secondo capitolo
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secondo capitolo
Fuori dalla finestra i colli verdeggianti scendevano curvi e dolci, seguendo i raggi ondulati di un sole autunnale ancora caldo, ancora per poco. In cima una chiesetta modesta sorvegliava dall’alto il paese. Piccole e graziose ville in mattone fiancheggiavano fabbriche e palazzi grigi di sei, sette, otto piani: i tetti sembravano sfiorare la volta celeste. In pianura distese di campi dorati e irrigati, ricolmi di frumento. Piazze e strade asfaltate erano punteggiate da auto, insegne illuminate, cartelli, persone. Il tutto sbiadito da una leggera foschia, lo sbadiglio di un paesaggio appena risvegliato. Le piaceva la Brianza. Il Nord nella sua mente appariva gelido, distaccato, asettico, ma era felice di aver torto. Eppure le mancava il mare di Fregene, tuffarsi tra le onde di quel lenzuolo d’acqua violacea. Rimpiangeva i suoi vecchi amici, racconti pomeridiani di ragazzate, di ferite, di altalene, di cadute dalla bicicletta. Ricordava nostalgicamente il rumore della sua Vespa, l’odore delle brioche appena sfornate, il sole caldo che le riscaldava la pelle e splendeva sulla Città Eterna. Roma, parte della sua anima e della sua vita, era lontana, distante centinaia e centinaia di chilometri da lei. Non ebbe tempo di salutarla perbene, Roma, di ringraziarla per tutto ciò che le ha regalato. Lei e sua madre erano dovute scappare da lì, correre via dal pericolo che le minacciava. Non si chiamava più Alice Carminati ma Serena Proietti. Aveva lasciato alle spalle il suo passato, senza staccarsene del tutto. Il sole pian piano sfuggì alle nuvole e alla foschia mattutina e destò la fragile ragazza dalla nebbia dei suoi pensieri. Marta, di fianco a lei, le sorrise e indicò l’insegnante. Il professor Ferrelli prese un foglio di carta stampata e iniziò a leggere, talvolta arrotolando i suoi riccioloni attorno alle dita, talvolta raschiandosi la barba incolta con fare da intellettuale. “Dovrete firmare un patto di corresponsabilità: leggerete le norme e i divieti da rispettare all’interno dell’istituto e, sottoscrivendolo, accetterete di non infrangere alcuna regola e di mantenere un comportamento ligio e rigoroso…”. Sembrava paradossale ascoltare fiumi di paroloni e frasi forbite uscite dalla bocca frenetica di un giovane docente. Sotto il pile verde muschio e i pantaloni di velluto bruni, si nascondeva un trentenne che giocava a fare l’anziano. Era buffo, forse intrigante, sicuramente molto bizzarro. Una ragazza in fondo all’aula si offrì di distribuire le schede. S’alzò, spostò i lunghi capelli biondi dietro le spalle e sfilò tra i banchi, mettendo gambe chilometriche l’una davanti l’altra. Aveva conquistato almeno metà dei suoi compagni maschi. Afferrò quel mucchio di fogli e li consegnò uno ad uno, banco a banco. Serena incrociò il suo sguardo. Quegli occhi celesti dal riflesso argenteo l’avevano raggelata. La bella ragazza a sua volta fissò i suoi, color nero petrolio. Fecero così conoscenza. “Grazie mille Anastasia” rispose il professore alla bionda modella. Serena lesse velocemente: «diritto ad una formazione culturale e personale che valorizzi l’identità di ciascuno… dovere di rispettare tutte le persone (compagni di classe, insegnanti e collaboratori scolastici)… divieto di danneggiamento del materiale scolastico… divieto di ingresso in determinate stanze contrassegnate da un cartello appeso alla porta». Rilegge. «Divieto di ingresso in determinate stanze contrassegnate da un cartello appeso alla porta». “ Cosa significa? Cosa si nasconde in quelle stanze? Perché non ci si può entrare?” pensò. Suona la campanella: intervallo. Serena prese il suo pacchetto di wafer e si diresse verso il corridoio. Marta la stava seguendo, ma Anastasia la rapì a sé. Persone che salivano e scendevano dalle scale, persone che correvano, persone che si spintonavano, persone che parlavano, sghignazzavano, strillavano, borbottavano, sgranocchiavano Croccantelle. Quel posto straripava di gente. Eppure, in mezzo alla folla riuscì a scovarla. Occhi tondi, vestito color carta da zucchero, incisivi sporgenti, trecce bionde composte. Era lei, la ragazza che aveva incontrato nel cortile poco prima. Serena la salutò ma Trecce Bionde non si accorse di lei. Così la romana la inseguì. Le sue ballerine azzurre compivano tanti piccoli passi lesti, che si dirigevano in un posto proibito. Trecce Bionde era entrata in quella stanza, nonostante sulla porta fosse appeso il cartello “Divieto di ingresso”. Serena era una ragazza timida, dolce e audace, ma aveva due grandi difetti: la distrazione e la curiosità. L’avevano tradita a Roma, quei due difetti, ma Serena alias Alice non aveva imparato la lezione. In fondo era una ribelle repressa travestita da brava ragazza. E poi era così entusiasmante infrangere le regole! In quell’anno Luca sarebbe stato il tutor di un primino, come tutti gli altri alunni di quarta e quinta. Sarebbero stati responsabili dell’inserimento dei nuovi studenti, mostrando loro le strutture della scuola e chiarendo loro qualsiasi dubbio. Venuto a conoscenza della notizia, quasi scoppiò a ridere. Come poteva mai essere il tutor di qualcuno lui, Luca Villa? Arrivava a scuola sempre in ritardo, dimenticava sempre i libri a casa, stava sempre poco attento alle lezioni. I suoi voti miracolosamente rasentavano il sei: si meravigliava del fatto che nessuno ancora l’avesse voluto bocciare. Gli consegnarono un foglietto, con sopra stampato un nome, una classe ed una foto. “Serena Proietti, 1°C/s”. Suona la campanella: intervallo. Finalmente quelle due ore con di inglese erano terminate. Uscì quasi correndo dalla classe, allontanandosi immediatamente dal temibile Mr. Johnny Walker. Prese un caffè, il secondo di quella mattina. Si guardò intorno, cercando questa maledetta Serena. Scese al piano terra, per vedere se fosse in classe. Niente. Cercò ancora, finché non la vide. Era la quattordicenne nella foto, la colse in flagranza di reato. Capì subito che avrebbe faticato con lei, come quando un fratello deve badare ad una sorellina dispettosa. Eppure c’era qualcosa di ribelle, in quella primina, che attirò Luca. Non era però il momento di stime e comprensione. Il diciassettenne doveva atteggiarsi da maturo responsabile, ma non poté fare a meno di seguirla.