La pittura italiana del Duecento e Trecento
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La pittura italiana del Duecento e Trecento
La pittura italiana del Duecento e Trecento Il Duecento La pittura italiana del Duecento è caratterizzata da un lungo confronto con la tradizione bizantina, da Venezia all'Italia meridionale, la cultura bizantina si era insinuata ben prima del XIII secolo. E' proprio partendo da un approfondimento dei mezzi stilistici ed espressivi bizantini, che l'esigenza italiana di realismo riesce a esprimersi nella pittura fra la seconda metà del XII e gli anni settanta del XIII secolo. La pittura religiosa era intesa come oggetto di contemplazione e venerazione, veicolo della preghiera verso l'entità che vi è rappresentata, sono questi i principi dell'icona. All'inizio del XV secolo, il pittore Cennino Cennini, toscano ma attivo a Padova, parlò di “maniera greca” dominante nella pittura italiana, prima del rinnovamento giottesco. Proprio in questi anni, in Italia, fu sperimentata la tecnica del “buon fresco”, la nuova tecnica dell'affresco, che consiste nella stesura dei colori (terra e acqua) sull'intonaco ancora fresco. La carbonatazione dell'intonaco impregnato di colori a contatto con l'aria dà come risultato una materia compatta, che fa tutt'uno con la parete. Dalla pittura di piccole dimensione che era prima dominante, si passa ora al predominio dell'affresco: pittura rapida, destinata alle grandi dimensioni e orientata verso una drammaticità immediata. L'arte duecentesca italiana ebbe un reale punto d'appoggio nel papato, che promosse opere architettoniche, il cui risultato espressivo fu recettivo delle indicazioni del gotico; tale fu il caso del Palazzo papale di Viterbo(1255-1266), che nella fase centrale della sua costruzione fu seguito attentamente dal pontefice Urbano II. Assisi è stata una delle più importanti sedi di penetrazione del gotico in Italia, il procedere del complesso organismo costruttivo di San Francesco, fu stabilito e controllato da Roma. Fondata da Gregorio IX nel 1228 e consacrata da Innocenzo III nel 1253, la nuova chiesa oltre che sede conventuale e santuario della sepoltura di San Francesco, era destinata a diventare cappella papale. La pittura del Duecento non consisteva solamente di opere religiose, ma i rari resti di affreschi nei palazzi comunali italiani, fanno intravedere quanto ricca fosse la pittura profana. Esistono codici miniati di argomento profano,come testi di medicina e di astrologia, o come il codice per il re Manfredi sull'arte della caccia con il falco. La fioritura della letteratura italiana Il Trecento fu il secolo fondamentale per la nascita della tradizione letteraria italiana: opere come la Divina Commedia dantesca, il Canzoniere di Petrarca e il Decamerone di Boccaccio costituirono fin dall'origine i principali modelli a cui si rifece la tradizione letteraria italiana. La Divina Commedia godette subito di una straordinaria fortuna sia tra i dotti sia tra un pubblico più vasto: si moltiplicarono immediatamente le copie manoscritte, la trasmissione per via orale di celebri passi, le letture pubbliche commentate. Il successo dell'opera si collega ai suoi contenuti religiosi, come giudizio su tutta la storia presente e passata e probabilmente anche alla sua ideologia vagamente nostalgica di un passato migliore. E questo successo pose le basi per la formazione di un pubblico e di una lingua nazionali. Il primato linguistico fiorentino venne ribadito dal più fervido cultore di Dante: Boccaccio. Il confronto fra il suo Decamerone e la Commedia ci consente di misurare la rapidità e l'ampiezza della trasformazione che si era consumata nella cultura italiana nella prima metà del Trecento. Quando Dante appariva, agli inizi del secolo, l'austero divulgatore di un universo celeste e terreno rigorosamente unitario e razionalmente strutturato secondo i dettami della filosofia tomistica; così Boccaccio appare immerso in un'atmosfera tutta terrestre ed empirica. Se Dante sul piano teorico era ancora intrigato dal conflitto fra papato e impero, Boccaccio ci fa sentire la pratica e individuale ambiguità di un borghese che è vissuto a lungo a contatto con l'aristocrazia della fastosa corte napoletana. Infatti re Roberto protesse e incoraggiò letterati e artisti: fu grande ammiratore del Petrarca, che ospitò; Giovanni Boccaccio ebbe facile accesso a corte, grazie anche alla posizione del padre, consigliere e ciambellano di Roberto, nonché socio della compagnia Bardi, finanziatrice degli Angiò. La pittura italiana del Trecento Nell'arco della prima metà del Trecento si delineò una mappa dei centri artistici italiani, che in parte si sovrapponeva a quella duecentesca, in parte invece poneva in evidenza nuovi poli culturali. Punto di riferimento rimaneva ancora la basilica di San Francesco ad Assisi, dopo che vi ebbero lavorato Cimabue, il Torriti e il giovane Giotto, nel primo Trecento vennero completate le decorazioni ad affresco della basilica inferiore. I protagonisti dell'impresa furono di nuovo Giotto, che vi lavorerà con la sua bottega, quindi Simone Martini e Pietro Lorenzetti. Il completamento dell'opera pittorica di Assisi, che oggi si ritiene essere stata condotta a termine già entro la fine del secondo decennio del secolo, venne dunque affidato ai maggiori artisti di Firenze e Siena. Ciò dimostra che, sin dal momento della sua erezione, e in particolar modo nel periodo intercorso tra il 1280 e il 1320 circa, la basilica godette di una costante e privilegiata attenzione, che la trasformò da tempio religioso in un irripetibile tempio culturale. Il fatto che ad Assisi si fossero concentrati artisti di Firenze e Siena, fa rivelare la presenza di altri due centri importanti dell'arte italiana dell'epoca. Firenze, e non meno Siena, assunsero infatti per tutta la prima parte del secolo la funzione di centri-guida dell'elaborazione figurativa della penisola. A Firenze, la portata innovativa della lezione di Giotto creò ben presto un'autentica scuola; Taddeo Gaddi, Maso di Banco, Bernardo Daddi, Stefano Fiorentino e Giottino, ne furono gli esponenti principali, la loro opera abbellisce le pareti delle cappelle di Santa Croce e di Santa Maria Novella. A Siena invece, crebbe l'arte di Simone Martini, di Pietro e Ambrogio Lorenzetti, che lavorarono per le chiese cittadine, ma soprattutto, è il caso dei due Lorenzetti, lasciarono opere ad affresco importantissime nel palazzo del Comune della loro città. Dal punto di vista sociale, accanto a vescovi, cardinali e alti prelati, alle autorità civiche, promossero in modo determinante i più importanti episodi artistici gli esponenti della ricca borghesia, i banchieri che, come indica il caso di Firenze, erano in grado di sostenere i maggiori artisti alle altre istituzioni di committenza. I cittadini più ricchi ingaggiavano gare di mecenatismo: i Peruzzi e i Bardi, commissionarono a Giotto gli affreschi per la decorazione delle proprie cappelle in Santa Croce, e in modo analogo si comportarono le altre famiglie con gli altri artisti fiorentini. Si edificarono nuovi palazzi e tramite pubbliche sottoscrizioni, vennero fondati ospedali, si provvide a pavimentare le strade principali, si costruì il campanile del duomo, disegnato dallo stesso Giotto. Nel corso del Trecento, la città mutò così il suo aspetto e ne assunse uno più moderno e consono alla favorevole fase economica che si andava chiudendo. I migliori artisti della penisola vennero chiamati alla corte napoletana: Pietro Cavallini vi arrivò nel 1308, Simone Martini nel 1317 lavorava alla pala di San Ludovico da Tolosa che incorona re Roberto, lo scultore Tino da Camaino giunse nel 1323-1324 e vi si stabilì fino al 1338, Giotto stesso vi sostò dal 1328 al 1333. Assisi, Firenze, Siena e Napoli sono i maggiori centri che hanno contribuito alla crescita artistica della prima metà del Trecento. La peste del 1348 segnò duramente non solo la società, ma anche l'arte italiana della seconda metà del Trecento. Lo choc economico che ne derivò, ostacolò per anni l'accumulazione di eccedenze da destinare ai consumi artistici. La catastrofe demografica, determinò una contrazione degli spazi, degli arredi urbani e dei manufatti edili. Senza contare che la “morte nera” colpì direttamente molti artisti, alcuni dei quali al culmine della loro maturità pittorica e all'apice della loro carriera: la documentazione che possediamo di artisti come Pietro e Ambrogio Lorenzetti, dei fiorentini Bernardo Daddi e Maso di Banco si arresta significativamente con il fatidico 1348. Le grandi opere di Giotto e dei senesi vennero replicate. Energie nuove e rinnovate proposte espressive, seppur partendo sempre dal dissodato campo giottesco, maturarono invece in altri contesti. Da questo punto di vista emerge con particolare evidenza la fioritura artistica padana degli anni 1350-1380, che interessa i grandi cicli ad affresco della Lombardia: una fioritura testimoniata anche dal fatto, che uno degli artisti più incisivi nel contesto fiorentino dell'epoca fu Giovanni da Milano. Accanto ad essa emerge anche la pittura dell'Emilia e del Veneto: dallo spregiudicato espressionismo dei bolognesi a Tommaso da Modena, che incontrò i favori della committenza su un piano europeo, attraverso le opere eseguite per Carlo IV a Praga, fino all'opera di Altichiero, l'ultimo interprete del giottismo. Irrazionalità spaziale, espressionismo, colore favoloso annunciavano però un nuovo periodo dell'arte italiana: la stagione del fiabesco gotico internazionale, che inizierà allo scadere del Trecento. “ Nel Trecento, come la poesia, la pittura ha poche altissime cime che attingono l'eterno, fuori del tempo... ...e d'un tratto Giotto compì nella pittura il grande mutamento opponendo al tradizionalismo i sensi e l'ispirazione con tale affermarsi d'individualità che ha paragone soltanto nei massimi creatori dell'arte. Come Dante, egli sta solo”.Questa definizione la si deve al grande storico dell'arte Pietro Toesca (18671962). La percezione della grandezza di Giotto ci sorprende ancora di più se consideriamo i profondi mutamenti avvenuti nell'artista durante la sua lunga carriera. E' evidente che una simile maturazione, poteva avvenire solo in un maestro che avesse rinunciato a conservare dentro di sé la tradizione, per esporsi a rischi di un'elaborazione personale. Ad Assisi Giotto poté entrare in contatto con il pensiero antiscolastico francescano(cioè un pensiero profondamente innovatore, quasi sovvertitore rispetto all'autorità costituita della Chiesa), e con il forte senso della realtà del Dio-uomo che ispira la religiosità di San Francesco. A Padova invece, si trovò in contatto con la raffinata vita di corte e con i fermenti di un'università votata allo studio della medicina e di Aristotele e al rapporto fra corpo e anima. Inoltre qui non poteva non essere giunta a Giotto qualche eco della civiltà bizantina del mosaico, con cui ebbe modo di familiarizzare a Ravenna e Rimini. Soprattutto nel periodo della sua piena maturità, Giotto è per molti versi un artistaimprenditore, a capo di una bottega che produce per l'Italia intera: in questa veste, progetta le opere, dirige il lavoro degli allievi e con parsimonia interviene personalmente nella stesura di alcune parti. In ogni situazione Giotto si presentava con una veste pittorica parzialmente nuova; era uno dei pochi grandi artisti capaci di mutare incessantemente. Seguire l'itinerario dell'arte giottesca ci porta a intendere le linee dello svolgimento di gran parte della pittura italiana del Trecento.