Smapsy - Fermati, Vivi
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Smapsy - Fermati, Vivi
introduzione Fermati Ascolta, Racconta, Vivi Questo ebook è un concentrato di storie per fermarsi e vivere. Racconti di persone che sono uscite dal meccanismo ripetitivo della quotidianità, hanno preso carta, penna, tastiera ed hanno scelto di comunicare attraverso le proprie esperienze e la propria fantasia. Persone che si sono chieste: “ma si può vivere meglio di così?”, ed hanno trovato una risposta positiva. Perché ha ancora senso fermarsi a raccontare ed ascoltare? Semplice: le storie, i sogni realizzati o da realizzare, sono il carburante della nostra vita. Lo sono da sempre, da quando siamo nati! Quando ascoltiamo belle storie ci ricordiamo di essere stati bambini, di esserlo ancora in certa misura, e di poter recuperare quell’energia vitale. Imbattersi in storie che ci ispirano è una vera fortuna, perché ci aiutano ad immaginare e creare un mondo diverso da quello che tutti accettano come l’unico mondo possibile. - 3 - Non si tratta di essere infantili, sprovveduti, immaturi, irresponsabili: si tratta di essere vivi. Allora fermati sulla nostra panchina gialla, ascolta, e vivi! Se il mondo corre lascialo correre. C’è bisogno di belle storie, idee rivoluzionarie e la vera rivoluzione può farla soltanto chi si ferma per fare qualcosa di diverso; soltanto chi si ferma può salvarsi. Chi non si ferma è perduto. www.fermativivi.it FERMATI, RACCONTA - 5 - Rosalba Butera Qualcosa in più Dicono che gli scrittori abbiamo un posto, il loro posto per scrivere. A me piace scrivere seduta sul mio letto mentre guardo la finestra. Mi piace tanto la musica americana, l’ascolto tutto il giorno, anche quando studio. La mamma non ci crede che mi concentro meglio se sento la musica, e invece è vero, e poi a me piace tanto, sono contenta, la mia sveglia infatti ha una canzone bellissima per svegliarmi. Mi chiamo Marta come la mia nonna, e ho 10 anni. La mia mamma, dice che sono nata allegra, che quando la nonna Marta mi ha preso in braccio, io l’ho guardata negli occhi e ho sorriso, la nonna ha detto “questa bambina diventerà qualcuno e si chiamerà come me”. Pare che la mia mamma si sia messa a piangere, e tutti hanno pensato che si fosse commossa, ma io non ne sono convin- - 6 - ta, forse voleva chiamarmi in un altro modo e non ha avuto il coraggio di opporsi, ma mi sembra strano, la mia mamma è una persona molto coraggiosa. La mia mamma fa l’infermiera. Nel piccolo ospedale della nostra città, nel reparto terapia intensiva, dice che i cuori si ammalano per mancanza d’amore; io non lo so perché si ammalano i cuori, ma so che la mia mamma ha tanto amore da dare e forse è per questo che quando c’è lei di turno all’ospedale nessuno muore mai. Infatti, la mia amica Daisy dice sempre che spera che se le viene mal di cuore, ci sia la mia mamma, sennò lei preferisce stare a casa, almeno li, c’è la sua, di mamma. La mamma della mia amica Daisy è americana, è bellissima, fa la pittrice, nei suoi quadri ci sono sempre solo donne con fiori, io quando li guardo se chiudo gli occhi riesco a sentirne il profumo. Oggi non vado a scuola, ieri sera in camera mia dopo cena ho messo il disco che mi piace tanto e ho ballato cosi veloce che ho perso l’equilibrio e dato una zuccata sullo spigolo della mia scrivania, la mia testa ha fatto un rumore cosi forte, che la mia mamma dalla sua camera lo ha sentito ed è corsa subito. Appena mi ha vista stesa per terra ha messo le le mani davanti alla bocca e ha esclamato “Oh mio Dio” poi è andata in - 7 - cucina ed è tornata con un tovagliolo con dentro del ghiaccio e me lo ha premuto forte sulla fronte. Forse anche all’ospedale fanno così con i malati di cuore, se il cuore è troppo caldo, può bruciare. “Di cuore freddi ne abbiamo abbastanza”, ha detto una volta la mamma di Daisy. Io male al cuore l’ho avuto solo una volta, quando il mio papà è andato via per cercare lavoro, e non è ancora tornato. Non so se è un vero male al cuore, perchè la mia mamma non mi ha portata all’ospedale. Stamattina la mia mamma ha chiamato il Signor Jons, il mio insegnante per avvertirlo che non sarei andata a scuola, l’ho sentita ridere, era tutta rossa. Giugno sta arrivando e fa già tanto caldo, spero che non le si scaldi il cuore, ma di ghiaccio noi nel freezer ne abbiamo tanto, perciò sono tranquilla. Il signor Jons è proprio un bravo insegnante: dice sempre che con i libri possiamo conoscere cose che forse non vivremo mai, è come vivere tante vite e a me questo mi piace molto. E infatti voglio fare la scrittrice, così, anche se rimango con la mia mamma, nella mia camera posso vivere tutte le vite che voglio. - 8 - Nei miei racconti c’è sempre Daisy, qualsiasi vita vivrò, lei sarà sempre la mia mia migliore amica. Oggi ho preso il metro che la mamma usa per misurare le stoffe dei suoi vestiti, lei i vestiti se li cuce da sé, e sono molto belli, più di quelli che vedi nelle vetrine dei negozi. Io penso che dovrebbe cucirli anche per gli altri, anche la mamma di Daisy lo pensa, e le chiede sempre che se li fa anche per lei, la paga, ma lei dice che è solo un hobby e va bene così. Con il metro ho misurato lo spazio che occupo sul letto quando scrivo: è esattamente un metro quadro, veramente ci sta anche Daisy seduta vicina a me quando le leggo quello che ho scritto, o quando ci raccontiamo i nostri segreti, abbiamo giurato che nessuno mai li saprà neanche sotto tortura. Il suo segreto più grande è che le piace un nostro compagno di classe, e che le ha regalato un sasso preso giù al fiume; il cuore le batteva forte quel giorno, ma non le faceva male, per fortuna sennò all’ospedale avrebbe dovuto svelarlo per curarla, e fine del segreto. Nel pomeriggio viene Daisy, così facciamo i compiti insieme. La nonna mi ha telefonato per sapere come sto e mi ha detto che domani forse riesce a venire e mi porta un regalo e di stare attenta che la testa è la parte più importan- - 9 - te del corpo per una signorina e che senza testa non si va da nessuna parte. Io pensavo che fosse il cuore la parte più importante, ma forse mi sono sbagliata, io mi sbaglio spesso. La mia mamma e la mia nonna litigano sempre, chissà, forse la nonna ha la testa e la mamma il cuore, e non riescono a capirsi. Io voglio tanto bene a tutte e due, e quando vedo che si arrabbiamo faccio le boccaccie per farle smettere, loro si guardano e sorridono e fanno sempre la pace. Le mie boccacce sono troppo divertenti, se le faccio davanti allo specchio dopo un po’ rido anche io, Daisy dice sempre che a lei non la divertono , che però è mia amica lo stesso. Domenica è il mio compleanno, la mia mamma mi ha organizzato una festa nel giardino. Sono nata il 21 giugno. Giugno è il mese dell’anno più bello che ci sia, perché ci sono le ciliege, io ne mangio cosi tante che l’anno scorso ho avuto mal di pancia tutta la notte. Domenica la torta alle ciliegie con la crema la fà la mia nonna che è una cuoca bravissima, ma io ne mangerò solo una fetta, di mal pancia non ne voglio più. Ieri sono andata in giro con Daisy e sua mamma: tutti gli uomini si giravano a guardarla e noi ci sentivamo come le star di Hollywood. - 10 - La mamma di Daisy, si è fermata all’improvviso davanti ad una vetrina, e poi siamo entrate. I vestiti erano proprio belli, ma non come quelli che cuce la mia mamma. Lei si è comprata una gonna bianca con i fiori, la commessa ha detto che il cotone è la stoffa ideale, perchè tiene fresco. Quando sono arrivata a casa, la mia mamma era già tornata dall’ospedale. In questa stagione i cuori stanno tutti bene, speriamo che non aumenti il caldo. La mamma aveva le mani dietro la schiena e quando mi ha detto “indovina un po’ cosa c’è qui?”. Io dall’emozione quasi sono svenuta, lei rideva e mi ha dato un grosso pacchetto con un bellissimo fiocco azzurro. Io non ho resistito, lo so che mancano ancora tre giorni alla mia festa, ma l’ho aperto lo stesso, e dentro c’era proprio quello che desideravo, un grande blocco per scrivere e tante penne di tutti i colori. La mamma mi ha detto che adesso posso scrivere per almeno un anno. Io mi sono seduta al tavolo delle cucina e nella prima pagina ho disegnato la gonna della mamma di Daisy, così adesso di regali ne ho due. - 11 - Sono proprio una bambina fortunata. Quando diventerò una scrittrice famosa, me ne andrò in giro con la gonna a fiori e tutti diranno, guarda chi sta passando! Che giornata. Piove, meno male che Daisy ha passato la giornata con me, con lei mi diverto sempre Daisy da grande di lavoro vuol fare la viaggiatrice, cioè vuol viaggiare in tutto il mondo. In camera sua ha attaccato al muro una grandissima cartina geografica, e la sera quando è a letto, la guarda sognando tutti i posti dove andrà. Oggi mi ha raccontato che vuole essere la prima donna della storia che viaggerà da sola e che lo farà camminando a piedi, cosi conoscerà tutte le persone del pianeta, a me sembra un po’ troppo . Tutte le persone sono tantissime, penso che potrebbe accontentarsi di conoscerne almeno due per ogni posto che andrà. Il mio papà è il più importantissimo editore che pubblica libri. Mi ha promesso che mi manderà una cartolina da ogni città e se incontrerà il mio papà gli dirà di tornare subito a casa da me. - 12 - Io sono certe che il mio papà è in America, dove basta andarci e fai fortuna e se hai un’ idea diventi ricchissimo. Io il mio primo libro lo pubblicherò in America, penso che racconterò la storia di Daisy. Per il suo compleanno le regalerò un paio di scarpe robuste, le serviranno se dovrà camminare così tanto. Ne ho viste un paio al centro commerciale, sono rosse con la punta bianca. Voglio comprare un pennarello azzurro e scriverci sopra “Daisy, la mia migliore amica e prima donna che non ferma mai”. Il campanello stamattina ha suonato così tanto, che mi sono dovuta precipitare giù dalle scale in pigiama e con i piedi scalzi. La mamma mi ha sempre detto di non aprire la porta agli sconosciuti, allora io ho preso lo sgabello e ho guardato dal buco che c’è sulla porta e c’era la faccia simpaticissima del postino. Il postino si chiama signor Mario, tutta le mattine lo incontro e lui ha sempre una caramella gommosa per me; è molto buono con la sua divisa, è cosi magro che da lontano sembra di vedere una bicicletta che si muove da sola, e solo quando è vicinissimo ti accorgi che è lui. - 13 - Da dietro la porta gli ho detto: “Signor Mario non posso aprirle perchè sono sola in casa e la mia mamma non vuole”, allora ho visto che ha sorriso e mi ha passato una busta da sotto la porta e mi ha salutata fischiettando a voce alta. Io sono troppo curiosa e ho aperto subito la busta, e sapete cosa c’era dentro? Una fotografia che ritrae me e Daisy, con scritto dietro “Tanti auguri alla mia cara amica, speciale” firmato Daisy. Nella foto si vede Daisy che sorride con i suoi bellissimi capelli riccioli e biondi, appoggia la testa alla mia spalla sinistra, mentre siamo sedute sulla panchina del parco della scuola, anche io sorrido. Io ho i capelli castani, lisci, lunghi e ho la frangetta, la nonna dice che mi starebbero meglio più corti. Io e Daisy anche se siamo veramente amiche, ma non ci somigliamo per niente, lei ha grandi occhi azzurri e io neri, con una forma un pò a mandorla, non come quella degli altri, un pò diversa. Io ho la sindrome di down, me lo ha spiegato il dottore, ho qualcosa più delle altre persone, un gene, forse è per questo che sono così tanto una brava scrittrice. Anche la mia bocca è un pò diversa, le mie labbra sono grosse e quando sarò grande, potrò mettermi il rossetto, che mi starà benissimo. - 14 - Fa tanto caldo oggi. Il mio cuore ora batte forte forte, e ho un pò paura, sarà meglio che mi stenda un pò sul letto. Appena mi passa, aprirò il mio quaderno e comincerò a scrivere. Mi chiamo Marta, e da grande voglio fare la scrittrice. - 15 - Nicoletta Di Marco L’uomo che aggiusta il mondo Avete presente quella canzone di Battisti che diceva: “Quel gran genio del mio amico. Lui saprebbe cosa fare, lui saprebbe come aggiustare. Con un cacciavite in mano fa miracoli”. Ecco, quello era mio padre. Ognuno di noi nasce con una missione nella vita. Difficile è riconoscerla. Mio padre non so se abbia mai avuto contezza della sua missione, ma vi assicuro che l’ha seguita. La missione di mio padre? Aggiustare il mondo. Mio padre ha un irrefrenabile bisogno di aggiustare tutto quello che gli capita a tiro. E per tutto intendo proprio tutto tutto in maniera indiscriminata. Lui è un tuttofare. Non importa se la cosa rotta è dentro casa o fuori, se gli appartiene o non gli appartiene: lui l’aggiusta senza pietà. Chiedere perchè mio padre fa questo è come chiedere a un medico perchè si ferma per strada per soccorre qualcuno che - 16 - si sente male; non è che il medico si domandi se è o meno il caso di intervenire, o si pone il problema se il malato si trova dentro o fuori il suo studio, o se pagherà. È il suo dovere? Ne ha le competenze? Quindi lo fa. Idem mio padre. Mio padre cammina per strada, vede una mattonella fuori posto e l’aggiusta con il piede. Una volta è stato ricoverato in ospedale, il suo letto cigolava, allora lui che fa? Avvisa l’infermiera che si sarebbe assentato per qualche minuto, va nel garage, prende la saldatrice, ritorna in ospedale e aggiusta il suo letto. Finito con il suo, aggiusta quello di un altro degente, poi passa alla cinghia rotta della serranda e infine va dall’infermiera per chiederle se c’era da riparare qualcos’altro. Dopo aver finito di aggiustare mezza corsia va a posare la saldatrice in garage, torna in ospedale, si rimette il pigiama e continua a fare il suo bel cruciverba. Un’altra volta ricordo che tornavo da scuola e dissi a mio padre che in classe si era rotta la serratura dell’armadio. L’indomani lui non lavorava allora decide di accompagnarmi a scuola e nel farlo si porta la sua cassetta degli attrezzi. Aggiusta l’armadietto, saluta maestra e i miei compagni e se ne va. - 17 - Vi racconto quest’altra storia. Un giorno i miei genitori mi vengono a trovare a Mantova, dove lavoravo. Mio padre entra in casa e constata sofferente che c’è qualcosina da aggiustare. Si rivolge stizzito verso mia madre rimproverandola: “Visto Enza, te l’avevo detto, in aereo avrei dovuto imbarcare anche la cassetta degli attrezzi”. Lo rassicuro dicendogli che anche qui al nord vendono attrezzi da lavoro. Andiamo in ferramenta e già lo vedo che si rianima. Compriamo gli attrezzi di “primo soccorso”, torniamo a casa e aggiusta tutto. Finalmente vedo un uomo sereno. Per farvi rendere conto fino a dove si può spingere il suo raggio d’azione, nel suo bisogno di aggiustare il mondo, persone comprese, vi devo raccontare questa. Una sera ero in giro con un’amica, esco dalla macchina e mi chiudo il pollice dentro lo portiera. Vi risparmio i particolari della scena splatter che ho vissuto. Ritorno di gran furia a casa. Apro la porta d’ingresso e senza salutare corro nella mia stanza per buttarmi sul letto. I miei genitori capiscono al volo che c’era qualche cosa che non andava e mi vengono dietro. Vedono la mia mano insanguinata e mia mamma corre a prendere il necessario per medicarmi. Dopo le prime manovre - 18 - cerchiamo di valutare insieme se è il caso o meno di andare al pronto soccorso, ma a un certo punto mio padre esordisce: “non c’è bisogno dell’ospedale, ci penso io!”. Si assenta per qualche secondo e ritorna con un pezzetto di legno e due fascette da elettricista. Avete capito cosa voleva fare, vero? Io lo fulmino con lo sguardo e gli dico: a) mi sono rotta l’unghia e non l’osso, quindi in ogni caso non si deve steccare; b) viviamo in un Paese “civile” e non c’è bisogno di ripiegare su soluzioni da sopravvissuto, stile Cast Away. Mio padre è un uomo tutto a un pezzo, pochissime volte l’ho visto piangere. Una sera, a ritorno da lavoro, entra in casa e va diretto a sedersi nel salotto senza salutare. Era sconvolto, viso scuro e occhi lucidi. Mia mamma preoccupata gli chiede cosa fosse successo: se qualcuno si era fatto male al lavoro, se era morto qualcuno, ma lui continuava a dissentire con la testa su ogni ipotesi di mia madre. A un certo punto, dopo insistenza di mia madre, lui biascica “mi hanno scassinato l’auto e si sono rubati la mia cassetta degli attrezzi”. Vi assicuro che per lui quella cassetta era una delle cose più importanti della vita. Conteneva attrezzi che avevano più di - 19 - quarant’anni, alcuni fatti da lui, altri lasciati in eredità da suoi amici e altri difficili da recuperare per qualità. Insomma, quel delinquente aveva rubato non dei semplici attrezzi da lavoro ma il prolungamento delle mani di mio padre. L’aggiustare è la sua missione ma anche la sua prigione. Lui convive bene con tutte le cose che può riparare, viceversa vive male tutto ciò che nella vita non può sistemare con un cacciavite, come dice lui “si sente con le mani legate”. Alcune cose nella vita si possono “risolvere con altri “attrezzi”: una carezza, un bacio. Altre cose non si possono risolvere affatto. Per me ci sono voluti anni per capire e accettare il suo modo di amarmi. Lui entrava nella mia stanzetta, aggiustava la abatjour, e dietro quel gesto c’era una carezza data a me. Il suo era ed è un amore silenzioso, ma concreto. Il suo modo di fare mi faceva capire che qualsiasi problema avrei avuto nella vita lui ci sarebbe sempre stato, aiutatomi ad aggiustarlo. Cosa mi ha insegnato mio padre? A prendermi cura di quello che va aggiustato, anche se non mi appartiene e non ho l’obbligo di farlo. - 20 - Mi ha insegnato che per aggiustare non c’è bisogno di partire missionari in Africa, inizia aggiustando e curando chi ti sta vicino; il tuo prossimo, come diceva uno famoso con tanti fan. Ah, cosa importante, mio padre si chiama appunto Salvatore. A volte il nome che ci danno alla nascita può essere proemio di quello che faremo nella vita. P.S. Piccolo avvertimento. Se doveste invitare a casa vostra mio padre non posso garantirvi su quello che accadrà. È possibile che a un certo punto lui si metta ad aggiustare il rubinetto che perde, la spina elettrica rovinata o vi sostituirà la lampadina fulminata. E farà tutto questo senza neanche chiedervi il permesso. - 21 - Mirella Merino Un viaggio insieme nell’arcobaleno (la storia del gabbiano Arco e della farfalla Iris) Prefazione: A volte gli esseri umani non fanno caso alla bellezza e alla magia di un incontro, si lasciano travolgere dallo scorrere veloce del tempo... ma due ragazzi invece, ignari dell’esistenza al mondo l’uno dell’altro e vissuti in contesti completamente opposti, in una breve visita al centro oasi wwf, attraverso le semplici parole dei protagonisti, vivranno per sempre qualcosa di emozionante e di unico, alquanto inaspettato per la routine della quotidianità, ma non per il mistero che racchiude lo sguardo profondo della vita. Ehi dico a te! Lo sai che esiste un mondo tutto da scoprire al di fuori di dove vivi? Tu forse non lo immagini neppure ed io vorrei provare solo a raccontarti questa breve storia che mi è capitata! Ciao, mi chiamo Arco e voglio portarti con me in uno dei miei viaggi, alla scoperta di nuove cose e di nuovi mondi, proprio come mi è successo in un momento particolare della mia vita. - 22 - Non sapevo dell’esistenza di altri luoghi, al di fuori della mia casa e del mio contesto, ma un giorno, però, è accaduto che mi sono perso e da lì ho capito che sono nato una seconda volta! Giocavo come sempre con i miei amici gabbiani in una piscina degli uomini, ubicata fra le tante case e i palazzi di cemento. Che bello tuffarsi in acqua e non far niente, lasciandosi portare dal trascorre del giorno! Eppure qualcosa dentro mi parlava, specialmente quand’ero in acqua e sentivo una forza irrefrenabile di tuffarmi fino ad arrivare giù giù in fondo; i miei compagni non sapevano spiegarmelo ed io, anche se non lo capivo e non lo comprendevo, continuavo a farlo. La mattina trascorreva girovagando per il cielo, osservando tante persone che vorticosamente e freneticamente correvano iniziando dalle prime luci dell’alba fino a notte inoltrata. Io e i miei amici, esattamente come loro, seguivamo per natura lo stesso scorrere del tempo, divertendoci ad essere selvaggi, solo quando ci recavamo al mare in prossimità della città, al fine di trovare alcune zone piene di sacchi neri, ma con tante cose buone da mangiare. Quanto spreco e quanti avanzi gli uomini buttano in questi involucri, forse lo fanno proprio per noi, per farci buttare - 23 - a capofitto e strapparli con voracità per goderci le leccornie ivi nascoste. Una volta, ma ti parlo di tanto e tanto tempo fa, quando ero molto piccolo e abitavo ancora con i miei genitori, un anziano gabbiano mi racconta di quanto ai suoi tempi fosse difficile e duro procurarsi il cibo. Di quanto allenamento e fatica occorresse per procurarsi un misero pesciolino nell’immensità del mare, cosa come fare le traversate migratorie sorvolando distese immense d’acqua. Bisognava imparare a planare con il vento, a sentire gli odori e a vigilare nel presente, per non soddisfare semplicemente la pancia, attraverso il mangiare e l’ingoiare con il becco per colmare la fame nello stomaco, ma si trattava di assaporare a pieno il gusto dell’esistenza. Cosa volesse dire, sinceramente non l’ho mai capito, e l’ho solo interpretata come una specie di favola o leggenda tutto cia che raccontava! C’erano la mia mamma e il mio papà a sostenermi quando ero piccolo che mi procuravano perfino il cibo in mare, anche se un giorno non li ho visti più tornare, dopo aver udito dei colpi in lontananza e cosa eccomi qui con i miei amici a far festa, a giocare e ad osservare il mondo delle città degli uomini. - 24 - Luci, suoni, macchine, case, piscine, pochi alberi e tanto divertimento nel non far nulla, semplicemente oziando e giocando. Una mattina, però, mentre aspettavo come al solito i miei compagni per poi fare il giro del mattino sopra la città, mi resi conto che c’era tanta nebbia. Non riuscivo a vedere al di là del mio becco! La notte c’era stata una tempesta, aveva piovuto tanto e forte, sapevo che qualcosa stava cambiando a livello climatico; mia madre, prima che se ne andasse, mi ripeteva spesso che un giorno tante cose non sarebbero state più le stesse, che gli esseri umani avrebbero distrutto perfino le cose che avevano costruito nel tempo, semplicemente per la loro mania di egocentrismo (case, monumenti, persone, natura, ecc...) e qualora fosse accaduto non dovevo aver paura, ma dovevo seguire sempre la scia luminosa di un arcobaleno, quando un giorno l’avrei visto comparire nella mia vita, perché mi avrebbe condotto alla mia vera casa. Le volevo un gran bene, sapeva insegnarmi le cose con semplicità e, nonostante tutto, so che lei è ancora qui accanto a me! - 25 - Ebbene quel giorno arriva e forse ebbe inizio proprio quella mattina in cui la città, avvolta dalla coltre nebbia, sembrava addormentata. Nessun rumore, nessun mio amico, niente di niente. Dal caos più totale mi ritrovavo nel silenzio più assoluto e come per magia dopo un po’ intravidi un semi arco nel cielo dai bellissimi colori. Era l’arcobaleno di cui mi aveva parlato sempre mia madre! Non potevo crederci, qualcosa di unico e spettacolare allo stesso tempo e fu cosa che improvvisamente avvertii un tuffo al cuore che mi fece dimenticare tutto il resto. Senza capire cosa stessi facendo, mi ritrovai a seguire quelle scie colorate e meravigliose. Viaggiai per ore e ore, planando nell’aria, e una voce dentro me mi incitava a spingermi sempre oltre, per raggiungere la sua interminabile fine; si allontanava sempre di più da me ogni qualvolta mi avvicinavo, ma continuavo a seguirlo e lui invece proseguiva e avanzava in senso opposto al mio, spostandosi di volta in volta. Non capivo il perchè si verificasse, ma continuai imperterrito, ero soprannominato dai miei amici “il gabbiano guerriero”, perché non mi tiravo mai indietro dinanzi ad una sfida, non mollavo mai e figuriamoci se potevo farlo adesso. - 26 - Ad un certo punto però, avvertii la stanchezza, ma continuai ad avanzare, non m’importava e non mi interessava. All’improvviso però, il mio entusiasmo e la mia caparbietà furono smorzate da un qualcosa che mi spingeva sempre più giù, non sapevo di cosa si trattasse e persi quota. Non ero abituato a lunghi tragitti, ero stremato, le forze mi avevano abbandonato e non conoscevo la bellezza e i pericoli insiti nel vento. Fui, pertanto travolto in un vortice d’aria che mi risucchiava sempre più velocemente e mi tirava sempre più giù, più giù e ancora giù cosa accadde in seguito non lo so, so solo che aprii gli occhi e mi ritrovai immerso in un’immensa distesa di prati verdeggianti, a pancia all’aria e con un grande mal di testa. Cercai di alzarmi, ma non potevo muovere le ali e qualcosa in me mi sussurrava che erano rotte. Il cielo sopra di me era di un bellissimo color azzurro, privo di nuvole e stupendo come il mare. Il sole era alto e lo sentivo procurarmi calore e benessere, e i miei occhi adesso percepivano qualcosa che in realtà non avevo mai visto prima e credo che fosse semplicemente perchè stavo osservando quello spettacolo da un’altra prospettiva; con gli amici non avevo mai sperimentato questa cosa, perchè o giocavamo nel cielo o le poche volte a terra non facevamo - 27 - altro che stare sui tetti e i terrazzi delle case e dei palazzi, o a fare qualche nuotatina in una piscina condominiale e ad osservare la gente. Fu proprio in quel momento che mi resi conto che allora, e solo allora, mezzo morto e vivo chissà per quale miracolo, avevo lo sguardo verso il cielo e quel cielo mi stava regalando emozioni indescrivibili. Non potevo muovere la testa, il collo mi faceva male e provai anche a chiamare aiuto, ma con mia spiacevole sorpresa, scoprii che non riuscivo ad emettere nessun suono. Non usciva nulla, provavo a spingere l’aria verso fuori, ma non sentivo nulla. Mi intristii un po’, non avevo paura avevo imparato a cavarmela da solo, ma per la prima volta mi sentivo solo, tentati anche di roteare la testa prima verso sinistra e poi verso destra, ma non vidi nessuno. Solo uno sconfinato azzurro sopra di me e che ad osservarlo bene cambiava tonalità di colore tendenti al blu profondo, proprio come faceva il mare, quando qualche volta mi ero fermato ad osservarlo, lasciando il gruppo degli amici per starmene un po’ da solo in tranquillità. - 28 - Sotto di me, invece, ampie distese di verde e tanti, anzi tantissimi fiori colorati. Perché quel cielo cambiava colore? Una volta me l’ero posta questa domanda anche per il mare, ma non avevo mai trovato la risposta, forse non mi interessava all’epoca saperlo e avevo dimenticato la cosa. Ora invece tutto era diverso, potevo osservarlo, sentirlo e contemplarlo e pensai fra me e me: Quant’è meraviglioso! zzzzzzzzz Che cos’è questo rumore fastidioso? dissi fra me e me. Guardazzz.che sei tuzzz.fastidioso! Cosa.zzzci faizzz.la per terrazzze cosa sei? Mi spaventai, qualcuno mi aveva sentito e cercando di capire da dove provenisse quella voce, non curante dei dolori, mi voltati a destra e sinistra ma niente. Allora? Non mi dici cosa sei? Non potevo crederci, io non vedevo questa voce, ma essa si, com’era possibile? Vuoi rispondere si o no? Sono un gabbiano e mi chiamo Arco e tu invece dove sei e cosa sei? - 29 - Non lo vedi, sono un’ape! Un’ ape! E cos’è un’ape? Oh buon Gesù, ma chi mi hai mandato oggi quaggiù? Ma da dove vieni, da un altro pianeta? O forse arrivi dallo spazio? Ma quante sciocchezze! Vengo dalla città. Una città e cos’è mai questa cosa? Ma in che strano mondo sono precipitato, davvero non sai cos’è una città? Zzzno credo di no! È un insieme di tante case, con tante persone che corrono avanti e dietro, dalla mattina fino alla sera, ci sono tante luci, musiche, odori strani a volte, macchine e caos! Certo che tu..zzzsei strano! Anche qui ci sono le case, quindi anche tu vivi come noi! Certo le case sono lontane da dove ci troviamo ora, sono poche e la zona è tutta recintata e protetta. Le luci non so cosa siano zzzio guardo sempre il sole o le stelle del cielo e in questo periodozzz ci sono anche le mie amiche lucciole che fra poco, al calar della serazzz.avrai modo di incontrare! Abbiamo suoni, musiche e ballizzzgrazie alle orchestre delle cicale, dei grilli ezzzdelle rane canterine che si trovano in prossimità dello stagno! - 30 - Non manca poizzz.il suono del silenzio che è qualcosa di unico e di meraviglioso da ascoltarezzz specialmente nelle notti di luna piena ozzz di quello del vento fra le fronde degli alberi ezzz dei cespugli di rosa canina e biancospino; o di quello degli uccellinizzz come l’usignolo o lo strillozzo di fiume! Forse è un po’ fastidiosozzz quello della signora cornacchia grigia, ma come si suol direzzz ogni luogo ha i suoi pro e contro! Senta, cara Signora Ape, ma di cosa sta parlando, del paradiso? Maun luogo cosa non esiste! L’ape, sconcertata a quella parole, guarda il gabbiano e gli rispose: Ma cosazzz.dici? Io...zzzsto parlando del luogo dove ci troviamo! Questa è un’oasi wwf, non so se si chiamizzz anche paradiso come hai appena detto tu, ma sicuramente è la mia casa ezzz anche quella di moltissimi insetti, animali ezzzpiante che per gli studiosi che ci vengono a visitare rappresentiamo cose molto importanti per la vitazzzci chiamano infatti indicatori biologici! Io mi ci trovo bene qui, sono natazzz da pochi giorni e come puoi ben notare sono ancora molto piccola! - 31 - Sono qui fra i fiori, zzzperchè la mia mamma mi ha detto di raccogliere il polline e di portarlo all’ape regina ezzz alle api addette alla trasformazione, per creare quella sostanza tanto buona e dolce di cui sono tanto golosa ezzz mi sembra che gli esseri umani la chiamino miele! È una sostanza molto buona anche per i bambini ezzz i grandi, perchè cura il raffreddore, l’infiammazione della gola e zzz perfino la bronchite se aggiunta al propoli. Ovviamente ci sono persone che ci aiutano, zzz non siamo le uniche a fare questo lavoro! Non so dove corrono le persone della tua città, zzzma qui è tutto a rilento, ovviamente, zzz io sono una piccola ape e forse sono io che vedo il mondo che mi circonda così! Però sono tanto contenta, zzz perchè ogni giorno imparo a conoscere nuovi fiori, piante ezzz insetti, uccelli e farfalle e vedo esseri umanizzz che hanno e portano nel loro cuore l’amore per la natura e per gli animali, anche per quelli selvatici come noi! La rispettano, la amanozzz tant’è vero che alla casetta che si trova all’ingresso di questa struttura, vengono a volte tanti bambini; guardano dei cartoni creati dalla Signora Volpezzz che spiega loro questo bellissimo posto ezzz poi escono e passeggiano nei percorsi tracciati dagli addetti alla manutenzione, al fine di visitare tutto cia che è presente: sentiero na- - 32 - tura, zona belvedere, frutteto, casa delle testuggini, casa delle cicogne, ecc. Certo, sono sempre accompagnati dalle loro insegnanti e dalle ragazze volontarie che fanno da guida. Inoltre, a volte, specie di pomeriggio, zzzsi divertono a giocare e a pasticciare con le ragazze guida ed inventanozzz.anche giochi ambientati in natura come quello delle caccia alle impronte o della spesa intelligente!” Allora anche questo è un museo! Vedo sempre tanta gente e bambini che da me visitano mostre d’arte, gallerie, musei, ecc... Cosa sono queste cose non capisco! Arco, allora, si arrabbia e in tono brusco rispose: Lasciamo stare, non capiresti mai ed io non capisco invece ciò che tu dici! La piccola ape capa che quell’uccello strano si sentiva a disagio e gli rispose: Scusami, hai ragione! Ora torno a casa ezzz ti auguro buon rientro, ciao! Arco non rispose, ma sapeva in cuor suo che la piccola ape non conosceva nulla della sua città e lui, allo stesso identico modo, niente di quel posto e non riusciva a comprendere come mai fosse caduto proprio la! - 33 - Aveva visto qualche fiore nei giardini del parco, nei vasi sui balconi o le piante nelle terrazze, ma la non ce n’era nemmeno uno di quelli che lui conosceva o aveva visto, tipo: buganvillee, gerani, rose, papiri, glicine, ecc. Cosa fai la per terra tutto solo? Perchè non ti alzi? Arco udì quelle parole provenire da una voce dolce e sottile e si gira di scatto, ma non vide nulla verso la direzione da cui provenivano quelle frasi. Rimase perplesso e pensa che fosse frutto della sua immaginazione e con il pensiero vola di nuovo verso la sua citta e i suoi amici. Guarda che hai sbagliato, io sono qui dinanzi a te, mi vedi? Il gabbiano osserva meglio, stavolta in direzione del suo sguardo e vide volteggiare nell’aria una piccola farfalla color azzurro-argenteo con dei piccoli punti neri e il corpo di un azzurro quasi evanescente. Perchè mi guardi cosa? Non hai mai visto una farfalla? sorrise Iris. Scusami, non volevo certo che ho visto altre farfalle e ne conosco tante, è solo che... E rimase ancora più sorpreso e stupito nel guardarla, poi facendosi coraggio aggiunse: Hai dei colori davvero strani! No scusami, ma cosa ho detto? Ehm volevo dire solo che hai dei colori davvero particolari! - 34 - Originali e mai visti prima d’ora! Ti ringrazio, sei molto gentile! A dire il vero me lo dicono in tanti, e non sempre come un complimento, ma sicuramente non posso cambiare cia che sono o cia che la vita mi ha donato! Cosa vuoi dire, non capisco! Che tutti noi, tu compreso, siamo esseri pensati in un pensiero universale d’amore e che tutti noi abbiamo dei doni nelle nostre diversità da condividere e mettere al servizio degli altri, per migliorarci e migliorare il mondo in cui viviamo e nel tempo che c’è dato. Arco nell’udire ciò che Iris diceva, rimase alquanto perplesso e stupito, le farfalle della città non gli avevano mai detto queste cose o parlato in questo modo, per quanto ne sapeva lui, passavano il loro tempo a svolazzare di qua e di là, senza a volte nemmeno distinguere un fiore o a prendersi la briga di conoscerne il nome, e spesso trascorrevano la loro esistenza senza nessun fine e senza nessuna mèta. Alcune, addirittura, non sapevano nemmeno cosa fossero i prati. Ho detto forse qualcosa che non va? Il gabbiano ancora confuso rispose ad Iris: No, no, anzi. - 35 - Come ti chiami e come mai ti trovi qui? Sono nata qui, nell’oasi. I miei genitori la primavera scorsa hanno deposto le uova in questa bellissima riserva naturale e, al risvegliarsi del sole di questa mattina, mi sono trasformata da larva racchiusa nel mio bozzolo a ciò che ora vedi. Prima, però ho dovuto dispiegar le ali, non sai che dolore, erano tutte indolenzite e mi ero posata su quell’orchidea là vicino a prendere il sole per asciugarle; nel gergo si chiama Ophrys Holoserica e insieme a tante altre fanno parte della flora endemica e rara dell’oasi. Un leggero soffio di vento poi, mi ha aiutato a lanciarmi libera nel mio primo volo e sentendo delle voci mi sono avvicinata e ti ho notato qui per terra. Capisco benissimo il dolore che hai provato, infatti sono precipitato al suolo e non posso muovermi, credo che le mie ali siano spezzate se non addirittura rotte! Beh! Non credo sia un problema grave so che in oasi esiste una zona di recupero dei volatili, l’ho udito da alcune libellule che erano nello stagno, in prossimità dell’orchidea sulla quale mi stavo asciugando le ali! Credo che ti troverai bene. - 36 - Ma la farfallina non fece in tempo a finire la frase che sopraggiunse Giulio, uno dei ragazzi di turno che nel suo giro d’ispezione in oasi, vedendo il gabbiano a terra, lo prese delicatamente fra le sue braccia fino a stringerlo con cautela e a porlo con cura verso il suo petto. Arco ovviamente non capiva cosa quel ragazzo gli stesse facendo, cosa fossero quei gesti ed inizia a dimenarsi. Iris che aveva intuito cosa stesse succedendo al gabbiano, spicca in volo e raggiunse il ragazzo e con una leggera danza intorno a lui, disse ad Arco: Non avere paura! Lui vuole solo prendersi cura di te! Giulio entra all’interno del centro ambientale e chiama il medico di turno, nel frattempo Iris osservava cia che succedeva dall’esterno della grande finestra della sala del centro. Il dottore arriva e Iris vide come il gabbiano fu prima bendato e poi portato nella zona di recupero per uccelli. La notte sopraggiunse e Arco si ritrova da solo con sé stesso nella gabbia; sentiva rumori e suoni nuovi, non aveva paura, ma pensava a quanto fossero diversi quei suoni da quelli della sua città. Il sole la mattina seguente si sveglia presto e con esso anche la farfallina che subito anda a trovare il suo amico. Lo trova - 37 - che tranquillamente conversava, seppur a distanza, con le cicogne del progetto d’allevamento in cattività, che servivano da richiamo per le cicogne selvatiche al fine di permetterne la loro presenza spontanea in oasi. C’era anche una gru con loro, che a differenza delle cicogne, passeggiava avanti e indietro nel campo aperto, seppur recintato e non stava invece nelle voliere, poiché a seguito di un brutto incidente di bracconaggio da parte di un cacciatore, aveva perso definitivamente l’uso dell’ala sinistra che ora, dopo esser stata opportunamente medicata, penzolava quasi tutta verso terra. Iris non riusciva a capire e a comprendere come a volte gli uomini potessero essere tanto crudeli, che per un semplice sport potessero arrivare ad uccidere animali innocenti. Buongiorno! Fai conoscenze?, chiese Iris Ah! Buongiorno a te piccola farfallina,rispose Arco sorridendo. Come stai? Meglio, grazie! Avevi proprio ragione sia quel ragazzo ma anche altri si sono presi cura di me e mi hanno perfino portato da mangiare! Te l’avevo detto che ti avrebbero curato. Non tutti gli esseri umani, per fortuna, odiano gli animali, le piante, i fiori, ecc... ce ne sono tanti altri che seppur non vengono messi in primo - 38 - piano perché amano la semplicità e non la notorietà, amano tutto questo e cercano di aiutare, proteggere e salvaguardare. Si, forse hai ragione! Sai, dove vivo io, non c’è un lago in cui coabitano persone, piante e animali. Ognuno pensa a sé, fa le proprie cose e quasi sempre corre avanti e indietro, non soffermandosi mai. Il tempo la scorre veloce, qui sembra fermarsi e sono rimasto molto sorpreso anche dal comportamento di quel ragazzo che con dolcezza mi ha preso fra le sue braccia e mi ha tenuto a sé, sopra il suo petto, mentre mi portava nella casetta del centro. Sai, ho sentito i battiti del suo cuore, agli inizi mi sono spaventato, non avevo capito cosa fosse, per questo mi dimenavo, ma poi quando mi hai detto che non dovevo avere paura, mi sono tranquillizzato e ho sentito che quel rumore lo stavo emettendo anch’io e ho capito che i battiti del suo cuore erano molto simili ai miei. Iris sorrise e aggiunse: Possibile che non conosci i suoni del cuore che uniscono tutti gli esseri viventi? Sei davvero uno strano gabbiano, caro Arco! Senti chi parla! Una farfalla azzurro-argenteo tendente al blu e a volte evanescente! - 39 - Improvvisamente ci fu silenzio e Arco e Iris si ritrovarono per un breve istante a guardarsi negli occhi, un sorriso comparve sul viso di entrambi e scoppiarono nello stesso istante a ridere insieme. Non ti piace il mio colore azzurro-argenteo? disse sorridendo Iris. No, no, non volevo offendertianzi scusami, ti prego! Ma non c’è niente da scusarsi visto che sono proprio così, sono diversa... E unica!, interruppe e aggiunse il gabbiano. Beh!, rispose la farfallina, anche tu sei alquanto unico, ho visto altri gabbiani stamani volteggiare sopra il lago, precisamente nella zona del Belvedere, ma una mia sensazione mi dice che non sono come te! In che senso? Non so, non so come spiegartelo, ma tu hai qualcosa forse sbaglio, è solo una sensazione, perdonami ma ora devo andare. Così dicendo, Iris si allontana. Non andartene, rimani qui ancora un po’. Con me! Disse sottovoce Arco, ma la farfallina era già lontana per poterlo sentire. - 40 - La seguì con lo sguardo, mentre si allontanava e all’improvviso avvertì qualcosa nel suo piccolo cuoricino, non sapeva cosa fosse, non capiva cosa stesse accadendo, non lo comprendeva, ma s’intristì e si nascose in un angolo della sua gabbia, rimanendo in silenzio. Dopo qualche ora, Iris torna da Arco e gli spiega perchè era dovuta andar via in quel modo. Aveva sentito delle urla di aiuto di una mamma coccinella ed era accorsa ad aiutarla. Una delle sue piccole si era rivoltata e non riusciva a farla rialzare. Da quel momento Iris racconta tante storie e diverse cose a quel strano gabbiano e lui nell’ascoltarla e nel trascorrere insieme tutto quel tempo, capì e comprese che quella farfallina era davvero speciale per lui. Non a caso, cercò di passare la maggior parte del suo tempo di guarigione in oasi, insieme a lei e quando lei non c’era, come la mattina presto e la sera, girovagava in oasi alla conoscenza e scoperta di tutte le cose la presenti. Una delle ali era guarita, ma l’altra era ancora bendata e pertanto il dottore aveva dato disposizioni ai ragazzi di liberarlo dalla gabbia e di dargli libero spazio per muoversi, ancora qualche settimana e poi sarebbe stato liberato. Tuttavia, la cosa più importante che lui scoprì fu una sensa- - 41 - zione che non aveva mai provata prima, ma che con il passare del tempo aumentava e diventava sempre più forte. La mattina seguente, Iris, nel raccontare le sue avventure all’amico, gli disse: Sai, è molto bello parlare con te, mi insegni tante cose e ogni giorno trascorso con te sono cresciuta un po’ di più, per questo ti ringrazio davvero tanto! Arco rimase alquanto sconcertato; nessuno, nemmeno le sue amiche gabbiane, gli avevano parlato così, o per meglio dire, lui non dava importanza a ciò che gli dicevano, compreso i complimenti e le rispose: Ma che dici? Sono io che ringrazio te! Credimi non sono nessuno per meritare queste tue belle parole e ti prego di credermi, chi è davvero un essere meraviglioso, quella sei Tu e non Io! Iris imbarazzata, ma con una leggera disinvoltura aggiunse. No caro Arco, ti stai sbagliando, perché cia che vedi in Me...è ciò che porti in Te! Non dimenticartelo mai! Sei un Guerriero della Bellezza e forse non lo sai! Non cambiare mai ciò che sei, perché il tuo cuore porta un dono molto grande! - 42 - Arco a quelle parole rimase perplesso, ma in cuor suo sapeva che Iris gli stava dicendo la verità e continua: Non so bene di cosa tu stia parlando, eppure riesco a sentire ciò che mi stai dicendo e che sentinon sapevo di questa capacità e la cosa mi sorprende e mi spaventa, ma mia cara Iris credo che sia Tu quella Bellezza di cui parli e non Io! Tu hai ali grandi, sei molto forte e sei una Luce. Ogni Luce per riflettersi ha bisogno di un Diamante, mio caro Arco e tu lo sei! Beh! Credo che il bello sia essere uno il diamante dell’altro, anche se credo che sia molto raro che ciò accada! Per essere luce e brillare nei sette colori dell’Arcobaleno, dissero contemporaneamente e scoppiarono a ridere. Sembra incredibile, aggiunse Iris e continua: Non ti conoscevo, non sapevo della tua esistenza, eppure porti in te il pensiero dell’Arcobaleno, esattamente come lo penso anch’io da sempre. Arco sorridendo le rispose: Ma mia cara Iris, guarda che i nostri nomi Arco e Iris insieme significano proprio Arcobaleno! Ma dai, cosa dici? Sì, è vero, te lo giuro! L’ho sentito dire al telefono da un ragazzo della mia città che vado a trovare spesso sul suo terrazzo, - 43 - è un po’ particolare, forse proprio come me! Ho sentito che spiegava il significato ad una sua amica e, se non ricordo male, le diceva che la parola arcoiris è il nome dell’arcobaleno in portoghese e, proprio come te adesso, quella ragazza sorrideva incredula e gli aveva risposto la stessa cosa che hai appena detto. Arco, ascoltami, io fra qualche giorno devo partire. Questa per un po’ è stata la mia casa e son stata qui in modo meraviglioso, ho conosciuto tante cose, ma la mia vera casa non è questa, bensa l’Africa! I miei genitori provenivano da là e per continuare il ciclo della vita della nostra specie, fatto di nascita, morte e rinascita, io devo andare là! Sono venuta a salutarti, poiché stanotte insieme alle altre mie compagne partirò. Vengo con te!, rispose con voce rattristata Arco. Non puoi venire, tu non centri nulla con il mio viaggio e non sei ancora guarito, non puoi volare e forse non hai mai fatto lunghe traversate! Insegnami tu! Non è una cosa semplice che può essere insegnata, mi dispiace. Il volo fa parte di chi come me è destinato a lunghi percorsi, è qualcosa d’innato, non so spiegartelo, ma posso dirti che è parte di te se sei destinato ad arrivare in posti che ti aspettano da sempre! - 44 - Iris, ti prego non andare, se ti è possibile rimanda la partenza di qualche giorno e non andartene! Ti prometto che ti accompagnera io a casa, ma questo viaggio che dovrai fare, questo lunghissimo viaggio verso un posto che non so nemmeno dove sia, se non nel nome Africa che hai appena detto, permettimi di farlo insieme. Promettimi che faremo questo viaggio insieme! Ti sei presa cura di me! Hai trascorso quasi tutto il tuo tempo con me, mi hai insegnato tante cose e in questo periodo insieme ne abbiamo scoperte anche tante altre, in questo fantastico posto che tu chiami oasi wwf, spiegandomi e raccontandomi ogni piccolo dettaglio e soffermandoti con dolcezza su ogni particolare! È vero, non so nulla del mondo che c’è là fuori, ho visto qualcosa pensando di sapere, invece non capivo che guardavo attraverso gli occhi degli altri e non più attraverso il mio sentire. Mi hai insegnato a guardare le cose in un modo diverso, non perché non lo sapessi fare, ma perché non volevo farlo, mi ero arreso e spento, a causa di alcune ingiustizie e soprusi del mio passato, generalizzando e presumendo che tutti fossero così, mi ero convinto che quella era la vita, ma grazie a te ho scoperto che non è vero nulla. La vita mi hai insegnato che è davvero un’altra cosa e se per caso, o come spesso invece mi hai detto, che il caso non - 45 - esiste perché ci siamo chiamati ed incontrati per aiutarci, allora l’unico aiuto che posso davvero offriti è accompagnarti in questo nuovo inizio della tua vita. Iris si commosse tanto nell’udire quelle parole piene di dolcezza e la sensazione che aveva avuto fin dall’inizio, che quel gabbiano fosse alquanto particolare, risiedeva nella sua gentilezza e capacità di comunicazione e fu proprio per questi motivi che quella farfallina dal colore azzurro-argenteo non riuscendo a rinviare la partenza delle sue compagne di viaggio, disse loro addio, ma con la gioia nel cuore di aspettare la guarigione definitiva di Arco. Sapeva in cuor suo che non le avrebbe mai più riviste se fosse partita in ritardo, ma sapeva che la sua scelta era la scelta più giusta per lei e solo per lei e il suo meraviglioso compagno di viaggio. Arco invece, vuoi per quel che provava per Iris, per ciò che aveva fatto per lui, vuoi per quel luogo meraviglioso, vuoi per tanti altri motivi, apprese prima con gli altri gabbiani in oasi, e poi da solo, la lezione più importante: in quegli ultimi giorni di guarigione, passando dall’essere un semplice gabbiano di città, alla scoperta di cosa fosse in realtà, proprio come tempo prima l’aveva chiamato Iris: Guerriero della Bellezza. - 46 - Scopra anche perchè istintivamente, in città, rispetto ai suoi compagni, si tuffava in profondità nelle piscine incastrate fra le case e le palazzine degli esseri umani e, proprio come gli era stato raccontato da quell’anziano gabbiano, aveva scoperto il suo istinto della pesca in mare. Scoprì anche tante altre qualità, ovviamente Iris non gli svelava tutto, ma lo stimolava e lo incitava, affinchè lui non perdesse mai l’entusiasmo e l’innocenza nel meravigliarsi delle piccole cose e lui riusciva a fare altrettanto con lei. Arco scoprì la sua vera luce e lei, la luce, scoprì il suo vero diamante. Proprio come si erano detti agli inizi, l’un l’altro erano diventanti il diamante e la luce, partendo da un semplice sorriso. Una mattina, alle prime luci dell’alba, fra le sfumature dai colori tenui del rosa e dell’azzurro e al nascere dell’astro luminoso, Arco e Iris si alzarono leggiadri in volo, per intraprendere il loro tanto atteso viaggio insieme per la sconosciuta Africa e fu così che il gabbiano e la farfallina lasciarono dietro di loro un meraviglioso arcobaleno ArcoIris, proprio come al telefono quei due ragazzi ne avevano parlato fra loro. - 47 - Eltore Elica Gli esercizi del sentimento ovvero come un lettore può entrare in un libro e prendere il posto Mi parlava delle sue abitudini, finché: “E ogni giorno mi siedo su questa sedia per una mezz’oretta e per due o tre ore penso, studio, ricerco”. Eccoci. Ma che diceva il conte? Si sedeva per una mezz’ora e pensava per due ore? “Appena ho un’ora di tempo e il tempo è bello me ne vengo qui, giusto il tempo di trascorrere cinque o sei ore di serenità”. Allora avevo capito bene. Il conte aveva dei problemi con la misurazione del tempo ma evidentemente, mentre pensavo a queste cose, avevo inavvertitamente poggiato lo sguardo su quella specie di giornale bucato. - 48 - “Ah, il giornale. È un giornale preparato dal buon Alves. Ogni giorno, alle sette, Alves compera il giornale e poi lo prepara. Gli toglie tutte le notizie cattive, tristi, efferate. Tutte le notizie che potrebbero turbare la mia vita e i miei esperimenti. Qualche notizia cattiva la lascia, ma solo se è possibile, anche se in piccola misura, porvi rimedio, fare qualcosa per migliorare la situazione. L’informazione ci uccide, ci violenta. Bada solo alla quantità delle notizie non all’effetto che queste producono. E poi ci dicono di tutto; che è come dirci niente. I mezzi di informazione ormai sono padroni del nostro umore. Io non lo potevo permettere e allora il giornale me lo preparo io. O meglio me lo prepara Alves. Ha mai notato, Dottore, che dietro ogni notizia di morte, tortura, dolore, c’è sempre una meta-comunicazione forte e terribile che dice: Questa è la notizia e tu non puoi farci niente. La vera comunicazione che ci viene fatta è sempre quella relativa alla nostra impotenza. Le ultime notizie raccapriccianti le lessi molti anni fa e mi sono bastate per tutta la vita. - 49 - Oggi se leggo una brutta storia voglio potervi porvi rimedio. E lo faccio. Non intendo essere il sacco delle botte di un piccolo cronista rampante. Non intendo più essere spettatore inerte della parte peggiore della realtà, anzi di una realtà confezionata secondo una ricetta che non è la mia. Ecco perché Alves prepara il giornale tutte le mattine”. Il Conte si spalmava solo una fetta di pane tostato con burro e marmellata. Niente di carismatico, nulla di significativo io facevo altrettanto e pensavo: Ecco perché sono qui. Ecco il motivo della mia visita. non sapevo che ero solo sulla soglia di un grande territorio e che il Conte sarebbe stata la mia guida. E, come al solito, per quanto originale fosse questa storia del giornale bucato, nascondeva un vero bisogno. E somigliava tanto al mio bisogno. Non somigliava forse alla mia voglia di semplificare, eliminare? Eppure io la storia di questo giornale tagliato l’avevo già sentita? E dove? Non avrei potuto ricordarmi, anche se mi fossi sforzato. Non avrei potuto ricordare perché quella storia non - 50 - era ancora accaduta. Almeno credo. Un giorno di molti anni dopo, leggendo, centellinando un libro di Saramago, avrei letto questa stessa storia. Insomma cominciavo a ricordare il futuro? Incredibile. Intanto il Conte mi versava il te nella tazza e mi avvicinava il latte e il limone: “Figuriamoci poi quegli spettacoli tristi che rappresentano l’infelicità del mondo: Films, romanzi, commedie. Bisogna essere dei veri malvagi e mentecatti per creare, per inventare una cosa che non c’è e inventarla tristissima. Sono gli eredi della letteratura francese. Quella delle orfanelle tisiche che, il giorno della guarigione, vengono investite dalla carrozza guidata dallo zio alcolizzato. Con tante cose tristi che già ci sono, questi ricercatori malati mettono tanta energia ad inventare infelicità che non sono vere ma che producono gli stessi effetti devastanti negli spettatori. Malati pure loro. Poveretti. Se i creatori costruissero felicità, quella che manca al nostro mondo, forse le cose non andrebbero così male. Cose ovvie?” No, non diceva cose ovvie. Mi sembrava tutto vero. Soprattutto per me che mai avrei inventato un’arma, mai avrei coscientemente procurato dolore, neanche a livello di finzione, di spettacolo. - 51 - E poi più “ lavoravo “ e più diventavo sensibile, sensibile al bene e al male e quindi gli stimoli troppo forti mi diventavano intollerabili. Forse anche il conte era nella stessa situazione. Ed infatti lui aveva esattamente quei problemi e me lo stava per dire. “Il turbamento mi impedirebbe di lavorare. Il lavoro di ricerca ha bisogno di serenità e concentrazione”. Un sorso al succo di frutta e chiesi: “Che tipo di ricerche fa?” Mi sorrideva e mi accennava di nuovo al concetto: “ …che se aveva una mezz’ora di tempo, se ne stava due o tre ore a pensare.” Poi si interruppe un attimo e entrò decisamente nell’argomento. “Chiuda gli occhi Milandri, si lasci andare”. Ripeteva più o meno le stesse parole pronunciate da un tale che con un computer era riuscito a leggere nel futuro di una persona a me cara. Mi dissi che dovevo assecondare il conte, in fondo ero lì per quello. “Si rilassi, si fidi. facciamo un viaggio, andiamo a molti anni indietro, quando lei era bambino, torniamoci serenamente,con calma”. - 52 - Smetteva di mangiare, si allungava comodamente nella sedia e chiudeva anche lui gli occhi. “Dobbiamo ritornare a quei giorni che erano bellissimi anche perché dobbiamo cercare una cosa molto importante che abbiamo smarrito tanti anni fa e che ora ci serve”. Non facevo nessuna fatica, chiudevo gli occhi e l’aria di quel mare mi portava nella mia città, dove avevo trascorso la mia infanzia in un giardino di limoni e aranci che sapeva di mare. Per la seconda volta, in pochi giorni, qualcuno mi consigliava di viaggiare nel mio passato. “Bene. Pensi a quei pomeriggi da bambino”. Ci pensavo. Erano pomeriggi pieni di luce e di silenzio. Io la mia infanzia me la ricordavo in Estate, tra la vasca dei pesci rossi e l’albero di fico e, vicino a me c’era un grosso cane nero, dal pelo lucido e con gli occhi gialli. Era il mio amico e il mio complice. “Come erano lunghi quei pomeriggi Dottor Milandri. E le settimane? Infinite”. Aveva ragione il conte. Erano lunghissime. “E le estati ? Erano interminabili. Scavi nel suo passato di bambino, come un archeologo. Con cura e rispetto. Riveda le sue zie, i piccoli amici, il giorno del gelato e quello del compito in classe. Ricordi qualunque cosa. Anche le piccole cose - 53 - possono avere grande importanza. Si faccia passare queste immagini nella sua mente ma tenti di sentirne anche i profumi. Quando ne sentirà anche i profumi vorrà dire che le sta veramente rivivendo”. E io rividi mia madre, la rividi grande come un piccolo può vedere la sua madre, e zia Clara e Zia Ninuccia che mi ruotavano intorno come trottole mentre io crescevo e loro diventavano sempre più piccole. Le donne della mia famiglia avevano sempre avuto uno strano modo di essere presenti eppure discrete. Non le si trovava mai partecipi ad una discussione, ma non c’era mai stata una decisione che non fosse stata la loro. Per molto tempo avevo ipotizzato l’esistenza di un posto fisico, di un posto della casa nel quale le donne della famiglia si riunissero a decidere. E doveva esserci anche un momento particolare della giornata perché per tutto il giorno le vedevo affaccendate in mille mestieri. A dieci anni, in un pomeriggio di Gennaio, ebbi la netta sensazione di avere scoperto tutto. Mia madre, Clara e zia Ninuccia avevano finito di riordinare la cucina, gli uomini di casa erano già ritornati al lavoro, - 54 - Clara prese il cesto della biancheria da stendere e dette un’occhiata a Ninuccia e a mia madre. Uscirono insieme e cominciarono a stendere il bucato sul filo che attraversava la terrazza. Quando ebbero finito, Clara mise da parte la cesta vuota e tutte e tre andarono fino al parapetto, nel punto dove la terrazza si apriva su un grande giardino. Sembravano guardare verso un punto all’orizzonte e invece guardavano nel loro animo e parlavano. Sì, io non riuscivo ad ascoltare le voci ma mi convinsi che parlavano, che era il momento di una decisione. Durò solo qualche minuto poi mia madre abbracciò Zia Ninuccia e lo stesso fece con Clara poi prese la cesta e insieme tornarono in casa. Il giorno dopo mia madre partiva per l’ospedale: “per un controllo” “forse un intervento” “niente di preoccupante” “una cosa delicata” “grave” “gravissima” “non c’è più niente da fare” “Mamma non torna più” - 55 - Smisi per un attimo di rincorrere quei pensieri tristi e mi voltai verso il conte che, con gli occhi chiusi, era rivolto verso il mare. Fu solo un istante, l’immagine di mia madre mi avvolse di nuovo la mente: Mia Madre odorava di violette. Era bello avere una mamma che odorava di violette. Io quel profumo me lo ricordavo già da quando lei, grandissima, mi prendeva in braccio e poi c’era anche quando lei, più piccola, mi aspettava all’uscita della scuola e anche quando era Natale e quando un giorno, con lei piccolissima, andammo tutti al mare. E allora sentivo il profumo delle tavole del molo. Le tavole bagnate dall’acqua del mare per me significarono sempre l’odore dell’estate. Come l’odore delle mele furono sempre quella bellissima estate in montagna. a casa di Zia Grazia e Zio Antonio. I mille volti della mia famiglia mi giravano intorno ma erano proprio i profumi le sensazioni più presenti. Odori e sapori erano sempre stati nella mia testa, appartati ma presenti e ora mi ritornavano alla coscienza. Il rapporto con gli odori aveva sempre segnato la mia vita. Mio nonno, Vincenzo, raccoglieva erbe e fiori e distillava oli essenziali per profumeria. Una sua annusata equivaleva ad una analisi - 56 - chimica, tanto sensibile e preciso era quel suo grosso naso. Io, meno tecnico di mio nonno ma forse più sensibile, mi confrontavo con lui in un incontro-scontro, maestro-allievo. E il maestro raccontava che ogni ricordo, ogni sensazione è sempre abbinata ad una serie di odori e che bastava un po’ di memoria per costruirsi un archivio mentale di profumi. Mi raccontava di come fossero perfezionati gli organi olfattivi dei cani e di certi insetti e di come gli uomini primitivi avessero sviluppato questo senso. Ascoltavo rapito queste bellissime storie e mi esercitavo ad annusare la vita con mio nonno. Lontani dalla civiltà dell’immagine e del suono, l’olfatto sembrava essere, per noi, il sistema più sincero ed animale per comunicare. Avevo un’età nella quale un nonno, solo perché complice, sembra essere il padre ideale. Non era vero, ma io ero bambino e allora ci credevo. A volte, sotto lo sguardo incuriosito di occasionali testimoni, Vincenzo teorizzava che ogni animale, ogni oggetto, ogni atmosfera avessero il proprio odore, profumo, puzza. Bastava solo coglierlo. E imparavo a distinguere i retro-odori, le fragranze soffocate e i profumi attenuati. - 57 - Tutto questo esercitarsi e imparare oggi lo avrei definito un Esercizio del Sentimento ma allora erano solo bellissimi pomeriggi di un bambino in compagnia del suo nonno. Una sera, di ritorno da una lunga passeggiata nell’aria del mare, mi feci promettere da mio nonno che, quando fosse stato in punto di morte, mi avrebbe descritto che odore sentiva. Lui sorrise e accettò. Vincenzo se ne andò in un giorno di Marzo e, mentre partiva, io non ebbi il coraggio di chiedergli nulla e lui, troppo occupato a morire, se ne andò senza dirmi niente. Ciao nonno. L’immagine della morte di mio nonno mi svegliò e risentii la voce del conte. “Ecco, adesso, tra tutte queste immagini, dobbiamo trovare quella cosa che cerchiamo. Dobbiamo trovare quel sistema, quella cosa che da bambino ci dilatava il tempo che allungava a dismisura le giornate. Allora c’era un equilibrio tra lo scorrere del tempo dentro e fuori di noi. Poi qualcosa si guastò. Noi uomini abbiamo il maledetto difetto di antropomorfizzare tutto; tutto a misura di noi stessi. Mettiamo sempre noi stessi al centro dell’universo e invece siamo solo una periferia confusa e bruttina. - 58 - Lo scorrere del tempo è una cosa naturale è la natura che deve insegnarcelo e deve misurarlo per noi. È inutile piangere sulla brevissima vita di una farfalla cavolaia, quelle che vivono solo un giorno. Per quella farfalla la vita è un’ eternità. E rispetto alle stelle siamo noi le effimere farfalle cavolaie. E allora qual è il giusto sistema per misurare il tempo? Forse sono tutti buoni a patto di misurare solo il tempo e di non dargli un valore, un giudizio sulla sua lunghezza. La vita di una farfalla cavolaia dura un giorno e non solamente un giorno. È quel solamente che è di troppo. La vita di una stella dura due trilioni di anni e non ben due trilioni di anni. Il ben è di troppo. Ma noi non siamo fatti per queste idee imparziali”. Il Conte riassettava un lembo della vestaglia e ricominciava: “Noi parliamo di vecchi, giovani, di presto, di tardi, diamo sempre un giudizio sul tempo. Non siamo capaci di limitarci solo a misurarlo. Gli attribuiamo qualità e attributi che sono invece propri delle cose che facciamo in quel tempo. Insomma, Dottor Milandri, è impossibile trascorrere un’ora bellissima; è invece possibile trascorrere un’ora facendo cose bellissime. - 59 - A ben vedere non esiste conoscenza che noi non traduciamo in termini umani. Pare che per noi sia il solo sistema di capire. Se solo misurassimo il tempo come ce lo presenta la natura. In armonia con lei. Da bambini eravamo così e l’idea del tempo era la stessa dentro e fuori di noi”. Riprendeva a sorseggiare il te e, quasi distrattamente: “Ci sono esercizi di dilatazione temporale che permettono di rallentare lo scorrere del tempo. In teoria potrebbero anche fermarlo o addirittura invertirne il senso di marcia ma nessuno si é mai provato a farlo. La prossima volta che capiterà in qualche piccola isola del mediterraneo si fermi ad osservare i movimenti e le lente abitudini degli abitanti del luogo. Capirà che simili modi di fare sono giustificabili solo se si ha a disposizione molto tempo da vivere. È questo il punto. Loro vivono sette, otto volte più di noi anche se noi non ce ne accorgiamo. Per loro è una cosa naturale, gli viene spontanea. Noi invece siamo costretti ad imparare il sistema per dilatare il tempo. O almeno ci proviamo. A volte si ha bisogno di fare tante cose e il tempo pare non bastare. In quel caso non resta che dilatarlo”. - 60 - Si schiariva la voce per interrompere un discorso che non voleva continuare e che io, allora, non ero stato capace di comprendere. “Dovremmo cercare nel nostro passato quando l’equilibrio si ruppe. Quella prima volta, nella nostra vita, che ci accorgemmo che era tardi, che c’era poco tempo per fare qualcosa. Cerchi quella volta. È probabile che sia stato in un periodo nel quale lei ha avuto troppi stimoli, troppe informazioni che non è più riuscito a gestire emotivamente. Ci pensi”. E io ci pensavo. Di quei momenti ce ne erano stati molti nella mia vita. Avevo cominciato presto a sentirmi sfuggire il tempo e questo era stato salutato dalla mia famiglia come una manifestazione di responsabilità. Federico é cresciuto, dicevano, e invece era solo una richiesta di tempo. Il Conte mi raccontava che, se si faceva molto esercizio, si riusciva di nuovo a impadronirsi di quel sistema che da bambini ci dilatava il tempo. E allora lo si poteva rallentare, spezzettare, diluire e questo sarebbe stato più facile se eravamo soli e a contatto con la natura perché la grande madre aveva conservato lo scorrere del tempo che avevamo da piccoli. - 61 - E mi riparlava della Grecia e di certe isole nelle quali Ulisse si era fermato per tanto tempo o forse per poco tempo. Io, invece, pensavo a quelle ore di bambino trascorse seduto sul marciapiedi di Napoli, mentre le mie zie erano nel negozio di tessuti. Pur di uscire da casa le accompagnavo al negozio ma la lunga attesa mi uccideva. Io aspettavo per settimane e loro forse erano dentro solo per mezz’ora. Questo voleva dire il conte. Forse avevo capito. Ora potevo andare e poi si era fatto tardi, forse. “La saluto Conte. Mi ha fatto piacere, sinceramente”. Avevo la testa troppo piena ed affaticata. “La ringrazio anch’io, l’ho sentita vicino. Grazie. Venga pure a trovarmi quando vuole”. “Con piacere, appena avrò un pomeriggio libero tornerò a trovarla e passeremo qualche settimana insieme” - gli dicevo in tono scherzoso. “Certo, Dottor Milandri, certo, mi rispondeva serio, molto serio”. Ritornavo in città e mi sorprendevo di non trovare il solito traffico e che, a quell’ora, non ci fossero ristoranti aperti. Quando guardai l’orologio cominciai a sospettare qualcosa. Era impossibile. Non era possibile che fossero le undici del - 62 - mattino. L’orologio doveva essersi guastato. Avevo trascorso per lo meno tre ore con il conte senza contare il viaggio di ritorno e l’orologio mi indicava che era trascorsa al massimo un’ora. Naturalmente l’orologio funzionava benissimo e forse anche gli esercizi di dilatazione temporale che il conte aveva voluto spiegarmi. Allora mi sentii ricco. Per la prima volta in vita mia mi sentii ricco di tempo. Adesso avevo una mattinata intera per me e me ne sarei andato a spasso per il centro. FERMATI, PARLAMI DI TE - 64 - Giovanni Gamberini Kite designer, il mondo visto da un aquilone... Oggi sono un designer tra i cavalli e vivo e lavoro in Toscana. Più di trenta anni fa lavoravo nel mondo dell’industria e dei creativi e vivevo in giro per il mondo nei paesi che chiamavamo in via di sviluppo a portare innovazione e quello che a loro più sembrava mancare, la tecnologia e lo sviluppo industriale. Avevo già cominciato ad elaborare l’idea che tutto il nostro sviluppo non facesse tutto il bene che si diceva a chi lo portavamo, ma servisse soprattutto a fare del bene a noi. Fu un’epatite da ostriche malesi a trattenermi in Italia qualche mese e a permettermi di rivedere i miei progetti di vita, conobbi allora il popolo dei cavalli, un popolo che intorno agli anni 70/80, da noi, era in grande crisi proprio a causa dello sviluppo industriale. Insieme alle cozze e a mille altri motivi devo riconoscenza per la nuova vita e nuovi orientamenti al lavoro anche ad un incontro con un grande personaggio. - 65 - Ero a Kota Bharu, nel nord della Malesia, e lavoravo all’ organizzazione degli aspetti tecnici e della formazione del personale per una nuova fabbrica di semilavorati in legno che una multinazionale aveva impiantato in quella città, al confine con la Thailandia, di fronte all’oceano e contornata da meravigliose foreste. L’idea era di produrre sul posto con materia prima e lavoro a costi molto bassi il semilavorato e poi importare in Italia un prodotto di qualità da rifinire in base a mode e tendenze del nostro mercato. Tra i prodotti che avrei dovuto mettere a punto oltre a cornici, elementi torniti, parti di strumenti musicali, c’erano anche componenti per calzature in legno come tacchi e sandali da donna e in particolare zoccoli da rifinire poi in pelle o in tessuto per modelli stile olandese. Tra i collaboratori malesi, un giovane autista che aveva il compito di portarmi in giro tra segherie e cantieri di taglio nelle foreste e di farmi da interprete, parlava cinese e malese e inglese, mi aveva preso in particolare simpatia, sapeva che ero un designer ma aveva giustamente vaghe idee sul nostro mondo del design industriale, un giorno mi disse: “Qui c’è un designer come te, ti vorrebbe conoscere, anche lui fa zoccoli.” - 66 - La casa del designer malese era deliziosa, pareti di legno e struttura di bambù, a pochi metri dalla spiaggia in un boschetto di palme da cocco. Un cartellone di due metri per due al margine tra prato e casa portava la scritta KAIT DESIGNER. In effetti il mio collega era uno dei più famosi costruttori di aquiloni sportivi di tutta la Malesia e la battaglia tra aquiloni sulle spiagge era uno sport molto seguito e praticato. Entrammo nel giardino e sulla terrazza ad un metro da terra seduto sul pavimento di tavole c’era il designer, bello, magro, anziano, chioma bianca e barbetta da monaco, scalzo a dorso nudo e con il sarong. Aveva in mano la struttura di un aquilone a forma di uccello. La struttura era di lamelle finissime di bambù legate con filo di cotone, un paio di metri di ala e un poco meno dal becco alla coda; lo teneva su con un dito e controllava la distribuzione del peso e il bilanciamento facendo rimbalzare lo sterno sul polpastrello dell’indice. Ci vide, appoggia delicatamente a terra il suo capolavoro e ci fece cenno di salire. Presentazioni, e poi cominciò la chiacchierata. Era stato lui a organizzare l’incontro, era curioso di sapere da me cosa avremmo prodotto e che sviluppo avrebbe avuto la nuova fabbrica. - 67 - “È vero che avete delle macchine grandi che fanno il lavoro di molti uomini?” “Si sono torni a pantografo, fanno 4 oppure 8 copie di un modello in pochi minuti. Il primo modello deve essere fatto a mano” “Mi hanno detto che farete anche zoccoli” “Si zoccoli e tacchi per scarpe da donna” “Quanti pensate di farne?” “Circa cinquemila paia alla settimana” Ci fu uno scambio di sguardi increduli, il mio interprete mi chiese di ripetere, riporta la cifra e ci fu una bella risata del nostro ospite che poi mi disse. “Impossibile.. io ne faccio da anni dieci, venti paia all’anno e per tutta la città bastano” “Ma noi non li vendiamo qui, li portiamo in Italia, pensiamo di fare zoccoli almeno per venti settimane all’anno e portarli in Italia con la nave” Allora si fece serio, guarda l’interprete e disse con aria dispiaciuta: “Ci sono tante persone a piedi nudi in Italia” . Non mi seppi trattenere dal ridere e lo rassicurai: “No, non abbiamo gente scalza in Italia. Hanno tutti molte scarpe, quelle che facciamo qui, se siamo capaci di farle bene, le comprano per moda, per il piacere di portarle e farsi vedere belli” - 68 - Anche questa volta si fece ripetere la mi risposta e quando fu sicuro di avere capito bene fece un grande sospiro poi mi guarda dritto negli occhi con commiserazione, pensò ancora e poi fece un discorso lento che fu tradotto parola per parola in tempo reale. Devo ammettere che già dentro di me si era creato un varco tra parole e pensiero durante la mia spiegazione, la questione delle molte scarpe portate per sfizio, in fondo, non mi sembrava limpida. “Avete molta gente strana in Italia. e anche tu mi dai da pensare anche se sembri normale. Avete tutti molte scarpe e venite fin qui, con l’aereo, costruite una fabbrica tanto lontano dalle vostre case, per fare scarpe che non vi servono per camminare meglio, ma solo per farvi belli. O siete tanto brutti o siete tanto strani. Non so quale fosse l’aggettivo originale ma con gentilezza venne tradotto con strange. Poi fece un altro sospiro. “Non capisco altre due cose, io gli zoccoli li faccio sul piede, la macchina come fa a sapere quale piede ha bisogno della scarpa?” Me la cavai con la questione dei numeri e delle taglie, ma rispondere all’altra domanda fu più complicato “Come mai fate fare in fretta a da macchine complicate un lavoro che si può fare con le mani ,meglio, con calma e piacere” - 69 - In un attimo riproiettai nella mente gli ultimi dieci dei miei anni di idee, politica, studio, lavori discorsi e scelte che fino a quel momento mi erano sembrate intelligenti. Mi ero laureato da pochi anni con una tesi sulla necessità e possibilità di risparmiare energia nella produzione industriale e sulla stupidità di produrre gli oggetti “usa e getta” e di sostituire il legno con le plastiche per fare lo stesso oggetto. Venivo da un ‘68 studentesco caldo e impegnato, e le mie idee non interessavano alla nostra industria, ma avevo trovato un buon filone nel lavoro in paesi dove semplicità efficienza e risparmio energetico erano indispensabili per le loro industrie nascenti. Mi ero concentrato sul dito e avevo perso di vista la luna, nel particolare ero bravo ma non avevo visto tutto il mondo intorno. Vedermi dal suo punto di vista fu una grande scoperta e un vero regalo. “Hai proprio ragione”, gli dissi di cuore “Siamo strani. forse anche malati .ma possiamo cambiare e anche guarire” Al momento dei saluti lo abbracciai con tanta, tanta gratitudine. Ci frequentammo per qualche settimana ancora e gli rubai un poco di segreti sulla costruzione di aquiloni. Vennero poi le ostriche con il vibrione, poi i cavalli, le Ande e tanti atri - 70 - progetti e incontri e scoperte, ma da allora ho cercato con molta attenzione di avere sempre interesse per i diversi punti di vista, per il dito e per le molte altre lune. - 71 - Carlotta Bonadonna Grazie: la straordinaria riscoperta di una donna Vi racconto la storia di una giovane donna che dopo anni lontana da casa, o meglio distaccata da un mondo ormai quasi sconosciuto o addirittura dimenticato per volontà o rabbia, ritorna nella sua terra. L’impatto fu devastante, arrivando all’aeroporto in Sicilia provò tristezza, noia e vuoto. La paura di affrontare la gente, le voci, i pensieri che non voleva ascoltare la facevano stare male. Un blocco affettivo, forse personale la costrinse a stare chiusa 2 giorni in casa. Non c’era voglia di fare nulla, solo voglia che i 2 lunghi mesi che le aspettavano finissero in fretta. Un amore deluso ed un senso di fallimento che la riportarono in quella terra, piano piano si trasformarono in forza, coraggio, gratitudine, gioia, serenità ed entusiasmo. Improvvisamente cominciarono lunghi e profondi respiri, che l’ac- - 72 - compagnavano durante le sue giornate, pensò di stare male, poi col tempo capì che stava succedendo qualcosa di grande. Un senso di rilassamento e libertà ad ogni emissione di fiato le pervadevano il corpo e le accarezzavano la mente. La tensione e la rabbia si stavano allontanando, dando vita ad un’anima vibrante. Ogni giorno in più era un ritrovare un pezzo della sua infanzia, gli amici di sempre, i profumi dei cannoli appena fatti, l’affascinante decadenza del sud si convertì improvvisamente in bellezza e nostalgia per le proprie origini. La mamma di sempre con la quale passare piacevoli serate e divertirsi insieme, il mare con i suoi rumori e colori, le serate con gli amici come se non fosse passato il tempo cambiarono tutto. Nuove amicizie, nuove esperienze, nuove vacanze, nuove emozioni, forti sentimenti.... tutto quasi nuovo sebbene vecchio. Ma in realtà fuori era mutato poco... era lei che era rinata, che vedeva tutto più suo, più sereno e più autentico. In realtà credo che avesse ritrovato sé stessa ritornando alla sua vita e alla sua famiglia. - 73 - Lei ha ancora voglia di andar via, di ricominciare in altri luoghi ma la gioia di ritornare a casa ogni qualvolta potrà non andrà più via. Le emozioni arrivano e non si dimenticano più.... un senso di enorme gratitudine l’accompagnerà per molto tempo... forse per sempre. E come cita un famoso film “al sud si piange 2 volte quando arrivi e quando riparti”. La gratitudine è la forma più alta per rispondere alla vita. Per cui dico grazie per la meravigliosa estate a diverse persone che sebbene non ne siano coscienti, tutti in diversi modi, mi hanno aiutato a trascorrere un periodo bellissimo. Un grazie pieno di amore a mia madre Dane che non so come avrei fatto senza di lei, a mia sorella a distanza Elisa ai miei parenti lontani: Adriana, Benito, Cristiana, Massimiliano, ai parenti vicini: Roberto, Christian, Harald. Un grazie speciale a Morena Ru una nuova amica preziosa, Laila con i suoi pensieri, Irene con i suoi sorrisi, e poi ancora La Firri con i nostri dialoghi, Jessy e la spensieratezza, David, Roberto, Mirko Il Mala, Francesco, Cinzia, Lidia, Francesco, Tamy, Anna Maria, Manuela, Eleonora, Valeria, Isabella, Daniela, Luisa, Lipari ed i nuovi conoscenti, la Puglia con i suoi vecchi e nuovi amici, Marzameni ed i suoi incontri..... grazie di tutto!!!!! - 74 - Budau Daniela Un viaggio che continua Smisi di piangere, ma sopratutto, smisi di piangermi addosso. Non potevo andare avanti così, non potevo... Dovevo trovare una via d’uscita, la volevo trovare a tutti i costi: non m’importava come o cosa, o sotto quale forma potrebbe essere questa via d’uscita. Mi serviva una porta: così ho cominciato a costruire delle porte e ad ognuna cercare poi di abbinare una chiave. Immane impresa: non avevo idea in quale guaio mi sarei cacciata! Ma anche intrapreso un viaggio meraviglioso, da cui non sarei più tornata come ero prima! Un viaggio fatto di tanti mondi, perchè dietro ogni porta, c’era un mondo a sé. Decisi di lasciarmi andare, di seguire il corso delle cose, di fidarmi... insomma: semplicemente seguire il cuore. Non ho preparato nulla di bagaglio, mi ero detta che avrei scartato strada facendo le porte cui non riuscivo ad aprire. Così che, ho cominciato a conoscere le Persone, tanti me- - 75 - ravigliosi mondi intorno a me. Ecco: voglio solo dire che non solo dobbiamo credere ai miracoli, ma i miracoli esistono: ogni giorno, su tutte le strade di città e di campagna, i miracoli camminano accanto a noi. Sul mare e sui monti, nel deserto. Alcuni lo sanno, altri no. Alcuni hanno nomi comuni, altri no. Questi mondi, vi sembrerà strano, interagiscono fra di loro. Ma non è dato per tutti: per alcuni, la chiave per aprire la serratura o non esiste più o si è rotta. E allora rimangono da soli con il loro mondo, senza il bisogno di arricchirsi con altre esperienze. Sono quei mondi di cui butti via la chiave, perché non riuscirai mai ad oltrepassare la porta. Hanno le serrature più difficili e complicate. Mondi inesplorabili, e abitati da strane e sofferenti creature. Ecco: voglio parlare di loro! Di coloro che lo vogliono essere a porta chiusa, e altrettanto non cercano nemmeno di comprendere qual è il modo migliore per aprire le porte, e vedere quanti e quali altri mondi meravigliosi esistono intorno a loro. Ho incontrato nel mio viaggio, e conosciuto, Persone meravigliose. Ma loro non lo sanno. Sono i scorbutici, i maleducati, i malpensanti, coloro che l’amore non l’hanno mai incontrato, - 76 - coloro che pensano che solo giudicando gli altri si innalzano. Se solo si vedessero con i miei occhi... se solo per un istante vedessero quanto sono essenziali, quanti miracoli accadono intorno a loro ogni secondo, e di quanto è bello l’Universo fatto di tanti piccoli mondi, con altrettante porte e chiavi. Vorrei dire loro quanto sono meravigliosi! Vorrei dire loro quanto mi hanno insegnato, e quanto sono importanti! Senza di loro, l’Universo non sarebbe più lo stesso! Vorrei dire loro che i miracoli esistono, e sono proprio all’interno e intorno a noi. Vorrei solo che si vedessero con i miei occhi per un istante. - 77 - Danilo Maruca Sei nato unico non morire fotocopia Quando avevo più o meno sedici anni mi chiedevo come mai alcune persone erano soddisfatte e felici ed altre erano così terribilmente infelici. Un giorno lessi questa frase di Tiziano Terzani: “Vorrei che il mio messaggio fosse un inno alla diversità, alla possibilità di essere quello che vuoi. Allora, capito? È fattibile, fattibile per tutti. Cosa è fattibile? Fare una vita. Una vera vita, una vita in cui sei tu. Una vita in cui ti riconosci”. In quel momento dentro di me è cambiato qualcosa, come se quelle parole avessero attivato un interruttore interiore che mi ha aperto gli occhi. Le persone che sono soddisfatte della loro vita sono quelle che si impegnano a seguire la loro voce interiore. Seguono i loro obiettivi e i loro sogni. - 78 - Le persone che non sono soddisfatte invece seguono i sogni di altre persone. In effetti o lavori per realizzare i tuoi sogni o finisce per lavorare per soddisfare gli obiettivi di qualcun altro. Quello che ho capito e che vorrei trasmettere è che la società sbaglia nell’insegnare alle persone il sistema: “Vai a scuola, studia, trovati un lavoro qualsiasi e sposati” questo è un ottimo consiglio per essere... infelici. Questi consigli potevano andare bene qualche decennio fa, ma non vanno più bene oggi. Sono assolutamente convinto che ad ogni persona che arriva sulla terra siano stati donati dei talenti e delle passioni in modo tale che possa portare beneficio alle persone con la quale entra in contatto. Ognuno di noi ha l’obbligo e il diritto di inseguire i propri sogni e di trasformare la sua passione nel suo lavoro. Tutte le persone che hanno fatto qualcosa di grande erano o sono persone “visionarie”. Credono nei loro sogni. Gandhi sognava l’indipendenza dell’India, i fratelli Wright sognavano di far volare l’uomo, Max Calderan sognava di attraversare i deserti e migliaia di persone sognano di realizzare qualcosa senza avere nessuna prova fisica che si realizzerà. Bisogna capire un concetto semplice: - 79 - “Non ti trovi sul pianeta per caso. Esisti per poter realizzare un Sogno, per concretizzare una Visione. Siamo tutti degli strumenti dell’Universo affinchè si manifesti qualcosa di più grande di noi. Il Sogno esiste già e poi cerca persone adatte con la quale farsi realizzare. Devi diventare la persona adatta a realizzare i Sogni che ti hanno scelto, in quanto non sei tu che hai un sogno ma è lui che ha scelto te. La vita non ti appartiene è un dono. Condividi i tuoi talenti e le tue capacità con gli altri”. Bisogna insegnare ai giovani che la loro vita può e deve essere da esempio a tutta la specie. Vivere solo per sopravvivere non avendo nessun grande obiettivo non è una cosa normale. Coltiva la tua vita per migliorare l’umanità, questo è l’idea che andrebbe insegnata a scuola. Esiste un legame sottile tra noi e il mondo. Quando tu cresci, anche gli altri crescono. Quando tu diventi più coraggioso, tutto il mondo migliora. Quando tu ti lamenti, tutto il mondo viene inquinato. Non esistono momenti ordinari. In ogni attimo, attraverso la tua vita decidi se il mondo migliora o peggiora. Noi siamo responsabili per ciò che accade nel mondo perché abbiamo lasciato che la mediocrità invadesse la nostra mente e i nostri pensieri. Nello stesso momento in cui i giovani hanno iniziato a so- - 80 - gnare la pensione, a desiderare una vita normale fatta di un lavoro qualsiasi. Nel preciso istante in cui i giovani hanno accettato di sopravvivere senza nessuna ambizione accettando la mediocrità, in quel preciso momento... è nata la crisi. La mancanza di persone che credono nei loro sogni è una situazione imbarazzante. Se vogliamo vivere una vita in cui ci riconosciamo dobbiamo riprendere il coraggio di credere nei nostri sogni e dedicare la nostra vita a qualcosa di più grande di noi. La domanda è: “Quale eredità vuoi lasciare al mondo? Sei nato unico... non morire fotocopia”. - 81 - Antonella Salamone Fermati, abita È successo che c’avevamo sentito l’odore del pane che avremmo fatto, in quella casa. In una mattina di metà estate, sudati per la pedalata che ci aveva reso cosa tanto cittadini, ci eravamo fermati e avevamo iniziato a improvvisare modi di essere paesani. E con questi, inventavamo strade conosciute e volti che in realtà non avevamo visto mai. Davanti a quella cascina del 1600 e a quell’agente immobiliare con la camicia appiccicata sulla schiena e il sorriso prosciugato, sentivamo ciò che ci mancava. Ed era in quella casa e in tutto ciò che da quel momento ci sarebbe mancato di noi e della nostra terra. Quando in estate facevamo la salsa in campagna per esempio e bruciavano nei tagli d’infanzia quegli acini del pomodoro spaccato a metà a mezzogiorno. Ma là, in quella casa, almeno quelle visioni tornavano tutte e ci sfilavano davanti come spettri celebranti di ciò che sta- - 82 - vamo cercando e di ciò che fermandoci un attimo stava accadendo: eravamo diventati improvvisamente grandi. Poi abbiamo ripreso le nostre biciclette e ce ne siamo andati. - 83 - Beatrice Toccacieli Imparare a vivere Otto anni fa più o meno di questo periodo ho scoperto di avere un carcinoma all’intestino, e che era anche un po’... attempato. Mi sottoposi ad un primo intervento per l’asportazione del tumore e della parte di colon interessata, ma al risveglio mi ritrovai con una “borsetta” sulla pancia e mi informarono che mi era stato asportato tutto il colon perché completamente pieno di polipi della stessa natura del carcinoma. Mi fecero dei test genetici e risultai positiva a una malattia genetica rara, la Poliposi Adenomatosa Familiare che in casa mia non sapevano neanche pronunciare... colpisce un individuo ogni 12.000 nati vivi. Che fortuna!, dissi. In seguito, subii altri innumerevoli interventi, terapie, chemio e radioterapia, nutrizione in vena, e ancora oggi, oltre ai controlli annuali, sperimento alimentazioni speciali e terapie per mantenere, almeno dormiente, questa terribile malattia. - 84 - È stata una lotta continua ed estenuante con battaglie vinte ed altre perse, ho sentito sulla pelle il brivido che provoca la paura di morire, per un istante l’ho guardata in faccia la morte, ma sono sempre stata determinata a restare qui con la mia vita e con tutti coloro che ne fanno parte e l’ho vista sgretolarsi sotto i miei passi. Ogni volta che c’era da affrontare un esame o intervento importante, pregavo con forza e fede profonda di poter tornare dalla mia famiglia, dicevo che avevo un compagno e due figlie che mi aspettavano per vivere momenti felici insieme, e ogni volta mi rialzavo sempre più forte! Solo che se perdi il controllo nel gestire la forza e il coraggio a lungo andare ti ritrovi come imprigionata in un armatura rigida, un’armatura che con il tempo imprigiona l’elasticità mentale, il pensiero e i sentimenti, forse il meccanismo inizialmente è di protezione degli stessi per non sgretolarli e perderli, ma poi ti accorgi che dall’esterno non li avvertono più i tuoi stimoli, soprattutto i sentimenti sono rimasti isolati in qualche stanza della memoria e per quanto cerchi di tirarli fuori, commetti degli errori e finisci per dimostrare il contrario, e cioè che non ti interessi nient’altro che te stessa! - 85 - Ma non è cosa, non è vero che pensi solo alla tua situazione, è che cerchi di farti vedere forte per non far soffrire chi ti sta intorno e per cercare di passargliela quella forza per aiutarli a sopportarti, e per fare questo devi per forza soffocare le emozioni e ammutolire i sentimenti, altrimenti saresti troppo vulnerabile e debole! Mi chiedo oggi chi sono? Chi sono diventata? Oggi, che tengo a bada la malattia e sono riuscita ha concedermi il lusso di assaporare le mie lacrime, a sentire il calore di provare un sentimento e ancor più a dialogare con le mie emozioni senza classificarle. E per fare ciò ho dovuto rompere pezzo per pezzo la corazza che mi ero costruita su misura per lottare con i fantasmi della malattia, ma ancor prima con un matrimonio non voluto e finito velocemente, con la scelta di un lavoro che non lo sentivo proprio adatto per me, e con tante scelte non fatte per non deludere. Riflettendoci, a volte mi chiedo, tra me e me, ma le malattie genetiche rare esistono davvero? O basterebbe trovare il sistema di smettere di aver paura di vivere come si è dentro per restare sani? E allora mi dico che qualsiasi possa essere la risposta c’è - 86 - una cosa più importante per ognuno di noi: Vivi il momento, ogni momento buono o meno buono che sia accettalo e vivilo intensamente con passione, sentimenti ed emozioni, ma soprattutto esprimi quello che provi, sempre, trova il modo per comunicarlo anche se non sempre trovi le parole. - 87 - Stefano Leo Bivio Un giorno mi sono fermato e ho scoperto che stavo perdendo ogni attimo della mia vita mentre ero tutto preso ad inseguire l’illusione di costruire una ricchezza che avrei lasciato a mia figlia. Era nata e io avevo provato una gioia immensa ma allo stesso tempo avevo creduto che il mio gesto d’amore per lei dovesse consistere nel sacrificarmi e lavorare ancor più di quanto avessi fatto prima di quel momento. Da allora erano passati diversi anni e lei era cresciuta senza quasi conoscermi. Anche mia moglie lavorava tutto il giorno. La bambina era cresciuta in asilo, tra educatrici e poi in scuole a tempo pieno insieme a insegnanti e altri bambini. La sera io e mia moglie tornavamo a casa ormai talmente stanchi che nostra figlia ci vedeva appena e poi la mettevamo sbrigativamente a letto. - 88 - I nostri momenti insieme e felici erano le brevi vacanze estive e qualche viaggio per poi tornare a immergerci in quella vita fatta di rimandi e privazioni in attesa di un futuro in cui pensavamo che saremmo stati finalmente assieme. Ma più passava il tempo e meno riuscivo a costruire l’impero che credevo di desiderare. Gli affari andavano male e ad un tratto presero una piega sempre più negativa. Mi ritrovai come un aereo entrato in stallo: la mia attività si avvitava sempre più in una spirale di debiti impagabili e di spreco delle mie risorse ed energie per cercare di salvarla, senza riuscirci. Persino mia moglie perse il lavoro, ed un giorno ci ritrovammo da soli, in casa. Ma la casa era ormai pignorata e sapevamo che ben presto l’avremmo lasciata. Tutti i nostri sogni di benessere erano svaniti. Ci restava solo nostra figlia. L’avevamo chiamata Angela. Ma non avevamo mai capito bene il perchè di quel nome: era stata una scelta spontanea, come dettata dall’inconscio. Credevamo fosse motivata dal suo aspetto dolce e gentile. Ma capimmo il vero motivo soltanto quando sia io che mia moglie facemmo un sogno straordinario. - 89 - Quella notte era l’ultima perchè l’indomani avremmo lasciato la nostra villa con piscina per un modesto appartamento in un quartiere popolare. Nostra figlia ci apparve in sogno, accanto a lei due figure di luce. Non parlavano, ma fu nostra figlia a parlare. Ci disse che prima di nascere ci era già venuta a trovare. Una volta si era presentata sotto le spoglie di un mendicante che aveva chiesto a mia moglie la carità. Lei gli aveva dato una moneta e lui gli aveva chiesto se fosse felice della propria vita. Ella aveva risposto che i soldi non facevano la felicità. Un’altra volta era apparsa a me, come una bella ragazza. Io non avevo ceduto alle sue lusinghe e avevo detto che non cercavo delle avventure, ma soltanto di essere un giorno il padre di una ragazza che fosse stata bella come lei... Gli angeli a quel punto squarciarono un velo di ombra che era dietro di loro e ci mostrarono l’immagine di una strada che ad un certo punto si divideva a un bivio. In una strada si vedeva un futuro di prosperità, feste, ricchezza ma in quel momento due anziani risalivano in un’auto di lusso, senza nemmeno guardarsi tra di loro. Gli sguardi vuoti. - 90 - Nell’altra strada vi erano due genitori anziani ma sereni, partecipi della gioia di una festa insieme ad una ragazza stupenda. La ragazza si chiamava Angela. Poi il sogno finì e mi svegliai e mi accorsi che anche mia moglie si ridestava nello stesso momento. Nel suo sguardo c’era la mia stessa consapevolezza. Non dissi nulla. Insieme andammo nella stanza in cui nostra figlia dormiva placidamente. Allora ci abbracciammo. Poi silenziosamente e pieni di gratitudine ci accingemmo a preparare le nostre valigie. - 91 - Agnese Albertini Ho “dovuto” fermarmi! Sono nata sotto il segno del Leone, energica, combattente, solare! Mai ferma, nè con il corpo nè con la mente! La mia curiosità mi ha sempre portato ad esplorare, capire, imparare, fare. Stare ferma non era proprio per me. Ed anche la mia professione mi stimolava ad essere sempre in movimento, lavorando in proprio si sa, bisogna stare attenti a tutto! Ma i guadagni c’erano e pure buoni. Mancava solo il tempo di spenderli i soldi guadagnati! Ma il tempo per gli altri lo trovavo! Per i più deboli i bisognosi, i meno fortunati! Ho sempre parteggiato per il più debole... Io mi sentivo forte, fortissima!!!!! La mia infanzia e giovinezza fu difficile! Quanta fatica per crescere! Quante domande senza risposte! Quante delusioni! - 92 - Allora, ai miei tempi, era così, eri piccola e dovevo stare zitta ed ascoltare. Ma nessuno ascoltava te! Tutti troppo impegnati per il lavoro, per poter vivere meglio, con più comodità! E anche nella mia famiglia non trovavo quello che cercavo, ascolto, comprensione, affetto. La mia mamma era una brava donna ma, pure lei da piccola non ha ricevuto affetto per cui non riusciva a darlo! Ma questo io l’ho capito solo da grande, mentre da piccola mi chiedevo: Ma perché la mamma non mi accompagna a letto? Perché non mi racconta mai una storia? Perché non mi ascolta? Tutte domande che tenevo per me! Si sa, i bambini non riescono a spiegarsi. E neppure capiscono bene che cosa manca loro, ne soffrono però! Era una grande lavoratrice, voleva dare a noi figlie tutto quello che non aveva avuto lei ma di “materiale” si trattava! A me serviva altro non solo la bicicletta o la slitta o vestitini della sarta, ricamati. Ma affetto e comprensione! Il mio papà aveva un lavoro che lo portava nove mesi all’anno lontano da casa! Era un grande Chef di cucina! Uno - 93 - dei “grandi” ed ha sacrificato la sua famiglia per la carriera! Era sempre presente con una cartolina o un telegramma quando ero promossa o ricevevo dei bei voti! A modo suo cercava di essermi vicino, ma non bastava! E questo ha fatto soffrire pure lui, infatti diventò alcolista. La mamma ha cercato di nascondere questa verità fin che ha potuto ma poi la cosa fu chiara! Era un brav’uomo, onesto, gentile, profondo, sensibile e mi ha i segnato il valore del rispetto per tutti e l’amore per gli animali! Era un cuore tenero ma quando beveva diventava violento! Così non sono cresciuta in un ambiente “sano” e a vent’anni me ne andai da casa, ho voluto spiccare il mio volo ma le mie ali non erano abbastanza forti! La mamma, iperprotettiva, non mi aveva insegnato a scavalcare gli ostacoli! Sono sempre stata un po’ fragolina in effetti è lei scavalcava per me, credendo di fare bene! Ma fu un grave errore! Catapultata nella grande metropoli di Milano, insicura e timorosa se pur ben acculturata. Non ce l’ho fatta! Non ero pronta ad affrontare la vita con tutti i suoi problemi! - 94 - Per un po’ resistetti, trovai un lavoro che mi occupava molto, e feci carriera! Ero intelligente e con una buona cultura! D’altra parte la mia famiglia mi aveva insegnato il grande valore del lavoro! Ma a tutto ci deve essere un limite! Ed io non lo avevo! Lavoravo e lavoravo. Finchè non successe il patatrack! La mia insicurezza, fragilità e le mie paure trovarono strada nella droga! Ed iniziò il tormento! Un tormento una disperazione per me e per la mia famiglia durato ben 13 anni! I valori inculcatemi non mi hanno permesso di arrivare a vivere la strada, ho sempre lavorato ed i soldi non mi mancavano! E, nella mia disperazione ero una solitaria! A differenza dei “molti” che facevano gruppo! Questo, per fortuna, mi ha messo al riparo dal contrarre malattie! Ma non vivevo, vegetavo, mi annullavo nei paradisi artificiali! Ed alla fine anche il lavoro ne risentì e dovetti smettere! - 95 - Non avevo più nè le forze nè la lucidità necessaria per portare avanti i miei impegni! Fu ancora più terribile. Anche quei freni che avevo conservato si ruppero. E toccai il fondo! In effetti questo periodo non durò molto, per fortuna! Ero stanca, sfiduciata, delusa di tutto di me stessa, stavo male e facevo stare male. Ed i rimorsi mi attanagliavano, allora esageravo ancora di più! Finchè ebbi la forza di dire “basta”! Mi ricordo come fosse ora! Eravamo davanti al camino io, mamma e papà che, in uno dei rari momenti di sobrietà, suonava il suo mandolino! Era la vigilia di Natale, fuori nevicava ed io ero in preda ad una forte crisi di astinenza! Non avevo nemmeno più la forza di andare a cercare la mia dose! Tenevo in mano una tazza di tè caldo. Ma tremavo come una foglia! Non avevo più scampo e lo sapevo! Allora chiesi aiuto ai miei genitori, piangendo, finalmente la molla era scattata! Loro, naturalmente non aspettavano altro. Ricordo che mamma teneva in mano la sua tazza di caffè e quando sentì le mie parole, richiedenti aiuto, la tazza le scap- - 96 - pa dalle mani, cadendo a terra! Il primo passo era fatto! Ai miei genitori chiedevo solo di sostenerci, di non abbandonarmi, di starmi vicino per il resto sapevo bene come fare! E loro mi promisero tutto l’aiuto necessario! Passai una notte d’inverno, in preda ai dolori dell’astinenza! Mamma non sapeva che cosa fare! Mi massaggiava con l’alcol i muscoli tesi e doloranti! Le crisi di astinenza sono terribili, difficili da raccontare! È tutto il tuo essere che si ribella! Niente funziona più, tutto va per conto suo e io non avevo più nessun controllo! Evito i particolari. Finalmente la notte passò.. avevo sempre nelle orecchie le famose parole di Eduardo “A da passa’ a nuttata!” E la mattina mi feci accompagnare al Sert della Provincia! Parlo di tantissimi anni fa, le cose non funzionavano come avrebbero dovuto! Io chiesi di entrare in una Comunità per tossicodipendenti ma “loro”, i cervelloni psicologi che non capiscono nulla, mi frenarono, proponendomi la cura con metadone! Cosa che naturalmente accettai, stavo troppo male! E cosa la mia agonia continua ancora perché il metadone si mi faceva passare i dolori dell’astinenza ma andavo comun- - 97 - que a cercare la mia dose, le mie dosi, sempre di più! Perché così succede a tutti! Il metadone un grande fallimento! Ideato solo per dar da mangiare a psicologi e psichiatri, raramente aiuta! Cosa andai ancora avanti o meglio, indietro! Ma alla fine decisi di ribellarmi! Ma capii che avrei avuto bisogno del sostegno di un buon professionista! Da sola non sarei riuscita nel mio intento! E tutto questo era paradossale!!! E la mia rabbia montava! Allora, mi affidai ad uno psichiatra consigliatomi dal mio dottore di famiglia. Un disastro! Non capiva niente... intascava solo soldi con la presunzione di potermi aiutare lui! Ma io sapevo bene che l’unico aiuto, per me, era la Comunità! Ma, per fortuna mi venne in aiuto la moglie, psicologa, lei sì che capiva e molto bene anche! E mi disse chiaramente che suo marito non avrebbe potuto aiutarmi e che mi serviva andare in Comunità! Non potevo credere alle mie orecchie! Finalmente una persona che capiva! Allora le raccontai del mio tentativo, e lei, naturalmente, si - 98 - arrabbiò molto! Mi diede appuntamento per il giorno dopo al Sert dicendomi che mi avrebbe accompagnata lei dai signori “cervelloni”. E così fu! Ci trovammo al Sert con tutta la Commissione riunita e... lei grande! Gliene disse di tutti i colori e anche di più, li fece vergognare davanti a me, ricordo che tenevano tutti gli occhi bassi, i bastardi! E mi fece entrare in Comunità, quella che lei conosceva molto bene, la Comunità INCONTRO di Don Pierino Gelmini. Naturalmente dovetti aspettare e rispettare tutto l’iter, analisi del sangue, urine, colloqui su colloqui. Ma io sempre ferrea e sempre più convinta di uscire finalmente da tutto quell’orrore! Dovetti aspettare ben sei mesi prima di essere accettata. Ed in quei mesi nei quali avrei dovuto disintossicarmi, peggiorai ancora di più! Non ce la facevo. Infatti entrai in Comunità in crisi di tutto! Eroina, cocaina, metadone, sigarette... solo l’alcol non faceva per me! E fu dura, molto dura, durissima! - 99 - In Comunità non si poteva fumare... non si poteva fare nulla senza chiedere il permesso, anche per andare a fare pipì e, spesso, veniva pure negato! E la ribellione si faceva sentire, come una tigre in gabbia ma senza gabbia... perché nella Comunità INCONTRO entri con la tua volontà e con la tua volontà esci! Non esistono cancelli nè recinti, sei libero di restare o andartene! E l’aiuto te lo possono dare i tuoi compagni di sventura, solo parlandoti e, se li ascolterai rimarrai, sennò tornerai alla tua vita disperata! Ogni giorno volevo andarmene. Ogni mattina mi imponevo di aspettare la sera e la sera di aspettare la mattina seguente! A volte solo ore... ancora un’ora, mi dicevo! L’alternativa la conoscevo e non mi piaceva! E tutto in astinenza e niente farmaci! Un giorno, sfinita, svenni: mi diedero una camomilla! Notti e notti insonni, dolori lancinanti... rabbia che mi bruciava il cuore ed il cervello! Ma resistevo! E dovevo pure lavorare, per quel che riuscivo! In Comunità si sta a letto solo se si ha la febbre. Ed il confronto, serrato e duro, quasi crudele ai miei occhi di allora! - 100 - Abituata a fare tutto quello che volevo, mi ritrovavo a dover chiedere per tutto, a non poter pensare con la mia testa a sentirmi dire “vedi la tua testa dove ti ha portata! Ora usi la nostra” E non capivo, o non volevo capire! Capire significava poi cambiare ed il cambiamento è faticoso! Facevo tante domande, tanti perché è sempre mi veniva risposto “fai e poi capirai” Ed a me sembrava di impazzire! Il silenzio poi... un momento terribile! Il momento della meditazione, mezz’ora al mattino e mezz’ora la sera, in silenzio per riflettere e guardarci “dentro”. Ma io non vedevo nulla, non capivo nulla! Pensavo fossero tutti matti! E colazione, pranzo e cena, tutte in silenzio assoluto! Anche versare l’acqua nel bicchiere era un gesto “sacro”, guai a fare rumore! Noooooooo mi dicevo, qui sono tutti impazziti! Per farmi uscire da un problema mi fanno entrare in uno più grande: la pazzia collettiva! Ma resistevo... l’astinenza era passata e una notte che riuscii a dormire anche solo un’ora mi parve un grande passo avanti! Quando lo dissi ai miei compagni, la mattina, scatta un applauso che più forte non ne avevo mai sentito! - 101 - E questo fu il primo segnale che io stavo funzionando, perchè in Comunità nessuno ti regala niente! Ti devi guadagnare tutto! Anche il mangiare! Ogni persona aveva un compito, una responsabilità quotidiana, nel rispetto delle proprie possibilità! Ed io, in quel periodo avevo da accudire il pollaio! Le uova erano molto importanti per noi! E la salute delle galline pure, gli animali erano sacri e trattati molto bene. E non venivano uccisi per mangiarli! E questo mi piaceva molto! Per cui, due volte al giorno, ad un’ora precisa, dovevo andare a dar da mangiare alle galline e ogni tre giorni zappettare tutto il terreno per far in modo che le galline potessero becchettare e pulire tutto il pollaio! Cosa che facevo benissimo! Il lavoro non mi faceva paura, avevo sempre lavorato! E mi rilassava stare con gli animali! Ma un giorno mi dimenticai la cena per loro! Non so come ma mi dimenticai! Beh! Mi dissi, pazienza, mangeranno un po’ più domani! Ma la cosa non era cosa semplice! La Comunità è come una palestra, dove sperimenti la vita, facendo gli sbagli ma sei protetta, però i tuoi errori hanno un significato diverso che fuori! - 102 - Cosa mi ritrovai in mezzo al “cerchio”. Non capivo che stesse succedendo! In fondo avevo solo dimenticato di dare la cena alle galline! E che sarà mai! Ma non era cosa! Iniziarono tutti a dire la loro, ingigantendo la cosa, facendone un dramma! Come se le avessi fatte morire di fame! Tutti contro di me! Me ne dissero di tutti i colori, finchè non mi misi a piangere e crollai! Il mio “io” crolla e mi sentii una nullità! Un pianto “liberatorio”, consolatore e poi i miei amici me li sentii tutti vicini! Tutti a consolarmi! Incominciavo finalmente a capire! Così tra crisi e crisi, trascorsero i due anni di programma. Ed uscii! Mi sentivo impaurita, fragile, insicura, dubbiosa! Ce la farò, mi domandavo! Perchè ora si trattava di affrontare la vera vita e senza paracadute! Mi sentivo come un uccellino che volava in una tempesta! Ma piano piano, vivendo, facendo sempre tesoro degli insegnamenti ricominciavo a vivere, ma vivere veramente, assaporando la Vita! Le paure si dissolvevano, la forza la sentivo dentro di me, l’insicurezza dava spazio alla sicurezza, anche se sempre con prudenza! - 103 - La vita finalmente mi sorrideva! All’inizio fu difficile perchè dovetti riconquistare la fiducia dei miei genitori e delle mie sorelle, mi tenevano d’occhio, mi guardavano con sospetto, timorosi, mi controllavano tutto! Ma io ero preparata a questo! La Comunità mi aveva avvertito! Per cui andavo avanti senza sentirmi offesa! Finalmente riuscivo a capire anche gli altri oltre che me stessa! Ed era una bellissima sensazione! Nei momenti difficili me ne andavo al fiume io con il mio amato cane a piangere da sola e lui mi leccava le lacrime! E mi aiutava molto! Lui aveva già capito che ce l’avevo fatta! Gli animali con il loro istinto spesso capiscono prima! Ed io lo sentivo! Ma la Vita iniziava a mettermi alla prova! Mio papà che era già ammalato di tumore peggiora molto, tutto ad un tratto e fu necessario il suo ricovero! Il tumore si era sparso nelle ossa e per lui non c’erano più speranze. Io morivo dalla voglia di riprendere in mano la mia nuova Vita, il mio lavoro, di essere indipendente ma capii che dovevo ancora aspettare! Papà aveva bisogno di me ed io ero l’unica che poteva aiu- - 104 - tarlo! Avevo in me tutti gli strumenti necessari! Così iniziai ad assisterlo prima solo di giorno poi anche di notte! Trascorrevo tutte le mie giornate in Ospedale, parlando con lui, accudendolo. Ed iniziammo a conoscerci! Non ne avevamo mai avuto il tempo, prima! Lui con il suo problema è io con il mio che, in effetti, era lo stesso disagio, le stesse paure, le stesse fragilità, cambiava solo la sostanza, lui l’alcool ed io la droga! Così ci riscoprimmo molto simili! E ci incontrammo finalmente, sul suo letto di morte, ma ci siamo incontrati e capiti! E nacque un Amore immenso, anche se, purtroppo, durò troppo poco! Papà stava morendo. E io lo sapevo! Ma ero impotente, potevo solo donargli tutto il mio Amore che, nonostante i dolori, lo rendeva felice! E lo aiutai a morire, serenamente per quanto fosse possibile e lui fu il secondo, dopo il mio cane, che capiii che ce l’avevo fatta. Ed i suoi occhi luccicavano di orgoglio! La sua colomba, mi chiamava! E se ne andò lasciando un grande vuoto ma anche un “pieno” di Amore! Ora che lo avevo trovato lui se ne andava! Ma ero preparata, anche a questo! - 105 - Anche questa è una regola della Vita! Tutto inizia e tutto finisce! Poi la mia nuova Vita incomincia! Con difficoltà e ostacoli. Ma ero in grado di affrontarli ora! Ricomincai a lavorare, un lavoro più tranquillo! I soldi non mi interessavano più, si solo per vivere dignitosamente ma non erano più la priorità! Le macchine sportive non mi servivano più, non dovevo più correre! Il rolex che tanto “ostentavo” lo regalai a mia nipote, non mi serviva più! I bei ristoranti non mi interessavano più! Amavo cucinare i miei cibi, papà mi aveva insegnato bene. Ed i suoi insegnamenti ora erano preziosi! Riallacciai le vecchie amicizie e con i primi soldi guadagnati acquistai un’auto di seconda mano, una piccola panda che mi sembrava una Ferrari! Tutto si era ridimensionato, aveva preso il posto giusto, e le mia priorità ora erano i sentimenti, gli affetti, l’Amore, la compassione, l’amicizia, la condivisione, la pietas tutte cose che non avevo mai considerato e mai conosciuto! - 106 - Più tempo passava e più forte diventavo! “Le pietre che i muratori avevano scartato, sono diventate testare d’angolo”! Era proprio così, ero un esempio, un buon esempio! E poi il destino mi fece conoscere quella persona “speciale” che diventò poi mio marito, anche lui un “ex” guarito! Sarà stato un caso? Non credo! Nacque un Amore stupendo! Ci capivamo a colpo d’occhio, mi sembrava di averlo sempre conosciuto! Condividevano gli stessi sogni, avevamo gli stessi ideali, una grande empatia un grande rispetto! Ed il nostro Amore dura da 23 anni, sempre uniti nonostante le difficoltà ed i problemi di salute per una mia malattia reumatica che, purtroppo, limita molto la mia qualità di Vita! Ma siamo felici e sereni, nonostante tutto, siamo sempre insieme, camminiamo manina-manina e facciamo sempre progetti per il nostro futuro! Non abbiamo però avuto il coraggio di mettere al mondo figli ma non ce ne siamo mai pentiti! Ci sentiamo una vera famiglia, con i nostri due cani che riempiono il nostro cuore di Amore puro, quello che solo gli animali sanno cosa regalare! - 107 - Ed il tempo ora ha il suo valore! Niente più corse... Niente più ansie... Tutto il tempo è per noi da godere più che si può! Abbiamo imparato a fermarci, a meditare a respirare piano piano... Ed è per noi una grande conquista! Buona Vita a tutti! - 108 - Italia Bianchetelli A Ugo A te che ti ho conosciuto in un momento di crisi personale. A te che sei entrato nella mia vita, in punta di piedi, e pian piano mi hai fatto innamorare. A te che mi hai fatta sentire al centro delle tueAttenzioni, siamo stati due corpi, e un’anima sola. A te Ugo che mi hai lasciata per raggiungere altre dimensioni. la dimensione dell’aldilà ci divide un filo sottile, che nel silenzio e nella pace, quasi ci si può sentire. A te che sei stati il mio grande Amore, dedico queste semplici righe. Ugo sei stato per me una persona più che importante eri e sarai sempre il mio mondo ti amo oggi come allora. Ciao Ugo, ti dico solo arrivederci. - 109 - Eva Peddio Sala parto sotto le stelle È stato un brusco risveglio quella mattina. Cumba, l’ostetrica della casa di Santè, ci aveva mandato a chiamare: la donna gravida che avevamo visitato qualche giorno prima era in travaglio era in pieno travaglio. Ci fu un bel trambusto, un veloce viavai, niente colazione, una fila superveloce al bagno, le divise già indosso. Mandalà, il nostro cavallo, era già la pronto sulla spiaggia. C’era bassa marea; il carretto, passando sulla sabbia, sfiorava le onde dell’oceano. Per raggiungere Mboro godevamo di una bellezza particolare: il rientro dei pescatori che portavano a riva le enormi piroghe colorate; noi, con le gambe penzoloni, sostenendoci con forza sui palmi delle mani per non cadere, osservavamo l’alba pensando di arrivare in tempo per il parto. La a destinazione una sola “sala travaglio-parlo-degenza-ambulatorio”, la sala d’attesa era fuori, sulla sabbia. Per nascere nessuna luce o culletta termica o lucide mattonelle, - 110 - solo una povera stanzetta, che non aveva nulla, se non un lettino arrugginito, senza lenzuola. La donna, colorata dagli abiti, che avvolgevano il suo corpo era pieno di antico pudore. I suoi abiti esaltavano la pelle nera. Soffriva in silenzio le sue contrazioni uterine, come un destino a lei assegnato, solo per essere donna. Nulla, nemmeno un lamento dalle sue labbra, qualche smorfia. Solo i suoi occhi parlavano di quel dolore di madre. Là il dolore è diverso, nemmeno i bambini con le ferite infette piangono durante le medicazioni. “Poussez! Poussez! Spingi! Spingi”! dicevamo alla donna ormai in sala parto. Pochi gli strumenti a disposizione, disinfettati malamente in mezzo alla polvere in un ambiente dove I’acqua non scorre nei tubi e lavarsi le mani è molto difficile. Un’ultima spinta ed ecco un vagito: è una femmina sana e vivace. Un respiro profondo il nostro, come dopo ogni parto. Tutto sembra finito; ma che succede?? Guardiamo allarmati l’addome ancora prominente. Sono due!! Sono due!! Gridiamo un pa sorprese allarmate: è una gravidanza gemellare e il secondo gemello a in posizione podalica. Un par- - 111 - to difficile qui in questo mondo dove non c’è ancora nè luce nè acqua, e neppure la sala operatoria. Mentre ci preparavamo al secondo parto, l’ostetrica locale masticava un bastoncino di legno, quello che solitamente usano per pulirsi i denti, con il flemmatico fatalismo degli africani. La vagina della donna rimaneva dilatata; ecco spuntare il primo piede, solo uno. Davanti ai nostri occhi come per magia appare il manuale di ostetricia. Parto podalico, vagina. Agganciare l’altro arto, assecondarle rotazioni naturali. Spunta anche il sederino della bimba. Favorire l’espulsione delle spalle. leggevamo mentalmente. Infilare la mani nella bocca del feto in modo che la testa possa rimanere flessa e offrire un diametro più favorevole all’espulsione. Tutto procede bene. Molto sangue freddo, molta professionalità ed esperienza da parte dell’èquipe ed ecco prendiamo tra le braccia anche la seconda bambina, scalciante, prepotente e con tanta voglia di vivere. Noi ora più serene, anche se la puerpera ha bisogno di un controllo intensivo nelle due ore dopo il parto: guardavamo i due esserini appena venuti al mondo. Le piccole in un pianto quasi silenzioso, capivano sicuramente di essere nate in Africa. - 112 - Ora avvolte anche loro in teli colorati, seppure col cordone a penzoloni malamente disinfettato e legato con uno spago grosso, sembravano delle principessine adorate dalla madre, regina di felicità dopo la sofferenza. Nello sguardo delle donna, amore per le bimbe e riconoscenza per noi. Un grazie fatto sguardi e di lingua wolot, a noi incomprensibile. Oggi, quelle due bimbe nate alle porte del natale, con la neve sulle nostre alpi e col caldo in Senegal, hanno quasi due anni e presto le rivedremo. Ci aspettano con la loro mamma. Tutti li ci aspettano: i malati, i collaboratori, e i dolci amori nati e rinnovati tra il bianco e il nero, il chiaroscuro come luce e ombra, come vera vita. E si affaccia la nostalgia di quella terra e penso che è vero che esiste il mal d’Africa. Riaffiorano prepotenti i ricordi del primo viaggio. Arrivammo che era notte fonda a Dakar, con tanta stanchezza nel corpo, ma l’animo pieno di gioia, pronti a dare il meglio di noi. Una ginecologa, due ostetriche, due dermatologi tutti abbastanza ignari del lungo viaggio che ci aspettava. Solo i presidenti della nostra associazione erano consci delle difficoltà che avremmo incontrato... E pensare che ci ave- - 113 - vano avvertiti dall’aereoporto un vecchio camioncino aperto, tra scossoni e polvere, ci trasporta a Mboro, piccolo paese di pescatori sull’oceano a sud di Dakar. Ci avevano informato che in Senegal a dicembre era caldo. Ma la notte faceva freddo, e noi, addossati gli uni agli altri cercavamo di scaldarci un po’. Ed eccoci a Mboro alle quattro del mattino, credevamo di essere giunti a destinazione, ma sbagliavamo: mancava ancora qualche chilometro. Venne a prenderci un carretto trainato da un cavallo, Mandalà. Solo l’indomani avremmo visto quanto era scheletrico quel povero cavallo che ogni giorno ci portava al lavoro. Eppure stanchi, assonnati e infreddoliti, abbiamo ammirato per la prima volta la luna d’Africa, grande e lucente, che si specchiava nell’oceano. Impagabile ai nostri occhi anche lo spettacolo al nostro risveglio: la capanna sulla spiaggia, sull’oceano, ci offriva sole e calore. Una spiaggia infinita dove l’orizzonte spariva dalla nostra vista tra la foschia e l’azzurro molto azzurro del cielo africano. Una spiaggia infinita abitata da una miriade di piccoli granchi che facevano a gara per scavarsi un nascondiglio nella sabbia. - 114 - I ricordi dei panorami si uniscono a quelli interiori: alle feste dei nostri amici senegalesi, che ci offrivano il benvenuto, ripagandoci ampiamente della fatica del lungo viaggio. Viaggio che, ormai da qualche anno, si rinnova. Offriamo il nostro lavoro a chi ne ha bisogno e riceviamo tanto in cambio: una ricchezza impalpabile, spirituale, che tutti possono leggere nei nostri occhi ad ogni nostro rientro. Da questa bella esperienza, il giorno dopo il parto, nacque anche questa piccola poesia: Il miracolo della vita Da silenziose doglie si affaccia a mani esperte e due bimbe raccoglie. (Les petites Annette et Robertà elles sont nait a la source du soleil elles sont sages la nuit pour nous n’est pas bien et elles ont attendu le jour) Sono arrivate piccole piccole il cuore materno sorpreso a riscaldare - 115 - e l’animo generoso a rallegrare di chi disinteressato aiuto voleva dare. Sala parto uno stanzino sala travaglio uno sgabuzzino; tutto al buio riluceva di luce d’amore, è cosa che va qui la vita, amici e colleghi, amore e perizia il cockail della letizia per un parto gemellare che il Senegal ci ha voluto regalare. - 116 - Italia Bianchetelli In vacanza Mi trovo in un paese di montagna faccio un giro nel bosco intorno a me un gran silenzio mi fermo, ascolto, osservo; le cime degli alberi quasi non si vedono, un raggio di sole riesce a penetrare chiaro e splendente, un fruscio di foglie mi distoglie da tutto ciò, uno scoiattolo bruno con una maestosa coda, corre veloce su un ramo, ora un batter d’ali è un uccello dai colori sgargianti che si posa nel nido. Passeggio in questo posto incantato intorno a me colori di fiori e frutti di montagna, in lontananza sento, il gorgoglio di un ruscello - 117 - mi fermo a guardare, scorgo un gruppo di daini, con un manto bellissimo, vanno a dissetarsi in quell’acqua limpida e chiara. L’aria è leggera pulita ,si sente il canto delle cicale, questo luogo non è ancora rovinato, dall’incuria dell’uomo, sembra quasi un paradiso, tutt’intorno le cime maestose delle montagne fanno da cornice. - 118 - Ornella Petrocelli Quella notte di febbraio Era una notte di fine febbraio, come ogni sera avevo passeggiato nella mia camera da letto con in braccio la mia secondogenita cantando la sua ninna nanna stringendola al petto. Ogni volta che passavo davanti allo specchio guardavo il mio riflesso appena visibile, nel buio, illuminato dai deboli raggi di luce che provenivano dai lampioni per strada. Una donna che non ero io, non ero mai stata formosa, ma cosa filiforme da sembrare malata non di certo. Ricacciavo le lacrime dentro con tutta la forza che avevo, ma non ne avevo più, era solo l’amore delle mie bambine che mi regala l’energia per continuare a lottare contro la voglia di lasciarmi spegnere. Poi toccava alla più grande il concedersi la mia voce, mi chiedeva di leggergli ogni sera una storia diversa, ma quella che più amava era “Il giro del mondo in 80 giorni”. Quella notte la mia immagine riflessa nello specchio mi - 119 - aveva turbato, non era la mia magrezza a farmi paura ma il mio sguardo spento. Ero sempre stata positiva, ero sempre riuscita a trovare il modo di cavarmela in tante situazioni, anche le più difficili o complicate. Mi ero innamorata di lui che sembrava aver bisogno di me, mi aveva fatto credere che ero il suo giusto incastro, la sua metà. Invece si era rivelato il pericolo più grande. Era riuscito a fare di me il suo zerbino, il suo giocattolo. Un uomo mai cresciuto, ma che non era stato mai bambino. Passavo dall’essere il suo giocattolo all’essere il suo sostentamento economico semplicemente perché non aveva voglia di lavorare. Io ero ipnotizzata dalla mia spada di Damocle, più mi feriva e più mi stringevo a lei, tanto da sentirmi perversa! Odiavo quella sensazione di dipendenza da lui. Non era capace di darmi quelle sicurezze che volevo, da quella affettiva a quella morale. Fingevo di non vedere, di non capire le tante amanti che allietavano le sue giornate, mentre io morivo. Mi aveva riso in faccia quando gli dissi che avevo capito tutto, che non ero stupida. La cosa che però mi feriva nel profondo era la sua incapacità di stabilire quel legame forte che ogni padre crea con le sue - 120 - figlie. Mi sembrava più uno zio che un padre, uno zio lontano. Potevo fare di me ciò che volevo, ma ero responsabile della vita delle mie figlie e non potevo fare questo alle mie bambine. Pensai con rammarico che un divorzio non sarebbe stata una tragedia,già,per una come me che crede nei valori sembrava uno squarcio nel profondo dei miei ideali, ma la tragedia più grande sarebbe stato insegnare alle mie figlie cose sbagliate sull’amore. Quella notte di fine febbraio la ricordo bene, era il 24, fu l’ultima volta che mi guardai schifata nello specchio della mia camera. Quella notte lui non rientra, non era la prima ma fu l’ultima. Sono passati molti anni da quella notte, tanto ancora ho da recuperare di me, non sono più quella che ero prima di lui ma non sono più quella che ero diventata per lui, ho trovato una nuova me. Ora sono forte di me, mi sono ricostruita la mia sicurezza interiore, fiera di fare da padre e da madre, impavida a tentare di realizzare sogni. Rido, piango, vivo e non ho rimpianti, perchè quel 24 di febbraio io mi sono fermata e ho cominciato a vivere! - 121 - Davide Cimarosti La mia storia e le mie passioni Ciao a tutti, mi chiamo Davide Cimarosti e ho 36 anni e abito da 9 anni in Friuli dove aver abitato prima in provincia di Milano. Sono nato prematuro e sono stato in culla termica con l’ossigeno ma dopo grazie all’aiuto di mia mamma mi sono ristabilito perchè mi ha insegnato ad usare la gambe e le braccia. Nel lontano 1980 sono stato il primo bambino ad essere stato operato con il laser a eccinmeri e ho acquistato la vista da un occhio (ora faccio la “ginnastica visiva” e vedo bene). Ho fatto una tremenda depressione tre anni fa e ne sono uscito grazie all’aiuto di una psicologa e successivamente grazie alla conoscenza di una super amica, Sonia. Grazie a lei ho tifato Udinese di nuovo. E poi mi ha fatto conoscere Clauzetto, in cui quando vado sù (ormai conosco tutti) mi rilasso e mi reintepro. Passiamo alle mie passioni - 122 - Grazie all’aiuto di mia mamma cucio nonostante i problemi di vista. Realizzo porta smartphone segnalibri sacchettini porta lavanda e ho scoperto il pirografo, che realizzo madonnine su legno. Oltre a Clauzetto, cerco di fare lavori (e ne ho tanti) e mi tengono occupato. Risolvo piccoli problemi di pc (faccio inoltre pdf sulle principali manifestazioni in Friuli Venezia Giulia) e cerco di fare conoscere la mia Regione fuori dalla Regione. - 123 - Cristina Gaiardelli Rinascita Un passaggio in auto per raggiungere la Metro dopo un seminario su una qualche tematica di “crescita personale”, argomento che mi stava appartenendo sempre più. Da qualche tempo... noi, creature viventi sulla faccia della Terra, dovevamo essere, molto di più che un “sistema fisico”, eravamo uniti e parte di qualcosa di molto più grande, non eravamo compartimenti stagni. Per questo stavo frequentando Corsi e Scuole riguardanti l’olismo, avevo già diverse specializzazioni al mio attivo. Quel pomeriggio, con le due ragazze che mi avevano offerto il passaggio, parlavamo del più e del meno delle nostre esperienze in merito, quando una di loro mi chiede se conosco una certa forma di “Benedizione” indiana diffusa in Italia da un “Risvegliato”, dicendomi che loro avevano già assistito ad una conferenza, ed era stata un’esperienza indescrivibile. Bene. - 124 - Nei giorni che seguirono, sembra riprendere tutto normalmente, nella mia vita. Ma dopo qualche tempo, un impulso irrefrenabile mi porta a cercare informazioni su quello che avevo ascoltato. Cerco e... trovo il luogo della mia città dove avrei potuto sapere di più. Mi presento. Oasi di pace nel caos cittadino... musiche orientali in sottofondo, persone sorridenti, sommesse, accoglienti mi guidano in una grande stanza dove numerose persone sedute su cuscini o sdraiate, ad occhi chiusi, stanno in ascolto. In attesa... e poi accade. Ecco le prime persone speciali. Che mi aprono un mondo nuovo e antico, la conferma di quello che pensavo da sempre. Da la in poi, un’Energia prorompente e corroborante mi porta ad andare ancora avanti nell’imparare a conoscere me stessa. Sulla mia strada altre persone speciali che mi aiutano a sistemare altri tasselli, poi i due viaggi in India che, attraverso un profondo lavoro interiore, non privo di grandi emozioni, forti, di dolore altrettanto forte, e di Gioia piena, portano alla “me” di adesso, sempre in cammino verso la vera Anima. - 125 - Luciana Zangheratti Cosa mi guidaron le stelle Il coraggio nella vita La mia vita è un binario morto. È un treno che sfreccia. È un treno che lento fa la sua corsa. È un treno che rischia di deragliare. È un solido treno e non pua, non può deragliare! Quanta strada deve fare... non sa dove andare... ma vuole arrivare Erano gli anni ‘80 ed ero nel fiore della vita quando scrissi queste parole. Mi sentivo profondamente smarrita, (un po’ come Dante nella selva oscura) ma nel cuore c’era la speranza di realizzare una vita piena. Perchè scrivere un libro sulla mia vita? C’è forse un qualcosa che potrà essereinteressante per voi che leggerete? Si, forse si. - 126 - Ed è il coraggio che ho sempre avuto. Il coraggio di cambiare, di non adagiarmi, di non accontentarmi. Di soddisfare quel desiderio della mia anima che voleva essere se stessa. Fare ciò per cui era venuta in questo mondo. M’interrogavo spesso e dialogavo con lei scrivendo. “Dal momento che vivo, cosa voglio farne di questa vita? Non mi sono mai chiesta veramente come volessi spendere questo tempo. Forse solo adesso ho la maturità per farlo. Al momento è come se tenessi un vestito nell’armadio: invecchia senza che me lo sia goduto. Se vado avanti così a cinquant’anni sarò cosa disperata e angosciata da pensare al suicidio. Sento proprio che la sto sprecando la mia vita. Visto che esisto, voglio proprio arrivare a goderla questa vita, ecco l’unico scopo che ha il nostro vivere. Godersi la vita vuol dire essere soddisfatti di ciò che si fa. A cosa serve un fiore? Il fiore è bello. Quando lo guardo e mi piace, il fiore ha motivo di esistere. Poi, sempre il fiore, lascia cadere i suoi semi perchè altri fiori esistano ed altre persone possano gioirne. Io, da parte mia, per essere soddisfatta di me, vorrei avere questi pensieri ogni giorno, lo stimolo cioè a migliorare. Se solo riuscissi a capire anima mia, come utilizzare il mio - 127 - tempo, queste benedette ore di lavoro! Non trovo nessun lavoro che mi interessi veramente! Che mi faccia sentire utile. Cosa vuol dire per me “sentirmi utile?” Mi vien da pensare che solo trasmettendo qualcosa agli altri mi sentirei utile. Per esempio se avessi fatto la maestra, forse cosa mi sentirei realizzata. Ma ormai! Mi piacerebbe allietare gli altri con delle cose che escono da me. Dovrei fare l’artista? Cosa potrei trasmettere? Su forza, se c’è qualcosa tiralo fuori! Forse i tempi non sono ancora maturi. Calma. Sono passati due anni dagli scritti precedenti, ma quei pensieri valgono tutt’ora. Ho letto una frase su di un libro di yoga che mi ha molto colpita: “Come il burro è nascosto nel latte, cosa la luce ed il potere sono nascosti dentro questo corpo” Vorrei tanto vedere un po’ di luce, questa luce sopita dentro me, questa non chiarezza. In questo momento mi si è acceso un lumino, che posso alimentare (se voglio) o lasciar spegnere. Io sono. Io sono tutto. Sono sensibilità, fragilità, gioia, in- - 128 - nocenza, tristezza. Sono fatta da mille cose che al di là, o meglio, dentro il mio corpo fanno si che io esista. Esisto e non me ne stavo accorgendo. La mia essenza mi piace. La devo curare questa essenza. È un po’ “malata”, le manca il nutriente più importante: l’amore! Ma arriverà! Un altro giorno è passato, con tanto frastuono che in parte mi assorbe, ma non sono mancati momenti in cui ho cercato un io migliore. Domani farò meglio. Buonanotte. Ricordo quella sensazione intensa d’insoddisfazione nel fare un lavoro per cui sentivo di non essere nata: la commessa. Ogni giorno mi dicevo che non sarei più stata in grado di continuare cosa. Nelle pause pranzo mi dedicavo del tempo per rilassarmi frequentando un corso di yoga. Non potevo immaginare quali risvolti avrebbe avuto quel corso nella mia vita! Un bel mattino mi svegliai completamente fuori uso. Il collo era come un pezzo di legno e non potevo muovermi. Dopo qualche ora riuscii ad alzarmi, presi il telefono ed avvisai la titolare del famoso negozio di intimo in cui lavoravo che quel giorno non sarei andata e che dopo Natale (eravamo in ottobre) mi sarei licenziata. Così feci. - 129 - La forza di quel gesto mise in moto il cambiamento della mia vita. Avevo 27 anni. Ebbi la fortuna di crescere in una famiglia “normale” Nacqui terzogenita. Tutto accadde dopo. Dopo essermi sposata a ventuno anni e separata a ventisei. Dopo le medie, non sapendo verso quali studi orientarmi, frequentai un triennio di grafica pubblicitaria, anche se con poca convinzione. Non sapevo che anche questo mi sarebbe poi servito per realizzare quello per cui ora vivo. La Vita sa sempre ciò che fa! Nulla avviene per caso! Ma torniamo al momento del licenziamento. In quel periodo vivevo sola e avevo anche il mutuo della casa da pagare. Dopo l’avventata decisione, confesso che sbattei la testa contro il muro per un po’ e dopo qualche giorno, magicamente, un mio compagno di un corso shatzu, che frequentavo da alcuni anni, mi propose di lavorare per la sua ditta come rappresentante di prodotti per informatica. L’argomento mi era alquanto ostico, ma ingranai da subito. Dopo alcuni mesi di sfruttamento intenso, mi resi conto di essere in “rosso” e di non farcela più. Mi licenziai nuovamente e riprovai presso un’altra ditta. - 130 - Questa volta, da vera leonessa, pretesi un fisso mensile, che mi fu accordato. Ma a che prezzo! Io e gli altri rappresentanti venivamo obbligati a comportarci come mendicanti. Supplicavamo i clienti ad acquistare per non subire le ire del titolare. Una mattina rimasi a casa, col cappotto e la valigetta in mano, seduta sul divano, incapace di uscire per andare in ufficio prima e dai clienti dopo. Mi chiama il titolare non vedendomi arrivare. Dissi solo” mi licenzio”. Non poteva essere questa la mia preziosa vita. Di nuovo a casa, sempre sola e senza un soldo. Intanto avevo iniziato da un po’ di tempo altro corso, (ne ho fatti davvero tanti!) un corso motivazionale. Uno degli esercizi consisteva nello scrivere una lettera (che poi fecero leggere ad alta voce) in cui dovevamo esprimere cosa avremmo voluto fare per sentirci realizzati. Io scrissi, in sostanza, che avrei voluto trasmettere qualcosa agli altri per farli stare meglio con se stessi. Un mio compagno si avvicina e mi disse che un suo amico aveva appena aperto un centro benessere dove si faceva anche shatzu. Mi disse di provare ad andare e presentarmi a nome suo. Detto fatto il giorno dopo andai e, con non poche difficoltà, - 131 - io e il mio nuovo titolare iniziammo quest’avventura. Non lo sapevo, ma la Vita mi stava preparando per l’attività per cui ora vivo. Dovetti occuparmi del centro, accogliere le persone e fare i trattamenti shatzu. Gli proposi d’impostare anche un corso di yoga, io lo frequentavo da tempo ed ero sicura che avrebbe avuto successo al centro. Accettò. L’insegnante ogni tanto era assente e il mio titolare mi chiedeva ogni volta di sostituirla. Al termine delle lezioni a cui anche lui partecipava, mi diceva: “tu diventerai una brava insegnante di yoga”. Io rispondevo dicendo: “Ma cosa dici! Non credo proprio di esserne all’altezza!” Invece... ebbe ragione lui! E la Luce fu! È tutto molto chiaro, molto luminoso ora! Rileggendo gli scritti precedenti mi rendo conto dei passi avanti che ho fatto nella percezione di ciò che la mia anima voleva realizzare: se prima erano solo percezioni lievi, ora sono certezze: è l’aspetto spirituale della vita che dopo aver risvegliato in me, vorrei trasmettere agli altri! Lo yoga, a poco a poco, entra nella mia vita, anche come lavoro. Un lavoro che è missione. Che mi coinvolge a 360°. Che mi consente di esprimere tutta la mia creatività e maternità. - 132 - Frequentai diversi corsi di formazione e mi diplomai. Nel 94 con alcuni amici creai l’associazione “Ananda yoga.” Il nostro “Nido di silenzio”. Un luogo essenziale ed accogliente dove prendersi cura di sé, come dice il nostro sito. Già, perché la scuola di grafica mi è servita e non solo per il sito, ma anche per tutti i volantini e le locandine che ogni anno facciamo per farci conoscere! Siete d’accordo allora che niente capita a caso? Non sono più sola e questa è un’altra bella storia che merita di essere raccontata perchè di nuovo frutto del mio coraggio. Ma questa è un’altra storia... - 133 - Maria Sofia Garrasi Corri per non bagnarti e tutto cambia A 54 anni la mia vita aveva assunto toni molto grigi. Dopo vari problemi di salute e familiari, avevo deciso di tornare alla mia vita da casalinga e chiudere con i lavori precari, passando da una fabbrica all’altra. Non che il lavoro non fosse stimolante per me, anzi, direi che proprio il fatto di cambiarlo continuamente negli ultimi 10 anni, mi aveva dato l’opportunità di conoscere sempre gente nuova e mettermi in gioco con il mio spirito creativo e di relazione. Eppure avevo scelto di stare a casa in compagnia dei miei cagnolini, Margot e Lupin e di mio marito che era poco presente diviso tra il lavoro e le sue mille attività. Sono una persona molto attiva e socievole, quella vita un pò isolata mi stava portando alla depressione, troppi fantasmi del passato mi assillavano, non c’era modo di sfuggirgli. - 134 - Durante le lunghe camminate con i cani, mi ripetevo come un mantra: “Ho bisogno di appassionarmi ancora, di quelle passioni che riempiono la vita e i pensieri!” Non cercavo avventure amorose, come a volte accade in queste situazioni, ma qualche cosa che mi desse nuovi stimoli. In uno di questi mattini di passeggiata “meditativa”, mi sorprende la pioggia! Margot, Lupin, corriamo, corriamo a casa o ci bagneremo! Mio marito correva da quasi 30 anni, era anche dirigente di una squadra podistica amatoriale, ma quelle poche volte che avevo provato a praticare quello sport, avevo subito desistito, impossibile andare oltre i 50 metri; sopraggiungevano i miei problemi di asma, tachicardia e spossatezza infinita. Quel giorno con i miei cagnolini,l ‘unica sensazione che avevo avvertito era un senso di leggerezza e libertà, come se potessi correre più veloce dei miei “fantasmi”, lasciarmi tutto alle spalle! Nei giorni a seguire, ripetei quell’esperienza, ormai cercavo di rivivere quotidianamente quelle sensazioni che mi davano adrenalina e serenità. Dopo pochi giorni raccontai a mio marito delle mie corsette mattutine e del fatto che non avevo più problemi di asma o stanchezza cronica; realizzammo che, avendo intrapreso da - 135 - 4 anni una dieta senza glutine (a 50 anni mi avevano diagnosticata celiaca), il mio fisico rispondeva positivamente all’attività fisica. Grazie alla competenza sportiva di mio marito, dopo aver fatto una visita da un medico sportivo, iniziai degli allenamenti seri che in capo a un anno mi portarono ad avere discrete soddisfazioni nelle gare amatoriali che si svolgevano la domenica mattina. La passione per la corsa mi ha dato quegli stimoli che cercavo, per uscire da un periodo di depressione, non ho più sofferto di asma o tachicardia, mi ha fatto conoscere gente nuova e un ambiente pieno di situazioni coinvolgenti. Alla mia età sono consapevole che non andrò alle Olimpiadi, ma ho conquistato 2 volte il titolo di campionessa regionale su strada UISP della mia categoria e la soddisfazione di andare sul podio ed essere premiata personalmente dal mio idolo, Gelindo Bordin! E da 3 anni sono il Presidente della mia società podistica, un’associazione sportiva che nel 2017 farà 60 anni e che ha iniziato alla carriera sportiva grandi nomi dell’atletica come Maura Viceconte, campionessa europea di maratona nel 1994. - 136 - Michela Monni La felicità è nelle tue mani Sono nata 35 anni fa in un paese isolato nel Sud Sardegna. Fin da piccola ho sempre avuto una fantasia illimitata... E non mi accontentavo mai della prima risposta negativa... ero tenace e persistente... ottenevo ciò che desideravo sfoderando le mie capacità persuasive. A casa dei miei si respirava un clima ostile, litigi continui e dialogo inesistente... si faceva attenzione a ciò che mancava. Mio padre lavorava tutto il giorno, tutti i giorni, tutta la vita, per non farci mancare nulla, ma ci mancava lui! Mia madre, sola con tre figli. ci ha cresciuti in maniera leggera, donna creativa, socievole, disponibile. Ho passato i primi 13 anni della mia vita a escogitare modi per pianificare la fuga. Allora appena uscita dalle scuole medie si poteva fare il libretto di lavoro all’ufficio di collocamento... Era fantastico... iniziai a cercare un lavoro che potesse permettermi di coprire le mie esigenze. - 137 - Lo trovai lontano da casa 40 km. Baby sitter di due bellissimi bambini, in una famiglia fantastica nella città di Cagliari! Credo che il Dono più grande che i miei genitori mi hanno fatto, dopo il dono della Vita, sia stato permettermi di fare quell’esperienza lavorativa lontano da casa. Lavoravo tutta la settimana. Tornavo a casa col bus il venerdì sera e il lunedì nuovamente dai bambini. Adoravo il mio lavoro! Mentre mi divertivo a giocare e disegnare con loro, un giorno, Virginia, madre dei bambini, mi propose di iscrivermi al liceo artistico. Io ero titubante ma al tempo stesso tentata e chiesi a mia madre di accompagnarmi a visitare il liceo per valutare l’iscrizione. Mia madre ha assecondato la mia richiesta e credo che fosse felice di vedermi serena, benchè soffrisse la mia mancanza. Credo... La prima persona che vidi in segreteria chiarì tutti i dubbi, decisi in fretta. Era alto, abbronzato, fisico scolpito, capelli lunghi e lisci, il profumo, bhe, lo ricordo ancora. - 138 - Come me, si iscriveva in quella scuola... Guardai mia madre e le dissi: “Sarà mio” Ahahahah... idee chiare! Passa l’estate, molto in fretta, non vedevo l’ora di incontrarlo. La mia più cara amica era satura di racconti... i miei sogni la travolgevano. Lo vidi finalmente, Era un amico di due miei compagni di classe, feci il possibile per creare un contatto ma non fu semplice. Ricordo che aveva tante fanciulle intorno, e naturalmente ne avevo anche io. I nostri sguardi si incrociavano spesso. Poi un giorno in maniera inaspettata, un incontro fugace “vieni ti devo chiedere una cosa”. Un corridoio discreto, un classificatore su cui poggiarsi, visi che si avvicinano, il cuore come un cavallo impazzito, il suo profumo nelle narici, e un grande desiderio di stringerlo forte. Un bacio lungo, molto molto emozionante. Quasi svenivo. Da allora ho desiderato solo di vederlo e rivederlo ancora ma le nostre strade si sono unite solo anni più tardi. A 15 anni il mio lavoro come baby sitter continuava in un altra famiglia meravigliosa di Cagliari. Guadagnavo abba- - 139 - stanza bene per quei tempi, 800 mila lire d’estate e 400 d’inverno, quando adavo a scuola. I bambini li adoravo, la loro famiglia pure, mi sentivo a casa. Studiavo al liceo artistico, i prof li adoravo e loro erano molto comprensivi con me. Frequentavo la 3 classe indirizzo Architettura. Avevo consolidato il rapporto con tanti amici, adoravo vivere in citta, tornavo in paese il fine settimana e mi bastava per sentire i soliti litigi di sempre. 1999: una rimpatriata tra amici e compagni di scuola. Eccolo lui la mia prima fiamma. Cesare Abbiamo iniziato a frequentarci e impreziosire la nostra storia. Finiti gli studi, il lavoro si è intensificato. Obiettivo principale costruirci casa e andare a vivere insieme! Nel 2004 ci siamo sposati. Nel 2006 è nata la nostra prima creatura. Nel 2009 la seconda. È stato bellissimo, anno dopo anno, conquistare una vita carica di emozioni e soddisfare le nostre ambizioni, poi... vuoto. Io mamma giovane. Imbruttita e confusa. - 140 - Frustrata dalle faccende di vita quotidiana. Il marito impegnato a lavoro, hobby sport, caccia pesca distrazioni varie. Ed io a casa, lavoravo sporadicamente come animatrice per bambini, e come rappresentante di cosmetici... ma non mi bastava, avevo voglia di crescere, mi sentivo ancorata con i piedi per terra e senza più stimoli, senza sogni e senza entusiasmo. Forse perchè avevo già tutto nella mia vita? Avevo desiderato e realizzato tutto? Piangevo, a volte. Ero nervosa e facevo sogni terribili. Sognavo spesso di cadere dalle scale. Di picchiare le bambine, di sbattere la mia testa contro il muro ripetutamente Non capivo cosa stesse succedendo, c’ero dentro! Alcune amiche mi parlavano di ansia e depressione, io evitavo il discorso, non mi riconoscevo! Avevo due bambine meravigliose, una famiglia splendida, mio marito mi amava, Cosa mi mancava? Eppure. Un pomeriggio di primavera nel 2010 ricevetti una e-mail. Una di quelle tipo. Stanca della vita? Vorresti cambiare qualcosa ma non sai cosa? E già, era proprio cosi. - 141 - Era subito disponibile un audio-corso di un formatore americano sconosciuto. Ho riflettuto una frazione di secondo e ho chiesto poter scaricare il file. Lo ascolto dopo, pensai. La sera poi messi tutti a letto. Ho ascoltato quel audio, cavoli! Aveva visto tutta la mia vita questo, o cosa? Parlava di me! Qualche giorno dopo una bellissima persona del suo staff italiano mi chiamò e mi informò di un seminario a Roma. La mia risposta è stata semplicemente “Roma? No ma io sto a Cagliari” E lei. “Ci saranno persone da Israele” Io: “Si vabbè ma quanto costa?” Lei: “1000 euro circa” Io: “Ma è tantissima roba”. Lei: “I SOLDI SI RECUPERANO, IL TEMPO NO! Bhe, credete che mi abbia convinta!? Da quel giorno ho iniziato a cercare il modo per andare a fare questa esperienza che si prospettava miracolosa. Lasciare a casa marito e figlie di 1 e 4 anni, Prendermi 4 giorni di tempo per me stessa e per sistemare la mia testa, la mia vita! - 142 - Il 24 giugno ero a Roma. Con 7 mila persone almeno. A lavorare solo su me stessa! “UPW sprigiona il potere che è dentro di te”, il corso con uno dei formatori più Super mega galattici della Storia, Anthony Robbins! Credo che sia stata in assoluto una delle esperienze più forti che ho sperimentato nella mia vita! Sono tornata a casa da mio marito con un energia travolgente. Avevo capito tutto, avevo bisogno di fare dei cambiamenti immediati per ricostruire tutto! E cosi dopo aver preso le dovute precauzioni abbiamo iniziato un cammino lungo e tortuoso, insieme! Riassestare un vulcano non è semplice! Il primo anno è stato devastante, io ero incontenibile, ho cambiato le mie abitudini. Volevo una salute perfetta, fare sport, ho cambiato l’alimentazione, successivamente ho eliminato le proteine animali, ho rivoluzionato le nostre giornate, naturalmente questi cambiamenti hanno destabilizzato mio marito. Ma un corso con Robbins, l’anno successivo, a Rimini e un percorso completo tra Los Angeles e Brighton, bhe ci hanno - 143 - riallineati alla grande! Abbiamo comprato una casa in campagna e l’abbiamo restaurata. Mio marito ha realizzato un sogno, tirato fuori un manoscritto dal cassetto ha pubblicato il suo primo romanzo nel 2013. Abbiamo fatto decine di presentazioni e venduto centinaia di copie. Ci diamo trasferiti in campagna e le bambine sono cresciute nella natura a contatto con gli animali. Il mio lavoro è migliorato incredibilmente, i fatturati della mia squadra sono cresciuti del 60% e ogni anno sono sempre in incremento. Ora sono passati 6 anni. Credo con estrema convinzione di dover ringraziare quel momento in cui la sincronicità del tutto mi ha fatto prendere la decisione di agire e prendermi quei 4 giorni per me. La formazione personale è l’unico investimento proficuo che garantisce frutti a lungo termine! Consiglio a tutti di credere nelle proprie capacità! Crederci e avere fede. Siamo esseri unici e speciali! W La Vita! FERMATI, RICOMINCIA - 145 - Neva Pessina Fermati e respira Era tutto sotto controllo. Avevo un posto di lavoro a tempo indeterminato, come impiegata in una multinazionale. E durante il fine settimana, mi occupavo dell’attività di famiglia per aiutare mio padre. Riuscivo a gestire una vita da lavoratrice dipendente pendolare - con partenza alle 5 del mattino e rientro alle 20 - e una da “imprenditrice”. Impegno 365 giorni l’anno. Responsabilità familiari varie e importanti. Le mie giornate iniziavano con antinfiammatori e integratori. Ma, in qualche modo, arrivavo comunque a sera con la certezza che la mia vita non potesse prescindere dai pesi che dovevo sostenere. Il giorno in cui il mio corpo decise di mandarmi un segnale inequivocabile lo ricordo bene. Stavo camminando e, d’un tratto, le mie ginocchia si rifiutarono di farmi proseguire. Dolori lancinanti e mancanza di forza mi tormentavano giorno e notte. Dovetti rinunciare al mio lavoro di impiegata. Ma continuai a portare avanti l’at- - 146 - tività di famiglia. La pensione di mio padre dipendeva da quella. Ed era mio dovere morale portare tutto a termine e raggiungere l’obiettivo. Il pellegrinaggio negli ospedali fu, per molti mesi, sterile ed estenuante. Fino a quando giunsi alla diagnosi di fibromialgia. Era giunto il momento di fermarsi e respirare. Ricominciare a camminare, poco per volta. E iniziare a pensare a ciò che desideravo veramente fare della mia vita. Il percorso di recupero è stato lungo e pieno di cadute. Iniziare a camminare cinque minuti per volta, poi dieci, poi ancora cinque. Nel frattempo, arriva la pensione di mio padre e la chiusura dell’attività. Così iniziai a frequentare corsi di massaggio e scuole di ayurveda. Presi il diploma di operatore ayurvedico. Piansi quel giorno. Era la mia rivincita su tutte le privazioni. Era la mia nuova vita. Ricordo ancora la gioia che scorreva nel mio corpo nel portare a termine un massaggio, nonostante i limiti che il mio corpo continuava ad impormi. Il benessere che riuscivo a trasmettere ad un altra persona, nutriva il mio corpo e i miei pensieri di speranza. - 147 - Con molta pazienza, dopo qualche anno, riuscii a fondare un circolo culturale, affiliato ad Arci Natura, per la diffusione delle discipline olistiche. Per aiutare qualcuno a sentirsi bene e a ritrovare il proprio benessere è indispensabile svolgere un lavoro su se stessi. È un percorso costante, spesso in salita. Ma la gratificazione è impagabile e indescrivibile. La professione di operatore olistico, nell’assenza di regolamentazione legislativa e nella giungla di impedimenti e scappatoie, è abbastanza tormentata. È sempre difficile mantenersi aggiornati (i corsi sono sempre molto cari) e complicato far comprendere che il proprio operato non deve essere considerato alternativo alla medicina convenzionale, bensì complementare. Nel frattempo ho frequentato un master di counseling e sto completando una formazione biennale in Nutrizione e comportamento alimentare. Con il trascorrere degli anni, ho imparato ad ascoltare le mie mani ed il mio cuore. È sempre molto difficile mettere d’accordo le energie fisiche di cui dispongo con gli obiettivi lavorativi e le possibilità economiche. Ma, ogni volta che mi fermo e faccio un bel respiro, sono consapevole di aver fatto la scelta giusta. - 148 - Giorgia Bocca Vivere di natura Una casa contadina, un bosco e l’amore per l’agricoltura e l’ecologia, sono gli ingredienti fondamentali di questa storia “vera” che coinvolge due donne che hanno deciso di mettere a disposizione la loro vita e creatività per un progetto ecologico agricolo e formativo nell’entroterra di Genova. Tutto inizia quattro anni fa grazie ad una donazione da parte di uno psichiatra di Torino, Angelo Grillo, che dona a Francesca e Giorgia una casa contadina del 1900 conosciuta dai locali con il nome “La tabacca”, così chiamata perché si narra che nelle valli contrabbandavano il tabacco. Sulle carte la casa ha un altro nome ma tutti la chiamano con l’uso che se ne faceva un tempo e cosa è rimasto. La casa è un dono anche dell’Universo che ha voluto premiare Giorgia e Francesca che dopo anni dedicati al cercare di ottenere una casa in una valle sul mare, di proprietà di un marchese e sostenute da una associazione ambientalista Terra! Onlus ne - 149 - hanno fatto diventare un caso politico al fine di far emergere una problematica attuale, ovvero la ricerca di terra per chi vuole dedicare la vita all’agricoltura. Dopo quattro anni di peripezie e colpi di scena e grazie all’aiuto di diverse figure amiche riescono a risolvere problemi di successione legati alla donazione e iniziano a recuperare la memoria del luogo scoprendo che qui era vissuta una donna “Geinnin” generosa e accogliente e trovano una lettera scritta di una bambina nascosta in una cassa in una stalla. Si ritrovano faccia a faccia con il proprio sogno, con una casa contadina costruita in pietra che ha i segni della storia agricola ligure, dove muretti a secco intinti della fatica e della volontà di famiglie povere e generose sostenevano “fasce “di terra che producevano cibo. Donne in un bosco con una casa da ristrutturare un progetto ecologico da attivare, due cani e due gatti e un sogno quello di vivere di Natura dove l’anima delle persone s’incontra con il silenzio del bosco e tutto fluisce in modo armonico. Questo è quello che si ritrova in questo progetto dove un gruppo di donne sperimenta la propria “resilienza” in un momento storico dove appare fondamentale rispondere ai cam- - 150 - biamenti con creatività, per realizzare i propri sogni. Un gruppo di persone che affronta le problematiche quotidiane trovando soluzione innovative, in grado di contaminare le famiglie della valle vicina e riuscendo a incidere anche sulla politica locale. Lo fanno rendendo il processo sostenibile con cura e con ironia creando un modello nuovo in grado di ispirare tanti giovani che frequentano quotidianamente il luogo. Ci riescono perché nella “biodiversità umana” che stanno creando tra il confronto con generazioni diverse, talenti inaspettati e opportunità nuove, si nascondono soluzioni e risorse che difficilmente apparirebbero in un sistema lineare. In un momento di crisi globale d’identità, e ambientale è fondamentale promuovere stili di vita e innovazione in grado di promuovere un cambiamento immediato nelle persone e nella comunità. Giorgia e Francesca utilizzano la biodiversità come strategia per aumentare la resilienza e affrontare le problematiche non solo al fine di costruire la propria comunità ma soprattutto per favorire soluzioni applicabili in altri contesti. Attraverso lo studio, il confronto con le istituzioni e il sostegno di un’associazione ambientalista, Terra!Onlus si vuole - 151 - proporre un modello replicabile che può essere d’ispirazione per costruire modelli di vita sostenibili e anche di filiere di vendita locale partendo dall’azienda agricola, non solo come impresa economica ma come attivatore di pratiche virtuose. Il lavoro costante di dialogo con l’amministrazione e la politica sono fondamentali per cambiare il paradigma attuale e costruire nuovi immaginari. Il progetto della Tabacca è iniziato circa quattro anni fa e le azioni e gli studi fatti sul luogo sono stati molti si sono aggiunte persone, volontari e amici. Dopo un’attenta osservazione e ricerca storica del luogo il gruppo ha lavorato sull’attivazione della piccola comunità che vive vicino alla casa e ha dedicato tempo e cura all’inserimento delle persone nuove che in modo diverso si sono inserire nel progetto. Il risultato è che ora dopo quattro anni, i bambini del piccolo borgo frequentano con quotidianità La Tabacca e addirittura passano l’estate dormendo in tenda e partecipano alla vita comunitaria. Nel frattempo è stata costruita una piccola casetta in pietra e legno che rappresenta l’abitazione di “transizione ecologica” al fine di adattarsi da una vita urbana in città ad una in cam- - 152 - pagna in un bosco. È stato costruito un forno in terra cruda a forma di lumaca che garantisce il pane e le pizze ogni venerdì che è anche aperto al piccolo borgo. Sono stati costruiti degli impianti di fitodepurazione che sono in grado di depurare l’acqua grigia utilizzando le radici delle piante. Sono stati installati due impianti per avere la luce elettrica e l’acqua calda, costruito con gruppi di scout durante un corso di formazione. Si è dato valore alla sperimentazione come strumento di studio e applicazione per fare formazione e auto formarsi. Una formazione partecipata basata non solo sulla teoria ma sull’azione e sulla pratica. Sono stati realizzati orti in agricoltura sinergica che hanno l’obiettivo di mantenere e sostenere la sostanza organica del terreno per garantire fertilità alle piante. Ogni orto, per questo, ha un nome: Occhio di rosa, Geinnin, orto Terrazzo. Ognuno con caratteristiche diverse e sono il sostentamento del gruppo. Si è iniziato a distribuire le eccedenze e sperimentare la vendita attivando piccole filiere di “mangiatori” che sostengono, - 153 - La Tabacca cercando di mettere in contatto la città limitrofa all’azienda agricola. Sono stati attivati dei percorsi di formazione e diversi inserimenti sociali con persone svantaggiati, realizzato attività e campeggi sul medioevo, feste, canzoni e incontri di divulgazione. Sono state coinvolto le famiglie della valle e instaurato rapporti di scambio e di aiuto, risolto conflitti e sono nate storie d’ amore. È stata montata una yurta in un bosco e iniziato un percorso insieme con il Comune per modificare normative riguardanti la fitodepurazione e l’impianto del compost toilet per garantire a chi ne farà richiesta la possibilità di scegliere e attivare, per la propria casa, sistemi ecologici. Sono iniziati i lavori per realizzare il tetto utilizzando materiali locali e anche da recupero; verranno utilizzati, infatti, anche barattoli di vetro per il drenaggio della casa: una nuova sperimentazione replicabile anche per altri. Francesca e Giorgia stanno coronando il loro sogno in un bosco, vivere di e per Natura. - 154 - Francesca Dellamore Arno Arno è diventato il mio angelo con la coda nel luglio 2014. A dicembre, sfruttando un piccolo spazio all’interno dell’albergo di famiglia, ho dato il suo nome al mio negozio di cosmetici eco-biologici, borse e scarpe in materiali alternativi alla pelle, oggettistica di chi produce con amore per l’ambiente, tutto Made in Italy. Qualche mese dopo ho investito nell’acquisto del dominio www.arno.it (finalmente, qualche mese fa ho conosciuto una splendida web designer veg, che sta creando il mio e-commerce). All’epoca non avevo ancora abbastanza coraggio per lasciare il mio lavoro: ero cost controller e commerciale estero in un’azienda che si occupa di trattamenti galvanici e verniciature, principalmente su accessori moda (il cliente più importante che seguivo era Louis Vuitton, che rappresenta l’esatto opposto di ciò in cui io credo...). Ma era Arno che fino ad allora mi aveva fatto sopportare un lavoro in cui non mi riconoscevo ed una monotonia della - 155 - quale nemmeno mi accorgevo, perché le mie giornate iniziavano e terminavano con lui e questo rendeva la mia vita perfetta e felice. A luglio 2015 mi sono licenziata (avevo un contratto a tempo indeterminato) e, dopo un periodo di ricerca, ho trovato un bellissimo locale commerciale in una CasaClima a Sappada, un caratteristico paesino di montagna di origine austriaca, a 12 km dal mio paese. Nonostante le difficoltà, tengo molto a sviluppare il mio progetto fra le “mie” montagne, perché ritengo che in mezzo a questo ambiente sia più facile sentirsi vicini agli animali ed alla natura, ed amarli. Grazie ad Arno ho iniziato a guardare agli animali ed alla natura con occhi diversi, diventando vegetariana, quasi vegana. Arno era il cane da caccia di mio zio, che io e mia madre abbiamo “adottato” dopo che mio zio è mancato (in un incidente di caccia), trasformandolo (senza troppa fatica...) in un cane da salotto. Arno è venuto a mancare a luglio 2014, all’età di 15 anni e mezzo: il mio progetto è nato grazie a lui, perché ho capito che non ha senso sprecare la nostra vita facendo qualcosa che non ci piace e di cui non ci importa. - 156 - Ovviamente Arno richiama più facilmente alla mente il fiume che bagna Firenze e questa coincidenza mi fa estremamente piacere perché ho abitato a Firenze due anni ed è la città che amo di più perché credo che evochi perfettamente l’italianità a cui tengo molto e perché, essendo la culla del Rinascimento, evoca anche il concetto di rinnovamento, alla base dei marchi che ricercano nuovi materiali per realizzare il Made in Italy che tutto il mondo ammira. - 157 - Antonella Proietti QUESTIONE DI TEMPO Il 27 giugno 2015 si è concluso il nostro laboratorio di lettura all’interno del carcere di Terni “Ora d’aria”. Nell’ottobre 2013 ha promosso un interessante corso aperto a tutta la cittadinanza per svolgere volontariato in carcere. Ricordo che nonostante gli orari coincidessero perfettamente con quelli del mio lavoro, non esitai ad iscrivermi, mossa da quella scintilla che era dentro di me da moltissimi anni e che fu innescata da un’insegnate di lettere. Quando avevo quindici anni, a scuola, facemmo un bellissimo lavoro di ricerca sulla delinquenza ed il carcere minorile. Fu un lavoro illuminante che mi permise di capire il mio profondo interesse verso l’altro e soprattutto verso chi ha avuto un destino sfavorevole. Cosa mi appassionai a letture che mostravano un’adolescenza problematica, molto diversa dalla mia cosa tranquilla. Mi dedicai a libri che trattavano temi di disagio, di difficoltà, di ri- - 158 - bellione verso la società borghese (come si usava definirla negli anni ‘70) oppure alla dura esistenza dei ragazzi di borgata. Iniziai a leggere il libro “Ragazzi di vita” di Pierpaolo Pasolini, che divorai in pochi giorni, poi passai a temi di ribellione ed opposizione politica, a Cesare Pavese ad Elio Vittorini, a Kundera e a molti altri. Da quel momento il mio punto di vista cambiò radicalmente e da allora cercai sempre di sviluppare un’opinione personale su fatti e persone, senza mai farmi convincere dai quei stereotipati e falsi luoghi comuni sul carcere e sui detenuti. Il popolo Maya ha coniato un’interessante espressione per salutare, “in lack’esch”, ossia io sono un altro te. In ogni approccio, incontro o scontro, dovremmo ricordare di essere di fronte ad un altro essere umano che ha molto in comune con noi, un altro te stesso. Ed è stato proprio questo pensiero che mi ha messo nella condizione di incontrare i detenuti con molto rispetto, lo stesso rispetto che nutro per me stessa. Tornando alla esperienza appena compiuta, ricordo perfettamente quando ci comunicarono che la Direzione del carcere aveva accettato la proposta del laboratorio di lettura. Dalla teoria si passa alla pratica. - 159 - Una esperienza vergine per me. Il primo passo fu creare un progetto. Ci mettemmo subito al lavoro cercando di analizzare un iter ed un obiettivo da percorrere. Dopo qualche altro incontro con Federica, Emanuela e Paola, eravamo pronti. Alla vigilia della nostra prima entrata mi incontrai con Peter, Nicoletta ed Omar, preziosi “compagni di viaggio”. Era sabato mattina ed eravamo al bar, di fronte ad un caffè. Cosa, in quel preciso momento, inizia la nostra collaborazione ad un progetto in cui tutti credevamo fermamente. Ognuno di noi ha messo a disposizione le proprie abilità, le competenze, le idee e soprattutto la passione. Paola, Federica ed Emanuela, ormai esperte di volontariato in carcere, sono state i nostri navigatori. A febbraio ci fu il nostro primo ingresso. Ero molto emozionata, avrei incontrato per la prima volta i miei compagni di avventura. Mi lasciai percorrere dalle emozioni, perché tutte le scelte e le proposte di lettura sarebbero scaturite da quelle sensazioni. Era doveroso capire chi avevamo di fronte prima di proporre un racconto o brano tratto da un libro. Come far nascere la voglia di leggere e stimolare la loro curiosità? - 160 - Federica ebbe un’idea che si è rivelata molto efficace durante l’iter del laboratorio. Utilizzare delle parole chiave su cui basare le letture ed iniziare un percorso all’interno di argomenti stimolanti. Ricordo che mi colpì molto, in quel primo incontro, il fatto che tutti si presentarono annunciando il loro nome e cognome e aggiungendo gli anni di carcere che avevano già trascorso dentro il penitenziario. Involontariamente ci avevano già suggerito un tema, infatti una delle parole chiave scelte era proprio il TEMPO. Il tempo ha scandito il nostro laboratorio, il tempo della loro pena, il tempo concesso dalla Direzione del carcere per incontrarci ogni sabato mattina, il nostro tempo dedicato a loro, il tempo ancora necessario per raggiungere la libertà. Non sono molte le persone a cui ho raccontato la mia esperienza, ma tra queste, il commento più frequente è stato: “Quanto sei brava a dedicare il tuo tempo al volontariato!”. Io vorrei rispondere a tutti, che questo tempo l’ho dedicato soprattutto a me stessa. Perché ogni nostro incontro è stato uno scambio di idee, di emozioni, di gratitudine reciproca, di crescita e confronto. La mia idea del carcere è totalmente cambiata, quell’idea che mi - 161 - ero costruita con letture e film, quella distanza tra me ed un penitenziario, tra me ed un detenuto. Quella distanza, attraverso la lettura e la condivisione, si è azzerata totalmente. Spesso ho pensato a quei ragazzi, a quanto fosse lungo un intero giorno da trascorrere in cella, a come impiegare tante ore senza avere un lavoro, allo spazio ristretto a loro disposizione, alla mancanza di vita all’aria aperta e soprattutto a come la loro giovinezza stesse svanendo. Quante possibilità di incontri mancati, di esperienze non vissute, di speranze soffocate? È vero, sono dentro per scontare una pena. Lo so. Vorrei ugualmente esprimere un mio personalissimo pensiero, scaturito da un’osservazione, non superficiale, durante i nostri incontri. In loro ho trovato la voglia di farci conoscere la loro parte migliore, la voglia di riscatto, il desiderio di comunicare una nuova identità. In fondo è la stessa cosa che fa ognuno di noi quando si relaziona con persone nuove, mostra il lato migliore. Ma in questo caso, non era apparenza. In loro ho apprezzato la parte più vera, quella che si avvicina alla verità. Come in un piacevole cammino, insieme abbiamo percorso un sentiero che potesse dare ad ognuno la possibilità di esprimersi, di discutere e raccontarsi. - 162 - Come un esploratore mi sono addentrata in nuove letture per scegliere brani, racconti brevi, poesie e favole. Insieme ai miei colleghi, ho condiviso e scambiato opinioni, selezionando ogni volta ciò che ci sembrava più interessante. Partendo da Carver, con il racconto “La Cattedrale”, il cui tema tratta proprio la diversità, il pregiudizio e la possibilità di cambiare la visione dell’altro, il viaggio del laboratorio era tracciato, non ci restava che percorrerlo. Dopo qualche mese, molti di loro hanno chiesto di leggere romanzi d’amore. L’amore come sintesi dei loro desideri e sogni. L’amore come riscatto dei loro errori, come unica possibilità di ritrovare una nuova vita. Questo lato romantico non mi ha sorpreso molto, anzi mi ha dato la misura della loro umanità. Partendo dalla parola tempo, di argomento in argomento siamo giunti alla fine del laboratorio, proponendo brani sull’ultimo argomento scelto: LIBERTA’. Un tema molto difficile da affrontare per chi ne è privato. Ma anche questa volta i ragazzi mi hanno insegnato molto. La leggerezza con cui ne hanno parlato mi ha fatto provare lo stesso imbarazzo che sento quando trascorro del tempo con una carissima amica non vedente. - 163 - Ormai ho capito che la sua cecità è uno dei tanti modi che la vita ti concede di vivere, diverso certo, ma non per questo preclude la possibilità di una vita degna di essere vissuta. E la serenità dei ragazzi mi ha svelato che la libertà è dentro di loro e l’attesa è solo questione di TEMPO. - 164 - Ilaria Goffo Io e la voglia di raccontarmi Due anni fa circa, in estate, ero a casa, non potevo andare in vacanza perché ero in disoccupazione estiva e non sapevo dove e se avrei lavorato a settembre. Presa da un colpo di nervi, stanca di stressare i miei amici e i miei famigliari, ho preso il pc e ho iniziato a scrivere di getto “Io ti vedo, nel buio della precarietà”. Premetto che non tutto capita per caso, una sorta di bella magia, direi. Io avevo conosciuto, in un blog di scrittura a più mani di storie per bambini, una scrittrice molto in gamba, la quale mi aveva consigliato di provare prima o poi a scrivere qualcosa di mio. Dopo all’incirca un anno credo, dal momento in cui mi aveva instillato la curiosità, io ho preso il pc per scrivere. Ho scritto tutto d’un fiato: alla fine mi sono messa a ballare in camera da sola, ero la persona più felice del mondo. Ho preso il file e l’ho inviato a questa persona, la quale una domenica mattina, dopo averla letto, mi ha chiamato al telefono per - 165 - dirmi: “Ilaria mi sono commossa, davvero, prova a stamparla, hai scritto bene, trasmetti emozioni!”. Dopo qualche mese mi sono messa a cercare una casa editrice che mi stampasse il libro: ci sono riuscita, nonostante qualche sacrificio. Ho trovato una casa editrice che in modalità selfpublishing ha stampato il mio piccolo grande libro. Dopo la stampa, ho iniziato un “tour” di presentazioni nella mia regione e fuori, in locali, biblioteche, InformaGiovani: è stata un’esperienza molto bella e costruttiva. Ho conosciuto molte persone, instaurato nuove relazioni e fondamentalmente sono cambiata io: mi sono aperta al mondo, ho superato alcuni miei limiti, insomma è stata una meravigliosa avventura. Questo libro mi ha aperto delle porte, ora continuo a scrivere e spero di riprendere a fare presentazioni e di incontrare persone nuove stimolanti. - 166 - Vincenzo Di Bernardo Il valore delle cose importanti Tutto sembra correre alla velocità della luce e invece è tutto com’è sempre stato. La giornata è lunga quanto quella di mille anni fa e le cose veramente importanti sono rimaste le stesse di sempre. Il giorno in cui facevo questa riflessione ero seduto davanti al pc a preparare un corso di Psicologia del Successo che avrei tenuto a Lugano qualche settimana dopo per un gruppo di networker. Mentre sistemavo le slides, diventava sempre più evidente il mio modo di intendere il successo richiedeva una totale revisione del modo di vivere la propria esistenza e gestire il proprio tempo e che il classico modo di concepire il time-management, così riduttivo nelle sue categorie e così preminentemente orientato alla gestione del lavoro, non mi avrebbe aiutato affatto nell’intento. Per quanto paradossale potesse apparire, percepivo che nella concezione classica della gestione del tempo mancasse la - 167 - cosa più essenziale di tutte: l’attenzione per le cose veramente importanti. Strano a dirsi, poiché l’obiettivo principe del time-management dovrebbe essere proprio orientato a questo, ma allora perché dare importanza quasi esclusivamente all’aspetto lavorativo e trascurare gli altri ambiti aspetti essenziali dell’esistenza? D’altro canto si lavora per vivere, non si vive per lavorare. E il lavoro deve servire ad alimentare la qualità della vita e darci la possibilità di viverla al meglio. È stato da questo interrogativo che è nata l’idea di un nuovo modo di concepire il proprio tempo in funzione della vita e non viceversa. Il Successo e il saperlo scorgere espandono la consapevolezza e allarga il proprio campo di esperienze a tal punto da rendere la vita come un respiro di aria pura in una giornata di inizio estate sulla cima di un’alta montagna. Il Successo, come lo intendo io, richiede il perseguimento dell’Auto-realizzazione del Sè e non semplicemente dell’auto-affermazione di sè. Si sente spesso dire che bisogna dare vita ai giorni e non giorni alla vita. Io ne sono convintissimo, ma è davvero cosa - 168 - semplice farlo? La tecnologia ha facilitato tante cose: ha accorciato le distanze, ridotto i tempi di trasmissione dell’informazione, incrementato le possibilità di contatto a livello mondiale, mentre ha ridotto il tempo che dedichiamo alle cose veramente importanti. Non ci si ferma più! Non lo si fa mai veramente. Ogni pausa è un’occasione per consultare lo smartphone, postare una foto, rispondere a un messaggio, esprimere un commento, condividere un post, incazzarsi per una notizia poco gradita, dire la propria su qualsiasi cosa e sparare a zero su qualcuno, senza neppure darsi il tempo sufficiente per riflettere prima di passare all’azione. Il motivo apparente per cui lo si fa è quello di risparmiare tempo, o almeno questo è l’alibi che ci si racconta. La realtà è che si sta sprecando del tempo molto importante. Il presente ci sfugge tra le dita come fa l’acqua del mare e quel che è peggio è che ce ne rendiamo perfettamente conto. C’è sempre troppo poco tempo per le cose davvero importanti. Al lavoro ci si dedica anima e cuore poiché ci si è formati alla scuola del “l’importante è che si lavori”. Ci sono - 169 - detti popolari come questo che di saggezza ne hanno davvero ben poca. Oggi si ha la percezione di avere molti più “amici” di prima. Io ho più di duemila amici su Facebook a cui non ho neanche mai stretto la mano. Ci sono occhi che non ho mai visto neppure in foto, poiché quella del profilo è un gattino. I social network hanno dato a tutti la possibilità di sentirsi popolari, anche se nel proprio piccolo e si fa a gara a postare frasi più ad effetto, in grado di raccogliere il maggior numero di consensi in termini di “likes”. Tutto ciò sta modificando l’uso che si fa del proprio tempo e soprattutto l’essere presenti nel momento. Ho creato Smapsy con l’intento di aiutare le persone a fermarsi e vivere. È un software di Self-Management e Social Supporting Network che ci aiuta a dar valore alle cose veramente importanti. Smapsy ti ricorda che il tempo scorre e che devi passare a fare altro se vuoi essere vivo. L’idea che ha ispirato la nascita di Smapsy è stata quella di una tecnologia al servizio della vita da condividere con gli altri. Ci si registra gratuitamente tramite il sito www.smapsy.com e si hanno a disposizione una moltitudine di utilità che possono - 170 - aiutarci ad esprimere al massimo le nostre potenzialità. C’è anche la possibilità di collegarsi con le persone che possono aiutarci a raggiungere i nostri obiettivi e che entreranno a far faranno parte della nostra preziosissima rete di sostegno sociale. Una delle molteplici cose che è possibile fare con Smapsy è quella di pianificare il proprio tempo considerando 7 macro-categorie essenziali: i Bisogni Primari, gli Affetti, le Relazioni, il Lavoro, le Passioni, le Faccende e Commissioni, la Spiritualità. Il modo migliore per dare la giusta attenzione a tutti questi aspetti è pianificare. Lasciare tutto al caso oggi non è più possibile. Si rischia troppo di scivolare nella perdita di vita (più che di tempo). Oggi anche l’ozio va pianificato, in modo tale che sia proprio quello di una volta, cosa vitale e rigenerante. In questo senso la pianificazione diventa un modo per ricordarsi di sè, per fermarsi e pensare alla propria giornata come a un lasso estremamente importante della propria intera esistenza. E la vita non dovrebbe mai essere sprecata. Friedrich Wilhelm Nietzsche ha detto che “se uno ha molto da cacciarvi dentro, una giornata ha cento tasche”. Oggi, gra- - 171 - zie all’enorme progresso tecnologico, dovremmo avere tanto tempo per fare molte più cose, eppure lo utilizziamo per fare sempre le stesse, comprese quelle che hanno poco valore e nessuna importanza. Nella concezione di Smapsy il tempo da dedicare a ciascuna delle 7 macro-categorie va bilanciato settimanalmente, in modo tale che nessuna di esse vada mai trascurata. La prima tra tutte è quella relativa ai Bisogni Primari, nella quale rientrano momenti importantissimi per la qualità della nostra esistenza: l’alimentazione, il sonno e il riposo. Di solito questa categoria viene data per scontata nel classico time-management. Sembrerebbe del tutto inutile pianificare le ore della giornata da dedicare a questi eventi vitali, ma a ben vedere non lo è affatto. Mangiare un panino al volo mentre si legge il giornale, prendere un caffè veloce mentre si consulta la propria pagina Facebook, “rilassarsi” rispondendo ai messaggi su WhatsApp e addormentarsi solo dopo lo spettacolo televisivo di terza serata è diventata la prassi e non l’eccezione. Sembrano tante azioni innocenti e innocue eppure è proprio in queste cattive abitudini che si annidano le trappole dello stress cronico e dei disturbi alimentari. Pianificare i pro- - 172 - pri Bisogni Primari è un modo per ridare la dignità a questi aspetti essenziali della nostra esistenza e avvicinarci di più a noi stessi. È questo un modo per fermarci, essere presenti, rallentare il tempo, vivere più intensamente e rigenerarci. Gli Affetti vanno coltivati. Ho notato che solo pianificando il mio tempo riesco a fare una visita a mia nonna paterna (l’unica rimasta ancora in vita), alle mie zie e addirittura a mia madre. Con gli amici riesco a trascorrere più tempo, complice anche la condivisione degli hobby. Sono avvantaggiato perché vivo in un piccolo paese, che mi ha aiutato a rallentare i ritmi. Ma quando sono in viaggio devo pianificare accuratamente le mie visite se voglio dedicare del tempo di qualità alle persone che amo (amici e parenti) che sono sparse per l’Italia. Conosco persone che vedono il proprio partner qualche ora nel fine settimana, pur vivendo nello stesso paese. Sono troppo prese da altri impegni per viversi profondamente l’amore e si limitano a mantenere il contatto via chat o tramite telefono. Il tempo delle Relazioni Sociali e quello degli Affetti vanno alimentati. Il rapporto con gli altri ci arricchisce. Ci sono chiacchierate che non possono essere esaurite in un paio di minuti e visite che potremmo non riuscire a fare più - 173 - domani, perché alcuni nostri cari sono avanti con gli anni e poi ciò che ci riserva il futuro è imprevedibile per ciascuno di noi. Il Lavoro va organizzato. Conosco liberi professionisti e imprenditori che lavorano 24 ore su 24. Non staccano mai, neanche durante una cena tra amici: ora inviano una e-mail, ora li vedi assorti nei loro pensieri, ora sono al telefono con un collaboratore o un cliente. Di fermarsi davvero non se ne parla neppure. Li capisco benissimo. Sono stato anch’io uno di loro. Non li giudico, so quanto sia difficile fermarsi, mi limito a suggerire loro di iscriversi gratuitamente a Smapsy e di usarlo quotidianamente. L’appuntamento con l’avvocato o il commercialista, quello per spedire un pacco o pagare una bolletta alla posta, il tempo per fare la spesa o riordinare l’armadio, quello per inviare le email, prenotare un volo, archiviare i documenti e cose del genere sono tutte azioni che rientrano nella macro-categoria Faccende e Commissioni e come tali vanno anch’esse pianificate, per non rischiare di farle “quando capita” e togliere tempo ad altre cose importanti. Molte di queste occupazioni rosicchiano abitualmente tempo ai Bisogni Primari, agli Affetti, alle Relazioni, alle Passioni - 174 - e alla Spiritualità. Fare una buona pianificazione è in tal senso molto vantaggio e rende tutto più semplice. Le Passioni riguardano lo svago, il divertimento, lo sport, l’arte, la lettura; in termini più generici: gli hobbies. È quel tempo che rende la vita più piacevole da vivere. Le Passioni sono il nutrimento dell’anima e il sorriso del corpo. Senza di esse ci si raggela, sia fisicamente che emotivamente. È un rischio troppo grande da correre. Dulcis in fundo lo spirito. Qualcuno trova durante il giorno pochi minuti da dedicare alla preghiera e un’ora nel giorno festivo da dedicare al culto, altri non curano affatto questo aspetto. La Spiritualità è di tutti, anche degli atei. Non ha nulla a che vedere con la religiosità. Ognuno ci si dedica come meglio crede. Anche il contemplare la bellezza di un fiore tra le rocce, il fermarsi a riflettere su di sé e sulla vita, il respirare consapevolmente e gioire del momento presente è Spiritualità. Senza questo tempo perdiamo l’essenza di chi siamo veramente. Sono del parere che l’essere umano debba esprimere la propria umanità usando la mente com’è capace di fare, altrimenti si sta vivendo da animali, il che è indegno nei confronti del mondo, poiché loro quel tipo di vita sanno farla molto meglio - 175 - di noi, in quanto esprimono in maniera naturale il massimo del loro potenziale evolutivo. Ciò che ci distingue dagli altri esseri viventi presenti sulla Terra è la nostra capacità creativa. Con essa riusciamo a immaginare, progettare, pianificare, decidere e ragionare. Possiamo farlo grazie alla corteccia prefrontale, che è la parte del cervello che caratterizza noi esseri umani e che ci fa asserire di essere gli esseri più evoluti del pianeta. C’è uno svantaggio, tuttavia. Queste capacità non vengono espresse nella loro pienezza in maniera automatica. Richiedono molto esercizio. Ciascuno di noi dovrebbe dedicarvici con dedizione durante l’intera vita. Il pensiero è automatico. Pensiamo anche se non vogliamo farlo. Fermare i pensieri richiede un lungo e metodico training. Ragionare è molto diverso. Per farlo bisogna fermarsi, farsi delle domande, cercare connessioni tra le idee e poi attendere che un’intuizione connetti il tutto e faccia sorgere la luce della della consapevolezza. Ogni giorno abbiamo la possibilità di fare un passo avanti nell’espressione della nostra umanità, nel modo più autentico possibile. Come esseri umani abbiamo la possibilità e quindi la responsabilità di farlo. È un atto dovuto a noi stessi, agli altri e alla Vita. - 176 - Ideando Smapsy ho cercato di contribuire, nel mio piccolo, alla creazione di uno strumento che possa facilitare il proprio percorso evolutivo. È solo uno strumento, ma se è ben utilizzato può fornire spunti inesauribili e vantaggi tangibili. Io lo definisco il mio Buddy, un coach che mi ricorda cos’è il vero Successo (vivere da Esseri Umani) e come fare per perseguirlo giorno dopo giorno. Ci sono voluti più di tre anni per mettere a punto il progetto e realizzarlo. Ora è disponibile nella versione beta, utilizzabile da tutti i supporti fissi e mobili. Presto sarà anche un’app per smartphone, una di quelle che mi auguro possano contribuire a dare nuova linfa alla vita e a sussurrare alle orecchie della nostra anima un messaggio autentico e profondissimo: Fermati e Vivi! ringraziamenti Grazie a tutti coloro che hanno realizzato questo Ebook con le loro storie, a te che le stai leggendo, a tutte le persone che ti ascolteranno quando ne parlerai. Ogni volta che puoi: fermati, ascolta, racconta, vivi! Agnese Albertini Stefano Leo Teresa Angelico Gianfranco Marinari Giorgia Bocca Mirella Merino Italia Bianchetelli Danilo Maruca Marie Christine Bodein Michela Monni Rosalba Butera Edi Morini Carlotta Bonadonna Secondo Monti Davide Cimarosti Cenio Ogliastra Paolo De Gregorio Neva Pessina Budau Daniela Francesca Dellamore Vincenzo Di Bernardo Eva Peddio Ornella Petrocelli Antonella Proietti Nicoletta Di Marco Antonella Salamone Cristina Gaiardelli Franca Scarpellini Eltore Elica Romano Sartori Giovanni Gamberini Beatrice Toccacieli Ilaria Goffo Luciana Zangheratti Maria Sofia Garrasi Luca Vivan www.fermativivi.it