrato che in un eventuale referendum
i due terzi dell’intera popolazione del
New Brunswick, non solo delle riserve,
avrebbe votato contro. Non si sarebbe
trattato, quindi, di un mero capriccio di
quei piantagrane dei Nativi...
Di fronte al “muro” delle istituzioni, la risposta della popolazione
in rivolta è stata quella della disobbedienza civile. Dal giugno 2013 gli
Elsipogtog hanno cominciato a recarsi
fisicamente nei pressi degli impianti del
potente gruppo energetico statunitense, armati solo di striscioni, tamburelli
e piume d’aquila, per contestare l’ennesimo progetto, imposto, di furto delle
risorse dopo 400 anni e più di colonialismo. La multinazionale e le autorità
continuano a ignorare le rivendicazioni
popolari, anche reprimendo e arrestando all’occorrenza. Il 29 settembre 2013
i Nativi decidono di mettere in piedi
un accampamento proprio davanti
agli impianti di rilevamento sismico
della SWN a Rexton, sulla Highway
134. Decine di persone si stabiliscono
lì, con tanto di tende e fuoco sacro per
le cerimonie religiose, per impedire
ai camion dell’azienda di entrare e
uscire dagli stabilimenti. Una strategia nonviolenta, ma non per questo
meno dura e determinata, per far sentire la propria voce. Un blocco dell’attività di ricerca che costa all’azienda
ben 60.000 dollari al giorno e mette i
bastoni tra le ruote all’iniziativa statale.
La risposta del governo locale che spalleggia la SWN, oltre ai soliti arresti, è un
decreto ingiuntivo, peraltro di scarso
valore legale: i dimostranti sono invitati a interrompere il boicottaggio delle
attività della multinazionale, altrimenti
cinque giorni dopo verranno decisi dei
provvedimenti punitivi. I manifestanti
non si lasciano intimidire, e continuano civilmente le loro proteste, senza retrocedere di un passo ma accordandosi
con le forze dell’ordine per garantire la
circolazione stradale e la sicurezza dei
lavoratori dell’impianto.
scadenza dell’ingiunzione, il 17 ottobre, poco prima dell’alba, l’accampamento degli inermi Elsipogtog è
letteralmente preso d’assalto da un
centinaio di poliziotti, molti dei quali
in tuta mimetica e spuntati all’improvviso dai boschi. Si tratta di un vero
e proprio raid della Royal Canadian
Mounted Police (RCMP), forza militare
di polizia equivalente ai nostri carabinieri, che crea scompiglio nel gruppo
di manifestanti puntando fucili e cani,
Fatto sta che il giorno prima della utilizzando lacrimogeni, proiettili di
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gomma e spray urticanti, aggredendo e
malmenando. 40 persone vengono arrestate durante questa violenta retata
(altre 40 hanno subìto la stessa sorte
nell’arco di tutte le proteste anti-fracking, dalla primavera 2013 ad oggi).
Giornali e tg canadesi mostrano prevalentemente le auto della polizia in fiamme, molto probabilmente incendiate
con delle molotov lanciate da infiltrati
appartenenti alle stesse forze dell’ordine. In una conferenza stampa la RCMP,
di guardia agli impianti, racconta che il
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34
flp magazine
CANADA | Rielaborazione di un’immagine di Elsipogtog, dell’artista Fanny Aishaa. La foto originale è stata scattata da Michelin Ossie.
suo intervento repressivo si è reso necessario per sedare i disordini causati
da un gruppo armato di nativi americani, che avrebbe dato il via a violenti
scontri ai danni della polizia e dei lavoratori. A prova del carattere sovversivo dei no-fracking viene mostrato un
tavolo pieno di fucili e munizioni: secondo la polizia sono stati sequestrati
nell’accampamento, ma nessuno finora
ha dimostrato che appartenessero ai
manifestanti. Fatto sta che con un’abile campagna mediatica Stato e SWN
riescono a legittimare la loro strategia
repressiva e la difesa dei loro interessi
economici. La solita retorica di massmedia e istituzioni ha dipinto gli Elsipogtog come un gruppo di violenti
terroristi, che hanno attentato alla
sicurezza e al progresso del Paese,
mentre gli agenti di polizia al servizio
della Corona (sul Canada formalmente
regna ancora la Regina d’Inghilterra),
autori del raid, sono stati dipinti come
eroi, quasi salvatori della patria. La
narrazione dominante e manichea ha
ancora una volta attribuito alle parti in
causa di questo conflitto le etichette di
“buoni” e “cattivi”, “pacifici” e “violenti”.
Ovviamente criminalizzando e danneggiando i Nativi e le loro rivendicazioni.
tutto il Canada e anche oltre, si è mobilitata già dal giorno dopo lanciando
varie iniziative di solidarietà con gli
Elsipogtog del New Brunswick, al
grido Frack off, Canada!. In moltissimi si sono resi conto dell’importanza
della loro battaglia per la giustizia, per
la salvaguardia dell’ambiente e del futuro di tutta l’umanità di fronte ad un
profitto senza scrupoli, per il diritto
all’autodeterminazione di gente colonizzata e sfruttata da secoli. Il duo
Canada-multinazionali, timoroso delle
contestazioni ai suoi piani che non si
sono fermate, ha ulteriormente indurito la sua repressione. Testimonianze riportano che gli arrestati in attesa
di processo, detenuti nelle carceri
provinciali con le accuse di minacce,
aggressione a pubblico ufficiale, sequestro di persona e altri reati, subiscono
un trattamento disumano. Passano la
maggior parte del tempo in isolamento,
non possono praticare i riti della spiritualità aborigena, in alcuni casi hanno
subìto violenze da parte dei carcerieri.
Mentre scriviamo è in corso il processo, della durata di una settimana (31
marzo-6 aprile), sui fatti del 17 ottobre
2013. I due principali imputati davanti
alla corte della città capoluogo Moncton sono i Nativi Germaine ‘Junior’
Buona parte della società civile, in Breault e Aaron Francis. Le ultime noti-
firstlinepress.org
zie parlano di dichiarazioni discordanti
tra gli interrogati appartenenti alla polizia, mentre sono stati ritrovati alcuni
documenti che rivelano come l’attacco
fosse stato organizzato già ben 3 giorni prima. Nel frattempo a dicembre la
SWN Resources ha terminato i suoi
rilevamenti a Rexton, annunciando un
suo ritorno nel sito solo nel 2015, per
le perforazioni. I responsabili della nazione Elsipogtog hanno già annunciato
che non renderanno la vita facile all’azienda e alle autorità: nonostante l’assoluto bisogno di lavoro (i disoccupati
sono l’80%) e casa (l’emergenza abitativa fa registrare casi di appartamenti
in cui vivono 20 persone) non cederanno alle lusinghiere promesse di una
condivisione dei ricavi dal gas di scisto.
Per loro è troppo importante preservare terra e acqua per le generazioni future, fedeli alla massima secondo cui «la
Terra non l’abbiamo ereditata dai nostri
padri, ma ricevuta in prestito dai nostri
figli».
Questa storia ancora non terminata ci mostra il grande paradosso di uno
Stato che taccia un popolo di illegalità e
terrorismo, mentre nello stesso tempo
reprime senza riserve e viola il diritto
cedendo una terra non sua (lo ribadisco: quei territori sono di proprietà
flp magazine 35
«
Di fronte al “muro”
delle istituzioni,
la risposta della
popolazione è stata la
disobbedienza civile»
Guardian: «Le istanze delle Prime nazioni, e la decisione del popolo canadese di
supportarle, determineranno il destino
del pianeta».
dei Nativi, non del Canada) ad una
corporation amica. Un affronto tanto al
diritto canadese (le tutele della Costituzione sui territori aborigeni) quanto
a quello internazionale (la Dichiarazione Onu sui diritti dei Popoli indigeni,
ma anche il trattato Canada-nazione
Elsipogtog). Ma, soprattutto, l’emblema di una parte del pianeta che porta
avanti uno stile di vita e un’abitudine
al consumo insostenibili, e che perciò ha un’insaziabile fame di energia e
di profitto che vuole ottenere a tutti i
costi, passando senza alcuno scrupolo per la devastazione dell’ambiente
e della vita degli esseri umani. Come
non legare questa vicenda a quella dei
NoTav in Val di Susa (anche lì il sabotaggio ad un cantiere equivale al terrorismo e lo Stato ha messo in atto raid di
tutto rispetto), il ricatto lavoro/salute
all’Ilva di Taranto, e ad altri conflitti
ambientali come quelli riguardanti le
discariche e le trivellazioni, per restare in Italia. Come non estendere, per
restare nell’attualità di questi mesi, il
problema al caso dell’Ucraina: anche lì
esistono grandi giacimenti di shale gas
e un governo filoccidentale come quello recentemente instaurato darà molto
meno filo da torcere alle esplorazioni
delle multinazionali dell’Ovest. Si tratta, in tutto il mondo, di partite in cui
è in gioco il nostro avvenire, non solo
nei (fondamentali) termini ecologici,
ma anche per quel che riguarda temi
come la democrazia e l’autodeterminazione dei popoli: tutte questioni legate.
Il caso della nazione Elsipogtog diventa
perciò esemplare, e riguarda non solo
loro, ma tutti noi. Abbattere i muri che
la opprimono rappresenterebbe una
conquista di libertà per tutto il mondo.
Come ha affermato Martin Lukacs sul
PER APPROFONDIRE |
INDIGENOUS NATIONHOOD MOOVEMENT
nationsrising.org
@INMvmt
SACRED FIRE NEW BRUNSWICK
sacredfirenb.com
@SacredFireNB
IDLE NO MORE!
idlenomore.ca
DANGERS OF FRACKING
dangersoffracking.com
BLOG NATIVI AMERICANI
nativiamericani.it
IL LIBRO:
M.JOBERT, L.VEILLERETTE,
Le Vrai Scandale Des Gaz De
Schiste,
PREF. DI JOSÉ BOVÉ, ED. LLL, 2011
I FILM:
GASLAND (2010),
PROMISE LAND (2012),
NO GAZARAN! (2014)
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youtube.com/firstlinepress
36
flp magazine
TERZA PAGINA
Giancarlo Basili:
«Il cinema secondo
me»
Monia Marchionni
G
iancarlo Basili è considerato lo
scenografo ufficiale del nuovo
cinema italiano. Il suo talento è
quello d’immortalare in una scena una
storia intera, talmente vera che lascia
l’amaro in bocca ammettere che è solo
un’illusione. A lui si sono affidati Ferreri, Bellocchio, Avati, Salvatores, Moretti,
Giordana, Amelio, Luchetti, Mazzacurati, Kiarostami; film come Nirvana, Il
Caimano, Palombella Rossa, Io non
ho paura, Enrico IV, Paz, Romanzo
di una strage, La giusta distanza, Il
portaborse, L’Intrepido, Anni Felici
portano tutti la sua firma. Non sono realizzati in un teatro di posa, per via dei
costi troppo alti e ostile lui stesso ad
una certa ricostruzione in studio, ma
con un approccio neo-realista sono nati
sulla strada dove le vecchie archeologie
industriali, i paesi chiusi e i “nonluoghi”
cari a Marc Augé sono intrisi di un’apparente naturalezza. Sembra lui stesso
un attore, ha uno sguardo indagatore,
tipico di chi è abituato ad osservare, occhi vividi, ombreggiati dai capelli color
del latte. Accenna alla sua formazione
all’Accademia di Bologna nel pieno della contestazione del ‘69, con le lezioni
sospese, le università occupate e il lavoro di aiuto scenografo nel laboratorio del Teatro Comunale diretto dal maestro Cochi Fregni. Nel 1979 insieme a
Leonardo Scarpa apre un laboratorio di
scenografia, lavora anche per Ronconi e
Strehler ed è proprio in quel momento
che alla sua porta bussa Marco Ferreri
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per Chiedo Asilo. È la sua prima “visione” – questa è la parola che più utilizza
– realizza Goldrake, un robot di nove
metri in polistirolo così ben fatto da
sembrare reale tanto da lasciare stupefatti sia il regista, che il protagonista,
Roberto Benigni, nel vederlo avanzare
per le vie di Corticella.
L’incontro con Basili avviene nel
“Centro di documentazione scenografica G. Basili - Polo Museale di San Francesco”, a lui dedicato e fortemente voluto dal comune di Monte Fiore dell’Aso,
nel borgo marchigiano che gli ha dato i
natali. Nel museo ci sono ricostruzioni
di set scenografici, back stage fotografici, bozzetti, disegni, video e testi inediti che raccontano decenni del nostro
cinema e svelano i segreti di un professionista.
Come nasce la scenografia per un
film?
«Il progetto nasce sempre dalla
sceneggiatura, di solito leggo il copione
una sola volta e poi lo chiudo per non
lasciarmi condizionare dalla scrittura.
L’approccio è subito creativo, faccio
dei sopralluoghi con fotografie, riprese
video, seleziono poi degli itinerari ben
precisi, dopo di che riadatto il tutto in
base alla sceneggiatura. Riprendo in
mano il testo e comincio a leggermi
pagina per pagina nel dettaglio. Per La
stanza del Figlio abbiamo scelto Anco-
«
L’approccio è subito
creativo, faccio dei
sopralluoghi con
fotografie, riprese
video, seleziono poi
degli itinerari ben
precisi, dopo di che
riadatto il tutto in base
alla sceneggiatura»
na dopo aver visto con Nanni tutti i paesi della costa, serviva una piccola città
che fosse attaccata al mare e lo abbiamo
raccontato in un minuto e mezzo, nella
scena iniziale del film quando lui corre,
scritto da copione “in una spiaggia”. Anche per Palombella Rossa abbiamo visitato molte piscine prima di scegliere
quella di Acireale, l’abbiamo riadattata
prendendo dei particolari da quelle che
più ci avevano colpito. E ancora, tutto il
paese dove vive il ragazzino di Io non
ho paura è finto, inventato, collocato
in una distesa di grano, del pozzo esiste
solo il buco, dentro è tutto ricostruito a
spicchi in modo che potesse entrare la
macchina da presa. Questo è il mio cinema, che è nato poi con Nirvana.
Per Nirvana di Salvatores ha cre-
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al soffitto».
Expo Shanghai 2010, il padiglione italiano è stato tra i più visitati.
Visionario e realistico al contempo,
ce ne parli?
ato tanti ambienti diversi nell’area rato a Bruegel. In tutti i film che faccio
dismessa dell’Alfa Romeo di Milano, l’arte è sempre con me».
come è nata l’idea?
Nell’Enrico IV di Marco Belloc«Nirvana è stato il set più emozio- chio sono interessanti la location e
nante. Abbiamo ricostruito tutto in i giocattoli realizzati a misura d’uouna vecchia fabbrica che oggi non esi- mo…
ste più. Lì ci siamo inventati un mondo
su 150.000 mq. Avevamo fatto tanti
«Ritengo Bellocchio uno dei più
sopralluoghi in giro per il mondo, in grandi registi italiani, insieme ad AmeIndia, in Marocco, per capire se riu- lio, Moretti e Giordana. A lui devo l’inscivamo a realizzarlo, ma i costi erano segnamento del rapporto nel cinema
talmente alti che si parlava al tempo di tra luogo immagine e storia. Decise di
quasi quaranta miliardi di lire. Facendo ambientare a Bologna l’Enrico IV, ini confronti, con i vari posti dove erava- terpretato da Marcello Mastroianni.
mo stati, dissi a Salvatores che questi Ricordo che andava sempre a scrivere
quartieri li potevamo ricavare nell’ex la sceneggiatura da Tonino Guerra, lui
fabbrica dell’Alfa Romeo di Milano, uno cercava un castello, li abbiamo visti
stabilimento che si era evoluto nel tem- tutti dell’Emilia Romagna, niente da
po. Aveva tantissimi stili, dal primo No- fare, troppo tradizionali. Poi un giorno
vecento, fino agli anni ‘60-’70: c’erano i gli proposi la Rocchetta Mattei, verso
sotterranei, gli spogliatoi degli operai. Vergato, costruita da uno strano persoUn posto di una bellezza straordinaria. naggio che inventava tisane per la guaCi siamo inventati una città in verticale rigione. La rocca era caratterizzata da
fatta a piani, sfruttando i luoghi che esi- molti stili e sembrava un castello delle
stevano già, ripulendoli e agendo sen- favole. Quando Bellocchio la vide, deciza modificarli. Nirvana è stato il primo se che sarebbe diventato il suo castello,
film fantascientifico in Italia, usando i riscrisse la storia pensando a questo
primi effetti speciali e alla fine quello luogo. Così ci venne l’idea di costruire
che sembrava reale era il risultato di il cavallo a dondolo a grandezza d’uouna sapiente costruzione scenografica. mo e non di bambino. C’è una scena
Nella scena dove Jimi, il protagonista, bellissima dove Mastroianni comincia
apre una serie di porte, è tutta Pop Art, a giocare con dei gabbiani sospesi, li
da Escher a Lichtenstein, e nei quartie- abbiamo realizzati con le nostre mani,
ri periferici di Marrakesh mi sono ispi- per poi appenderli con dei fili di bava
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«Mi sono meravigliato quando è
uscito il mio nome, di solito è sempre
a carico degli archistar progettare un
Expo. Ho cercato insieme al curatore del Padiglione Davide Rampello di
raccontare una storia di italianità che
non può essere messa in discussione.
L’idea non era quella di un allestimento
istituzionale, ma di un percorso dove
il visitatore passeggiava tra grandi oggetti realizzati in Italia e trasportati in
Cina, come se fossero opere d’arte fini
a se stesse. La gente doveva vivere solo
di sensazioni e poteva toccare quello
che vedeva. Ecco dunque all’ingresso
principale il monumentale fronte scena del teatro di Vicenza del Palladio e
la Cupola del Brunelleschi che grazie ad
un effetto ottico sembrava sospesa nel
vuoto durante la notte. La musica l’ho
raccontata con l’orchestra in verticale
d’ispirazione felliniana. Con una pianta d’ulivo che sfonda un pavimento hitech e un campo di grano ribaltato nel
soffitto ho raccontato la nostra cultura
mentre per le piazze italiane ho preso
spunto da una piccola tela di De Chirico
e l’ho ingrandita fino a venticinque metri per lato. Il governo cinese ha deciso
di non smontare il nostro Padiglione
«
Il paese del ragazzino
di Io non ho paura
è finto, inventato,
collocato in una
distesa di grano, del
pozzo esiste solo il
buco, dentro è tutto
ricostruito a spicchi
in modo che potesse
entrare la macchina da
presa.»
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dopo la fine dell’Expo, adesso è diventato un luogo di interscambio culturale
italo-cinese, dove si alternano mostre.
E’ stato il padiglione più visitato oltre
a quello cinese, con più di otto milioni
di visitatori. Ora sto progettando il Padiglione Zero per l’expo Milano 2015».
studenti di cinema si danno appuntamento anche in occasione del festival
d’estate “Sinfonie di cinema”, che vede
la partecipazione di produttori, attori,
direttori di fotografia con i quali lavoro
e che poi ritornano affascinati dal territorio. Il museo è nato per questo scopo,
non per far vedere le mie cose, ma per
Perché trasformare un monaste- far capire come si fa il lavoro dello scero francescano del Seicento in un nografo. Mi piacerebbe ampliarlo, stiacentro di documentazione scenogra- mo cercando altri edifici nel paese per
fica?
realizzare un percorso itinerante».
«L’idea è nata da una mostra che
feci nel 2002 alla Mole Vanvitelliana di
Ancona, dopo aver lavorato a La stanza
del figlio. L’allora assessore alla cultura Lorenzo Lucarini mi propose di raccontare il lavoro dello scenografo al di
fuori del teatro di posa. La mostra durò
sei mesi, divenne itinerante, facendo
tappa a San Benedetto del Tronto ed
a Bologna. Avevo ricostruito interi set
dei film, la gente passava da una scena
all’altra per arrivare ad una sala cinematografica, dove venivano proiettati
gli spezzoni dei film presenti in mostra.
Quando tutto finì, i set vennero accatastati in un vecchio zuccherificio nel bolognese e ci rimasero per diversi anni.
Fu allora che il Comune di Monte Fiore
dell’Aso mi chiese di allestire in forma
permanente la mostra nel monastero
di San Francesco, e così è stato. Penso
sia una bellissima idea, realizzata in
un paese piccolo, dove gli amanti e gli
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Intanto nel museo cala la sera, le
stanze si svuotano e il ronzio dei faretti caldi rimbalza tra i corridoi. Tra una
riflessione e l’altra sul cinema d’autore,
ognuno si perde nei propri pensieri, seduti su una poltroncina al buio.
«
Nirvana è stato il set
più emozionante.
Abbiamo ricostruito
tutto in una vecchia
fabbrica che oggi non
esiste più. Lì ci siamo
inventati un mondo su
150.000 mq»
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THE QUART SIDE OF THE MOON
THE
QUART SIDE
OF THE
MOON
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STORIA E ILLUSTRAZIONI
A CURA DI HOBO
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HOBO
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Quando assisti ad una partita di calcio popolare, capisci che c’è qualcosa di diverso...
lo percepisci già dal pre-partita...
Un tifoso invade il campo.
SCARICA LA TENSIONE PREPARTITA
SU QUEL PALLONE SOLITARIO...
I tifosi
sono già
sugli spalti...
Ma NEAnche
un pallone
è solo, IN
Quel campo...
Quando nel luogo in cui vivi non solo manca il lavoro, ma mancano anche spazi minimi di socialità
gratuita, libera ed “improduttiva”... allora senti l’esigenza di fare qualcosa...
Quarto (la città Natale
del Quartograd) NON
ha nulla da offrire
ai suoi giovani ...
COsì
PER
NON
SOCCOMBERE...
Il calcio
popolare
va in questa
direzione...
NESSUN
ALTRO FINE,
NESSUNA
SCOMMESSA,
NESSUNA
VOGLIA DI
CALCIOMERCATO...
Partendo da un unico assioma, dice giorgio
rollin (Presidente del Quartograd):
Se gli ultimi
si pongono
degli
obiettivi
condivisi...
...POSSONO
VINCERE!
Su questo, Giulio NUovo (Libera Flegrea)
CI RACCONTA DEI NUOVI PROGETTI
PREVISTI PER I GIOVANI DI QUARTO...
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Solo La voglia
di DIVERTIRSI...
SOLO LA VOGLIA
DI VINCERE
PER SE STESSI
Ci si
autoorganizza!
Il comune di Quarto (commissariato per
Luogo dove (nonostante il sequestro) la camorra
infiltrazioni camorristiche) pensa di destinare continua a sversare rifiuti pericolosi...
una parte dell’ ex cementificio ai suoi giovani
Ma un
altro
regalo
è
previsto
dai
commissari
di
quarto
...
E non
solo
per gli
abitanti
di
quarto,
ma per
tutti
gli
italiani...
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I COMMISSARI
straordinari
con una delibera
in Agosto (2013)
ed il prefetto racconta...
PIANETA TERRA
QUARTO
Navicella spaziale
dei commissari,
mandata dal
ministero
dell’interno
IL NOSTRO
COMPITO
è QUELLO DI
RIPRISTINARE
I PRINCIPI DI
LEGALITà
nel momento
in cui noi
siamo arrivati
a quarto ci
siamo resi
conto che
c’erano
forti sacche
di evasione...
Affidavano la
gestione dell’ Acqua
ad una società mista
(Acquedotti s.c.p.a.),
di cui in seguito
il comune
avrebbe detenuto
delle quote
qUESTI SONO I NUOVI TUTORI DI qUARTO...
E QUESTO NON
ESCLUDE IL FATTO
DI INTERVENIRE
IN MANIERA
STRAORDINARIA
E STRUTTURALE
... e CONTINUI
INTERVENTI DI ABUSIVI
SULLA RETE IDRICA
DI QUARTO,
ORMAI FATISCENTE.
NON ABBIAMO DEI LIMITI
NEGLI INTERVENTI
l’ARCHITETTO eSPOSITO NON VUOL ESSERE
RAFFIGURATO, PARE CHE LA MOGLIE SIA GELOSA.
E QUINDI RISPETTIAMO LA SUA VOLONTà
E POI C’è LA
LEGALITà...
RICORDIAMOCI
LA LEGALITà!
noi Faremo
di tutto per
combattere
l’ abusivismo
e ripristinare
la legalità
MA SU QUALE BASE
AVETE SCELTO L’AZIENDA
“ACQUEDOTTI S.C.P.A.” ?
PERCHè LEI E NON
UN’ALTRA?
L’aCQUA è un
bene pubblico,
ma prima
di tutto
patrimoniale,
per il quale
è imposta
la copertura
del 100%
del costo
L’ABBIAMO SCELTA
sulla base
dei parametri
europei
che la stessa
azienda rispetta
A.T.O. = Ambito Territoriale Ottimale, nel quale vengono riorganizzati
i servizi idrici integrati ed il ciclo dei rifiuti.
la regione campania con la sua futura legge sull’ acqua prevede il
passaggio da 5 a 3 a.t.o. ma anche altre spiacevoli sorprese...
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noi AVREMMO
AFFIDATO LA GESTIONE PER
VENTI ANNI, MA lA DELIBERA
PREVEDEVA CHE LA CONCESSIONE
VENTENNALE SAREBBE CESSATA
NEL MOMENTO IN CUI
L’ATO SAREBBE STATO COSTITUITO
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Nel 2011, mentre i commissari vagavano ancora nello spazio alla ricerca di Quarto,
gli italiani si recavano alle urne per votare l' abrogazione di quattro quesiti,
di cui due sull' acqua...
abrogazione
dell' affidamento della
gestione del servizio idrico
a soggetti privati tramite gara o affidamento ad una società mista pubblico privato (che doveva detenere almeno il
40% della società)
abrogazione dell’ Articolo 154
DeL d. l. 152/2006, che prevedeva la
possibilità per il gestore di ottenere profitti
sull' acqua
14 milioni di “sì”
hanno arginato
la privatizzazione
dell’ acqua
quindi l’ idea che un comune entri in una società privata per gestire l’acqua
è del tutto in collisione con l’esito referendario...
ma dai?
come non...?
così
sembra!
aH, non si
può fare?
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ma forse sulla luna funziona in un’altra maniera...
io per
primo ed
altri cittadini
abbiamo
votato
affinché
l' acqua
rimanesse
pubblica,
quindi c'è
stato un
momento di
ribellione
contro i
commissari
che andavano
in senso
opposto
giulio nuovo
(libera flegrea)
Le associazioni,
i comitati ed i singoli
cittadini hanno fatto
ricorso al TAR, che
non è stato ritirato
nonostante la richiesta della Regione
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Faccia da smile non ce la fa, deve dire la sua
Voi sapete che Quarto è nata
dal post-terremoto
e che tutto è stato costruito
senza un piano regolatore..
Visto che la delibera
non è andata in porto....
abbiamo deciso
di emanare un bando
per affidare la gestione
della rete idrica
ad un’azienda Privata
Voglio
ricordare
la lotta
per la
legalità!
l’Azienda vincitrice del bando
in tre anni dovrà fare i lavori
per mettere a norma la rete idrica
ci rendiamo conto
di che regalo
fa l’azienda
al comune!?
la legalità...
noi ripristeremo
la legalità!
la
riscossione
delle
tariffe
e la
definizione
dei costi
resteranno
in capo al
comune
Figuriamoci come
è stato costruito
l’impianto idrico...
ad oggi,
la delibera
è bloccata
e di questo
famoso bando
non ve ne è
ancora ombra...
Inoltre, altre
nubi plumbee
si addensano
su quarto e la
regione Campania...
i Primi due anni per l’azienda
sono solo di investimento,
non vedrà neanche
l’ombra di un quattrino!
.
la nuova legge prevede che entro un anno dalla loro messa in opera,
gli a.t.o. devono affidare ad un gestore unico (non squisitamente pubblico
,
infatti su questo la normativa è torbida) la gestione dell’acqua. in Campania
la gori spa (proprietà di caltagirone, il quale possiede anche acea spa)
ha in gestione l’acqua di una serie di comuni nell’area vesuviana. quello
che potrebbe verificarsi è la creazione di aree geograficamente e politicamente delimitate in cui questi signori si spartiscono la gestione di un bene,
che doveva invece restare pubblica.
Il referendum doveva essere un
primo strumento per arginare
la privatizzazione del servizio
idrico integrato.
tuttavia, questo strumento
non basta più perché
evidentemente esistono NUove
strade alternative da percorrere.
Strade che vengono spianate
da commissari disinteressati al
consenso dei territori che
tuttavia hanno il compito di gestire,
oppure da politici che condonano
i debiti a grandi società come
la gori spa, ma pretendono
pagamenti attenti e puntuali
da società pubbliche (Abc napoli)
che hanno ereditato debiti
da gestioni precedenti.
due pesi e due misure...
e tu, da che parte vuoi stare?
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First Line Press ha iniziato la sua avventura nel novembre
2012, un modo diverso di raccontare le storie dal mondo e
dall’Italia. L’abbiamo fatto proponendo documentari (uno
sui nuovi metodi repressivi in Europa “Repressione ai tempi
della recessione” e l’altro sulla situazione dei prigionieri politici nei Paesi Baschi “Odissea Basca”), vari videoreportage
(sul caso Veolia da Londra; sui manifestanti spagnoli per
l’università pubblica; sul lavoro degli immigrati in Italia, sugli
intricati scenari egiziani, sulla situazione curda, su problemi
ambientali italiani), reportage fotografici (dagli scontri ad
Atene a quelli di Roma, dal Kurdistan all’Egitto, fino alla Cisgiordania ed alle manifestazioni studentesche italiane) e un
quotidiano approfondimento su cosa succede nel mondo.
La collana di ebook di First Line Press comprende al momento tre titoli: Latitudini dell’immaginario: memorie e conflitti tra
la Jugoslavia e il Kosovo (una lettura dei conflitti nei Balcani
sullo sfondo della dissoluzione della Jugoslavia, che fa della
ricerca-azione il tessuto connettivo tra memoria e comunicazione); Vene Kosovare (racconti di come sia vissuto il Kosovo,
un Paese sparito dai racconti mainstream ed in cui sono presenti ancora i silenzi dell’esclusione) e Idropoli (percorso per
tutta la penisola di domande sui meccanismi economici che,
a seguito dal referendum del giugno 2011, avrebbero dovuto
intaccare il sistema idrico italiano). Gli ebook sono disponibili nell’area download del sito www.firstlinepress.org.
Ci puoi trovare …
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storie che c’imbrattano diventando libere di essere raccontate.
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muri
First Line Press Magazine #1. Dal 14/04.