Lampi di jeitinho Lo chiamano “jeitinho” il modo

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Lampi di jeitinho Lo chiamano “jeitinho” il modo
Lampi di jeitinho
Lo chiamano “jeitinho” il modo alla brasiliana di affrontare le
situazioni e risolvere i problemi. Un misto di genialità,
improvvisazione, furbizia, approssimazione. Un qualcosa di
simile all’arte innata della sceneggiata napoletana: uno spirito
che si impossessa delle persone e ne dirige le azioni. Se vuoi
vivere in Brasile devi imparare a riconoscerlo, accettarlo e
praticarlo.
Dopo dieci ore di aereo e una di bus, arrivo all’ostello di
Maceiò, che cade a pezzi. La città non offre niente di
interessante, almeno nella zona di Ponta Verde dove c’è
l’ostello. Mi si è rotta la zip della valigia. Ce n’è abbastanza per
decidere di non fermarmi i due o tre giorni preventivati e
ripartire invece il mattino seguente appena alzato. In ostello c’è
un cartello con gli orari dei bus, ma per sicurezza mi faccio dare
il numero di telefono della rodoviaria (la stazione dei bus) dove,
ovviamente, non risponde nessuno.
Così il mattino dopo alle 7.40 arrivo in rodoviaria e mentre
faccio la fila per comprare il biglietto, leggo il cartello degli orari
e realizzo che il mio bus parte quindici minuti prima dell’orario
riportato in ostello. Il bigliettaio mi dice che il bus ormai è
partito anche se mancano due minuti. Il prossimo è tra due ore,
ma fa tutte le fermate. Il prossimo diretto è tra quattro ore.
Disperato esco subito a cercare se c’è un’altra compagnia che mi
porta a Recife. Mi ci vuole un minuto a girare i botteghini e
realizzare che non c’è un altro autobus. In compenso c’è ancora
quell’autobus. Grido al conducente che si sta preparando a
salire in vettura, lui riconosce il gringo, ed ecco che gli scatta il
jeitinho e il suo volto si illumina. Il conducente fa per
accompagnarmi a passo svelto alla biglietteria, “rapido, rapido,
que vamo embora”, invece girato l’angolo torna verso l’autobus,
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mi chiede i cinquanta reais del biglietto, fa un cenno d’intesa al
collega che imbarca le valigie e mi fa salire sul pulmann mezzo
vuoto senza biglietto. Lui si intasca cinquanta reais in nero, io
non devo aspettare quattro ore in stazione. Pronto.
Bali – centro
Diciamocelo subito: Bali non è sto meraviglioso posto che tutti
dicono. E non lo è sia che andiate nell’iper turistica spiaggia di
Kuta, bella solo al tramonto quando la bassa marea lascia ampio
spazio per le passeggiate, o nella più tranquilla Ubud (talmente
tranquilla che alle nove di sera non c’è più niente di niente da
fare, du’ ball insomma), venduta come la vera Bali, ma manco a
dirlo popolata al 90% da turisti. Dovunque sarete, avrete presto
due bali così della gente che ogni minuto vi offrirà,
insistentemente, qualcosa. Lasciate quindi perdere la leccata
Nusa Dua o l’insipida Sanur, vi rimane Dreamland, un posto da
sogno sì, ma solo se vi piace surfare. In realtà l’unico modo per
godere le bellezze dell’isola è noleggiare un motorino, uscire
dalle città e andare in campagna alla ricerca di quei piccoli
momenti quotidiani, quei pezzi di trans de vie, che fanno di Bali il
meraviglioso posto che tutti dicono.
Nell’assoluta unicità della vita di quest’isola rispetto al resto
dell’Indonesia, fa in parte eccezione il cibo. Non c’è molto di
autenticamente tipico nella cucina balinese, ma siccome le
specialità indonesiane sono da leccarsi i baffi, beh difficilmente
potrete andarvene dall’isola e dire di avere mangiato male. A
partire dalla colazione, cosa che inusuale rispetto al resto
dell’Asia, viene fornita anche nella più basic delle guesthouse e
consiste in un thermos di tè o bali coffee (fidatevi meglio il tè),
una bella crèpe e tanta frutta fresca. Tra le specialità endemiche,
la più rinomata è il salak, marrone fuori e dalla succosa polpa
bianca all’interno, like a pear-like flavor. Il posto dove
consumare il pranzo sono i warungs, quei carrettini a tre ruote
spinti a mano da ragazzi, che vengono chiamati dai locali kaki
lima, che significa cinque gambe. Qui se volete andare sul sicuro
chiedete il piatto nazionale indonesiano, il nasi goreng, riso fritto
con pezzi di carne trita, gamberetti e uova, oppure il Gado-gado,
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che oltre ad avere un nome ganzo è più nutriente, essendo
un’insalata (javanese) di patate e verdure varie, affogata in salsa
d’arachidi. Sfiziosi anche i satè, carne (generalmente pollo),
marinata e impalata in spiedini di palma di cocco, grigliata
davanti ai vostri occhi e pucciata in una salsa di arachidi
piccante. Il satè balinese è generalmente fatto con l’aggiunta di
cocco gratinato. Per merenda dovete provare finalmente
qualcosa di tipico, uno snack chiamato tupac . Trattasi di riso
con tofu, spinaci, e la solita salsa di arachidi, impacchettato in
foglie di cocco.
A cena è finalmente arrivato il momento di degustare le vere
specialità locali. Sono due quelle che non si possono perdere: il
Babi Guling e il Bebek Betutu. La prima è un maialino da latte
grigliato che richiede una lunga preparazione, tanto che va
ordinato un giorno prima, mentre il Betutu altro non è che
l’anatra marinata con differenti erbe e spezie, chiusa in foglie di
banano e cucinata a fuoco basso. Altre specialità sono il Lawar,
maiale con cocco e spezie varie, che se vedete particolarmente
rosso significa che è stato preparato usando sangue fresco e
l’Ayam batutu, pollo ripieno alla griglia, servito con verdure,
tapioca e l’onnipresente noce di cocco. E per dessert Bubuh Injin,
riso glutinoso, servito caldo in salsa dolce di palma da zucchero
e crema di cocco.