scarica file - Piccole Stelle d`Africa

Transcript

scarica file - Piccole Stelle d`Africa
CAPITOLO PRIMO: il regime personale di Boigny.
a) L’ascesa di Boigny.
Felix Houphouet Boigny diviene Presidente della neoindipendente
Repubblica della Costa d’Avorio nel 1960. L’istituzione e le funzioni
presidenziali non vengono concepite come distaccate dalla persona anzi,
sono state ritagliate su di essa. I costituenti e il popolo ivoriano investono
la figura presidenziale di determinati compiti e poteri, perché consci che
sarebbe stato proprio Boigny a ricoprirli. In altre parole, se egli non
avesse goduto di una stima così incondizionata, sia a livello
internazionale, che da parte delle pubbliche autorità e del suo popolo,
una tanto marcata personalizzazione del potere a favore del Presidente
della Repubblica non sarebbe stata costituzionalmente garantita.
Il potere presidenziale di Boigny è pertanto un potere prefigurato, ma è
nella storia coloniale e nel processo di decolonizzazione che bisogna
ravvisarne le origini.
Nonostante una forte resistenza interna, la Francia riuscì a imporre il
protettorato sulla Costa d’Avorio sin dal 1889, ed a trasformarla in
possedimento coloniale già dal 1893. Nel 1904 venne fondata l’Africa
Occidentale Francese (AOF), della quale la Costa d’Avorio divenne parte
integrante. L’obiettivo della madrepatria era fare della Costa d’Avorio
una colonia di popolamento. Per questo la maggior parte delle
piantagioni di cacao, caffè, olio di palma, ananas, impiantate per
incentivare la produzione di generi da esportazione, fu affidata a cittadini
francesi. Al popolo ivoriano non restava che sottomettersi ai
colonizzatori e lavorare nei loro campi per poter disporre almeno del
necessario per sopravvivere. Ben presto si avviò così un odioso sistemi
di lavori forzati, che finì per acuire l’ostilità della popolazione locale
verso gli invasori. Nessun soggetto ivoriano partecipava al potere
decisionale, il quale era frutto quasi esclusivamente della volontà
francese. In un quadro di crescente ostilità verso l’oppressore straniero,
emerse la figura di Boigny: prima del suo debutto in politica, egli godeva
già di una buona reputazione come medico e grande proprietario di
piantagioni. Fu in virtù di tale prestigio, che nel 1944 divenne Presidente
di un’associazione sindacale di coltivatori, il Syndacat Agricole Africain
(S.A.A.),
creato
nello
stesso
anno
in
relazione
alle
pratiche
discriminatorie introdotte dal governo di Vichy.
Sempre nel 1944, nell’ambito dei lavori preparatori dell’Assemblea
Costituente che avrebbe dato vita alla IV° Repubblica Francese, venne
stabilito che ogni “Territoire d’Outre-mer”1, aveva diritto ad un proprio
rappresentante nell’Assemblea Costituente. Felix Boigny fu eletto
deputato per la Costa d’Avorio. Alla base della sua campagna elettorale
aveva posto:
a) la concessione della cittadinanza francese a tutti gli indigeni e la
costituzione di un’assemblea locale elettiva, incaricata di
occuparsi del bilancio e del piano dei lavori pubblici;
b) la soppressione del lavoro forzato;
c) il miglioramento delle condizioni di vita, soprattutto sanitarie,
della popolazione locale.
Nel marzo 1946, di fronte ai costituenti francesi, invocò l’abrogazione
immediata ed integrale della schiavitù per tutte le popolazioni
colonizzate. Il suo accorato appello non restò inascoltato. Nella seduta
del 5 aprile 1946, l’Assemblea Nazionale Costituente varò la
soppressione del lavoro forzato nei “ Territoires d’Outre-mer”.
L’importanza straordinaria di questo evento costituì il fondamento
dell’affermazione di Boigny in campo politico. Dopo aver fondato il
Partito Democratico della Costa d’Avorio (PDCI), venne eletto
Presidente del Rassemblement Démocratique Africain (RDA), la
formazione politica leader del vasto movimento di decolonizzazione, che
si diffonderà in tutti i territori d’oltremare della repubblica francese. Da
questo momento, all’affermazione di Boigny contribuirà anche una
1
Termine con il quale venivano indicate in Francia le colonie.
componente mitico-mistica: i popoli colonizzati cominciarono a vederlo
sotto una luce particolare, non come uomo politico allo stesso livello
degli altri, ma come capo carismatico deputato ad una missione ben
precisa, la liberazione della razza nera vessata ed umiliata. Emerse la
tendenza a divinizzare Boigny, alla quale contribuì il suo stesso
entourage, circondando la sua figura e la sua biografia di un alone di
mistero. Negli anni successivi, Boigny continuò a rivestire ruoli
importanti nella madrepatria, restando deputato fino al 1959 e ricoprendo
anche il ruolo di ministro a più riprese tra il 1956 e il 1959.
Nel frattempo, nell’ottobre 1958, contemporaneamente all’approvazione
della Costituzione della V° Repubblica in Francia, il popolo ivoriano
aveva espresso il suo parere favorevole, mediante referendum,
all’ingresso della Costa d’Avorio nella “Communauté francaise” , nel
cui statuto era previsto che maggiori autonomie fossero riservate alle
colonie rispetto a quelle che assegnava l’ “Union francaise” , della quale
prendeva il posto. Nel dicembre 1958, venne proclamata la Repubblica
della Costa d’Avorio, Stato autonomo all’interno della “Communauté
francaise”, ma non ancora indipendente. Boigny fu chiamato ad
assumere personalmente la direzione dell’esecutivo, nella veste di
Presidente del Consiglio dei Ministri. Il 7 agosto 1960, venne finalmente
proclamata l’indipendenza della Costa d’Avorio e il 27 novembre dello
stesso anno, Boigny venne nominato Presidente della Repubblica.
b) La Costituzione del 1960: presidenzialismo e
monopartitismo.
Con il passaggio della Costa d’Avorio da Stato autonomo nell’ambito
della “Communauté francaise”, a Stato indipendente e sovrano si rese
necessaria una nuova Carta costituzionale; nuova perché, nel marzo
1959, all’indomani della nomina di Boigny come Primo Ministro, il
Paese si era già dotato di una Costituzione.
La Costituzione del 1960 non è stata frutto di un potere costituente
originario, quello cioè appartenente al popolo nella sua veste di primo
titolare della sovranità. Le autorità pubbliche, optando per la procedura
di revisione costituzionale, hanno fatto ricorso al potere costituente
istituito. La scelta è oltremodo criticabile per il fatto che il procedimento
di revisione intervenne in relazione alla Costituzione del 1959, atto di
uno Stato non ancora indipendente, seppur autonomo. In verità, un
referendum di ratifica popolare era stato previsto: qualora, nell’ambito
dell’Assemblea Nazionale Costituente, non si fosse raggiunta la
maggioranza di 4/5, l’approvazione del testo costituzionale sarebbe
spettata al popolo. Se nelle moderne democrazie occidentali, in virtù di
un sempre più perfetto bipolarismo, una tale maggioranza è pressoché
irraggiungibile, nella Costa d’Avorio dell’epoca, un Presidente dotato di
un così vasto consenso e il suo partito, non faticarono a far valere la
propria volontà. La costituzione fu dunque approvata con una
maggioranza superiore ai 4/5, esautorando il popolo che non aveva
neppure potuto scegliere i propri rappresentanti in una Assemblea
Costituente ad hoc.
In uno Stato in cui convivono oltre sessanta etnie, il periodico riemergere
di rivendicazioni tribali era avvertito come una minaccia costante.
Obiettivo del costituente ivoriano fu pertanto il consolidamento della
appena raggiunta unità nazionale. In vista di ciò, non esitò a sacrificare
sia il multipartitismo che il pluralismo e la separazione dei poteri.
Il Presidente della Repubblica, al contempo Capo dello Stato, Capo
dell’Esecutivo e Capo del Partito Unico, era titolare di ampissimi poteri:
a) era detentore esclusivo del potere esecutivo e titolare esclusivo
dell’indirizzo politico;
b) era a capo della pubblica amministrazione e dell’esercito;
c) poteva prendere tramite ordinanze provvedimenti rientranti nelle
competenze parlamentari;
d) aveva il potere di ricorrere al referendum e di adottare
provvedimenti eccezionali in caso di minaccia dell’integrità
territoriale;
e) nominava e revocava i membri del governo, responsabili
unicamente verso di lui;
f) era garante dell’indipendenza nazionale e del rispetto dei trattati e
degli accordi internazionali;
g) incarnava
l’unità
nazionale,
vegliava
sul
rispetto
della
Costituzione, assicurava la continuità dello Stato;
h) nominava il Presidente della Corte Suprema.
La durata del mandato presidenziale era fissata a cinque anni e non
venivano posti limiti alla rieleggibilità. La personalità e il carisma di
Boigny furono sicuramente decisivi nell’adozione di questa clausola. Fu
previsto un Parlamento monocamerale, l’Assemblea Nazionale, i cui
membri venivano eletti dal popolo ogni cinque anni su una lista
presentata dal Partito Unico.
Il Parlamento rivestiva un ruolo marginale: non poteva legiferare se non
nelle materie espressamente previste dal testo costituzionale, non poteva
deliberare progetti di legge che non fossero di gradimento del Capo dello
Stato, avendo quest’ultimo tutti gli strumenti atti a bloccarne l’entrata in
vigore. Anche nel campo della revisione costituzionale era obbligato ad
esercitare tale potere contestualmente al Presidente della Repubblica.
Non esisteva la figura di un Primo Ministro distinto dalla figura di Capo
dello Stato.
Possiamo dunque definire la Costa d’Avorio di Boigny una Repubblica
presidenziale monocratica. L’attributo della sovranità discende dal
popolo, cioè dal corpo elettorale in funzione eligente, sebbene le
votazioni siano condizionate dal monopartitismo. Altrimenti, il regime
assumerebbe la connotazione di una dittatura di tipo carismatico, nel
quale il leader gode del consenso quasi unanime dei cittadini. In questa
ipotesi non si potrebbe parlare di democrazia, neppure “di facciata”.
c) Gli anni del boom economico ( 1960-79).
Fin dall’inizio della sua presidenza, fu evidente la natura antidemocratica del regime di Boigny: il partito unico e la concentrazione
del potere nella sua persona furono però ampiamente tollerati. Agli occhi
della comunità, Boigny rappresentava una figura paterna e la sua autorità
non poteva essere che benevola. Secondo i più, non si era in presenza di
un dominatore tirannico, pronto ad imporre il proprio volere con la forza,
ma di una guida, liberamente scelta, che aveva già dato prova di capacità
e garanzia di democraticità nell’esercizio delle sue funzioni.
A mio giudizio, sarebbe stato improbabile che, senza un contestuale
boom economico, che portò se non benessere, quanto meno condizioni di
vita accettabili per la stragrande maggioranza della popolazione, tale
abuso di potere fosse tollerato e che Boigny continuasse a riscuotere una
così forte legittimazione.
Infatti, nel periodo che va dal 1960 al 1979, grazie anche ad alcune
riforme adottate da Boigny, che ebbero l’effetto di stimolare la
produzione, aumentarono considerevolmente le esportazioni. In questi
anni, il Paese divenne il maggior produttore mondiale di cacao, il terzo
maggior esportatore mondiale di caffè, il maggior esportatore africano di
ananas e olio di palma. Un’altra importantissima voce di esportazione era
rappresentata dal legname, data la grande estensione delle foreste sul
territorio. In generale, la Costa d’Avorio contribuiva ad oltre il 40% delle
esportazioni dell’area dell’Africa Occidentale. Un tasso di crescita medio
annuo che aumentava in maniera costante e graduale, faceva parlare
molti economisti di “miracle ivoirien”. Ma la regia di questo boom era
prevalentemente francese: se negli altri Paesi africani, una volta
raggiunta l’indipendenza, gli europei venivano espulsi, in Costa
d’Avorio si assisteva al fenomeno opposto. Troppo ricca di materie
prime era questa terra per non suscitare le mira di ricchi imprenditori
francesi. Fu così che la comunità francese crebbe a dismisura fino a
raggiungere la ragguardevole cifra di cinquantamila residenti. In
particolare nel settore industriale dominavano i capitali stranieri2, attirati
dalla stabilità politica e dalla manodopera a basso costo.
Si capisce come, la vera ricchezza, fosse nelle mani di pochi e per lo più
stranieri, sebbene ai cittadini ivoriani fossero assicurate condizioni di
vita decenti, soprattutto se confrontati agli standard africani. Inoltre, la
totale apertura agli investimenti esteri, frutto di una scelta di un modello
di sviluppo improntato al liberismo economico, ha determinato un
assetto produttivo dipendente, molto sensibile alle fluttuazioni dei prezzi
sul mercato mo ndiale. Una volta conclusasi la congiuntura economica
favorevole, la situazione era destinata ad esplodere.
d) La crisi economica: provvedimenti e conseguenze.
Classificata dal 1970 al 1979 come un paese a crescita rapida e
considerata come “futur pays émergent” 3, con un tasso di crescita medio
annuo del 6,7%, la Costa d’Avorio viene investita, a partire dagli anni
ottanta, da un periodo di profonda recessione economica.
Negli anni successivi al conseguimento dell’indipendenza, l’imponente
sviluppo aveva reso la Costa d’Avorio oggetto di un mercato di crediti
che servivano a finanziare i più disparati progetti. Questo mercato
seguiva una regola ben precisa: bisognava vendere crediti ai paesi in via
di sviluppo che li avrebbero rimborsati in seguito a quote prestabilite. In
questo contesto, era preferibile aiutare, tra i paesi in via di sviluppo,
quello con un PIL alto ed in continuo aumento, perché si sarebbe più
facilmente trasformato da “il più ricco dei poveri” al “più povero dei
ricchi”. Era proprio questo il caso della Costa d’Avorio che attirò folle di
imprenditori e montagne di crediti.
2
3
Oltre ai francesi, fecero molti investimenti in Costa d’Avorio anche i siro-libanesi.
Rapporti della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale.
Il mercato di questi crediti era bilaterale: l’offerta proveniva da imprese
straniere; la domanda dal governo ivoriano il quale, nel quadro del
partito unico, era artefice della propria strategia economica.
A cavallo degli anni ottanta, questo equilibrio si spezzò: un periodo di
recessione a livello mondiale provocò una caduta dei prezzi delle materie
prime e le entrate derivanti dalle esportazioni diminuirono drasticamente.
Il governo ivoriano non fu più capace di restituire i finanziamenti e si
indebitò velocemente: non potendo più esercitare la sua domanda di
crediti, perché sapeva di non poterli rimborsare, diventò sempre più
dipendente dal mercato estero e incapace di realizzare un’autonoma
politica economica.
A partire dal 1981, di fronte ad un indebitamento che si faceva sempre
più massiccio, intervenne la comunità internazionale, attraverso
organismi quali il FMI4 e la Banca Mondiale5, che adottarono una serie
di politiche economiche alquanto discutibili che non fecero altro che
peggiorare la difficile situazione in cui versava la fragile economia
ivoriana.
Il FMI varò il PAS 6, che avrebbe dovuto rimettere l’economia ivoriana
su un sentiero di crescita. Per superare il deficit nel budget interno e nella
bilancia dei pagamenti estera, furono adottate delle misure di austerità
che miravano a ridurre le spese dello Stato. Sanità, edilizia popolare,
istruzione, furono i settori nei quali i tagli furono più consistenti,
andando a colpire direttamente il cittadino. Molte famiglie furono
costrette ad imporre ai propri figli di abbandonare gli studi, considerando
che fosse più opportuno intraprendere l’apprendistato di un mestiere.
Ma, nel frattempo, molte imprese pubbliche vennero chiuse, provocando
un forte aumento del tasso di disoccupazione. I giovani alla ricerca di un
primo impiego andarono così ad ingrossare le fila dei disoccupati.
Centina di operai e lavoratori venivano re-indirizzati verso il lavoro nelle
4
5
6
Fondo Monetario Internazionale.
Da questo momento verrà indicata con la sigla BM.
Programme d’ajustement structurel.
campagne con la promessa di sussidi e premi di re-inserimento che non
sarebbero mai arrivati.
In un clima generale di sfiducia, anche gli investimenti dell’esigua classe
imprenditoriale locale calarono vistosamente, rendendo il paese sempre
più dipendente dai finanziatori esterni.
Le entrate fiscali diminuirono e lo Stato incontrava sempre maggiori
difficoltà a saldare il suo debito estero.
La povertà si allargava: oltre al mondo rurale, fiaccato dal crollo dei
prezzi delle materie prime, colpiva anche il mondo urbano.
Nel tentativo di arginare tale fenomeno, la BM varò delle grandi
politiche di lotta contro la povertà. Furono varati due programmi
speciali, il LSMS7 e la DSA8.
Nel 1985 venne creata il LSMS, un’iniziativa di ricerca di dati sul tenore
di vita delle famiglie con lo scopo di applicare le politiche economiche
più adeguate sulla base delle informazioni raccolte.
Nel 1987, la BM lanciò il programma DSA , che da un lato si occupò di
effettuare delle rivelazioni statistiche sul tasso di povertà della
popolazione locale, dall’altro attivò un programma di formazione e
accrescimento del livello di competenza della classe dirigente ivoriana,
affinché nei piani di sviluppo da essa elaborati, venissero predisposte
delle politiche a sostegno delle famiglie più disagiate.
Entrambe queste iniziative fallirono nel loro obiettivo principale: se da
un lato la Costa d’Avorio si ritrova oggi un sistema di rilevazioni
statistiche invidiabile, dall’altro il tasso di povertà continuò ad aumentare
anche durante il periodo in cui furono condotte queste analisi! Ad una
conclusione sostanziale si è però giunti: tutte queste statistiche hanno
dimostrato che il risultato finale del PAS è stato negativo, non portando
benefici al tenore di vita della popolazione locale, e registrandosi un
aumento del tasso di disoccupazione e un calo dei redditi delle famiglie.
7
8
Living Standart Measurement Surveys.
Dimension social de l’ajustement.
Come se tutto ciò non bastasse, a delineare uno scenario ancora più
drammatico, contribuiva l’irresponsabilità del Presidente Boigny e di
gran parte della classe dirigente ivoriana.
In questi stessi anni, alcune iniziative di Boigny furono quanto meno
discutibili: per trasformare il suo villaggio natale, Yamoussoukro9, nella
nuova capitale della Repubblica ivoriana, non esitò a sperperare milioni
di dollari. Avviò una deforestazione sistematica, in modo da finanziare la
costruzione di un imponente basilica, seconda per grandezza solo a
quella di San Pietro a Roma, grazie alle entrate derivanti dalla vendita
del legname, che era una delle principali fonti di ricchezza del paese.
Boigny amava esibire il proprio potere agli occhi non solo del suo
popolo, ma anche della comunità internazionale: per questo non esitava a
circondare se stesso e il suo entourage di comodità e lussi sfrenati, ad
abbellire le città più importanti con monumenti e opere faraoniche: spese
quanto mai inutili che non ebbero nessuna conseguenza benefica, se non
impoverire ulteriormente le casse dello Stato.
e) L’apertura al pluripartitismo (1990).
Il quadro descritto finora non poteva lasciare indifferente il popolo. Già
nel febbraio del 1982 esplosero violente manifestazioni studentesche che
portarono alla chiusura temporanea dell’università di Abidjan e di alcune
prestigiosi licei. Il leader della contestazione era Laurent Gbagbo, attuale
Presidente della Costa d’Avorio, che in questi anni creerà l’embrione di
quello che diventerà il principale partito di opposizione al PDCI di
Boigny, il FPI10. Ritenuto dal regime il principale responsabile di queste
rivolte, Gbagbo venne arrestato ed esiliato in Francia, dalla quale potè
fare ritorno solo sei anni più tardi, nel settembre 1988.
Ma l’arresto e l’esilio di Gbagbo non placarano le contestazioni, anzi
ebbero l’effetto di rafforzarle. La protesta si allargò e anche numerose
9
10
Diviene capitale nel 1983 al posto di Abidjan.
Front Populaire Ivoirien.
associazioni sindacali e movimenti politici cominciarono a far sentire la
propria voce. Questi rivendicavano una condotta più trasparente da parte
della classe politica, “contaminata” dalla piaga della corruzione,
cominciavano a manifestare il proprio dissenso per il partito unico,
chiedevano politiche economiche più attente alle esigenze del cittadino.
La repressione del dissenso fu durissima: gli scioperi vennero dichiarati
illegali e le libertà messe sotto sorveglianza. Libertà di stampa, di
informazione e di espressione furono fortemente limitate, come anche la
libertà di riunione delle associazioni sindacali. L’esercito, fedele a
Boigny, non esitava ad usare gas lacrimogeni e colpi di mitragliatrice per
disperdere le folle inferocite.
Questa tensione si è protratta negli anni, alternando periodi di calma
apparente a momenti di forte contrapposizione tra le forze governative e
le masse; fino al 1990, quando funzionari statali e studenti cominciarono
assieme un lungo ed estenuante sciopero. Violente manifestazioni di
protesta imputavano la crisi economica alla corruzione e allo stile di vita
smodato dei funzionari governativi. L’ostilità verso il partito unico e
verso Boigny aveva raggiunto una dimensione e un’intensità tale da
scalfire il culto che si era creato intorno alla sua figura. In un paese ormai
sull’orlo della bancarotta, Boigny si rese conto che un “braccio di ferro”
così logorante avrebbe compromesso ulteriormente il suo destino e
quello del suo popolo. Con una mossa a sorpresa, ma che a quel punto
era ormai obbligata, il 5 maggio 1990 si dichiarò pronto a legalizzare ed
a riconoscere 14 nuove formazioni politiche, ponendo fine al regime del
partito unico. In seguito alla revisione della Costituzione, fu introdotta
anche la figura del Primo Ministro. Tale carica venne affidata ad
Alassane Ouattara, un’economista che aveva ricoperto ruoli prestigiosi
all’interno del FMI. Questa nomina rifletteva l’ingerenza che le
istituzioni internazionali avevano sulla classe politica locale e inaugurava
il cosiddetto governo dei “F.M.I.’s boys”11 che avrebbe dovuto rilanciare
l’economia ivoriana.
Il 28 ottobre 1990, per la prima volta in trent’anni, Boigny aveva uno
sfidante nell’ambito delle elezioni presidenziali. Era Laurent Gbagbo,
che però ottenne solo il 18,3% dei voti. Boigny si assicurava altri cinque
anni di presidenza e anche di incontrastato dominio sulle opposizioni
quando, in occasione delle elezioni legislative del novembre 1990, il
PDCI si vide attribuire 163 seggi dei 175 disponibili in seno
all’Assemblea Legislativa 12. Al FPI di Gbagbo andarono soltanto nove
seggi, due agli indipendenti e uno al PIT13.
In un clima di così aperto rifiuto al suo regime personale, come spiegare
quello che in sostanza era dunque un plebiscito a favore di Boigny?
Sicuramente l’opposizione era troppo frammentata e disorganizzata,
ancora non pronta a sfidare una personalità del suo calibro:
probabilmente, se fosse intercorso più tempo tra il culmine della protesta
e la data delle elezioni, il corpo elettorale avrebbe avuto modo di
“affezionarsi” ad un nuovo candidato, di concedergli la fiducia
necessaria per governare il Paese; invece le forze di opposizione
preferirono non chiedere di rimandare le elezioni legalmente previste in
ottobre14, pensando di sfruttare a proprio vantaggio l’onda emotiva ed il
successo delle contestazioni.
Un’altra ipotesi da considerare è che il popolo non aveva smesso di
credere nell’uomo che aveva saputo “regalare” al paese un ventennio di
prosperità e stabilità: una volta dimostrata la sua disponibilità a
permettere la libera rappresentanza e il pluralismo politico, ed a garantire
11
M. F. Jarret, La Cote d’Ivoire. De la déstabilisation à la refondation; “Le gouvernement des
“F.M.I.’s boys”, paragrafo 3, capitolo 1.
12
Nonostante vi avessero preso parte diciotto formazioni politiche soltanto due, diverse dal
PDCI, trovarono posto in Parlamento. Di conseguenza numerose furono le accuse di brogli e
irregolarità che non portarono però ad alcuna verifica dell’autenticità dei risultati.
13
Partì ivoirien des travailleurs.
14
Non si trattava né di elezioni anticipate, né posticipate per la straordinarietà degli eventi. Sin
dal 1960 infatti, le elezioni presidenziali e legislative si svolgevano ogni 5 anni nei mesi di
ottobre o novembre.
tutte le libertà tipiche di uno stato democratico, Boigny riuscì facilmente
a recuperare il consenso popolare.
Una spiegazione certamente più razionale è fornita da Francis Akindes 15.
Egli sostiene che gli stranieri, affluiti in massa in seguito alla libera
circolazione voluta dallo stesso Boigny, non siano stati solo un fattore di
produzione ed uno strumento della crescita economica. Il plebiscito a suo
favore deve essere considerato anche in virtù dei voti che egli ha raccolto
tra i cittadini stranieri che continuavano a nutrire riconoscenza verso di
lui. Secondo il censimento del 1998 che, è opportuno sottolineare,
descrive un contesto totalmente diverso, in cui le porte agli immigrati
erano state chiuse da tempo, gli immigrati costituiscono oltre il 26%
della popolazione: ecco che la tesi di Akindes trova il suo fondamento.
15
The roots of the military -political crises in Cote d’Ivoire, capitolo primo.