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CAPITOLO PRIMO: il regime personale di Boigny. a) L’ascesa di Boigny. Felix Houphouet Boigny diviene Presidente della neoindipendente Repubblica della Costa d’Avorio nel 1960. L’istituzione e le funzioni presidenziali non vengono concepite come distaccate dalla persona anzi, sono state ritagliate su di essa. I costituenti e il popolo ivoriano investono la figura presidenziale di determinati compiti e poteri, perché consci che sarebbe stato proprio Boigny a ricoprirli. In altre parole, se egli non avesse goduto di una stima così incondizionata, sia a livello internazionale, che da parte delle pubbliche autorità e del suo popolo, una tanto marcata personalizzazione del potere a favore del Presidente della Repubblica non sarebbe stata costituzionalmente garantita. Il potere presidenziale di Boigny è pertanto un potere prefigurato, ma è nella storia coloniale e nel processo di decolonizzazione che bisogna ravvisarne le origini. Nonostante una forte resistenza interna, la Francia riuscì a imporre il protettorato sulla Costa d’Avorio sin dal 1889, ed a trasformarla in possedimento coloniale già dal 1893. Nel 1904 venne fondata l’Africa Occidentale Francese (AOF), della quale la Costa d’Avorio divenne parte integrante. L’obiettivo della madrepatria era fare della Costa d’Avorio una colonia di popolamento. Per questo la maggior parte delle piantagioni di cacao, caffè, olio di palma, ananas, impiantate per incentivare la produzione di generi da esportazione, fu affidata a cittadini francesi. Al popolo ivoriano non restava che sottomettersi ai colonizzatori e lavorare nei loro campi per poter disporre almeno del necessario per sopravvivere. Ben presto si avviò così un odioso sistemi di lavori forzati, che finì per acuire l’ostilità della popolazione locale verso gli invasori. Nessun soggetto ivoriano partecipava al potere decisionale, il quale era frutto quasi esclusivamente della volontà francese. In un quadro di crescente ostilità verso l’oppressore straniero, emerse la figura di Boigny: prima del suo debutto in politica, egli godeva già di una buona reputazione come medico e grande proprietario di piantagioni. Fu in virtù di tale prestigio, che nel 1944 divenne Presidente di un’associazione sindacale di coltivatori, il Syndacat Agricole Africain (S.A.A.), creato nello stesso anno in relazione alle pratiche discriminatorie introdotte dal governo di Vichy. Sempre nel 1944, nell’ambito dei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente che avrebbe dato vita alla IV° Repubblica Francese, venne stabilito che ogni “Territoire d’Outre-mer”1, aveva diritto ad un proprio rappresentante nell’Assemblea Costituente. Felix Boigny fu eletto deputato per la Costa d’Avorio. Alla base della sua campagna elettorale aveva posto: a) la concessione della cittadinanza francese a tutti gli indigeni e la costituzione di un’assemblea locale elettiva, incaricata di occuparsi del bilancio e del piano dei lavori pubblici; b) la soppressione del lavoro forzato; c) il miglioramento delle condizioni di vita, soprattutto sanitarie, della popolazione locale. Nel marzo 1946, di fronte ai costituenti francesi, invocò l’abrogazione immediata ed integrale della schiavitù per tutte le popolazioni colonizzate. Il suo accorato appello non restò inascoltato. Nella seduta del 5 aprile 1946, l’Assemblea Nazionale Costituente varò la soppressione del lavoro forzato nei “ Territoires d’Outre-mer”. L’importanza straordinaria di questo evento costituì il fondamento dell’affermazione di Boigny in campo politico. Dopo aver fondato il Partito Democratico della Costa d’Avorio (PDCI), venne eletto Presidente del Rassemblement Démocratique Africain (RDA), la formazione politica leader del vasto movimento di decolonizzazione, che si diffonderà in tutti i territori d’oltremare della repubblica francese. Da questo momento, all’affermazione di Boigny contribuirà anche una 1 Termine con il quale venivano indicate in Francia le colonie. componente mitico-mistica: i popoli colonizzati cominciarono a vederlo sotto una luce particolare, non come uomo politico allo stesso livello degli altri, ma come capo carismatico deputato ad una missione ben precisa, la liberazione della razza nera vessata ed umiliata. Emerse la tendenza a divinizzare Boigny, alla quale contribuì il suo stesso entourage, circondando la sua figura e la sua biografia di un alone di mistero. Negli anni successivi, Boigny continuò a rivestire ruoli importanti nella madrepatria, restando deputato fino al 1959 e ricoprendo anche il ruolo di ministro a più riprese tra il 1956 e il 1959. Nel frattempo, nell’ottobre 1958, contemporaneamente all’approvazione della Costituzione della V° Repubblica in Francia, il popolo ivoriano aveva espresso il suo parere favorevole, mediante referendum, all’ingresso della Costa d’Avorio nella “Communauté francaise” , nel cui statuto era previsto che maggiori autonomie fossero riservate alle colonie rispetto a quelle che assegnava l’ “Union francaise” , della quale prendeva il posto. Nel dicembre 1958, venne proclamata la Repubblica della Costa d’Avorio, Stato autonomo all’interno della “Communauté francaise”, ma non ancora indipendente. Boigny fu chiamato ad assumere personalmente la direzione dell’esecutivo, nella veste di Presidente del Consiglio dei Ministri. Il 7 agosto 1960, venne finalmente proclamata l’indipendenza della Costa d’Avorio e il 27 novembre dello stesso anno, Boigny venne nominato Presidente della Repubblica. b) La Costituzione del 1960: presidenzialismo e monopartitismo. Con il passaggio della Costa d’Avorio da Stato autonomo nell’ambito della “Communauté francaise”, a Stato indipendente e sovrano si rese necessaria una nuova Carta costituzionale; nuova perché, nel marzo 1959, all’indomani della nomina di Boigny come Primo Ministro, il Paese si era già dotato di una Costituzione. La Costituzione del 1960 non è stata frutto di un potere costituente originario, quello cioè appartenente al popolo nella sua veste di primo titolare della sovranità. Le autorità pubbliche, optando per la procedura di revisione costituzionale, hanno fatto ricorso al potere costituente istituito. La scelta è oltremodo criticabile per il fatto che il procedimento di revisione intervenne in relazione alla Costituzione del 1959, atto di uno Stato non ancora indipendente, seppur autonomo. In verità, un referendum di ratifica popolare era stato previsto: qualora, nell’ambito dell’Assemblea Nazionale Costituente, non si fosse raggiunta la maggioranza di 4/5, l’approvazione del testo costituzionale sarebbe spettata al popolo. Se nelle moderne democrazie occidentali, in virtù di un sempre più perfetto bipolarismo, una tale maggioranza è pressoché irraggiungibile, nella Costa d’Avorio dell’epoca, un Presidente dotato di un così vasto consenso e il suo partito, non faticarono a far valere la propria volontà. La costituzione fu dunque approvata con una maggioranza superiore ai 4/5, esautorando il popolo che non aveva neppure potuto scegliere i propri rappresentanti in una Assemblea Costituente ad hoc. In uno Stato in cui convivono oltre sessanta etnie, il periodico riemergere di rivendicazioni tribali era avvertito come una minaccia costante. Obiettivo del costituente ivoriano fu pertanto il consolidamento della appena raggiunta unità nazionale. In vista di ciò, non esitò a sacrificare sia il multipartitismo che il pluralismo e la separazione dei poteri. Il Presidente della Repubblica, al contempo Capo dello Stato, Capo dell’Esecutivo e Capo del Partito Unico, era titolare di ampissimi poteri: a) era detentore esclusivo del potere esecutivo e titolare esclusivo dell’indirizzo politico; b) era a capo della pubblica amministrazione e dell’esercito; c) poteva prendere tramite ordinanze provvedimenti rientranti nelle competenze parlamentari; d) aveva il potere di ricorrere al referendum e di adottare provvedimenti eccezionali in caso di minaccia dell’integrità territoriale; e) nominava e revocava i membri del governo, responsabili unicamente verso di lui; f) era garante dell’indipendenza nazionale e del rispetto dei trattati e degli accordi internazionali; g) incarnava l’unità nazionale, vegliava sul rispetto della Costituzione, assicurava la continuità dello Stato; h) nominava il Presidente della Corte Suprema. La durata del mandato presidenziale era fissata a cinque anni e non venivano posti limiti alla rieleggibilità. La personalità e il carisma di Boigny furono sicuramente decisivi nell’adozione di questa clausola. Fu previsto un Parlamento monocamerale, l’Assemblea Nazionale, i cui membri venivano eletti dal popolo ogni cinque anni su una lista presentata dal Partito Unico. Il Parlamento rivestiva un ruolo marginale: non poteva legiferare se non nelle materie espressamente previste dal testo costituzionale, non poteva deliberare progetti di legge che non fossero di gradimento del Capo dello Stato, avendo quest’ultimo tutti gli strumenti atti a bloccarne l’entrata in vigore. Anche nel campo della revisione costituzionale era obbligato ad esercitare tale potere contestualmente al Presidente della Repubblica. Non esisteva la figura di un Primo Ministro distinto dalla figura di Capo dello Stato. Possiamo dunque definire la Costa d’Avorio di Boigny una Repubblica presidenziale monocratica. L’attributo della sovranità discende dal popolo, cioè dal corpo elettorale in funzione eligente, sebbene le votazioni siano condizionate dal monopartitismo. Altrimenti, il regime assumerebbe la connotazione di una dittatura di tipo carismatico, nel quale il leader gode del consenso quasi unanime dei cittadini. In questa ipotesi non si potrebbe parlare di democrazia, neppure “di facciata”. c) Gli anni del boom economico ( 1960-79). Fin dall’inizio della sua presidenza, fu evidente la natura antidemocratica del regime di Boigny: il partito unico e la concentrazione del potere nella sua persona furono però ampiamente tollerati. Agli occhi della comunità, Boigny rappresentava una figura paterna e la sua autorità non poteva essere che benevola. Secondo i più, non si era in presenza di un dominatore tirannico, pronto ad imporre il proprio volere con la forza, ma di una guida, liberamente scelta, che aveva già dato prova di capacità e garanzia di democraticità nell’esercizio delle sue funzioni. A mio giudizio, sarebbe stato improbabile che, senza un contestuale boom economico, che portò se non benessere, quanto meno condizioni di vita accettabili per la stragrande maggioranza della popolazione, tale abuso di potere fosse tollerato e che Boigny continuasse a riscuotere una così forte legittimazione. Infatti, nel periodo che va dal 1960 al 1979, grazie anche ad alcune riforme adottate da Boigny, che ebbero l’effetto di stimolare la produzione, aumentarono considerevolmente le esportazioni. In questi anni, il Paese divenne il maggior produttore mondiale di cacao, il terzo maggior esportatore mondiale di caffè, il maggior esportatore africano di ananas e olio di palma. Un’altra importantissima voce di esportazione era rappresentata dal legname, data la grande estensione delle foreste sul territorio. In generale, la Costa d’Avorio contribuiva ad oltre il 40% delle esportazioni dell’area dell’Africa Occidentale. Un tasso di crescita medio annuo che aumentava in maniera costante e graduale, faceva parlare molti economisti di “miracle ivoirien”. Ma la regia di questo boom era prevalentemente francese: se negli altri Paesi africani, una volta raggiunta l’indipendenza, gli europei venivano espulsi, in Costa d’Avorio si assisteva al fenomeno opposto. Troppo ricca di materie prime era questa terra per non suscitare le mira di ricchi imprenditori francesi. Fu così che la comunità francese crebbe a dismisura fino a raggiungere la ragguardevole cifra di cinquantamila residenti. In particolare nel settore industriale dominavano i capitali stranieri2, attirati dalla stabilità politica e dalla manodopera a basso costo. Si capisce come, la vera ricchezza, fosse nelle mani di pochi e per lo più stranieri, sebbene ai cittadini ivoriani fossero assicurate condizioni di vita decenti, soprattutto se confrontati agli standard africani. Inoltre, la totale apertura agli investimenti esteri, frutto di una scelta di un modello di sviluppo improntato al liberismo economico, ha determinato un assetto produttivo dipendente, molto sensibile alle fluttuazioni dei prezzi sul mercato mo ndiale. Una volta conclusasi la congiuntura economica favorevole, la situazione era destinata ad esplodere. d) La crisi economica: provvedimenti e conseguenze. Classificata dal 1970 al 1979 come un paese a crescita rapida e considerata come “futur pays émergent” 3, con un tasso di crescita medio annuo del 6,7%, la Costa d’Avorio viene investita, a partire dagli anni ottanta, da un periodo di profonda recessione economica. Negli anni successivi al conseguimento dell’indipendenza, l’imponente sviluppo aveva reso la Costa d’Avorio oggetto di un mercato di crediti che servivano a finanziare i più disparati progetti. Questo mercato seguiva una regola ben precisa: bisognava vendere crediti ai paesi in via di sviluppo che li avrebbero rimborsati in seguito a quote prestabilite. In questo contesto, era preferibile aiutare, tra i paesi in via di sviluppo, quello con un PIL alto ed in continuo aumento, perché si sarebbe più facilmente trasformato da “il più ricco dei poveri” al “più povero dei ricchi”. Era proprio questo il caso della Costa d’Avorio che attirò folle di imprenditori e montagne di crediti. 2 3 Oltre ai francesi, fecero molti investimenti in Costa d’Avorio anche i siro-libanesi. Rapporti della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale. Il mercato di questi crediti era bilaterale: l’offerta proveniva da imprese straniere; la domanda dal governo ivoriano il quale, nel quadro del partito unico, era artefice della propria strategia economica. A cavallo degli anni ottanta, questo equilibrio si spezzò: un periodo di recessione a livello mondiale provocò una caduta dei prezzi delle materie prime e le entrate derivanti dalle esportazioni diminuirono drasticamente. Il governo ivoriano non fu più capace di restituire i finanziamenti e si indebitò velocemente: non potendo più esercitare la sua domanda di crediti, perché sapeva di non poterli rimborsare, diventò sempre più dipendente dal mercato estero e incapace di realizzare un’autonoma politica economica. A partire dal 1981, di fronte ad un indebitamento che si faceva sempre più massiccio, intervenne la comunità internazionale, attraverso organismi quali il FMI4 e la Banca Mondiale5, che adottarono una serie di politiche economiche alquanto discutibili che non fecero altro che peggiorare la difficile situazione in cui versava la fragile economia ivoriana. Il FMI varò il PAS 6, che avrebbe dovuto rimettere l’economia ivoriana su un sentiero di crescita. Per superare il deficit nel budget interno e nella bilancia dei pagamenti estera, furono adottate delle misure di austerità che miravano a ridurre le spese dello Stato. Sanità, edilizia popolare, istruzione, furono i settori nei quali i tagli furono più consistenti, andando a colpire direttamente il cittadino. Molte famiglie furono costrette ad imporre ai propri figli di abbandonare gli studi, considerando che fosse più opportuno intraprendere l’apprendistato di un mestiere. Ma, nel frattempo, molte imprese pubbliche vennero chiuse, provocando un forte aumento del tasso di disoccupazione. I giovani alla ricerca di un primo impiego andarono così ad ingrossare le fila dei disoccupati. Centina di operai e lavoratori venivano re-indirizzati verso il lavoro nelle 4 5 6 Fondo Monetario Internazionale. Da questo momento verrà indicata con la sigla BM. Programme d’ajustement structurel. campagne con la promessa di sussidi e premi di re-inserimento che non sarebbero mai arrivati. In un clima generale di sfiducia, anche gli investimenti dell’esigua classe imprenditoriale locale calarono vistosamente, rendendo il paese sempre più dipendente dai finanziatori esterni. Le entrate fiscali diminuirono e lo Stato incontrava sempre maggiori difficoltà a saldare il suo debito estero. La povertà si allargava: oltre al mondo rurale, fiaccato dal crollo dei prezzi delle materie prime, colpiva anche il mondo urbano. Nel tentativo di arginare tale fenomeno, la BM varò delle grandi politiche di lotta contro la povertà. Furono varati due programmi speciali, il LSMS7 e la DSA8. Nel 1985 venne creata il LSMS, un’iniziativa di ricerca di dati sul tenore di vita delle famiglie con lo scopo di applicare le politiche economiche più adeguate sulla base delle informazioni raccolte. Nel 1987, la BM lanciò il programma DSA , che da un lato si occupò di effettuare delle rivelazioni statistiche sul tasso di povertà della popolazione locale, dall’altro attivò un programma di formazione e accrescimento del livello di competenza della classe dirigente ivoriana, affinché nei piani di sviluppo da essa elaborati, venissero predisposte delle politiche a sostegno delle famiglie più disagiate. Entrambe queste iniziative fallirono nel loro obiettivo principale: se da un lato la Costa d’Avorio si ritrova oggi un sistema di rilevazioni statistiche invidiabile, dall’altro il tasso di povertà continuò ad aumentare anche durante il periodo in cui furono condotte queste analisi! Ad una conclusione sostanziale si è però giunti: tutte queste statistiche hanno dimostrato che il risultato finale del PAS è stato negativo, non portando benefici al tenore di vita della popolazione locale, e registrandosi un aumento del tasso di disoccupazione e un calo dei redditi delle famiglie. 7 8 Living Standart Measurement Surveys. Dimension social de l’ajustement. Come se tutto ciò non bastasse, a delineare uno scenario ancora più drammatico, contribuiva l’irresponsabilità del Presidente Boigny e di gran parte della classe dirigente ivoriana. In questi stessi anni, alcune iniziative di Boigny furono quanto meno discutibili: per trasformare il suo villaggio natale, Yamoussoukro9, nella nuova capitale della Repubblica ivoriana, non esitò a sperperare milioni di dollari. Avviò una deforestazione sistematica, in modo da finanziare la costruzione di un imponente basilica, seconda per grandezza solo a quella di San Pietro a Roma, grazie alle entrate derivanti dalla vendita del legname, che era una delle principali fonti di ricchezza del paese. Boigny amava esibire il proprio potere agli occhi non solo del suo popolo, ma anche della comunità internazionale: per questo non esitava a circondare se stesso e il suo entourage di comodità e lussi sfrenati, ad abbellire le città più importanti con monumenti e opere faraoniche: spese quanto mai inutili che non ebbero nessuna conseguenza benefica, se non impoverire ulteriormente le casse dello Stato. e) L’apertura al pluripartitismo (1990). Il quadro descritto finora non poteva lasciare indifferente il popolo. Già nel febbraio del 1982 esplosero violente manifestazioni studentesche che portarono alla chiusura temporanea dell’università di Abidjan e di alcune prestigiosi licei. Il leader della contestazione era Laurent Gbagbo, attuale Presidente della Costa d’Avorio, che in questi anni creerà l’embrione di quello che diventerà il principale partito di opposizione al PDCI di Boigny, il FPI10. Ritenuto dal regime il principale responsabile di queste rivolte, Gbagbo venne arrestato ed esiliato in Francia, dalla quale potè fare ritorno solo sei anni più tardi, nel settembre 1988. Ma l’arresto e l’esilio di Gbagbo non placarano le contestazioni, anzi ebbero l’effetto di rafforzarle. La protesta si allargò e anche numerose 9 10 Diviene capitale nel 1983 al posto di Abidjan. Front Populaire Ivoirien. associazioni sindacali e movimenti politici cominciarono a far sentire la propria voce. Questi rivendicavano una condotta più trasparente da parte della classe politica, “contaminata” dalla piaga della corruzione, cominciavano a manifestare il proprio dissenso per il partito unico, chiedevano politiche economiche più attente alle esigenze del cittadino. La repressione del dissenso fu durissima: gli scioperi vennero dichiarati illegali e le libertà messe sotto sorveglianza. Libertà di stampa, di informazione e di espressione furono fortemente limitate, come anche la libertà di riunione delle associazioni sindacali. L’esercito, fedele a Boigny, non esitava ad usare gas lacrimogeni e colpi di mitragliatrice per disperdere le folle inferocite. Questa tensione si è protratta negli anni, alternando periodi di calma apparente a momenti di forte contrapposizione tra le forze governative e le masse; fino al 1990, quando funzionari statali e studenti cominciarono assieme un lungo ed estenuante sciopero. Violente manifestazioni di protesta imputavano la crisi economica alla corruzione e allo stile di vita smodato dei funzionari governativi. L’ostilità verso il partito unico e verso Boigny aveva raggiunto una dimensione e un’intensità tale da scalfire il culto che si era creato intorno alla sua figura. In un paese ormai sull’orlo della bancarotta, Boigny si rese conto che un “braccio di ferro” così logorante avrebbe compromesso ulteriormente il suo destino e quello del suo popolo. Con una mossa a sorpresa, ma che a quel punto era ormai obbligata, il 5 maggio 1990 si dichiarò pronto a legalizzare ed a riconoscere 14 nuove formazioni politiche, ponendo fine al regime del partito unico. In seguito alla revisione della Costituzione, fu introdotta anche la figura del Primo Ministro. Tale carica venne affidata ad Alassane Ouattara, un’economista che aveva ricoperto ruoli prestigiosi all’interno del FMI. Questa nomina rifletteva l’ingerenza che le istituzioni internazionali avevano sulla classe politica locale e inaugurava il cosiddetto governo dei “F.M.I.’s boys”11 che avrebbe dovuto rilanciare l’economia ivoriana. Il 28 ottobre 1990, per la prima volta in trent’anni, Boigny aveva uno sfidante nell’ambito delle elezioni presidenziali. Era Laurent Gbagbo, che però ottenne solo il 18,3% dei voti. Boigny si assicurava altri cinque anni di presidenza e anche di incontrastato dominio sulle opposizioni quando, in occasione delle elezioni legislative del novembre 1990, il PDCI si vide attribuire 163 seggi dei 175 disponibili in seno all’Assemblea Legislativa 12. Al FPI di Gbagbo andarono soltanto nove seggi, due agli indipendenti e uno al PIT13. In un clima di così aperto rifiuto al suo regime personale, come spiegare quello che in sostanza era dunque un plebiscito a favore di Boigny? Sicuramente l’opposizione era troppo frammentata e disorganizzata, ancora non pronta a sfidare una personalità del suo calibro: probabilmente, se fosse intercorso più tempo tra il culmine della protesta e la data delle elezioni, il corpo elettorale avrebbe avuto modo di “affezionarsi” ad un nuovo candidato, di concedergli la fiducia necessaria per governare il Paese; invece le forze di opposizione preferirono non chiedere di rimandare le elezioni legalmente previste in ottobre14, pensando di sfruttare a proprio vantaggio l’onda emotiva ed il successo delle contestazioni. Un’altra ipotesi da considerare è che il popolo non aveva smesso di credere nell’uomo che aveva saputo “regalare” al paese un ventennio di prosperità e stabilità: una volta dimostrata la sua disponibilità a permettere la libera rappresentanza e il pluralismo politico, ed a garantire 11 M. F. Jarret, La Cote d’Ivoire. De la déstabilisation à la refondation; “Le gouvernement des “F.M.I.’s boys”, paragrafo 3, capitolo 1. 12 Nonostante vi avessero preso parte diciotto formazioni politiche soltanto due, diverse dal PDCI, trovarono posto in Parlamento. Di conseguenza numerose furono le accuse di brogli e irregolarità che non portarono però ad alcuna verifica dell’autenticità dei risultati. 13 Partì ivoirien des travailleurs. 14 Non si trattava né di elezioni anticipate, né posticipate per la straordinarietà degli eventi. Sin dal 1960 infatti, le elezioni presidenziali e legislative si svolgevano ogni 5 anni nei mesi di ottobre o novembre. tutte le libertà tipiche di uno stato democratico, Boigny riuscì facilmente a recuperare il consenso popolare. Una spiegazione certamente più razionale è fornita da Francis Akindes 15. Egli sostiene che gli stranieri, affluiti in massa in seguito alla libera circolazione voluta dallo stesso Boigny, non siano stati solo un fattore di produzione ed uno strumento della crescita economica. Il plebiscito a suo favore deve essere considerato anche in virtù dei voti che egli ha raccolto tra i cittadini stranieri che continuavano a nutrire riconoscenza verso di lui. Secondo il censimento del 1998 che, è opportuno sottolineare, descrive un contesto totalmente diverso, in cui le porte agli immigrati erano state chiuse da tempo, gli immigrati costituiscono oltre il 26% della popolazione: ecco che la tesi di Akindes trova il suo fondamento. 15 The roots of the military -political crises in Cote d’Ivoire, capitolo primo.