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flp magazine rivista mensile del giornale online firstlinepress.org Palestina Germania Campania Roma Brasile Canada Terza Pagina il supplemento culturale di First Line Press The Quart Side of the Moon il nuovo fumetto di HOBO @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress Aprile 201 4 rivista mensile del giornale online firstlinepress.org numero 0 | marzo 2014 First Line Press #1 flp magazine magazine Ci occupiamo di conflitti, periferie, volti, storie che c’imbrattano diventando libere di essere raccontate. First Line Press Magazine anno 1 | numero #1 Rivista mensile curata dalla redazione del sito internet firstlinepress.org Redazione giornalistica Lorenzo Giroffi Andrea Leoni Domenico Musella Flavia Orlandi Giuseppe Ranieri Natascia Silverio Illustrazioni Hobo Progetto grafico e layout Domenico Musella In copertina Foto di Andrea Leoni In quarta di copertina Banner di Marta Ghezzi First Line Press è una testata giornalistica regolarmente registrata presso il Tribunale Civile di Santa Maria Capua Vetere Autorizzazione n. 810 del 24/10/2013 Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale firstlinepress.org flp magazine editoriale | #1 Barriere per definizione 1. Costruzione le cui dimensioni longitudinali e di altezza prevalgono in genere sullo spessore; è realizzato mediante sovrapposizione di elementi come mattoni, pietre naturali e squadrate, con o senza leganti; 2. Ciò che per densità, compattezza, altezza o altri elementi può ricordare un muro; 3. (per estensione) Riparo, difesa; 4. (in senso figurato) Barriera, ostacolo. Questo è quello che si trova sullo Zingarelli alla voce muro. Nell’introdurre questo numero tematico di First Line Press Magazine vogliamo innanzitutto riflettere sul senso di questo termine, con definizioni che ci possano orientare. «La tentazione del muro non è nuova. Ogni volta che una civiltà non è riuscita a pensare l’altro, queste rigide difese di filo spinato, di reti elettrificate o di ideologie chiuse si sono innalzate, sono crollate e ora ritornano con nuovi stridori», dicono Patrick Chamoiseau e Édouard Glissant in Quando cadono i muri (Nottetempo, 2008). Un muro può essere tante cose, può esistere in diverse forme e con diverse caratteristiche: vogliamo offrirvene una panoramica, di certo non esaustiva, ma variegata e da diversi angoli di mondo. I muri sono in primis fisici, come quello di 700 km innalzato in Cisgiordania che ricalca con la sua solidità la colonizzazione e l’apartheid delle autorità israeliane. Andrea Leoni ci offre uno squarcio della vita in uno dei campi palestinesi nei pressi del muro, Aida, mostrandoci come alla barriera fisica si accompagnino anche altri ostacoli, che bloccano il futuro del popolo palestinese. Parlando di muri non si può non pensare a Berlino, che dal 1961 al 1989 ne ha ospitato uno storico, che ha diviso il mondo e segnato un’epoca. Un confine che proseguiva nelle menti e nelle persone, come Natascia Silverio ci spiega provando a guardarlo con gli occhi di un tedesco. Con Flavia Orlandi facciamo poi tappa nelle gated communities negli Stati Uniti e in Brasile: la nuova frontiera della segregazione nelle grandi metropoli. Vere e proprie comunità chiuse per ricchi, circondate da muri che in nome del neoliberismo proteggono i “buoni” da fantomatici “cattivi”. Restando nel continente americano, Domenico Musella ci parla delle popolazioni indigene del Canada, storicamente isolate in riserve che discriminano e reprimono. Muri che si sommano a quello delle istituzioni, che respinge ogni richiesta di autodeterminazione, e a barriere di difesa che i Nativi provano a tenere in piedi per sottrarre terra e acqua all’ottusa speculazione di Stato e corporations. Il viaggio di questo numero #1 tocca poi anche l’Italia, affrontando due tipologie di muri. Muri istituzionali, che ostacolano la distribuzione di un bene comune come l’acqua, privatizzandola, e che bloccano la volontà popolare espressasi nel 2011 in un partecipatissimo referendum. Accade in diversi comuni, tra cui Quarto, poco fuori Napoli, tra un commissariamento e la quotidiana resistenza di una comunità, come dal campo ci racconta Lorenzo Giroffi. Giuseppe Ranieri ci presenta invece una seconda possibilità che possono avere i muri, quella di trasformarsi in spazi artistici e trampolino di lancio per azioni politiche dal basso: di questo e non solo si può leggere nell’intervista alla crew di graffiti Partizan, all’opera a Roma. Ma i muri esistono anche per essere abbattuti. E in queste pagine lo facciamo simbolicamente anche noi, aprendo il Magazine non solo ad un’altra forma di racconto, il fumetto, con la vignettista Hobo che dopo gli schizzi sul sito web porta la sua pungente matita anche da queste parti in The Quart Side of the Moon; ma anche ad una nuova pagina culturale, curata questo mese da Monia Marchionni. First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress #1 | sommario 6 PALESTINA Rompere il muro dell’occupazione Il campo profughi palestinesi di Aida: la resistenza all’apartheid e ad altre barriere 10 GERMANIA Il muro e la cortina di ferro Racconti di confini e democrazia nei ricordi di un tedesco 15 CAMPANIA Quando lo Stato è un muro per i referendum Quarto, il commissariamento e l’acqua pubblica 20 ROMA Partizan: graffiti e musica per far rivivere i muri e per lottare Intervista ai creatori di Dans la Rue 24 BRASILE Alphaville: muro di paura o muro di privilegi Le contraddizioni di una gated community flp magazine 30 CANADA Stretti tra lo Stato e le multinazionali Le riserve e la lotta anti-fracking dei Nativi Elsipogtog: ecologia, futuro e autodeterminazione 36 TERZA PAGINA Giancarlo Basili: «Il cinema secondo me» 39 In allegato The Quart Side of the Moon il nuovo fumetto di HOBO First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 6 flp magazine PALESTINA Rompere il muro dell’occupazione Il campo profughi palestinesi di Aida: la resistenza all’apartheid e ad altre barriere Andrea Leoni I palestinesi lo chiamano jidār al-fasl al-’unsūrī ovvero «muro di separazione razziale», molti israeliani invece « ןוחטיבה רדגbarriera di sicurezza». Sostanzialmente è un muro di cemento che si estende lungo il territorio palestinese in Cisgiordania per circa 700 km, costruito dopo la seconda intifada, per la retorica sionista serve a “proteggere lo stato di Israele dagli attacchi kamikaze dei palestinesi”, mentre per i palestinesi, per qualsiasi persona di buonsenso, è uno dei molti esempi di come lo stato occupante, raggirando ogni convenzione internazionale, attui una politica razzista e colonialista: un muro dell’apartheid, come non ha esitato a definirlo anche Roger Waters in un’intervista apparsa il 18 settembre scorso sul giornale israeliano Yedioth Ahronoth. È proprio all’interno di uno di questi muri che sono scoppiati violenti scontri che continuano da giorni: il campo profughi di Aida Camp, due chilometri a nord di Betlemme. Uno dei tanti campi in cui molti palestinesi si sono ammassati nel 1950 credendo fosse una sistemazione provvisoria dopo essere stati cacciati dalle proprie case. L’escalation degli scontri è stata registrata il firstlinepress.org 18 marzo quando un pezzo del muro è stato fatto crollare e la torre dalla quale i soldati israeliani sorvegliano è andata in fuoco (anche se non era la prima volta). L’evento ha avuto un forte valore simbolico, spiega a First Line Press Bilal che lavora all’interno del campo di Aida: «I giovani si sono organizzati molto bene per buttare giù il muro. Si sono preparati per fare un grande buco nel muro affinché i giornalisti puntassero i riflettori non solo per il 30 di marzo [giornata della Terra palestinese, ndr], « È un modo di organizzarsi molto rapido e risolutivo, qui ad Aida per far qualcosa basta parlarsi dieci minuti per strada e dopo mezz’ora non si aspetta nessun permesso, si parte» flp magazine stazione con molti solidali occidentali è testimonianza anche l’utilizzo delle armi nelle ultime proteste: tre militari israeliani sono rimasti feriti gravemente. I giovani non si sono limitati a tirare sassi ma hanno fatto comparsa oltre alle bottiglie incendiarie anche delle bombe artigianali, «Bisogna diversificare cosa succede in un villaggio, in una città o in un campo profughi – spiega Bilal – e queste bombe artigianali non L’azione bisognerebbe comprendevono sorprendere: non è la prima derla all’interno di tutto il contesto volta che sono state utilizzate, pensa della resistenza palestinese oggi in che è a partire dalla seconda intifada Cisgiordania: non è la prima volta che (ma anche prima) che i ragazzi sanno la rabbia nel campo profughi di Aida anche come costruire armi artigianalCamp scoppia in maniera improvvisa e spontanea, al di fuori quasi di qualsiasi mente». Le rivolte all’Aida Camp quindi non sono come «tutte le manifestazioni logica di partito o di comitato popolare. contro il muro che durano un giorno e Gli scontri sono stati “organizzati” con basta: qui continuano e la repressione cura, altrimenti il confronto con l’eserDella diversità rispetto anche ad è forte e indiscriminata, per esempio cito israeliano non sarebbe mai potuto durare per numerosi giorni dalla matti- altri villaggi dove il venerdì della rab- ieri [mercoledì 3 aprile, ndr] hanno na alla sera. Giorni in cui Aida Camp ha bia si trasforma in una piccola manife- arrestato un bambino di 14 anni. Gli israeliani che lo hanno arrestato hanno chiesto una cauzione dell’equivalente PALESTINA | Il muro che separa il campo profughi di Aida con l’hinterland di Gerusalemme di 200 euro, una famiglia con quei sol(Young Shanahan) di ci mangia per un mese, piuttosto di pagare e finanziare così ulteriormente l’occupazione israeliana molte famiglie preferiscono aspettare un mese o due per rivedere il proprio figlio libero». Il bilancio fino ad oggi è di cinque palestinesi arrestati e quindici feriti in modo grave, innumerevoli le intossicazioni dovute all’utilizzo di gas lacrimogeno da parte dei soldati israeliani. non hanno esitato ed hanno organizzato quest’azione per far sì che si potesse mandare un messaggio al mondo: che si dicesse che in Palestina ogni giorno si soffre l’occupazione e non solo il 30 di marzo o il giorno della Nakba, anche perché qui ci sono ancora profughi di 65 anni che aspettano di ritornare a casa». subìto il coprifuoco, misure restrittive per gli abitanti e una forte repressione da parte dell’esercito. E ciò lo conferma anche Bilal: «Se noi torniamo indietro di 14 anni quando c’era l’Intifada e quando fu bloccato il campo profughi di Jenin, il primo campo ad insorgere fu quello di Aida Camp, ma anche quando ci fu l’attacco dello scorso anno a Gaza, Aida Camp insorse subito senza che nessun gruppo politico o comitato dicesse qualcosa. È un modo di organizzarsi molto rapido e risolutivo, qui ad Aida per far qualcosa basta parlarsi dieci minuti per strada e dopo mezz’ora non si aspetta nessun permesso, si parte. Quando c’è qualcosa che non va bene si trova subito la soluzione o come raffrontarci con le forze di occupazione». Chi combatte per strada sono gli shebāb, i giovani, anche se tutta la gente del campo vigila ed è complice: «Anche perché quando scoppiano gli scontri l’esercito spara anche dentro le case dei cittadini del campo. Tutte le famiglie sono vicine a questi giovani, anche loro sono troppo stanche di vedere il muro: li aiutano portando cipolle e limoni e pensano a tutto un tipo di aiuto logistico, c’è chi sta vicino alla finestra e vede da dove arriva la polizia. Ognuno contribuisce e sta contribuendo a modo suo. La gente è stanca. La gente si sveglia e vede il muro, si addormenta vedendo sempre e solo un muro: è come se rinchiudessi un gatto dentro una piccola stanza e lo tenessi per molto tempo lì. Se provi ad aprire la porta First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 7 8 flp magazine quando il gatto esce vuole graffiare tut- a Gaza). La disoccupazione in Palestina tocca livelli impressionanti, un elevato ti: e così noi». numero di gente a Gaza mangia solo La solidarietà, però, i giovani non grazie agli aiuti umanitari, ma anche i l’hanno ricevuta dall’Autorità Naziona- nuovi negoziati con Israele non fanno le Palestinese guidata da Abu Mazen: intravedere una speranza di libertà: «Non ha mai fatto nulla, anzi, hanno «I leader dei partiti – dice Bilal - sono mandato all’interno del campo i loro poliziotti per identificare i giovani che partecipavano agli scontri. Ma poi se l’ANP è interessata alla gente del campo È come se rinchiudessi perché lascia il libero passaggio ai solun gatto dentro una dati israeliani? Cioè all’entrata del campo c’è un presidio di soldati palestinesi, piccola stanza e lo tieni perché quando scoppiano gli scontri per molto tempo lì. loro se ne scappano e lasciano entrare Se provi ad aprire la liberamente i soldati israeliani? Loro porta quando il gatto lasciano Aida da sola ed ora arrestano pure i ragazzi perché si scontrano conesce vuole graffiare tro gli israeliani». Nel carcere a cielo aperto di Gaza la morsa di Israele si fa sentire con numerosi raid aerei (raid militari, non aerei, che provocano morti se ne registrano anche in Cisgiordania) ma anche e soprattutto con l’isolamento e l’embargo, dopo che il partito islamico Hamas ha preso il potere nella regione. Ora la cosa si fa anche più pressante dopo che i Fratelli Musulmani (di cui Hamas è una costola) sono stati destituiti dal golpe militare nel confinante Egitto. Il malcontento della popolazione di Gaza, data la situazione che attraversa, è a livelli molto alti così come per l’ANP in Cisgiordania, come testimoniato da un tutti: e così noi» recente sondaggio del Palestinian Center for Policy and Survey Research di nelle carceri israeliane e con loro il si- Ramallah che evidenzia come le istitugnificato stesso del partito che rappre- zioni guidate da Fatah siano “sull’orlo sentavano». Di nomi ce ne sono molti, del fallimento” politico ed economico. tra i più rappresentativi sicuramente In tutto questo una nuova crisi deMarwan Barghuthi (per alcuni il Man- « La consapevolezza degli abitanti di Aida Camp del fatto che i partiti non siano la risposta alle numerose problematiche che vivono quotidianamente i palestinesi è lo specchio di ciò che pensano in tutta la Cisgiordania (ma anche PALESTINA |La scritta all’ingresso del campo profughi di Aida (Foto di Andrea Leoni) firstlinepress.org dela palestinese) e Ahmad Sa’dat (segretario generale del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, PFLP). flp magazine stabilizza lo scenario politico palestinese: è Mohammed Dahlan, leader di Fatah a Gaza (territorio dei rivali Hamas -c’è da ricordare che i due partiti palestinesi sono in conflitto, vero e proprio, dalle elezioni legislative del 2006) che potrebbe esser la stampella per il partito islamico, sempre secondo gli analisti, per uscire dalla condizione di isolamento. Insomma l’uomo politico di Fatah che andrebbe bene ad Hamas in Cisgiordania una volta terminato il lungo mandato di Abu Mazen, con il quale recentemente si è scontrato. Tariq Dana, ricercatore presso il Graduate Institute of International and Development Studies a Ginevra ha commentato a First Line Press la recente crisi tra Abu Mazen e Dahlan affermando che «non sarebbe esplosa per diversi programmi politici o ideologici, ma di più, si basa sull’influenza politica che esercitano, sul potere e sulla ricchezza. Entrambi sono ugualmente politicamente e finanziariamente corrotti e non hanno alcuna legittimità a rappresentare il popolo palestinese. Tuttavia, i palestinesi vedono Dahlan più pericoloso di Abu Mazen per il suo brutale passato e la sua storia nei servizi. Dahlan sembra essere riuscito ad ot- « I paradossi che vengono fuori da questa società sono numerosi ed il conflitto tra i due partiti che governano Gaza e Cisgiordania è solo quello più evidente, superato solo dall’occupazione sionista» tenere il sostegno egiziano a scapito di Abu Mazen, e ciò è evidente con il ruolo dei media egiziani che non esitano a sostenere Dahlan. Da considerare è che gli stessi media sono controllati dai militari. Ora sembra che ci sia un accordo tra Abu Mazen e Dahlan per fermare la controversia e dirigere il loro attacco contro Hamas». I muri da abbattere per i palestinesi non sono solo quelli materiali, anzi, i paradossi che vengono fuori da questa società sono numerosi ed il conflitto tra i due partiti che governano Gaza e Cisgiordania è solo quello più evidente, superato solo dall’occupazione sionista: «Ci sono molte ragioni per ritenere che non ci sarà riconciliazione tra Fatah ed Hamas in un breve periodo – ci spiega Tariq – e ciò che è successo tra Abu Mazen e Dahlan non avrà alcuna influenza sul rapporto tra Hamas e Fatah. Naturalmente Hamas è felice di vedere Fatah in crisi perché questo andrà a beneficio della popolarità di Hamas in Cisgiordania. Uno dei motivi per cui Hamas e Fatah non avranno presto un accordo è perché ora a Gaza e in Cisgiordania abbiamo versioni politiche e ideologiche completamente diverse e contraddittorie di governance. È molto difficile immaginare un buon rapporto presto, a meno che entrambi considerino l’interesse nazionale palestinese generale: e ciò è impossibile per ora». Per approfondire | Paolo Napolitano, Fatah-Hamas fra radicalizzazione e istituzionalizzazione, in: “Conflitti Globali 7. Palestina Anno Zero”, Agenzia X, Milano, 2010. Day After, Final Report http:// www.pcpsr.org/strategic/papers/2013/ finalreport.pdf Girls throw stones, too di Mya Guarnieri h t t p : / / 9 7 2 m a g. c o m / g i r l s - t h r o w stones-too/88912/?fb_action_ ids=679918135400228&fb_act i o n _ t y p e s = o g. re co m m e n d s & f b _ source=aggregation&fb_aggregation_ id=288381481237582 First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 9 10 flp magazine GERMANIA Il muro e la cortina di ferro Racconti di confini e democrazia nei ricordi di un tedesco Natascia Silverio A partire dagli Anni Sessanta il muro di Berlino rappresentó non solo una barriera fisica ma anche sociale e psicologica. Nello stesso modo, la sua estensione, rappresentata dal confine tra la Germania Ovest e quella Est, influiva pesantemente sulla vita delle persone di quell’epoca. Ció che segue è una raccolta di ricordi di un tedesco che ha voluto ragionare insie- « Mi ricordo che quando ero piccolo la cosa peggiore era essere considerato un comunista. I comunisti rappresentavano il diavolo. Ci insegnavano che le persone che stavano oltre il confine erano comuniste, che avevano il coltello tra i denti e uccidevano i bambini. Storie così, ogni cosa cattiva era rappresentata da loro» firstlinepress.org me a noi sul significato profondo della tra i denti e uccidevano i bambini. Stodemocrazia. rie così, ogni cosa cattiva era rappresentata da loro. Certo, quando il muro di Berlino fu costruito non ero ancora nato ma ho Trascorrevo molto tempo gironzovissuto il periodo che seguiva. Sono cre- lando intorno alla casa di mia nonna. sciuto durante gli Anni Sessanta in una L’area vicino al confine era coperta di piccola città della Bavaria, vicino al con- grandi boschi e io ci giocavo con mio fine che separava la Germania Ovest da fratello; era molto divertente ed intequella Est, la cosiddetta DDR (Deutsche ressante guardare aldilà del filo spiDemokratische Republik, Repubblica nato, perché vedevamo altre persone Democratica Tedesca). Per tanto tempo che peró non avevano il coltello tra i ho vissuto insieme a mia nonna, la sua denti. Eravamo un pó confusi. Avevamo casa era a uno-due chilometri dal con- chiesto anche a nostra nonna che tipo fine. Quest’ultimo è stato sempre parte di uomini c’erano, lei cercava di smordella nostra vita quotidiana. Sai in quel zare il nostro interesse per non parlatempo c’era il confronto tra l’Oriente e re dell’argomento. Non abbiamo mai l’Occidente, la guerra fredda, la Nato avuto risposte alle nostre domande. contro il patto di Varsavia. Il confine Mia nonna preferiva dire di non essere che esisteva era un’estensione del muro coinvolta in politica, per questo non ce di Berlino ed era molto controllato da ne voleva parlare. Diceva che la politica tutte e due le parti: non lo potevi sicu- è sporca e non ne voleva discutere. Era ramente attraversare come si fa con le una sorta di malattia dei tedeschi dopo frontiere attuali. Campi minati, soldati la seconda guerra mondiale: i nazisti armati che sorvegliavano l’altro lato avevano ucciso molte persone, anche in -soldati dell’Ovest che controllavano il Germania, e sai, dopo il 1945, nessuno lato Est e viceversa… si controllavano a era più nazista… le famiglie erano comvicenda per ventiquattro ore. poste a volte da comunisti, socialisti e nazisti, come tutti in Germania… era tra Mi ricordo che quando ero piccolo l’altro anche una società spaccata. la cosa peggiore era essere considerato un comunista. I comunisti rappresenMi ricordo di tutti gli avvenimenti tavano il diavolo. Ci insegnavano che di allora che riguardavano il confine, le persone che stavano oltre il confine non erano molto belli. Quando sei bamerano comuniste, che avevano il coltello bino tutte le cose proibite attraggono flp magazine BERLINO | checkpoint a Friedrichstraße, Berlino, 1961. Stöhr, Wikimedia Commons. Testo sul cartello di propaganda: “Cerchiamo di lavorare insieme per la pace e la comprensione! Il Trattato Tedesco di Pace blocca il militarismo della Germania Occidentale!” estremamente la tua immaginazione. Ci insegnavano di non andare al confine perchè era molto pericoloso. Ma era diventato il nostro pensiero fisso, era molto interessante. Una volta ci sono andato con mio fratello ed abbiamo cercato di andare dall’altra parte. E l’abbiamo veramente fatto ma subito qualcuno ha iniziato ad urlare. “Fermatevi! Non muovetevi!”. Eravamo spaventati, eravamo solo dei bambini. Ma stavano gridando molto forte; non ci siamo mossi perché avevamo molta paura. Dopo qualche minuto abbiamo visto arrivare dei soldati. Avevano in mano qualcosa che sembrava un foglio e facevano dei movimenti strani: prima avanti, poi indietro, a destra e a sinistra. All’inizio non avevamo capito cosa stavano facendo ma poi abbiamo realizzato che stavano venendo da noi. Parlava- no nelle radiotrasmittenti. Dopo un pó sono arrivate delle guardie di confine dell’Ovest. Abbiamo all’improvviso realizzato che eravamo all’interno di un « Non abbiamo mai avuto risposte alle nostre domande. Mia nonna preferiva dire di non essere coinvolta in politica, per questo non ce ne voleva parlare. Diceva che la politica è sporca e non ne voleva discutere» First Line Press campo minato. I soldati della parte Est ci stavano portando fuori dal campo minato con una mappa, in cui erano registrate tutte le mine nel terreno. Con queste strane mosse ci stavano portando in salvo. Sai, era anche un incontro Est-Ovest per questo tipo di cose. In seguito i soldati della Germania Ovest ci hanno preso con loro e hanno chiamato mia nonna dicendole di venirci a riprendere. Quella sera ricordo che abbiamo ricevuto molto botte da mio nonno… ma stavo anche dicendo tra me e me: “allora è vero, non c’è nessuno col coltello tra i denti!” Qualche volta i soldati facevano delle manovre, operazioni militari tutt’intorno al confine. Erano gli americani che effettuavano esercitazioni per dimostrare la loro forza alla parte @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 11 12 flp magazine BERLINO | Muro di Berlino, East side Gallery, 2013. Freepenguin, Wikimedia Commons. Testo dipinto: “Tante piccole persone che fanno tante piccole cose in tanti piccoli posti possono cambiare il volto del mondo. Saggezza africana”. Al tempo veniva effettuata anche propaganda nelle strade, si leggevano dichiarazioni di fronte alle fabbriche. Molte persone ci gridavano: “Se non amate questo paese, allora andatevene dall’altra parte!”. Ma era il nostro paese, perché dovevamo lasciarlo? Questa era la nostra risposta. Era la nostra opinione -potevano accettarla o no, era un’altra questione. Il problema reale era che quando si criticava il sistema in vigore nella Germania Occidentale, la gente gridava di andare dall’altra parte e noi non potevamo accettarlo. Questo tipo di propaganda anti-comunista era profondamente radicato, il risultato di quarantacinquanta anni di attività in tal senso. Est. Carri armati e rumori che provenivano dal bosco a distanza di chilometri. Facevamo anche “affari” con questi ragazzi americani. Dicevamo loro: “Portaci questo, portaci quello”. Rubavo il whisky di mio padre e lo portavo a loro guadagnando 50 dollari con questa mossa! Era fantastico… ma il prezzo che dovevo pagare era quello di essere picchiato da mio padre dopo; con questo ci dovevo fare i conti e anche col fatto che poi lui riduceva la mia paghetta settimanale. L’unica persona a cui dicevo del mio contrabbando era il nonno. Lui rideva e mi aiutava a cambiare il denaro in marchi tedeschi. Poi me li restituiva. Era un segreto tra di noi… queste erano le nostre piccole storie. Gli americani non parlavano tedesco e al tempo non era neanche normale vedere persone di colore. È quello che intendo quando parlo della vita quotidiana al confine, tutti questi piccoli episodi ci influenzavano la vita ma non era così per le persone che vivevano in altri luoghi della Germania. Qualche volta i soldati facevano anche dei test per gli allarmi, le sirene… e noi a scuola facevamo le esercitazioni che simulavano l’attraversamento del confine da parte dei russi. Accadeva negli anni Sessanta e Settanta. Nel momento in cui ho aderito al ra di quello che significava lo scon- partito comunista peró, la sinistra era tro tra le potenze occidentali e quelle estremamente forte e si lottavava molorientali, l’abbiamo avuta in seguito quando siamo cresciuti. Ma tutte queste piccole cose facevano parte della nostra realtà quotidiana. « Dopo molto tempo abbiamo cercato di capire che cosa era successo in quel periodo. Anche a scuola ci venivano insegnati i fatti dopo il 1945, il motivo per cui la Germania era stata divisa e quello della costruzione del muro di Berlino, che significava la chiusura dei confini. Era molto interessante ma allo stesso tempo anche molto soggettivo, nel senso che tutto ció era insegnato da un punto di vista tipico della Germania Occidentale. Trovo anche interessante il fatto che in seguito ho iniziato a pensare a molte cose e ad interessarmi di politica. E mi sono schierato con la sinistra. Ho aderito al partito comunista tedesco quando avevo quattordici anni e questo ha fatto cambiare di molto il pensiero che avevo prima. Quindi non credevo più che i comunisti avessero il coltello tra i denti, d’altronde ho smesso di credere molto presto anche all’illusione di Babbo Natale, mi sono reso conto precocemente che erano i genitori a portare i regali… ma la maggior parte delle persone creNon avevamo una visione ben chia- deva a queste bugie sui comunisti. firstlinepress.org Per una società “interessante” e ben sviluppata si necessita di opposti, di persone che la pensano in modo diverso: questo significa democrazia, quella vera, radicata. La democrazia non significa solo avere un parlamento ed eleggerlo, significa assumersi la responsabilità di ogni cosa, soprattutto all’interno della società. Impegnarsi alla base, sul terreno e non avere esclusivamente diritti ma dover fare anche qualcosa» flp magazine 13 to anche contro le centrali nucleari, le basi NATO, le restrizioni antidemocratiche nei confronti degli insegnanti che appartenevano alla sinistra. Si impediva loro di insegnare, gli si affibbiava semplicemente un Berufsverbot (divieto di insegnare) e così perdevano il loro lavoro. Gli anni Settanta ed Ottanta hanno rappresentato un periodo di molte lotte, anche nelle strade. Pesanti e dure, tra la polizia ed i manifestanti. Piene di confronti e qualche volta la società era profondamente spaccata in diverse parti. Stavo iniziando a recarmi nella Germania Orientale. Il partito comunista organizzava le visite, ci si poteva andare con il passaporto peró tutto era registrato: le informazioni venivano passate ai servizi segreti della Germania Occidentale, motivo per cui il partito forniva alle persone passaporti con false generalità. Ho visitato la DDR una trentina di volte per vedere quello che succedeva. Ci venivano mostrate le fabbriche, la vita sociale: la nostra visione riguardo a questo pezzo di Germania inizió a cambiare. Avevamo visto gli opposti ma avevamo anche realizzato che tale società non era veramente libera. In effetti, la vita lì era molto noiosa. Ogni cosa era diretta e pianificata dal Partito Comunista. Non venivano accettate le critiche e ció che aveva reso le persone passive. Qualcuno cercava di andare avanti in tali condizioni, altri la pensavano in modo completamente diverso. Per una società “interessante” e ben sviluppata si necessita di opposti, di persone che la pensano in modo diverso: questo significa democrazia, quella vera, radicata. La democrazia non significa solo avere un parlamento ed eleggerlo, significa assumersi la responsabilità di ogni cosa, soprattutto all’interno della società. Impegnarsi alla base, sul terreno e non avere esclu- sivamente diritti ma dover fare anche qualcosa. La democrazia non è un supermercato dove puoi entrare e dire di aver bisogno di questo o quello, di aver bisogno di un pó di diritti, prendere o lasciare. La democrazia non esisteva nella Germania Ovest né in quella Est. Ma allora qual era la soluzione? Per noi consisteva in alcune azioni molto tattiche. Credevamo di poterci addestrare, di poter cambiare la società con il concetto di rivolta e insurrezione. Per questo sapevamo che nel caso i fascisti avessero preso il potere, noi ci saremmo difesi… significava anche maneggiare delle armi. Ho anche studiato per qualche tempo scienze economiche nella parte Est, il tutto era molto interessante. Ma dentro di me non ero d’accordo con questo tipo di visione, il socialismo dev’essere democratico. GERMANIA |guardie di frontiera della Germania Orientale presso il confine interno tedesco a Mackenrode, Turingia, 1960. Md61, Wikimedia Commons. Testo vicino alla caricatura: “Più sali in alto, più in basso cadrai” First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 14 flp magazine Alla fine, nel gennaio/febbraio 1989, mi sono recato per l’ultima volta lì e sono anche stato trattenuto in custodia per otto ore, a causa di contatti con gruppi comunisti che si opponevano ai modi dominanti. Gruppi che chiedevano un vero socialismo e un vero sistema democratico, non queste cose che venivano esaltate nella Germania Est. Qualche mese dopo crolló il muro di Berlino. In quell’episodio fui dichiarato persona non grata e mi rimandarono nella Germania Ovest: fu la mia ultima visita nella parte Est. Se fai una ricerca sul significato che un muro porta con sè e sul momento in cui è stato costruito per la prima volta, scoprirai una lunga storia, simile a quella dei confini. Torniamo indietro fino al periodo dei Sumeri e ancor di più, nel Neolitico: dopo quel periodo gli esseri umani cominciarono a diventare stanziali e non più nomadi, iniziarono ad organizzare la vita e per la prima volta nella storia furono capaci di mettere da parte qualcosa per il giorno seguente. Il punto cruciale che diede inizio a molte cose. Ció che avanzava era collocato in luoghi particolari che avevano bisogno di guardiani. In parole semplici, i muri furono creati per impedire gli attacchi che provenivano dall’esterno. “Muro” puó significare anche impedire qualcosa e allontanare da qualcuno, creare una distanza. Sono stato anche in carcere: rinchiudermi in una cella tra due mura significava allontanare, tenere a distanza la società da me. In termini politici, significava escluderti dalla società per evitare che essa venisse in contatto con quei modi di pensare che auspicavano il suo cambiamento. I muri rappresentano delle spaccature e non funzionano, in particolare di questi tempi. Per fare un esempio che riguarda internet, c’è sempre un modo per passare oltre un firewall. Per sconfiggere i muri hai bisogno di decidere di abbatterli, firstlinepress.org della volontà. Se non li accetti, li vedi e li abbatti. Altre persone decidono di dipingerli: è un altro modo per criticarli e renderli in qualche modo migliori, per accettarli. Muri… forse è una visione idealistica ma anche quando costruisci qualcosa hai bisogno di muri, non puoi mettere un tetto se non innalzi prima i muri; ti possono proteggere dalle condizioni climatiche. Ma altri tipi di muri come quello di Berlino rivelano un problema della società, sono muri che dividono solamente: la parte occidentale della Germania voleva distruggere il sistema della parte orientale, l’unica soluzione trovata è stata quella di costruire un muro. Se dai un’occhiata alla storia tutto questo non ha funzionato, se lo ha fatto è stato solo per un attimo e perché la gente credeva che avrebbe funzionato. Ogni volta i muri sono stati abbattuti, hanno sempre rappresentato anche una provocazione ad abbatterli. Quando il muro di Berlino è crollato, io non vivevo più dove sono cresciuto ma ancora avevo contatti con persone del posto. Dopo la riunificazione delle due parti della Germania per creare un nuovo grande paese, simile a quello che esisteva prima della Seconda Guerra Mondiale, la situazione è cambiata completamente. È successo all’improvviso, nel corso di una notte. Persone che mai avevi visto prima arrivavano attraversando il confine, le ditte occidentali invitavano quelle orientali a venire a vendere i loro prodotti. Nei primi giorni dopo la caduta del muro, le persone della Germania Est attraversavano il confine e rimanevano stupefatte nel vedere quante cose potevano comprare nei negozi. Nessuno pensava né proponeva l’unificazione, ció è avvenuto dopo settimane. Alla gente non interessava, voleva il capitalismo in primo luogo. Certo, se conoscevi la vita nella Germania orientale era comprensibile che la gente la pensasse in questo modo e avesse queste richieste. Ma dopo un pó ci si rese conto che gli occidentali stavano invitando gli orientali, le persone persero il lavoro e ne scaturì molta disoccupazione. Nella vita quotidiana molte cose cambiarono: c’erano molte più persone, più scambi, soprattutto commerciali. Passo dopo passo, tutto è mutato rappresentando una trasformazione molto rapida nel corso degli ultimi vent’anni. I paesi diventarono città e le città diventarono metropoli, soprattutto quelle al confine. È normale quando ti ritrovi nel mezzo. Si investì anche molto nelle infrastrautture. Il confine fu ricoperto dalla natura, le installazioni militari vennero rimosse. Non potresti neanche immaginare che una volta in quei luoghi c’era il confine. Ma è interessante. Ora penso che i confini siano nelle nostre teste e a volte proseguano lì, è un problema comune… flp magazine 15 CAMPANIA Quando lo Stato è un muro per i referendum Quarto, il commissariamento e l’acqua pubblica Lorenzo Giroffi C i sono posti che vivono in funzione di un evento, positivo o negativo che sia, portandosi dietro costantemente la sigla di un’annata. Il terremoto del 1980 è la base della storia recente di Quarto, Comune alle porte di Napoli, in quella che è l’area flegrea, perché il lato vulcanico della Campania. Prima che l’essenza tellurica di questo territorio tuonasse col disastro sismico dell’80, questo posto era noto per la distesa di campi coltivati ed il lavoro incessante dei contadini. Poi il cemento, la migrazione dei terremotati dei grandi centri in quest’area, la costruzione di interi quartieri residenziali, agricoltori non più a seminare, ma a vendere i propri terreni ed una nuova generazione che si è proliferata: in pratica la nuova Quarto parte dalla generazione degli anni 80-90, rendendo il Comune uno dei posti abitati, in proporzione al territorio, da più giovani in Europa. Leggendo le passate righe a molti sarà sorta l’equazione: terremoto/ricostruzione/cemento/affari di camorra. Quarto non è venuta meno a tale catena, basti pensare che qui operava un cementificio gestito dal clan camorristico dei Nuvoletta. Una ragnatela d’interessi collusi che ha portato a sciogliere, per ben due volte, l’am- « Interessante un’analisi sulla fase di scrittura dei punti referendari, che, essendo stati redatti per un sistema abrogativo, hanno lasciato aperture a piccoli spiragli» ministrazione comunale per infiltrazioni mafiose. Ad oggi è ancora così. Ci sono i commissari prefettizi a reggere il Comune. Un presidio della legalità di Stato, che, nella matassa da sbrigliare, composta da appalti, vecchi interessi e bramosità, si è scontrato con diverse coscienze civili della città. Si tratta della gestione del territorio, unita all’ondata di compartecipazione del referendum First Line Press del giugno 2011. Per intenderci ed appellandolo genericamente, quello in merito, tra i tanti servizi pubblici, alla gestione dell’acqua. Tanti i meccanismi ed i cavilli che non hanno permesso la realizzazione del reale desiderio di 25 935 372 di italiani. Sarebbe interessante un’analisi sulla fase di scrittura dei punti referendari, che, essendo stati redatti per un sistema abrogativo, hanno lasciato aperture a piccoli spiragli dentro i quali poi crepe istituzionali ed effettive inefficienze gestionali hanno fatto insinuare un sistema di concessioni (molto simile al passato), che ancora ha poco a che vedere con l’acqua come una cosa prettamente pubblica. In pratica il referendum ha negato la possibilità di trarre l’adeguata remunerazione del capitale investito dal servizio idrico integrato, ma nella sostanza ciò ancora non ha voluto significare zero profitto. Comunque il plebiscito a quelle urne in maniera emotiva aveva consigliato di procedere per un percorso di ripubblicizzazione di tutto il settore “acqua”. In Italia i servizi sono spesso stati affidati a società per azioni, che il referendum non ha interrotto, se non con modifiche @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 16 flp magazine di ricompensi in bolletta da custodire ai gestori. Si parla di una percentuale, un 7% che ha cambiato dicitura, secondo molti necessario, secondo altri chiara incongruenza con il volere degli italiani. La privatizzazione evitata del decreto Ronchi ha poi trovato strade per ribadire l’esigenza di acqua pubblica oltre il referendum abrogativo, come i casi dei Comuni di Napoli e Palermo, che si sono impegnati a costituire società di diritto pubblico, svincolandosi da società per azioni di diritto privato, garantendo tutti i passaggi di servizi inerenti all’acqua in maniera totalmente pubblica e compartecipata, oppure come a Torino, dove una delibera d’iniziativa popolare ha proposto all’amministrazione comunale di trasformare il gestore idrico da società per azioni a società totalmente pubblica. A Quarto non c’era da porre modifiche, si doveva continuare con il pubblico, risanandolo, ma i commissari straordinari (Maria Grazia Nicolò – Prefetto; Savina Macchiarella – Viceprefetto; Carmelina Vargas – Funzionario Economico Finanziario) hanno pensato che i buchi strutturali e di management necessitassero di una concessione ad una società terza, nello specifico la Consorzio Acquedotti SCPA. La delibera è stata vissuta come un vero e proprio firstlinepress.org QUARTO | Il campo confiscato alla camorra, doveva trasformarsi in un campo di calcio, ma è campo di sversamenti illeciti tradimento dalla cittadinanza: “Hanno confezionato il tutto mentre i cittadini sono per così dire distratti: ad agosto, poco prima di ferragosto”. A parlare è Giulio Nuovo di Libera – Area Flegrea, associazione antimafia che in genere fiancheggia lo Stato in battaglie volte a stroncare le ramificazioni del polipo mafia, invece in questo caso è a giudicare negativamente quello che dovrebbe essere un garante di legalità sul territorio: la commissione straordinaria che ha sostituito la politica. Incontro Giulio, assieme ad un’esponente di Legambiente Quartum, Maria Rosaria Luongo, in uno dei posti che sembra contenere le collusioni del passato, i fallimenti del presente e l’annegamento delle speranze di fiducia verso le istituzioni. Un terreno confiscato al clan dei Nuvoletta, con terra incolta ed ad arrugginire tutti gli ingranaggi del cementificio, ma anche nuovi utensili abbandonati di recente, un camion senza targa, secchi pieni di liquame (vernice, che è la base usuale per appiccare roghi) e copertoni pronti ad essere bruciati: giusto per confermare l’asfissiante e vuota etichetta di “Welcome in the land of fires”. Come in molti terreni sequestrati in Italia, spulciando nei dizionari dei sinonimi, ci si imbatte in abbandono o inutilità. I sigilli consi- stono in reti di plastica deteriorati, e le telecamera di videosorveglianza, acquistate con fondi FAS ossia finanziamenti governativi desinati alle aree sottosviluppate, sono rigorosamente puntate però a terra, su un raggio ristretto della strada adiacente il campo. E così sversare rifiuti tossici risulta semplicissimo per i soliti impuniti/impunibili, nonostante i decreti realizzati, da momento che consentono di tramutare i reati ambientali in condanne annullate da facili prescrizioni. La composizione di tali umori verso questo posto parte dalla delusione di un’energia non sfruttata: quella dei giovani di Quarto. Sono stati proprio loro a denunciare la delibera dei commissari straordinari che, come spiega Maria Rosaria Luongo, avrebbe garantito a Consorzio Acquedotti SCPA la gestione per venti anni, con i relativi oneri ed introiti. Giulio Nuovo è rammaricato perché non si tratta solo di un’azione che spezza la volontà referendaria, anche da un punto di vista ideologico, ma anche un favore ad un’azienda che oltre ad essere mista (pubblico/privato) ancora non ha chiarito alcune posizioni. “Non solo si è andati ad affidare il servizio ad un’azienda che ha interessi privati, ma in più la parte pubblica della flp magazine 17 SCPA appartiene al Comune di Orta di Atella, il cui sindaco è di recente sotto la lente d’ingrandimento per indagini di camorra, a causa di alcune intercettazioni con personaggi legati ai clan della zona”. La delusione di Giulio è legata anche al fatto che in sostanza il Comune di Quarto sarebbe entrato in tale società, facendo perdere così alla propria comunità la possibilità di prendersi cura del bene acqua. Si deve usare il condizionale ed il passato perché la Consulta dei Giovani di Quarto, Legambiente e Libera hanno presentato un ricorso al TAR per contestare tale ipotetica concessione, condizionale perché poi anche il Consorzio Acquedotti SCPA si è tirato indietro da quest’affidamento e perché i commissari hanno deciso di cambiare strategia. QUARTO | Partita del Quartograd, squadra di calcio dal basso liceo, che è ancora all’interno di container che dovevano essere temporanei post-terremoto (si, dal 1980) e che invece oggi consente solo lezioni soffocanti d’estate e gelate d’inverno, con infiltrazioni di pioggia. Perché affidare? «La concessione era una via molto più celere, viste le difficoltà economiche dell’Amministrazione e la nostra volontà di risanare in breve tempo. Perciò avevamo optato per questa strada, scegliendo, secondo i parametri delle direttive europee, la società SCPA, per garantire il servizio idrico in termini di efficacia, prendendo ad esempio anche altri Comuni che hanno adottato tale via». Bastano alcuni passi di fianco al terreno dei fallimenti ed il pensiero ritorna sulle occasioni perse, perché questo spazio confiscato doveva diventare una valvola di sfogo per le lacune di opportunità lasciate ai ragazzi, che devono vivere anche lo sport come un privilegio per pochi. Gli spazi pubblici a disposizione per giocare a calcio hanno un limite di orario, insufficiente per essere a disposizione di tutti, quindi, se non si è in grado di affittare qualcosa di privato, la strada e la solitudine restano le uniche scialuppe. Appunto questo Nonostante decreti, che terreno nei piani iniziali doveva vedere poi dei reati ambientali la dismissione dell’impianto arrugginifanno delle condanne to del cementificio e la cura della distesa di terreno, per essere trasformato in subito tramutabili in una struttura sportiva, disponibile al assoluzioni per facili pubblico. Un’opera che avrebbe potuto prescrizioni» significare discontinuità con il passato: togliere uno spazio che è stato della camorra e darlo ad un presente diverso. Invece, lasciandocelo alle spalle, resta Il prefetto Maria Grazia Nicolò illul’ombra dei rifiuti sversati, dell’abban- stra tale piano parlando anche di cosa dono delle istituzioni e l’occupazione avrebbe comportato per il Comune di dell’illecito. Quarto l’affidamento al Consorzio Acquedotti SCPA: in pratica il comune saL’abbandono del territorio e le rebbe entrato in SCPA con l’acquisto di toppe delle istituzioni alcune quote. La strada è stata poi sbarrata, sia dal ricorso al TAR, che dalla Entrando nel centro di Quarto mi rinuncia della stessa SCPA a tale forma colpisce una struttura scolastica, un di affidamento. La commissione straor- « First Line Press dinaria ha dovuto virare e scegliere un piano b. Resta comunque emblematico come lo Stato, che arriva in un Comune sciolto per infiltrazioni camorristiche, invece che apparire rassicurante agli occhi della comunità, diventi un nuovo nemico, perché comunque, dal punto di vista delle sensibilità condivise, l’acqua è un argomento delicato. Non era meglio effettuare altri tipi di operazioni? Non sarebbe stato troppo rischioso incidere su di un servizio che avrebbe continuato su questo binario per venti anni? Una commissione straordinaria può prendere tale responsabilità? «Noi come commissione straordinaria non abbiamo limiti o vincoli, ma agiamo, soprattutto in virtù delle infiltrazioni passate, per ripristinare in un brevissimo tempo i principi di legalità. Non avendo limiti possiamo agire in maniera straordinaria su ogni struttura dell’amministrazione. Al momento ci siamo dovuti direzionare verso un bando pubblico che ha quindi i suoi tempi per la pubblicazione e la valutazione. Tutto ciò dilunga le procedure e la risoluzione di un servizio efficiente. Perciò avevamo presentato da subito l’idea dell’affidamento, che aveva solo bisogno di un atto deliberativo e di adesione, quindi molto più veloce». Il bando comunque farà entrare società esterne, perché questo fa parte delle falle referendarie dentro le quali le amministrazioni in difficoltà e lontane dall’idea di società di diritto pubblico, possono inserire affidamenti, conservando però il principio referendario dell’esclusione dell’adeguata remune- @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 18 flp magazine razione del capitale investito. Referendum tradito o referendum incompleto? Non abbassare la guardia su una vittoria di cittadinanza attiva, com’è stato il referendum del 2011, è sicuramente un sentimento che ho ritrovato nelle parole delle persone incontrate a Quarto, al campo confiscato/abbandonato. Tuttavia resta il fatto che alla decisione delle commissarie si è potuto reagire con un ricorso al TAR per le modalità della concessione e non per il fatto che si fosse pensato ad una società esterna, perseguendo una concezione di diritto privato. Quarto è solo uno dei tanti esempi che si potrebbero ritrovare in altri Comuni: referendum, desideri e quotidianità di gestione. Perché in effetti alla gara potrebbe ripresentarsi ad esempio la stessa SCPA o comunque alla chiusura del cerchio avere una società per azioni a gestire il bene acqua: come già ribadito, senza intaccare il risultato referendario. Avviene però in uno scenario particolare, ovvero quello della regione Campania, il cui volere politico è proprio direzionato verso una legge regionale che ancora di più si allontanerebbe dai pensieri scaturiti, dalla stragrande maggioranza degli italiani, post-referendum. Per tutti questi motivi incontro l’avvocato Vincenzo Montalto, nel suo studio di Napoli. agire sempre con competenze che spettano ad un’amministrazione comunale. Un Comune, tanto meno uno commissariato, non ha i poteri per affidare la concessione della gestione del servizio idrico integrato. In Italia questo potere è stato affidato agli ambiti territoriali ottimali (ATO). Si tratta di azioni illegittime derivanti da commissari nominati dal ministro degli interni. Su tale fondamento si è basato il ricorso al TAR preparato dai cittadini, dalle associazioni e dalle organizzazioni di Quarto. Nonostante ciò le commissarie straordinarie « quei ragazzi privati di strutture sportive, che sono costretti a guardare il campo confiscato come una promessa violata, si sono messi assieme per cambiare le cose.» non hanno deciso di ritirare l’affidamento, ma hanno semplicemente preso atto del fatto che la SCPA si è ritirata, ma in via del tutto temporanea». La pessima gestione economica del passato e l’esigenza di risanare. Strutturalmente è scontato andare a pescare società esterne al pubblico, Lui è riferimento dei comitati di ricercando comunque formule ibriQuarto che hanno fatto ricorso al TAR, de? ma più in generale è sempre stato in prima linea per tutto quello che è sta«C’è da fare un fondamentale dita la campagna referendaria ed il tema stinguo: concessione ed appalto. Si dell’acqua nell’area dei diritti, autore potrebbe prendere ad esempio il Cotra le altre cose del libro “L’acqua è di mune di Casal di Principe, anche quetutti” e presidente dell’Istituto Italia- sto commissariato per infiltrazioni no per gli Studi delle Politiche Am- camorristiche. Pure in quel contesto bientali. è stato necessario esternalizzare un servizio: l’attività d’istallazione dei Quali sono stati i criteri del ricor- contatori dell’acqua e della relativa miso al TAR, dato che la commissione surazione. Si è fatta una gara, vinta da straordinaria di Quarto può agire una società, che ad oggi sta istallando senza alcun limite? i contatori. La gestione resta pubblica, perché nelle mani del Comune, che ha «Questo è vero, però loro possono semplicemente appaltato un servizio: firstlinepress.org in ciò risiede la differenza tra l’appalto e la concessione». Le commissarie di Quarto non hanno agito semplicemente traendo spunto dalle linee generali della regione Campania e della possibile legge regionale che sta per cambiare? «Ciò è una chiara anomalia, perché la legge proposta al Consiglio in Campania ha lo stesso orientamento della decisione dei commissari di Quarto. La legge regionale è assolutamente incongruente con il referendum del 2011, perché è una proposta di legge che blocca la gestione del servizio idrico integrato nelle mani delle multinazionali, in funzione della volontà di arrivare a mega gestioni che sottrarrebbero ai Comuni ed ai consorzi di enti pubblici la possibilità di gestione diretta». Lo sport come appropriazione dei propri diritti Quarto è anche l’emblema di un abbandono sistematico, in cui però poter pure essere liberi di apprezzare un reale esperimento di autorganizzazione. Non c’è chi recrimina, assolvendo in pieno il ruolo di vittima sacrificale: quei ragazzi privati di strutture sportive, che sono costretti a guardare il campo confiscato come una promessa violata, si sono messi assieme per cambiare le cose. Definiti ultimi perché privi di opportunità, perché sempre in lista per qualcosa, in fila a cercare attenzione. Percorro l’asse mediano che collega i paesi della cintura di Napoli e Caserta, in una selva di solitudine e tristi affari, sempre poco noti, di una provincia italiana non più terreno di tradizioni, ma di sciagure i cui destinatari sono stati scelti per convenienza, subdolo razzismo e stereotipi ormai di consuetudine. Nonostante i racconti sommari di istituzioni e mass media, la vita scorre anche in questi posti. Arrivo a Grumo Nevano, un posto che rincontro per caso o meglio per una partita di calcio. Lo stadio comunale di calcio di Grumo Nevano, campo amico della Grumese, flp magazine ospita una partita di calcio valevole per la Coppa Campania. L’avversario della gara è il Quarto Grad. Squadra di calcio organizzatasi autonomamente, da persone che hanno contato solo su di loro, costituendosi prima come associazione, arrivando a buoni risultati sportivi e di civiltà, per poi arrivare a disputare il campionato di calcio di lega nazionale dilettanti. Una squadra che vive lo sport come la vita, con una propria volontà di autodeterminazione nel preservare principi bistrattati da altri. Succede così che sugli spalti dello stadio s’incontrino persone senza appellativi di tifoserie, a seguire i propri amici che giocano a calcio. Ci si offre birra e tempo da condividere. Riscaldamento senza tanti fronzoli, maglie per alcuni troppo larghe, ma tutto curato nei minimi dettagli, perché è calcio fatto per bene quello di questa partita. Arbitro a fischiare, allenatori dalle panchine a dirigere i moduli e pallone da inseguire. Sugli spalti la società del Quarto Grad ad ogni partita organizza anche una diretta radiofonica, su di un piccolo tavolo in legno, ma con la voce compita e professionale di un giovane cronista, che omaggia microfono e corde vocali come se fosse dietro il vetro di una diretta Rai. rete a dividerci dal gioco e il match è elettrico come se a giocare fossero Manchester United e Napoli. Lo intuisco dal fatto che Giorgio, mentre gli porgo domande, tituba nel darmi l’attenzione del suo volto, non riuscendo a trattenersi dal buttare uno sguardo sul campo con una costante frenesia del collo. «Noi crediamo alla partecipazione attiva e dal basso: siamo nati così. Dimostriamo il fatto che sia possibile un modello di società diversa, nata senza l’aiuto di nessuno, ma con la volontà di chi vuol far parte di un progetto. Siamo partiti chiedendo piccoli autofinanziamenti ed oggi disputiamo un campionato nazionale. Stiamo provando a riscattarci dopo una devastazione ambientale, sociale e morale. Anche i commissariamenti non hanno portato benefici al nostro territorio. Basti pensare a ciò che è successo con i nuovi commissari, che erano pronti ad affidare ad un privato la gestione dell’acqua, senza passare per il parere ed i consigli della parte sana della città». La partita continua ed almeno da questi spalti per questi novanta minuti l’abbandono mi sembra lontano, perché l’odore di una lotta silenziosa e Capita anche che il capitano della decisa lo sento correre su di un campo. squadra che gioca in casa, la Grumese, avversario per questa partita, venga invitato alla diretta poco prima del calcio d’inizio. Un paio di domande, dal tavolino credibile quanto la sala cronisti di un super stadio di serie A, una sincera stretta di mano e la verità dello sport ad applicarsi. La meraviglia dell’incontro, l’agonismo, la voglia di misurarsi con i difetti ed i pregi del proprio corpo, lo scontro, la felicità e la dimensione reale dello stare assieme. Il Quarto Grad gioca ed il presidente della squadra, Giorgio Rollin, dopo avermi preci- Per approfondire | sato che la sua carica è solo simbolica e la struttura della società orizzontale, Vi segnaliamo il video-reportage, dello mi racconta pezzi di storia di quest’e- stesso autore del pezzo, quarto, l’acqua ai tempi del commissariasperimento sportivo. mento: https://www.youtube.com/ Siamo a bordo campo, c’è solo la watch?v=2wv-Ttovt1U First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 19 20 flp magazine ROMA Partizan: graffiti e musica per far rivivere i muri e per lottare Intervista ai creatori di Dans la Rue Giuseppe Ranieri C ’è chi prova a dare nuova vita ai muri, facendoli diventare uno spazio creativo e politico allo stesso tempo. Tra questi c’è il gruppo di writers Partizan, che abbiamo incontrato a Roma Come e quando nasce la vostra crew? «Partizan nasce a Berlino nel 2010 da un gruppo di amici, tutti o quasi con un passato nei graffiti. Abbiamo subito il fascino di quella città, dei suoi colori e dei suoi messaggi scritti sui muri, stampati sui manifesti e sugli adesivi. La propaganda genuina di movimento sopratutto nel quartiere di Kreuzberg è percepibile in maniera molto forte. Messaggi contro la gentrificazione e la speculazione sugli affitti, contro i neofascismi e il potere in generale. Tornati a Roma abbiamo voluto riportare queste suggestioni per colmare quella che reputavamo una mancanza nella nostra città. A Roma potevi vedere o una scritta politica one-line tirata via, oppure un bel graffito, però solo con il nome personale del writer di turno. Noi voleva- firstlinepress.org flp magazine « Ciò che accomuna writers e compagni è la sperimentazione di pratiche che tentano di evadere da meccanismi di controllo sociale» mo invece realizzare dei bei graffiti politici, curando al tempo stesso la tecnica e il contenuto, sdoganando una pratica riproducibile. In effetti abbiamo notato che negli ultimi anni tutto ciò ha un po’ funzionato in questo senso». Quali sono gli stili che preferite adottare sui muri? «Inizialmente ci siamo divertiti a riprendere un vecchio modo di fare scritte politiche: le rullate a vernice con il contorno a spray, una citazione delle vecchie scritte politiche, con un tocco di cura in più per la veste grafica, ma l’ effetto rimaneva comunque rudimentale e d’ impatto. Così, in pochi minuti, possono comparire scritte di decine di metri anche sulle arterie stradali principali più trafficate. Ad esempio possiamo ricordare come guardavamo alle scritte di Militant, un collettivo romano che ha sempre usato la tecnica delle rullate bianche, in una sorta di rivalità… Dipingiamo treni, muri della città e degli edifici occupati, soprattutto durante eventi ed iniziative a cui ci invitano e che volentieri attraversiamo per dare un contributo solidale. Cosa è Dans la Rue? «Dans la Rue è per la strada, nella strada. È un modo per stare nel mondo hip-hop senza essere schiacciati dalla retorica mainstream del fare soldi e business. Per noi, i graffiti sono sinonimo di comunicazione, lotta e rivolta. Le canzoni rap che ci piacciono sono quelle che hanno accompagnato le rivolte in Maghreb. Fin qui tutto bene, diciamo, ma DLR è anche un evento che da 3 anni proponiamo a Roma e che viene accolto sempre con entusiasmo. Per fare un breve riepilogo, possiamo dire che il primo Dans la Rue nasce quando Casapound provò a fare un contest di graffiti definito “internazionale” (forse perché venivano i White Boys da Madrid, un gruppo neonazista spagnolo che si diletta nel fare scritte). Tutti fummo colpiti da questa iniziativa, ne cominciammo a parlare con i nostri amici nella scena, tanti si misero in gioco, molte persone presero posizione e si esposero personalmente. Le ragioni della contro-jam si ascoltavano su Radio Onda Rossa, Radio Popolare e Radio Città Futura. Così nacque Dans la Rue: lo stesso giorno del fantomatico evento di Casapound nasceva un block party (festa di quartiere hiphop) selvaggio, nella periferia est di Roma, geograficamente opposto al posto dove si erano riuniti i neo-fascisti (Area19)». Avete qualche fonte d’ispirazione? «La nostra fonte di ispirazione iniziale furono i muri berlinesi, con scritte politiche e tecnicamente perfette. Può sembrare banale, ma invece dietro tutto questo c’è un discorso molto fine. Generalmente continuiamo a fare Così, la scena dei graffiti e il movimenun po’ di bombing per le strade e vi- to si contaminano, non si riconoscono cino ai posti che frequentiamo. Molti come diversi ed estranei. Ad intere di noi nel loro passato di graffitari facevano solo questo, spingere il nome, ovunque. Poi, qualcuno di noi ha scelto di sciogliere la propria identità personale in questo progetto collettivo, altri Per noi i graffiti invece continuano a fare graffiti anche sono sinonimi di con altre crew e a spingere comunque comunicazione, lotta e il proprio nome, insomma, libertà totarivolta » le!» « First Line Press crew di graffiti capita di fare un wholecar contro il prossimo G8, diventando esse stesse movimento, agitando slogan sui vagoni della metropolitana. Allo stesso modo il movimento impara dai writers a fare scritte sulle facciate cieche dei palazzi, calandosi con le corde da arrampicata. Questi sono piccoli esempi che però comunicano bene questo concetto di stare dentro il movimento ed imparare reciprocamente dei saperi utili. Del resto, ciò che accomuna writers e compagni è la sperimentazione di pratiche che tentano di evadere da meccanismi di controllo sociale». Ci sono altre crew simili alla vostra per impegno sociale? «Ci sono tanti piccoli gruppi sparsi in giro per l’Italia, dei nostri cari amici sono i Volk Writers di Milano, che sono scesi anche per il Dans la Rue, fino ai RAW (Red Antifascists Writers) di Napoli, che fecero uno splendido graffito nella seconda edizione dell’ evento. Diciamo che di crew così non ce ne sono mai abbastanza. In ogni caso è pieno di singoli che si attestano su sensibilità affini, che scrivono messaggi condivisibili anche al di fuori di crew come le nostre. Più interessante invece è il fenomeno, che al di fuori dell’Italia è molto più diffuso, di organizzazioni di gruppi misti composti da ultras, writers, comitive di quartiere e gruppi politici: le cosiddette FIRMS. @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 21 22 flp magazine Questi gruppi attraversano il terreno metropolitano, partecipando insieme ai cortei, uscendo la notte a dipingere ed andando insieme allo stadio». Come declinate il vostro impegno politico sui muri? « Per noi il messaggio che comunichiamo è fondamentale, prioritario rispetto alla nostra stessa firma collettiva. Non è un caso che ci sforziamo di trovare sempre dei posti visibili.» «Per noi il messaggio che comunichiamo è fondamentale, prioritario rispetto alla nostra stessa firma collettiva. Non è un caso che ci sforziamo di trovare sempre dei posti visibili: sul lungolinea del treno, sui vagoni, sui muri della tangenziale est, sulle autostrade, etc, etc … Ci capita nella maggior parte dei casi di scrivere delle frasi o degli slogan antifascisti che possano regalare un sorriso nel traffico mattu- mano? E di quella nazionale? tino in macchina, ma accogliere anche chi viene in città con il treno e si trova a «Abbiamo notato che i messaggi guardare fuori dal finestrino… ». come “Acab”, “NO TAV” o semplicemente “Antifa” iniziano a comparire sempre Quale pensate che debba essere il più spesso accanto ai graffiti “persorapporto che intercorre tra il wri- nali” di molti writers, anche dentro le ting e gli spazi sociali? flop di graffitari alle prime armi. Questo è un segnale positivo che cogliamo «I centri sociali hanno aiutato e con entusiasmo. Noi da parte nostra, cullato il movimento hip hop fin dal- come altre crew, diamo un contribule sue origini. Il nostro legame con gli to a tutto questo facendo da ponte spazi occupati è fortissimo, tutti noi li tra i graffiti e il movimento. In gefrequentiamo in maniera assidua. Sono nerale diciamo che in tutta Italia c’è dei posti nei quali ci sentiamo al sicuro, di nuovo voglia di scrivere i propri dove possiamo divertirci, incontrarci e pensieri sui muri, non lasciandoli sviluppare dei progetti. Ci capita spes- così più puliti e vuoti». so di dipingere negli spazi occupati, ma crediamo che il writing sia fatto per es- Nella vostra doppia veste di graffisere diffuso per le strade…» tari e militanti, siete doppiamente nel mirino della repressione. Avete Come giudicate il livello di consape- avuto esperienze dirette o indirette volezza della scena del writing ro- in merito? firstlinepress.org «Repressione… In questo periodo se ne parla molto. Si, è forte , sui writers, così come nei cortei e negli stadi. Diciamo che su di noi si sperimentano tecniche di controllo molto elevate, unità speciali antigraffiti, denominate Vandalsquad (la digos dei graffiti) o come la diffusione capillare della videosorveglianza in città o nei depositi delle metro, dove i vigilantes non è raro che ci sparino addosso, oppure che ci sguinzaglino contro cani sotto i tunnel dove si dipinge, poi ci sono i sensori di movimento vicino ai vagoni da dipingere. Ci ha colpito molto leggere del possibile uso, in chiave antiterroristica, dei droni per il controllo delle stazioni in Germania, con la scusa della politica repressiva anti-graffiti. Inoltre, i casi noti di pestaggio da parte delle forze dell’ordine a danno dei writers colti sul fatto si moltiplicano. Tuttavia diciamo che la voglia di continuare a comunicare dei messaggi non ce la leva nessuno: un modo per dipingere ovunque si trova sempre. Alcuni di noi hanno precedenti per graffiti in Italia o in Europa, altri per manifestazioni, scontri con i fascisti, occupazioni, ecc, ecc… Insomma, una bella collezione! Ma siamo noi e siamo così». Una delle vostre peculiarità è quella di avere una critica sociale molto elaborata. Come giudicate l’attuale momento del Movimento? «Crediamo che in questo momento si stiano elaborando molte cose interessanti, un rinnovato senso di riconoscimento reciproco interno al movi- flp magazine mento e un superamento delle diversità specifiche, per andare invece verso un orizzonte ampio e inclusivo. Le date autonome che hanno scandito quest’ anno ci hanno visto coinvolti e partecipi. In Italia abbiamo la lotta NO TAV, ma in tutto il mondo si respira quest’aria. Il Brasile, con le sue autoriduzioni e le sue proteste contro gli sprechi e le morti sul lavoro per i mondiali di calcio 2014, la Turchia con Piazza Taksim, le manifestazioni contro l’aeroporto di NôtreDame-des-Landes in Francia, la Spagna con gli scontri e le acampadas, la Grecia con le azioni antifasciste contro Alba Dorata e rivolte anti-austerity». Quale pensate possano essere i suoi approdi futuri? «Il movimento sicuramente continuerà con una sua agenda autonoma, poi ci sono la lotta per la casa, il movimento NO TAV. Saranno processi di liberazione lunghi e complessi, di cui è difficile prefigurare un futuro». Secondo voi, al suo interno ci sarà un ruolo più definito ed “organico” per progetti come il vostro o resterete una “piacevole eccezione”? «Come ci insegna la nostra esperienza, crediamo che l’organizzazione di gruppi di writers all’interno di strutture antifa, come accade in Germania, semplifichi molti aspetti: dall’autofinanziamento, alla diffusione di materiale, fino alla capacità di incidere sul territorio pubblicamente. In Italia ci sono molte differenze che non permet- tono questo tipo di relazione e organizzazione, ad esempio a Roma ci sono dei limiti evidenti nella carenza di strutture Antifa cittadine, con cui confrontarsi e immaginare percorsi condivisi. Forse le cose stanno cambiando, vedremo...» Avete dei progetti futuri? «Il Dans la Rue è ormai un appuntamento irrinunciabile, che stiamo pensando di accompagnare quest’anno con un’autoproduzione che racconti la nostra esperienza, per dare spunti che possano riprodurre e moltiplicare le nostre pratiche nelle altre città, in forma autonoma. Per ora, diciamo che la maggior parte di noi fa graffiti e djing, ci sono tatuatori, teppisti, fumatori d’erba e ci piacerebbe conoscere altri che con il nostro stesso spirito fanno del buon rap. Per quello che riguarda Partizan, continueremo a fare quello che abbiamo sempre fatto da quando siamo nati: dipingere e diffondere messaggi di rivolta, aiutando ogni anno a far crescere l’evento Dans la Rue». Per ascoltare e leggere ulteriori informazioni, segnaliamo il sito internet: http://danslarueantifa.wordpress.com/ First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 23 24 flp magazine BRASILE Alphaville: muro di paura o muro di privilegi Le contraddizioni di una gated community Flavia Orlandi « Di fronte ai pericoli della più grande metropoli del sud del mondo, dei suoi sincretismi, delle sue disperazioni, la fascia più ricca della popolazione preferisce isolarsi, arroccarsi su se stessa a difesa dei propri privilegi» BRASILE | Riocinha Favela - Rio de Janeiro Brazil (Foto di David Berkowitz) D a che esiste la proprietà privata esiste un muro per proteggerla, un recinto, uno steccato, un filo spinato. A volte si tratta solo di linee un po’ più che immaginarie, a ricordare la distanza che c’è tra ciò che si possiede e ciò che possiede l’altro. Ma più forte è la percezione di un pericolo esterno più il muro è alto, corazzato, minaccioso. In tempi di globalizzazione il vicino diventa sempre più diverso ed estraneo: firstlinepress.org nelle grandi città, soprattutto nel sud del mondo, le differenze sociali sono sempre maggiori e i poveri delle favelas convivono al lato dell’alta borghesia e della sorgente middle class. In alcuni casi sono i processi di gentrificazione a prevalere: i nuovi ricchi colonizzano aree prima di esclusivo accesso delle fasce più disagiate, convogliano lì nuove risorse, private e pub- bliche, ne cambiano l’aspetto e finiscono col cacciare i vecchi abitanti (se ciò non è già avvenuto in precedenza per mano dello Stato). Altre volte invece le distanze sono troppo forti, il metodo del “vaccino” insufficiente e la convivenza, seppur basata sulla distanza, impossibile. E allora i nuovi e vecchi ricchi escono dal centro, “allungano” la città, costruiscono dei sobborghi e li corazzano fino a trasformarli in vere e proprie flp magazine 25 città fortezza. Sono i nuovi muri questi, sempre più comuni e sempre più alti. Costruiti non per ragioni politiche, per dividere Stati o etnie, ma per ragioni economiche, per marcare una differenza di classe sempre più forte e inconciliabile con la convivenza. Sono i muri delle gated communities, comunità residenziali chiuse e protette da cancelli, fili spinati, disseminate di telecamere e spesso presidiate da polizie private a tutela di gates, dove si è sottoposti ad accurati controlli. Jean-Luc Godard nel 1965, un’epoca le cui distopie contemplavano ancora la dittatura, il controllo, il panopticon, e durante la quale la pervasività della tecnologia cominciava ad incutere timore. Il film racconta le imprese di un agente segreto all’interno della città Alphaville, capitale di un’altra galassia, regolata in tutto e per tutto dal controllo di un super-computer, Alpha 60. Nel corso della storia l’agente prova a combattere tale comando verticistico e Godard chiaramente fa del suo film di fantascienza una critica al potere. Oggi invece gli abitanti di Alphaville scelgono di essere controllati, di rinunciare a parte della loro libertà, limitata dall’onnipresenza di telecamere e dalla smania dei controlli, in virtù del bisogno di sicurezza che la società contemporanea produce in loro. Negli Stati Uniti d’America sono ormai diffusissime e affollano costantemente gli annunci delle più importanti agenzie immobiliari. Un processo partito già dagli anni ‘60 e che vede oggi coinvolti almeno 8 milioni di residenti, di cui mezzo milione nella sola California. Un ampio mercato si sta sviluppando anche nel sud del mondo, dove le A partire dalla metà degli anni ‘80 distanze sociali sono ancora maggiori e infatti a San Paolo si è registrato un audove alle differenze di classe si accom- mento della criminalità. Ancora oggi la pagnano ancora le divisioni etniche. città è percepita come molto pericolosa. Secondo una inchiesta condotta su In Brasile una delle prime e più famose gated communities è quella di Alphaville, vicino San Paolo. Questo condominio fechado è collocato a 23 Il rischio del chilometri e mezzo dalla caotica metropoli di oltre 11 milioni di abitan“separatismo alla ti. L’impresa Alphaville Urbanismo Alphaville” è quello di Corporation (AUC) è sul mercato dal mettere in discussione 1978. Oggi è composta da 33 distinte il concetto stesso di aree recintate, all’interno delle quali vivono oltre 20mila persone. Non più cittadinanza, ciò può un semplice quartiere residenziale, ma rappresentare la fine un vero e proprio centro cittadino, con dell’uomo pubblico una zona commerciale che ospita 2300 imprese, 11 scuole ed un’università: un e l’affermazione flusso giornaliero di 150mila persone. di un più marcato Un grande successo per l’azienda ideindividualismo.» atrice, che ha poi prodotto altre gated communities in altre città brasiliane: Aracaju, Campinas, Sao José dos Campos, Ribeirao Preto, Rio de Janeiro, Go- tremila paulisti dal Centro di politiiania, Londrina, Curitiba, Maringá, Belo che pubbliche dell’Istituto di ricerHorizonte, Natal, Fortaleza, Gramado, ca e sondaggi (Insper) il 53% degli Salvador, Manaus. Alphaville rimane abitanti di San Paolo è stato vittima di la più grande, circondata da un muro un crimine almeno una volta nella sua di 40 miglia, con 960 guardie a dispo- vita. Nel 64% dei casi le vittime hanno sizione e con un nome stranamente preferito non denunciare alla polizia autoironico. Alphaville è infatti il tito- l’accaduto, e nei casi di furto in casa la lo di un film di fantascienza diretto da percentuale sale all’80%: c’è sfiducia « First Line Press nei confronti delle forze dell’ordine se non addirittura paura di possibili rappresaglie da parte dei criminali. I reati più diffusi sono il sequestro lampo, la rapina in strada ed in generale i reati contro il patrimonio. Sono molto diffuse le rapine nei ristoranti, sia di lusso, che popolari. Ma soprattutto sono diffusi furti e sequestri per strada. San Paolo è una delle città al mondo in cui gli spostamenti sono maggiormente effettuati con mezzi privati. I residenti più poveri si affidano al trasporto pubblico, che però non è sufficientemente sviluppato e costringe a viaggi all’interno della città che durano ore. Inoltre i mezzi pubblici sono percepiti come estremamente pericolosi e quindi la classe media opta quasi sempre per l’acquisto di automobili: un mercato che a San Paolo è davvero impressionante. Si calcola che sulle strade della metropoli circolino ogni giorno circa 3,5 milioni di auto e che altre 800 ne vengano acquistate quotidianamente. Un flusso che ha plasmato il panorama cittadino, afflitto dalla totale congestione stradale e dall’inquinamento atmosferico (secondo il patologo Paolo Saldiva ormai la tossicità dell’aria è tale da produrre tra le 7 e le 10 vittime al giorno). Inoltre negli ultimi 30 anni la popolazione è cresciuta del 23%, i sistemi autostradali del 25% e il numero delle automobili del 280%, trasformazioni che accentuano ulteriormente l’immagine di San Paolo come megametropoli caotica e stressante. Tuttavia l’utilizzo dei mezzi privati non rappresenta affatto una fonte di sicurezza personale: molto diffuse sono le rapine proprio a coloro che sono bloccati nel traffico con la loro macchina, nonché i “rapimenti-lampo”. Il “sequestro express” è un delitto molto comune in Brasile: fino al 2006 il ministero dell’interno ne ha registrato il costante aumento del 20% all’anno, 500 al mese nella sola San Paolo (una media di 17 al giorno), con un movimento di circa 50 milioni di euro annui in riscatti. Le vittime predilette sono i piccoli imprenditori o i dirigenti di azienda: secondo le statistiche i rapinatori sono nel 70% improvvisati, piccoli delinquenti che @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 26 flp magazine vogliono fare cassa velocemente, anche se cominciano a diffondersi bande specializzate. Il modus operandi è sempre lo stesso e molto immediato: dopo aver sequestrato una vittima vengono contattati i parenti, richiedendo loro cifre non troppo elevate, in modo da ottenerle facilmente ed in tempi ristretti, senza avere troppi problemi. Un fenomeno che genera un panico diffuso tra la classe media che ha prodotto la proliferazione del mercato delle “auto sicure”: da quando nel 1999 i figli del banchiere Jorge Paulo Lemann hanno sventato un rapimento grazie alla loro auto blindata antiproiettile, la domanda di questo tipo di vetture è aumentata verticalmente: il Brasile ne è diventato il più grande mercato al mondo, superando Colombia, Messico e Stati Uniti. Nel 2012 ne sono state vendute circa 3000 e la domanda cresce del 15% l’anno, al punto che le aziende produttrici sono salite, dal 1999, da 8 a 40. L’offerta di rivolge oggi anche alla classe media, rappresentando a sua volta un problema di sicurezza pubblica. Spesso infatti alle aziende produttrici vengono richiesti gadget che da strumenti di autodifesa possono velocemente trasformarsi in armi: come le auto munite di spray tossici. Una preoccupazione in più per le amministrazioni che stanno pensando di richiedere a tali aziende automobilistiche i dati personali di tutti coloro che acquistano uno dei nuovi mezzi blindati: nelle mani della criminalità potrebbero diventare una nuova spina nel fianco per le forze dell’ordine. La upper class tuttavia non si accontenta, infatti ha spostato una considerevole parte del trasporto urbano negli eliporti. Si calcola che a San Paolo siano operativi circa 450 elicotteri, solo New York supera questa cifra. Ci sono due eliporti attivi, due in costruzione, e inoltre molti degli edifici di questa parte della società (grandi aziende, alberghi di lusso) ne forniscono uno proprio, la stessa Alphaville ne dispone di uno. Così l’alta borghesia ha la possibilità di staccarsi del tutto dal contesto in cui vive, limitandosi a guardare la firstlinepress.org città dall’alto e confrontandosi esclusi- rezza pubblica danno prova di produrvamente con gli ambienti a cui appar- re risultati concreti. Tuttavia se la classe più ricca preferisce investire nella tiene. sicurezza privata, non si corre il rischio Alphaville rientra in questa pro- che perda interesse (o magari si opspettiva di vita: di fronte ai pericoli ponga) nell’investire pubblicamente su della più grande metropoli del sud del quella dell’intera città? In altre parole il mondo, dei suoi sincretismi, delle sue rischio del “separatismo alla Alphavildisperazioni, la fascia più ricca della le” è quello di mettere in discussione il popolazione preferisce isolarsi, arroc- concetto stesso di cittadinanza, ciò può carsi su se stessa a difesa dei propri rappresentare la fine dell’uomo pubbliprivilegi. Una scelta in fondo difficile co e l’affermazione di un più marcato da criticare, ma che comunque apre individualismo. Un processo questo, una serie di nuove problematiche e di innescato forse dal fallimento dello Stainterrogativi. Innanzitutto sebbene la to, incapace di garantire la sicurezza criminalità a San Paolo sia molto diffu- dei propri cittadini, ma che finisce per sa, le amministrazioni negli ultimi anni metterne in discussione lo stesso ruolo, stanno facendo un buon lavoro nel ri- producendo irreversibili trasformaziodurla: dal 1999 al 2009 il numero degli ni sociali. omicidi è diminuito dell’80%, passando Se le gated communities aspirano a da 52,58 a 11,5 ogni 100mila abitanti. Secondo l’Istituto Sou da Paz Iança, diventare autonome, aumenta la coma permetterlo sono state diverse po- petizione tra fornitori di beni pubblici litiche: gli investimenti per rafforzare e fornitori di beni privati, producendo l’efficienza della polizia, quelli nella una nuova forma di segregazione fonprevenzione del crimine, i cambiamenti data sull’accesso ai servizi. Secondo demografici e il piano di controllo delle alcuni autori della Teoria Critica Urarmi che lo stesso Istituto ha lanciato: bana le gated communities rappresengli opportuni investimenti nella sicu- terebbero allora un esempio di “spazio BRASILE | São Paulo City (Foto di Klaus Balzano) flp magazine 27 di neo-liberismo”, in quanto fondate sull’intensificazione della lotta di classe sulla scena urbana, la crescita della paura della città e la necessità di protezione. Le conseguenze spaziali sono la formazione di ghetti, subiti o volontari, lo sprawl urbano (ossia la crescita di metropoli rapida e disordinata), l’esclusione, la polarizzazione sociale e la militarizzazione degli spazi. Il sociologo urbano Mike Davis sostiene che lo sviluppo delle città contemporanee segue un vero e proprio modello concentrico, basato su un’Ecologia della paura, produttrice di confini e della dicotomia spaziale slum-città fortezza. Tuttavia motivare lo sviluppo delle gated communities col bisogno di sicurezza, come tentano di fare le agenzie immobiliari nei loro annunci, è scorretto e limitante. La scelta operata dalle classi più privilegiate di circondarsi esclusivamente di propri simili ha anche delle motivazioni prettamente economiche. L’organizzazione dello spazio in base all’omologazione sociale è una scelta razionale, in quanto permette all’interno di un gruppo omogeneo forme di solidarietà, di assistenza reciproca e di mantenimento dell’identità culturale. Le scuole neo-weberiane sostengono che se un gruppo si restringe tra persone socialmente simili è possibile massimizzare guadagni ed opportunità, nonché beneficiare di determinati beni. Dentro alle palestre di lusso di Alphaville, nei Country Club, nelle scuole private, non ci si tiene semplicemente lontano dai pericoli della caotica San Paolo, ma si creano legami sociali con la propria classe che rafforzano la propria presenza al suo interno, e conseguentemente i propri privilegi. Le gated communities sono allora dei “club economici” che cristallizzano ulteriormente le differenze sociali. Il fatto che inizino ad usufruirne anche i membri della nuova classe media è un segnale della sua aspirazione ad elevarsi socialmente e ad abbandonare definitivamente lo status economico precedente, rappresentato dal centro cittadino. Un’illusione forse, visto che andare al di là del cancello non vuol dire eliminare le differenze: anche lì esistono quartieri “alti” e residenze più popolari. Questo fenomeno, che potrebbe anche essere velocemente etichettato come “l’aspirazione ad una vita migliore”, rischia di distruggere un più ampio concetto di solidarietà sociale, che idealmente lo Stato dovrebbe rappresentare: cosa diventeremo se ci trincerassimo nella nostra comunità? Addio Alphaville. Uno sguardo di chi la vive e la lascia. del Brasile: il padre é stato un alto dirigente di una grande corporation e la madre un’insegnante di inglese nelle scuole per ricchi. A queste condizioni, e favoriti dai contatti del padre, nel 1981 la famiglia, due anni dopo la nascita di João Pedro, ebbe la possibilità di andare a vivere in una pacifica gated community. João Pedro mi racconta infatti che Alphaville nasce come luogo per i dirigenti delle multinazionali, le quali ne favorivano il collocamento vicino alla loro sede. Continua spiegandomi come la vita nel quartiere di lusso non fosse tutta rose e fiori e, anche da un punto di vista pratico, i problemi non erano indifferenti: “Nonostante la ricchezza di Alphaville, essa non è un luogo dove si ha molto da fare. La si può immaginare come una bellissima Beverly Hills dove i residenti finanziariamente indipendenti (ossia i genitori) trascorrono la maggior parte del loro tempo lontano per lavoro, tempo libero o per viaggi, mentre le persone non autosufficienti economicamente (ossia i bambini e gli anziani) vivono incarcerate a causa delle sue enormi dimensioni. Viene addirittura chiamata bolla per questo motivo. L’organizzazione di Alphaville si basa fortemente sulla sicurezza armata privata nonché sulla presenza di poliziotti regolari al di fuori delle mura di confine. Le guardie di sicurezza private non fanno che girare dentro e fuori le comunità tutto il giorno a bordo di auto e moto per ulteriori controlli. In Brasile si può avere la patente a 18 ann, e la distanza media di una residenza dai confini è di 1,5 km: nelle vicinanze non ci sono negozi. Se non si ha una macchina non si può fare molto e le strade sono tali da non consentire l’utilizzo di biciclette. Le infrastrutture sono un grande problema. Che tu ci creda o no ancora oggi sono ricorrenti i black out e la scarsità di acqua, soprattutto per le comunità Alphaville di più recente costruzione, posizionate in salita”. João Pedro oggi vive e lavora a Santa Catarina, una regione nel sud del Brasile che si affaccia sulla costa atlantica. In passato però ha studiato all’USP, l’università al centro di San Paolo, e ancora prima ha vissuto con i suoi genitori dentro Alphaville, la grande gated community nei sobborghi della città. João Pedro comincia a raccontarmi come la sua storia si sia intrecciata con il “condominio fechado” Alphaville, il cui pensiero ultimamente produce in me tante Secondo João Pedro infatti l’ammidomande. Per un determinato periodo nistrazione della gated community è la famiglia del mio ospite è stata parte ostacolata dai suoi rapporti territoriali di quella sottile fascia di privilegiati con le città che la ospitano: collocata in First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 28 flp magazine una zona di frontiera tra Santana de Parnaiba e Barueri, essa rappresenta una vera e propria miniera d’oro per entrambe le amministrazioni, che si mantengono soprattutto grazie alle tasse che provengono da lì, ufficiali o derivanti da meccanismi di corruzione. Perciò, quando a fronte dell’inadeguatezza dei servizi la comunità ha cercato di trasformarsi in una vera e propria città, il tentativo è stato “ferocemente soffocato” dai politici locali. « Motivare lo sviluppo delle gated communities col bisogno di sicurezza, come tentano di fare le agenzie immobiliari nei loro annunci, è scorretto e limitante. La scelta operata dalle classi più privilegiate di circondarsi esclusivamente di propri simili ha anche delle motivazioni prettamente economiche.» Le grandi distanze su cui è disposta la comunità rappresentano una difficoltà soprattutto per i lavoratori dipendenti provenienti dall’esterno, guardie private, impiegati, badanti, addetti alle pulizie, che non dispongono di mezzi propri: “Gli autobus non entrano all’interno della comunità, costringendo i lavoratori esterni a camminare per un chilometro e mezzo fino alle entrate, dove quando se ne vanno vengono accurata- BRASILE | St.Pauli - Esso Tanke. (Foto di igowherehugo) mente perquisiti per accertare eventuali furti. Il progetto di una metropolitana è stato boicottato da coloro che non volevano i poveri di Barueri, Santana de Parnaiba o Carapicuíba all’interno dei confini. Carapicuíba è una cittadina povera più vicina dei centri urbani Barueri o Santana de Parnaiba, che non riceve alcuna imposta da Alphaville ed è un luogo molto degradato. Sono molte le persone provenienti da Carapicuíba e Barueri e alcuni da Santana de Parnai- firstlinepress.org ba che lavorano come custodi delle case di Alphaville, o nei centri commerciali, e nei negozi. All’interno di Alphaville vengono trattati come una classe inferiore ed hanno un reddito molto più basso di residenti. Non hanno i benefici di un buon trasporto pubblico perché non rientra tra gli interessi dei motorizzati cittadini di Alphaville e finiscono per perdere gran parte delle loro giornate in pendolarismo, perché sono considerati scarti umani. La loro mancanza di istruzione li porta a non percepire l’ingiustizia e a considerare solo la buona opportunità di lavoro”. Ad Alphaville ci sono circa 6 scuole private e due pubbliche. Le pubbliche sono mantenute dai comuni di Barueri e di Santana de Parnaiba. Per questo motivo possono essere frequentate anche dai ragazzi lì residenti e rappresentano per loro un’ottima opportunità, dal momento che sono entrambe molto al di sopra degli standard brasiliani. Le scuole private sono tuttavia ad un livello nettamente superiore: “la scuola privata Mackenzie, dove ho frequentato la scuola elementare, media e superiore, ha più di 100 aule , 8 laboratori di biologia, 8 di fisica, 8 di chimica, 3 campi da calcio, 8 piazzole interne, 8 piazzole per tende, 6 campi da tennis, 4 piscine e la lista potrebbe continuare all’infinito”. Ci sono tuttavia ragazzi di Alphaville che frequentano scuole esterne, ovviamente muniti di tutte le dovute protezioni sociali: “Coloro che studiano a San Paolo ci arrivano in autobus, non sono autorizzati a lasciare il perimetro della scuola durante le lezioni e poi se tornano in autobus ad Alphaville. Una volta lì svolgono attività complementari, come le classi di judo, corsi di calcio, di inglese, di pittura, ecc. Gli adulti che lavorano sono spesso dirigenti locali di multinazionali, e la maggior parte di lavoro lavorano a São Paulo. La combinazione di entrambi questi ambienti fa di Alphaville un’area residenziale bella, pulita, molto ricca e vuota, adatta per passeggiare col proprio cane ed incontrare in giro solo pochi bambini ed anziani”. Una bolla appunto, e chiedendo a Joao Pedro quali sono o erano per lui i vantaggi nel vivere lì mi risponde: “È sicuramente un posto tranquillo e sicuro, adatto ad allevare i figli o per prendersi cura dei propri anziani. Lì è possibile lasciare la porta d’ingresso aperta, il che è molto insolito in Brasile. Si può tranquillamente camminare o correre per le strade a tarda notte senza problemi. Ed è anche un ottimo posto per nascondersi dalla realtà sociale del Brasile, flp magazine 29 come succede, paradossalmente, anche nella capitale Brasilia. Inoltre è un luogo che ti fa sentire superiore, perché condividi le strade con una manciata di musicisti, politici, personaggi televisivi, sportivi famosi e altri influenti VIP brasiliani. Tuttavia quando ero un ragazzino sembrava assolutamente normale essere lì. Pensavo veramente che fosse proprio così: ovunque! Poi incontrai il problema del tipo di ragazzi che vivevano lì, che si sentivano superiori a chiunque altro, dei veri e propri marmocchi viziati. Sono rimasto particolarmente colpito, perché mia madre era un insegnante di inglese alla scuola d’elité Mackenzie (cosa che permise a me e mia sorella di ottenere una borsa di studio). I bambini la maltrattavano in classe, per le strade e persino dentro la mia gated community. Dopo il college ho avuto una sorta di rigetto. Ora vedo quel posto come una fabbrica di idioti ed alcuni dei miei compagni di università condividono con me questa idea, ma molti altri si comportano come una classe superiore. con più diritti degli altri. Sono inclini ad ogni tipo di corruzione”. Il forte classismo da parte della popolazione più avvantaggiata è tuttavia comune in tutto il Brasile, e non solo ad Alphaville: “In Brasile quasi tutto attiene allo status e all’esibizionismo. Molte delle persone provenienti da Alphaville (ma sicuramente non tutte, circa il 60% direi ) di solito ama essere esibizionista e può farlo grazie ai soldi dei genitori. Lo status significa vestiti, auto, frequentare luoghi dove l’entrata può costare fino a 500 dollari. Io non ho più che una manciata di amici d’infanzia lì . La maggior parte delle persone che conoscevo lì mi ha deluso in un modo o nell’altro. D’altra parte, dire che si è vissuto ad Alphaville altrove è una calamita per alcune persone. Ecco perché quando mi chiedono di dove sono di solito rispondo Santana de Parnaiba. Tuttavia abitare ad Alphaville è ancora uno status simbol. Molte persone vanno lì anche solo per vederla. Un tempo era una House Community, adesso ogni spazio circostante è affollato da edifici molto costosi e di persone che mirano a quel livello sociale senza poterselo permettere”. Cosa impedisce alla classe media di ricollocarsi a San Paolo? «Una volta pensavo che São Paulo mi piacesse, ma in realtà non mi piace. Vivere nel cuore di San Paolo mi ha esposto ad un ambiente rumoroso, affollato, costoso ed inquinato. La parte più importante della città si trova tra i fiumi Tietê e Pinheiros, che sono fogne a cielo aperto. Andare a lavoro in macchina mi avrebbe portato via circa un’ora e mezza per 6 km, così ho scelto la mia bicicletta, ma ciò mi ha esposto a molti pregiudizi di classe sociale. Spesso sono stato bloccato dalla guardia al gate dell’azienda per cui lavoravo, nonostante avessi il badge: non era possibile che uno col mio reddito andasse in bici.» Ci sono alternative ad Alphaville? Rispetto al problema della sicurezza è davvero l’unica soluzione? «Non è sicuramente l’unica soluzione e neanche una buona soluzione per i problemi di sicurezza di San Paolo, che tra l’altro è una città relativamente sicura. Le sue periferie non lo sono, ma non certo di quelle aree che si stava parlando come alternativa. Il senso di Alphaville è solo quello di rendere le classi sociali sempre più separate e creare la falsa idea che fuori sia tutto ok. Alphaville è stato costruito in questo modo, si vede, ma anche San Paolo sta andando in quella direzione. Spero che il sindaco Fernando Haddad riesca a far tornare indietro questo processo. La questione è che alla gente piace sentirsi ricca e privilegiata. La segregazione di classe è un bel modo per nascondere i problemi della società. Come dire: se non è qui, non è un mio problema» First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 30 flp magazine CANADA Stretti tra lo Stato e le multinazionali Le riserve e la lotta anti-fracking dei Nativi Elsipogtog: ecologia, futuro e autodeterminazione Domenico Musella T utto il mondo è paese. Ma, allo stesso tempo, Paese che vai, usanza che trovi. Questi due adagi popolari, che rappresentano in estrema sintesi due concetti chiave dell’antropologia culturale, vanno tenuti ben presenti per molte delle questioni internazionali, ma in particolar modo per la vicenda che sto per raccontarvi. Una storia che ha avuto uno dei suoi momenti più critici qualche mese fa, ma che dura da anni e continua ancora, quasi inesistente nei media mainstream, o trattata nei soliti toni essenzialisti e offensivi verso un popolo che rivendica diritti. Métis, frutto delle unioni tra indigeni e primi colonizzatori europei. Tra le Prime nazioni del New Brunswick ce n’è una che si chiama Elsipogtog, “fiume di fuoco” nella lingua parlata dal gruppo etnico dei Mi’kmaq, cui appartiene. Gli Elsipogtog, come altre nazioni indigene, vivono sia in contesti urbani con le altre componenti della popolazione, sia nelle famose riserve. Sulla carta si tratta di aree gestite completamente dai Nativi, regolamentate e tutelate in base all’Indian Act del 1876, più volte riformato, e a trattati bilaterali stipulati dal Canada con le singole nazioni. Nella realtà, però, queste leggi Tracciamo brevemente le coordina- molto complesse sono pervase da una te per orientarci. Ci troviamo in Canada, logica piuttosto paternalista e assiminella provincia marittima sudorientale del New Brunswick. In queste terre, oltre ai discendenti dei colonizzatori europei anglofoni o francofoni e a chi è Le riserve costituiscono arrivato da percorsi migratori, vivono circa 20.000 Nativi americani. Quelli un altissimo e che ci hanno abituati a chiamare “inspessissimo muro, diani d’America”, gli abitanti originauna separazione netta ri della regione e che oggi in Canada tra i “veri” canadesi, sono più o meno 1 milione, il 4% circa della popolazione totale. La magdi cultura europea, e gior parte di essi è rappresentata dalle gli “altri”, inferiori: i First Nations, le “Prime nazioni”, che Nativi.» hanno un’origine diversa rispetto agli Inuit, abitanti delle zone artiche, ed ai « firstlinepress.org flp magazine 31 lazionista, che mantiene perfettamente in vita il rapporto colonizzatore-colonizzato di un tempo. I vari conquerors a partire dal 1500 e poi lo Stato federale canadese dal 1867 hanno sempre cercato di reprimere e di portare all’estinzione la cultura aborigena, presente da millenni nell’area. E lo hanno fatto in vari modi. Le indian reserves sono forse il più ipocrita di questi: sotto l’apparente tutela culturale, l’autogestione e la possibilità di praticare uno stile di vita tradizionale intriso di natura e spiritualità, il sistema di riserve costituisce un altissimo e spessissimo muro. Uno strumento che consolida una separazione netta tra i “veri” canadesi, ossia quelli di cultura europea, e gli “altri”, quelli inferiori: i Nativi. Si potrebbe passare giornate intere a parlare di tutte le forme di disuguaglianza e discriminazione messe in atto contro le popolazioni native, dietro la facciata di uno Stato multiculturale, federale e ricco. Modalità che formalmente sono cambiate nel corso della Storia, ma che portano sempre e comunque il marchio della violenza e del razzismo. Ai nostri giorni, il muro che divide un cittadino canadese a tutti gli effetti da un Nativo, al di là di quello fisico che separa le riserve dal resto dei territori, si compone di mattoni molto pesanti. Tra questi vi sono le numerose restrizioni, come ad esempio quelle legate alla libertà di spostamento e alle migrazioni. Altri riguardano invece le condizioni economiche e sociali dei Nativi, che in moltissimi casi consentono a stento la sopravvivenza. Stiamo parlando di salari e potere d’acquisto CANADA | Manifestazione di #Elsipogtogsolidarity a Montreal (Foto di Howl Arts Collective) First Line Press sistematicamente inferiori a quelli dei non-Nativi; di tassi elevati di disoccupazione e di dipendenza quasi totale dal Welfare statale per la sussistenza; di un sistema scolastico e di protezione dell’infanzia che lascia a desiderare e che è costantemente soggetto a riduzioni di budget; addirittura di difficoltà ad avere acqua potabile, a causa di infrastrutture idriche fatiscenti. Ogni anno sui rapporti di Ong come Amnesty o Human Rights Watch possiamo leggere varie pagine sulla continua e sistematica violazione dei diritti delle popolazioni indigene in Canada, negli ambiti più disparati. Un capitolo tra i più ripugnanti è sicuramente quello che riguarda le violenze sulle donne aborigene: abusi, maltrattamenti, rapimenti, omicidi, con le forze dell’ordine che lasciano fare, quando non sono direttamente coinvolte. È proprio su queste donne che si proietta l’ombra lunga di quel genocidio portato avanti nei secoli scorsi da Stato e Chiesa. Un fenomeno che la Storia ufficiale ha nascosto, ma che con il suo apparato di assassini, torture, discriminazioni e collaborazionisti ha rappresentato fino a poche decine di anni fa un vero e proprio Olocausto, sempre in nome di una non meglio precisata superiorità di una “razza” su di un’altra, di una cultura su di un’altra. Fin qui ci siamo occupati, grosso modo, di uno solo dei proverbi, quello sul Paese e le sue usanze caratteristiche. Sebbene i genocidi, la discriminazione e la violenza abitino purtroppo vari angoli del globo, quelli diretti contro i Nativi americani hanno le loro peculiarità, e si contraddistingono inoltre per il loro essere sconosciuti ai più: non solo a noi in Europa, ma molto spesso anche nello stesso Nord America. Dove invece in misura maggiore “il mondo si fa paese” è nella parte più recente della nostra storia. Una parte nella quale il sistema neoliberista, sostenuto e vivificato dagli Stati, estende il suo saccheggio ai danni dei popoli al limite estremo della conquista, a quei beni essenziali che dovrebbero essere comuni: la terra, l’acqua, l’aria. Come se non bastasse la situazione di @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 32 flp magazine controllo e sottomissione che i Nativi vivono nelle riserve, il Canada e le grandi corporations non placano i loro appetiti sulle terre degli indigeni. A far loro gola sono soprattutto i sottosuoli, i boschi e i corsi d’acqua: quelli all’interno del perimetro delle riserve sono infatti i più ricchi di materie prime, dal legname ai minerali agli idrocarburi. Su firstlinepress.org all’inizio del 2013 vi abbiamo già parlato del Jobs and Economic Growth Act, conosciuto anche come Bill C-45: lo strumento legislativo del governo conservatore di Stephen Harper che rende molto più facile appropriarsi di porzioni di territorio delle riserve, sfruttarne le risorse, navigarne i canali, costruire impianti industriali e cementificare a più non posso. Abbiamo raccontato anche la resistenza pacifica dei Nativi, ovviamente non consultati per il provvedimento, con la campagna Idle No More! («Mai più passivi!») che è partita da quattro donne e ha poi raccolto molta solidarietà in tutto il Nord America e in giro per il mondo. L’articolo I Nativi Del Canada Ora Alzano La Voce: «Mai Più Passivi!» è consultabile al link: Http://Firstlinepress.Org/INativi-Del-Canada-Ora-Alzano-La-Voce-MaiPiu-Passivi ] L’offensiva della coppia Stato-multinazionali continua però imperterrita, e da qualche anno ha preso di mira, tra gli altri, proprio le riserve della nazione Elsipogtog del New Brunswick. Il motivo: tra i 2.000 e i 4.000 metri di profondità sotto queste terre vi sarebbero grandi giacimenti di gas di scisto. Lo shale gas, forse il più grande abbaglio degli ultimi anni, è stato presentato qualche anno fa come una “fonte di energia pulita”, l’ultima frontiera del combustibile, tanto che Barack Obama vi ha basato la sua politica di autosufficienza energetica da qui al 2030, cercando di svincolare gli Usa dal petrolio mediorientale, seguito poi da molti altri capi di Stato. Peccato che di “pulito” il gas di scisto non abbia proprio nulla. Il complesso procedimento necessario ad estrarlo, denominato fracking (contrazione di hydraulic fracturing, fratturazione idraulica), prevede l’utilizzo di enormi quantità d’acqua mista a sabbia e svariati composti chimici, molti dei quali tossici e persino cancerogeni. Il fluido così ottenuto viene “scagliato” in profondità a velocità e pressioni consistenti in modo che la roccia, lo scisto appunto, si rompa e faccia fuoriuscire il prezioso gas depositato sotto di essa. L’ingente spreco di quella stessa acqua che i Nativi in molti casi non riescono a bere, se non in bottiglia, basterebbe da solo a rendere questo processo di CANADA | Elsipogtog solidarity Montreal (Foto di Thien V Howl Arts Collective) firstlinepress.org « Il Canada dal 2010 ha concesso 1milione e 400mila ettari di terre dei Nativi del New Brunswick all’esplorazione del gas di scisto della SWN» estrazione del gas del tutto insostenibile ed energeticamente sconveniente. Si aggiunga poi che le sostanze chimiche tossiche utilizzate nel fluido non scompaiono nel nulla, ma vanno a contaminare il suolo e le falde acquifere, mettendo a rischio agricoltura e forniture di acqua potabile. Neanche l’aria nei pressi del giacimento è esente da danni: non solo le componenti volatili del fluido tossico si disperdono nell’atmosfera, ma in più la perforazione delle rocce causa la fuoriuscita di gas serra come il metano, con tutto il loro strascico di piogge acide, riduzione dello strato di ozono, surriscaldamento climatico etc. Insomma, l’estrazione di questo combustibile, comunque inquinante, causa già di per sé un enorme impatto sull’ambiente e sulla salute delle persone. Noncurante di tutto ciò, lo Stato canadese ha concesso dal 2010 in poi circa 1milione e 400mila ettari di terre dei Nativi del New Brunswick, un settimo della provincia, agli impianti di esplorazione del gas di scisto della SWN Resources Canada, filiale del gruppo texano Southwestern Energy. Consapevoli dei danni di questa iniziativa, un vero attentato all’ecosistema ed al suo futuro, ma anche alla vita degli esseri umani, alla democrazia e alla sovranità indigena, fin da subito gli abitanti della zona si sono mobilitati. Dibattiti, petizioni, manifestazioni si sono susseguite negli anni, ma né l’azienda, né le autorità federali, né il premier del New Brunswick hanno voluto sentir ragioni. Anzi, hanno ripetutamente negato che si potesse svolgere una con- flp magazine 33 sultazione popolare sulla possibilità di concedere il territorio agli impianti SWN. Diversi sondaggi hanno dimostrato che in un eventuale referendum i due terzi dell’intera popolazione del New Brunswick, non solo delle riserve, avrebbe votato contro. Non si sarebbe trattato, quindi, di un mero capriccio di quei piantagrane dei Nativi... Di fronte al “muro” delle istituzioni, la risposta della popolazione in rivolta è stata quella della disobbedienza civile. Dal giugno 2013 gli Elsipogtog hanno cominciato a recarsi fisicamente nei pressi degli impianti del potente gruppo energetico statunitense, armati solo di striscioni, tamburelli e piume d’aquila, per contestare l’ennesimo progetto, imposto, di furto delle risorse dopo 400 anni e più di colonialismo. La multinazionale e le autorità continuano a ignorare le rivendicazioni popolari, anche reprimendo e arrestando all’occorrenza. Il 29 settembre 2013 i Nativi decidono di mettere in piedi un accampamento proprio davanti agli impianti di rilevamento sismico della SWN a Rexton, sulla Highway 134. Decine di persone si stabiliscono lì, con tanto di tende e fuoco sacro per le cerimonie religiose, per impedire ai camion dell’azienda di entrare e uscire dagli stabilimenti. Una strategia nonviolenta, ma non per questo meno dura e determinata, per far sentire la propria voce. Un blocco dell’attività di ricerca che costa all’azienda ben 60.000 dollari al giorno e mette i bastoni tra le ruote all’iniziativa statale. La risposta del governo locale che spalleggia la SWN, oltre ai soliti arresti, è un decreto ingiuntivo, peraltro di scarso valore legale: i dimostranti sono invitati a interrompere il boicottaggio delle attività della multinazionale, altrimenti cinque giorni dopo verranno decisi dei provvedimenti punitivi. I manifestanti non si lasciano intimidire, e continuano civilmente le loro proteste, senza retrocedere di un passo ma accordandosi con le forze dell’ordine per garantire la circolazione stradale e la sicurezza dei lavoratori dell’impianto. scadenza dell’ingiunzione, il 17 ottobre, poco prima dell’alba, l’accampamento degli inermi Elsipogtog è letteralmente preso d’assalto da un centinaio di poliziotti, molti dei quali in tuta mimetica e spuntati all’improvviso dai boschi. Si tratta di un vero e proprio raid della Royal Canadian Mounted Police (RCMP), forza militare di polizia equivalente ai nostri carabinieri, che crea scompiglio nel gruppo di manifestanti puntando fucili e cani, Fatto sta che il giorno prima della utilizzando lacrimogeni, proiettili di First Line Press gomma e spray urticanti, aggredendo e malmenando. 40 persone vengono arrestate durante questa violenta retata (altre 40 hanno subìto la stessa sorte nell’arco di tutte le proteste anti-fracking, dalla primavera 2013 ad oggi). Giornali e tg canadesi mostrano prevalentemente le auto della polizia in fiamme, molto probabilmente incendiate con delle molotov lanciate da infiltrati appartenenti alle stesse forze dell’ordine. In una conferenza stampa la RCMP, di guardia agli impianti, racconta che il @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 34 flp magazine CANADA | Rielaborazione di un’immagine di Elsipogtog, dell’artista Fanny Aishaa. La foto originale è stata scattata da Michelin Ossie. suo intervento repressivo si è reso necessario per sedare i disordini causati da un gruppo armato di nativi americani, che avrebbe dato il via a violenti scontri ai danni della polizia e dei lavoratori. A prova del carattere sovversivo dei no-fracking viene mostrato un tavolo pieno di fucili e munizioni: secondo la polizia sono stati sequestrati nell’accampamento, ma nessuno finora ha dimostrato che appartenessero ai manifestanti. Fatto sta che con un’abile campagna mediatica Stato e SWN riescono a legittimare la loro strategia repressiva e la difesa dei loro interessi economici. La solita retorica di massmedia e istituzioni ha dipinto gli Elsipogtog come un gruppo di violenti terroristi, che hanno attentato alla sicurezza e al progresso del Paese, mentre gli agenti di polizia al servizio della Corona (sul Canada formalmente regna ancora la Regina d’Inghilterra), autori del raid, sono stati dipinti come eroi, quasi salvatori della patria. La narrazione dominante e manichea ha ancora una volta attribuito alle parti in causa di questo conflitto le etichette di “buoni” e “cattivi”, “pacifici” e “violenti”. Ovviamente criminalizzando e danneggiando i Nativi e le loro rivendicazioni. tutto il Canada e anche oltre, si è mobilitata già dal giorno dopo lanciando varie iniziative di solidarietà con gli Elsipogtog del New Brunswick, al grido Frack off, Canada!. In moltissimi si sono resi conto dell’importanza della loro battaglia per la giustizia, per la salvaguardia dell’ambiente e del futuro di tutta l’umanità di fronte ad un profitto senza scrupoli, per il diritto all’autodeterminazione di gente colonizzata e sfruttata da secoli. Il duo Canada-multinazionali, timoroso delle contestazioni ai suoi piani che non si sono fermate, ha ulteriormente indurito la sua repressione. Testimonianze riportano che gli arrestati in attesa di processo, detenuti nelle carceri provinciali con le accuse di minacce, aggressione a pubblico ufficiale, sequestro di persona e altri reati, subiscono un trattamento disumano. Passano la maggior parte del tempo in isolamento, non possono praticare i riti della spiritualità aborigena, in alcuni casi hanno subìto violenze da parte dei carcerieri. Mentre scriviamo è in corso il processo, della durata di una settimana (31 marzo-6 aprile), sui fatti del 17 ottobre 2013. I due principali imputati davanti alla corte della città capoluogo Moncton sono i Nativi Germaine ‘Junior’ Buona parte della società civile, in Breault e Aaron Francis. Le ultime noti- firstlinepress.org zie parlano di dichiarazioni discordanti tra gli interrogati appartenenti alla polizia, mentre sono stati ritrovati alcuni documenti che rivelano come l’attacco fosse stato organizzato già ben 3 giorni prima. Nel frattempo a dicembre la SWN Resources ha terminato i suoi rilevamenti a Rexton, annunciando un suo ritorno nel sito solo nel 2015, per le perforazioni. I responsabili della nazione Elsipogtog hanno già annunciato che non renderanno la vita facile all’azienda e alle autorità: nonostante l’assoluto bisogno di lavoro (i disoccupati sono l’80%) e casa (l’emergenza abitativa fa registrare casi di appartamenti in cui vivono 20 persone) non cederanno alle lusinghiere promesse di una condivisione dei ricavi dal gas di scisto. Per loro è troppo importante preservare terra e acqua per le generazioni future, fedeli alla massima secondo cui «la Terra non l’abbiamo ereditata dai nostri padri, ma ricevuta in prestito dai nostri figli». Questa storia ancora non terminata ci mostra il grande paradosso di uno Stato che taccia un popolo di illegalità e terrorismo, mentre nello stesso tempo reprime senza riserve e viola il diritto cedendo una terra non sua (lo ribadisco: quei territori sono di proprietà flp magazine 35 « Di fronte al “muro” delle istituzioni, la risposta della popolazione è stata la disobbedienza civile» Guardian: «Le istanze delle Prime nazioni, e la decisione del popolo canadese di supportarle, determineranno il destino del pianeta». dei Nativi, non del Canada) ad una corporation amica. Un affronto tanto al diritto canadese (le tutele della Costituzione sui territori aborigeni) quanto a quello internazionale (la Dichiarazione Onu sui diritti dei Popoli indigeni, ma anche il trattato Canada-nazione Elsipogtog). Ma, soprattutto, l’emblema di una parte del pianeta che porta avanti uno stile di vita e un’abitudine al consumo insostenibili, e che perciò ha un’insaziabile fame di energia e di profitto che vuole ottenere a tutti i costi, passando senza alcuno scrupolo per la devastazione dell’ambiente e della vita degli esseri umani. Come non legare questa vicenda a quella dei NoTav in Val di Susa (anche lì il sabotaggio ad un cantiere equivale al terrorismo e lo Stato ha messo in atto raid di tutto rispetto), il ricatto lavoro/salute all’Ilva di Taranto, e ad altri conflitti ambientali come quelli riguardanti le discariche e le trivellazioni, per restare in Italia. Come non estendere, per restare nell’attualità di questi mesi, il problema al caso dell’Ucraina: anche lì esistono grandi giacimenti di shale gas e un governo filoccidentale come quello recentemente instaurato darà molto meno filo da torcere alle esplorazioni delle multinazionali dell’Ovest. Si tratta, in tutto il mondo, di partite in cui è in gioco il nostro avvenire, non solo nei (fondamentali) termini ecologici, ma anche per quel che riguarda temi come la democrazia e l’autodeterminazione dei popoli: tutte questioni legate. Il caso della nazione Elsipogtog diventa perciò esemplare, e riguarda non solo loro, ma tutti noi. Abbattere i muri che la opprimono rappresenterebbe una conquista di libertà per tutto il mondo. Come ha affermato Martin Lukacs sul PER APPROFONDIRE | INDIGENOUS NATIONHOOD MOOVEMENT nationsrising.org @INMvmt SACRED FIRE NEW BRUNSWICK sacredfirenb.com @SacredFireNB IDLE NO MORE! idlenomore.ca DANGERS OF FRACKING dangersoffracking.com BLOG NATIVI AMERICANI nativiamericani.it IL LIBRO: M.JOBERT, L.VEILLERETTE, Le Vrai Scandale Des Gaz De Schiste, PREF. DI JOSÉ BOVÉ, ED. LLL, 2011 I FILM: GASLAND (2010), PROMISE LAND (2012), NO GAZARAN! (2014) First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 36 flp magazine TERZA PAGINA Giancarlo Basili: «Il cinema secondo me» Monia Marchionni G iancarlo Basili è considerato lo scenografo ufficiale del nuovo cinema italiano. Il suo talento è quello d’immortalare in una scena una storia intera, talmente vera che lascia l’amaro in bocca ammettere che è solo un’illusione. A lui si sono affidati Ferreri, Bellocchio, Avati, Salvatores, Moretti, Giordana, Amelio, Luchetti, Mazzacurati, Kiarostami; film come Nirvana, Il Caimano, Palombella Rossa, Io non ho paura, Enrico IV, Paz, Romanzo di una strage, La giusta distanza, Il portaborse, L’Intrepido, Anni Felici portano tutti la sua firma. Non sono realizzati in un teatro di posa, per via dei costi troppo alti e ostile lui stesso ad una certa ricostruzione in studio, ma con un approccio neo-realista sono nati sulla strada dove le vecchie archeologie industriali, i paesi chiusi e i “nonluoghi” cari a Marc Augé sono intrisi di un’apparente naturalezza. Sembra lui stesso un attore, ha uno sguardo indagatore, tipico di chi è abituato ad osservare, occhi vividi, ombreggiati dai capelli color del latte. Accenna alla sua formazione all’Accademia di Bologna nel pieno della contestazione del ‘69, con le lezioni sospese, le università occupate e il lavoro di aiuto scenografo nel laboratorio del Teatro Comunale diretto dal maestro Cochi Fregni. Nel 1979 insieme a Leonardo Scarpa apre un laboratorio di scenografia, lavora anche per Ronconi e Strehler ed è proprio in quel momento che alla sua porta bussa Marco Ferreri firstlinepress.org per Chiedo Asilo. È la sua prima “visione” – questa è la parola che più utilizza – realizza Goldrake, un robot di nove metri in polistirolo così ben fatto da sembrare reale tanto da lasciare stupefatti sia il regista, che il protagonista, Roberto Benigni, nel vederlo avanzare per le vie di Corticella. L’incontro con Basili avviene nel “Centro di documentazione scenografica G. Basili - Polo Museale di San Francesco”, a lui dedicato e fortemente voluto dal comune di Monte Fiore dell’Aso, nel borgo marchigiano che gli ha dato i natali. Nel museo ci sono ricostruzioni di set scenografici, back stage fotografici, bozzetti, disegni, video e testi inediti che raccontano decenni del nostro cinema e svelano i segreti di un professionista. Come nasce la scenografia per un film? «Il progetto nasce sempre dalla sceneggiatura, di solito leggo il copione una sola volta e poi lo chiudo per non lasciarmi condizionare dalla scrittura. L’approccio è subito creativo, faccio dei sopralluoghi con fotografie, riprese video, seleziono poi degli itinerari ben precisi, dopo di che riadatto il tutto in base alla sceneggiatura. Riprendo in mano il testo e comincio a leggermi pagina per pagina nel dettaglio. Per La stanza del Figlio abbiamo scelto Anco- « L’approccio è subito creativo, faccio dei sopralluoghi con fotografie, riprese video, seleziono poi degli itinerari ben precisi, dopo di che riadatto il tutto in base alla sceneggiatura» na dopo aver visto con Nanni tutti i paesi della costa, serviva una piccola città che fosse attaccata al mare e lo abbiamo raccontato in un minuto e mezzo, nella scena iniziale del film quando lui corre, scritto da copione “in una spiaggia”. Anche per Palombella Rossa abbiamo visitato molte piscine prima di scegliere quella di Acireale, l’abbiamo riadattata prendendo dei particolari da quelle che più ci avevano colpito. E ancora, tutto il paese dove vive il ragazzino di Io non ho paura è finto, inventato, collocato in una distesa di grano, del pozzo esiste solo il buco, dentro è tutto ricostruito a spicchi in modo che potesse entrare la macchina da presa. Questo è il mio cinema, che è nato poi con Nirvana. Per Nirvana di Salvatores ha cre- flp magazine al soffitto». Expo Shanghai 2010, il padiglione italiano è stato tra i più visitati. Visionario e realistico al contempo, ce ne parli? ato tanti ambienti diversi nell’area rato a Bruegel. In tutti i film che faccio dismessa dell’Alfa Romeo di Milano, l’arte è sempre con me». come è nata l’idea? Nell’Enrico IV di Marco Belloc«Nirvana è stato il set più emozio- chio sono interessanti la location e nante. Abbiamo ricostruito tutto in i giocattoli realizzati a misura d’uouna vecchia fabbrica che oggi non esi- mo… ste più. Lì ci siamo inventati un mondo su 150.000 mq. Avevamo fatto tanti «Ritengo Bellocchio uno dei più sopralluoghi in giro per il mondo, in grandi registi italiani, insieme ad AmeIndia, in Marocco, per capire se riu- lio, Moretti e Giordana. A lui devo l’inscivamo a realizzarlo, ma i costi erano segnamento del rapporto nel cinema talmente alti che si parlava al tempo di tra luogo immagine e storia. Decise di quasi quaranta miliardi di lire. Facendo ambientare a Bologna l’Enrico IV, ini confronti, con i vari posti dove erava- terpretato da Marcello Mastroianni. mo stati, dissi a Salvatores che questi Ricordo che andava sempre a scrivere quartieri li potevamo ricavare nell’ex la sceneggiatura da Tonino Guerra, lui fabbrica dell’Alfa Romeo di Milano, uno cercava un castello, li abbiamo visti stabilimento che si era evoluto nel tem- tutti dell’Emilia Romagna, niente da po. Aveva tantissimi stili, dal primo No- fare, troppo tradizionali. Poi un giorno vecento, fino agli anni ‘60-’70: c’erano i gli proposi la Rocchetta Mattei, verso sotterranei, gli spogliatoi degli operai. Vergato, costruita da uno strano persoUn posto di una bellezza straordinaria. naggio che inventava tisane per la guaCi siamo inventati una città in verticale rigione. La rocca era caratterizzata da fatta a piani, sfruttando i luoghi che esi- molti stili e sembrava un castello delle stevano già, ripulendoli e agendo sen- favole. Quando Bellocchio la vide, deciza modificarli. Nirvana è stato il primo se che sarebbe diventato il suo castello, film fantascientifico in Italia, usando i riscrisse la storia pensando a questo primi effetti speciali e alla fine quello luogo. Così ci venne l’idea di costruire che sembrava reale era il risultato di il cavallo a dondolo a grandezza d’uouna sapiente costruzione scenografica. mo e non di bambino. C’è una scena Nella scena dove Jimi, il protagonista, bellissima dove Mastroianni comincia apre una serie di porte, è tutta Pop Art, a giocare con dei gabbiani sospesi, li da Escher a Lichtenstein, e nei quartie- abbiamo realizzati con le nostre mani, ri periferici di Marrakesh mi sono ispi- per poi appenderli con dei fili di bava First Line Press «Mi sono meravigliato quando è uscito il mio nome, di solito è sempre a carico degli archistar progettare un Expo. Ho cercato insieme al curatore del Padiglione Davide Rampello di raccontare una storia di italianità che non può essere messa in discussione. L’idea non era quella di un allestimento istituzionale, ma di un percorso dove il visitatore passeggiava tra grandi oggetti realizzati in Italia e trasportati in Cina, come se fossero opere d’arte fini a se stesse. La gente doveva vivere solo di sensazioni e poteva toccare quello che vedeva. Ecco dunque all’ingresso principale il monumentale fronte scena del teatro di Vicenza del Palladio e la Cupola del Brunelleschi che grazie ad un effetto ottico sembrava sospesa nel vuoto durante la notte. La musica l’ho raccontata con l’orchestra in verticale d’ispirazione felliniana. Con una pianta d’ulivo che sfonda un pavimento hitech e un campo di grano ribaltato nel soffitto ho raccontato la nostra cultura mentre per le piazze italiane ho preso spunto da una piccola tela di De Chirico e l’ho ingrandita fino a venticinque metri per lato. Il governo cinese ha deciso di non smontare il nostro Padiglione « Il paese del ragazzino di Io non ho paura è finto, inventato, collocato in una distesa di grano, del pozzo esiste solo il buco, dentro è tutto ricostruito a spicchi in modo che potesse entrare la macchina da presa.» @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 37 38 flp magazine dopo la fine dell’Expo, adesso è diventato un luogo di interscambio culturale italo-cinese, dove si alternano mostre. E’ stato il padiglione più visitato oltre a quello cinese, con più di otto milioni di visitatori. Ora sto progettando il Padiglione Zero per l’expo Milano 2015». studenti di cinema si danno appuntamento anche in occasione del festival d’estate “Sinfonie di cinema”, che vede la partecipazione di produttori, attori, direttori di fotografia con i quali lavoro e che poi ritornano affascinati dal territorio. Il museo è nato per questo scopo, non per far vedere le mie cose, ma per Perché trasformare un monaste- far capire come si fa il lavoro dello scero francescano del Seicento in un nografo. Mi piacerebbe ampliarlo, stiacentro di documentazione scenogra- mo cercando altri edifici nel paese per fica? realizzare un percorso itinerante». «L’idea è nata da una mostra che feci nel 2002 alla Mole Vanvitelliana di Ancona, dopo aver lavorato a La stanza del figlio. L’allora assessore alla cultura Lorenzo Lucarini mi propose di raccontare il lavoro dello scenografo al di fuori del teatro di posa. La mostra durò sei mesi, divenne itinerante, facendo tappa a San Benedetto del Tronto ed a Bologna. Avevo ricostruito interi set dei film, la gente passava da una scena all’altra per arrivare ad una sala cinematografica, dove venivano proiettati gli spezzoni dei film presenti in mostra. Quando tutto finì, i set vennero accatastati in un vecchio zuccherificio nel bolognese e ci rimasero per diversi anni. Fu allora che il Comune di Monte Fiore dell’Aso mi chiese di allestire in forma permanente la mostra nel monastero di San Francesco, e così è stato. Penso sia una bellissima idea, realizzata in un paese piccolo, dove gli amanti e gli firstlinepress.org Intanto nel museo cala la sera, le stanze si svuotano e il ronzio dei faretti caldi rimbalza tra i corridoi. Tra una riflessione e l’altra sul cinema d’autore, ognuno si perde nei propri pensieri, seduti su una poltroncina al buio. « Nirvana è stato il set più emozionante. Abbiamo ricostruito tutto in una vecchia fabbrica che oggi non esiste più. Lì ci siamo inventati un mondo su 150.000 mq» flp magazine THE QUART SIDE OF THE MOON THE QUART SIDE OF THE MOON First Line Press STORIA E ILLUSTRAZIONI A CURA DI HOBO @FirstLinePress HOBO youtube.com/firstlinepress 40 flp magazine Quando assisti ad una partita di calcio popolare, capisci che c’è qualcosa di diverso... lo percepisci già dal pre-partita... Un tifoso invade il campo. SCARICA LA TENSIONE PREPARTITA SU QUEL PALLONE SOLITARIO... I tifosi sono già sugli spalti... Ma NEAnche un pallone è solo, IN Quel campo... Quando nel luogo in cui vivi non solo manca il lavoro, ma mancano anche spazi minimi di socialità gratuita, libera ed “improduttiva”... allora senti l’esigenza di fare qualcosa... Quarto (la città Natale del Quartograd) NON ha nulla da offrire ai suoi giovani ... COsì PER NON SOCCOMBERE... Il calcio popolare va in questa direzione... NESSUN ALTRO FINE, NESSUNA SCOMMESSA, NESSUNA VOGLIA DI CALCIOMERCATO... Partendo da un unico assioma, dice giorgio rollin (Presidente del Quartograd): Se gli ultimi si pongono degli obiettivi condivisi... ...POSSONO VINCERE! Su questo, Giulio NUovo (Libera Flegrea) CI RACCONTA DEI NUOVI PROGETTI PREVISTI PER I GIOVANI DI QUARTO... firstlinepress.org Solo La voglia di DIVERTIRSI... SOLO LA VOGLIA DI VINCERE PER SE STESSI Ci si autoorganizza! Il comune di Quarto (commissariato per Luogo dove (nonostante il sequestro) la camorra infiltrazioni camorristiche) pensa di destinare continua a sversare rifiuti pericolosi... una parte dell’ ex cementificio ai suoi giovani Ma un altro regalo è previsto dai commissari di quarto ... E non solo per gli abitanti di quarto, ma per tutti gli italiani... flp magazine I COMMISSARI straordinari con una delibera in Agosto (2013) ed il prefetto racconta... PIANETA TERRA QUARTO Navicella spaziale dei commissari, mandata dal ministero dell’interno IL NOSTRO COMPITO è QUELLO DI RIPRISTINARE I PRINCIPI DI LEGALITà nel momento in cui noi siamo arrivati a quarto ci siamo resi conto che c’erano forti sacche di evasione... Affidavano la gestione dell’ Acqua ad una società mista (Acquedotti s.c.p.a.), di cui in seguito il comune avrebbe detenuto delle quote qUESTI SONO I NUOVI TUTORI DI qUARTO... E QUESTO NON ESCLUDE IL FATTO DI INTERVENIRE IN MANIERA STRAORDINARIA E STRUTTURALE ... e CONTINUI INTERVENTI DI ABUSIVI SULLA RETE IDRICA DI QUARTO, ORMAI FATISCENTE. NON ABBIAMO DEI LIMITI NEGLI INTERVENTI l’ARCHITETTO eSPOSITO NON VUOL ESSERE RAFFIGURATO, PARE CHE LA MOGLIE SIA GELOSA. E QUINDI RISPETTIAMO LA SUA VOLONTà E POI C’è LA LEGALITà... RICORDIAMOCI LA LEGALITà! noi Faremo di tutto per combattere l’ abusivismo e ripristinare la legalità MA SU QUALE BASE AVETE SCELTO L’AZIENDA “ACQUEDOTTI S.C.P.A.” ? PERCHè LEI E NON UN’ALTRA? L’aCQUA è un bene pubblico, ma prima di tutto patrimoniale, per il quale è imposta la copertura del 100% del costo L’ABBIAMO SCELTA sulla base dei parametri europei che la stessa azienda rispetta A.T.O. = Ambito Territoriale Ottimale, nel quale vengono riorganizzati i servizi idrici integrati ed il ciclo dei rifiuti. la regione campania con la sua futura legge sull’ acqua prevede il passaggio da 5 a 3 a.t.o. ma anche altre spiacevoli sorprese... First Line Press noi AVREMMO AFFIDATO LA GESTIONE PER VENTI ANNI, MA lA DELIBERA PREVEDEVA CHE LA CONCESSIONE VENTENNALE SAREBBE CESSATA NEL MOMENTO IN CUI L’ATO SAREBBE STATO COSTITUITO @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 41 42 flp magazine Nel 2011, mentre i commissari vagavano ancora nello spazio alla ricerca di Quarto, gli italiani si recavano alle urne per votare l' abrogazione di quattro quesiti, di cui due sull' acqua... abrogazione dell' affidamento della gestione del servizio idrico a soggetti privati tramite gara o affidamento ad una società mista pubblico privato (che doveva detenere almeno il 40% della società) abrogazione dell’ Articolo 154 DeL d. l. 152/2006, che prevedeva la possibilità per il gestore di ottenere profitti sull' acqua 14 milioni di “sì” hanno arginato la privatizzazione dell’ acqua quindi l’ idea che un comune entri in una società privata per gestire l’acqua è del tutto in collisione con l’esito referendario... ma dai? come non...? così sembra! aH, non si può fare? firstlinepress.org ma forse sulla luna funziona in un’altra maniera... io per primo ed altri cittadini abbiamo votato affinché l' acqua rimanesse pubblica, quindi c'è stato un momento di ribellione contro i commissari che andavano in senso opposto giulio nuovo (libera flegrea) Le associazioni, i comitati ed i singoli cittadini hanno fatto ricorso al TAR, che non è stato ritirato nonostante la richiesta della Regione flp magazine Faccia da smile non ce la fa, deve dire la sua Voi sapete che Quarto è nata dal post-terremoto e che tutto è stato costruito senza un piano regolatore.. Visto che la delibera non è andata in porto.... abbiamo deciso di emanare un bando per affidare la gestione della rete idrica ad un’azienda Privata Voglio ricordare la lotta per la legalità! l’Azienda vincitrice del bando in tre anni dovrà fare i lavori per mettere a norma la rete idrica ci rendiamo conto di che regalo fa l’azienda al comune!? la legalità... noi ripristeremo la legalità! la riscossione delle tariffe e la definizione dei costi resteranno in capo al comune Figuriamoci come è stato costruito l’impianto idrico... ad oggi, la delibera è bloccata e di questo famoso bando non ve ne è ancora ombra... Inoltre, altre nubi plumbee si addensano su quarto e la regione Campania... i Primi due anni per l’azienda sono solo di investimento, non vedrà neanche l’ombra di un quattrino! . la nuova legge prevede che entro un anno dalla loro messa in opera, gli a.t.o. devono affidare ad un gestore unico (non squisitamente pubblico , infatti su questo la normativa è torbida) la gestione dell’acqua. in Campania la gori spa (proprietà di caltagirone, il quale possiede anche acea spa) ha in gestione l’acqua di una serie di comuni nell’area vesuviana. quello che potrebbe verificarsi è la creazione di aree geograficamente e politicamente delimitate in cui questi signori si spartiscono la gestione di un bene, che doveva invece restare pubblica. Il referendum doveva essere un primo strumento per arginare la privatizzazione del servizio idrico integrato. tuttavia, questo strumento non basta più perché evidentemente esistono NUove strade alternative da percorrere. Strade che vengono spianate da commissari disinteressati al consenso dei territori che tuttavia hanno il compito di gestire, oppure da politici che condonano i debiti a grandi società come la gori spa, ma pretendono pagamenti attenti e puntuali da società pubbliche (Abc napoli) che hanno ereditato debiti da gestioni precedenti. due pesi e due misure... e tu, da che parte vuoi stare? First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 43 flp magazine First Line Press ha iniziato la sua avventura nel novembre 2012, un modo diverso di raccontare le storie dal mondo e dall’Italia. L’abbiamo fatto proponendo documentari (uno sui nuovi metodi repressivi in Europa “Repressione ai tempi della recessione” e l’altro sulla situazione dei prigionieri politici nei Paesi Baschi “Odissea Basca”), vari videoreportage (sul caso Veolia da Londra; sui manifestanti spagnoli per l’università pubblica; sul lavoro degli immigrati in Italia, sugli intricati scenari egiziani, sulla situazione curda, su problemi ambientali italiani), reportage fotografici (dagli scontri ad Atene a quelli di Roma, dal Kurdistan all’Egitto, fino alla Cisgiordania ed alle manifestazioni studentesche italiane) e un quotidiano approfondimento su cosa succede nel mondo. La collana di ebook di First Line Press comprende al momento tre titoli: Latitudini dell’immaginario: memorie e conflitti tra la Jugoslavia e il Kosovo (una lettura dei conflitti nei Balcani sullo sfondo della dissoluzione della Jugoslavia, che fa della ricerca-azione il tessuto connettivo tra memoria e comunicazione); Vene Kosovare (racconti di come sia vissuto il Kosovo, un Paese sparito dai racconti mainstream ed in cui sono presenti ancora i silenzi dell’esclusione) e Idropoli (percorso per tutta la penisola di domande sui meccanismi economici che, a seguito dal referendum del giugno 2011, avrebbero dovuto intaccare il sistema idrico italiano). Gli ebook sono disponibili nell’area download del sito www.firstlinepress.org. Ci puoi trovare … sul nostro sito: www.firstlinepress.org su twitter: @FirstLinePress su facebook: First Line Press su youtube: www.youtube.com/user/FirstLinePress First Line Press @FirstLinePress youtube.com/firstlinepress 45 flp magazine Hai bisogno di visibilità? Fai pubblicità su First Line Press Magazine Sostieni l’informazione indipendente. Contattaci: [email protected] Ci occupiamo ogni giorno di conflitti, periferie, volti, storie che c’imbrattano diventando libere di essere raccontate. firstlinepress.org muri First Line Press Magazine #1. Dal 14/04.