L`aggravante del “professionista” nei reati tributari ex art. 13

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L`aggravante del “professionista” nei reati tributari ex art. 13
L’aggravante del “professionista” nei reati tributari
ex art. 13-bis del D.Lgs. n. 74/2000
Milano, 10 Marzo 2016
La revisione del sistema sanzionatorio tributario, attuata mediante il
D.L.gs. n. 158 del 24
settembre 2015, ha introdotto nel D.Lgs. 74/2000 l’art. 13-bis, rubricato “Circostanze del reato”.
La norma prevede, al terzo comma, una specifica aggravante per il concorso del professionista nel
reato tributario:
“ 3.Le pene stabilite per i delitti di cui al titolo II sono aumentate della metà
se il reato è commesso dal concorrente nell'esercizio dell'attività di consulenza
fiscale svolta da un professionista o da un intermediario
finanziario
o
bancario attraverso l'elaborazione o la commercializzazione di modelli di
evasione fiscale.”
La relazione introduttiva dice poco o nulla….
Si tratta di un’aggravante ad effetto speciale, in quanto prevede un aumento della pena pari
alla metà.
Tuttavia, si ritiene che attraverso tale norma si sia operato un eccesso di delega rispetto a quanto
prescritto nella legge n. 23/2014, sia perché il legislatore delegante non aveva contemplato alcuna
aggravante per il concorso di soggetti qualificati, sia perché ciò comporta un rilevante aumento
della sanzione.
In merito a quest’ultimo profilo, occorre, infatti, sottolineare che l’art’8 della legge n. 23/2014,
delegava il Governo “…a procedere…alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario
secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti,
prevedendo: la punibilità con la pena detentiva compresa fra un minimo di sei mesi e un massimo
di sei anni…”.
Alla luce della nuova disposizione, dunque, si determina il superamento della soglia massima di
pena prevista dal delegante per i delitti di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri
documenti per operazioni inesistenti (art 2), dichiarazione fraudolenta mediane altri artifici (art. 3),
emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8), occultamento o distruzione
di documenti contabili (art. 10) e indebita compensazione (art. 10-quater, 2° comma), che adesso
risultano dunque puniti con pena massima di 9 anni.
La questione era stata posta durante i lavori parlamentari, ma la relativa obiezione era stata superata
facendo riferimento a quella giurisprudenza penalistica che scinde in due parti la fase della
applicazione concreta della pena: la pena effettiva, cui deve fare riferimento la delega, viene scelta
ed applicata nella prima fase in cui il Giudice sceglie la pena entro i limiti edittali e solo, ed
eventualmente, in un secondo momento, applica l’aggravante: la giustificazione a noi non sembra
appagante, perché appare un sofisma per superare il limite posto dalla delega, atteso che lo
strumento della aggravante ad effetto speciale si atteggia in maniera differente rispetto a quella ad
effetto comune (ad esempio, quando essa rileva per l’applicazione o meno di certi istituti più
favorevoli per il reo).
Dal punto di vista strutturale, l’aggravante di nuovo conio rappresenta un’ipotesi di “concorso
qualificato”, relativo a condotte che, in realtà, erano già punibili – e punite - a titolo di concorso
“ordinario” ex 110 c.p.; la peculiarità sta nel condizionare l’applicabilità della circostanza alla
sussistenza di due presupposti, l’uno soggettivo e l’altro oggettivo.
Quanto al primo, soggetti attivi sono solo il “professionista, l’intermediario finanziario o
bancario”.
A tal proposito, all’indomani dell’entrata in vigore della disciplina, in dottrina si è discusso sulla
nozione di “professionista” ed, in particolare, se questa comprenda esclusivamente i soggetti di cui
all’art. 7 della D.Lgs. 241/19971 e cioè i soggetti abilitati dall’agenzia delle Entrate alla
1
"Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul
valore aggiunto, nonché' di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni"
Art. 7- Presentazione delle dichiarazioni: “…2. Ai soli fini dell'applicazione del presente articolo si considerano
soggetti incaricati della trasmissione della dichiarazione:
a) gli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali e dei consulenti del lavoro;
b) i soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio,
industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in
economia e commercio o equipollenti o di diploma di ragioneria;
c) le associazioni sindacali di categoria tra imprenditori indicate nell'articolo 78, commi 1, lettere a) e b), e 2, della
legge 30 dicembre 1991, n. 413, le quali possono provvedervi anche a mezzo di altri soggetti, individuati con decreto
del Ministro delle finanze.
d) i centri autorizzati di assistenza fiscale per le imprese e per i lavoratori dipendenti e pensionati...”
presentazione delle dichiarazioni o, piuttosto, ciascun soggetto che svolge attività di consulenza
fiscale.
Allo stato, secondo quanto chiarito dall’Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione
nella relazione III/5/2015 sulla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario, la nozione di
“professionista” deve essere intesa “in senso sostanziale” e, dunque, comprensiva di chiunque,
nell’esercizio della sua professione, svolge attività di consulenza fiscale (commercialisti, consulenti,
avvocati e così via).
In merito al secondo presupposto, è richiesta una particolare modalità della condotta, ovverosia
la “serialità” che, se pur non prevista espressamente nell’articolo, è desumibile dalla locuzione
“…elaborazione o commercializzazione di modelli di evasione…”, rappresentativa di una certa
abitualità, ripetitività della condotta incriminata; d’altronde nella scarna parte della Relazione
Illustrativa dello schema di decreto viene utilizzato l’aggettivo “seriale”, a conferma della
necessarietà che la condotta in argomento assuma il carattere della riproducibilità in futuro.
Quanto al concetto di “modelli di evasione”, la norma nulla specifica a riguardo; tuttavia, poiché
questi sono oggetto di una condotta “seriale”, si potrebbe sostenere che rappresentino forme di
evasione particolarmente complesse ed elaborate replicabili in più casi analoghi.
Alla luce di quanto esposto fino ad ora appare evidente che la formulazione dell’art. 13-bis, 3°
comma risulti alquanto generica e ciò si traduce, inevitabilmente, nella non sufficiente
determinatezza della norma incriminatrice.
All’interprete è, pertanto, rimessa l’individuazione dell’esatto perimetro della nuova circostanza, sia
con riferimento alla nozione di “professionista” e di “svolgimento di attività di consulenza fiscale”,
sia con riferimento alla qualificabilità della condotta come “seriale” e, dunque, alla replicabilità del
modello di evasione, elementi che andranno, tutti, vagliati, di volta in volta, nel singolo caso
concreto.
Procediamo, ora, ad esaminare l’ambito di applicazione della disciplina.
a) Ambito di applicazione oggettivo:
E’ applicabile a tutti i reati previsti e puniti dal D.Lgs. n. 74/2000, tuttavia, in concreto appare
difficile immaginare una sua operatività per i reati di omesso versamento di ritenute ed IVA,
attagliandosi certamente di più ai reati di frode fiscale.
b) Ambito di applicazione soggettivo:
Si applica a tutti i compartecipi e, dunque, anche al contribuente, se questi abbia conosciuto
ovvero ignorato per colpa o ritenuto inesistente per errore determinato da colpa la “serialità” della
condotta del professionista, secondo la regola generale di cui all’art. 59, 2° comma c.p.2
In definitiva, mediante l’introduzione dell’aggravante de qua, il legislatore tenta di rispondere
all’esigenza di “punire” il professionista che, in virtù delle sue conoscenze specifiche e tecniche,
contribuisce in modo rilevante alla commissione di reati tributari particolarmente complessi, quali
quelli di frode fiscale, ponendo tuttavia dei paletti di tipicità di non certa interpretazione.
Per la verità, la giurisprudenza di legittimità aveva già risposto all’esigenza di punire il
professionista che concorreva con il contribuente nella commissione del reato tributario,
ammettendo espressamente la sua punibilità ai sensi dell’art. 110 c.p..
In particolare, il professionista può essere chiamato a rispondere nei casi in cui abbia dato, con
coscienza e volontà, un contributo morale o materiale alla commissione del reato da parte del
contribuente, che rimane l’unico destinatario dell’obbligo tributario.
Vieppiù, mette conto di evidenziare la più recente tendenza della Suprema Corte consistente
nell’estendere la punibilità del commercialista anche al caso in cui “…seppure non
responsabile dell'omissione dei versamenti di imposte…egli aveva modo di verificare…che i
versamenti di imposte non vi erano stati…”3, riconoscendogli in tal modo una sorta di posizione
di garanzia, con ciò eliminando ogni ipotesi di connivenza non punibile.
Piuttosto, dunque, di introdurre una nuova fattispecie circostanziale, di incerta perimetrazione
quanto alla determinazione del fatto tipico, si sarebbe potuto creare una nuova fattispecie di reato
proprio, strutturata ad hoc per il consulente fiscale, tipizzata nei suoi elementi oggettivi e
soggettivi e, soprattutto,
consulenza fiscale,
che tenesse in doveroso conto le peculiarità dell’attività di
così da evitare un’eccessiva esposizione del professionista alla
responsabilità penale.
Avv. Marco Franco
2
Circostanze non conosciute o erroneamente supposte: “….Le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico
dell'agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa
…"
3
Cfr. Corte di Cassazione, III sez. penale, sent. n. 1933/2015 , in cui si riconosce il contributo del professionista per
essere stato il consulente fiscale e tenutario delle scritture contabili della società cartiera