Di moDa - Mercedes

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Di moDa - Mercedes
HIGHLIGHTS
GIÀ UN TALENTO
A VENT ’ANNI
Roberto Capucci
fotografato nel 1950
nel suo primo atelier aperto
a Roma in via Sistina.
Di moda
e d’arte
FOTO Courtesy UFF. STAMPA ROBERTO CAPUCCI © Giulio Coltellacci, Courtesy UFF. STAMPA ROBERTO CAPUCCI © Claudia Primangeli
Roberto Capucci, classe 1930, è considerato e riconosciuto a livello
internazionale come uno dei più grandi designer del XX secolo. Il suo stile,
da sempre originalissimo, si rifà al mondo dell’arte, tanto che già nel
1980 decise di presentare le sue collezioni come ‘personali d’artista’,
senza il condizionamento dei calendari delle Fashion Week.
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d i C I N Z I A M A LV I N I
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HIGHLIGHTS
GUSTO PER
LE GEOMETRIE
Prove nel 1959 all’atelier
di via Gregoriana a Roma,
che era stato inaugurato quattro
anni prima. All’epoca, Capucci
aveva già ideato abiti geniali,
in cui si fondevano uno sguardo
sulla natura e il gusto per
le geometrie.
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Disegnare fa
parte della mia
quotidianità:
quando disegno
sono felice. È un
modo per mettere
su carta ciò che
è bello e per
cristallizzare la
giovinezza”
ad aprire e chiudere il ventaglio, aprire e chiudere, aprire e chiudere … Proprio come i volant
plissé di questa creazione, dove ci si potrebbe
nascondere sotto, se uno volesse. O ripiegarli tutti
facendoli diventare sottili, proprio come quel
ventaglio. Quest’abito lo abbiamo fatto in tutti i
colori, ma questo rosso ho deciso di tenerlo per
me, come ricordo”.
magari febbrilmente cercati per tutta Europa
prima di riuscire a scovarli. Tuttavia, questo è
un ‘lusso’ che può accadere solo poche volte.
Gli abiti devono vestire le donne e vivere la loro
vita, che oggi, poi, è meno formale e più veloce;
il mondo è cambiato e anche per questo ho
deciso di fare il prêt-à-porter.
Le sue creazioni sono state esposte nei
più importanti musei del mondo, dal
Victoria and Albert Museum di Londra al
Kunsthistorisches Museum di Vienna, dal
Guggenheim di New York alla Fundación
Santander di Madrid. Molti di questi hanno
anche acquisito alcuni suoi abiti-scultura
per le loro collezioni permanenti. Lei li
considera capolavori d’arte tessile o semplicemente abiti creati per occasioni e per
donne fuori dall’ordinario?
La verità è che ci sono dei pezzi che nascono
a prescindere da ogni aspetto commerciale.
Capi per i quali non era neppure previsto che
dovessero venire indossati. Sculture, insomma,
realizzate senza badare né al tempo né al
denaro, utilizzando tessuti rari e preziosi,
FOTO Courtesy UFF. STAMPA ROBERTO CAPUCCI © Giulio Coltellacci, Courtesy UFF. STAMPA ROBERTO CAPUCCI © Fiorenzo Niccoli
S
essantacinque anni e oltre di grande alta moda raccontata dai suoi
inconfondibili abiti-scultura. L’esperienza di Parigi, il Ritz, Coco Chanel
e il rapporto con i colleghi ma soprattutto con le donne della sua vita, dalla
mamma a Silvana Mangano, senza dimenticare
Rita Levi Montalcini. E quel ‘vizio’ che ancora oggi
non tramonta: ricreare e ricercare in un abito,
sempre e comunque, buona educazione e sovrana
eleganza. Nella couture come nel prêt-à-porter.
Seduti nel salotto dello showroom milanese dove
è venuto a presentare la sua nuova e prima collezione di prêt-à-porter, il maestro Roberto Capucci
indica un abito-scultura rosso corallo alle sue
spalle, un sorprendente tripudio di organza, testimonianza luminosa di quanto sia importante nella
vita finire nelle mani giuste, anche per un tessuto,
affermando: “Vede, le cose più speciali nascono
a volte nel modo più semplice. Era l’estate del
1959 e a Roma faceva particolarmente caldo ricorda lo stilista, considerato e riconosciuto a
livello internazionale come uno dei più grandi
designer del XX secolo - dovevamo consegnare
degli abiti e non potevamo muoverci dall’atelier.
Mia sorella, accaldata e nervosissima, continuava
Una nuova collezione di oltre 120 pezzi
realizzata da Cinzia Minghetti, la stilista
che l’ha affiancata. Insieme avete scelto di
recuperare e rieditare la linea ‘a scatola’,
un grande classico della sua storia. Perché?
Era il 1958 quando decisi di presentare abiti
geometrici, puliti, dalla linea subito definita ‘a
scatola’ per i volumi scultorei e un po’ astratti,
capaci di accarezzare il corpo senza costringerlo.
In Italia, però, fu un fiasco, ricordo ancora i
fischi. Al contrario, in America il successo fu
talmente grande che la collezione vinse l’Oscar
della Moda istituito dal department store Filene’s
di Boston. Il rigore di quegli abiti si poneva come
l’antitesi al new look di Christian Dior: da una
parte c’ero io con quelli che furono in seguito
ribattezzati, più che degli abiti, degli ‘habitat
di tessuto’, forme cave da abitare; Dior, invece,
esaltava la silhouette femminile nella vita strizzata di una linea retrò. Il successo di Boston mi
spalancò le porte di Parigi.
Fu Eugenia Sheppard, allora tra le più
importanti firme del giornalismo di moda
americano, a incoraggiarla. Così, nel 1962,
lei aprì il suo secondo atelier, a Parigi,
in Rue Cambon, a due passi da quello
di Coco Chanel. Incoscienza totale o assoluta sicurezza?
Alloggiavamo entrambi all’Hotel Ritz di Parigi,
io avevo un piccolo appartamento, lei una
camera meravigliosa. Cappellaccio dritto, grondante di gioielli, Coco aveva sempre la sigaretta
in bocca ed era sempre arrabbiata; io, invece,
tutto il contrario, un cuore allegro. Di lei mi
impressionò la classe e lo stile. Indescrivibili.
UNA PASSIONE
PER L A SETA
Realizzato negli anni Novanta,
‘Alga’ è un abito in taffettà di seta
che gioca su toni diversi di verde,
declinato in innumerevoli
sfumature perfettamente
integrate tra loro eppur tra loro
ben distinguibili.
A proposito di donne. Quali sono state
quelle fondamentali nella sua vita, privata
e professionale?
Prima di tutto le donne della mia famiglia: mia
madre che mi ha avviato agli studi all’Accademia
di Belle Arti, mia sorella che mi è stata sempre
accanto nel lavoro. Poi, Silvana Mangano, la
donna più stupenda che abbia mai conosciuto.
Mi ha influenzato e anche un po’ ‘rovinato’, perché, dopo averla vestita ed essere diventato suo
amico, non ho più voluto seguire nello stesso
modo nessun’altra attrice. Fu Pier Paolo Pasolini
a farmela incontrare la prima volta. Era
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HIGHLIGHTS
ABITI - SCULTUR A
Capucci ritratto nel 2004
con alcuni suoi abiti-scultura
nell’atelier romano di via
Gregoriana. Sopra: il celebre
abito ‘a ventaglio’ in taffettà
di seta cangiante.
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FOTO Courtesy UFF. STAMPA ROBERTO CAPUCCI, Courtesy UFF. STAMPA ROBERTO CAPUCCI © Gianluca Baronchelli, Courtesy UFF. STAMPA ROBERTO CAPUCCI © mote sinabel aoki
PRÊT-À - PORTER
Alcuni modelli della prima
collezione ready-to-wear
Capucci per l’Autunno/
Inverno 2015. Gli abiti,
dalle linee marcatamente
geometriche eppure
sensuali, esprimono
una moda essenziale,
rigorosa e vitale.
il 1968 quando il regista mi chiese di realizzare
i costumi per il film Teorema. I protagonisti
erano Terence Stamp e la Mangano, che
possedeva una fierezza e un’eleganza innate.
I miei abiti da sera, impegnativi e a volte anche
esagerati, lei li indossava con la naturalezza e
la semplicità con cui si porterebbe un golfino.
Riusciva in un’impresa unica: esaltare una
forma o, al contrario, spegnerla e farla diventare una cosa normale.
Oltre alla Mangano, tra le sue clienti
ribattezzate ‘le Capuccine’ si ricordano
numerose nobildonne romane, attrici internazionali come Marilyn Monroe e Gloria
Swanson, ma anche il premio Nobel per
la Medicina, Rita Levi Montalcini. Qual è
stato il vostro rapporto?
Di grande fiducia, da subito. Io non la conoscevo, ma realizzai per lei un disegno dell’abito
che avrebbe potuto indossare ai premi Nobel
semplicemente guardando una sua fotografia.
Le piacque e lo accettò, ma, quando venne a
fare la prova, le aggiunsi, all’ultimo momento,
una piccola coda. La convinsi a tenerla ricordandole che, nel momento della premiazione,
tutti gli uomini si sarebbero alzati in piedi, nei
loro frac. Lei, dunque, sarebbe stata la loro
regina. Il giorno dopo la cerimonia mi chiamò
da Stoccolma ringraziandomi con affetto. Fu così
che la professoressa Montalcini iniziò a frequentare l’atelier, fino alla fine. Pensi che l’ultimo
abito per lei lo abbiamo realizzato che era già
centenaria. Dal suo Nobel del 1986 ad allora,
era il 2012, erano trascorsi 26 anni e 47 abiti!
Era diventata vanitosa, la professoressa?
Diciamo che aveva scoperto il potere di un
bell’abito e di quello che riesce a fare su noi stes-
si e sugli altri. Vestirsi è sempre una cerimonia
che aiuta a donare allo sguardo qualcosa di bello
e di ben educato. Il vestito fa parte della nostra
vita, della nostra esistenza. Quando uno è educato, non si comporta male. E si veste bene.
In tutta la mia vita
ho sempre tenuto a
mente le parole di
Friedrich Schiller:
‘Se quello che fai
non piacerà alle
folle, cerca di
deliziare i pochi.
È un errore voler
piacere a tutti’”
Oltre a una riscoperta estetica, vi univa
anche il senso del lavoro?
Della professoressa Montalcini si conosce perfettamente l’indole d’acciaio, la forza, la volontà
e la tenacia che hanno sempre contraddistinto
il suo lavoro fino all’ultimo. Ma anch’io sono
così. Se posso, lavoro tutto il giorno e, comunque,
ogni giorno sento che devo realizzare almeno
un disegno; devo disegnare: la mia è prima
di tutto una regola, poi una religione. D’altra
parte, solo in questo modo, con lo studio,
l’applicazione e la passione, si ottengono risultati. Ad oggi, i disegni catalogati nel mio archivio sono più di 33 mila! Disegnare per me è
come una droga: passo ore e ore con la matita
in mano, perdendo la cognizione del tempo.
Disegno in continuazione. Molti progetti di
abiti, com’è naturale, sono rimasti tali, tracciati
sulle pagine del taccuino e mai realizzati. Ma
disegnare è comunque fondamentale per me,
fa parte della mia quotidianità: quando disegno
sono felice. È un modo per mettere su carta ciò
che è bello e per cristallizzare la giovinezza.
A soli 26 anni, Christian Dior la definì il miglior creatore della moda italiana. Pensa che
il suo sia un innato talento per la bellezza?
Christian Dior aveva probabilmente letto nel
mio lavoro anche una spiccata personalità che,
unita alla tecnica geometrica del taglio e alla
mia idea di estetica, si concretizzava alla fine
in abiti molto speciali, sicuramente diversi da
quelli che facevano i colleghi a quel
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HIGHLIGHTS
BIO G R A F IA
1930
Roberto Capucci nasce a Roma
il 2 dicembre.
un po’ … a malincuore. Forse per loro rappresentava una sorta di smacco il fatto di doversi
rivolgere a uno stilista italiano; ma, evidentemente, ‘in casa’ non avevano trovato una soluzione adeguata alle loro esigenze.
1950
Apre nella Capitale il suo primo atelier.
1958
Crea la linea ‘a scatola’: il 17
settembre riceve a Boston il ‘Filene’s
Young Talent Design Award’.
1962
Apre un atelier a Parigi, al n.4
di Rue Cambon.
1968
Disegna i costumi per Silvana
Mangano e Terence Stamp per il film
Teorema di Pier Paolo Pasolini.
1970
MAESTRO DELL A MODA
Roberto Capucci è sulla
cresta dell’onda da oltre
65 anni; aveva solo 26 anni
quando Christian Dior
riconobbe in lui ‘il miglior
creatore di moda italiano’.
Presenta per la prima volta il suo
lavoro in un museo, nel ninfeo del
Museo di Arte Etrusca di Villa Giulia a
Roma: rivoluziona così la tradizione
delle sfilate e comincia la grande
sperimentazione con l’inserimento
nelle sue collezioni di elementi
decorativi rigidi e strutturali, materia
ricca e povera, tessuti pregiati uniti
a sassi e paglia.
1980
tempo. Inoltre, nascere e vivere a Roma mi ha
molto aiutato e, come lei sa, i romani sono un
po’ tutti figli di Bernini. C’è quest’atmosfera di
splendore barocco che ci circonda, ci avvolge.
Certo, mi si stringe il cuore quando vedo le
tante brutture che oggi hanno deturpato la mia
città. Ma, dall’alto, Roma è – o almeno sembra –
ancora bellissima.
È anche per questo che sono nati i suoi
abiti-scultura che sfiorano l’arte? La mitica
mostra Regards sur la femme ospitata nel
1993 alla Monnaie di Parigi metteva in relazione diretta le sue creazioni con i grandi
maestri del Novecento. Abiti che apparivano
in intimo colloquio con le opere di Picasso,
Balthus, Moore, Arp, Masson …
In quell’occasione i francesi mi invitarono
con insistenza, ma anche, mi sembrò di capire,
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1990
Con la mostra ‘Roberto Capucci - L’Arte
nella Moda. Volume, Colore, Metodo’
in Palazzo Strozzi, a Firenze, inizia la
sua stagione espositiva nei musei più
prestigiosi del mondo; nel 1995, per
l’edizione del centenario 1895-1995,
viene invitato a presentare le sue
creazioni a ‘La Biennale’ di Venezia.
2007
Apre a Firenze, presso Villa Bardini,
il ‘Museo della Fondazione
Roberto Capucci’.
2012
In collaborazione con l’Associazione
Moda e Modi di Milano, viene lanciato
il primo concorso ‘Roberto Capucci
per i giovani designer. Oltre (a)gli abiti
- il design prende una nuova piega’ con
lo scopo di promuovere nuovi talenti.
2015
A febbraio lancia la sua prima
collezione di prêt-à-porter, mentre,
nell’ambito della mostra ‘Bellissima.
L’Italia dell’alta moda 1945-1968’
presso il Maxxi di Roma, espone le sue
creazioni più rivoluzionarie realizzate
negli anni ’50-’60.
Giorgio Armani ha da poco inaugurato il suo
Armani Silos, più che un museo, un vero e
proprio ‘contenitore di moda’, dove attingere
nozioni, imparare, magari anche studiare
moda. La sua Fondazione a Firenze, a Villa
Bardini, nacque per lo stesso motivo?
Naturalmente. Fin dal giorno della sua
inaugurazione, il 27 ottobre 2007, lo spazio ha
riscontrato un notevole successo di pubblico,
soprattutto di giovani, che vengono ad assistere
a seminari o a eventi didattici. Tra abiti esposti
a rotazione, schizzi, bozzetti e audiovisivi del
tempo, vogliamo essere di stimolo ai ragazzi,
invogliarli a cercare, per poi esprimere, la propria creatività. La regola aurea della casa è:
‘saper creare nel fare e fare creando’. Noi riceviamo tutti i giovani che studiano o lavorano nella
moda. A loro dico sempre: ‘Fate dieci vestiti pazzeschi, straordinari, meravigliosi e lì dimostrate
la vostra creatività. Poi, però, fatene altrettanti
portabilissimi, belli, semplici, facili da indossare,
con stoffe di qualità e una linea precisa. Allora
sarete sulla strada giusta’, che oggi è quella del
prêt-à-porter, piuttosto che dell’alta moda.
Insomma, se capisco bene, lei suggerisce,
con un certo pragmatismo, di dare sempre
un occhio alla poesia della couture, allo stesso
tempo, però, focalizzando bene lo sguardo
sul lato commerciale?
Oggi la poesia bisogna lasciarla un po’ da parte,
non tutta naturalmente, ma un bel po’ certamente. Guardi, anch’io, che ho sempre amato i colori,
e continuo ad amarli, mi sono convertito al nero,
che dicono venda di più. Però, alla fine, non riesco mai a dimenticare che il vestito è una magia
che continua a stregarmi a oltre sessant’anni
dal mio debutto nel fashion system. Ho sempre tenuto a mente la massima di Schiller: ‘Non si può
piacere a tutti’. E nella moda, come in ogni altro
campo creativo, bisogna essere ‘in più’: in ogni
mestiere, in ogni professione ci devono essere
tanti geni, tante persone meravigliose capaci di
esprimere al meglio la propria individualità, la
loro personalità. Solo allora capisci dove arde
davvero il fuoco sacro della bellezza.
FOTO courtesy UFF. STAMPA ROBERTO CAPUCCI©Mauro Baldacci
Roma, dunque, come musa ispiratrice della
sua creatività?
Direi piuttosto una delle mie tante fonti
d’ispirazione. Amo Roma, ma amo pure allontanarmene. Amo follemente viaggiare, conoscere
nuove realtà. Amo ogni cosa bella, per cui ogni
sensazione mi viene restituita filtrata dalla
bellezza. Sono malato di bellezza.
Decide di presentare le sue collezioni
come ‘personali d’artista’, fuori dal
calendario delle rassegne del settore.
A proposito di stilisti. C’è qualcuno che oggi
le piace in modo particolare?
Amo molto Armani. Ha uno stile così bello, fatto
di pulizia e rigore. Molto riconoscibile. Riesce a
non essere mai volgare. E questo, personalmente,
lo apprezzo molto.