Analisi di Rischio - Provincia di Siena

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Analisi di Rischio - Provincia di Siena
MICROCONTAMINANTI NELL’AREA CIRCOSTANTE IL NUOVO
TERMOVALORIZZATORE DI POGGIBONSI (SI)
Analisi di Rischio
Protocollo di Intesa per l’Attuazione del Piano di Monitoraggio
per l’Impianto di Termoutilizzazione di Pian dei Foci (Poggibonsi)
II Relazione
Prof. Dr. Eros Bacci
Ordinario di Ecotossicologia dell’Università degli Studi di Siena
Biologo, Libero Professionista
Via Lorenzo Lippi, 31
53034 - Colle di Val d'Elsa (SI)
Dr. Samantha Caneschi
Chimico, libero professionista
Via A. Pacinotti, 6
50051 - Castelfiorentino (FI)
Il nuovo impianto in fase avanzata di allestimento
8 luglio 2008
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INDICE
1. PREMESSA ..................................................................................................................... 3
2. IL NUOVO IMPIANTO: AREA DI RICADUTA ED EMISSIONI ATTESE .... 4
3. CONCENTRAZIONI DI PCDD/F ATTESE AL SUOLO ........................................ 7
4. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI ............................................................................ 8
5. BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................... 9
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1. Premessa
Il presente lavoro costituisce uno degli adempimenti richiesto durante la procedura di
Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) per il progetto di potenziamento dell’impianto di
incenerimento di rifiuti solidi urbani (RSU) ed assimilati ed attua un Protocollo concordato
con gli Organi di Controllo governativi, necessario anche al completamento delle
procedure di Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), come da D.Lgs. 59/2005 e
successive mm.ii.
Elementi di base sono i reperti ricavati dallo studio delle ricadute di microcontaminanti
inorganici (As, Cd, Pb, Hg) ed organici (IPA, PCB, PCDD/F) nell’area circostante il
termovalorizzatore di Pian de’ Foci (Poggibonsi, SI) nelle matrici suolo (superficiale: 0÷2
cm) e vegetali a fine ciclo (gennaio 2006; Bacci e Caneschi, 2006) ed i modelli previsionali
sulle ricadute delle emissioni in fase di vapore e gas, e di particolato prodotto da TerrAria
Srl di Milano (Maffei e Bossi, 2007).
Importante ricordare la potenza termica del nuovo complesso: 35 MW. Da questa dipende
la velocità di emissione dei reflui in aria e le conseguenti potenziali ricadute di
contaminanti ambientali.
Il monitoraggio dei macrocontaminanti non ha rivelato criticità importanti, neppure a
livello degli ossidi di azoto (NOx)
Il monitoraggio dei microcontaminanti ha permesso di verificare lo stato di contaminazione
nell’area circostante il vecchio termovalorizzatore di Poggibonsi. I risultati hanno
dimostrato come l’impatto delle ricadute di microcontaminanti inorganici ed organici sia
stato estremamente contenuto, grazie anche alla taglia dell’impianto (7 MWt). Il traffico
veicolare e una cabina di trasformazione della rete di distribuzione per l’energia elettrica
restituiscono tracce di policlorobifenili PCB e policlorodibenzo-p-diossine e furani
(PCDD/F), seppur lievi, dello stesso ordine di grandezza di quelle ritrovate in prossimità
dell’impianto. Le anomalie degli IPA sono state rilevate in corrispondenza di aree soggette
all’influenza del traffico veicolare.
L’assenza di “pericolo” profila una condizione classica di “no hazard – no risk”. Tuttavia,
in via cautelativa, si procederà alla valutazione dei rischi associati alla deposizione di
PCDD/F, ovvero “diossine” e composti simili, sulla base dei fattori di emissione di
progetto e dell’area di ricaduta del particolato a cui si possono associare le sostanze
semivolatili, come le diossine.
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2. Il nuovo impianto: area di ricaduta ed emissioni attese
L’integrazione del nuovo termovalorizzazatore con l’impianto di selezione e compostaggio
di Pian delle Cortine (già in funzione da tempo), costituisce la struttura cardine per
l’attuazione del Piano Provinciale senese di gestione dei rifiuti, andando a completare un
sistema integrato. Secondo il Piano, infatti, i rifiuti restanti dopo la raccolta differenziata,
previa ulteriore valorizzazione attuata nell’impianto di selezione di Pian delle Cortine,
vengono termicamente trattati per produrre energia.
La definizione delle componenti dell’impianto è stata effettuata sulla base dei criteri
generali stabiliti dal Piano, conformemente alle prescrizioni e indicazioni contenute nel
Piano Regionale di cui alla DCRT n° 88/98 pubblicata sul BURT n° 18 del 20/05/99 e
tenendo presenti i dati conoscitivi inerenti quantità e qualità dei materiali da trattare. Per
permettere l’attuazione del Piano Provinciale di gestione dei rifiuti, le tre linee di
termoutilizzazione a regime (le due esistenti più la nuova), dovranno essere in grado di
garantire una capacità termica complessiva media di circa 35 MW, di cui 7 sulle 2 linee
esistenti e i restanti 28 sulla nuova linea in progetto.
L’impatto sull’ambiente atmosferico generato dal nuovo impianto si può dividere in quello
dovuto all’immissione in atmosfera di macrocontaminanti ed ai rilasci di
microcontaminanti. Per quanto riguarda i macrocontaminanti, la componente degli ossidi
d’azoto è senz’altro quella più critica, per il livello di potenziale compromissione della
qualità dell’aria, per le tendenze in atto e per le nuove normative già in vigore. La
collocazione del nuovo impianto in un’area a medio-bassa pressione antropica agevola i
processi di dispersione dei macrocontaminati e permette un inserimento relativamente agile
in un contesto che non risentirà in misura apprezzabile delle nuove emissioni. Questo anche
in virtù della taglia dell’impianto, pari a circa 1/3 della taglia standard europea (100 MWt).
Per i microcontaminanti, si devono tenere sotto controllo soprattutto gli elementi in tracce e
i composti organoclorurati (Giesy & Kurunthachalam, 2002). Più che per la componente
macro, è stato a causa di quella micro che gli impianti di termodistruzione di RSU, anche
se con recupero di energia, hanno incontrato una lunga serie di difficoltà nel loro cammino
(Walsh, 2002).
Il limite della normativa europea per i composti organoclorurati attualmente in vigore è 0,1
ng/Nm3 (Direttiva 200/76 CE), dove 0,1 ng indica la somma di quantità “equivalenti” dal
punto di vista del potenziale tossico rispetto alla “diossina di Seveso”. Detta quantità dà la
International Toxic Equivalent Quantity, I-TEQ, che, riferita al volume di gas in uscita in
condizioni standard deve rispettare il limite di concentrazione stabilito in 0,1 ng/Nm3 ITEC (International Toxic Equivalent Concentration), come media calcolata sulla base di
6÷8 ore. Il basso livello di emissione fa sì che non sia sempre possibile misurare la
concentrazione di queste sostanze nell’aria, anche in prossimità di una sorgente di
contaminazione, anche per la presenza di fattori di disturbo prodotti dalla presenza di
sorgenti “non convenzionali” (ma ben note da tempo).
Approcci indiretti consentono di misurare non solo i livelli di emissione, ma anche quelli di
ricaduta al suolo (Meneses et al., 2002): ad esempio è noto come le foglie delle piante
superiori siano in grado di concentrare le clorodiossine da 100 milioni di volte in su (con
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valori crescenti con il grado di clorazione) rispetto all’aria circostante (Bacci et al., 1990;
Bacci et al., 1992). Ammesso che non sia possibile ridurre a valori trascurabili la
formazione di clorodiossine, operando sulla selezione dei rifiuti in ingresso, rimane il fatto
che questi composti, una volta immessi nell’ambiente con ciminiere di almeno 40 m di
altezza, sono sottoposti ad una forte diluizione nell’area di ricaduta.
La grande dispersione ne rende quasi sempre modesto l’impatto sul sistema naturale
(seppur sempre misurabile nei comparti ambientali di arricchimento), anche per i fenomeni
di fotodegradazione a cui vanno incontro i componenti con più elevato potenziale tossico
(McCrady & Maggard, 1993; Bacci, 1994).
Al camino, PCDD/F sono in parte associate al particolato ed in parte in fase di vapore. La
frazione in fase di vapore domina, particolarmente per i dibenzofurani, ed ha una migliore
dispersione ambientale. La parte associata al particolato (nel caso della “diossina” di
Seveso, meno del 10%, in media comunque meno del 50%; EPA, 2003) è quella più
soggetta a generare ricadute su scala locale, ovvero nelle immediate vicinanze
dell’impianto.
In via cautelativa si assumerà la metà del totale delle “diossine” sia associata a particelle
solide di media taglia (dell’ordine dei 50 µm di diametro), in grado di ricadere nell’area
individuata dai modelli CALPUFF (Figura 1; Maffei e Bossi, 2007).
Figura 1. – Distribuzione delle ricadute di particolato: previsione con il nuovo assetto impiantistico (Maffei e
Bossi, 2007).
Si tratta di una superficie di circa 10 km2, non inclusiva dell’area industriale che si trova a
lato del termovalorizzatore, in direzione NE (Figura 2). E’ ovvio che non necessariamente
tutto il particolato possa andare a cadere nell’area di cui alla simulazione, come è vero che
le diossine in fase di vapore avranno una dispersione su un’area molto più vasta.
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Figura 2. – L’area circostante gli impianti (freccia).
L’impianto di Poggibonsi, nelle condizioni di funzionamento previste, rispetterà le norme
nazionali e comunitarie. Il forno di progetto si manterrà ampiamente al di sotto dei limiti di
legge. Sulla base dei dati di progetto si possono calcolare le emissioni di “diossine” attese,
con gli impianti in condizioni di marcia a pieno regime (Tabella 1).
Tabella 1. - Portate linee fumi in condizioni di marcia a pieno regime.
Assumendo una concentrazione di PCDD/F pari al limite di legge, ovvero 0,1 ng/Nm3 (che
non deve essere superata nemmeno per brevi periodi, pena il fermo dell’impianto), si può
ritenere di prendere come vera una condizione che sovrastima le emissioni reali di un
fattore 2.
La velocità di emissione massima di PCDD + PCDF, sarà inferiore a 115.000 Nm3/h x 0,1
ng I-TEQ/Nm3 Æ 11.500 ng/h = 11,5 µg/h = 0,0115 mg/h. Tenendo conto di un fattore di
carico dell’impianto pari 0,9 e che, per mantenere le emissioni entro gli standard di legge la
media annua non può superare, di fatto, metà del limite di legge che fa riferimento ad una
finestra di tempo di 6÷8 ore. Ecco che 0,005 mg/h, ovvero 5.000 ng/h danno un valore più
prossimo alle condizioni reali. Di questi la metà si assumono essere associati al particolato
e, come tali, poter ricadere nell’area individuata dai modelli di previsione.
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3. Concentrazioni di PCDD/F attese al suolo
La “pioggia” di PCDD/F dovrà confrontarsi con i livelli ambientali diffusi, trattandosi di
sostanze che hanno diffusione globale. Livelli di diossine sono normalmente presenti in
suoli, sedimenti, vegetali, animali, ma in tracce minime (dell’ordine di 10-13 g/g e meno).
Nella figura che segue lo schema per il calcolo degli effetti delle ricadute al suolo.
Figura 3. – Modello concettuale per la valutazione degli effetti delle immissioni di PCDD/F.
La concentrazione al suolo nell’area a maggior impatto, dopo un anno di deposizioni,
secondo il modello concettuale di cui sopra, sarebbe pari a 0,026 ng I-TEQ/kg.
Il che significa che per raggiungere il livello che chiama la bonifica dei suoli nei siti ad uso
industriale secondo la normativa dell’Unione Europea (100 ng I-TEQ/kg), sarebbero
necessari poco meno di 4.000 anni.
Un modello applicato per un “inceneritore” di taglia quasi doppia (65 MWt; il cosiddetto
“cogeneratore di Scarlino”) ha previsto livelli di deposizione al suolo nell’area di maggior
impatto (sino a 2 km di distanza dai camini) dell’ordine di 1 pg/(m2 a; Giombini, 2007). Si
tratta di un valore di venti volte più piccolo di quello qui impiegato e, probabilmente,
vicino al vero.
Ammesso che, in condizioni di caso peggiore, si verificassero deposizioni annue
dell’ordine di 25 pg/m2, l’anno successivo una parte di diossine andrebbe comunque
incontro a fotodegradazione e rimobilizzazione in fase di vapore, particolarmente efficace
per i PCDF meno clorurati e le PCDD più leggere: proprio quelli che includono le
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componenti più tossiche. In venti anni di esercizio gli incrementi di livello di PCDD/F al
suolo non potranno che essere inferiori a 0,5 ng I-TEQ/kg, spostando le problematiche
dalla tossicologia alla ricerca scientifica di base in materia di destino ambientale di
contaminanti in ultra-tracce.
4. Discussione e Conclusioni
Il monitoraggio ha prodotto un quadro dello stato attuale dei luoghi che rivela un basso
livello di contaminazione. Sulla base dei dati di progetto, delle proprietà partitive delle
sostanze e degli esiti della modellazione delle ricadute, si è prodotta una valutazione dello
stato di contaminazione atteso al suolo per la componente PCDD/F. I risultati sono
estremamente confortanti: i livelli di diossine attesi nel suolo (tipico comparto di accumulo
per questo tipo di contaminanti) sono trascurabili. La probabilità che, in futuro, la messa in
servizio del nuovo “inceneritore” possa far peggiorare il quadro della contaminazione
attuale da PCDD/F è inconsistente (Hassanin et al., 2006). La sintesi di PCDD/F “de novo”
nei termovalorizzatori è legata alla presenza di sostanze putrescibili in ingresso, dalle quali,
in presenza di cloro organico, si possono formare furani e diossine in quantità importanti. Il
cloruro di rame di seconda formazione durante i processi di combustione ha dimostrato un
ruolo, come catalizzatore, nella formazione di dibenzofurani e diossine, partendo anche da
sostanza organica non clorurata (Ryu et al., 2006), rimanendo la sostanza organica
clorurata sempre un fattore scatenante della sintesi di diossine.
Negli ultimi due decenni i nuovi forni, la mutata gestione e soprattutto il controllo di
qualità dei rifiuti in ingresso ha fortemente mutato il quadro d’insieme relativo al problema
“diossina” (McKay, 2002; Pirard et al, 2005; Domingo et al, 2001). Recenti studi hanno
rimostrato, ancora una volta, come vivere in prossimità di un inceneritore non dia
incrementi di PCDD/F nelle persone né nei principali comparti ambientali (Reis et al.,
2007).
Il trend mondiale, in materia di PCB e PCDD/F, è orientato verso un significativo recupero
rispetto ai picchi “storici” a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta (Zennegg et al., 2007;
Raab et al., 2007). Allo scopo si veda, a titolo di esempio, lo studio di Zennegg e coll.
(2007), condotto su una carota di sedimento del lago Greifensee (nei dintorni di Zurigo,
Svizzera), prelevata con carotiere a gravità e sezionata per strati di 1 cm, datati mediante il
dosaggio dell’isotopo radiattivo 137Cs. Come si vede in Figura 4, un picco che si avvia nella
seconda metà degli anni ’40 e raggiunge il colmo sul finire degli anni ’60. Poi il crollo
dagli anni ’80 ad oggi.
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Figura 4. – Andamento dei livelli di PC e PCDD/F nei diversi livelli, datati, dei sedimenti del Greifensee
(Lago a circa 10 km da Zurigo, CH).
Molto probabilmente l’eliminazione dei PCB dagli oli dielettrici, insieme con le
restrizioni all’impiego del pentaclorofenolo (nei conservanti del legno) ed
insieme alla riduzione delle emissioni di PCDD/F dal traffico veicolare, hanno
avviato una importante fase di recupero, avendo drasticamente ridotto quelle
che rappresentavano le sorgenti di contaminazione da PCDD/F più importanti.
I dati di monitoraggio e le considerazioni sui livelli di emissione e ricaduta
danno luogo ad un quadro di contaminazione che non è sostanzialmente
distinguibile dal fondo diffuso, condizione che rende non necessaria un’analisi
dei rischi sanitari.
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