L`opulenza e la grazia
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L`opulenza e la grazia
Per la conoscenza della devozione a Gesù Bambino L’opulenza e la grazia «…il giorno della Natività […] apparve una stella a dei magi che pregavano […] la stella aveva la forma di un bimbo bellissimo, e sul suo capo risplendeva una croce… lo stesso giorno a oriente apparvero tre soli, che pian piano si riunirono in un solo corpo solare: questo voleva significare che stava per essere conosciuto al mondo il Dio uno e trino»1 Opulence and grace The Museum dedicated to the worship of the Divine Child in Gardone Riviera is definitely very special. Hiky Mayr, a German collector and Italian by adoption, has collected numerous representations of the Child in different styles and of different origins, which span a period of about four centuries. The accessories are also important, such as crowns, haloes, shoes and scapulars that complete the celestial wardrobe of the small King. Veneration for the Divine Child has very ancient origins: the first accounts date back as early to the year 1000. St. Teresa of Avila wanted a statue of the Child Jesus in every convent of the Barefooted Carmelites. In Rome, one of these statues in the church of Santa Maria in AraCoeli is believed to possess miraculous properties. 2 TITOLO RUBRICA I piccoli Re della Collezione Hiky Mayr Mario Vergottini Esperto di arte barocca I l culto per il Divino Infante nella comunità cristiana ha origini remote. Le prime attestazioni possono essere rintracciate intorno all’anno Mille, quando la contemplazione del mistero dell’Incarnazione del Verbo fattosi Carne assume connotazioni eloquenti a livello teologico, devozionale e artistico con la creazione dei primi acerbi simulacri del Cristo Bambino. Gli evangelisti Matteo e Luca accennano all’infanzia di Gesù. Informazioni più dettagliate le troviamo negli pseudo vangeli di Tommaso e Giacomo ma sarà Jacopo da Varazze2 nella sua Legenda Aurea ad arricchire e consolidare l’immaginario collettivo sulla nascita e l’infanzia di Cristo. A rafforzare il culto al Divino Infante l’esempio di alcuni santi: Atanasio, Girolamo, Francesco d’Assisi, e soprattutto Teresa d’Avila, che voleva una statua di Gesù Bambino in ogni monastero delle Carmelitane Scalze, normativa che verrà a fortificare e “convalidare” una devozione già nata in seno alla più umile popolazione. Se l’Italia e la Spagna saranno le terre più fertili per la germinazione e proliferazione di questo culto, è nei Paesi germanici che rintracciamo le più antiche sculture di Gesù Bambino da solo, avulso da altre contestualizzazioni sceniche. Mentre nel Medioevo le prime sculture disadorne sono in legno, è in epoca barocca che la felice esplosione di iconografie legate alla figura del Divino Infante contempleranno l’utilizzo dei più svariati materiali: accanto al legno troviamo la terracotta, la cera, la cartapesta, materiali poveri nobilitati da stoffe preziose, pizzi, ori, argenti, coralli, avori, inserti in tartaruga, perle e vetri colorati, tutti uniti nello sforzo di dare ai simulacri del Cristo fattosi Carne l’opulenza affine ai sovrani e la grazia celeste. Hiky Mayr, erudita collezionista di origine tedesca, italiana di adozione, ha dedicato ormai quarant’anni della sua vita alla ricerca, alla raccolta ed al restauro delle sculture raffiguranti Gesù Bambino. Una passione, racconta, nata per caso e senza clamori: «Stavo cercando presso un rigattiere del pentolame di rame che mi serviva per l’albergo di famiglia; fra queste pentole vidi spuntare due gambette nude, di legno e chiesi a chi appartenessero… Il commerciante rispose che era una statua del Bambino Gesù. La visione era patetica, il manufatto si trovava in condizioni davvero precarie: impolverato, con una pellicola pittorica debole e frammentaria, manchevole di alcune dita delle mani e dei piedi. Un senso di materno amore mi spinse a chiedere al commerciante di vendermi la piccola statua ma lui decise di regalarmela se avessi comprato qualche vecchia pentola di rame in più e così arrivai a casa stipata di pentole e con il povero Gesù in grembo». Una passione, quella di Hiky Mayr, che ha portato alla creazione, a Gardone Riviera,3 del più importante museo al mondo dedicato alla figura del Divino Infante. Il museo espone oltre duecento- Nella pagina a fianco: Divino Infante coricato. Italia, fine sec. XVII. Terracotta dipinta, occhi in pasta di vetro e lamina metallica per l’aureola. - Sopra: Divino Infante benedicente. Italia, seconda metà del sec. XVIII. Legno intagliato policromo, occhi in pasta di vetro e lamina metallica per l’aureola. Sotto: abito in seta rossa con ricami in oro filato e lamellare con applicazioni di galloni dorati. Italia, fine sec. XVIII. Nella pagina a fianco: Divino Infante coricato. Italia, fine sec. XVII. Terracotta dipinta, occhi in pasta di vetro e lamina metallica per l’aureola. - Sopra: Divino Infante benedicente. Italia, seconda metà del sec. XVIII. Legno intagliato policromo, occhi in pasta di vetro e lamina metallica per l’aureola. Sotto: abito in seta rossa con ricami in oro filato e lamellare con applicazioni di galloni dorati. Italia, fine sec. XVIII. Fotografie per gentile concessione dell’Archivio del Museo del Divino Infante di Gardone Riviera. È per me doveroso ringraziare a vario titolo la signora Hiky Mayr, il professor Romano Simoni e la signora Maria Teresa Cipani. TITOLO RUBRICA 3 cinquanta sculture del Bambino Gesù che variano per dimensione dai sessanta ai novanta centimetri (ce ne sono anche di più piccole) e che coprono un arco temporale di circa quattro secoli. Oltre all’indubbio valore antiquariale, la raccolta, in bilico tra arte e fede, documenta lo sviluppo di particolari iconografie che man mano vanno ad affermarsi attraverso i secoli. Si passa dai Gesù ignudi posti nelle mangiatoie agli sfarzosi “piccoli Re” che incantano per maestà e affascinano per la ricchezza dei loro corredi. Kit lussuosi che comprendono corone gemmate, aureole, fasce copri ombelico ricamate con fili metallici in oro e argento, croci, scapolari, scarpine, globi terracquei dorati, collane e monili e poi ancora troni, candelieri, culle, lettini, cuscini serici e in velluto, basamenti intagliati policromi e dorati e perfino ricche parrucche incipriate. Chi ha l’occasione di visionare la raccolta Mayr ha la possibilità di ammirare statue perfettamente restaurate in maniera filologica dalla collezionista che, con esperienza e sapienza, è riuscita a recuperare anche i manufatti più compromessi dal tempo e dalla trascuratezza degli uomini. Per far 4 TITOLO RUBRICA Copia del Bambinello nella chiesa dell’Aracoeli in Roma. L’originale è stato rubato nel 1994. In basso: Divino Infante imparruccato. Italia sec. XVIII. Legno intagliato e policromo, occhi in pasta di vetro e parrucca in fibre vegetali. Copia del Bambinello nella chiesa dell’Aracoeli in Roma. L’originale è stato rubato nel 1994. In basso: Divino Infante imparruccato. Italia sec. XVIII. Legno intagliato e policromo, occhi in pasta di vetro e parrucca in fibre vegetali. questo ha affiancato alla raccolta dei Gesù Bambino anche quella dei tessuti d’epoca. Raccolte a loro volta integrate con l’acquisto di tutto il nécessaire che completa il corredo indispensabile ad un piccolo ma sontuoso Re: il “guardaroba celeste”. La ricchezza della raccolta accoglie una buona rappresentanza di “scarabattole” ovvero teche artisticamente decorate di svariate dimensioni atte a custodire i simulacri del Bambino. Le teche potevano avere due utilizzi: quelle più semplici e di ridotte dimensioni erano ad uso domestico o monastico-conventuale; quelle di dimensioni più importanti permettevano di portare in processione le statue dell’Infante. In molte chiese vi sono tuttora simulacri del Bambino veneratissimi, primo tra tutti quello custodito a Roma presso Santa Maria in Aracoeli. La Raccolta Mayr accoglie una copia di questo “Bambinello” (come viene amorevolmente chiamato) la cui storia ci aiuta a comprendere l’importanza di questo tipo di statuaria nella devozione popolare. Il Bambinello romano, nel 1994 purtroppo sottratto da un furto sacrilego alla devozione dei fedeli,4 ha una storia che a tratti lo accomuna a statue dell’Infante meno conosciute: secondo la tradizione la statua, alta circa 60 centimetri, venne ricavata dal tronco di un albero dell’Orto dei Getzemani e venne successivamente “battezzata” da un frate francescano nel fiume Giordano. Giunse nell’Urbe a seguito di un fatto miracoloso: l’imbarcazione che trasportava la statua del Bambino Gesù naufragò inabissandosi, mentre la statua si salvò approdando, per mano divina, sulle rive laziali. La venerazione del simulacro fu repentina poiché il Bambinello era prodigo nel concedere grazie e miracolose guari- gioni. È documentato che dal XVIII secolo gli infermi, romani e non solo, erano soliti recarsi in pellegrinaggio alla statua dell’Aracoeli. La devozione era così consolidata che il nobiluomo Alessandro Torlonia decise di mettere a disposizione una carrozza appartenuta a papa Leone XII per portare, ogni giovedì, la statua del Divino Infante al capezzale degli invalidi che non potevano autonomamente recarsi all’Aracoeli. La singolare storia di questa statua è esemplificativa per attestare l’importanza della Raccolta Mayr anche dal punto di vista antropologico-devozionale. Il “guardaroba celeste”. Italia, Austria e Germania meridionale sec. XVIII-sec. XIX. Teca rocailles in legno dolce. Corone in metallo e filati metallici, scarpine e fasce copriombelico in seta e broccatelli ricamati. Scarpine in seta gialla con applicazioni di pietre vitree colorate. Reliquiari a medaglione. Il “guardaroba celeste”. Italia, Austria e Germania meridionale sec. XVIII-sec. XIX. Teca rocailles in legno dolce. Corone in metallo e filati metallici, scarpine e fasce copriombelico in seta e broccatelli ricamati. Scarpine in seta gialla con applicazioni di pietre vitree colorate. Reliquiari a medaglione. Non si può tacere, inoltre, quel moto di tenera commozione che pervade ogni visitatore del museo, sollecitata dai volti dei tanti Gesù Bambino; volti dalle espressioni a volte vivaci, altre ieratiche, oppure espressioni su cui si stende il velo della mestizia e dell’inquietudine per la presa di coscienza del proprio destino. Sono questi i Piccoli Gesù della Passione. Vi è quello ignudo addormentato sulla croce, quello dalla lunga chioma rossa come il sangue che, alzando il capo verso il cielo, sembra interrogarsi sul perché di un così tragico destino, quello che appoggiato ad una colonna tiene in mano la corona di spine; e vi è infine quello che, malinconico, tiene stretta nel pugno una piccola croce, preludio del terribile strumento di tortura che renderà palese al mondo e perpetuerà il Sacrificio di Cristo per la nostra redenzione. Ma sono gli sfarzosi Divini Infanti, quelli dalle pose teatrali e dai ricchi drappeggi, che rimangono, al termine della visita, impressi nella memoria. Quelli la cui materia trasuda ancora gli aromi degli incensi usati per l’adorazione al piccolo Gesù, Dio fattosi uomo e venuto sulla terra, quelli che, ammirandoli, ci fanno esclamare con vero gaudio: Verbum caro factum est! 1) Jacopo da Varazze, Legenda Aurea a cura di A. L. Vitale Brovarone, Einaudi Editore, Torino 1995. 2) Jacopo da Varazze, domenicano, vescovo di Genova dal 1292, priore della Provincia domenicana Lombarda dal 1267. Compone la Legenda Aurea analizzando disparate fonti che trattano la vita dei santi con l’impiego di criteri indagativi, sistematici e unificanti tipici della tradizione e della cultura domenicana. 3) La Fondazione Museo del Divino Infante si trova a Gardone Riviera in via dei Colli 34 a pochi metri dal Vittoriale dannunziano. 4) La statua del Gesù Bambino dell’Aracoeli venne trafugata nel 1798 dall’esercito francese. Tornò a Roma grazie all’interessamento di un devoto, Severino Patriarca, che dietro lauto riscatto riuscì a riportare all’Aracoeli il prezioso simulacro. TITOLO RUBRICA 5