la costruzione dell`intelligenza nell`interazione sociale

Transcript

la costruzione dell`intelligenza nell`interazione sociale
Edizioni Carlo Amore è un marchio di Firera & Liuzzo Group
© 2008 - Firera & Liuzzo Group
Via Boezio, 6 - 00193 Roma
www.fireraliuzzo.com
ISBN: 978-88-87958-55-3
Titolo dell’opera originale: La construction de l’intelligence dans l’interaction sociale.
© 1995 Peter Lang - Berne (Switzerland)
Firera & Liuzzo Group è un membro di
Anne-Nelly Perret-Clermont
LA COSTRUZIONE DELL’INTELLIGENZA
NELL’INTERAZIONE SOCIALE
Edizione italiana a cura di Antonio Iannaccone
InDICE
Presentazione:
Conflitti, contraddizioni e tensioni. La ricerca delle dimensioni
sociali dell’attività cognitiva
Antonio Iannaccone
7
Prefazione all’edizione italiana
Anne-nelly Perret-Clermont
17
1 Fattori sociali e sviluppo cognitivo
23
2 La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto dell’interazione
sulla strutturazione individuale: prima ricerca
51
3 La conservazione delle quantità di liquido e l’effetto dell’interazione
sulla strutturazione individuale: seconda ricerca
79
4 La conservazione del numero e l’effetto differenziale della
competenza iniziale dei soggetti
125
5 Imparare con i novizi
151
6 Per una prospettiva sociologica
171
7 Testiamo competenze cognitive?
189
8 L’adulto, il compagno e il compito: nuove direzioni di ricerca
205
Bibliografia 225
PRESENTAZIONE
Conflitti, contraddizioni e tensioni. La ricerca delle
dimensioni sociali dell’attività cognitiva.
Antonio Iannaccone
Quando, non molto tempo fa, ho avuto l’onore di poter redigere, con Anne-Nelly Perret-Clermont, il contributo “Le tensioni delle trasmissioni culturali: c’è spazio per
il pensiero nei luoghi istituzionali dove si apprende?”1, dal titolo che vorrei definire “intrigante”, tutta la vicenda scientifica dell’Institut de Psychologie (già Séminaire de
Psychologie) mi è apparsa come un percorso continuo e omogeneo. In particolare la
nozione di “tensione nei processi di pensiero e di apprendimento” che Anne-Nelly Perret-Clermont aveva recentemente discusso2, rappresentava una sorta di filo rosso che
teneva insieme tutte le “stagioni” scientifiche che quella feconda istituzione aveva fino
a quel momento vissuto.
L’idea che la “tensione” possa contribuire alla spiegazione dei processi di apprendimento, come dimostrerà agevolmente la lettura del volume che ho il piacere di presentare qui, rappresenta una significativa intuizione scientifica, inizialmente emersa
alla metà degli anni settanta in quello straordinario laboratorio di idee che fu l’entourage piagetiano e giunta fino ad oggi ben lontana dall’avere esaurito la sua portata
euristica.
In tal senso, fin dagli anni ‘70, la teoria piagetiana, prepotentemente egemone
nella spiegazione dello sviluppo cognitivo, esplorava la nozione di conflitto “cognitivo”, individuandola come uno degli elementi promotori dello sviluppo della mente3.
Sistematicamente, nel contributo di Inhelder e collaboratori (1974), prendeva forma il
tentativo di verificare empiricamente l’idea che la necessità di ricomporre i disequilibri
indotti dalla esperienza con il contesto costituisse, per l’individuo, uno degli induttori
centrali del cambiamento cognitivo. In questa prospettiva, le resistenze del contesto
(intese come situazioni “inattese” o “incompatibili” rispetto agli schemi cognitivi individuali) avrebbero provocato conflitti ed una conseguente necessità adattiva. La tensione fra il modo di concepire e (pre)vedere il mondo e le caratteristiche del mondo stesso
nel momento in cui esso viene integrato in una qualche forma di attività cognitiva,
avrebbero indotto l’individuo, secondo Inhelder e collaboratori, ad un ristrutturazione
progressiva del proprio sistema di pensiero, spingendolo a rendere le spiegazioni di ciò
7
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
che gli accadeva più congrue agli eventi. Da un punto di vista a tratti comparabile con
quanto aveva sostenuto Festinger a proposito della “dissonanza”, tale dinamica adattiva
avrebbe “ridotto la tensione” originata da una percepita inadeguatezza degli schemi
cognitivi, dando all’individuo una sensazione di maggiore stabilità e coerenza, in altre
parole un nuovo equilibrio4. Attraverso questo genere di ricerche, in quegli anni, la
nozione di “conflitto” entrava di diritto nella spiegazione dello sviluppo e dei processi
di apprendimento. Essa costituiva, da angolazioni diverse, una alternativa “forte” a certi
aspetti discutibili delle spiegazioni che tradizionalmente venivano proposte per rendere
conto dell’apprendimento. In modo particolare tale nozione destabilizzava alcuni elementi teorici tipici delle prospettive di tipo comportamentista. In effetti la psicologia
behaviorista, pur nella pluralità di forme che la caratterizzava, sovrastimava, nella spiegazione dello sviluppo e dei processi di apprendimento elementi come il rinforzo, il
controllo degli impulsi, l’osservazione di un modello. Diversamente da ciò, i modelli di
apprendimento basati sul conflitto enfatizzavano, chiaramente, il ruolo dell’individuo
che, non solo veniva postulato come “attivo esploratore” del contesto che lo circondava, ma anche come essere capace di adattare, a tale scopo, il suo modo di interagirvi
trasformando progressivamente la logica delle sue azioni. In tal senso, la riduzione
della tensione conflittuale non rappresentava un evento di “scarica energetica”, ma
corrispondeva alla messa in atto di specifiche strategie di soluzione che integravano gli
elementi dell’ambiente in una visione complessiva e contestuale5 dell’attività cognitiva
dove evidentemente rimaneva poco posto per l’idea di un individuo modellato, in
modo più o meno passivo, da rinforzi positivi e negativi.
Negli stessi anni nei quali andava affermandosi questa concezione di conflitto cognitivo, emergeva, anche questa volta nell’entourage piagetiano, una nuova spiegazione
(e per certi versi concorrente) dello sviluppo cognitivo e dei processi di apprendimento
in relazione alle dinamiche conflittuali.
Prendeva corpo, a partire da interessanti proposte teoriche e da numerose ricerche
di sostegno, la corrente definita “psicologia sociale genetica”, finalizzata alla dimostrazione del ruolo centrale che le interazioni sociali assumerebbero nello sviluppo cognitivo
(Mugny 1985).
In effetti, nel raffinato modello piagetiano, nel quale le interazioni sociali e l’esperienza avevano rivestito, in diversi momenti, un ruolo più o meno rilevante, un gruppo
di ricercatori decisamente orientati al costruzionismo sociale, inauguravano una prospettiva teorica e di ricerca destinata, nel ventennio seguente, a marcare fortemente il
panorama della psicologia dello sviluppo. Si trattava di Anne-Nelly Perret-Clermont,
Willem Doise e Gabriel Mugny. In particolare, in due significativi contributi, ormai
dei classici del costruzionismo sociale dello sviluppo,6 tradotti in varie lingue e largamente noti fra quanti si occupano dello sviluppo cognitivo, i ricercatori difendevano
la tesi che la genesi delle operazioni mentali sarebbe in realtà una vera e propria sociogenesi.
Il conflitto cognitivo diveniva, in questa prospettiva, un conflitto necessariamente
“socio-cognitivo”. L’idea “forte” era quella di studiare, in modo empirico, l’impatto
delle interazioni sociali (e nello specifico il confronto di punti di vista opposti sostenuti da attori impegnati in un particolare contesto sociale) sul pensiero logico, facendo
l’ipotesi che il meccanismo di “cambiamento evolutivo” nella logica mentale avesse a
8
Presentazione
che fare proprio con tali processi comunicativi e di adattamento interpersonali, tipici
delle situazioni quotidiane7.
Si trattava della presa di coscienza del fatto che i conflitti che i bambini sperimentano nella vita quotidiana non possono essere ricondotti al rapporto “in solitudine” fra
l’individuo ed il mondo fisico nel quale essi agiscono8. In effetti, come poi documenterà ampiamente anche la letteratura etnografica sul comportamento sociale dei bambini
(Corsaro, 1997), non deve essere stato difficile immaginare, proprio in quel preciso
momento della storia della psicologia, che una consistente parte dell’attività cognitiva
potesse essere impegnata (e modulata) nella regolazione di interazioni sociali e che da
queste nascesse la necessità stessa dello sviluppo della mente.
Molte ricerche in quegli anni mostravano, infatti, come nelle situazioni di vita
quotidiana la contrapposizione di punti di vista apparisse molto frequente, se non addirittura una costante del mondo sociale del bambino (vedi, per un’approfondita analisi Emiliani e Carugati, 1985). Si faceva riferimento a quelle situazioni nelle quali i
bambini vengono chiamati a condividere (e/o appropriarsi di) oggetti significativi (come i giocattoli), a contendersi affetti, a stabilire forme di leadership, ecc.
Tutto questo, ed i ricercatori se ne rendevano conto sempre di più, non poteva che
realizzarsi attraverso complesse mediazioni comunicative e specifici elementi di supporto strategico alle rivendicazioni e alla gestione dei conflitti. Si trattava, da un certo
punto di vista, di complicate sollecitazioni delle competenze cognitive e di situazioni
nelle quali si poteva assistere all’acquisizione, molto rapida, di pattern di comportamento che richiedevano nuove forme di attività logica.
In altre parole, il passaggio dalla nozione di conflitto a quella di conflitto sociocognitivo, operata dal costruzionismo sociale dello sviluppo, consentiva finalmente di
spiegare i meccanismi sottostanti lo sviluppo limitando significativamente le astrazioni
e le generalizzazioni che ripetutamente venivano imputate al modello piagetiano. D’altra parte, se le ricerche di tipo osservativo avevano messo in evidenza questa presenza
costante di modalità negoziali nel mondo sociale quotidiano dei bambini, il momento
appariva particolarmente propizio per “restituire” la sua autentica natura intersoggettiva alla nozione di conflitto come “motore” del cambiamento cognitivo.
Dunque, come il volume qui presentato dimostrerà generosamente, sarà proprio il
costruzionismo sociale genetico, attraverso l’operazionalizzazione della nozione di conflitto socio-cognitivo, a fornire una nuova ed interessante dimostrazione di come questi
aspetti di contrapposizione dei punti di vista, tipici della vita sociale e delle forme di
regolazione dei rapporti interpersonali quotidiani, potessero costituire un elemento
fondante di una spiegazione dello sviluppo cognitivo più “naturale”9 di quella avanzata
nel quadro dell’ortodossia piagetiana.
Nelle pagine che seguono, il contributo di Anne-Nelly Perret-Clermont, mostra
inequivocabilmente come, uno degli aspetti “forti” del riconoscimento scientifico della
nozione di conflitto socio-cognitivo sia stata proprio la capacità di analizzare questa
nozione attraverso un solido impianto metodologico. Ciò che determinò il successo
della nozione di conflitto socio-cognitivo non fu solo l’intuizione della natura “sociale”
della mente, sostenuta da altri ricercatori in varie altre occasioni, ma la chiara dimostrazione empirica del suo funzionamento e della sua potenza in termini di sollecitazione
delle strutture cognitive.
9
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
In effetti, le ricerche che vengono comunemente definite “prima generazione di
studi sul conflitto socio-cognitivo” (Iannaccone, 1992; Zittoun 1997) venivano realizzate, quasi esclusivamente, in un setting sperimentale che utilizzava le consolidate prove
piagetiane (specialmente quelle di conservazione della sostanza) ed in riferimento ad
un modello empirico semplice e rigoroso: si trattava della sequenza pre-test, fase di interazione, post-test, che vedeva impegnati i soggetti, prima individualmente, poi in interazione, ed infine di nuovo individualmente10. Per escludere effetti sperimentali attribuibili a dinamiche di familiarizzazione con le prove o ad altre variabili non previste,
nella maggior parte dei casi il ruolo dell’interazione veniva altresì stimato in riferimento a gruppi di controllo che partecipavano esclusivamente alle fasi di pre-test e di posttest oppure a forme di interazione con caratteristiche diverse.
Accanto al rigore metodologico i risultati di questa vera e propria impresa scientifica, che ha visto coinvolti numerosi ricercatori e sollecitato un gran numero di repliche e verifiche in diversi Paesi, sono apparsi, fin dal primo momento, di straordinaria
portata e suscettibili di rivoluzionare, fra l’altro, alcune idee considerate come fondamenti delle concezioni educative dell’epoca.
Come Anne-Nelly Perret-Clermont mostra nel volume, il modificarsi repentino
delle strutture cognitive sotto la pressione delle situazioni di conflitto socio-cognitivo
poneva, ad esempio, una serie di problemi al modello piagetiano ma soprattutto domandava una seria revisione del rapporto fra apprendimento e sviluppo. Innanzitutto
sorprendeva la rapidità con la quale i bambini sembrano manifestare le caratteristiche
salienti del pensiero operatorio come conseguenza di una breve interazione e ciò appariva abbastanza incongruo rispetto a quei modelli che, in gran parte, descrivevano
l’evoluzione della mente come conseguenza di esperienze reiterate e caratterizzata da
inevitabili fasi intermedie. D’altra parte i risultati di ricerche, come quelle documentate
da La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale, mostrando come certe forme
di interazione sociale avessero un chiaro effetto di apprendimento11, mettevano anche
in discussione la convinzione consolidata che l’insegnamento fosse vincolato alle tappe
maturative della mente. Intorno a questa idea iniziava probabilmente, quello che si
rivelerà come un incontro fecondo fra psicologia sociale genetica e prospettiva storicoculturale dello sviluppo.
Alcune delle idee centrali di Vygotskij, come quella di Zona di Sviluppo Potenziale
e del ruolo preminente delle interazioni sociali nello sviluppo cognitivo, offriranno
agli studiosi del conflitto socio-cognitivo possibilità complementari di spiegazione dei
fenomeni osservati12. Da questo punto di vista i lavori prodotti nel corso degli anni
dall’equipe di ricerca diretta da Anne-Nelly Perret-Clermont hanno presentato diversi
elementi che si riveleranno in qualche modo complementari alle idee sviluppate, all’interno della cosiddetta corrente “neovygotskiana” (Cole, Rogoff, Wertsch, etc.). Molti
di questi elementi hanno contribuito alla riformulazione concettuale del rapporto fra
attività cognitiva e contesto.
Innanzitutto la nozione di “connotazione sociale”, le cui analisi sono state condivise da molti altri ricercatori13, che rispondeva all’esigenza di “situare”14 l’attività cognitiva
e le dinamiche conflittuali responsabili delle ristrutturazioni cognitive. In effetti non
molto tempo dopo le prime ricerche sul conflitto socio-cognitivo, diversi ricercatori,
ed Anne-Nelly Perret-Clermont in modo particolare, cominciarono ad interessarsi di
10
Presentazione
quelli che inizialmente apparivano come “moderatori” delle situazioni di interazione.
Bastava, ad esempio, che lo sperimentatore si appellasse ad una norma sociale condivisa (avete entrambi collaborato bene alla nostra ricerca dunque avete diritto alla stessa
ricompensa15) perché le successive interazioni ne venissero influenzate aumentando significativamente la probabilità che i bambini acquisissero, nel corso della prova, il
concetto di conservazione della sostanza (Nicolet, 1995). I risultati di queste ricerche e
l’analisi dettagliata delle interazioni sociali osservate, condussero progressivamente ad
una rivisitazione della nozione stessa di contesto. L’idea di “contesto come moderatore”
appariva, infatti, insufficiente a rendere conto di ciò che avveniva nelle situazioni di
interazione.
Grazie anche ai contestuali contributi degli studi linguistici (Rommetveit, 1976) e
dell’analisi della conversazione, ulteriori ricerche si orientarono, successivamente, verso
la descrizione della costante attività “interpretativa” che i soggetti mettono in atto nel
momento in cui sono chiamati ad interagire e della necessità, complementare, di “coordinare” sul piano interpersonale questa attività ermeneutica.
La conoscenza divenne progressivamente, in questa prospettiva, costruzione congiunta di intersoggettività (Grossen, 1988; Grossen e Perret-Clermont, 1991). Il contesto da elemento esterno all’attività cognitiva, da moderatore, ne diventava parte integrante.
In questo progressivo adattamento della nozione di contesto in relazione ai risultati delle ricerche condotte emergerà, infine, l’idea di “cadre”16. Ancora una volta
Anne-Nelly Perret-Clermont, seguendo il filo rosso inaugurato da La costruzione sociale
dell’intelligenza nell’interazione sociale, nell’ultimo decennio, avvierà una serie di ricerche e di riflessioni teoriche che metteranno in luce l’importanza dei quadri istituzionali
e dei sistemi di regole nella elaborazione dell’attività cognitiva. Di particolare rilievo appariranno quei lavori che hanno mostrato l’effetto dei contesti istituzionali sull’attività
cognitiva (Iannaccone e Perret-Clermont, 1993; Perret-Clermont, 2001) e i molti altri
contributi realizzati per studiare l’effetto di modulazione di differenti contesti (educativi, professionali, sociali) sulla attività di “produzione di senso”17 dei partecipanti. In
tal senso la cornice istituzionale, al tempo stesso, e le ricerche lo hanno ben dimostrato,
dà forma alle interazioni sociali che vi fanno riferimento e da esse ne viene modificato.
Tale cornice costituirebbe, inoltre, un punto di riferimento essenziale per la definizione
(e le ri-definizioni necessarie) delle caratteristiche dei ruoli professionali presenti nelle
diverse situazioni. La cornice istituzionale farebbe così da punto di riferimento per la
determinazione delle attività e delle modalità di incontro degli attori che, a diverso
titolo, entrano in contatto con essa. Come sostiene Anne-Nelly Perret-Clermont, essa
costituirebbe globalmente un’impalcatura simbolica che legittima un sistema d’azioni e
di significati sui quali gli attori si appoggiano per stabilire e vedere riconosciuta la loro
relazione (Perret-Clermont, 2001).
Con immense lacune, delle quali mi sento pienamente responsabile, questa puo’
essere considerata, in sintesi, la vicenda scientifica che ha preso le mosse da “La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale”. Un percorso articolato che ha coinvolto
diverse generazioni di ricercatori che, con stili ed opinioni diverse, hanno accolto e
sviluppato quelle idee che annunciava, alla fine degli anni ’70, il bel volume di AnneNelly Perret-Clermont. È per questo che, avendo vissuto una parte di queste vicende,
11
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
non ho trovato altro modo per presentare al lettore italiano la traduzione del volume
di Anne-nelly Perret-Clermont se non quello di raccontare cio che ha significato per la
ricerca e per quanti vi si sono ispirati.
Bibliografia
Blaye, A. (1989), Interactions sociales et constructions cognitives: présentation critique
de la thèse du conflit socio-cognitif. In: N. Bednarz & C. Garnier (Eds.) Construction des savoirs: obstacles et conflits, Ottawa: Cirade, pp. 183-194.
Bronfenbrenner, U. (1979), The ecology of human development. Experiments by nature
and design, Cambridge MA, Harvard University Press. Trad. It. Ecologia dello sviluppo umano, Il Mulino, Bologna, 1986.
Bruner J.S. (1990), Acts of meaning, Cambridge, Mass., Harvard University Press ;
trad. it. La ricerca del significato, Torino, Bollati Boringhieri, 1992.
Carugati, F. (1988) Dinamiche sociali, divergenze, conflitti: il modello del conflitto
socio-cognitivo nella comprensione dello sviluppo del pensiero. In: V. Ugazio (a
cura di), La costruzione della conoscenza. L’approccio europeo alla cognizione del sociale. Franco Angeli, Milano.
Carugati, F., Perret-Clermont, A. N. (1999), La prospettiva psico-sociale: intersoggettività e contratto didattico. In C. Pontecorvo (Ed.), Manuale di psicologia dell’educazione (pp. 41-66), Bologna, Il Mulino.
Cole, M. (1996), Cultural Psychology. A once and future discipline, Boston, Mass. Harvard University Press.
Corsaro, W. (1997), The sociology of Childhood. Thousand Oaks, Ca, Pine Press. Trad.
It., Le culture dei bambini, Il Mulino, Bologna.
De Paolis, P., Mugny, G. (1985), Régulations relationnelles et socio-cognitives du conflit cognitif et marquage social. In G. Mugny (a cura di), Psychologie sociale du
développement cognitif, Berne: Peter Lang, pp. 93-108.
Di Blasio, P. (1995), a cura di, Contesti interattivi e modelli di sviluppo, Cortina, Milano, 1995.
Doise, W., (1988), Pourquoi le marquage social?. In A.N. Perret-Clermont, M. Nicolet
(eds) Interagir et connaitre, Del Val, Friburg, 1988.
Doise, W., Mugny, G. (1981), Le développement social de l’intelligence, Paris: Interéditions. Trad. italiana.
Emiliani, F., Carugati, F. (1985), Il mondo sociale dei bambini, Bologna, Il Mulino.
Grossen, M. (1988), L’intersubjectivité en situation de test, Cousset (Fribourg) DelVal.
Grossen, M., Perret-Clermont, A.-N. (1991), Lo sviluppo cognitivo come costruzione
sociale dell’intersoggettività, Età Evolutiva, n. 39, pp. 5-20.
Grossen, M., Iannaccone, A., Liengme Bessire, M.J., Perret-Clermont, A.N. (1996),
Actual and perceived expertise: the role of social comparison in the mastery of
right and left recognition in novice-expert dyads. Swiss Journal of Psychology, 55
(2/3), 65, pp. 176-187.
Iannaccone, A., (1992), Interazione sociale e sviluppo cognitivo: ricerche sul conflitto
12
Presentazione
socio-cognitivo e lavori attinenti, Dossiers de Psychologie de l’Université de Neuchâtel, n. 42.
Iannaccone, A. Perret-Clermont, A.N. (1993), Qu’est-ce que s’apprend? Qu’est-ce que
se développe?. In: J. Wassmann, P.R. Dasen (a cura di), Les savoirs quotidiens, Universitätsverlag, Freiburg (CH), pp. 235-260.
Iannaccone, A., Ligorio, B. (2001), La situated cognition in Italia, Revue Suisse de
Psychologie de l’éducation, pp. 439-452.
Inhelder, B., Sinclair, H., Bovet, M., (1974), Apprentissage et structures de la connaissance, Presses Universitaires de France, Paris. Trad. It. Loescher, 1975.
Liengme B., Grossen, M., Iannaccone, A., Perret-Clermont, A. (1994), Social comparison of expertise: interactional patterns and dynamic of instruction. In H.C. Foot,
C.J. Howe, A.K. Tolmie, D.A. Warden, Group and Interactive Learning, Computation Mechanism Publications, Southampton, Boston.
Light, P., Perret-Clermont, A.-N. (1987), Costruzione sociale delle strutture logiche e
costruzione sociale del significato? Rassegna di psicologia, Roma, II/3, 47-58.
Ligorio, B., a cura di, (2004), “Psicologi e cultura”, Roma. Edizioni Carlo Amore – Firera Publishing Group.
Liverta Sempio, O., Marchetti, A. (1995), a cura di, Il pensiero dell’altro. Contesto, conoscenza e teorie della mente, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Marro Clément, P., Perret-Clermont, A.-N. (2000), Collaborating and learning in a
project of regional development supported by new information and communication technologies. In R. Joiner, K. Littleton, D. Faulkner D. Miel (Eds.), Rethinking collaborative Learning (pp. 229-247), London: Free Association Books.
Mugny G., a cura di, (1985), Psychologie sociale du développement cognitif, Berne: Peter
Lang.
Muller, N., Perret-Clermont, A.N. (1999), Negotiating identities and meanings in the
transmission of knowledge: analysis of interactions in the context of a knowledge
exchange network. In J. Bliss, R. Säljö & P. Light (Eds.), Learning Sites, social and
technological Resources for Learning (pp. 47-60), Pergamon.
Nicolet, M., (1995), Dynamiques relationnelles et processus cognitifs: étude du marquage
social chez des enfants de 5-7 ans, Delachaux et Niestlé, Lausanne e Paris.
Nicolet, M. & Iannaccone, A. (1988), Norme sociale d’équité et contexte relationnel
dans l’étude du marquage sociale. In: A.-N. Perret-Clermont, M. Nicolet (Eds.)
Interagir et connaitre, Cousset (Fribourg) DelVal.
Perret-Clermont, A.-N. (1979), La construction de l’intelligence dans l’interaction sociale,
Berne: Peter Lang, coll. Exploration.
Perret-Clermont, A. N. (2000), Introduction pour l’édition en langue russe de « La construction de l’intelligence dans l’interaction sociale » Berne: Peter Lang, coll. Exploration.
Perret-Clermont, A.-N. (2000), Apprendre et enseigner avec efficience à l’école. In U.
P. Trier (Ed.), Efficacité de la formation entre recherche et politique, (pp. 111-134),
Zürich: Ruegger.
Perret-Clermont, A.-N., Nicolet, M. (Eds.), (2001), Interagir et connaitre. Enjeux et
régulations sociales dans le développement cognitif, Paris: L’Harmattan.
Perret-Clermont, A.-N. (2001), Psychologie sociale de la construction de l’espace de
13
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
pensée. Actes du colloque. Constructivisme: usages et perspectives en éducation. J.
J. Ducret. Genève, Département de l’Instruction Publique: Service de la recherche
en éducation. I: 65-82
Perret, J.-F., Perret-Clermont, A.-N. (2004), Apprendre un métier dans un contexte de
mutations technologiques, Paris: L’Harmattan.
Rommetveit, R. (1976), On the architecture of intersubjectivity. In L.H. Strickland,
K.J. Gergen, F.J. Aboud (Eds.), Social Psychology in Transition, Plenum Press, New
York, 1976.
Roux, J.-P., Gilly, M., Aide apportée par le marquage social dans une procédure de résolution chez des enfants de 12-13 ans: données et réflexions sur les mécanismes,
Bulletin de Psychologie, 1984, XXXVII, 368, 145-155.
Zittoun, T. (1997), Note sur la notion de conflit socio-cognitif. Dossier de Psychologie,
n. 33.
Note
1
Perret-Clermont, A.-N. e Iannaccone, A. (2005), Le tensioni delle trasmissioni culturali: c’è spazio per il pensiero nei luoghi istituzionali dove si apprende? In: T. Mannarini, A. Perucca, S. Salvatore (a cura di), Quale
psicologia per la scuola del futuro?, Edizioni Carlo Amore, Roma, pag. 61-72.
2
Perret-Clermont, A.-N. (2003), Le tensioni delle trasmissioni culturali: c’è spazio per il pensiero nei luoghi
istituzionali dove si apprende? Intervento al Convegno “Contesto, Cultura, Intervento. Quale psicologia per
la scuola del futuro”, Università di Lecce (20 al 22 giugno 2003).
3
Inhelder, B., Sinclair, H., Bovet, M., (1974), Apprentissage et structures de la connaissance, Presses Universitaires de France, Paris. Traduzione italiana: Loescher, 1975.
4
Esemplificativa la definizione iniziale di equilibrazione con la quale Piaget apre il volume «L’équilibration
des structures cognitives. Problème central du développement » (1975, Presses Universitaires de France, p.9 ) : lo
scopo di questo contributo, egli sostiene, è « de chercher à expliquer le développement et même la formation
des connaissances en recourant à un processus central d’équilibration. Nous entendons par là, non pas l’application à toutes les situations et à tous les niveaux d’une même structure générale d’équilibre, donnée une fois
pour toutes, comme l’est celle de Gestalt (inspirée par les lois de « champ ») pour la psychologie de la forme
mais bien un processus (d’où le terme « d’équilibrations ») conduisant de certains états d’équilibre approché
à d’autres, quantitativement différents en passant par des multiples déséquilibres et rééquilibrations. » […cercare di spiegare lo sviluppo ed anche la formazione delle conoscenze ricorrendo ad un processo centrale di equilibrazione. Noi non intendiamo con ciò l’applicazione a tutte le situazioni e a tutti i livelli di una stessa struttura
generale di equilibrio, data una volta per tutte, come la è quella di Gestalt (ispirata dalle leggi del “campo”) per la
psicologia della forma ma un processo (da cui il termine “equilibrazione”) che conduce da certi stati di equilibrio
ad altri, qualitativamente differenti, passando attraverso disequilibri e riequilibrazioni multiple.]
5
La nozione di contesto è qui evocata per sottolineare come l’ambiente venga comunque riconosciuto come
elemento fondamentale del processo di adattamento cognitivo. Siamo naturalmente ancora distanti dalle
concezioni contestualistiche degli anni seguenti quando, anche grazie alla diffusione degli studi vygotskiani,
la psicologia si orienterà, sempre più, verso prospettive scientifiche che riconosceranno la natura inequivocabilmente “mediata” (socialmente) dei contesti attribuendo a tale caratteristica un ruolo preminente nelle
spiegazioni della attività cognitiva e del suo sviluppo. In lingua italiana esiste ormai una vasta letteratura sintetizzata fra gli altri da Di Blasio (1995), Liverta Sempio e Marchetti (1995), Iannaccone e Ligorio (2001).
6
Doise, W., Mugny, G. (1981), Le développement social de l’intelligence, Paris: Interéditions ; Perret-Clermont,
A.-N. (1979), La construction de l’intelligence dans l’interaction sociale, Berne: Peter Lang, coll. Exploration.
7
In effetti, il cosiddetto postulato sociale in psicologia ha una storia che accompagna in sostanza l’intero sviluppo della disciplina. La interessante novità delle ricerche sul conflitto socio-cognitivo (Iannaccone, 1984;
14
Presentazione
Blaye, 1989; Iannaccone, 1992; Zittoun, 1997) è la puntuale verifica empirica dell’effetto delle interazioni
sociali sul progresso cognitivo.
8
In effetti, se ciò appare innegabile per quelle situazioni che di per sé consistono in “opposizioni interindividuali” di punti di vista o della concorrenza di prospettive interpretative di diversi attori, questa concezione
appare meno scontata quando il conflitto costituisce una sorta di dissonanza cognitiva fra le aspettative e le
previsioni dell’individuo e le caratteristiche “fisiche” del contesto. In realtà come ha dimostrato una parte
non trascurabile della letteratura degli ultimi anni, ed in modo particolare quella che viene oggi comunemente definita “Psicologia culturale” (Bruner, 1990; Cole, 1996; Ligorio, 2004) appare riduttiva persino
la definizione di quest’ultimo tipo di conflitto come “individuale”. In effetti l’interazione fra l’individuo
ed il suo ambiente, dal punto di vista della psicologia culturale, è inequivocabilmente un’attività mediata
“culturalmente”. Da una parte il modo in cui l’individuo percepisce ed attribuisce significato agli eventi
è considerato il frutto dell’attrezzatura “culturale” acquista nel corso dello sviluppo. Dall’altra l’ambiente
stesso si presenta all’individuo come un setting quasi sempre “organizzato” in funzione di esigenze sociali
e culturali. Il ruolo complessivo degli artefatti, ed in primo luogo del linguaggio, renderebbe questa anche
questa forma di interazione indubbiamente culturale.
9
Per spiegazione più “naturale” qui si intende maggiormente congrua con quanto avviene nelle situazioni di
vita quotidiana. Non è un caso che nel 1979 - dunque nello stesso anno di pubblicazione di questo volumevedesse la luce un altro importante contributo che diede un significativo scossone alle pretese di una certa
psicologia di poter studiare lo sviluppo senza adeguatamente considerare i contesti (in particolare sociali)
nei quali tale sviluppo prende forma. Si trattava del noto “The Ecology of Human Development. Experiments
by Nature and Design” di Urie Bronfenbrenner, contributo nel quale lo studioso sosteneva con decisione
che “L’affermare che lo sviluppo umano è il prodotto dell’interazione fra l’organismo umano che cresce e il suo
ambiente costituisce per le scienze del comportamento, quasi un luogo comune. ... Ciò che invece riscontriamo
nella pratica è un’asimmetria marcata, un’ipertrofia, tanto a livello di teoria che di ricerca, entrambe centrate
sulle caratteristiche dell’individuo e con una concezione e caratterizzazione dell’ambiente in cui l’individuo si
trova alquanto rudimentali.”.
10
Nella fase di pre-test veniva stimato il livello operatorio iniziale del soggetto (se si trattava di prove piagetiane), in quella di interazione venivano fatte interagire coppie (o piccoli gruppi di soggetti) coinvolgendole in
varie forme di conflitto ed infine nella fase di post-test si valutava, al termine della fase di interazione, nuovamente il livello operatorio di quanti avessero partecipato alle fasi di interazione utilizza, in questo caso,
delle prove analoghe a quella impiegate al pre-test. In alcuni casi veniva aggiunta al modello una fase detta
di post-test differito che consentiva ai ricercatori di valutare la stabilità, a distanza di una o due settimane,
delle nuove competenze manifestate nel post-test.
11
Ciò che appariva particolarmente interessante era l’effetto di apprendimento determinato dall’interazione
con partner di livello cognitivo pari o inferiore (Carugati, 1988). Questo tipo d’interazione escludeva la
possibilità di apprendimento per imitazione e dunque mostrava come il conflitto di punti di vista costituisse
una spiegazione alternativa ai modelli proposti dal social learning.
12
Non è un caso che, fra l’altro, intorno all’inizio degli anni ’90, sarà proprio l’equipe di ricerca diretta da
Anne-Nelly Perret-Clermont ad avviare uno dei tentativi sistematici di verifica della portata di alcune nozioni derivate della mutua fecondazione delle idee storico-culturali con la psicologia sociale dello sviluppo
(Liengme et al. 1994; Grossen et al., 1996).
13
Molti sono stati i contributi che hanno animato il dibattito intorno alla nozione di “connotazione sociale”
(marquage social) . Qui di seguito ne citiamo solo alcuni a titolo esemplificativo: De Paolis e Mugny, 1984;
Roux e Gilly, 1984; Doise, 1988; Nicolet e Iannaccone, 1988
14
Nel senso illustrato da Iannaccone e Ligorio, 2001.
15
Norma comunemente definita “di equità”.
16
Il significato più adatto della nozione di “cadre” in lingua italiana è quello di cornice, anche se per la definizione approfondita di tale concetto e della sua portata euristica si rimanda a Perret-Clermont, 2001.
17
La nozione di “produzione di senso” è oggi molto utilizzata dalla Psicologia Culturale (Cole, 1996; Bruner
1990) ed il suo utilizzo puó apparire in qualche modo inadeguato a descrivere questa fase recente delle
ricerche che sono state condotte da Anne-Nelly Perret-Clermont ed i suoi collaboratori. In effetti, e me
ne assumo la piena responsabilità, il riferimento alla Psicologia Culturale mi appare del tutto ragionevole
rispetto al quadro epistemologico che caratterizza queste ricerche orientandosi sempre di piu all’analisi dei
sistemi di regole che “partecipano” alle diverse forme di attività cognitiva investigate.
15
Prefazione all’edizione italiana
Anne-Nelly Perret-Clermont
Nell’essere umano lo sviluppo della capacità di pensare rappresenta qualcosa di
favoloso e al tempo stesso misterioso! Denominare e quindi operare distinzioni, sospendere l’azione per riflettervi ed eventualmente modificarla, memorizzare per trattenere l’esperienza e costruire il futuro, mettere in relazione avvenimenti alla ricerca di
coerenza e di invarianti, elaborare linguaggi che consentono di descrivere la complessità
del reale, creare immagini e simboli che riflettono la fondamentale attività interna volta
alla costruzione di relazioni con se stessi, con gli altri, con il mondo. Da dove vengono
tali competenze intellettuali? Non certo siamo i primi a porci questo tipo di domanda!
Senza andare per il sottile ci accontenteremo qui di richiamare qualche punto di riferimento per meglio situare le finalità del libro.
Colpito dalla lettura di Kant, Jean Piaget, erede di una lunga tradizione filosofica
occidentale, si domanda: “Com’è possibile la conoscenza?” Si sa che tale questione
epistemologica, attraverso quella che egli ha definito una vera e propria “svolta”, lo
condurrà a sviluppare delle ricerche psicologiche molto interessanti, che gli consentiranno di descrivere l’apparire di alcune delle forme di pensiero infantile. In tal modo
Piaget mostrerà che l’intelligenza non è una competenza preliminarmente posseduta
dall’individuo, ma la risultante di una genesi psicologica della quale il bambino è attore attraverso le sue azioni sul reale e le sue prese di coscienza, i suoi successi ed i suoi
insuccessi che lo conducono ad un costante e riequilibrante riadattamento delle sue
strutture di pensiero.
Anche se i risultati delle ricerche piagetiane hanno segnato in modo profondo l’insegnamento della psicologia in Svizzera e un po’ dappertutto nel mondo, non è chiaro
se emerga sufficientemente la natura del contesto nel quale esse sono nate ed hanno
preso senso.
Sicuramente Piaget non perseguiva il solo scopo di rispondere ai suoi interrogativi
filosofici, egli voleva dimostrare l’inalienabilità del posto che l’individuo occupa nell’atto di pensiero. Egli aveva molte ragioni per sentire l’importanza fondamentale sia
delle circostanze storiche che, insieme ai suoi contemporanei lo vedevano impegnato a
lottare contro i totalitarismi, come anche nelle vicende familiari che lo sollecitavano a
mettersi al riparo dai conflitti emotivi e relazionali troppo intensi (Barrelet & PerretClermont, 1996; Perret-Clermont, 1996).
Altrove, nello stesso periodo, anche altri ricercatori si ponevano la questione dei
rapporti fra individuo, genesi del pensiero e società, facendolo con accezioni diverse.
17
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Vygotsky che, nella Russia post-rivoluzionaria, sottolineava l’insostituibile importanza dell’eredità culturale (strumenti semiotici, concetti e linguaggio trasmessi attraverso relazioni intergenerazionali strutturanti) nell’apparizione delle funzioni psichiche
superiori voleva mostrare fino a che punto lo sviluppo intellettuale risultasse da un’interiorizzazione delle competenze che si sviluppavano sul piano sociale prima di essere
padroneggiate dall’individuo. Contemporaneamente, nel “calderone” culturale nord
americano, G.H. Mead evidenziava, nella costruzione del Sé, il ruolo strutturante dell’incontro con l’Altro attribuendo un ruolo fondamentale alle interazioni sociali nell’avvento della capacità di pensare. Sfortunatamente i suoi lavori teorici non diedero
luogo a significativi studi empirici in psicologia anche se si ritroverà un’eco della prospettiva di Mead nelle successive teorie sociologiche come, ad esempio, nella nozione di habitus di Bourdieu. Agli psicologi assillati dalla preoccupazione di capire quale fosse il ruolo dei processi educativi nello sviluppo del bambino il paesaggio offriva
come «punti privilegiati di osservazione» le grandi teorie di questi autori, purtroppo
abbastanza mal conosciuti gli uni agli altri, separati da una parte dalla “cortina di ferro”, dall’altra dall’oceano.
Dai lavori di Piaget, si deduceva una forma di prudente attendismo: favorire l’azione e il porre domande tipici di chi apprende ma sopratutto non rischiare, attraverso
interventi intempestivi, di inibire lo slancio del bambino considerato come qualcuno
che deve costruire da se le proprie strutture mentali atte a capire effettivamente (e non
attraverso il si dice o l’acquisizione di semplici opinioni) la realtà e le sue leggi. Ciò
significava lasciare il bambino relativamente solo. Il bambino, anche se incoraggiato
emotivamente, di fatto, veniva a trovarsi davanti ad una lunga strada con l’a-priori
(implicito) che i suoi tentativi dovessero necessariamente sfociare nel padroneggiare le
conoscenze logiche e scientifiche.
Quanto alla prospettiva di Vygotsky ci si limitava a cogliere il ruolo fondamentale
dell’istruzione formale, concepita come trasmissione del linguaggio e degli strumenti
di conoscenza intellettuali necessari allo sviluppo del pensiero scientifico: l’allievo doveva essere sollecitato nella sua “zona di sviluppo potenziale” per essere guidato, passo
a passo, verso lo stato di conoscenza dell’adulto, identificato, senza gran preoccupazione critica, con il livello di sviluppo psichico superiore raggiunto sotto l’autorità della
“guida” di un maestro. L’ispirazione vygotskiana metteva l’accento sull’effetto benefico dell’azione congiunta di quanti interagiscono a proposito dello stesso compito (ad
esempio Rubtsov, 1989): vedere l’esperto agire e doversi coordinare con lui permetterebbe a chi apprende di entrare nella realizzazione esperta di una prova; performance e
competence collettive che l’apprendente interiorizzerà poi per farle proprie.
Ma gli psicologi non sono i soli ad aver vissuto questo dibattito sul rispettivo ruolo
dell’individuo e del sociale. Nei decenni che seguono la seconda guerra mondiale anche
sociologi e politici si interrogano sulle pratiche educative, in particolare quelle familiari, cercando di capire come garantire al bambino condizioni di sviluppo, protette da
autoritarismi rigidi e dottrinali (come si vede per esempio degli scritti psicoanalitici di
A. Miller , 1983a & b, i lavori sulla socializzazione di B. Bernstein, 1973, le ricerche
sociologiche sulle pratiche educative familiari).
La preoccupazione di rafforzare la persona nelle capacità di giudizio, di autonomia, di espressione e d’iniziativa si accompagnavano, parallelamente, a ricerche sul18
Prefazione
le condizioni della socializzazione: mentre l’evoluzione demografica vedeva sparire le
grandi fratrie, la vita collettiva, a scuola e nei luoghi di divertimento, metteva in evidenza il ruolo dei pari e delle fasce di età, come anche nei movimenti collettivi giovanili
(maggio ‘68). Di conseguenza l’attenzione torna nuovamente sull’insegnare a lavorare
in gruppo a scuola, riscoprendo la proposta di Cousinet (1925); sul come organizzarsi
per gestire efficacemente una prova collettiva (per una recensione dei lavori in questo
dominio vedi: Paicheler, 1972); ci si domanda in quali condizioni il bambino può beneficiare dell’aiuto tutoriale dei compagni (Gartner, Kohler e Riessman, 1971; Allen e
Feldman, 1973), e come favorire relazioni più simmetriche in una cultura che dovrebbe essere meno gerarchizzata (de Peretti, 1967 e 1969; Hameline 1968 e 1977 a e b), o
come valorizzare i punti di vista minoritari (Moscovici, 1979).
L’aspirazione ad una maggiore democratizzazione della scuola è all’origine delle
riforme scolastiche messe in atto a partire dagli anni ’60 per dare ad un più gran numero di allievi quel bene fondamentale che è la conoscenza. Restava però una distanza
non coperta fra tale aspirazione e la sua concreta realizzazione. In effetti, nonostante le
aspettative degli ambienti economici e il relativo sostegno politico di cui sembravano
beneficiare, le riforme pedagogiche non pervenivano ad eliminare le enormi disparità
sociali nella riuscita scolastica delle quali continueranno a fornire testimonianza le ricerche sociologiche (ad esempio i lavori dell’OCDE, o quelli di sociologi come Bourdieu e Passeron 1964, Perrenoud 1970, Baudelot e Establet 1971, Mollo 1986, tanto
per citare qualche nome di lingua francese).
Quali sono i processi mediatori di queste disparità sociali ? Sicuramente i rapporti
sociali ineguali (secondo il livello sociale, il genere, la categoria socio-professionale, il
guadagno, il territorio, la lingua, ecc.) che strutturano l’accesso al capitale culturale.
Inoltre questi rapporti di forza diseguali agiscono sul livello psicologico attualizzato
nei comportamenti, nelle attitudini, nelle regole (tacite o esplicite), nelle istituzioni.
Da ciò la necessità di studiare empiricamente l’articolazione psicosociale dei processi di
apprendimento e di trasmissione delle conoscenze.
In questo senso, nel tentativo di descrivere l’articolazione fra processi individuali
e sociali nell’acquisizione delle competenze cognitive nel bambino proponiamo, nel
presente testo, un percorso, che prende le mosse dall’insuccesso scolastico.
Il quadro teorico iniziale si ispira ai lavori classici di Piaget sullo sviluppo del pensiero operatorio, ma l’obiettivo è quello di completare l’osservazione clinica piagetiana
tradizionale con indagini sperimentali che permettano di mettere in evidenza i fattori che
influenzano tali performance. La questione è di sapere se si possa osservare, in laboratorio, e in modo diverso a seconda delle condizioni sperimentali, la microgenesi di queste
competenze operatorie e i processi individuali ma anche sociali che le influenzano.
Nelle pagine che seguono il lettore è invitato ad incamminarsi, con i ricercatori,
attraverso una serie di esperienze nel momento della loro realizzazione scientifica. Tali
esperienze, inizialmente, mostrano come i fattori sociali possono influenzare positivamente lo sviluppo del pensiero, poi tentano di individuare un certo numero di processi che mediano tali progressi cognitivi. Non mancheranno le sorprese lungo questo
percorso: si vedrà così dei bambini di età maggiore apprendere dai loro compagni più
giovani e meno esperti. Si vedranno conflitti socio-cognitivi fra soggetti non esperti
sfociare in conquiste cognitive per entrambi, come anche differenze che sembrerebbero
19
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
derivare da handicap socio-culturali sparire (certo non sempre...) nel corso di qualche
attimo, invalidando tale presupposizione.
Al di là dei risultati il fine di questo lavoro è stato quello di contribuire ad aprire
la strada a studi che non vogliano limitarsi a supporre l’esistenza di ipotetici processi
psicosociali mediatori dell’apprendimento e dello sviluppo cognitivo ma che desiderino studiarli in vivo. Negli ultimi capitoli viene illustrata qualcuna delle conseguenze di
questa prospettiva che prosegue anche in lavori ulteriori pubblicati in lingua italiana
(Iannaccone 1992, 1997, 2001; Iannaccone & Perret-Clermont, 1993; Perret-Clermont, 1993, 2000, 2001; Perret-Clermont, Schubauer-Leoni & Trognon, A., 1995;
Grossen, Iannaccone & al. 1996; Perret-Clermont & Schubauer-Leoni, 1997; Carugati & Perret-Clermont, 1999; Cesar, 2000; Perret & Perret-Clermont, 2001).
A.-N. Perret-Clermont
Bibliografia
Barrelet, J. M., & Perret-Clermont, A. N. (Eds.), (1996), Jean Piaget e Neuchâtel. L’apprenti e le savant. Lausanne: Payot.
Baudelot, C., & Establet, R. (1971), L’école capitaliste en France, Paris: Maspero.
Bourdieu, P., & Passeron, J.-C. (1964), Les héritiers: les étudiants e la culture, Paris:
Editions de Minuit.
Carugati, F., & Perret-Clermont, A. N. (1999), La prospettiva psico-sociale: intersoggettività e contratto didattico. In C. Pontecorvo (Ed.), Manuale di psicologia
dell’educazione (pp. 41-66), Bologna, Il Mulino.
Cesar, M., Perret-Clermont, A.-N., & Benavente, A. (2000), Modalités de travail en
dyades e conduites à des tâches d’algèbre chez des élèves portugais. Revue suisse des
sciences de l’éducation, 3, 443-466.
Cousinet, R. (1925), La méthode de travail libre par groupes pour les enfants de neuf à
douze ans, Garches: Editions de Peretti, A. (1967). Liberté e relations humaines ou
l’inspiration non-directive, 2e édition. Paris: Editions de l’Epi.
Grossen, M., Iannaccone, A., Liengme Bessire, M. J., & Perret-Clermont, A.-N.
(1996), Actual and perceived expertise : the role of social comparison in the mastery of right and left recognition in novice-expert dyads. Swiss Journal of Psychology, 55(2/3), 176-187.
Hameline, D. (1977a), Le domestique e l’affranchi: essai sur la tutelle scolaire, Paris: Les
Editions Ouvrières.
Hameline, D., & Dardelin, M.-J. (1968), La liberté d’apprendre: jusitifications pour un
enseignement non-directif, Paris: Editions Ouvrières.
Hameline, D., & Dardelin, M.-J. (1977b), La liberté d’apprendre: situation II: rétrospéctive sur un enseignement non-directif, Paris: Editions Ouvrières.
Iannaccone, A. (1992), Interazione sociale e sviluppo cognitivo: ricerche sul conflitto
sociocognitivo e lavori attinenti, Dossiers de psychologie, 42, (Université de Neuchâtel).
20
Prefazione
Iannaccone, A., & Perret-Clermont, A.-N. (1993), Qu’est-ce qui s’apprend? Qu’estce qui se développe? In J. Wassmann & P. R. Dasen (Eds.), Les savoirs quotidiens.
Les approches cognitives dans le dialogue interdisciplinaire (pp. 235-258), Fribourg
(Suisse): Presses Universitaires de Fribourg.
Iannaccone, A., Cozzolino, M., & Forino, F. (2003), La dispersione scolastica in prospettiva culturale: storie di mancata integrazione, Psicologia dell’Educazione e della
formazione, vol. 5, 2, 153-172.
Miller, A. (1983a), The drama of the gifted child and the search for the true self, London;
Boston Faber and Faber.
Miller, A. (1983b), For your own good : hidden cruelty in child-rearing and the roots of
violence, New York: Farrar Straus Giroux.
Mollo, S. (1986), La sélection implicite à l’école: pratiques du discours e discours de la
pratique, Paris: Presses Universitaires de France.
Moscovici, S. (1979), Psychologie des minorités actives, Paris: Presses Universitaires de
France.
Peretti, A. de (1969), Les contradictions de la culture e de la pédagogie, Paris: Editions de
l’Epi. de la Nouvelle Education.
Perret, J.F. & Perret-Clermont, A.-N, (2001), Apprendre un métier dans un contexte de
mutations technologiques. Editions Universitaires de Fribourg.
Perret-Clermont, A.-N. (1993), Sviluppo e apprendimento: che cosa si sviluppa? In C.
Pontecorvo (Ed.), La condivisione della conoscenza (pp. 45-55), Firenze: La Nuova
Italia.
Perret-Clermont, A.-N. (1996), Piaget parmi ses ainés e ses pairs. In J. M. Barrelet &
A. N. Perret-Clermont (Eds.), Jean Piaget e Neuchâtel. L’apprenti e le savant. (pp.
257-286), Lausanne: Payot.
Perret-Clermont, A.-N. (2000), Apprendre e enseigner avec efficience à l’école. In U.
P. Trier (Ed.), Efficacité de la formation entre recherche e politique. (pp. 111‑ 134),
Zürich: Ruegger.
Perret-Clermont, A.-N. (2001), Psychologie sociale de la construction de l’espace de
pensée. In J. J. Ducret (Ed.), Actes du colloque. Constructivisme: usages e perspectives
en éducation (Vol. I, pp. 65-82). Genève: Département de l’Instruction Publique:
Service de la recherche en éducation.
Perret-Clermont, A.-N., Schubauer-Leoni, M.-L., & Trognon, A. (1995), L’estorsione
delle risposte in situazione assimmetrica. In O. L. Sempio & A. Marchetti (Eds.),
Il pensiero dell’altro (pp. 211-241), Milano: Raffaello Cortina Editore.
Rubtsov, V. V. (1989), Organization of joint actions as a factor of child psychological
development, International Journal of Education Research, 13(6), 623-636.
Schubauer-Leoni, M.-L., & Perret-Clermont, A.-N. (1997), Social interactions and
mathematics learning. In P. Bryant & T. Nunes (Eds.), Learning and teaching
mathematics. An international perspective (pp. 265-283). Hove: Psychology Press
Ltd.
21
CAPITOLO 1
Fattori sociali e sviluppo cognitivo
1. L’insuccesso nelle prime fasi della scolarizzazione: il
problema dell’articolazione dei fattori psicologici e fattori sociali
Più volte è stata dimostrata la disparità nelle possibilità di successo scolastico degli
alunni in funzione della loro estrazione sociale: limitandoci a qualche esempio, negli
Stati Uniti l’hanno evidenziata Coleman (1966) e Jencks (1972), Girod (1963), Haramein (1965), Perrenoud (1970) e Gonvers (1974) in Svizzera. In Inghilterra Douglas
(1964) mostra quanto presto cominci, nella vita dei bambini, il processo di selezione.
Il CRESAS (1974) constata come, in Francia, il 50% dei bambini di scuola elementare
abbia subito uno o più insuccessi scolastici, (il 20% degli alunni di sei anni) e come,
sin dagli inizi della scolarizzazione, esista una forte correlazione tra insuccessi scolastici
e livello socio-professionale dei genitori.
1.1 L’approccio psicologico
Parallelamente questi lavori evidenziano una serie di correlazioni tra successo scolastico ed attitudini verbali ed intellettuali. A tal proposito Jencks (1972) mette in rilievo il peso delle variabili connesse alle attitudini cognitive nella determinazione del livello scolastico (p.159) ma, nella stessa ricerca, mostra (p. 78 e segg.) come queste variabili
siano in relazione con l’origine sociale. Descrizione questa che suggerisce un’interdipendenza ma non fornisce alcun elemento sulla natura causale degli eventuali legami.
Già a partire da Binet era stato notato il nesso tra Q.I. e categorie socio-professionali che è divenuto l’oggetto di numerosi studi dai quali sistematicamente si è evidenziato come questi legami esistano sin dall’inizio della scolarizzazione e come aumentino
con l’età (Tort, 1974, p. 22 e seguenti).
Come si articolano queste variabili psicologiche e pedagogiche con quella variabile
di diversa natura, sociologica nello specifico, che è l’origine sociale? Attraverso quali
23
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
meccanismi l’inserimento sociale dei bambini può avere riflessi sul loro rendimento
scolastico e sulle loro prestazioni in prove psicologiche al punto che sistematicamente ci
si imbatte in nessi fra condizione sociale svantaggiata, handicap cognitivo ed insuccesso
scolastico?
Se un tale legame esiste sin dall’inizio della scolarizzazione e non fa che consolidarsi nel corso degli anni, come sottolinea soprattutto Labov (1972a), sembra allora giusto
prestare attenzione, in modo specifico, sia ai processi in atto nello sviluppo psicologico
del bambino nel momento in cui inizia la scuola che agli interventi dell’istituzione
nella quale comincia ad inserirsi.
L’obiettivo di un certo numero di programmi “educazione compensativa”1 è quello
di agire sugli interventi all’inizio della scolarizzazione, per dare a tutti i bambini, indipendentemente dalla loro appartenenza sociale, pari opportunità di riuscita. Il loro
relativo insuccesso denota tuttavia incapacità di trovare una risposta pedagogica a problemi che si pongono nello stesso tempo in termini educativi, psicologici e sociali. Ma
si può per questo concludere che è impossibile per la scuola contribuire alla costruzione
di una maggiore giustizia sociale e preconizzare, secondo Illich, soluzioni che vanno
fino alla soppressione della scuola? Oppure bisogna attribuire questi fallimenti all’insufficienza delle basi psicologiche su cui si fondavano quegli interventi pedagogici, o
meglio all’imperfetta conoscenza, da parte della stessa scienza psicologica, dei processi
essenzialmente psicosociali in gioco nello sviluppo dell’individuo e nelle sue interazioni
con l’istituzione scolastica.
1.2 L’approccio sociologico
Su un altro versante, un certo numero di sociologi, come abbiamo altrove mostrato (Doise, Meyer, Perret-Clermont, 1976), ha messo in evidenza i legami che esistono
tra l’istituzione scolastica ed il sistema sociale mostrando come la scuola, per i suoi contenuti, le sue strutture ed i suoi sistemi di selezione, partecipi alla riproduzione delle
classi sociali esistenti. È a partire da queste analisi che sono stati adottati taluni provvedimenti amministrativi o istituzionali (riforma dei programmi, piani di studio ed indirizzi scolastici, gratuità degli studi, ecc., ivi compresa l’adozione, in alcuni paesi socialisti dell’Europa dell’est e negli Stati Uniti – per esempio per la popolazione di colore
– di strategie compensative nella valutazione degli elaborati ai concorsi di ammissione), misure tendenti ad una democratizzazione degli studi. Nemmeno questo tipo di
riforme, come gli approcci prettamente pedagogici, è riuscito però ad ottenere i risultati previsti. I paesi occidentali sono lontani dall’avere realizzato una completa democratizzazione dell’insegnamento. Per i paesi dell’Europa dell’Est “si è statisticamente constatato...che, per quanto concerne gli operai, la partecipazione dei loro figli all’insegnamento
superiore corrisponde, in ordine di grandezza, al peso del loro gruppo all’interno della popolazione attiva. Ciò non si verifica con i figli dei contadini, benché la democratizzazione
sia in generale più avanzata in questi paesi che in altri d’Europa.” (Rapporto della conferenza dei ministri dell’educazione d’Europa, UNESCO, 1967, p.66). Il problema resta dunque ancora aperto. Secondo un certo numero di autori bisognerebbe probabilmente interpretare il successo modesto di questi tentativi come il frutto di una chiara
24
Fattori sociali e sviluppo cognitivo
impossibilità, per le politiche educative di questi paesi, di adottare misure che rischino
di intaccare i privilegi delle classi superiori2 (e il problema non può che porsi in termini diversi all’Est e all’Ovest). Oppure non andrebbe piuttosto ricondotto all’incapacità
di preconizzare soluzioni adeguate, attribuibile ai limiti dell’analisi sociologica? In effetti, questo tipo di interpretazioni lascia attualmente tutta un’area relativamente poco
esplorata: quella dei meccanismi attraverso i quali, nei diversi contesti sociali (essendo
la scuola uno di tali contesti) si realizza l’assimilazione dei bambini alla società nel suo
complesso ed ai gruppi ai quali essi apparterranno in età adulta.
Tale assimilazione comincia molto presto. Come abbiamo già avuto modo di rilevare, i tassi di insuccesso, sin dall’inizio della scolarizzazione, sono connessi all’origine
sociale dei bambini. Parallelamente, sia la metodologia dei test psicologici classici (Torto, 1974) quanto quella di ispirazione piagetiana (vedi per esempio i lavori del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Barcellona ed in particolare Coll Salvador, Coll
Ventura, Miras Mestres, 1974) mettono in evidenza una gerarchizzazione delle prestazioni scolastiche che riflette le posizioni dei soggetti nella scala sociale. Quali sono
i processi che sottendono a questa assimilazione? E più esattamente come i contesti sociali possono essere messi in relazione con i diversi livelli cognitivi, al punto da apparire addirittura determinanti nello sviluppo di questi livelli?
1.3 Verso un chiarimento psicosociologico
Molti autori hanno, di recente, formulato ipotesi intorno alle condizioni psicosociali nelle quali i bambini sono chiamati ad attualizzare le loro potenzialità. Questa
analisi li ha condotti a ritenere la situazione di test o il suo contenuto o quella di esame,
esse stesse causa di differenziazione degli alunni. Per questo il CRESAS (Vial, Stambak
e Burguiere, 1974) si è prefisso di sviluppare una nuova direzione di ricerca nella quale
“l’approccio metodologico venga modificato utilizzando situazioni sperimentali o tipi di
osservazioni che permettano di studiare i modi di espressione di tutti i bambini (la sottolineatura è nostra) e, partendo da ciò, fare il tentativo di elaborare strumenti teorici che
integrino l’analisi delle diverse situazioni nelle quali si studiano i bambini, l’appartenenza
sociale del ricercatore e quella del bambino” (p.46). È quanto tentano Marion, Desjardin
e Breaute (1974) dopo avere constatato, in occasione di una precedente ricerca su due
campioni di bambini di due ambienti socio-culturali,“delle nette differenze nell’attualizzazione delle possibilità dei bambini e più precisamente nel modo in cui si comporta il
bambino nel corso dell’esame, le sue risposte, i suoi silenzi, i suoi argomenti, nell’atteggiamento dell’esaminatore di fronte a lui, insomma nell’interazione adulto-bambino durante
un esame clinico” (1974, p.83). Secondo Tort (1974) “la situazione di test, che mette di
fronte uno psicologo, un test ed un bambino non è una situazione sperimentale ma un rapporto sociale il cui significato non è lo stesso per bambini di classi sociali diverse”. In questo
egli è in sintonia con Eells (1951) che mette già in discussione l’aspetto non solo culturale ma anche sociale del test dovuto al carattere scolastico e competitivo della prova.
Anche Katz fa questo stesso tipo di analisi (1973). Labov (1972a) presenta una critica,
di natura analoga, specialmente ai test verbali: “il bambino si trova in una situazione
asimmetrica in cui tutto ciò che dice può essere letteralmente considerato contro di lui. Egli
25
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
ha imparato un certo numero di tecniche per evitare di dire checchessia in tale situazione e
fa grandi sforzi per raggiungere questo scopo. Basta osservare i campioni di intonazione che
i bambini usano spesso quando si formulano delle domande le cui risposte sono evidenti.
La risposta potrebbe essere decodificata come “questo vi soddisferà?”. Se si assume questa
tecnica come misura delle capacità verbali del bambino si constata che in realtà quel
che si ottiene è una misura della sua capacità di difendersi in una situazione ostile e
minacciosa (p.184). Secondo Haroche e Pécheux (1972) l’effetto sociale del test si introduce, al di là delle norme che esso veicola, con il rapporto che i soggetti stabiliscono
con il contenuto della prova. La valutazione dell’intelligenza non può essere separata
dai contenuti ideologici implicati nelle situazioni sperimentali.
Sembrerebbe dunque che un certo numero di fattori psicosociali siano responsabili
delle differenze nell’attualizzazione delle condotte cognitive dei soggetti, anche se occorre chiedersi, comunque, se tali meccanismi psicosociali interferiscano solo a livello
di attualizzazione di procedure cognitive o non partecipino all’elaborazione stessa dei
processi cognitivi.
È questa la nostra ipotesi fondamentale e, nel presente lavoro, ci sforzeremo di
esplorare come i processi di interazione sociale prendono parte all’elaborazione stessa
delle strutture della conoscenza, assumendo così un ruolo causale nella loro genesi.
Se l’analisi psicologica e quella sociologica della problematica evidenziano la necessità di esplorare il campo specifico dei fattori psicosociali e più particolarmente dei
processi di interazione in gioco nello sviluppo, è interessante constatare come approdi
ad una tesi analoga l’approccio pedagogico, illustrato dai lavori di un’équipe di psicopedagogisti del CNR di Roma, mettendo in evidenza l’importanza di un’intensificazione
delle interazioni tra bambini.
1.4 Una ricerca pedagogica basata sull’intensificazione delle interazioni sociali
Cecchini e Tonucci (et al. 1972) constatano la problematicità in cui versa il sistema scolastico italiano nel decennio 1960-70: in questo decennio si osserva una stabilizzazione della forte percentuale di alunni con ritardo scolastico e un ampliarsi del fossato esistente tra regioni ricche e regioni povere da una parte, tra classi sociali superiori
ed inferiori dall’altra3. Lo Stato, in quel decennio, ha attivato degli interventi per contrastare questa situazione; interventi che consistono in una serie di misure come l’aiuto
finanziario ai bambini poveri, la diminuzione del numero di alunni per ogni insegnante, un aumento delle prestazioni fornite dalla scuola (orari prolungati, classi differenziate), l’introduzione sistematica di attrezzature audiovisive e didattiche nelle scuole,
corsi di formazione in servizio per insegnanti, classi speciali per bambini con particolari difficoltà (handicap fisico, ritardo intellettuale o affettivo), eterogeneità sociale nelle classi. Questi programmi, però, non raggiungono il loro scopo. Cecchini e Tonucci
hanno sottolineato in particolare il fallimento delle classi speciali con il loro tentativo
di integrare, nel sistema scolastico normale, bambini leggermente ritardati sul piano intellettuale. Il ritardo cognitivo -essi affermano- coincide generalmente con una forma
di deprivazione culturale in parte riconducibile alla classe sociale di appartenenza e alla
26
Fattori sociali e sviluppo cognitivo
provenienza geografica. Anche lo sforzo fatto negli anni seguenti di potenziare l’edilizia scolastica, se consiste, come le misure citate, in un pre-requisito indispensabile alla
creazione di condizioni pedagogiche favorevoli, non si è rivelato, tuttavia, un rimedio
agli insuccessi. Agli occhi di questi psicopedagogisti l’insufficienza dell’insieme di queste misure dipende dal fatto che esse hanno mirato a rimuovere solo alcune condizioni negative dell’insegnamento ma non incidono efficacemente sulla formazione degli
insegnanti e dunque sul loro approccio alla situazione educativa. Conseguentemente
Cecchini e Tonucci cercano di trasformare questo approccio cercando di individuare i
meccanismi che mediano le correlazioni esistenti tra insuccessi scolastici e classi sociali. A partire dai lavori di Bernstein (1961), di Whiteman e Deutsch (1968) e di Hunt
(1968) essi formulano delle ipotesi relative all’importanza della comunicazione e della
motivazione nella determinazione delle correlazioni tra classi sociali e sviluppo intellettuale. In effetti, dalle ricerche di questi autori risulterebbe che non è la classe sociale in
sé stessa la causa dei ritardi nello sviluppo intellettuale o scolastico ma una forma di deprivazione sociale ad essa strettamente connessa. Questa deprivazione sociale si manifesta in parecchie dimensioni. La prima è la frequenza e la complessità degli scambi che
il bambino intrattiene nel suo ambiente, senza poter chiarire però se il fattore principale sia il tempo passato nel comunicare o il grado di elaborazione degli scambi. Nelle
loro conseguenze pedagogiche queste due variabili sono equivalenti poiché per accrescere l’una o l’altra bisogna indurre gli alunni a comunicare su argomenti strettamente
connessi al loro livello cognitivo; su argomenti cioè che diventino progressivamente più
complessi. Senza di ciò, la motivazione che induce allo scambio scomparirebbe. Altre
dimensioni sono il livello di aspirazione dei genitori nei confronti della scolarizzazione
dei loro figli, e le condizioni materiali di alloggio4.
Dal loro studio sul livello di aspirazioni, Cecchini e Piperno (1974) deducono che
“esiste un conflitto da un lato tra le norme degli insegnanti che hanno delle aspettative calibrate sugli alunni delle classi sociali superiori e dall’altro le prestazioni effettive degli alunni
delle classi inferiori, e che l’eliminazione di questo conflitto dovrebbe risultare dall’accrescimento della motivazione degli alunni delle classi inferiori, della loro autostima e del loro
livello cognitivo, nel senso di una riduzione dello scarto esistente tra le loro capacità attuali
e potenziali”. Sul piano pedagogico, per passare da norme centrate sull’insegnante a
norme centrate sul bambino, e dunque ridurre questo conflitto, gli autori citati raccomandano il cambiamento della struttura di comunicazione della classe: abbandonare lo
schema classico di scambio tra insegnante ed allievo per istituire una rete di interazioni
tra alunni; il ruolo dell’insegnante diventa allora quello di suggerire al(i) gruppo(i) di
alunni problemi motivanti - e dunque interessanti - da risolvere. È quanto già faceva
Freinet.
Un simile approccio pedagogico si giustifica poiché crea un luogo in cui il bambino è chiamato ad esprimersi, dunque a creare, ad esplorare, a costruire e anche ad
essere confrontato con punti di vista diversi dal proprio. Del resto è noto il ruolo che
Piaget, nella sua teoria sullo sviluppo dell’intelligenza, accorda all’attività del soggetto
ed in particolare ai processi di esplorazione, all’interrelazione esistente tra linguaggio e
pensiero ed alla capacità crescente di coordinare punti di vista diversi.
Cecchini e Tonucci avanzano quindi l’ipotesi che cambiando metodo di insegnamento, pur migliorando le prestazioni di tutti, sia possibile annullare le differenze esi27
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
stenti tra le prestazioni scolastiche dei bambini delle classi sociali superiori ed inferiori.
Essi preconizzano che, perché un metodo adeguato possa permettere il pieno sviluppo di tutti, deve fondarsi sulla costruzione delle conoscenze (nel senso piagetiano),
sul potenziamento della motivazione intrinseca rispetto al compito e sull’intensificazione della comunicazione e delle interazioni tra alunni. Ciò comporta una trasformazione delle relazioni insegnante-alunni. Noi abbiamo descritto altrove (Perret-Clermont, 1976) come il tipo di attività che essi propongono concerna l’universo familiare
dei bambini e costituisca un legame tra la vita scolastica e la vita sociale. Il cammino
scolastico deve centrarsi non più su di un insieme di alunni presi collettivamente o
individualmente ma sul gruppo di bambini e la sua dinamica interna.
Questi ricercatori, in stretta collaborazione con degli insegnanti, realizzano un certo numero di esperienze, in un lasso di tempo che va da qualche mese ad alcuni anni.
Le prime valutazioni che essi ne fanno, paragonando i risultati scolastici dei bambini
di classe sociale inferiore partecipanti alla loro ricerca, con quelli di alunni di scuole
tradizionali di diversi ambienti sociali (Cecchini, Tonucci et al. 1972) Pazienti, Dubs
e Cecchini, 1972; Cecchini e Tonucci 1973), sembrano rivelare il successo della loro
impresa in rapporto all’obiettivo fissato. In particolare, una serie di misure che stimano la produzione linguistica degli alunni dei diversi gruppi, sembrano mostrare “come
eventuali handicap linguistici di origine socioeconomica possano facilmente essere fronteggiati già alla fine della seconda elementare, utilizzando un adeguato metodo pedagogico”.
Pertanto le produzioni di alunni che hanno beneficiato di tale metodo risultano “più
lunghe e più complesse sul piano sintattico e più elaborate di quelle di alunni dello stesso
ambiente socioeconomico ma educati con metodo tradizionale”. E inoltre, come riferiscono gli stessi autori, l’uso del linguaggio scritto appare, negli alunni di livello socioeconomico elevato, sensibilmente inibito dalla metodologia pedagogica tradizionale. Ciò
comporta una superiorità delle produzioni linguistiche dei bambini di classe sociale
inferiore che hanno ricevuto un adeguato insegnamento rispetto a quella dei bambini
di classe superiore che hanno frequentato la scuola tradizionale. Ci si può ancora chiedere quali sarebbero i risultati se si paragonassero le prestazioni di gruppi appartenenti
ad ambienti socioeconomici diversi ma appaiati con una metodologia adeguata. Gli
alunni privilegiati conserverebbero ancora il loro vantaggio? Gli autori non hanno potuto realizzare una simile comparazione sul piano linguistico, ma misure “centrate su
performance cognitive e percettive hanno mostrato che le differenze tra questi due gruppi
sono sensibilmente diminuite alla fine della seconda elementare rispetto all’inizio della prima elementare”, esse, per alcune prove logiche piagetiane, sono perfino “equivalenti” 5.
L’obiettivo del nostro discorso, in questa sede, non è quello di entrare nel dettaglio di queste comparazioni. Certo la valutazione di un approccio pedagogico – approccio che risulta necessariamente globale – pone un certo numero di problemi metodologici che rendono difficile qualsiasi dimostrazione. D’altronde gli autori stessi
non miravano tanto a dimostrare la portata di un meccanismo particolare quanto a
mettere in evidenza la fecondità, quali che fossero i bambini a cui essa è rivolta, di
un metodo pedagogico che tenesse conto simultaneamente dei processi fondamentali
dello sviluppo che sono, secondo le loro analisi: la costruzione delle conoscenze, la
motivazione intrinseca e la comunicazione. L’originalità del loro metodo, che si rivela
fecondo sul piano pedagogico, ci sembra si collochi nell’attenzione particolare che essi
28
Fattori sociali e sviluppo cognitivo
accordano all’intensificazione della comunicazione, ed in particolare delle interazioni
tra bambini.
Le problematiche pedagogiche e psicopedagogiche lasciano intravedere l’esistenza di processi psicosociali. Quali sono le conoscenze di cui attualmente disponiamo
su questi processi interazionali e più in generale sul ruolo dei fattori sociali nello
sviluppo?
2. Il ruolo dei fattori sociali nello sviluppo
Rispetto al ruolo dei fattori sociali nello sviluppo, diversi procedimenti teorici o
sperimentali hanno tentato di discernerne le modalità. Essi pervengono spesso ad ipotesi contraddittorie.
2.1 Approccio globale: l’effetto delle differenze interculturali
Cercando di definire l’effetto che le differenze interculturali, considerate globalmente, possono avere sullo sviluppo intellettuale, alcuni di questi procedimenti, affrontano lo studio dei fattori sociali in un’ottica macro. Dal punto di vista della psicologia genetica, illustrato dai lavori di Bovet (1968), Inhelder, Sinclair, Bovet, (1974,
Capitolo V) e Bovet e Othenin-Girard (1975), l’accento viene posto sulle capacità
interne del soggetto ad equilibrare i suoi scambi con l’ambiente. I fattori sociali non
vengono studiati né come causa di sviluppo, né a livello dei meccanismi attraverso i
quali tali fattori influenzerebbero lo sviluppo stesso, ma attraverso la messa in evidenza
di quelle modulazioni che le differenze interculturali impongono al corso dello sviluppo. A questo livello di definizione dell’oggetto di studio alcuni dei lavori di Bruner,
Olver, Greenfield et al. (1966) si collocano nella stessa prospettiva. Pertanto, costatando che “benché l’ordine di successione (degli stadi) si riveli costante - ogni stadio è necessario
alla costruzione del seguente - l’età media in cui i bambini raggiungono ogni stadio può
variare considerevolmente da un ambiente sociale ad un altro oppure da un paese all’altro”
e, riportando l’esempio di una ricerca fatta in Iran che evidenzia “differenze notevoli tra i
bambini della città di Teheran e quelli analfabeti dei villaggi” Piaget (1972, p.7) formula
un certo numero di ipotesi sui meccanismi in gioco: “le diverse velocità (di sviluppo)
sarebbero dovute alla qualità ed alla frequenza di stimolazioni intellettuali ricevuta dagli
adulti o ottenute attraverso possibilità offerte ai bambini dall’attività spontanea nel loro
ambiente” e più oltre (p.8) “la formazione ed il completamento delle strutture cognitive
implicano tutta una serie di scambi ed un ambiente stimolante; la formazione delle operazioni necessita sempre di un ambiente favorevole alla co-operazione, cioè ad operazioni
effettuate in comune (vedi il ruolo della discussione, della critica reciproca, dei problemi
sollevati dallo scambio di informazioni, dalla curiosità acuita dall’influenza culturale di
un gruppo sociale, ecc. ...)”. Queste ipotesi dunque sono state avanzate e si riferiscono
essenzialmente alle caratteristiche che arricchiscono un ambiente, ma poiché ciò non
rappresenta il principale oggetto di studio, le investigazioni sperimentali di questa cor29
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
rente di ricerca non si occupano sistematicamente delle caratteristiche psicosociali dell’ambiente e non sono perciò in grado di rendere conto delle modalità del loro impatto
sullo sviluppo.
Seguendo un analogo modo di procedere – ugualmente globale nel modo di comprendere la realtà sociale – prima in Norvegia, Hollos e Cowan (1973), più tardi in
Ungheria, Hollos (1975), hanno confrontato i livelli di comportamento dei bambini provenienti da ambienti che gli autori descrivono come diversi relativamente “alla
quantità di scambi sociali e verbali nei quali i bambini sono implicati”. Essi constatano
che questi bambini si distinguono gli uni dagli altri non tanto sul piano delle operazioni logiche quanto per quel che concerne i “role-taking skills” (capacità di rivestire
il ruolo di un’altra persona o di tenere conto di punti di vista diversi dal proprio).
In effetti, i bambini di ambiente rurale, vivendo in un ambiente socialmente isolato,
riescono meno bene, dei bambini delle città e dei villaggi, nelle prove relative al “roletaking”, ma ottengono risultati superiori a questi ultimi nel campo delle operazioni
logiche. Questi risultati portano gli autori a concludere che, al di là di una certa soglia,
il linguaggio e la scolarizzazione non hanno per la formazione dei concetti un ruolo
così importante quanto quello che Bruner conferisce loro nella sua teoria. Sembra che
l’“ipotesi di soglia” sia verificata: “un livello minimo di esperienza di interazioni verbali e
sociali sembra essere sufficiente per lo sviluppo delle operazioni logiche. Invece, i processi di
“role-taking” necessitano di un livello più elevato” (1975). I loro lavori affrontano in tal
modo alcuni elementi del problema che sollevavamo sopra e che gli stessi autori ugualmente sottolineano: “quali caratteristiche verbali, sociali o fisiche dell’ambiente hanno
effetto specifico sullo sviluppo cognitivo: è un problema questo a cui si comincia appena a
prestare attenzione” (1973, p. 640).
2.2 Approccio centrato sull’individuo: dallo studio della socializzazione
del pensiero individuale all’analisi dell’interdipendenza tra strutture
del pensiero e forme di relazioni sociali
2.2.1 L’approccio piagetiano
Sul versante opposto ai lavori condotti con un approccio al sociale di tipo globale si collocano i primi studi di Piaget e le sue osservazioni che, affrontano lo sviluppo sociale dell’individuo con una centrazione esclusiva sull’individuo. È così che Piaget (1923) tende a descrivere l’evoluzione del bambino a partire dal suo egocentrismo
iniziale. Un tale punto di vista conduce l’autore, in particolare nel volume sulla Psicologia dell’Intelligenza (1947), a parlare di “socializzazione dell’intelligenza individuale”
(p.169 della riedizione del 1956). La terminologia usata, in sé stessa, lascerebbe intravedere l’idea di un pensiero la cui natura originaria sarebbe individuale e che progressivamente diventerebbe sempre più socializzata. In effetti “a seconda del livello di sviluppo
dell’individuo, gli scambi che egli instaura con l’ambiente sociale sono di natura molto diversi, e modificano di conseguenza, per compensazione, la struttura mentale individuale in
modo ugualmente differente” (idem, p.169). Piaget descrive l’evoluzione di queste rela30
Fattori sociali e sviluppo cognitivo
zioni tra l’individuo ed il suo ambiente: “durante il periodo senso-motorio il bebè è già
oggetto di influenze sociali multiple... ma non vi è ancora nessuno scambio di pensiero, poiché il bambino di questo livello ignora il pensiero, e di conseguenza nessuna modificazione profonda delle strutture intellettuali è dovuta alla vita dell’ambiente sociale.
Con l’acquisizione del linguaggio, cioè durante i periodi simbolico e intuitivo, appaiono nuove relazioni sociali che arricchiscono e trasformano il pensiero dell’individuo”
(idem, p. 169-170). Più tardi al livello pre-operatorio “le strutture proprie del pensiero
nascente escludono la formazione dei rapporti sociali di cooperazione che da soli implicherebbero la costituzione di una logica: oscillando tra l’egocentrismo deformante e l’accettazione passiva degli ostacoli intellettuali, il bambino non è dunque ancora oggetto di una socializzazione dell’intelligenza che possa modificarne profondamente il meccanismo. È ai livelli
della costruzione dei raggruppamenti delle operazioni concrete, poi soprattutto formali che
si pone, invece, in tutta la sua acutezza, il problema dei ruoli rispettivi dello scambio sociale e delle strutture individuali nello sviluppo del pensiero” (idem, p.173). Attraverso questa analisi genetica Piaget mostra in cosa l’attitudine a cooperare sarebbe solidale con
lo sviluppo delle operazioni ma, nello stesso tempo, egli insiste sulla natura contemporaneamente sociale ed individuale della logica. “Man mano che le intuizioni si articolano e finiscono col raggrupparsi operatoriamente, il bambino diventa sempre più idoneo alla
cooperazione, rapporto sociale distinto dalla costrizione in quanto esso suppone una reciprocità tra individui che sappiano differenziare i loro punti di vista” (idem, p.173), “D’altro
canto, dal punto di vista psicologico, che qui assumiamo, la logica stessa non consiste unicamente, in un sistema di operazioni libere: essa si traduce con un insieme di stati di coscienza, tutti caratterizzati da alcuni obblighi a cui è difficile contestare un carattere sociale primario o derivato che sia”.
Da questo testo si evincerebbe dunque che solo questa manifestazione dell’intelligenza che Piaget chiama “il vero pensiero” - quello operatorio - possa essere socializzata. Tale posizione ci sembra riduttiva sia per la definizione di intelligenza che
per quella di socializzazione. Non bisognerebbe forse introdurre a questo proposito,
in modo molto più chiaro - e per farlo ci fonderemo in parte su altri studi di Piaget
- una netta distinzione tra la natura dell’intelligenza ed i suoi fattori di sviluppo, da
una parte, le forme che essa riveste dall’altra. Forme che sarebbero più o meno “socializzate” nel senso di condotte più o meno rette dal sistema di relazioni che Piaget presenta come ottimale e razionale: la cooperazione. Constatare, come fa l’autore,
un isomorfismo strutturale tra l’intelligenza operatoria e le condotte di cooperazione non dovrebbe implicare che il fattore sociale, descritto peraltro (Piaget e Inhelder,
1966, p.122-123) come terzo fattore fondamentale dello sviluppo mentale, non abbia
alcun ruolo causale per l’accesso ad altri stadi dello sviluppo non comporta, necessariamente, che vi sia assenza di isomorfismo ad altri livelli (argomento sviluppato da
Deschamps, Doise, Meyer e A. Sinclair, 1976, a proposito del processo di differenziazione categoriale).
Piaget d’altronde ne ha discusso nei suoi approcci sociologico (1965) e psicosociologico (1958-60). Se, infatti, Piaget, come abbiamo già ricordato, pone il problema: dei
ruoli rispettivi dello scambio sociale e delle strutture individuali nello sviluppo del pensiero,
ugualmente al centro delle sue preoccupazioni pone quello dell’interdipendenza tra le
strutture del pensiero e le forme che rivestono le relazioni sociali. Pertanto Piaget vede
31
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
una analogia strutturale tra i tre livelli dell’istanza psicologica -attività senso-motoria,
pensiero intuitivo, pensiero operatorio - e le attività tecniche, ideologiche e scientifiche
costituenti l’istanza sociologica. In particolare sul piano dei rapporti tra interazioni
sociali ed operazioni cognitive, egli descrive come le relazioni di scambio -intellettuali
come di beni - sono la testimonianza, in caso di equilibrio, di una logica identica a
quella che si attualizza nelle operazioni individuali: “...le relazioni sociali equilibrate in
cooperazione costituiranno dunque dei ‘raggruppamenti’ di operazioni, esattamente come
tutte le azioni logiche esercitate dall’individuo sul mondo esteriore, e le leggi del raggruppamento definiranno la forma di equilibrio ideale comune alle prime come alle seconde”
(1965, p.159). Per quanto concerne la cooperazione intellettuale Piaget ha l’occasione
di precisarne i domini (1958, p.235) indicando le tecniche ed il pensiero scientifico come terreni specifici della cooperazione. All’opposto del paradigma scientifico si
trovano le “rappresentazioni collettive”, “insieme di opinioni non controllate, di credenze
obbligatorie, di miti ed ideologie, la cui formazione si può supporre legata al loro stesso
modo di trasmissione, nel senso che, il prestigio dei più grandi che trasmettono, giuoca un
ruolo nell’elaborazione dei concetti nei più piccoli a cui si trasmette, così che il prodotto della
trasmissione viene a costituire una forma di pensiero più simbolico che oggettivo” (Piaget,
1958, p.235). Questo sembra supporre, in linea generale che, dal momento che la
logica suppone la coordinazione nello scambio, la cooperazione permette la trasmissione adeguata di una nozione cosa che non avviene nelle interazioni rese asimmetriche
da una relazione di prestigio, di autorità se non addirittura di coercizione. In effetti,
perché una nozione venga acquisita in modo adeguato occorre che essa possa essere “ricreata” dal soggetto. Senza ciò resta essa un’opinione consolidata dai fattori extra logici,
e dipende da un pensiero non-operatorio.
Per quel che concerne le interazioni e le trasmissioni sociali come fattore di sviluppo è chiaro che Piaget ha preso in esame soprattutto la funzione, che egli ritiene
determinante, della cooperazione. Ma il fattore sociale non agisce attraverso altre forme
di interazioni? In particolare le interazioni anteriori a quelle della cooperazione, hanno
un ruolo nella determinazione dello sviluppo? Piaget denuncia (1958, p. 235) “le forme
di organizzazione scolastica che fanno prevalere l’autorità dell’insegnante e la trasmissione
essenzialmente verbale e che conducono a deviazioni dello spirito scientifico verso semplici
credenze collettive obbligatorie”. Ma è questo il destino di tutte le forme di interazione
non derivanti dalla cooperazione? Non esistono forse forme di relazioni e di scambi
che preparano la cooperazione proprio perché partecipano alla genesi delle strutture
operatorie da cui dipende la cooperazione?
2.2.2 L’investigazione sperimentale
Dopo avere esaminato le posizioni teoriche piagetiane esaminiamo ora i filoni di
ricerca che ne derivano.
Uno di essi si basa sull’ipotesi di una corrispondenza tra le strutture che sostengono le attività cognitive dell’individuo e quelle che intervengono nelle interazioni
sociali. L’altro filone prende in esame i problemi posti dalla nozione di “egocentrismo”
infantile.
32
Fattori sociali e sviluppo cognitivo
Nella prima di queste correnti bisogna includere innanzitutto i lavori di Piaget
stesso sul linguaggio (conversazione tra bambini, spiegazioni da bambino a bambino),
sullo sviluppo del giudizio morale ed in particolare il suo studio sull’evoluzione del
giuoco delle biglie nei bambini. Queste esperienze si basano sull’ipotesi di una corrispondenza tra le strutture che reggono le attività cognitive dell’individuo e quelle che
intervengono nelle interazioni sociali.
Tale problematica viene ripresa dalla Nielsen (1951) che studia il comportamento
dei bambini nelle situazioni in cui essi agiscono sia soli che in collaborazione. Vengono
scelte diverse tecniche che tendono a favorire la collaborazione. Ad esempio due bambini devono realizzare un disegno servendosi di due matite legate da una corda che li
obbliga a coordinare le loro azioni. Queste ricerche si prefiggevano di studiare come la
vita sociale del bambino si costruisce come “un’attività intellettuale a più partecipanti”
(Nielsen, 1951, p. 139). Per ciascuna delle sue tecniche l’autrice mette in evidenza un
passaggio dalla non coordinazione egocentrica alla graduale collaborazione, paragonando i risultati con quelli di Piaget, la Nielsen afferma che “siamo stupiti nel constatare una
convergenza quasi perfetta tra le sue esperienze e le nostre che mostrano tutte un ‘turning
point’ (un momento decisivo) per lo sviluppo sociale all’età di 7-8 anni” (Nielsen, 1951, p.
159), al momento dell’apparizione delle operazioni concrete. Ma se la Nielsen osserva
dunque l’isomorfismo previsto, è evidente tuttavia che la comprensione non costituisce il solo fattore di intervento nel compito. Il rapporto sociale che si stabilisce tra i
partner ha anch’esso una sua influenza e difatti, particolarmente nell’esempio riportato
precedentemente, una forte competizione sembra contrastare la consegna che è quella
di terminare in contemporanea il disegno.
Dami (1975), nello sviluppo successivo di questi problemi, studia l’evoluzione
delle strategie cognitive dei bambini nei giuochi di cooperazione a due. Le sue ricerche
mettono in evidenza un’evoluzione che è funzione dell’età ma il cui vettore non è sempre quello atteso sul piano teorico. In effetti, i bambini non adottano necessariamente
le strategie più razionali quando ne sono divenuti capaci. La presenza dell’avversario
eserciterebbe due tipi di influenza sull’attività del giocatore: “... da una parte essa esercita un’influenza positiva e costruttiva permettendo al soggetto di padroneggiare la situazione
in modo sempre più diversificato, con una sempre maggiore mobilità (obbligo di cambiare
spesso tattica a causa delle scelte dell’avversario), dall’altra, essa esercita un’influenza negativa ed inibitrice, poiché l’attività dell’avversario si oppone costantemente a quella del
soggetto, impedendogli di raggiungere lo scopo che si è prefisso” (Dami, 1975, p. 209).
Moessinger (1974, 1975) affronta il problema sul piano delle condotte di spartizione. Ne scaturisce che, se i bambini più piccoli non hanno la preoccupazione di sfruttare tutte le risorse delle due parti, comportamenti di egualitarismo ed anche di equità
precedono l’apparizione di un altro comportamento sociale molto elaborato, anche se
poco socievole, quello del ricatto, che i bambini manifestano quando hanno raggiunto
lo stadio del pensiero formale.
Se le esperienze non sempre evidenziano le condotte previste nei bambini più
grandi, dipende dal fatto che bisognerebbe ricordare che, fra i comportamenti “socializzati”, quelli più “socievoli” non sono necessariamente i più elaborati. Comportamenti
poco socievoli possono presupporre un grado elevato di intelligenza sociale. Appare
così che questi autori hanno effettivamente osservato dei bambini in uno stadio in
33
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
cui sono capaci di cooperare e che questi bambini stanno veramente cooperando - nel
senso di coordinare operazioni ed azioni - ma senza che venga realizzata una collaborazione nel senso di una razionale coniugazione delle risorse dei partner verso uno stesso
scopo. Il sistema di relazioni implicato nella collaborazione non sembra essere il solo
capace di generare comportamenti sociali elaborati per quel che riguarda il livello intellettuale che essi presuppongono. Questa problematica meriterebbe essere approfondita
attraverso lo studio più dettagliato delle diverse modalità di interazione sociali ed un
esame del loro avvalersi delle risorse cognitive.
Anche le ricerche di Flavell e collaboratori (1968) esplorano, nel bambino, la corrispondenza tra lo sviluppo cognitivo e talune forme di interazioni sociali. Flavell non
formula ipotesi sulle relazioni causali tra queste dimensioni dello sviluppo ma tenta di
descrivere lo sviluppo, nell’individuo, delle capacità di comunicazione e di assunzione
di ruolo (role-taking skills). A questo scopo, per studiare i meccanismi cognitivi che
intervengono nell’interazione sociale, egli esplora un certo numero di situazioni in cui
il bambino è chiamato a coordinare le sue azioni con quelle di uno sperimentatore. È
in questo modo per esempio che egli osserva, in interazioni ludiche molto semplici,
tra lo sperimentatore ed il bambino, come quest’ultimo pervenga progressivamente a
prendere in considerazione le intenzioni del partner. In altri esperimenti, ispirandosi
al problema delle prospettive studiato da Piaget e Inhelder (1948) nella prova delle tre
montagne, Flavell segue, in funzione dell’età, l’evoluzione della capacità di individuare
il punto di vista dell’altro. In un’altra ricerca, viene presentata al soggetto una serie di
sette disegni a partire dai quali gli si chiede di raccontare una storia. Successivamente
vengono esclusi tre disegni dalla serie ed il bambino dovrà dire quale storia potrebbe
costruire qualcuno che sopraggiunga in quel momento, con i restanti quattro disegni.
Il decentramento, in rapporto al racconto originario, appare soprattutto verso i 9-10
anni. Altre prove esaminano lo sviluppo nel bambino dell’attitudine a tenere conto
delle caratteristiche del suo uditorio, le condotte - ed in particolare gli argomenti - ai
quali egli ricorre per persuadere un interlocutore, i giochi di ruolo. L’insieme di questi
lavori evidenzia come il bambino, nel corso del suo sviluppo, diventi progressivamente
capace di dissociare i diversi punti di vista, di ricostituirli e di tenerne conto nelle sue
azioni. Se è chiaro che questo sviluppo è legato a quello delle strutture cognitive, manca
tuttavia una analisi precisa - senza dubbio difficile da realizzare - delle operazioni intellettuali che intervengono nelle condotte studiate. Questa assenza di analisi precisa delle
operazioni messe in gioco dal compito ed il fatto, come dimostra Doise (1976b, p.8)
“che una interazione sociale è raramente espressione di una sola strutturazione cognitiva,
molte sono le regolazioni che intervengo nello stesso tempo” spiega, in parte, come Rubin
(1974), nel suo studio sull’egocentrismo spaziale e comunicativo, o Turnure (1975), in
una ricerca in cui studia simultaneamente i livelli di condotte cognitive e delle condotte
di assunzione di ruolo, non riescano a trovare correlazioni tra prestazioni dei bambini
in questi due campi come farebbero supporre le descrizioni di Flavell. Selman (1971),
invece, individua tale correlazione tra condotte di giudizio morale e capacità di assunzione di ruolo che deriverebbero da una capacità di vedere l’interazione tra sé e l’altro
attraverso il punto di vista dell’altro.
In effetti il livello che il bambino sembra raggiungere per una data nozione sembrerebbe dipendere, in parte, dal tipo di compito in cui è chiamato ad attualizzare le
34
Fattori sociali e sviluppo cognitivo
operazioni costitutive della nozione stessa. È quanto emerge per esempio dai lavori di
Hoy (1974) il quale mostra come, nei bambini, la riuscita nei compiti di prospettiva
spaziale dipenda dal tipo di compito scelto. Hoy constata che la capacità dei bambini
di 6, 8 e 10 anni nel predire il punto di vista di un’altra persona dipende soprattutto dal
genere e dal numero di caratteristiche dell’oggetto di cui il soggetto deve tenere conto
e dalla tecnica usata per fargli produrre la risposta. Cox (1975) mostra ugualmente
come l’età in cui dei bambini pervengono a risposte che non siano più egocentriche
alla prova delle “tre montagne” di Piaget e Inhelder (1948) vari in funzione della procedura sperimentale adottata. Tale ricerca è stata realizzata con due gruppi di bambini.
I soggetti del primo gruppo devono indicare quale è la prospettiva del punto di vista
di una bambola situata successivamente in luoghi diversi attorno al dispositivo mentre
per i soggetti del secondo gruppo è lo sperimentatore che occupa posizioni diverse delle
quali il bambino deve dare la prospettiva. Cox ottiene prestazioni superiori (aumento
delle risposte corrette e diminuzione del tasso di egocentrismo) nella condizione in cui
il bambino è messo a confronto non con una bambola, ma con l’adulto.
Ed è proprio ad un approfondimento del concetto di “egocentrismo” che si dedica
un secondo insieme di esperienze, ispirate dall’approccio teorico piagetiano. Partendo
dalle affermazioni di Piaget sull’egocentrismo infantile e sull’interdipendenza tra l’attitudine a coordinare diversi punti di vista e operazioni cognitive del bambino di 7-8
anni, i ricercatori afferenti a quest’orientamento si chiedono se l’egocentrismo possa
veramente rappresentare un concetto utile alla descrizione della natura del pensiero
infantile e se comportamenti di collaborazione sociale non inciderebbero sullo sviluppo
più di quanto non lascino supporre certi approcci piagetiani. A tal proposito, Borke
(1975) riprende la prova delle “tre montagne” di Piaget e Inhelder e tenta di modificarne il modo di presentazione e di intervista per renderla più accessibile a bambini di età
inferiore. Borke riesce così ad ottenere, da bambini relativamente giovani (3-4 anni),
che chiaramente non avevano ancora raggiunto lo stadio delle operazioni concrete,
comportamenti che mostravano la capacità di situarsi da un punto di vista diverso dal
proprio.
Flavell ed alcuni dei suoi collaboratori (Masangkay et al., 1974) hanno condotto
delle ricerche per valutare, qualora vengano adottate consegne semplificate, la capacità
di bambini dai 2 ai 5 anni di dedurre ciò che vede un’altra persona da una posizione
diversa dalla propria. Gli autori, a partire dai risultati, affermano che abilità di questo
tipo sarebbero presenti sin dai 2 o 3 anni, giacché a questa età i soggetti si mostrano
capaci di condotte “non egocentriche” come quella di inferire che un’altra persona sta
vedendo un oggetto ad essi nascosto. È chiaro che queste condotte non sono tuttavia
dello stesso grado di complessità di quelle messe in atto in una prova di prospettiva
come quella delle tre montagne, “se si stabilisce dunque che il bambino piccolissimo è
capace di rappresentarsi qualcosa concernente le percezioni visive di altre persone, che cosa,
in realtà, egli si rappresenta?. ..Il bambino piccolo capisce che un’altra persona può vedere o
non vedere il suo stesso oggetto in funzione di certe variabili della situazione che si possono
globalmente caratterizzare, come l’orientamento della testa e degli occhi dell’osservatore in
rapporto all’oggetto nascosto. Tuttavia non per questo il bambino comprenderà con certezza
il concetto di prospettiva di un dato oggetto. Egli rischia cioè di non capire che l’osservatore
non solo vede un oggetto - in opposizione al non vederlo- ma che in più ha un punto di
35
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
vista o una prospettiva particolare su quell’oggetto - piuttosto che, semplicemente, un’altra
prospettiva” (Masangkay et al 1974, p. 360).
Garvey e Hogan (1973) e Garvey (1974) osservano le interazioni verbali e ludiche
di bambini dai 3 ai 5 anni e suggeriscono l’esistenza di certo numero di competenze
sociali come prerequisiti alle condotte osservate, inadeguate ad essere qualificate attraverso il concetto di egocentrismo.
Simili risultati sollevano il problema dello statuto delle condotte e delle interazioni
sociali osservate. Queste interazioni, in particolare, derivano forse da una forma di “coazione” che precederebbe la cooperazione? Dipenderebbero da un certo livello di sviluppo cognitivo? Oppure costituirebbero elementi determinanti di uno sviluppo al tempo
stesso sociale e cognitivo? La cooperazione non sarebbe allora che una delle forme possibili di queste interazioni, modalità resa possibile da tutto un percorso evolutivo. Sembra
comunque che simili problemi, allo stato attuale delle conoscenze, restino aperti.
È chiaro che se, come abbiamo tentato di mostrare precedentemente, un esame
dei meccanismi psicosociali in atto nello sviluppo del bambino potrebbe contribuire al
dibattito teorico in psicologia come accade nel dibattito pedagogico e sociologico ed in
particolare nell’area dell’insuccesso scolastico, le conoscenze relative a questi meccanismi sono ancora limitate. Il contributo di Piaget prende in esame soprattutto l’ipotesi
di una interdipendenza fra le strutture cognitive e le forme di socializzazione sia sul piano delle condotte che su quello del giudizio o delle rappresentazioni. I suoi continuatori, da una parte, hanno messo in evidenza le modulazioni che i diversi ambienti sociali
possono portare al loro sviluppo e, dall’altra, hanno cercato di descrivere, con precisione, l’evoluzione simultanea delle condotte sui diversi piani. Quest’ultimo modo di
procedere ha avuto come risultato quello di far emergere la precocità delle condotte di
interazione sociale, ma non chiarisce il problema della causalità fra cognitivo e sociale.
Quest’orientamento contribuisce così a creare una psicologia che tende a considerare,
come sorgente dell’evoluzione mentale del soggetto, la sua attività sull’ambiente fisico
ed i processi di riequilibrio interno. Questo centrare l’approccio psicologico sull’individuo, preso isolatamente senza un’analisi approfondita del ruolo degli scambi con il suo
ambiente sociale, rischia di far credere che il soggetto epistemico possa essere studiato
nel vuoto sociale.
Risalendo a momenti molto precoci dello sviluppo infantile si può constatare come
il contesto sociale eserciti già un suo ruolo poiché perfino le attività percettive di un
neonato possono essere in parte dipendenti da quelle di persone del suo entourage. “Lo
sguardo del neonato segue più facilmente gli oggetti quando questi sono tenuti da qualcuno che imprime loro un movimento “allettante”, un movimento cioè che tenga conto delle
reazioni del bebè. Questo fatto sottolinea la straordinaria sensibilità del neonato verso le
persone del suo entourage” (Treverthen, Hubley e Sheeran, 1975, p. 452). A tal proposito
gli autori hanno descritto come l’entourage agisca fin dalla nascita nello sviluppo del
bambino inducendoli ad attribuire al fattore sociale un ruolo primordiale nell’avvento
della coscienza e della capacità di agire volontariamente. “Così come l’esplorazione visiva
dei dettagli si sviluppa in seno ad un contesto innato di movimenti di orientamento visivo,
il sorriso si differenzia come elemento specifico di un’attività di comunicazione innata. Le
mamme sono sensibili all’insieme di tali attività di comunicazione, e non al solo sorriso:
anche quando il bambino non sa fare un sorriso molto riconoscibile, la mamma sa ricono36
Fattori sociali e sviluppo cognitivo
scere la sua socievolezza. A due mesi, i bebè rispondono alle attenzioni del loro entourage con
tutta una serie di gesti che prefigurano quella che sarà la conversazione tra adulti. Abbiamo
ora la certezza che, senza sminuire l’importanza della cultura nella formazione del linguaggio, sia che si tratti di discorso che di gesti, la base della comunicazione interpersonale
esiste nell’uomo sin dalla nascita: verso le otto settimane, questa competenza comunicativa è
già notevolmente sviluppata, mentre i processi cognitivi e mnemonici cominciano appena a
manifestarsi. Sentiamo a questo punto la tentazione di sostenere che l’intelligenza umana si
sviluppi, sin dall’origine, come un processo interpersonale e che lo sviluppo della coscienza e
la capacità di agire volontariamente controllando l’ambiente fisico siano la risultante e non
una componente di questo processo” (idem, p. 456-457).
3. Prospettive di ricerca
3.1 Lo studio del periodo delle operazioni concrete
Con l’insieme delle ricerche che presentiamo nelle pagine seguenti ci proponiamo
di mostrare l’effetto dell’interazione sociale su certi aspetti dello sviluppo cognitivo. Se
abbiamo scelto di studiare questo problema principalmente in quella fase dello sviluppo che corrisponde all’avvento delle operazioni concrete lo abbiamo fatto per più di
una ragione.
3.1.1 Pertinenza pedagogica
Innanzitutto questa tappa dell’evoluzione mentale del bambino corrisponde globalmente ai suoi primi anni di scuola o anche di prescolarità. Ora, come abbiamo precedentemente illustrato, è in questo periodo che nascono molti problemi dei quali un
sintomo è certamente costituito dagli insuccessi scolastici. La soluzione di questi problemi richiede, probabilmente un ripensamento nella metodologia stessa dell’insegnamento. Ci sembra particolarmente plausibile l’ipotesi che un cambiamento nelle relazioni insegnante-alunno e nelle relazioni tra alunni potrebbe migliorare non solo il
clima socio-emotivo della classe ma anche favorire l’apprendimento. Se sul piano pratico, pedagogisti come Cecchini, Tonucci ed altri (1972) o De Vries & Kamii (1974)
possono, sulla scia di Piaget (1969), preconizzare la collaborazione tra bambini ed il lavoro (o il gioco) in équipe: “dal punto di vista intellettuale, è questa (la cooperazione) la
più idonea a favorire lo scambio reale del pensiero e la discussione, cioè tutte le condotte suscettibili di educare lo spirito critico, l’oggettività e la riflessione discorsiva” (Piaget, 1969,
p.263). Questa affermazione si basa essenzialmente sulla constatazione dell’apparizione simultanea delle condotte operatorie e di cooperazione e su di una analisi strutturale della loro interdipendenza: “ogni raggruppamento interno agli individui è un sistema
di operazioni effettuate in comune, cioè, nel senso proprio delle ‘cooperazioni’. Questa forma d’equilibrio non potrebbe essere considerata né come un risultato del solo pensiero individuale, né come un prodotto esclusivamente sociale: l’attività operatoria interna e la coope37
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
razione esterna non sono, nel senso più preciso dei termini, che i due aspetti complementari
di un solo e stesso insieme, poiché l’equilibrio dell’una dipende da quello dell’altra” (Piaget, 1947, p.177); ma questa analisi non esplicita i meccanismi della causalità in gioco.
La conseguenza sul piano della pratica educativa è un’assenza di precisione quanto alle condizioni da mettere insieme affinché l’interazione cooperatoria possa avere luogo
con gli effetti benefici attesi.
Quali sono queste condizioni? Sembrerebbe acquisito, nell’ottica piagetiana, che i
partner debbano avere raggiunto una certa soglia di sviluppo per essere capaci di cooperare e anche che essi debbano essere dei pari, affinché le relazioni interpersonali non
siano influenzate da un rapporto gerarchico di autorità, per esempio. “In una relazione
egualitaria, la cooperazione è fondata sul mutuo rispetto tra eguali. Per contro, in una relazione ineguale, “cooperazione” significa obbedienza a colui che detiene l’autorità” (Kamii e
De Vries, 1974, p.30). “Le relazioni adulto-bambino non possono mai essere relazioni tra
eguali, per quanto possiamo impegnarci. Contrariamente, le relazioni tra pari, sono relazioni tra eguali (quest’uguaglianza rinvia al concetto che tutti i bambini sono bambini in
rapporto agli adulti. Nessun bambino può situarsi nella posizione di potere di un adulto)”
(Kamii e De Vries, 1974, p. 33 e 34).
Qualche reticenza nell’accettare queste affermazioni teoriche resta per noi legata
alla determinazione di quale sarebbe il livello di soglia di sviluppo necessario per essere
capaci di cooperare. Si tratta forse della competenza operatoria del bambino rispetto
alle nozioni in giuoco nello scambio oppure gli sarebbe sufficiente un certo livello
di “competenza” pre-operatoria? Per quel che concerne i partner occorrerebbe verificare se il fatto che la collaborazione abbia avuto luogo tra bambini rappresenti la
condizione sufficiente perché si possa parlare di interazione fra pari e si possa essere
certi che nessun dei partner occupi, esplicitamente o implicitamente, la posizione di
potere dell’adulto? D’altro canto sarebbe interessante distinguere il ruolo che gioca
la percezione che il bambino ha del suo partner come “pari” da quello dell’effettiva
uguaglianza. Pertanto, cosa avviene in un’interazione tra bambini che si considerano
uguali ma i cui livelli di sviluppo intellettuale sono diversi? La risposta a queste domande dovrebbe fornire elementi per conseguenti scelte pedagogiche: si può preconizzare
il “tutoraggio” (un bambino più avanzato si fa carico di un altro meno avanzato) o
altre forme di mutuo insegnamento? I partner delle équipes di lavoro devono essere
dello stesso livello? Gli uni e gli altri beneficerebbero di un’interazione tra bambini di
livelli ineguali o non si assisterebbe forse al tanto temuto “livellamento” in basso? Riteniamo che i risultati di opportune sperimentazioni potrebbero contribuire a questo
dibattito ed è proprio ciò che tenteremo con i lavori riportati nel presente volume.
Allo stesso modo, per quel che riguarda le condizioni affinché delle interazioni
benefiche allo sviluppo possano emergere, resta da chiarire il ruolo del tipo di compito scelto come oggetto di collaborazione. Ci si può ispirare, a tal proposito, a concetti e metodi sviluppati nel quadro della psicologia sociale e inerenti al lavoro di gruppo
con adulti (vedi Moscovici e Paicheler, 1973). Se queste ricerche si sono inizialmente basate sulla comparazione tra le prestazioni individuali e collettive e non hanno
fornito disparate conclusioni, (secondo i criteri ed i compiti, i gruppi erano migliori, uguali o meno buoni di quelli individuali), un progresso decisivo si è verificato
quando questi ricercatori si sono occupati dell’effetto della struttura di interazione
38
Fattori sociali e sviluppo cognitivo
del gruppo in rapporto alla struttura del compito. È molto probabile che un tale effetto si ritrovi ugualmente nei bambini ed è pensabile che l’adozione di una prospettiva genetica possa contribuire a cogliere meglio le condizioni dello sviluppo e dell’attività cognitiva.
3.1.2 Il contributo psicologico
Se il chiarimento, a livello dello stadio delle operazioni concrete, dei legami esistenti tra l’interazione sociale e l’attualizzazione di strutture cognitive può presentare
un sicuro interesse pedagogico, esiste un’altra ragione che ha ugualmente sostenuto
la scelta di questo periodo dello sviluppo ai fini della ricerca. Essa attiene all’attenzione che la psicologia presta a questa tappa dell’evoluzione mentale del bambino non
soltanto nel quadro delle correnti behavioriste (un gran numero di ricerche, infatti,
sono state realizzate con bambini di quest’età) ma soprattutto nella prospettiva genetica le cui conoscenze acquisite sulle caratteristiche di questo stadio dello sviluppo
cognitivo sono di una grande precisione. In particolare le prove per l’indagine delle operazioni dell’intelligenza, che permettono di cogliere con maggiore chiarezza la
presenza delle strutture cognitive ed il loro stato di completamento e di elaborazione, sono state appositamente concepite per questo stadio di sviluppo. Senza dubbio
esistono prove corrispondenti anche per indagare le operazioni formali ma ci sembra,
come abbiamo d’altronde sostenuto (Doise, Meyer, Perret-Clermont, 1976, p.12628 e 35-40), che il ricorso ad un ragionamento di livello formale sia condizionato
dalla familiarità e pertinenza dei contenuti delle prove, o anche dalle rappresentazioni che esse evocano (Haroche e Pécheux, 1972). Noi sospettiamo perciò che questo
tipo di problema sia più acuto per quel che riguarda le operazioni formali rispetto alle concrete. D’altro canto alcune osservazioni di Piaget vanno nella stessa direzione:
gli adolescenti “raggiungono questo stadio (delle operazioni formali) in diversi campi in
funzione delle loro attitudini o delle loro specializzazioni professionali: il modo in cui
queste strutture vengono utilizzate non è tuttavia necessariamente lo stesso in tutti i casi.
Nelle nostre ricerche sulle strutture formali siamo piuttosto ricorsi a situazioni sperimentali di natura fisica o logico-matematica perché esse ci sembravano venire comprese dagli
scolari (che interrogavamo). Tuttavia è possibile chiedersi se queste situazioni sono fondamentalmente molto generali e possono dunque essere applicabili quale che sia l’ambiente
scolastico o professionale” (Piaget, 1972, p.10). “Possiamo ritenere l’idea che le operazioni formali sono libere del loro contenuto concreto, ma dobbiamo aggiungere che questo è
vero solo a condizione che, per tutti i soggetti, le condizioni facciano appello ad uguali attitudini o ad interessi vitali paragonabili” (idem, p.11). Se la variabile “sociale” risulta
così suscettibile di incidere a livello dei contenuti, ci sembra importante, in una prima fase, non considerare come obiettivi simultanei di ricerca gli effetti di certe interazioni sociali sul funzionamento cognitivo e i significati sociali indotti da contenuti diversi. Il problema resta aperto e occorrerebbe poter controllare, per esempio
adottando una prospettiva sociologica, che il tipo di situazione di interazione proposto non sia, esso stesso, già portatore di significati che influiscono sullo sviluppo dei
processi intellettuali.
39
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
3.1.3 Significato epistemologico
Sostanzialmente, se lo studio del ruolo delle interazioni sociali al momento dell’acquisizione delle operazioni concrete corrisponde a preoccupazioni di tipo psicologico, tuttavia esso ha anche un significato epistemologico. Se, Inhelder, Sinclair e Bovet,
stretti collaboratori di Piaget, dal punto di vista interazionista, considerano “la conoscenza come una relazione di interdipendenza tra il soggetto conoscente e l’oggetto da conoscere, e non come la giustapposizione di due entità dissociabili” (1974, p.18), dal canto
nostro pensiamo che occorra ampliare questo punto di vista e considerare che, rispetto
all’oggetto da conoscere, esista ugualmente una relazione di interdipendenza tra il soggetto conoscente e altri soggetti conoscenti.
Dal momento che Piaget ha messo in evidenza l’isomorfismo strutturale esistente
tra le operazioni e la cooperazione (una forma particolare di interazione sociale che sarebbe propria del pensiero operatorio nascente) porre il problema della causalità a questo livello dovrebbe permettere un approfondimento della concezione interazionista e
costruttivista dell’intelligenza.
Piaget, in effetti, nel suo studio sullo sviluppo del giudizio morale (1932) sembra
considerare la cooperazione tra pari un fattore causale di tale sviluppo, anche se abbandonerà questa posizione negli Studi sociologici (1965). Così, le sue ipotesi, molto plausibili, sulla cooperazione che “costituisce la forma di rapporto sociale ... più importante
per l’elaborazione delle norme razionali” (Piaget, 1932, p.77) restano da verificare sperimentalmente. In questo volume tentiamo di dimostrare l’effetto che gioca l’interazione
sociale su alcuni aspetti dello sviluppo cognitivo, al fine, più specifico, di comprendere
quali siano le condizioni necessarie perché coordinazioni di azioni tra individui favoriscano la comparsa di certe operazioni cognitive.
Comunque, mettere in evidenza che l’interazione sociale svolge un ruolo causale nello sviluppo cognitivo non implica un’epistemologia che concepisca l’individuo
come passivamente foggiato da processi esterni. Al contrario, prendiamo in esame il
soggetto in tutta la sua attività, in seno ad un ambiente che è sempre simultaneamente
sociale e fisico e nel quale la presenza, sin dalla nascita, di altri individui lo obbliga a
coordinare le sue azioni con quelle degli altri. Pensiamo, e cercheremo di dimostrarlo,
che è attraverso questa coordinazione con l’altro che il bambino è spinto ad elaborare
dei sistemi di organizzazione delle sue azioni sul reale. È in queste condizioni di organizzazione inter-individuale che l’individuo, nello sforzo di padroneggiarle, con un
meccanismo di astrazione6, elaborerà le sue strutture cognitive. D’altra parte, i progressi cognitivi permetteranno al soggetto di partecipare a nuove interazioni sociali, più
elaborate, che a loro volta modificheranno la strutturazione del suo pensiero. Il legame
causale supposto è circolare e la sua progressione corrisponde alla spirale tracciata da
Piaget per descrivere il vettore dello sviluppo.
Quali sono dunque i legami tra interazione sociale e sviluppo cognitivo? Articolare il collettivo e l’individuale non ci obbliga affatto ad ammettere una semplice proiezione di una di queste istanze sull’altra, né a considerare la genesi cognitiva come una
appropriazione passiva, da parte dell’individuo, di una “eredità sociale” o come una
evoluzione modellata da regolazioni imposte dall’esterno. La nostra concezione è interazionista e costruttivista: in momenti precisi, dipendenti dallo sviluppo anteriore, cer40
Fattori sociali e sviluppo cognitivo
te interazioni sociali, nel cui corso l’individuo coordina le sue azioni sul reale con quelle di altri, agiscono come induttori permettendo così l’elaborazione di nuove forme di
organizzazione cognitive. La coordinazione delle azioni tra individui precede la coordinazione cognitiva individuale di certe azioni, pur fondandosi su competenze che devono, per manifestarsi, essere state elaborate precedentemente o acquisite ereditariamente. La coordinazione partecipa alla dinamica della crescita mentale senza pertanto essere
l’unico fattore esplicativo: i presupposti dello sviluppo psicologico dell’individuo sono
radicati nelle condizioni di vita -nel senso biologico del termine- di un organismo che
nasce in un ambiente fisico e sociale ad un tempo e che cerca progressivamente di padroneggiare le sue interazioni con quest’ambiente.
Piaget si è chiesto se “le operazioni intellettuali... fossero i prodotti della vita sociale
(in opposizione alle illusioni egocentriche naturali dell’individuo) oppure i risultati dell’attività nervosa od organica utilizzata dall’individuo nella coordinazione delle sue azioni”
(Piaget, 1966, p.248) e risponde: “la società... è, come ogni organizzazione, un sistema
di interazioni di cui ogni individuo costituisce un piccolo settore biologico e sociale ad un
tempo. In questo caso lo sviluppo del bambino si realizza per continue interazioni ed è molto
semplice vedervi il semplice riflesso dell’azione educativa dei genitori o degli insegnati. C’è
in questo, come in tutto, costruzione dialettica e il bambino non assimila il nutrimento
sociale se non nella misura in cui egli è attivo e impegnato in reali interazioni e non passivo
o puramente ricettivo” (idem, p.248-249). A voler essere più espliciti, riprendendo esattamente i principi del maestro ginevrino, insisteremmo sul ruolo di un fattore sociale
che non agirebbe solo fornendo “un nutrimento sociale da assimilare” ma che richiederebbe al soggetto un accomodamento, creatore di novità e fattore causale nel dinamismo
dell’evoluzione mentale.
3.2 L’interazione sociale: fattore causale nel dinamismo dell’evoluzione mentale
“Raggiungere il meccanismo causale di una genesi significa in primo luogo ricostituire
tutto quanto è dato sin dall’inizio di questa genesi (poiché nessuno sviluppo è possibile se
non a partire da certe strutture preliminari che esso completa e differenzia) e, in secondo
luogo, mostrare in che modo e sotto l’influenza di quali fattori queste strutture di partenza
si trasformano in quelle di cui si deve dar conto” (Piaget, Inhelder, 1959, p.9).
È noto il contributo della scuola ginevrina nella ricostruzione, con l’ausilio di modelli logico-matematici, delle strutture cognitive che l’individuo attualizza nei diversi
stadi del suo sviluppo. La dinamica con cui strutture più sviluppate si elaborano a partire da trasformazioni ed articolazioni di strutture di livello inferiore è anch’essa oggetto
di ricerca a Ginevra (Inhelder, Sinclair, Bovet, 1974). Va detto subito che i lavori che
presentiamo in questa sede non hanno la pretesa di completare o di affinare le analisi
ormai celebri che Piaget ed i suoi collaboratori continuano a fornire su diversi aspetti
dello sviluppo cognitivo. Lo scopo che ci proponiamo è piuttosto quello di contribuire
all’esplorazione sperimentale di uno dei fattori che influiscono sull’evoluzione delle
strutture mentali del bambino. Il nucleo del nostro studio è rappresentato perciò da
“un fattore fondamentale, quello delle interazioni e trasmissioni sociali” che Piaget e Inhel41
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
der (1966, p. 123) pongono accanto alla maturazione, al ruolo della ricerca acquisita
nell’azione sugli oggetti fisici e all’equilibrazione.
D’altra parte, per descrivere le condizioni e le modalità di influenza di questo fattore faremo riferimento alle conoscenze elaborate dalla scuola ginevrina sull’evoluzione
delle strutture cognitive. Esse, infatti, visto lo stato della teoria, ci sembrano sufficientemente precise per permettere di delimitare con accuratezza gli effetti di diverse manipolazioni delle variabili relative alle interazioni sociali.
D’altro canto se riuscissimo a creare condizioni che rendano possibile lo sviluppo cognitivo del soggetto, a livello delle strutture, avremmo la prova, da una parte, di
aver inciso su processi fondamentali della crescita mentale dell’individuo e, simultaneamente, di esserci effettivamente applicati su dimensioni pertinenti dei meccanismi
sociali. È, in qualche modo lo stesso modo di procedere di Inhelder, Sinclair e Bovet
(1974) che, per studiare “il modo integrativo di evoluzione... responsabile della creazione di nuove condotte” (1974, p. 20) nei loro lavori su apprendimento e strutture della
conoscenza, partono dall’ipotesi che “in certe condizioni un’accelerazione dello sviluppo cognitivo sarebbe possibile; quest’accelerazione sarebbe un indice significativo in quanto avremmo raggiunto i meccanismi responsabili dello sviluppo” (1974, p. 44). Ma se, da
questo punto di vista, le procedure non sono del tutto diverse, esse lo sono invece per
quel che concerne l’oggetto delle rispettive ricerche. Inhelder, Sinclair e Bovet studiano la formazione stessa delle strutture cognitive ed i meccanismi in funzione ad ogni
apprendimento del soggetto. Il nostro obiettivo sarà cercare di comprendere quali siano le caratteristiche delle interazioni sociali e le condizioni della loro efficacia sull’organizzazione conseguente dell’attività propria dell’individuo. Ci sembra quindi corretto, dedicare particolare attenzione agli effetti che si manifesterebbero a livello della
formazione delle strutture cognitive.
Più particolarmente ci si può domandare quali caratteristiche dell’interazione sociale costituirebbero una fonte di progresso? Noi formuliamo l’ipotesi che un processo
fondamentale nell’interazione sia il conflitto che viene a generarsi fra opposte centrazioni le quali implicano, per la composizione del conflitto stesso, l’elaborazione di sistemi capaci di coordinare le diverse prospettive. Quest’ipotesi non è senza analogia con
quanti pensano che l’apporto al progresso della conoscenza, conseguente l’interazione
con il reale, consista soprattutto nella “produzione di contraddizioni tra le predizioni o
giudizi del soggetto e la constatazione degli osservabili” (Inhelder, Sinclair, Bovet, 1974,
p.323) sottolineando così “il ruolo importante del raffronto delle azioni o progetti di azioni del soggetto con i risultati” (idem. p.324). Dal conto nostro, comunque, situiamo la
causa prima di questi meccanismi non nella contraddizione che il soggetto vive con sé
stesso o con il reale fisico, ma nel confronto tra il soggetto e le affermazioni o azioni
di altre persone; confronto che, come spesso avviene, può avere come oggetto, il reale
fisico o azioni sul reale. Ciò non esclude che questi meccanismi non possono modificare il ragionamento dell’individuo se non nella misura in cui il soggetto è capace
dell’aggiustamento necessario per l’elaborazione di nuove coordinazioni.
Ecco perché, in accordo con le ricerche che qui presenteremo, formuliamo la seguente tesi: in certe fasi dello sviluppo l’azione comune di più individui, che hanno necessità di risolvere un conflitto tra le loro diverse centrazioni, permette, all’individuo,
la costruzione di nuove coordinazioni.
42
Fattori sociali e sviluppo cognitivo
Ne deriva una conseguenza importante: nel corso di un’interazione tra due individui che stanno elaborando modi di coordinazione delle loro attività, sia l’individuo più
avanzato, quanto quello meno avanzato, possono progredire.
La tesi che noi sosteniamo si oppone dunque ad ipotesi del tipo modeling effect
(effetto della presentazione di un modello), secondo le quali ogni apprendimento che
apparisse in un soggetto, a seguito di un’interazione con un partner, sarebbe da ricondurre all’imitazione delle condotte di quest’ultimo e non potrebbe nascere se non
dall’imitazione di un modello superiore. Bisogna evidenziare che, non solo i soggetti
di livello inferiore, ma anche quelli di livello superiore beneficiano della coordinazione
interindividuale che indurrebbe negli uni come negli altri delle strutturazioni di cui gli
individui da soli non sarebbero stati capaci e, conseguentemente, deve essere possibile
dimostrare che il “modeling effect” non basta a spiegare l’apparizione di certe condotte.
All’inizio delle nostre ricerche su questa tesi avevamo conoscenza dei primi lavori, principalmente americani, che tentavano di spiegare la formazione di concetti nel
bambino ricorrendo alla teoria dell’apprendimento sociale (social learning) e che formulavano in particolare ipotesi sull’effetto della presentazione di un modello. Proprio
cercando di opporre la nostra tesi costruttivista e interazionista a questa teoria della
formazione di concetti e dell’apprendimento siamo riusciti a far evolvere la nostra investigazione. Va tuttavia precisato che, mentre noi sperimentavamo tenendo conto dei
risultati presentati da questi lavori, numerosi altri contributi venivano pubblicati che
suffragavano la discussione intorno a questi problemi, modificavano, in qualche caso i
nostri progetti. Tutto questo ci ha indotti a scegliere, per maggior chiarezza, di presentare il nostro modo di procedere così come si è svolto: cronologicamente. Ci riferiremo
dunque alle recenti pubblicazioni ogni volta che esporremo quelle nostre ricerche che
vi si riferiscono, sia quando queste pubblicazioni le hanno suscitate o qualora i loro
risultati sia paragonabili a quanto da noi stabilito.
4. Sviluppo della ricerca
4.1 Corrispondenze fra la nostra impostazione metodologica e le teorie dell’apprendimento sociale; effetto della presentazione di un
modello nello studio della formazione dei concetti
Nell’introduzione abbiamo definito, nei termini generali di “interazione sociale”
il problema centrale di questo lavoro. Comunque, un certo numero di autori, principalmente negli Stati Uniti, si sono interessati all’effetto di un tipo specifico di interazione sociale: l’osservazione di un modello riferendo essenzialmente alle teorie del social learning elaborate da Bandura (1971a, b) la scelta di occuparsi di questo tipo di
interazioni.
L’effetto della presentazione di un modello è stata all’inizio individuato e studiato
in campi molto diversi, relativi alle condotte motorie, a quelle affettive o relazionali
ed anche all’area dello sviluppo del giudizio morale. Una delle prime ricerche è stata
condotta da Rosenthal e Zimmerman (1972) con l’intento di esplorare l’influenza del
43
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
social learning sul ragionamento dei bambini. Riprendendo il paradigma sperimentale
classico di questi lavori, Rosenthal e Zimmerman, hanno valutato, con un pre-test, il
livello del soggetto rispetto alla nozione di conservazione, utilizzando come prova, una
versione adattata del Goldschmid e Bentler Concept Assessment Kit (1968). Gli autori
hanno chiesto ai soggetti di osservare un modello adulto, dando loro la seguente consegna: “Ora la signora che vedi farà dei giochi; vorrei che tu guardassi ed ascoltassi attentamente, poi potrai giocare a tua volta”. A questo punto, la signora che assume il ruolo
di modello, viene interrogata dallo sperimentatore, in presenza del soggetto e fornisce
sistematicamente risposte di livello conservatorio a tutti gli item. Dopo l’osservazione
del modello, i soggetti vengono immediatamente sottoposti ad un post-test, comprendente le prove di Goldschmid e Bentler del pre-test ed una forma parallela. Rosenthal e
Zimmerman hanno previsto ugualmente un gruppo di controllo con soggetti che fanno gli stessi pre-test e post-test analogamente al gruppo sperimentale, ma senza essere
stati esposti ad alcun modello. L’analisi dei risultati ottenuti nei due gruppi mostra che
solo i soggetti del gruppo sperimentale progrediscono, nettamente, al post-test, nelle
condotte di conservazione.
Come interpretare questi risultati? Rosenthal e Zimmerman li considerano la prova di un’acquisizione della nozione di conservazione attraverso l’imitazione e, in una
seconda ricerca condotta in modo analogo, mostrano anche come soggetti che hanno
prodotto condotte di conservazione al momento del pre-test, dopo avere osservato un
modello adulto non-conservatore, diminuiscano il numero delle risposte di conservazione al post-test. Gli autori concludono che la rapidità e l’ampiezza dei cambiamenti
di comportamento osservati costituiscono elementi in favore della tesi dell’efficacia
delle tecniche di presentazione di modelli (tecniche di modeling) per la trasmissione di
dati astratti e sottolineano la loro importanza pedagogica.
La tesi di questi autori è rilevante rispetto alla problematica che abbiamo precedentemente esposto. In effetti, se tale tesi risultasse verificata, tutti i progressi che potrebbero essere constatati in un soggetto dopo un’interazione con una persona di livello superiore al suo, dovrebbero essere attribuiti al semplice fatto di essere stati messi in
presenza di un modello superiore; allo stesso modo, si potrebbe spiegare ogni regressione che apparisse dopo una interazione con un partner di livello inferiore. Ciò significa che il gruppo potrebbe limitarsi a costituire il luogo di una trasmissione di condotte, acquisite dal soggetto per semplice imitazione, sia nel senso di un progresso che in
quello di un regresso.
Dal nostro punto di vista, questa ricerca solleva parecchi problemi metodologici.
Uno di questi concerne le consegne e, più in generale, il modo in cui la situazione
sociale viene vissuta dai bambini che prendono parte a questa ricerca. Silverman e Geiringer (1973) sottolineano che le caratteristiche di questa situazione sperimentale e le
esigenze che essa impone al momento del test possono indurre i soggetti a modificare
le loro risposte unicamente perché interpretano la consegna come un invito a replicare
le condotte esplicitate dal modello adulto. Pertanto i soggetti, al post-test modificherebbero i loro comportamenti perché pensano di dover conformare le loro condotte a
quelle degli adulti che essi hanno osservato e non in ragione di un cambiamento delle
loro convinzioni o della loro visione del fenomeno. La critica di Silverman e Geiringer
si sviluppa su due livelli: essa mette in dubbio la causa del cambiamento del comporta44
Fattori sociali e sviluppo cognitivo
mento osservato (non sarebbe il fatto di essere stati esposti ad un altro tipo di condotte
ma l’interpretazione della consegna come una richiesta di imitare il modello), e dubita
anche dell’ampiezza delle modificazioni osservate, che potrebbero essere superficiali e
non rappresentare gli indici un autentico cambiamento del livello di ragionamento.
Ma quanto è determinante chiarire l’interpretazione che i soggetti realmente operano
della consegna? La questione è interessante, tuttavia non ci sembra fondamentale nella
misura in cui è possibile, se i soggetti interpretano realmente la situazione nel senso
previsto da Silverman e Geiringer, formulare ipotesi diverse da quelle del “modeling
effect”, altrettanto plausibili. In effetti ci si può chiedere se un eventuale cambiamento
cognitivo nel bambino non potrebbe essere attribuito all’avere dovuto giocare un ruolo
diverso da quello al quale egli aderiva spontaneamente. Nell’esempio studiato si può
considerare che il soggetto, giocando il ruolo del modello adulto e imitandolo nei suoi
gesti e nelle opinioni, abbia dovuto modificare i suoi modi di appropriarsi della realtà.
Dal punto di vista teorico, questa ipotesi ci appare altrettanto plausibile quanto quella
di Rosenthal e Zimmerman visto che anche Nuttin (1972) mette in evidenza fenomeni
di quest’ordine in altri campi mostrando in particolare che il role playing emozionale
può cambiare sia l’atteggiamento del soggetto nelle sue dimensioni affettive, conative,
e cognitive quanto il suo comportamento. Ma per l’esame di queste ipotesi ci sembra
preliminare poter misurare precisamente qual è la portata dei cambiamenti di comportamento provocati e dunque discernere a quale livello essi si producono. “È solo su questa base - come sottolinea d’altronde Smedslund - che si può costruire un’analisi teorica
solida: la validità della diagnosi dei processi mentali è un preliminare ad una teorizzazione
feconda a livello superiore” (Smedslund 1969, p. 248).
Il problema che, nel quadro della ricerca di Rosenthal e Zimmerman, ci sembra
fondamentale ruota proprio intorno alla questione delle precauzioni necessarie nella
diagnosi stessa delle condotte di conservazione del soggetto. Per quanto interessante,
questa ricerca pone problemi proprio nel discernimento delle risposte di acquiescenza dei soggetti da quelle “strutturali” (un elemento di dubbio è che gli effetti della
presentazione del modello meno evoluto appaiono soprattutto per gli item detti “di
imitazione”, e sono minimi per le prove di generalizzazione e ciò fa sorgere il sospetto
che si sia in presenza di pseudo-regressioni). In assenza di indagini più precise sulla
comprensione delle consegne e della coerenza delle risposte non ci sembra possibile valutare la portata effettiva dei cambiamenti osservati da questi autori. Pertanto possiamo
chiederci se Rosenthal e Zimmerman non abbiano considerato come oggetto del loro
studio le possibilità di modificazione di condotte verbali del bambino (in funzione di
esigenze più o meno implicite dell’adulto sperimentatore) piuttosto che lo studio delle
modificazioni del ragionamento. L’interesse psicologico e pedagogico delle due opzioni
di studio ci sembra molto diverso e solo la seconda permette di analizzare la dinamica
dei meccanismi dello sviluppo.
Le ipotesi formulate da questi autori richiedono perciò un’approfondita investigazione. Del resto, qualora si assista a modifiche del livello delle strutture cognitive dei
soggetti, facendo appello ad una situazione sociale appropriata, occorrerà comunque
poter verificare che esse non possono essere spiegate da un processo di imitazione. Nei
capitoli II e III ci occupiamo di illustrare tali modificazioni dando una prima risposta
alla tesi dell’imitazione.
45
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Nel capitolo IV prenderemo in esame una delle condizioni fondamentalmente per
la comparsa di questi cambiamenti cognitivi strutturali: si tratta del livello psicogenetico iniziale del soggetto, avvicinandoci ai contributi sperimentali di Cowan, Langer,
Heavenrich e Nathanson (1969) che hanno indagato l’effetto della presentazione di
modelli sulla formazione del giudizio morale che è risultato in parte legato al livello dei
soggetti al pre-test. Questo studio dell’effetto differenziale della competenza iniziale del
soggetto ci permette di situare i progressi osservati nel quadro generale dello sviluppo e
quindi di approfondire la nostra visione costruttivista.
Rosenthal e Zimmerman ritengono di avere dimostrato che le modificazioni delle
condotte dei soggetti possono prodursi, sia come progressi che come regressi, in funzione del livello evidenziato dal modello da imitare. Noi ci chiediamo ugualmente quale
sia il ruolo del livello del partner nell’interazione e le sue conseguenze per il soggetto.
Le ricerche di Cowan et al. (1969) che replicano ed estendono quelle di Bandura &
Mc Donald (1963), provano ad esaminare i limiti dell’effetto di presentazione di un
modello, constatando che le conseguenze di una tale esposizione sono più stabili e più
generali se si tratta di un modello superiore al soggetto (rispetto ad un modello inferiore). Per ragioni deontologiche evidenti, e vista l’assenza di un interesse pedagogico,
noi scartiamo deliberatamente lo studio sistematico delle condizioni in cui dei soggetti
regredirebbero sul piano cognitivo. D’altro canto, per rispondere a quest’interrogativo,
noi abbiamo esaminato interazioni con partner di livello inferiore facendo l’ipotesi che
esse siano fonte di progresso per i soggetti. Questi casi, trattati nel capitolo V, costituiscono dei contro-esempi alla tesi avanzata da questi ricercatori.
Nei primi capitoli ci dedichiamo dunque a mettere in evidenza e verificare come
certe interazioni sociali siano suscettibili di far progredire le strutture operatorie dell’individuo. Studieremo i prerequisiti all’apparizione di un tale progresso che, come vedremo, concernono lo stadio di sviluppo che il soggetto deve già aver raggiunto per
partecipare all’interazione e beneficiarne. Ci occuperemo anche di alcune caratteristiche di queste interazioni, in funzione dei livelli rispettivi dei partner e, nel capitolo V
ci interesseremo di uno dei meccanismi esplicativi di questi processo: il conflitto socio-cognitivo.
In effetti, la nozione di conflitto appare come uno degli elementi essenziali nello
studio dei meccanismi dello sviluppo cognitivo. Studi recenti sulla dinamica della genesi delle strutture operatorie hanno reso operatoria questa nozione in direzioni diverse
ma non necessariamente opposte. Tra i molti tipi di conflitto studiati rileviamo, da una
parte, il conflitto tra le ipotesi formulate dall’individuo e quelle osservabili o quelle
constatazioni che le inficiano o creano insoddisfazione intellettuale, dall’altra il conflitto operatorio in cui schemi diversi vengono congiuntamente sollecitati ed entrano
in contraddizione (Lefebvre e Pinard, 1972; Inhelder, Sinclair, Bovet, 1974). Noi ci
proponiamo di studiare un terzo tipo di conflitto cognitivo, vissuto socialmente, in cui
la strategia cognitiva di un individuo trova esplicitamente fonte di contraddizione nella
strategia di un altro. In tal senso, nel capitolo V presentiamo una ricerca che propone
la verifica sperimentale dell’ipotesi secondo cui il conflitto cognitivo creato dall’interazione sociale, rappresenti uno spazio privilegiato e specifico in cui lo sviluppo cognitivo
trova una sua dinamica. Dimostreremo come questo conflitto socio-cognitivo (di ordine cognitivo ma contemporaneamente “inserito” socialmente) non può ridursi ad una
46
Fattori sociali e sviluppo cognitivo
“semplice” espressione sociale di uno dei tipi di conflitto sopra evocati e, come l’effetto
di questo conflitto socio-cognitivo, non può essere nemmeno ridotto ad un effetto di
imitazione di un modello.
I risultati dell’insieme delle ricerche presentate in questa sede ci hanno permesso
una duplice riflessione: prima di tutto nel quadro teorico di una psicologia sociale genetica i cui esordi permettono già di discernere la specificità nello studio dell’articolazione
tra lo sviluppo individuale ed i processi collettivi e poi intorno alle basi teoriche di certe
pratiche pedagogiche come il lavoro di gruppo, il tutoring e l’insegnamento reciproco.
Prima di abbordare la discussione generale di questi argomenti presenteremo, nel
capitolo VI, una messa in prospettiva sociologica dei nostri risultati, anche se si tratta
solo di un abbozzo: benché i nostri interessi siano stati orientati, sin dall’inizio, nel
quadro socio-pedagogico, illustrato all’inizio del nostro studio, non avevamo previsto
che il nostro metodo di investigazione sperimentale ci permettesse di pervenire così
rapidamente a risultati pertinenti. Ecco perché difetteranno le condizioni per un’analisi
sociologica, sistematica e definitiva, dei nostri risultati. Tuttavia siamo già in possesso
di un certo numero di elementi a sostegno di una prospettiva sociologica e costatiamo
che essa si preannuncia feconda, richiedendo approfondimenti empirici verso una sistematizzazione delle variabili ai diversi livelli di analisi psicologica e sociologica.
4.2 Il metodo: clinico e sperimentale
Fin qui abbiamo introdotto l’oggetto del nostro studio, la problematica nella quale
si situa e lo sviluppo del nostro lavoro. Ci resta ora da inquadrare il duplice metodo
prescelto per la realizzazione della ricerca. In effetti utilizzando conoscenze elaborate
dalla psicologia genetica dell’intelligenza, ci appare necessario il ricorso a quelle procedure per indagare lo sviluppo dei processi mentali. Esse s’ispirano al metodo clinico che
Piaget, di fronte alla complessità dell’oggetto da indagare, ha progressivamente elaborato. Come sottolinea Smedslund (1969, p. 237) “in nessun momento i processi mentali
sono ancorati a stimoli fisici definiti; e, inoltre, spesso quest’ancoraggio non si fa nemmeno a
livello delle categorie di risposte definibili fisicamente ma a livello del significato degli atti
del soggetto... I processi mentali hanno lo statuto di costruzioni teoriche e non devono essere
identificate ad un qualunque insieme delle loro manifestazioni comportamentali”. La diagnosi di questi processi, per essere valida, deve necessariamente ricorrere ad una serie di
inferenze a partire dall’osservazione e dall’ascolto del bambino. Lo sperimentatore non
ha il diritto di fare queste inferenze se non nella misura in cui egli può verificare, nel
soggetto, di volta in volta, la plausibilità delle sue ipotesi interpretative. È questa possibilità di verifica in vivo che viene offerta dal metodo clinico, come anche sottolineano
alcuni autori : “la verifica in vivo che ci è sembrata una delle caratteristiche fondamentali
del nostro metodo, procede, nel corso della sperimentazione e dell’intervista del bambino, ad
una analisi interpretativa delle condotte” (Inhelder, Sinclair, Bovet, 1974, P. 40).
Il metodo clinico ci offre così i migliori mezzi per indagare le organizzazioni cognitive fondamentali anche se quello che intendiamo studiare è il ruolo delle interazioni
sociali sullo sviluppo e, per poterlo fare, dobbiamo procedere per comparazioni, servirci quindi di un metodo sperimentale più quantitativo.
47
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Per queste ragioni, data la natura del nostro oggetto di studio, la duplice opzione,
clinica e sperimentale, ci sembra indispensabile; i processi mentali sono complessi e la
verifica del loro livello di elaborazione necessita di una minuziosa analisi che può essere
standardizzata solo per grandi linee. D’altro canto, dobbiamo creare situazioni la cui
dinamica, in quanto induttore, comporta un cambiamento nell’individuo il quale, allo
stesso tempo, non vive solo le situazioni sperimentali: altre, esterne al tempo di sperimentazione, possono sia contribuire a questo cambiamento sia, al contrario, limitarlo.
Da qui la necessità di ricorrere a comparazioni statistiche quantitative per convalidare
ipotesi che attribuiscono proprio a tali situazioni un ruolo nella determinazione dei
cambiamenti osservati.
4.3 I limiti metodologici
Cumulare approcci metodologici comporta una moltiplicazione delle difficoltà.
Infatti, in talune delle ricerche, l’adozione del metodo clinico che conferisce una maggiore validità teorica ai risultati rischia, di indebolire, la validità sul piano quantitativo
e statistico. Ciò è dovuto alla complessità delle procedure di analisi clinica, e allo stesso
tempo al fatto che tale metodologia comporta l’impossibilità di equilibrare i campioni
poichè implica una moltiplicazione delle variabili e dei modi di indagarle.
Il tentativo di coniugare un approccio clinico ed uno sperimentale non è la sola
ragione delle difficoltà metodologiche. Altri problemi per la sperimentazione sorgono
anche in ricerche più quantitative a causa della fugacità di ogni situazione sociale. Una
ricerca di psicologia sociale non si sviluppa in un vuoto sociale. I meccanismi messi in
gioco dalla situazione sperimentale sono anche messi in opera nelle situazioni sociali
vissute dal soggetto, al di fuori del momento sperimentale, sollevando la questione
fondamentale della pertinenza della situazione di laboratorio. In questa prospettiva gli
effetti della situazione sperimentale sarebbero limitati poiché quelli, della stessa natura,
che esistono all’esterno, appaiono come più importanti. Deschamps e Doise (1974)
hanno mostrato questi limiti nello studio del processo di differenziazione categoriale
dove il modificarsi del processo ad uno specifico livello non si ripercuoteva necessariamente ad un altro livello caratterizzato da una più determinata inserzione sociale dei
soggetti. Ciò permette a Doise di affermare che “la sperimentazione che si inserisce in
un tessuto di relazioni sociali non è né più né meno artificiale di altre situazioni. Certo, in
quanto situazione passeggera, la sperimentazione crea spesso effetti fugaci che sono rapidamente assorbiti da determinanti sociali più importanti... tuttavia, anche se alcuni effetti
sono passeggeri, la dinamica di una situazione sperimentale si sviluppa secondo processi che
sono caratterizzati da una generalità che supera la situazione studiata...” (Doise, 1976,
a, p.175). Nel corso delle nostre ricerche, due osservazioni, ci forniscono esempi che
illustrano la nostra presa di posizione sui limiti del trattamento sperimentale di processi la cui stessa generalità fa sì che essi si situino al di fuori delle manipolazioni dello
sperimentatore.
La prima interessa una bambina di 6 anni che fa parte del gruppo di controllo
della nostra prima ricerca a cui presentiamo solo un pre-test ed un post-test (prova di
conservazione dei liquidi) considerandola, nel nostro piano sperimentale, un caso di
48
Fattori sociali e sviluppo cognitivo
evoluzione “naturale” di un soggetto che non ha preso parte alla situazione sperimentale di interazione sociale, suscettibile di provocare il cambiamento cognitivo. Ora questa
bambina, al momento del post-test, manifestando condotte di un livello nettamente
superiore a quello del pre-test, ci spiega come, rientrata a casa, incuriosita dalle domande che le avevamo posto al momento del pre-test abbia chiesto a sua madre di prendere
i bicchieri dalla credenza, di darle dello sciroppo e di osservare, insieme a lei, ciò che
accade allo sciroppo travasato nei bicchieri di forma diversa. Con il suo atteggiamento
al pre-test e la rievocazione della sperimentazione con sua madre, questa bambina ha
creato, da sola, condizioni di manipolazione e di riflessione straordinariamente simili
a quelle della nostra condizione sperimentale, che hanno contribuito a produrre in lei
gli stessi effetti cognitivi attesi dai soggetti sperimentali! Ora, nel rispetto assoluto del
nostro piano sperimentale, simili risultati indeboliscono la nostra ipotesi.
L’altra osservazione, dello stesso ordine, l’abbiamo fatta nel corso della nostra terza
ricerca. Durante la ricreazione, la nostra attenzione è stata attratta dal gioco spontaneo
di una delle bambine coinvolta in un’esperienza di sondaggio nella quale il soggetto era
chiamato a suddividere dei confetti di cioccolato tra due bamboline. Questa bambina,
di 5 anni, gioca in un angolo del cortile con due bambole prese in classe e dei ciottoli,
facendo rivivere la situazione sperimentale da cui è appena uscita. Una delle amichette
della classe la osserva. Qual è il significato di questo gioco? Forse la prosecuzione di
una riflessione avviata dalla ricerca che le abbiamo proposto? Oppure è un giuoco delle
parti che si situa ad un livello affettivo più che cognitivo? Certamente il significato e
l’esecuzione di questo giuoco non compromettono direttamente l’obiettivo del nostro
piano sperimentale, ma cosa succederà se l’amichetta che la osserva interviene nella sua
attività? Di quale portata sarà l’intervento ed in quale misura essa creerà una situazione
sociale da cui si possano attendere effetti simili a quelli delle nostre condizioni sperimentali? Ci è impossibile rispondere a queste domande, anche se, per quel che riguarda
il nostro soggetto, egli manifesterà un progresso al post-test.
Se in questi due casi, come testimoni diretti, abbiamo avuto l’occasione di osservare delle interferenze, è molto probabile che, parimenti, ve ne siano state in bambini della condizione sperimentale: qualcuno di loro avrà potuto prendere parte ad interazioni
simili a quelle che noi proponiamo nel corso della ricerca, ma i cui effetti confondono
quelli attesi? I giochi autonomi di questi bambini ricordano anche che il fattore sociale
non è il solo responsabile dello sviluppo e che questi effetti possono essere talvolta incentivati, altre volte mascherati da effetti concorrenti.
Sicuramente le osservazioni che riportiamo qui sono casi estremi che verosimilmente non si sono prodotti frequentemente. Resta comunque il fatto che situazioni
sperimentali come le nostre, pur essendo molto puntuali, non permettono un agevole discernimento dei fattori. L’immagine che situazioni simili evocano, è quella di una
stanza, caratterizzata da un forte rumore di fondo, nella quale si cercasse di rilevare dei
segnali sonori. Questo rumore di fondo può coprire i segnali e ci ricorda, ugualmente,
che esistono altri trasmettitori.
Attraverso la metodologia sperimentale prescelta, cerchiamo di provocare un cambiamento e di delimitarlo. Il riuscirvi costituirà la prova che la nostra azione ha inciso
sui meccanismi indagati. Comunque la sperimentazione s’iscrive in una realtà che è
sempre più complessa di quella teorizzata per l’intervento. E questo spiega perché per
49
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
noi è importante individuare questi effetti per avere la consapevolezza di possedere le
leve ricercate, anche se, non per questo ci attendiamo di trovare necessariamente una
straordinaria ampiezza nei nostri risultati.
Note
1
Per una rassegna su questo argomento si veda soprattutto Little e Smith, 1971.
“Vi sono buone ragioni per credere che una reale democratizzazione dell’insegnamento urterebbe contro gli
interessi delle classi superiori, sia modificando la loro chiusura nei confronti della successione delle generazioni, sia minacciando la loro posizione dominante nel sistema di produzione (Perrenoud, 1974, p.35).
Anche se l’autore conserva la speranza “che in favore di una relativa autonomia del sistema di insegnamento,
trasformazioni profonde e irreversibili possano delinearsi con l’appoggio di quanti danno più importanza
all’idea di uguaglianza che ai propri privilegi di classe”(p.36)
3
Questa situazione non è d’altronde esclusivamente italiana. Constatazioni analoghe, ad esempio, hanno
portato in Inghilterra il Plowden Committee, nel rapporto “Children and their primary schools” (1967), a
preconizzare misure simili.
4
Vedi Lautrey (1974) per una possibile spiegazione, ma che resta da verificare, del ruolo delle condizioni
materiali nella strutturazione cognitiva e sociale dell’ambiente familiare.
5
Questi risultati dovrebbero essere raffrontati con i dati forniti dalle ricerche del Dipartimento di Psicologia
di Barcellona che mettono in evidenza il ruolo del metodo di insegnamento nella genesi delle nozioni. Villaronda, Fernandez e Serra (1974) studiano i processi di classificazione di alunni provenienti da uno stesso
quartiere socio-economicamente debole e riscontrano differenze in favore di coloro che frequentano una
scuola attiva rispetto a quelli che seguono una scuola tradizionale. Ciutat Montserrat e Udina Abello (1974)
presentano risultati analoghi per la conservazione delle quantità continue : “considerando la variabile relativa alla scolarizzazione che abbiamo introdotto nel nostro studio, possiamo dire che le differenze secondo
l’ambiente sociale tendono ad annullarsi in questa prova, senza pertanto scomparire totalmente, con l’introduzione di un metodo di insegnamento appropriato allo sviluppo genetico del bambino” (p.132-133). Gli
autori qualificano questo approccio pedagogico come “attivo” ma non offrono, purtroppo, una descrizione
delle sue modalità. È tuttavia molto probabile che una scuola detta “attiva” si ispiri a Freinet e a Decroly e,
per questo, si avvicini alle esperienze di Cecchini e Tonucci.
6
Ci riferiamo quì al processo di astrazione riflettente che “converte l’organizzazione degli schemi di azione
in una organizzazione delle operazioni logico-matematiche in stretto senso, che appaiono verso i 7/8 anni.
Queste operazioni si definiscono come azioni interiorizzabili e reversibili, coordinate in un sistema di insieme” (Mounoud, 197O, p.22). L’astrazione riflettente trae le sue informazioni dal coordinamento delle
idee che il soggetto esercita sull’oggetto. Né queste azioni, né questo coordinamento hanno la loro origine
nell’oggetto, che ha solo un ruolo di supporto” (Inhelder, Sinclair, Bovet, 1974, p. 1974, p.19)
2
50
CAPITOLO 2
La conservazione delle quantità dei liquidi e
l’effetto dell’interazione sulla strutturazione individuale: prima ricerca
Per poter iniziare lo studio del ruolo del sociale nello sviluppo intellettuale dei
bambini tenteremo, in un primo tempo, di evidenziare come certe interazioni sociali
possano incidere a livello della struttura cognitiva dei soggetti. Quali sono le conoscenze attuali sui processi che si verificano nei gruppi e negli individui alle quali attenerci
per creare una situazione sperimentale dalla quale attendersi cambiamenti nelle strutture operatorie dei soggetti?
1. L’attività strutturante dei gruppi
Piaget (1965), nell’affrontare il problema dei nessi tra interazioni sociali e strutture
cognitive, elabora un modello che sostiene l’isomorfismo tra le strutture operatorie e le
strutture soggiacenti alle interazioni sociali, agli scambi di idee e di valori (p. 49-53, 9099, 100-171). Altrove Piaget (1947) ha rilevato la stretta corrispondenza tra la maniera
in cui gli individui partecipano a certe interazioni sociali e il loro livello di sviluppo
cognitivo. Più specificamente un certo numero di lavori sull’interazione strutturante
dei gruppi ha messo in evidenza i meccanismi in gioco nel corso delle interazioni tra
individui, mostrando come bambini o adulti, che coordinano le loro azioni o i loro
giudizi con altri, arrivano a delle performances cognitivamente più strutturate di quelle
ottenute in una situazione individuale.
Così Doise (1973), nello studio della decisione collettiva, confronta i giudizi emessi da individui a quelli emessi sia individualmente sia collettivamente dopo una discussione di gruppo. In una prima ricerca viene richiesto, a gruppi di quattro individui, di
descrivere (applicando una scala di tipo Likert) delle foto di persone, prima individualmente e poi mettendosi d’accordo per arrivare ad una risposta comune del gruppo. Le
51
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
dimensioni che danno conto della variazione di questi giudizi (ottenute da un’analisi
fattoriale) testimoniano un’organizzazione più forte per i giudizi collettivi che per i giudizi individuali. Altre due esperienze sono state condotte con bambini. I risultati dimostrano che quando i soggetti sono chiamati ad operare delle scelte estetiche, ordinando
otto figure varianti secondo tre criteri, i gruppi lo fanno gerarchizzando maggiormente
i criteri, rispetto a bambini che lavorano individualmente allo stesso materiale da ordinare. Infine, quando i gruppi devono scegliere tra cinque professioni, utilizzando il
metodo di comparazione per coppie, le intransitività delle scelte sono meno frequenti
di quelle di bambini che scelgono da soli tra le stesse professioni. Queste esperienze,
ricorrendo a metodologie e materiali diversi, mostrano, in maniera convergente, che la
strutturazione cognitiva dei gruppi è più forte della strutturazione cognitiva operata in
condizione individuale. Doise spiega questi risultati riferendosi all’interazione sociale:
“è la divergenza a livello delle risposte che obbliga i soggetti ad effettuare un lavoro sulle
opinioni sottostanti, ed a riorganizzare l’approccio cognitivo al materiale proposto (p. 136);
il gruppo, lungi dal contentarsi di un lavoro di superficie, che consisterebbe nella semplice
ricerca di una risposta meno insoddisfacente per tutti, effettua una vera e propria gerachizzazione dei criteri utilizzati”.
Riprendendo questa problematica, non più in relazione ai giudizi ma alle azioni e
rappresentazioni spaziali, Mugny realizza una ricerca, descritta altrove in modo dettagliato (Doise, Mugny, Perret-Clermont, 1975), nella quale paragona le prestazioni
individuali a quelle collettive in bambini di 5-6 anni. La consegna si ispira alla prova
delle “tre montagne” descritta da Piaget e Inhelder (1958) e fa appello alle rappresentazioni spaziali del bambino al quale viene chiesto di mettere in relazione delle prospettive. Su di un supporto di cartone segnato da marchio colorato ben visibile (che
serve da riferimento per l’orientamento del supporto stesso) lo sperimentatore realizza
un modello di villaggio con l’aiuto di tre case in lego. Altri tre modellini di case vengono dati ai soggetti perché realizzino una copia del villaggio modello, su di un supporto identico. Quattro disposizioni o villaggi modello vengono proposti al bambino:
due facili, essendo il supporto della copia orientato come quello del modello, due difficili, essendo il supporto della copia virato di 180 gradi rispetto al supporto del modello. I bambini, a seconda delle condizioni sperimentali, effettuano le copie da soli o
in gruppi di due. La valutazione si riferiva al numero di case correttamente collocate,
tanto dal punto di vista della localizzazione che da quello dell’orientamento. I risultati mostrano che le coppie riescono meglio dei soggetti soli, soprattutto per le copie
difficili. Questa specificità dei risultati attribuita all’interazione sociale potrebbe essere considerata un semplice artefatto, dovuto alla maggiore probabilità nelle coppie
che uno dei loro membri sia di livello sufficiente per svolgere correttamente il compito, ma un’appropriata analisi, suggerita da Lorge e Salomon (1955) permette di scartare questa interpretazione, a favore dell’ipotesi secondo la quale l’interazione sociale
produce effetti autentici e non riconducibili ad una semplice addizione delle capacità cognitive individuali.
Le esperienze fin qui descritte mostrano come, in certe condizioni, un’interazione
sociale porti a strutturazioni più complesse rispetto all’azione individuale, ma dal punto di vista dello sviluppo, sarebbe interessante sapere se queste differenze, che vedono
favorito il gruppo rispetto all’individuo, si ritrovano sistematicamente o esse sono piut52
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Prima esperienza
tosto funzione dei livelli genetici raggiunti dai soggetti nella costruzione delle nozioni
in giuoco nei compiti assegnati. D’altra parte, bisognerà capire se l’effetto che l’interazione ha sulle produzioni collettive si ritroverà poi nell’individuo riesaminato da solo.
Doise e Mugny (1975) tentano di rispondere al primo di questi due quesiti con
un esperimento sulla coordinazione di attività motorie interdipendenti. I dati di queste ricerche mostrano che, se la differenza tra individuo e coppia è significativa per i
bambini più piccoli, essa non lo è più per quelli un po’ più grandi: il gruppo produce
azioni meglio coordinate dei singoli ma soltanto ad un dato livello genetico e questa
superiorità si smorza con lo sviluppo genetico.
Questi risultati convaliderebbero la tesi che le operazioni si elaborano in un primo momento attraverso l’interazione ma vengono definitivamente acquisite, solo
più tardi. Per rispondere adeguatamente al secondo quesito occorre verificarlo sperimentalmente, studiando le prestazioni individuali conseguenti all’interazione. Questa verifica costituisce l’oggetto della nostra prima ricerca sulla conservazione dei liquidi.
Prima di presentarla, segnaliamo che altrove, nello stesso periodo, Maitland e Goldman (1974), basandosi sulle analisi che Piaget ha condotto sulla cooperazione tra
bambini (Piaget, 1923) e sugli studi dell’influenza dei pari (Haan, Smith e Block,
1968), formulavano ipotesi analoghe, ma nel campo specifico del giudizio morale. In
effetti questi autori hanno potuto verificare, da una parte, che, rispetto ai soggetti singoli, i gruppi di adolescenti formulavano giudizi morali più elaborati (secondo i criteri
di Kolberg) e, dall’altra, che gli stessi individui, a seguito di una discussione in gruppo
formulavano al post-test giudizi di livello superiore a quelli emessi al pre-test.
2. Conseguenze dell’interazione sulla strutturazione cognitiva individuale
Riprendendo Piaget (1923) e Flavell (1967), F. Murray (1972) formula l’ipotesi
che un conflitto di comunicazione che obblighi il bambino a tener conto del punto
di vista di un suo pari, dovrebbe costituire una condizione efficace per l’acquisizione
di quello che egli chiama “il comportamento di conservazione”. Per verificare la sua
ipotesi Murray sottopone i bambini, di età media compresa fra sei e sette anni, ad
un pre-test che consiste nella applicazione di una versione del Goldschmid e Bentler
Concept Assessment Kit (1968); procedura standardizzata di intervista dei soggetti su
sei problemi di conservazione1. Per la seconda fase della ricerca Murray organizza dei
piccoli gruppi di tre soggetti (un “non-conservatore” e due “conservatori”) e propone
loro l’insieme dei problemi del pre-test, chiedendo loro, per ogni item, di formulare
una risposta comune. Una settimana più tardi i soggetti sostengono individualmente
un post-test, comprendente i problemi del pre-test e altre due versioni parallele del
Goldschmid e Bentler. I risultati mostrano che l’insieme dei soggetti ha punteggi significativamente più elevati al post-test che al pre-test, sia per la prima versione, che
per le forme parallele del test. In assenza di gruppo di controllo, le prestazioni del
post-test vengono paragonate alle norme del Goldschmid e Bentler e trovate signi53
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
ficativamente superiori. Murray scarta così l’ipotesi di un progresso attribuibile alla
maturazione e sostiene, per questi progressi, l’effetto causale dell’interazione sociale. Dimenticando apparentemente le ipotesi di partenza sul conflitto comunicativo,
Murray considera che “ciò che i non conservatori apprendono nella situazione di interazione e che li aiuta poi nella situazione individuale non sembra chiaro”, e prefigura più
di una spiegazione: l’effetto trovato sarebbe dovuto alla presentazione del modello o
all’efficacia di una data istruzione offerta dai partner.Lo studio di Botvin e F. Murray
(1975), che mostra una efficacia paragonabile ad un procedimento di apprendimento
basato sulla presentazione di modelli o basato sull’interazione attiva, non permette di
mettere fine alla discussione.
Se la ricerca presentata ha potuto mettere in evidenza che un’interazione tra pari
può modificare le condotte operatorie di questi ultimi, resta tuttavia da valutare, con
precisione e a livello di strutture cognitive, la portata di questi cambiamenti. I risultati ottenuti da F. Murray non permettono di farlo poiché i soggetti non-conservatori
che progrediscono hanno, al post-test, punteggi medi, compresi tra 5 e 8. Ora, per
progressi registrati in questa porzione della scala valutativa, è difficile stabilire in quale misura essi sarebbero dovuti ad una reale argomentazione operatoria piuttosto che
alla semplice verbalizzazione corretta della conservazione, poiché solo i punteggi al di
sopra del sei denotano, senza equivoci, la presenza di argomenti operatori. Valutare
la portata dell’effetto della situazione di interazione richiederebbe l’analisi, per ogni
soggetto, della natura del cambiamento osservato. Nella nostra ricerca proporremo,
perciò, la comparazione dei cambiamenti operatori dei soggetti afferenti ad una condizione sperimentale di interazione tra pari con quelli attribuiti ad una condizione di
controllo senza interazione.
D’altra parte, è chiaro che la ricerca presentata da Murray non gli permette di
scegliere tra diverse spiegazioni possibili dei meccanismi che portano ai cambiamenti
che egli evidenzia. Questo problema resta perciò da esplorare.
Silverman e Stone (1972) cercano di verificare la stabilità e la generalizzabilità dei
progressi cognitivi di partecipanti a situazioni di risoluzione di problemi in gruppo.
Essi presentano, a bambini di terza elementare, quattro prove di conservazione della
superficie (pre-test), considerando come “conservatori” i soggetti che rispondono correttamente e con argomenti ai quattro item, e come “non conservatori” quelli che non
evidenziano alcun comportamento di conservazione. Gli altri soggetti vengono classificati come “intermediari”. Una settimana dopo, essi fanno interagire un conservatore ed
un non-conservatore sulle stesse prove del pre-test, sottolineando come le loro risposte
differiscano ed esigano perciò un accordo interpersonale. Un mese più tardi i soggetti
sono sottoposti ad un post-test simile al pre-test, con due item supplementari. Silverman e Stone constatano che, come avevano osservato al momento dell’interazione, la
posizione del soggetto conservatore è prevalsa nella quasi totalità dei casi (11 volte su
14). Essi attribuiscono ciò al maggiore equilibrio del ragionamento che produce nei
conservatori una sensazione di necessità e di coerenza. D’altra parte, i risultati mostrano come i soggetti non-conservatori del gruppo sperimentale, abbiano fornito un
numero maggiormente significativo di risposte di conservazione al post-test rispetto ai
soggetti del gruppo di controllo (che non hanno partecipato all’interazione). Questi
soggetti non-conservatori che progrediscono al post-test si sono semplicemente ade54
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Prima esperienza
guati all’opinione dei conservatori, riportandola al post-test? Questa resta un’opinione
da prendere in considerazione poiché uno solo dei soggetti offre in post-test argomenti
che non gli siano stati forniti dal partner conservatore durante l’interazione. Va tuttavia
evidenziato che i soggetti restituiscono questi argomenti ben un mese dopo l’interazione, generalizzandoli agli altri item.
Silverman e Geiringer (1973), sulla base di altre prove di conservazione, riprendono lo stesso paradigma sperimentale, con bambini di prima elementare, considerando questi soggetti, meno suscettibili di progresso dei loro compagni più grandi, non
avendo essi acquisito, data l’età, la conservazione in nessun campo e non rischiando
così di operare quelli che potrebbero apparire dei semplici transfert. Questi autori non
enunciano ipotesi sull’efficacia del confronto con un pari nell’acquisizione di nozioni
di conservazione e si limitano a predire, riferendosi al modello piagetiano di equilibrazione, che se modifiche appariranno, esse saranno nella direzione della conservazione
più che in quella della non-conservazione. È ciò che in effetti ritrovano nei loro risultati, che corroborano quelli di Silverman e Stone (1972). La constatazione che solo i
non-conservatori si siano mostrati suscettibili di cambiamento a seguito dell’interazione, appare loro come difficilmente spiegabile con le teorie del Social learning e dunque
un elemento in più in favore del modello di equilibrazione.
Ma attraverso quali meccanismi l’interazione inciderebbe sullo sviluppo del processo di equilibrazione? Prima ancora di esplorarne i meccanismi occorre ritrovare gli
effetti conseguenti l’interazione, riportati da questi autori, assicurandosi però i mezzi
per poterne valutare con maggiore precisione la portata operatoria. In tal caso si potrà anche verificare che i cambiamenti nelle condotte dei soggetti non siano dovuti
ad una semplice memorizzazione o imitazione ma il segno dell’acquisizione di nuove
operazioni.
3. La conservazione delle quantità di liquidi: prima ricerca
Per studiare l’effetto di una interazione sociale sullo sviluppo operatorio, abbiamo scelto di adattare la prova classica di Piaget sul travaso dei liquidi (Piaget e Szeminska, 1941)2. La scelta di questa prova presenta parecchi vantaggi. Essa è legata all’apparizione delle operazioni concrete, momento importante per la comprensione dello
sviluppo del pensiero; le operazioni intellettuali attivate dalla prova dei liquidi sono relativamente ben conosciute da un punto di vista psicogenetico ed il metodo di intervista clinico permette di diagnosticare la loro presenza (Vinh Bang, 1966; Smedslund,
1969). In ogni caso la conservazione dei liquidi è già stata oggetto di molte ricerche
sull’apprendimento (vedi soprattutto Sinclair 1967, Inhelder, Sinclair, Bovet, 1974).
D’altra parte, come mostreremo nella parte metodologica, la prova del travaso dei liquidi può facilmente essere trasformata in un compito collettivo con un carattere specifico: la spartizione. In una ripartizione fra soggetti, la natura stessa del compito produce un’interazione sociale che è suscitata dalla situazione e non esclusivamente dalla
consegna ed il compito non viene percepito dal soggetto come un obiettivo specificamente didattico.
55
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Utilizzando quest’adattamento della prova, noi abbiamo formulato l’ipotesi che, se
un soggetto non-conservatore deve realizzare una ripartizione equa di sciroppo con due
partner che emettono giudizi di conservazione, nella situazione particolare in cui un’azione di spartizione regolata da una valutazione non-conservatore lederebbe gli interessi dei
soggetti conservatori, questi ultimi spingeranno a realizzare una “giusta” coordinazione
delle diverse prospettive in gioco. Questa coordinazione nella realizzazione collettiva della prova tra due soggetti conservatori e un non-conservatore, dovrebbe avere effetto sul
piano della coordinazione operatoria del non-conservatore. Si tratta di verificare che, al
di là di una semplice imitazione delle condotte evidenziati dai suoi partner nell’attività
comune, il bambino dà prova di una comprensione strutturalmente più elaborata della
nozione, verificabile con la presenza, nelle sue spiegazioni, di argomenti validi ed espliciti
che non gli sono stati forniti preventivamente, pertinenti sul piano operatorio.
3.1 Metodo
3.1.1 I soggetti
Abbiamo scelto di realizzare la ricerca con bambini di prima elementare potendo
così disporre di un buon numero di soggetti conservatori e non-conservatori dello stesso livello scolastico.3
I soggetti hanno sostenuto la ricerca tra novembre 1972 e maggio 1973. Scelti a
caso per il pre-test sull’elenco di classe è capitato talvolta che fosse la disponibilità del
bambino a determinare la scelta. Sono stati comunque prescelti soltanto i bambini che
senza problemi acconsentissero a seguire lo sperimentatore fuori della classe, in una
sala annessa destinata alla sperimentazione. Se all’inizio quasi uno su dieci si è mostrato reticente, il problema si è ridimensionato nelle settimane successive. Senza dubbio
il successo avuto dallo sciroppo aumentava anche la popolarità dello sperimentatore.
Soltanto due bambini sono stati rinviati nella loro classe senza essere stati testati considerato il loro disagio in una situazione per loro inconsueta. A fine maggio eravamo
riusciti ad interrogare la quasi totalità dei bambini delle classi coinvolte. La maggior
parte dei soggetti erano stranieri ma avevano una competenza in francese superiore a
quella nella loro lingua materna. Abbiamo tuttavia dovuto eliminare quattro soggetti
per le difficoltà evidenti nell’esprimersi in francese.
Abbiamo così potuto far sostenere il test a 100 bambini di età compresa tra 5; 6 e
7; 5 anni (l’età media del gruppo di controllo era di 6; 7 anni, quella dei gruppi sperimentali di 6; 6 anni).
3.1.2 Il materiale
Si tratta di una serie di bicchieri trasparenti da laboratorio, di forme diverse: 3
bicchieri identici A, AI e AII (capienza 250 ml), un bicchierre C, più largo e più basso
dei bicchieri A, un bicchiere D, più sottile e più alto dei bicchieri A, una bottiglia opaca
contenente sciroppo, e delle cannucce.
56
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Prima esperienza
3.1.3 Consegne e procedure.Condizione sperimentale.
I fase: Pretest
Il pre-test viene realizzato proponendo uno degli item della prova della conservazione dei liquidi: con i due bicchieri identici: A, AI e con il bicchiere C, più largo e più
basso.
Il bambino (B) è seduto accanto allo sperimentatore (S) che, dopo un breve dialogo, tendente a stabilire il contatto, lo invita “a fare un gioco con dello sciroppo” dicendogli che, dopo il gioco, se lo desidera, egli potrà berlo. Quindi lo S dà il bicchiere
A al bambino e prende AI dove versa una data quantità di sciroppo, chiedendo al
bambino di fare lo stesso in A, in modo che - egli sottolinea - “tutti e due abbiano
la stesso da bere (né più, né meno); in modo che tutti e due siano alla fine contenti”. In
genere questa consegna viene compresa immediatamente da B che esegue l’azione.
S, allora, lo interroga: “cosa hai fatto?” oppure commenta: “hai versato dello sciroppo
nel tuo bicchiere” e aggiunge “bene, dimmi ora, se io bevo tutto lo sciroppo contenuto nel
bicchiere AI e tu tutto lo sciroppo contenuto nel bicchiere A, beviamo entrambi lo stesso
di sciroppo oppure tra noi, uno ne beve di più o di meno, che cosa pensi?”4. Lo sperimentatore vigila affinché il bambino sia del tutto soddisfatto della ripartizione dello
sciroppo nei bicchieri o, in caso contrario, lo incoraggia a modificarla fino a che non
sia sicuro che “i due abbiano la stesso da bere”. In questa fase della prova la maggior
parte dei soggetti mettono una gran cura nel pareggiare i livelli dello sciroppo nei
due bicchieri.
Non appena l’uguaglianza è chiaramente stabilita, S prende il bicchiere AI rivolgendosi a B: “guarda bene ciò che farò; vorrei cambiare bicchiere così verserò il mio sciroppo
in quest’altro (C)”. Lo sperimentatore versa AI in C e chiede al bambino: “ora abbiamo
la stessa quantità da bere o no, che cosa pensi?”. Lo sperimentatore cerca di ottenre delle
argomentazioni alla sua risposta (“come lo sai?” oppure “sei sicuro?” o anche “puoi spiegarti?”). Egli inoltre cerca di verificare se il bambino sia capace di distinguere la discussione sulla dimensione dei bicchieri o sull’altezza del liquido da quella concernente il
contenuto di questi recipienti e cerca di ottenere che le sue risposte si riferiscano proprio a quest’ultimo. Poi lo sperimentatore chiede al bambino di anticipare il ritorno di
C in A “e se verso questo sciroppo da qui (C) a là (AI) che cosa si avrà? Ci sarà lo stesso da
bere in A ed in AIoppure no?”. Poi lo sperimentatore riversa C in AI, lascia che il bambino
constati l’uguaglianza e che versi (o chieda a B di versare) A in C. Lo sperimentatore
ripropone lo stesso tipo di domande precedenti.
Una volta che B si sia espresso con chiarezza, lo sperimentatore ricorre ad una
contro-suggestione, propone cioè al bambino una valutazione delle quantità diversa
dalla sua, sia di verificare la solidità delle affermazioni di B, sia per rendere più agevole
un eventuale cambiamento di idea. In caso di risposta corretta del bambino, la controargomentazione tende ad attirare l’attenzione del soggetto sulla differenza di livello di
liquidi nei due bicchieri. In caso di risposta di non conservazione lo sperimentatore
ricorda al bambino l’uguaglianza iniziale delle quantità oppure attira la sua attenzione
sulla dimensione che il bambino ha trascurato. Un esempio di contro-suggestione sarebbe: “un altro bambino mi ha detto che quì c’è più (o meno, o lo stesso) sciroppo perché
il bicchiere è più largo. Tu, cosa ne pensi? Ha ragione o si sbaglia? cosa gli diresti?” oppure:
57
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
“tu dici che c’è più sciroppo quì perché il bicchiere è più alto, ma si potrebbe dire che ce n’è
di meno quì perché il bicchiere è più stretto. Cosa ne pensi?”.
Alla fine lo sperimentatore dà una cannuccia a B e lo invita a scegliere il bicchiere
nel quale desidera bere, eventualmente gli chiede di esprimere le ragioni della sua
scelta.
A seconda del livello operatorio delle risposte a questo pre-test, i soggetti vengono
ripartiti in tre categorie: conservatori, intermediari e non-conservatori. I criteri utilizzati sono quelli descritti da Piaget e Szeminska (1941) e ripresi ugualmente da Sinclair
(1967) e Inhelder, Sinclair e Bovet (1974).
3.1.4 Criteri
Primo stadio: assenza di conservazione (NC).
Il bambino di questo stadio che osserva una stessa quantità di liquido in due bicchieri identici, non ha nessuna difficoltà ad ammettere quest’uguaglianza, mentre se
il liquido viene travasato in recipienti di forma diversa, il bambino giudica la quantità
di liquido aumentata o diminuita in funzione delle dimensioni assunte dal liquido in
questi recipienti. Di fronte alle contro suggestioni dello sperimentatore il bambino
mantiene il suo giudizio oppure formula altri giudizi ma ugualmente di livello nonconservatore. Il richiamo alle iniziali quantità uguali non modifica assolutamente il
giudizio del bambino.
Secondo stadio: livello intermedio (I).
Questi soggetti oscillano tra conservazione e non-conservazione. Di tanto in tanto emettono giudizi di conservazione della quantità. Le argomentazioni che danno
sono, in genere, poco esplicite ed incomplete e sembra che i soggetti di questo livello
cognitivo non vedano necessità fisica o logica nella conservazione. Essi oscillano tra
coordinazione delle relazioni in gioco (altezza e larghezza) e centrazione su di una
sola dimensione.
Terzo Stadio: la conservazione necessaria (C).
Il bambino afferma subito la conservazione delle quantità di liquido, indipendentemente dal numero e dalla natura dei travasi effettuati. A giustifica della conservazione
egli fornisce spiegazioni fondate su argomenti di identità, compensazione, reversibilità
(di cui daremo degli esempi in seguito) e resiste alle contro-proposte dello sperimentatore.
II fase: situazione collettiva
Questa fase ha luogo da due a tre settimane dopo il pre-test. Tre bambini vengono
invitati, insieme, nella sala in cui si è svolto il pre-test. Due bambini (B1, B2) erano
risultati conservatori (C) al pre-test, il terzo (B3) non-conservatore (NC) o intermediario
58
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Prima esperienza
(I). Rispetto all’appartenenza di genere abbiamo distinto due condizioni sperimentali:
– condizione omogena: i trii di bambini sono dello stesso sesso;
– condizione eterogenea: il bambino non-conservatore non è dello stesso sesso dei conservatori. Sono stati così costituiti 19 gruppi omogenei e 18 eterogenei.
La prova, identica nelle due condizioni sperimentali, si rifà, per quanto concerne
il materiale utilizzato, ad un’altra variante della prova dei liquidi di Piaget, differendo
significativamente dall’originale nella sua presentazione.
Lo sperimentatore accoglie i bambini, quindi colloca B3 al capo del tavolo con,
accanto, B1 e B2, l’uno di fronte all’altro, dicendo loro che stanno per fare un gioco
con dello sciroppo, un pò diverso da quello fatto il giorno precedente. Dopo di che,
il bicchiere A viene attribuito a B1, il bicchiere D a B2 e lo sperimentatore dà a B3 la
bottiglia opaca contenente lo sciroppo e dicendogli di versarne a B1 e a B2 nei rispettivi bicchieri, facendo sì che abbiano “tutti e due lo stesso da bere e che siano tutti e due
contenti”. Egli precisa inoltre che, dopo aver fatto l’operazione, B3 dovrà chiede a B1 e
a B2 la loro approvazione e solo quando saranno tutti e tre d’accordo sull’equità della
ripartizione, anche B3 riceverà dello sciroppo (in A”) e quindi potranno bere tutti e tre.
Contemporaneamente lo sperimentatore pone il bicchiere AI davanti a B3 dicendogli
che può utilizzarlo se ne ha bisogno.
Questa situazione di interazione dura circa 10’. Se il dialogo fra i tre bambini
stenta a instaurarsi e se gli interventi tendono a coinvolgere lo sperimentatore, questi si
sforza di ricondurre i bambini sulla diversità delle opinioni, incoraggiandoli ad esplicitare il loro ragionamento; una funzione, dunque, di mantenimento del dialogo fra i
bambini, di riformulazione degli interventi dei bambini (ad es. timidi o non ascoltati
dai compagni). Infine lo sperimentatore incoraggia il gruppo a cercare un accordo provando ad ecclissarsi dall’interazione. Nei casi in cui l’accordo è sembrato impossibile,
lo sperimentatore ha chiesto ad S1 quanto sciroppo volesse attribuirsi, in A”, e i tre
bambini possono bere ciascuno la propria parte.
III fase: primo post-test
Una settimana dopo la situazione collettiva, al soggetto B1 vengono riproposte le
stesse condizioni del pre-test, con lo stesso modo di intervista e di valutazione, ma con
delle variazioni nel materiale che comprende ora il bicchiere D oltre ai bicchieri A, AI
e C. Ciò permette allo sperimentatore di interrogare il bambino su nuovi travasi (per
esempio: paragonare A versato in C, con AI versato in D). La valutazione del livello del
soggetto viene effettuata socondo criteri simili a quelli del pre-test.
IV fase: secondo post-test
Un secondo post-test, identico al primo, ha luogo circa un mese dopo.
Condizione di controllo
I soggetti del gruppo di controllo non partecipano alla situazione collettiva ma
effettuano un pre-test ed un post-test identici (con lo stesso intervallo di tempo tra le
due sedute) a quelli ai quali hanno preso parte i soggetti dei gruppi sperimentali.
59
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
3.1.5 Raccolta dati
Ad ogni seduta lo sperimentatore viene assistito da una o due persone nel ruolo di
osservatori che prendono nota dello svolgersi della prova, degli interventi dell’adulto,
di tutte le azioni e le parole del o dei soggetti, rilevano, integralmente, tutte le affermazioni e tutti gli argomenti dei soggetti relativi alla configurazione dei bicchieri ed alla
quantità dei liquidi. Nella metà dei casi abbiamo potuto utilizzare un magnetofono
per verificare i protocolli. Questo ha potuto dimostrare che, con un certo allenamento
dell’osservatore, le rilevazioni sono sufficientemente complete.
3.2 Risultati
3.2.1 Analisi qualitativa delle condotte osservate
Pre-test
Al pre-test i soggetti mostrano comportamenti analoghi a quelli descritti da Piaget
e Szeminska (1941), permettendoci così di operare la distinzione fra conservatori, intermediari, non-conservatori.
Dei 100 bambini interrogati 44 risultano conservatori e questo riduce a 56 il numero dei soggetti disponibili per la ricerca. Successivamente, per ragioni indipendenti dalla
nostra volontà (contingenze di orari, assenze, vacanze scolastiche), 7 di loro non hanno
potuto essere compresi nel piano sperimentale e, così, dopo il pre-test, la nostra popolazione sperimentale ha compreso 11 bambini di livello intermediario e 38 non-conservatori, cioè 49 soggetti quasi ugualmente ripartiti tra maschi (26) e femmine (23).
Fase di interazione
A seconda dei gruppi lo svolgimento di questa seduta ha richiesto un maggiore
o minor numero di interventi da parte dello sperimentatore, ma praticamente tutti i
casi hanno visto realizzarsi scambi tra i bambini: istruzioni, dimostrazioni, opinioni o
spiegazioni.
Primo esempio (estratto di protocollo): svolgimento di una seduta collettiva.
(...)
Ama (S1): metti lo stesso livello di sciroppo in A e D
Pat (S2): per bere non è lo stesso
Bru (S3): no, Pat ne avrà meno
Pat: bisogna versare così (D versato in AI)
Ama: (versa D in AI e pareggia i livelli)
Spe: voglio che Pat beva in questo bicchiere (D) (richiamo della consegna)
Ama: versa AI in D) ce n’è di più qui (D)
Pat: c’è lo stesso
Bru: c’è lo stesso
Ama: no (Toglie dello sciroppo da D versandolo nella bottiglia)
60
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Prima esperienza
(silenzio)
Spe: il gioco è che abbiano lo stesso da bere ma anche che Pat beva in questo bicchiere
(D) e Bru in questo (A).
Ama: (aggiunge dello sciroppo in D per eguagliare i livelli in D ed in A)
Pat: giusto
Bru: lei fa tutto sbagliato. Bisogna prendere AI.
Ama: (segue le istruzioni di Bru, pareggia i livelli in A e AI)
Bru: ora versa (AI in D)
Ama: (versa da AI in D)
Pat: ecco abbiamo tutti e due lo stesso
Spe: c’è la stessa cosa dappertutto?
Bru: si Pat: si
Ama: no, lui (D) ha meno ... si, lo stesso.
Secondo esempio (estratto di protocollo): svolgimento di una seduta collettiva
(...)
Isa (S1): versa livelli eguali di sciroppo in A e D)
Spe: hanno lo stesso da bere Ma e Na?
Isa: si
Ma: (S2): no
Na: (S3): no
Isa:quello (D) ne ha un pochino meno perché è sottile Ma: si, credo che bisogna farlo
un poco più alto.
Isa: (versa un pò di sciroppo dalla bottiglia in D)
Ma: ah si
Isa: (allo sperimentatore) ancora?
Spe: non so, devi chiederlo a lei.
Isa:(a Ma ed a Na) ancora?
Ma e Na: no.
Spe: (a Ma e Na): allora, avete avuto lo stesso da bere?
Ma: credo
Isa: quello (D) è troppo sottile, bisogna metterne di più.
Na: aggiungi ancora un pochino.
Ma: io so cosa si deve fare, bisogna versare lì dentro (D in A)
Isa:(non comprende l’istruzione di Ma - versa dalla bottiglia in AI).
Ma: no
Spe: perché dici no?
Ma: perché credevo che bisognava versare questo (D) dentro (AI) per vedere se è la stessa
cosa.
Na: metti questo bicchiere (AI) vicino a questo (A); (Li avvicina) è la stessa cosa.
Spe: vuota questo (D) nella bottiglia..Voglio che Ma beva in questo bicchiere (D) e Na
in quello (A) (silenzio)
Spe: (a Isa) chiedi a Ma se ha un’idea
61
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Ma: prendi quello che hai versato lì dentro (AI) in questo bicchiere (D)
Isa:(versa AI in D)
Ma: è la stessa cosa
Isa e Na: è la stessa cosa
Spe: (alle tre) allora, ce n’è lo stesso da bere?
Isa, Ma e Na: si
Isa:non è mica magico il bicchiere!
Nei due esempi citati in alto i bambini conservatori hanno essenzialmente vigilato
affinché il procedimento permettesse di assicurare l’uguaglianza ma hanno argomentato scarsamente il loro procedimento per il non-conservatore che si limita a seguire
le loro istruzioni. Non è così negli esempi che seguono in cui si vedrà dei bambini
conservatori dare delle giustificazioni alle loro affermazioni ed i non-conservatori sia
opporvisi che adottarle.
Terzo esempio (estratto di protocollo): seduta collettiva
Ala (S1): versa livelli uguali di sciroppo in A e D).
Mo (S3): Ge ne avrà di più.
Ge (S2): (versa D in AI, fa constatare l’ineguaglianza tra A e AI, chiede ad Ala di
pareggiare i livelli e versa AI in D)
Spe: (ai tre) ce n’è lo stesso?
Ge: si
Spe: perché?
Ge: abbiamo guardato
Spe: siete d’accordo?
Ala e Mo: si
Ge: avevamo messo lo sciroppo nel bicchiere grande, dopo lo abbiamo messo nel piccolo
ed era lo stesso.
Mo: quello (D) è più grande. L’altro (A) è un pò più basso ma più grosso
(...)
Ge: no, il bicchiere non è magico. Ce n’è tanto. È più alto
Mo: più alto ma meno rotondo
(...)
Quarto esempio (estratto di protocollo): seduta collettiva
62
Pat ha il bicchiere A. Ale il bicchiere D
Fa (S1): versa dello sciroppo in A ed in D. Il livello in D è più alto.
Ale: (S2): no Pat ne ha di più (A)
Pat: (S3): no, ce n’è di più in questo (D).
Ale: no quello (D) è più sottile, quello (A) più largo. È forse uguale, è forse di più, è
forse meno. Non riesco a vedere
Spe: vorrei che Ale e Pat avessero lo stesso da bere
Pat: non è uguale
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Prima esperienza
Ale: no
Fa: no, perché il bicchiere è più spesso
Ale: hai visto; io ne ho anche meno
Fa:ne metto ancora?
Ale: certo
Fa: (pareggia i livelli di A ed AI)
Ale: d’accordo (Versa A in D) Scommetto che dirai che ce ne è di più!
Spe: se bevete, tu in questo bicchiere (AI) e tu in questo bicchiere (D) avrete lo stesso da
bere?
Fa: no
Pat: no
Ale: si
Spe: piegatevi
Ale: abbiamo versato questo (D) in quello (A). Era uguale.
Spe: ma qui (D) è più alto...
Ale: ma certo ma è più sottile. Se si versa questo (D) qui (A) sarà uguale
Spe: e tu Fa cosa ne pensi?
Fa:si
Ale: (versa D in A) guarda!
Pat: (constata e mostra una piccolissima differenza di livello tra A ed AI)
Fa:(pareggia A ed AI)
Ale: non conterai mica le gocce!
(...)
Mentre nella maggior parte dei casi i due soggetti conservatori hanno preso parte
allo scambio verbale utilizzando i prorpi giudizi operatori, nell’esempio precedente,
vediamo che solo uno di loro, Ale, ha condotto la conversazione mentre l’altro, Pat,
sembrava oscillare nella sua posizione.5
Al contrario ci è anche capitato, anche se raramente, di incontrare un soggetto
non-conservatore al pre-test che, durante l’interazione si sia comportato, sin dall’inizio,
come i soggetti conservatori.
Quinto esempio (estratto di protocollo): seduta collettiva
(...)
Spe: do a Ger (S2) questo bicchiere (D) ed a Mor (S3) questo (A) e tu (Fra) darai loro
dello sciroppo affinché abbiano lo stesso da bere;
Fra (S1): (versa dello sciroppo in A e in D con un livello più basso che in A)
Spe: è lo stesso?
Mor: Ger ne ha di più
Fra: si
Ger: no
Spe: verseremo questo (D) in questo (AI) e misureremo (versa).
Ger: ne aveva anche meno!
Fra: (pareggia i livelli in A e in AI)
63
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Ger: non è uguale
Fra: (pareggia di nuovo, in tre riprese)
Ger: non è la stessa cosa
Fra: si
Spe: vorrei che Ger bevesse in D.
Fra: (versa A in D)
Spe: è la stessa cosa da bere?
Fra: si
Spe: perché?
Fra: là (D) è più alto e più sottile
Spe: siete tutti e tre d’accordo?
Fra, Ger e Mor: si (bevono il loro sciroppo)
Post-test 1
I soggetti sono stati poi sottoposti, individualmente, al post-test, nelle condizioni
descritte. Le condotte dei soggetti erano anche in questo caso comparabili a quelli
descritti da Piaget e Szeminska (1941) e gerarchizzabili nei tre livelli: giudizi di non
conservazione, intermediari e di conservazione. Sono emersi diversi esiti:
a) soggetti non-conservatori al pre-test e ugualmente non-conservatori al post-test 1
come nel caso di Fa:
Pre-test
(...)
Spe: metti dello sciroppo in questo bicchiere (A) e in questo bicchiere (AI) per avere lo
stesso da bere (Fa: versa in A ed AI livelli uguali)
Spe: è la stessa cosa o...?
Fa: si
Spe: guarda, verso il mio sciroppo (A) qui (C). Se io bevo quì e tu qui (A) abbiamo lo
stesso da bere oppure uno ne ha di più?
Fa: no
Spe: qual è diverso?
Fa:ce n’è di più in A
Spe: perché?
Fa:quello (C) è più piccolo, questo (A) è più grande
Spe: e se verso questo (C) qui (A), ci sarà lo stesso qui (A) e qui (AI) o di più, o meno
da qualche parte?
Fa: si, lo stesso
Spe: (versa C in A) ce n’é lo stesso?
Fa:si
Spe: e se io verso questo (A) qui (C) ce n’é lo stesso?
Fa: ci sarà meno in questo (C)
Spe: (versa A in C, e propone la controsuggestione sulla larghezza di C)
Fa: ce n’è di più qui (A)
64
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Prima esperienza
Spe: quale vuoi bere?
Fa:qui (A)
Post-test 1
Fa: (pareggia i livelli in A ed in AI)
Spe: (versa A in C) ed ora?
Fa: non è lo stesso perché questo bicchiere è più largo (C)
Spe: che cosa credi?
Fa: prima, in A, era lo stesso, ma ora è più largo
Spe: e allora?
Fa: qui (C) è più piccolo, là (A) è più grande
Spe: nei bicchieri ce n’è lo stesso o di più?
Fa: prima era uguale. Ora ce n’è meno in questo (C)
(...)
Spe: verso questo (A) qui (D) ora ce n’è di più o di meno, o è lo stesso, cosa pensi?
Fa: più in questo (D)
Spe: perché?
Fa: perché è più sottile e più grande (D)
Spe: quale vuoi bere?
Fa: in questo (D)
b) soggetti che emettono giudizi di non conservazione al pre-test, intermediari al
post-test 1
Pre-test
Isa: (ha constatato l’uguaglianza tra A ed AI; lo sperimentatore ha versato A in C)
Isa: non è lo stesso
Spe: cosa è successo?
Isa:questo bicchiere (C) è più grosso e più piccolo
Spe: più grosso dove?
Isa: (mostra la larghezza)
Spe: e dentro c’è più da bere o è lo stesso?
Isa: meno
Spe: e se io riverso in questo bicchiere (A)?
Isa: è lo stesso
Spe: e se lo mettiamo là dentro (C)?
Isa: è sempre meno
Spe: allora tu pensi che ce ne sia meno dentro, ma io posso pensare che forse c’è più
sciroppo qui (C) perché questo bicchiere (A) è sottile; allora forse ce n’è di più qui (C)
oppure è no?
Isa:è giusto
(...)
Spe: vuoi bere
65
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Isa: si
Spe: in quale bicchiere vuoi bere?
Isa:quello (A)
Spe: perché?
Isa: perché ce ne è di più
Post-test 1
sa: (pareggia i livelli di sciroppo in A ed in AI)
Spe: ti do il tuo sciroppo versandolo in questo bicchiere (C). Ecco. Se io bevo tutto lo
sciroppo che c’è in questo bicchiere (A) e tu tutto lo sciroppo che c’è in questo bicchiere
(C) avremo lo stesso da bere tutti e due oppure...?
Isa: si
Spe: allora anche se io te l’ho dato in questo bicchiere (C), è lo stesso?
Isa: si è più largo (C)
Spe: ma qui (A) è più alto
Isa: perché è più grosso (C)
Spe: se è più grosso, di sciroppo ce n’è di più o lo stesso?
Isa: non è la stessa cosa; ce n’è di più in questo (C) perché è più largo
Spe: e se verso questo (C) quì (AI)?
Isa: ce ne sarà la stessa cosa
Spe: (effettua il travaso di C in AI, poi riversa di nuovo AI in C)
Isa: è la stessa cosa di prima ma quì (C) è più grosso, e allora ce ne è di più .
Spe: ma questo (A) è più alto
Isa: no è questo (C) che ne ha di più
Spe: com’è se lo beviamo?
Isa: in questo (C) ce n’è di più
(...)
(A viene versato in D)
Isa: in questo (D) ce n’è di più ma è più sottile
Spe: da bere ce n’è di più, di meno oppure è uguale?
Isa: qui (D) è più alto, e là (C) è più basso, ma (D) è più sottile e là è più basso, ma
(D) è più sottile e là (C) è più grosso
Spe: ma lo sciroppo? Se un bambino ha molta sete, quale bicchiere gli dai?
Isa:questo (D)
(...)
c)
soggetti intermediari al pre-test, ugualmente intermediari al post-test 1:
Pre-test
(viene versata la stessa quantità di siroppo in A ed in AI, poi il contenuto di AI
viene versato in C).
(...)
Spe: se bevi questo sciroppo (C) ed io questo (A) abbiamo tutti e due lo stesso, siamo
66
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Prima esperienza
tutti e due ugualmente soddisfatti o c’è qualcuno più contento?
Ica:(indica lo sperimentatore ed il suo bicchiere (A) per significare che egli sarebbe
il più gratificato dalla distribuzione)
Spe: perché?
Ica:ce n’è di più
Spe: ce n’è di più. Come lo sai?
Ica:non so
Spe: (...) allora da me ce n’è di meno o è lo stesso che da te?
Ica:no, non ce n’è di più è la stessa cosa
Spe: sei sicura? Come si può saperlo?
Ica:non so
(...)
(A viene di nuovo versato in C dopo constatazione di uguaglianza tra A ed AI)
Ica:è la stessa cosa
Spe: perché?
(silenzio)
Spe: ti piace lo sciroppo?
Ica:si
Spe: puoi bere o in questo bicchiere (C) o nell’altro (A), quale vuoi?
Ica:quello (A)
Spe: perché?
Ica:non so!
Post-test 1
(Ica ha pareggiato i livelli in A ed AI a più riprese ed afferma l’uguaglianza delle
quantità)
Spe: ora metterò il mio sciroppo qui (versa A in C)...credi che ci sia la stessa cosa di
sciroppo o...?
Ica:si
Spe: si? Lo sai? Perché?
Ica:non so perché ma credo che è giusto
(...)
(dopo diverse manipolazioni AI viene versato in C)
Ica:no, non è la stessa cosa (...), si la stessa cosa da bere
Spe: un bambino che è venuto prima di te mi ha detto che non c’era lo stesso cosa da
bere qui (A) e qui (C). Cosa gli diresti?
(silenzio)
Spe: sapresti fargli capire se c’è lo stesso da bere oppure no.
Ica:no
(...)
Spe: da quale bicchiere preferisci bere?
Ica:è lo stesso
d) soggetti che emettono giudizi di non conservazione al pre-test e che emettono
giudizi di conservazione al post-test 1.
67
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Pre-test
(Ama ha pareggiato i livelli in A ed in AI e ammesso l’uguaglianza delle quantità)
Spe: (versa A in C ...)
Spe: ora se volessimo bere tutti e due, pensi che sia lo stesso o no?
Ama: là ce n’è meno (in C)
Spe: perché? non è lo stesso?
Ama: (fa cenno di no con la testa)
Spe: perché? puoi farmi capire?
Ama: qui (C) ce n’è meno che quì (A)
(...)
Spe: un bambino mi ha detto che è lo stesso molto sciroppo da bere perché A è più alto
e C è più largo. Tu, credi che si abbia lo stesso da bere?
Ama: no
(...)
Post-test 1
Ama: (eguaglia i livelli dello sciroppo in A ed in AI)
Spe: vorrei bere in questo bicchiere (D) c’è lo stesso di sciroppo che in questo (AI)?
Ama: (versa AI in D)
Ama: è lo stesso perché là dentro (AI) era lo stesso. Ora io lo aggiungo (vuol dire... lo
verso) là (C)
Spe: com’è?
Ama: lo stesso perché era lo stesso in questo bicchiere (D)
Spe: ma questo era più alto e allora?
Ama: si ma c’è lo stesso che c’era in questo (AI)
Spe: come sai che era lo stesso di là (A)?
Ama: (versando D in AI) perché quando lo avevo messo in questo (D) era lo stesso che
là (AI)
Spe: perché lì lo sciroppo sale alto quando si versa in questo bicchiere (D)?
Ama: perché è più alto e più sottile
Spe: ma se è più alto e più sottile, allora non c’è più sciroppo, o no?
Ama: no
Altro esempio:
Pre-test
(...)
(A=AI, lo Sperimentatore versa poi A in C)
Fra: qui (A) ce n’è più che lì (C)
Spe: perché?
Fra: perché è più piccolo (C)
Spe: ma è largo
68
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Prima esperienza
Fra: (silenzio)
Spe: credi che abbiamo lo stesso da bere oppure no?
Fra: non penso lo stesso, perché questo bicchiere (A) è più grande di questo (C)
(...)
Spe: da quale vuoi bere?
Fra: (indica C)
Spe: perché prendi questo (C)?
Fra: perché ce n’è meno
Post-test 1
(...)
Spe: (A=AI quindi versa A in C) ed ora?
Fra: è uguale
Spe: perché?
Fra: qui(C) è più largo. Non ce n’è di più, perché questo bicchiere (C) è più largo e
questo bicchiere (A) è più alto.
(...)
Spe: (A=AI quindi versa A in C)
Fra: c’è n’é lo stesso perché questo bicchiere (D) è più alto e questo (A) è più largo
Spe: (versa allora AI in C)
Spe: e per bere, ce n’è lo stesso, di meno, o di più, cosa credi?
Fra: è lo stesso
e) soggetti che danno giudizi intermedi al pre-test, e giudizi di conservazione al posttest 1:
Pre-test
Spe: tu versi dello sciroppo qui (A) e qui (AI) in modo che nei due bicchieri ci sia lo
stesso da bere
Cla: (fa l’operazione)
Spe: è giusto?
Cla: è giusto
Spe: (versa AI in C)
Spe: se bevi lo sciroppo di questo bicchiere (A) ed io questo (C), che succede?
Cla: io ne ho di più, perché questo bicchiere (C) è più piccolo e quello (A) è più grande
Spe: si, i bicchieri sono diversi. Ma lo sciroppo da bere?
Cla: lo stesso
(...)
Spe: (uguaglia i livelli di sciroppo in A e AI e poi versa A in C) e da bere?
Cla: ce n’é più qui che qui
Spe: ma prima avevi detto che ce n’era lo stesso (...)
69
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Post-test 1
Spe: (uguaglia i livelli di sciroppo in A e AI e poi versa A in C) abbiamo lo stesso di
sciroppo da bere?
Cla: no. ce n’è lo stesso ma ora non c’è più lo stesso; questo bicchiere (C) è più piccolo.
Spe: come mai?
Cla: ora è sempre lo stesso, ma di altezza ce n’è di più là (A)
Spe: ce n’è lo stesso? Ma com’è possibile se è più alto?
Cla: perché prima ce n’era lo stesso. Ma questo bicchiere (A) è meno largo
Spe: (versa AI in D)
Cla: è sempre lo stesso
Spe: ma un bambino che è venuto poco fa pensava che ce ne fosse meno in questo bicchiere (D) perché è molto sottile. Cosa pensi?
Cla: è lo stesso
Spe: come glielo spiegheresti?
Cla: se avessimo un altro bicchiere come questo (D) verseremmo questo (C) dentro e
sarebbe lo stesso di quì (D)
Post-test 2
Le condotte dei soggetti al secondo post-test sono della stessa natura di quelle
manifestate negli esempi del primo post-test.
3.2.2 Evoluzione delle condotte dei soggetti nelle diverse condizioni sperimentali e di controllo
Per ciascuno dei tre tempi che caratterizzano la ricerca (pre-test, post-test 1 e posttest 2) abbiamo determinato il livello operatorio di ogni soggetto tentando di rispondere alle seguenti questioni: a) il fatto che i cambiamenti di livello appaiono più frequentemente nelle condizioni sperimentali che nelle condizioni di controllo è da attribuire
all’efficacia della situazione collettiva nella quale i bambini sono stati indotti ad interagire? b) le due condizioni sperimentali hanno un effetto comparabile?
Comparazione dei livelli dei soggetti al pre-test ed al post-test.
La tabella 1 confronta i livelli dei soggetti al pre-test ed al post-test 1, per le condizioni sperimentali e per la condizione di controllo.
Nelle condizioni sperimentali 24 dei 37 bambini progrediscono, mentre nella situazione di controllo ciò caratterizza solo 2 dei 12 soggetti. Il confronto dei progressi fatti
registrare dai bambini che hanno preso parte alla situazione collettiva con quelli della condizione controllo, permette, senza dubbio, di escludere che il processo maturativo possa
essere il solo responsabile di un simile tasso di progresso (per l’insieme dei soggetti NC e I:
χ2 (con correzione): 5.70; g.l. 1, p = .01, ipotesi unilaterale; considerando solo i soggetti
NC, la probabilità esatta, secondo Funney et al. (1963), equivale ad un p = .0068.
70
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Prima esperienza
D’altra parte i progressi sono simili nelle due condizioni sperimentali, cioè sia
dopo una interazione con partner dello stesso sesso (11 dei 19 soggetti progrediscono)
che con compagni di sesso opposto (13 dei 18 soggetti progrediscono). Alcuni lavori
sull’identificazione, l’imitazione e l’adozione delle condotte di un modello (vedi J. Kagan, 1971, p. 62-66) ci avrebbero potuto far supporre che, nella condizione omogenea
(in cui i soggetti appartengono ad una stessa categoria sessuale), la percezione della somiglianza con i modelli da imitare, indurrebbe più facilmente l’adozione delle condotte
di questi stessi modelli ma, probabilmente, non è il caso di questa ricerca poiché - come
spiegheremo in seguito - i risultati non si fondano su di una semplice imitazione. Dai
risultati si evidenzia perciò che, nelle due condizioni sperimentali, appare un effetto
conseguente all’interazione e si evince anche che la variabile di genere dei partner non
sembra sortire effetti. La seguente questione concerne la stabilità di simili progressi.
Tabella1: Evoluzione tra il pre-test ed il post-test dei soggetti NC e I della prima ricerca
Condizioni sperimentali Condizione di controllo
Livello operatorio
(post-test 1)
NC al pretest
I al
pre-test
NC al pretest
I al
pre-test
NC
11
-
9
-
I
9
2
1
1
C
8
7
0
1
Totale
28
9
10
2
Comparazione dei livelli dei soggetti al post-test 1 ed al post-test 2.
La tabella 2 permette di confrontare i livelli dei soggetti al post-test 1 ed al posttest 2.
Dall’analisi di questi risultati scaturisce che:
– 15 soggetti hanno conservato il progresso acquisito tra il pre-test ed il post-test 1;
– 8 soggetti hanno ulteriormente progredito tra i due post-test.
– 4 soggetti, al momento del secondo post-test, hanno presentato condotte regredite
a livello del pre-test.
Il progresso constatato nei soggetti al post-test 1 appare quindi come stabile ma,
perché alcuni soggetti progrediscono ancora tra i due post-test? Si potrebbe ipotizzare
che la situazione collettiva, nel corso della quale i bambini hanno dovuto interagire,
avrebbe “scatenato” o attivato in loro uno tipo di processo di strutturazione analogo,
71
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
ma più lento. Questa ipotesi è ancor più plausibile visto che Inhelder, Sinclair e Bovet
(1974) avevano ugualmente riscontrato un fenomeno di evoluzione a posteriori:“in
certi casi, già tra la fine delle procedure di apprendimento ed il post-test 1, ma soprattutto
fra i post-test 1 e 2, alcuni soggetti passavano da una condotta fluttuante ad una soluzione
completamente operatoria, o facevano registrare un netto progresso di uno o due sotto-livelli
o categorie di risposte gerarchizzate. Nel corso dell’intervallo tra i due post-test (da 2 a 6
settimane, a seconda dei casi), le acquisizioni provocate dai procedimenti di apprendimento
si prolungano e un insieme di integrazioni si producono, il cui dettaglio ci sfugge necessariamente, ma il cui risultato sembra provare che si tratti di riorganizzazioni interne dello stesso
ordine di quelle alle quali abbiamo assistito nel corso delle procedure di apprendimento”
(op. cit. p. 296-297).
Tabella 2: Evoluzione tra il post-test 1 ed il post-test 2 dei soggetti della prima ricerca
Livello al post-test 1
Livello al
post-test 2
NC
I
C
Totale
NC
9
2
0
11
I
0
3
2
5
C
2
6
13
21
Totale
11
11
15
37
Analisi degli argomenti dei soggetti al post-test
Per chiarire il processo di ristrutturazione abbiamo condotto un’analisi qualitativa
degli argomenti forniti dei soggetti ai post-test e, soprattutto, abbiamo confrontato le
risposte con le spiegazioni o giustificazioni date dai loro partner durante le situazioni
collettive chiedendoci se le condotte dei soggetti che denotano un progresso, non sarebbero, forse, il riflesso delle discussioni vissute nella situazione collettiva. Non sarebbe così se constatassimo che i bambini riescono a giustificare le loro affermazioni con
argomentazioni diverse da quelle dei loro partner.
Nella tabella 3, per i 23 soggetti che hanno manifestato condotte di conservazione
(21 conservatori al post-test, 2 ai quali si aggiungono quì i due conservatori al post-test
1 che sono ridivenuti intermedi al post-test 2), presentiamo, da una parte gli argomenti
operatori che i loro partner hanno utilizzato nella situazione collettiva (A) e dall’altra
quelli che essi stessi hanno introdotto nelle loro spiegazioni ai post-test (B e C). Questi
argomenti operatori sono stati classificati secondo i tre tipi distinti da Piaget (identità,
compensazione e reversibilità) e che corrispondono alle operazioni sulle quali si fonda
la nozione di conservazione. Tuttavia, poiché lo scopo della nostra analisi non è quello
di cogliere le operazioni in azione ma di evidenziare l’originalità delle spiegazioni dei
ragionamenti dei bambini, abbiamo sentito la necessità di distinguere, per l’identità e la
72
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Prima esperienza
reversibilità, due sotto-tipi che, pur denotando una stessa operazione, corrispondono a
due modalità di formulazione molto diverse. Ecco degli esempi di argomenti forniti dai
soggetti per giustificare la conservazione, classificati secondo i seguenti tipi e sotto-tipi:
– Identità
ID: “perché prima era lo stesso”
ID: “perché non è stato aggiunto niente, niente tolto, è stato messo quello che c’era nel
bicchiere” 6
Tabella 3: Argomentazioni dei partner conservatori (A) e dei soggetti divenuti conservatori dopo l’interazione (B e C).
(A) Argomenti apportati dai conservatori, soggetto per soggetto, duranta la fase di
interazione (i numeri corrispondono ai differenti soggetti dell’esperienza)
1
ID α
X
ID β
X
CO
X
Rinv
2
3
4
X
5
6
X
X
7
8
9
10
11
12
13
14
X
X
X
X
X
X
X
15
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
16
17
18
X
X
X
19
20
21
22
23
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
14
15
16
17
18
X
X
X
22
23
X
X
X
Rrec
X
(B) Argomenti apportati dai soggetti al post-test
1
2
ID α
3
4
X
5
6
7
8
9
X
X
Xn
X
X
ID β
CO
10
11
12
13
X
19
X
20
21
X
Xn
X
X
Xn
Xn
X
Rinv
Xn
Rrec
Xn
X
X
X
X
X
X
X
X
Xn
X
Xn
X
Xn
Xn
(C) Argomenti apportati dai soggetti al post-test 2
1
ID α
2
3
Xn
X
4
5
6
7
8
9
10
11
12
X
Xn
X
X
X
X
X
13
Xn
X
X
X
X
Xn
Xn
X
X
X
X
X
Xn
Xn
14
15
16
17
18
X
X
19
20
21
22
23
X
ID β
CO
Rinv
Rrec
X
Xn
X
X
X
Xn
X
X
Xn
X
Xn
Xn
X
Xn
Xn
Legenda: Idα= Identità primo tipo; Idβ= identità secondo tipo; Co= compensazione; Rinv=
reversibilità per inversione; Rrec= reversibilità per reciprocità.
N. B.: con il simbolo Xn sono evidenziati le argomentazioni nuove, quelle cioé che i soggetti danno senza averli mai ascoltati nella fase di interazione.
73
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
– Compensazione
CO: “è lo stesso di sciroppo perché questo bicchiere è più sottile ma anche più alto”.
– Reversibilità
Rinv: reversibilità per inversione
“perché se si rimette lo sciroppo (che è stato versato da A in C o D) in un altro bicchiere come questo (AI) si vede che è uguale”.
Rrec: reversibilità per reciprocità
(il contenuto di A è stato versato in C)
“perché se si versa lo sciroppo (contenuto in AI) in un altro bicchiere come questo (C)
si vede che è uguale”.
Considerati i criteri utilizzati per distinguere i livelli, i 23 soggetti rappresentati
nella tabella 3, hanno mostrato di argomentare adeguatamente i giudizi di enunciati.
L’analisi dei risultati rivela inoltre che 13 di questi soggetti hanno introdotto nelle loro
spiegazioni uno o più argomenti che non erano stati esplicitati dai loro partner nel corso della situazione interattiva. Tra questi argomenti “nuovi” tre sono di identità, sette
di reversibilità e altri sette di compensazione. Si noterà che l’argomento di identità, in
molte occasioni utilizzato dai bambini conservatori durante le interazioni, ha, naturalmente, una debole probabilità di apparire come “argomento nuovo” al post-test.
La presenza di argomentazioni nuove esclude l’imitazione delle risposte dei partner conservatori e costituisce, certamente, un’elaborazione originale del soggetto a livello di strutture operatorie.
3.3 Discussione dei risultati
I risultati mostrano progressi in un numero rilevante di soggetti. È ipotizzabile che a
questi progressi abbiano concorso i processi maturativi ed avvenimenti che hanno caratterizzato il tempo che separa le due sedute? O, siamo in presenza di un effetto test-retest,
essendo il soggetto, al post-test, familiarizzato con il compito e con lo sperimentatore?
Ci sembra di poter scartare queste ipotesi attraverso il raffronto dei risultati dei
gruppi sperimentali con quelli del gruppo di controllo, anche se un problema resta
aperto: quello del ruolo dell’attività che il soggetto, indipendentemente dall’interazione, svolge con il materiale sperimentale, durante la situazione collettiva. I soggetti del
gruppo di controllo beneficiano quest’attività che potrebbe essere, in qualche modo responsabile, delle differenze nei tassi di progresso; tenteremo, nelle esperienze seguenti,
di ovviare a questa difficoltà metodologica facendo variare i tipi di situazioni collettive
e paragonandone gli effetti.
Come spiegare, a questo punto, i progressi rilevati? Sarebbe plausibile ricorrere alle
teorie dell’apprendimento sociale, imputando questi cambiamenti nelle risposte dei
soggetti alla semplice imitazione delle condotte dei partner?
74
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Prima esperienza
Prima di tuto bisognerebbe capire perché i soggetti non-conservatori tenderebbero
ad imitare i conservatori. In effetti, nella situazione collettiva, essi non vengono esplicitamente presentati come modelli, ma come partner per la realizzazione di un compito;
benché questa non sia l’intenzione dello sperimentatore e benché la situazione non sia
precisamente una situazione didattica, è probabile che il soggetto percepisca i conservatori come più sicuri di sé, in grado di esercitare una sorta di seduzione che spinge
ad identificarsi con loro e ad imitarli. È un’ipotesi plausibile. Per quel che concerne
un’eventuale identificazione di genere non abbiamo, per il momento, se non degli elementi in grado di inficiare l’ipotesi di un “effetto sesso” dei partner conservatori.
Ma, pur volendo supporre che si arrivi a mostrare che i soggetti tendono ad imitare i loro partner, come rendere conto allora della loro capacità di fornire spiegazioni
diverse da quelle emesse dai partner conservatori durante l’interazione e, inesistenti al
pre-test? Queste nuove argomentazioni non scaturiscono dall’assimilazione di condotte
altrui (d’altronde impossibile in assenza delle strutture cognitive necessarie) ma dall’elaborazione stessa di queste strutture operatorie nuove.
Considerando i risultati ai post-test, emerge che i soggetti del gruppo sperimentale
progrediscono dal pre al post-test 1 in modo significativamente più ampio di quelli del
gruppo di controllo e le loro condotte cognitive continuano ad evolversi tra il post-test
1 ed il post-test 2. Delle risposte acquisite per imitazione potrebbero venir dimenticate
nelle settimane che separano i due post-test e, in ogni caso, sarebbe difficile spiegare
come possano migliorare con il tempo.
In effetti, perfino i teorici del social learning, che registrano stabilità delle modificazioni, non sono in grado di fornire spiegazioni nel quadro del “modeling”. Pertanto
in alcuni lavori sull’imitazione di modelli per il giudizio morale7, Cowan, Langer, Heavenrich e Nathanson (1969) hanno mostrato che un cambiamento nel giudizio ottenuto con queste tecniche, se va nel senso dello sviluppo cognitivo del bambino, persisterà maggiormente. Per spiegare questa stabilità differenziale gli autori sono costretti
a ipotizzare, al di là del modeling effect, “una riorganizzazione cognitiva che è già in atto
nel bambino” (Sternlieb e Youniss, 1975, p. 895) e che deriverebbe da lui (“development
from within the child”, idem, p. 897).
Come precedentemente sottolineavamo però, l’effetto che appare nella nostra ricerca, si rivela non solo stabile ma anche suscettibile di migliorare con il tempo, rendendo inadeguata una spiegazione dei risultati che ricorra all’imitazione. Al contrario,
se si ipotizza che la situazione collettiva, agendo come induttore, abbia messo in moto
un processo di strutturazione, allora la stabilità di questi progressi, come anche la loro
evoluzione, diviene comprensibile; progressi che, sono molto probabilmente di natura
operatoria.
4. Conclusioni e nuove prospettive
Quale può essere il contributo di questa ricerca? Destinata a mettere in evidenza che certe interazioni sociali possono modificare la struttura cognitiva del soggetto, la presente ricerca sembra provare che effettivamente, in un gran numero di casi,
75
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
bambini di circa 6 anni (testati come non-conservatori o intermedi alla conservazione
della quantità di liquido) messi a confronto, per circa 10 minuti con due partner di livello operatorio conservatore, progrediscono in un compito collettivo su questa nozione, raggiungendo la padronanza della nozione interessata. Specificamente questa ricerca permette di stabilire che questa modificazione non consiste nell’apprendimento di
condotte specifiche ma nello sviluppo delle strutture cognitive dei soggetti. Essa permette, inoltre, di constatare uno sviluppo che non può spiegarsi - almeno nella sua totalità - con l’imitazione delle condotte altrui.
Comunque, se la trasformazione delle strutture cognitive appare chiaramente,
questa ricerca non fa che aprire la via ad un certo numero di indagini visti i fondamentali problemi che essa ancora solleva.
Il primo problema concerne i cambiamenti cognitivi; un certo numero di elementi
(tra i quali il fatto che i soggetti, nel corso dei post-test, forniscano argomenti nuovi
rispetto al loro stesso pre-test, e “nuovi” in quanto diversi da quelli emessi dai partner
dell’interazione) permettono di interpretare questi cambiamenti come modifiche della
struttura operatoria. In effetti, le procedure di intervista, proprio perché limitate ad
una sola prova con un ridotto numero di item, pur permettendo di rendere plausibile quest’interpretazione, non rappresentano le condizioni per definire in tutta la sua
ampiezza l’effetto a livello di strutture operatorie, inducendoci ad interrogarci sulla
generalizzabilità di questi cambiamenti. Questa debolezza sperimentale ha indotto la
seconda esplorazione, più clinica, di queste modifiche strutturali, da condurre al livello
della stessa prova. In effetti una moltiplicazione degli item permetterebbe di osservare,
più minuziosamente, le condotte dei bambini e soprattutto di evitare errori che potrebbero essere dovuti alla casualità delle risposte. Una simile esplorazione potrebbe
poggiarsi su altre prove per valutare in che misura il cambiamento osservato sia limitato
alla nozione messa in gioco durante l’interazione o possa generalizzarsi ad altre nozioni,
tuttavia una tale analisi è resa difficile dai limiti stessi che hanno evidenziato le ricerche
sulla generalizzazione delle strutture.
Un secondo problema è da mettere in relazione con i lavori di Rose (1973), che
mostrano, nei bambini, la tendenza a rispondere affermativamente alle domande dell’adulto sperimentatore. Per tale ragione, la nostra ricerca, benché ci siamo premuniti
di formulare domande aperte e contro-suggestioni, non siamo al riparo da un eventuale
errore di interpretazione delle risposte affermative prodotte da quei soggetti che non
riescono ad argomentare le loro risposte (visto che “c’è n’è lo stesso” costituisce di per
sé la risposta corretta). Bisognerebbe poter stabilire se, in tali casi si tratta di semplici
assensi da parte dei bambini oppure di reali affermazioni di conservazione. Bisognerebbe probabilmente porre domande la cui risposta corretta sia talvolta l’affermazione
di un’uguaglianza dei contenuti, talvolta la negazione della stessa uguaglianza. L’introduzione di item sulla conservazione di disuguaglianze permetterebbe allora di superare
questa difficoltà.
Il ricorso ad item di disuguaglianza permetterebbe, analogamente, di verificare se
non esistano malintesi nelle consegne, tra lo sperimentatore ed il bambino, visto anche
che, la consegna per la situazione collettiva esige da parte dei bambini la realizzazione
di una ripartizione equa che si traduce spesso nelle loro conversazioni, con una sorta di
massima: “Occorre che vi sia lo stesso!” È lecito chiedersi, allora, se certi soggetti non
76
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Prima esperienza
tendano a concentrarsi su quest’obiettivo - dire che ce n’è lo stesso - e fornire questa
risposta al post-test perché, visto che per lo sperimentatore che partecipa all’azione del
travaso, essa è certamente “buona” e così si ottiene “lo stesso”! Una simile verifica non
è evidentemente necessaria per i soggetti che forniscono delle argomentazioni operatorie come supporto alle loro risposte ma diventerebbe preziosa per quei bambini che si
limitano ad affermare la conservazione.
Ugualmente interesse risulterebbe un’esperimento condotto esclusivamente con
soggetti che danno giudizi di non conservazione, escludendo i soggetti intermedi che
sono più facilmente suscettibili di progredire; l’effetto risulterebbe così più probante se
ottenuto nei non-conservatori che in bambini già più prossimi ai condotte operatorie.
Sempre a partire dalla prima ricerca sopra descritta, possono emergere problematiche concernenti le modalità che caratterizzano le interazioni e i conseguenti cambiamenti a livello delle strutture intellettive. In effetti, nel tentativo di massimizzare
le opportunità di ottenere i progressi, abbiamo cumulato i fattori suscettibili di agire
e, affinché il soggetto non-conservatore (NC) fosse confrontato con un punto di vista
nettamente diverso dal suo, abbiamo posto il soggetto in presenza di due partner conservatori. Per assicurarci che il soggetto NC partecipasse all’operazione gli abbiamo affidato il compito di ripartire lo sciroppo, anche se, questa sovrapposizione di variabili,
non ci permette di valutarne il peso rispettivo, né di poter affermare che sono proprio
gli elementi presupposti quelli pertinenti.
Si pone cosi l’eventualità che, a comportare la ristrutturazione cognitiva nel soggetto, non sia tanto la chiarezza del punto di vista che gli si oppone quanto la pressione esercitata dalla maggioranza. Secondo l’analisi di Piaget (1958) sembra poco probabile che una conoscenza - contrariamente ad un’opinione - possa trasmettersi in una
relazione coercitiva e dunque che la sua acquisizione possa imputarsi ad una pressione
maggioritaria. Ci si deve tuttavia chiedere se il fatto che i partner siano entrambi dello stesso livello giuochi un ruolo in sé oppure non sia solo il mezzo per accrescere le
opportunità che il NC sia confrontato a condotte adeguate. E, quali sarebbero queste
condotte adeguate? Dopo i lavori di Moscovici e Faucheux (1972) nel campo percettivo, alcuni studi sulle opinioni (Paicheler, 1974; Mugny, 1975) hanno evidenziato l’influenza che esercita un comportamento “consistente”. Ritroveremo, nelle nostre ricerche dedicate alle conoscenze logiche, che un partner conservatore, difendendo il suo
punto di vista con fermezza e con una coerenza interna (che persiste per tutta la durata
dell’attività) divenga fonte di una influenza maggiore di quella esercitata da un soggetto “inconsistente”? E in tal caso quale ruolo giocherebbe la “consistenza” interindividuale tra i due partner o basterebbe semplicemente la “consistenza” e la stabilità di uno
solo di essi? Cosa succederebbe, ancora, se il soggetto conservatore fosse minoritario?
Fondamentalmente si tratta di capire se le caratteristiche specifiche di queste interazioni costituiscano le cause autentiche dei progressi ottenuti o se piuttosto è il semplice prendere pare ad una situazione di interazione sociale (quale che sia il numero dei
partner, i loro ruoli, i loro punti di vista o i loro livelli) che permette al soggetto una
decentrazione e, di conseguenza una riorganizzazione cognitiva.
77
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Note
1
Ogni soggetto si vede così attribuire un punto per ogni giudizio corretto, e due punti per ciascun giudizio
corretto accompagnato da un argomentazione operatoria. Il punteggio massimo possibile è così costituito
da 12 punti. Murray considera “non-conservatori” i soggetti con punteggio da 0 a 4 e “conservatori” i soggetti con punteggio compreso fra 10 e 12.
2
Con il ricorso a questa prova, Piaget e Szeminska dimostrano che le quantità continue non vengono subito
considerate come costanti ma che la loro conservazione si costruisce progressivamente, secondo un meccanismo intellettuale preciso.
3
La scelta è stata operata dopo aver effettuato un sondaggio nelle tre scuole della città di Ginevra, dove abbiamo poi condotto la sperimentazione; sondaggio che ci ha permesso di stabilire che nella scuola materna la
maggior parte dei bambini erano non-conservatori (80% circa) mentre già in seconda elementare essi erano
in buona parte dei casi conservatori (l’85% circa).
4
L’ordine dei suggerimenti “di più”, “di meno”, “stessa cosa” viene alternata nel corso dell’interrogazione per
evitare di indurre un solo tipo di risposta.
5
Studiare le condizioni che potrebbero frenare lo sviluppo intellettuale (oppure indurre regressioni) non è
l’obiettivo di questo contributo, come abbiamo del resto precisato nell’introduzione. Tuttavia, avendo osservato che alcuni soggetti conservatori (al pre-test) mostravano, nell’interazione, comportamenti più somiglianti a quelli dei non-conservatori che a quelli dei conservatori, abbiamo sottoposto sei conservatori, presi
a caso, ad un post-test. Nei sei casi i soggetti erano rimasti conservatori e fornivano argomenti operatori per
sostenere le loro affermazioni.
6
Non abbiamo tenuto conto delle spiegazioni dei bambini come “perché è lo stesso sciroppo” oppure “non
è lo stesso bicchiere ma è lo stesso” che avrebbero potuto essere considerate argomenti di identità. In effetti, in troppi casi, risulta difficile stabilire chiaramente quale sia lo statuto di questi giudizi nel discorso
del bambino: si tratta di semplici affermazioni di conservazione o di reali argomentazione operatorie? Per
precauzione abbiamo scelto di agire nella direzione sfavorevole alle nostre ipotesi e dunque di escludere, dal
nostro esame, simili risposte.
7
I lavori che citiamo sulla stabilità degli effetti interessano specificamente il giudizio morale, purtroppo non
conosciamo contributi sulle nozioni più strettamente operatorie.
78
CAPITOLO 3
La conservazione delle quantità di liquido e
l’effetto dell’interazione sulla strutturazione individuale: seconda ricerca
1. Antecedenti
Nella prima ricerca abbiamo potuto mostrare, a livello statistico, l’effetto di un’interazione sociale sulla strutturazione cognitiva individuale. Sulla scorta delle analisi
condotte ci sembra importante effettuare una valutazione clinica approfondita che porti su due dimensioni: da una parte la natura ed il ruolo delle interazioni, dall’altra la
trasformazione delle strutture cognitive dei soggetti.
Un tale approccio necessita di una duplice estensione del paradigma sperimentale:
allestendo diverse condizioni di interazione della situazione collettiva e valutando, con
diverse prove operatorie, i cambiamenti ottenuti.
Queste estensioni costituiranno l’oggetto della seconda sperimentazione che permetterà di ampliare l’osservazione delle condotte dei bambini nelle interazioni e di approfondire il colloquio clinico. Anche se i risultati di questa ricerca intendono confermare quelli della ricerca precedente, è chiaro che non hanno gli stessi fini statistici. Gli
strumenti scelti sono piuttosto quelli di un’analisi clinica su di una piccola popolazione
di soggetti, con il ricorso ad un numero più ampio di situazioni suscettibili di verificare
la plausibilità di una gamma di ipotesi sui meccanismi in gioco.
Due ipotesi direttrici sottendono quest’investigazione clinica: la prima suppone
che il progresso atteso sul piano operatorio effettivamente si manifesterà, in modo coerente, nei diversi iter della prova di conservazione dei liquidi; la stessa ipotesi suppone
che anche se il progresso sarà più evidente per questa nozione, dal momento che ispirandosi a tale nozione è stato messo a punto il compito per la situazione di interazione
sociale, l’evoluzione cognitiva dei soggetti sarà solidale anche in altre prove operatorie:
un progresso nella prova dei liquidi corrisponderà ad un progresso per altre nozioni
e, inversamente, un debole livello ad un insieme di prove operatorie dovrebbe essere
79
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
predittivo di un modesto progresso possibile nell’acquisizione della conservazione della
quantità dei liquidi.
Per l’investigazione di quest’ipotesi utilizzeremo altre tre prove che indagano le
operazioni concrete e più specificamente quelle, fra le nozioni di conservazione, suscettibili di dar prova di un relativo sincretismo: numero, materia, lunghezza.
Rispetto alla conservazione della materia ed ai liquidi c’é da attendersi un leggero
anticipo nell’acquisizione della conservazione del numero ed un ritardo per la conservazione della lunghezza, condizione che ci indurrà a far assumere un ruolo diverso ad
ognuna di queste prove nella nostra ricerca.
La seconda ipotesi concerne l’effetto della diversa composizione della coppia di
partner: a seconda del livello di comprensione che ciascuno ha del compito si genereranno confronti e scambi diversi che necessitano di una coordinazione delle azioni più
o meno elaborata, con conseguenze più o meno importanti sull’individuo.
Da queste due ipotesi principali, in relazione con le analisi sviluppate precedentemente, scaturisce un certo numero di ipotesi secondarie concernenti la peculiarità delle
prove, l’impatto dei diversi tipi di interazioni sociali, ed i meccanismi in giuoco (ivi
compreso l’effetto maggioritario) nell’interazione; ipotesi che, per maggior chiarezza,
presenteremo durante l’esposizione della ricerca.
Tecnicamente contiamo di basarci su una raccolta di dati più completa possibile e,
a questo scopo, abbiamo previsto di ricorrere alla videoregistrazione di tutte le sedute,
anche se, come vedremo, ragioni amministrative e tecniche (orari, disponibilità dei
locali e del materiale) limiteranno queste previsioni alla metà circa dei soggetti; gli altri
casi sono stati documentati con dettagliati appunti.
2. Svolgimento della seconda ricerca
Utilizzando un paradigma sperimentale simile a quello della prima ricerca si è
svolta, da gennaio a giugno 1974, in un’altra scuola materna, questa volta situata in un
agglomerato urbano satellite di Ginevra. Il luogo è la sala degli insegnati non utilizzata
in quel periodo e messa a nostra disposizione.
2.1 Soggetti
Una fase di sondaggio ci ha rivelato che, in prima classe appaiono, con maggiore
frequenza rispetto alla prima ricerca, soggetti conservatori e ciò ci ha obbligati ad interrogare ugualmente alunni dell’ultimo anno della materna, molti dei quali si rivelano
conservatori.
La nostra popolazione di studio così dunque è composta da alunni della scuola
materna (5-6 anni) e della scuola primaria (6-7 anni). Sono stati pretestati 91 bambini
e fra questi sono stati prescelti solo quelli il cui livello operatorio è apparso chiaramente “conservatore” o “non-conservatore”; non abbiamo soggetti “intermedi” e questo
per due ragioni: gli intermedi sono più suscettibili di progresso sul piano operatorio
80
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
e dunque l’evidenziazione del progresso nei non-conservatori appare più probante e
interessante; d’altra parte, la necessità di limitare il numero di variabili da esaminare
ci suggerisce di limitarci a soggetti di soli due livelli operatori, da coinvolgere nelle
situazioni collettive1.
Data la maggiore frequenza di conservatori che di non-conservatori in prima elementare e il fenomeno inverso all’ultimo anno della materna, il tentativo di costituire
gruppi sperimentali comprendenti in modo equivalente le triadi provenienti da ogni
grado scolastico e che fossero omogenee per grado scolastico dei componenti ci ha costretti a eliminare un gran numero di soggetti.
La “mortalità” sperimentale, malgrado la calorosa collaborazione del corpo insegnante, è stata anche favorita da fattori esterni: disponibilità dei locali, degli alunni,
malattie, assenze, ecc...
I diversi gruppi sperimentali vengono composti durante i pre-test, in parallelo,
affinché le osservazioni si svolgano (per ogni gruppo) nello stesso periodo dell’anno
scolastico.
La composizione viene fatta in funzione del livello nella prova di conservazione dei
liquidi, e della “riserva” di partner pre-testati (e disponibili!).
La somma di queste difficoltà non ci permette infine una ripartizione perfettamente omogenea dei gradi di scolarizzazione nei diversi gruppi sperimentali: la segnaliamo nella convinzione, comunque, che ciò non sollevi problemi metodologici rilevanti visto che i criteri di analisi sono esclusivamente i livelli operatori. La popolazione
definitiva della ricerca comprende 54 bambini: 38 compongono il gruppo sperimentale (12 alunni dell’elementare e 26 alunni della materna) ripartiti come segue:
Gruppo sperimentale I
(due conservatori e un non-conservatore)
15 bambini di cui 5 soggetti NC che venivano raggruppati in:
– 3 triadi di scuola elementare (età media di 6;10 anni)
– 2 triadi di scuola materna (età media di 5;11 anni)
Gruppo sperimentale II
(un conservatore e due non-conservatori)
18 bambini di cui 2 soggetti NC che venivano raggruppati in:
– 2 triadi di scuola elementare (età media di 6;5 anni)
– 4 triadi di scuola materna (età media di 6;1 anni)
Gruppo sperimentale III
(tre soggetti conservatori)
9 bambini di cui 9 soggetti NC che venivano raggruppati in:
– 3 triadi di scuola materna (età media: 5;10 anni)
Gruppo sperimentale IV
(a titolo indicativo perché creato per disattenzione)
3 bambini di cui 2 soggetti NC e 1 soggetto I che costituiscono:
– 1 triade (scuola elementare)
81
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Gruppo di controllo (senza situazione collettiva)
9 soggetti NC provenienti:
– 2 dalla scuola elementare (età media di 6;0 anni)
– 7 di seconda materna (età media di 6;0 anni)
2.2 Materiali
Per la prova di conservazione dei liquidi il materiale comprende quello utilizzato
nella prima ricerca (3 bicchieri identici A, AI e AII, un bicchiere C, più largo e più basso
dei bicchieri A, un bicchiere D, più sottile e più alto dei bicchieri A, un bottiglia opaca
contenente sciroppo, e delle cannucce) al quale si aggiunge una serie di quattro bicchieri identici nettamente più piccoli di A (circa 1/5 di capacità).
Per la prova di conservazione del numero sono state utilizzate due serie di gettoni
di colori diversi.
Per la prova di conservazione della materia sono state impiegate due confezioni di
pasta per modellare.
Per la prova di conservazione della lunghezza sono state impiegate due bacchette
metalliche identiche (16 cm. di lunghezza) e quattro bacchettine metalliche equivalenti
ad 1/4 delle grandi (4 cm.).
2.3 Piano della ricerca
Il paradigma comprende, per tutti i gruppi sperimentali, quattro tempi.
Un pre-test seguito da una seduta collettiva dopo una o due settimane, a cui seguono, una settimana dopo, un primo pre-test e, un mese dopo, un secondo post-test.
I soggetti del gruppo di controllo sostengono i pre-test ed i post-test I e II con lo
stesso intervallo temporale ma non partecipano alle sedute collettive.
Per tutti i soggetti, dei diversi gruppi, viene utilizzata la stessa strategia di intervista, modulata analogamente per tutti i gruppi in funzione del livello delle condotte che
i soggetti manifestano alla prova di conservazione dei liquidi.
Va detto che abbiamo utilizzato le prove complementari con scopi diversi e ciò
spiega perché non tutte vengono proposte a tutti i soggetti. La prova di conservazione
del numero, che viene più precocemente superata, dovrebbe permetterci di paragonare
tra loro i conservatori della prova di conservazione delle quantità di liquidi visto che
probabilmente alcuni saranno più avanzati di altri sul piano operatorio per quanto
riguarda l’acquisizione del numero. Allo stesso scopo, rispetto alla conservazione dei
liquidi viene impiegata la prova di conservazione delle lunghezza che dovrebbe consentire un confronto tra i conservatori “originali” e quelli che lo diventano al momento.
Quanto alla prova di conservazione della quantità della materia, essa viene presentata,
in tutte le condizioni sperimentali, per permettere una comparazione tra l’evoluzione
operatoria applicata alla conservazione della materia e a quella dei liquidi (l’unica fra le
due ad essere messa in gioco durante l’interazione); comparazione necessaria per stabilire il grado di generalizzazione dei progressi operatori.
82
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
2.3.1 Pre-test
Tutti i soggetti, individualmente, affrontano la prova sulla conservazione dell’uguaglianza dei liquidi (la procedura sarà descritta qui di seguito).
Per i soggetti che, a questo punto, manifestano condotte intermedie, la ricerca
viene interrotta poiché non rientrano nei criteri previsti per la costituzione dei gruppi
sperimentali. Per i soggetti conservatori, la prova prosegue con alcuni item di conservazione dell’ineguaglianza di quantità di liquidi; item non proposti ai soggetti non-conservatori poiché, come mostrano dei saggi precedentemente effettuati, essi li avrebbero
falliti sistematicamente.
Il pre-test dei soggetti che danno giudizi di conservazione ai liquidi viene completato dunque con una prova di due item di conservazione della quantità di materia e una
prova di conservazione delle lunghezze.
Il pre-test dei soggetti conservatori ai liquidi continua con una prova di conservazione della quantità di materia e viene completata da una prova di conservazione del
numero.
2.3.2 Situazione collettiva
Per tutti i gruppi sperimentali questa seduta si sviluppa con le stesse consegne e un
materiale identico a quello della prima ricerca.
2.3.3 Primo post-test
Il primo post-test si sviluppa in modo analogo al pre-test, individualmente. Tutti i
soggetti vengono sottoposti alla prova di conservazione dell’uguaglianza della quantità di
liquidi con un item supplementare (travaso nei quattro bicchierini) e a tutti i soggetti
vengono proposti problemi relativi alla conservazione dell’ineguaglianza delle quantità
di liquidi. Affrontano le prove di conservazione delle lunghezze e di conservazione della
quantità di materia (3 item).
2.3.4 Secondo post-test
Questo test, che si sviluppa in modo analogo al precedente, sempre individualmente, prevede la somministrazione della totalità degli item di conservazione dell’uguaglianza e dell’ineguaglianza delle quantità di liquidi.
83
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
2.4 I gruppi sperimentali
A seconda dei livelli operatori che i bambini manifestano alla prova di conservazione dei liquidi del pre-test, sono stati formati tre gruppi sperimentali:
Gruppo I: 1 NC con 2 C (triade a maggioranza di conservatori) comprende soggetti non-conservatori (NC) al pre-test che vengono contrapposti, nell’interazione
a due bambini conservatori (C) al pre-test.
Gruppo II: 2 NC con 1 C (triade a maggioranza di non-conservatori) comprende
soggetti non-conservatori che vengono contrapposti, nell’interazione, ad un altro
non-conservatore e ad un conservatore.
Gruppo III: 3 NC (triade omogenea) soggetti non conservatori che interagiscono
con altri due non-conservatori.
Gruppo IV: In realtà, come abbiamo già detto, casualmente si è determinata una
triade ulteriore composta, in questo caso, soggetti non-conservatori confrontati ad
un soggetto intermedio.
Gruppo di controllo: comprende i soggetti non-conservatori che non partecipano
alla seduta collettiva.
2.5 Consegne e procedure d’intervista
In questa ricerca viene adottata una procedura analoga a quella della prima ricerca
ma, con il citato ampliamento delle interviste in funzione della modifica delle prove
di conservazione delle quantità di liquidi e dell’adozione degli altri compiti di conservazione.
2.5.1 Prova della conservazione delle quantità di liquidi
Svolgimento
Tutti i bambini vengono sottoposti alla prova di conservazione dei liquidi secondo il procedimento di intervista descritto nel dettaglio della presentazione del pre-test
della prima ricerca. Agli item utilizzati nel pre-test di questa precedente ricerca sono
stati aggiunti quelli del suo post-test legati all’utilizzazione simultanea dei bicchieri
C e D.
Dopo che il soggetto ha stabilito l’uguaglianza delle quantità di sciroppo nei due
bicchieri identici A ed AI, viene interrogato sulla conservazione della quantità dopo i
travasi da A in C, da C in A, da A in D, e da D in A; infine sul travaso simultaneo da
A in C e da AI in D.
84
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
Per i soggetti che risultano intermediari a questi item al pre-test, la ricerca si interrompe quì, mentre i conservatori continuano con due item sulle ineguaglianze delle
quantità iniziali: 1) A contiene una quantità superiore a quella di AI ed il contenuto di
A viene allora versato in C; 2) i contenuti di A e di D sono ineguali ma l’altezza raggiunta dai livelli dei liquidi nei due bicchieri è la stessa; quindi il contenuto di D viene
travasato sia in AI che in C.
Al post-test i soggetti affrontano tutte le prove di uguaglianza e di disuguaglianza
alle quali si aggiunge l’item di frazionamento di una quantità di sciroppo contenuta in
A, (uguale a quella in AI) che viene travasata in quattro piccoli bicchieri.
Criteri
I criteri sono gli stessi di quelli della prima ricerca, ma con la maggior finezza ottenuta con l’intervista più completa.
1. Non conservatori.
L’assenza di conservazione è la caratteristica delle condotte di questi soggetti.
All’interno di questo stadio tentiamo di distinguere più livelli attenendoci alla suddivisione di Ferreiro (1971):
a) soggetti che non sono capaci di “rovesciabilità”, non prevedono cioè di ritrovare livelli identici in A ed in AI quando, date due quantità uguali in A ed in
AI, una di esse (AI) viene versata in C poi ritorna da C in AI. Solo rifacendo il
travaso si rendono conto di ritrovare la configurazione iniziale.
b) soggetti che presentano condotte a volte senza “rovesciabilità” a volte con “rovesciabilità”.
c) presenza di “rovesciabilità”: i soggetti prevedono correttamente il ritorno ai
livelli di partenza ed anticipanpo dunque l’uguaglianza di A e AI (comunque
senza manifestare conservazione durante i travasi).
d) stesse condotte della fase precedente con l’aggiunta, da parte del bambino, del
suggerimento di fare i travasi inversi per ritrovare “lo stesso” (ancora una volta
senza manifestare conservazione durante i travasi).
2. Intermedi
Le condotte di questi soggetti si caratterizzano per le oscillazioni fra il riconoscimento della conservazione e la sua negazione.
Possono essere stabiliti due livelli:
I
tentativi di coordinazione delle relazioni in gioco, senza argomentazioni valide e invalidabili attraverso le controsuggestioni;
I+ condotte simili a quelle dei soggetti I con la produzione occasionale di argomentazioni di conservazione.
85
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
3. Conservatori
I soggetti danno giudizi di conservazione indipendentemente dal numero e dalla
natura dei travasi.
C- conservatori a tutti gli item che mettono in gioco la nozione di eguaglianza,
ma, per l’ineguaglianza, mostrano condotte di tipo intermedio2.
C I soggetti affermano la conservazione in tutti gli item della prova e forniscono
argomentazioni valide e comparabili a quelle della prima ricerca.
2.5.2 Prova della conservazione del numero
Questa tecnica si ispira allo studio di Piaget e Szeminska (1941) e della repliva
effettuata da Inhelder, Sinclair e Bovet (1974).
Svolgimento
La procedura è analoga a quell’utilizzata nella ricerca che verrà presentata successivamente (la terza), che noi descriveremo dettagliatamente nelle pagine che seguono e
comprende un numero più ristretto di item che descriveremo rapidamente qui.
Lo sperimentatore prende da 6 a 8 gettoni verdi e li sistema sul tavolo in modo da
formare una riga dritta. Lo sperimentatore domanda allora al bambino di fare lo stesso
con dei gettoni gialli: “prendi dei gettoni gialli e mettine un numero uguale al mio così
da averne lo stesso tutti e due e senza che nessuno ne abbia di più o di meno” (o analoga
formulazione). Una volta che il bambino ha stabilito l’uguaglianza, lo sperimentatore
modifica la disposizione dei gettoni di una delle due linee, distanziandoli. I gettoni
vengono poi rimessi nelle condizioni iniziali e, questa volta, l’altra fila viene accorciata,
avvicinandone gli elementi. Mentre procede a queste modifiche della disposizione, lo
sperimentatore interroga il bambino sull’equivalenza delle collezioni: “Ce n’é lo stesso di
gialli e di verdi o che cosa credi? Come lo sai?”.
In funzione delle risposte del soggetto lo sperimentatore propone delle controsuggestioni per verificare che il soggetto abbia ben compreso le consegne e per verificare
nello stesso tempo la solidità delle risposte (soprattutto se le condotte di conservazione
resistono all’evidenziazione sistematica delle differenze delle lunghezze delle file). Se il
bambino non ha saputo all’inizio stabilire l’uguaglianza delle collezioni lo sperimentatore gli propone una serie di item a partire dalle due serie di gettoni che egli stesso ha
messo in corrispondenza biunivoca. Quindi lo sperimentatore ricomincia la prova ma
con dodici gettoni e pone di nuovo lo stesso tipo di domanda.
Criteri
1. Non-conservatori
86
I soggetti di questo livello costruiscono la loro seconda collezione sia a casaccio, sia
facendo corrispondere biunivocamente o con un’operazione di conteggio.
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
Ma anche se arrivano a stabilire l’uguaglianza (eventualmente conservata, per le
trasformazioni delle piccole collezioni) essi pensano che tale uguaglianza scompaia
se ci sia una modifica della disposizione degli elementi che compongono le file di
dodici gettoni.
2. Intermedi
Le costruzioni vengono costituite attraverso una corretta corrispondenza biunivoca
ma questi soggetti oscillano, sia da un item all’altro, sia per nella stessa situazione,
fra l’affermazione della conservazione e la sua negazione. Essi non argomentano in
modo esplicito e completo i loro giudizi di conservazione se non con un’operazione di conteggio.
3. Conservatori
Questi soggetti emettono giudizi stabili di conservazione a tutti gli item, anche a
quelli che prevedono file di 12 gettoni. Giustificano le loro affermazioni, sia con
il conteggio3, sia ricorrendo ad argomenti caratteristicamente operatori (identità,
reversibilità, compensazione).
2.5.3 Prova della conservazione della quantità di materia
Questa prova si ispira ai lavori di Piaget e Inhelder (1941) e alla tecnica descritta
da Inhelder, Sinclair e Bovet (1974).
Svolgimento
Lo sperimentatore presenta al bambino due palline di pasta da modellare, di un
diametro di circa 5 cm chiedendogli di renderle “uguali”, affinché contengano tutte e
due la stessa quantità di pasta. Attraverso un certo numero di domande lo sperimentatore controlla il bambino affinché questi stabilisca correttamente l’uguale quantità
di materia. “Ecco due palline di pasta da modellare. Vorrei che ci fosse lo stesso di pasta
in ogni palla... Se fingessimo che questa è della pasta per fare un dolce e che tu mangiassi
questa palla di pasta ed io quest’altra, avremmo lo stesso da mangiare, oppure ne avresti
di più tu, o ne avrei di più io, che cosa pensi?” Dopo questa presentazione lo sperimentatore schiaccia una delle due palline e la trasforma in una “focaccia” di circa 8 cm di
diametro. “In questo momento c’è lo stesso di pasta nella palla e nella focaccia, oppure ce ne
è di più nella palla o di più nella focaccia?, (di più da mangiare...) Perché? Puoi spiegarmi
come lo sai?”
In funzione delle risposte del soggetto lo sperimentatore formula controsuggestioni
sia sulle quantità iniziali (in caso di non-conservazione) sia sulle dimensioni percettive
(in caso di conservazione). Come per esempio: “guarda quì (la focaccia) è piatta, sottile,
credi che ci sia di più da mangiare lì (palla)?” Prima di rifare la palla iniziale si chiede al
bambino: “Se rifaccio una focaccia con questa palla ne avremo lo stesso da mangiare?” .
87
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Lo sperimentatore ricompone la focaccia in palla e fa constatare di nuovo l’uguaglianza. Se necessario si procede ad aggiustamenti delle due palle fino a che il bambino reputi uguali le quantità. La terza deformazione consiste in una suddivisione
di una delle palline in piccoli pezzi (8-10 pezzetti circa) e si procede come in precedenza insistendo bene sul fatto che si tratta di paragonare l’insieme dei pezzetti alla
palla.
Criteri
I criteri sono in qualche modo analoghi a quelli relativi all’acquisizione della conservazione dei liquidi.
1. Non-conservatori
I soggetti pensano che l’uguaglianza delle quantità scompaia al momento della
trasformazione di una delle palle. Così per esempio sosterranno: “Ce n’è di più nella palla perché la salsiccia è sottile” oppure “ce n’è di più nella salsiccia perché è più
lunga”.
I soggetti di questo livello si concentrano su una delle dimensioni e passano, talvolta, dall’una all’altra senza coordinarle. Il richiamo alle quantità iniziali non
modifica il loro giudizio. Alcuni anticipano il ritorno all’uguaglianza, altri non lo
fanno.
2. Intermedi
Questi soggetti oscillano tra l’affermazione e la negazione della conservazione delle
quantità al momento delle trasformazioni; in particolare non resistono alle controsuggestioni dello sperimentatore ma anticipano sempre il ritorno alle due quantità
iniziali uguali.
3. Conservatori
Essi ammettono con evidenza la conservazione delle quantità per tutte le deformazioni della pasta per modellare che vengono loro proposte. Essi accompagnano i loro giudizi con uno o più argomenti e li difendono durante le controsuggestioni; “c’è lo stesso perchè non abbiamo tolto niente, o aggiunto niente” (identità)
oppure “è la stessa quantità qui e là perché se si rifa la palla sarà uguale” (reversibilità) oppure “la salsiccia, è lunga ma è magra quindi ce n’é lo stesso” (compensazione).
2.5.4 Prova di conservazione delle lunghezze
Questa tecnica si ispira a quella originariamente proposta da Piaget e Szeminska
(1948). Avremo occasione di riprenderla con altri item nella nostra quinta ricerca.
88
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
Svolgimento
Dopo essersi intesi con il bambino sulla definizione di “righello” o “bastoncino”
lo sperimentatore poggia sul tavolo, di fronte al bambino, un righello di 16 cm poi un
secondo parallelo al primo, con le estremità coincidenti:
A
B
Lo sperimentatore fa dunque constatare al bambino l’uguaglianza delle lunghezze,
poi sposta il righello B, inizialmente parallelo ad A, sfalsandolo sulla sinistra e chiede
al soggetto: “queste due bacchette hanno la stessa lunghezza o ce ne è una che è più lunga
dell’altra?”.
Per verificare che il bambino comprenda bene la domanda lo sperimentatore può
introdurre delle facilitazioni: “se dicessimo che questo righello (A) è una strada e quest’altro
(B) è un’altra strada, c’è da camminare di più su questa strada (A) o si cammina lo stesso su
quest’altra (B)?” oppure “se una formichina cammina lungo questa strada (A) (tracciando
il percorso con il dito) e un’altra formichina lungo quest’altra (B) ce ne è una che ha camminato di più oppure hanno camminato lo stesso molto?”.
Se le risposte del soggetto sono di conservazione lo sperimentatore attira l’attenzione del bambino sullo scarto esistente tra le estremità (destra per esempio) dei
righelli. Al contrario, se le risposte sono di non-conservazione, lo sperimentatore
chiede al soggetto di ricordare come erano disposti i righelli all’inizio: “e prima come erano? le due strade erano lunghe lo stesso, oppure una era più più lunga, che cosa ne
pensi?”.
Dopo aver rimesso i righelli nella posizione iniziale lo sperimentatore ricomincia il
colloquio, spostando l’altro righello (A) nella direzione opposta e chiedendo al soggetto di argomentare la sua risposta. Per l’item seguente lo sperimentatore pone davanti
al bambino uno dei righelli di 16 cm (A) e, parallelamente a questo, le 4 bacchettine
giustapposte. Fa quindi constatare l’uguaglianza delle lunghezze ponendo domande
analoghe a quelle descritte in precedenza. Sposta quindi le bacchettine per farne una
“strada” sinuosa che inizia nello stesso punto di quella di A.
A
A
C
C
“Ed ora ce n’é lo stesso da camminare su questa strada (A) e su questa (C)? Le formichine che camminano su queste strade fanno lo stesso cammino o no, cosa pensi? Come lo
sai? ecc...”.
89
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
I righelli vengono quindi rimessi nelle loro posizioni di partenza e le quattro bacchettine vengono situate in modo da formare un nuovo percorso:
A
C
e lo sperimentatore procede come per gli item precedenti.
Criteri
1. Non-conservatori
Al momento dello spostamento di una delle due bacchette, la lunghezza non viene conservata. Il bambino si concentra sul superamento del margine a sinistra o a
destra. Lo stesso avviene per la lunghezza totale delle quattro bacchettine paragonate ad A: nelle due situazioni di deformazione, la lunghezza non viene conservata; il richiamo dell’uguaglianza delle lunghezze iniziali non modifica i giudizi del
bambino.
2. Intermedi
Questi soggetti emettono sia giudizi corretti per certi item che scorretti per altri;
oscillano, per una stessa situazione, tra risposte di conservazione e di non-conservazione, e fra argomentazioni dei due livelli operatori.
3. Conservatori
L’uguaglianza delle lunghezze viene conservata in ciascuna situazione. I soggetti
forniscono argomenti operatori quali: “I due righelli sono la stessa cosa. Ne è stata solo spostato uno (identità)”; oppure “se rimettete i righelli come prima per fare una strada diritta, vedrete che sono tutti e due uguali e allora adesso la stessa cosa” (reversibilità); oppure, designando successivamente il righello A e la sua simile
sfalsata B: “qui (A) sporge (a destra) ma anche quì (B) sporge (a sinistra)” (compensazione).
2. Risultati
Tre tappe caratterizzeranno la presentazione e l’analisi dei dati: in una prima fase
compareremo i risultati con quelli della prima ricerca, per verificare se c’è conferma
di quei dati; verificheremo anche l’apporto di questa seconda ricerca relativamente ai
problemi non risolti in precedenza per le debolezze metodologiche alle quali abbiamo
fatto riferimento; una seconda fase verrà consacrata all’approfondimento dell’anali90
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
si operatoria degli effetti dell’interazione sulle condotte cognitive individuali; la terza
fase sarà centrata, infine, sull’osservazione delle modalità di interazione nel corso delle
sedute collettive, facendo riferimento all’ampiezza dell’effetto che esse provocano nel
tentativo di formulare un certo numero di ipotesi sul fenomeno.
2.1 Evoluzione delle condotte dei soggetti nelle diverse condizioni
(sperimentali e di controllo) e comparazione con la prima ricerca.
Le condotte dei soggetti si rivelano del tutto analoghe a quelle descritte da Piaget
e collaboratori, già osservate nella prima ricerca. Possiamo dunque procedere alle corrispondenti analisi qualitative, riferendoci ai criteri fissati per determinare i livelli dei
soggetti al pre-test al post-test 1 e al post-test 2.
In realtà i criteri previsti per questa seconda ricerca, più dettagliati di quelli della
prima, ci permettono una valutazione più precisa dei livelli dei soggetti intermedi e
conservatori, mentre non sono altrettanto utili per differenziare i non-conservatori tra
loro. Ci sembra, in effetti, che il metodo di intervista in questo caso debba essere più
sottile del nostro, negli item relativi alla “rovesciabilità” affinchè le controsuggestioni
fatte al soggetto, non rischino di indurre un’anticipazione del ritorno agli uguali livelli
della situazione iniziale.
I protocolli delle sedute mostrano che non abbiamo sempre lasciato ai soggetti la
possibilità di una iniziativa nella espressione della “rovesciabilità” e quindi non siamo in
condizione di distinguere il livello 1d, nel quale i soggetti suggeriscono di fare i travasi
di ritorno per trovare “lo stesso”, dal livello 1c. In effetti, poiché nessuno dei nostri
soggetti in questa ricerca si è mostrato incapace di “rovesciabilità” (1a), questi livelli
all’interno dello stadio della non-conservazione, perdono il loro interesse quindi non
ne terremo conto nella presentazione dei risultati.
Incontriamo una analoga difficoltà nei post-test generata dall’aggiunta di un item
che prevede il travaso dello sciroppo in quattro piccoli bicchieri: alcuni soggetti sostengono giudizi di conservazione per questo tipo di trasformazione, ma non per le altre.
Per poter confrontare i risultati dei pre-test e dei post-test non terremo conto delle
risposte a questo item nella valutazione dei livelli dei soggetti. Rileviamo, invece, gli
argomenti che i soggetti utilizzano per giustificare le loro risposte.
La tabella 4 presenta l’evoluzione dei soggetti di questa seconda ricerca attraverso il
confronto fra i loro livelli al pre-test ed al primo post-test, nei diversi gruppi sperimentali. Ricordiamo che tutti i soggetti di questa seconda ricerca sono non conservatori
al pre-test. Nella prima ricerca i soggetti NC, dopo una interazione con due partner
conservatori, progredivano al post-test 1 nella proporzione relativamente elevata di 17
su 28. Una tendenza dello stesso ordine4 si ritrova in questa seconda ricerca (condizione
I). La prima condizione sperimentale, infatti, mette, come era avvenuto nella prima
ricerca, i non-conservatori in presenza di soggetti di livello operatorio concreto.
Ci domandiamo, comunque, se a questo punto, il progresso dei soggetti di queste
condizioni sperimentali, rivelato dal post-test 1, sia anche durevole e se, anche in questo caso, si verifca che certi soggetti progrediscano ancora tra i due post-test.
91
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Vedremo in quale misura l’analisi dei risultati, nelle diverse condizioni sperimentali e di controllo, ci permetteranno di attribuire questi progressi ad un processo di
ristrutturazione provocato dalla seduta collettiva.
Tabella 4: Evoluzione dei soggetti II tra il pre-test ed il post-test 1, in funzione delle
condizioni sperimentali.
Condizioni sperimentali
I
(1NC +2C)
II
(2NC +1C)
III
(3NC)
IV
(2NC+1I)
Controllo
NC
1
7
9
1
7
I
2
0
0
0
1
I+
1
0
0
1
0
1
1
0
0
0
0
0
0
0
0
C
0
4
0
1
1
Totale
5
12
9
3
9
Livello
operatorio Cal post-test Csa
Le tabelle che seguono sono costruite in funzione del livello dei soggetti alla prova
di conservazione dei liquidi. I loro livelli alle altre prove sono menzionati con i loro
nomi a fronte.
Le abbreviazioni utilizzate designano:
N: prova di conservazione del numero
M: prova di conservazione della materia
L: prova di conservazione della lunghezza
Per facilitare la lettura dei dati indicheremo con:
+: i soggetti conservatori alla prova considerata
i: i soggetti intermedi
-: i soggetti non-conservatori
92
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
Tabella 5.1: Condizione I: 1 NC + 2 C
Livello operatorio ai
“liquidi”
Pre-test
Post-test 1
C
Post-test 2
ML
Gio
NatD
Conservatori
C
Mag
i
+
Mag
Gio
-
-
NatD
i
-
Jos
-
-
Jos
-
-
Pat
ML
I
Intermediari
MN
Non-conservatori
Mag
i
+
Gio
-
+
NatD
-
i
Jos
-
-
Pat
-
-
ML
Pat
NC
93
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Tabella 5.2: Condizione II: 2 NC + 1C
Livello operatorio
ai “liquidi”
Pre-test
Post-test 1
ML
C
C
Conservatori
C-
Intermediari
Post-test 2
Eti
+
+
Eti
Jeap
+
+
Jeap
Mar
i
+
Mar
Ver
+
-
Ver
+
Med
I+
Mau
I
ML
MN
Non-conservatori
94
NC
Eti
-
+
Jeap
i
i
Mar
-
+
Ver
-
-
Med
-
-
Mau
-
-
Mau
-
-
Mam
-
+
Mam
-
-
Mam
Cel
-
-
Cel
-
-
Cel
Vep
-
-
Vep
-
-
Vep
Eli
-
-
Eli
-
-
Eli
Mac
-
-
Mac
-
-
Mac
Gah
-
-
Gah
-
-
Gah
Ver
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
Tabella 5.3: Condizione III: 3 NC
Livello operatorio
ai “liquidi”
Pre-test
Post-test 1
Post-test 2
Sop
C
Yvo
Conservatori
Deh
CYva
I+
Vef
Intermediari
I
Cor
Jer
MN
Non-conservatori
NC
ML
Sop
-
-
Sop
i
x
Yvo
-
-
Yvo
-
-
Deh
-
-
Deh
-
-
Yva
i
i
Yva
i
i
Vef
-
-
Vef
-
-
Cor
+
+
Cor
+
i
Jer
-
-
Jer
-
-
Tam
-
i
Tam
-
-
Tam
Ced
-
-
Ced
-
-
Ced
95
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Tabella 5.4: Condizione IV: 2 NC + 1 I
MN
Conservantori
C
Nata
i
i
Nata
I+
Cia
i
-
Cia
Ced
-
-
Abe
Intermediari
MN
I
NC
Non-conservantori
Nata
i
-
Tam
-
i
Ced
-
-
Condizione di controllo
Pre-test
Conservatori
C
Intermediari
I
Post-test 1
Ane
+
+
Ane
Fab
+
+
Dan
ML
MN
Non-conservatori
96
Post-test 2
Ane
-
-
Fab
Fab
-
-
Dan
-
-
Dan
-
-
Fre
i
i
Fre
i
i
Fre
Mar
-
-
Mar
-
-
Mar
Eri
+
+
Eri
+
+
Eri
Ste
-
-
Ste
-
-
Ste
Gin
-
i
Gin
-
i
Syl
-
-
Syl
-
-
Ced
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
Le figure che precedono (tabella n.5) presentano l’evoluzione dettagliata delle condotte tra il post-test 1 ed il post-test 2 nelle diverse condizioni sperimentali della seconda ricerca. La tabella 6 dà questa informazione per quel che concerne i non-conservatori (del pre-test) della prima ricerca.
Tabella 6: Evoluzione delle condotte tra post-test 1 ed il post-test 2 dei soggetti non
conservatori (al pre-test).
Livello operatorio al post-test 1
Livello
operatorio al
post-test 2
NC
I
C
Totali
NC
9
2
0
11
I
0
2
1
3
C
2
5
7
14
Totali
11
9
8
28
È evidente come, nella condizione I, i progressi dei soggetti siano stabili e, inoltre,
come due soggetti progrediscono ancora, raggiungendo così lo stadio della conservazione. Questi risultati vanno esattamente nel senso previsto dalla ricerca I che mette i
suoi soggetti non-conservatori in condizioni omologhe e per le quali i progressi (17 su
28) si stabilizzano se non addirittura aumentano (7 su 28).
Si vede dunque che, come nella prima ricerca, i progressi dei soggetti al post-test 1
siano stabili e come certi soggetti progrediscono ancora.
Per quel che concerne l’evoluzione delle condotte dei soggetti nelle diverse condizoni sperimentali ed in quella di controllo, si rileva che, nelle situazioni I e II (che
confrontano i soggetti ad uno o due partner conservatori) si registrano progressi, sin dal
primo post-test. In più casi i soggetti miglioreranno ulteriormente fra i due post-test.
Diversamente, nella condizione III, in cui i soggetti sono di fronte a compagni dello
stesso livello non-conservatore, nessun bambino progredisce al post-test 1 ma una forte
percentuale di soggetti raggiunge un livello più elevato al post-test 2 (7 su 9).
Saranno dunque la maturazione, le esperienze personali del bambino oppure la
familiarizzazione con la situazione di intervista (ossia fattori indipendenti dalla manipolazione sperimentale basata sull’interazione sociale) ad elicitare al post-test 2 i progressi dei soggetti di queste tre situazioni (ed anche di quelli dei soggetti della prima
ricerca)?
La risposta a questa domanda ci viene dall’analisi della condizione di controllo
nella quale i soggetti attraversano lo stesso percorso empirico (e sono dunque suscettibili della stessa familiarizzazione) a distanze temporali simili (lasciando dunque le
stesse possibilità di maturazione o di esperienza personale) ma che semplicemente non
partecipano alla seduta di interazione. Ora, solo 1 su 85 di questi soggetti progredisce
tra i due post-test, mentre uno dei due soggetti progrediti al post-test 1, regredirà al
97
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
secondo post-test. I risultati di questa condizione di controllo si distinguono dunque
chiaramente da quelli della condizione III per un progresso evidentemente più ampio.
Sono questi gli elementi in favore dell’ipotesi che chiama in causa un processo di
strutturazione conseguente l’interazione sociale prevista dalla condizione III e che forse
avrebbe potuto essere osservato se fosse stata impiegata una scala di gerarchizzazione
dei livelli di non-conservazione.
Certo non si può escludere a priori, nel paragone tra la condizione controllo e la
terza condizione sperimentale, che il solo esercizio sul materiale usato nella situazione
collettiva, sia la causa del processo di strutturazione osservato ma, in questo caso, una
tale ipotesi non permetterebbe più di spiegare perché i progressi sarebbero più precoci
nelle prima e seconda condizione sperimentale rispetto alla terza.
2.2 L’effetto dell’interazione sull’organizzazione cognitiva individuale
L’approfondimento dell’indagine clinica dei cambiamenti operatori individuali è
stata realizzata sostanzialmente in due modi: il primo consiste in un ampliamento della
stessa prova di conservazione delle quantità di liquidi, il secondo nella proposta parallela di altre prove che permettessero la diagnosi delle strutture cognitive. Di seguito ne
analizzeremo i risultati .
a) La prova (versione ampliata) della conservazione delle quantità di liquidi
1) L’aggiunta di nuovi item alla prova di conservazione dell’uguaglianza delle quantità ha permesso essenzialmente di prolungare l’intervista e quindi di moltiplicare
le occasioni per il soggetto di rinforzare la coerenza del suo sistema di risposte o, al
contrario, per lasciar trasparire difficoltà di coordinazione, oscillando da un livello
di risposta all’altro. Risulta così accresciuta la validità della diagnosi dello stadio in
cui si situa il soggetto poiché gli si offrono maggiori possibilità per esplicitare il suo
pensiero.
Lo sviluppo dell’intervista di Ver al post-test 1 mostra il caso di una coerenza delle
risposte in crescita.
98
Lo Sperimentatore versa dello sciroppo in A e Ver in AI per ottenere A=AI, poi lo
sperimentatore versa A in D: “ce n’è lo stesso di sciroppo o no, che cosa pensi?”
Ver:“no, tu ne hai di più, tu lo hai messo in uno grande (bicchiere)”.
Spe:“ma un bambino (...) mi ha detto che c’è lo stesso. Ha ragione?”
Ver:“no”
Spe:“come fare per avere lo stesso di sciroppo?”
Ver: versare in questo (indica A)”
(D viene versato in A: A=AI)
Spe:“ed ora abbiamo lo stesso o no?”
Ver: “si”.
Spe: (versa A in C) “c’e n’è lo stesso molto o...?)
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
Ver:“si”.
Spe:“perché?”
Ver: “qui (C) è più grosso e più basso ma si può bere lo stesso”.
Spe: (propone a Ver la controsuggestione attribuita ad un altro “bambino”).
Ver:“non aveva ragione”.
Spe: “allora si beve lo stesso di sciroppo?”
Ver: “si”.
Spe: (riprende così la situazione precedente versando C in D e chiedendo al bambino di paragonare AI e D. Ver afferma la conservazione).
Spe:“ma prima tu dicevi che quando lo sciroppo è quì (D) non è lo stesso molto, ti
ricordi?”
Ver: (mostrando i bicchieri A ed AI) “prima ho visto, ce n’era lo stesso che qua”.
(... A=AI - lo Sperimentatore versa una parte di AI nella bottiglia rendendo A diverso da AI. Dopo constatazione dell’ineguaglianza lo Sperimentatore versa AI in D)
Spe:“ed ora abbiamo lo stesso di sciroppo o no?”
Ver:“no., ho visto prima che tu avevi di più là (A)”.
(A viene versato in C. Lo sperimentatore chiede al bambino di paragonare C e D)
Ver:“non è lo stesso perché tu ne hai versato un pò dalla bottiglia”.
(C viene versato in A – A e D hanno gli stessi livelli)
Ver:“no, (non ce n’è lo stesso) perché tu ne avevi messo di più (in A)”.
Per Mau, intermedio al post-test 2, le cui risposte sono alterne sin dall’inizio, il secondo item diviene l’occasione per manifestare un ragionamento di conservazione
mentre il terzo rivela di nuovo una posizione di non-conservatore.
Spe: (A=AI) “ce n’è lo stesso da bere nei due bicchieri?”
Mau:“si”.
Spe: (versa A in C.) “c’è lo stesso da bere..?
Mau:“no, è più spesso (C) e più rotondo”.
Spe:“come fare se si vuole avere lo stesso da bere?”
Mau:“per lo stesso bisogna mettere questo (C) quì (in A)”
(...)
Mau:“ce ne è di più qui (C). No, lo stesso di sciroppo, ma i bicchieri sono diversi. Se si
rimette qui (in C) là (A) si ha lo stesso”.
Spe:“e se si lascia quì (C)?”
Mau:“non è lo stesso”.
(C viene versato in A).
Mau:“lo stesso”.
Spe:“e se verso (A) qui (D)?”.
Mau:“tu bevi di più qui (D) perché è più alto”.
Spe: propone a Mau una controsuggestione.
Mau:“questo (D) è sottile. Non si può bere lo stesso,ce n’è di più là (D)”
Spe:“Se tu bevi là (AI) ed io là (D) ce n’è uno che beve di più oppure beviamo tutti e
due lo stesso?”
Mau:“lo stesso di sciroppo ma là è più lungo”.
99
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Spe:“allora com’è?”
Mau: lo stesso di sciroppo anche se è in questo bicchiere (D)”.
Spe: nello stesso tempo lungo e ce n’è lo stesso di sciroppo?”
Mau: non è lo stesso bicchiere ma lo stesso di sciroppo perché io so che questo (D) prima
si trovava là (A)”.
Spe: (versa D in C)
Mau: “no, non è lo stesso”
(...)
Spe: (A=AI – A viene versato nei quattro bicchierini)
Mau:“tu ne hai di più, eh!”.
Spe:“ma io ho bicchieri un po’ vuoti”.
Mau:“lì ce n’è di più, bene è lo stesso, no, un pò meno”.
Spe:“allora?”
Mau:“non è lo stesso. Ce n’è di più là (4 bicchieri)”.
Spe:“di sciroppo ?”
Mau:“si”.
Esaminando lo svolgimento dell’insieme di queste prove si constata che la maggior
parte dei soggetti mantengono dall’inizio alla fine lo stesso livello di condotte e che
i diversi item sono solo l’occasione per ribadire le argomentazioni iniziali. Pochissimi sono i soggetti che cambiano centrazione o punto di vista nel corso dell’esame,
malgrado le controsuggestioni dello sperimentatore. Anche per i soggetti intermedi, che hanno consuetudine di oscillare tra diversi tipi di risposta, sembra che le
domande relative al primo item siano sufficienti per farlo riemergere.
Cor è non-conservatore al pre-test 1 e ribadisce le stesse argomentazioni nel corso
delle domande:
100
Sperimentatore (A=AI. AI è versato in C).
(..)
Cor:“ne ho di più (A). Il mio è più grande. Là (C) è più largo e là (A) è più piccolo
allora io bevo di più”.
Spe: “per bere lo stesso tutti e due come si farà?”
Cor:“devo rimettere (C) quì (AI)”. L’operazione viene eseguita
Spe: (A=AI. - poi versa A in D)
Cor: “ce n’è di più qui (D)”.
Spe: (alla controsuggestione che sostiene l’uguaglianza, la risposta di Cor è netta)
Cor:“Nooo! quello è più piccolo (D) allora bisogna rimettere lì (in A). Così sarà lo
stesso”.
(....)
Spe: (A=AI. Poi A è versato nei quattro bicchierini)
Spe:“c’è uno che beve di più, oppure è lo stesso?”
Cor:“là è più piccolo, non è lo stesso, non è la stessa grandezza”.
Spe:“credi che c’è uno che beve di più?”
Cor:“io bevo di più”
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
Spe:“se si ha molta sete dove bisogna bere?”
Cor:“nei bicchierini., è lo stesso”.
Spe: è lo stesso?”
Cor:“si”
Spe:“e se verso i 4 bicchieri quì (D), ci sarà lo stesso oppure qualcuno ne ha di più, cosa
credi?”
Cor: “è di più là (D)”.
Spe:“come fare per avere lo stesso?”
Cor:“bisogna versare là (A)”.
All’inizio si sarebbe potuto pensare che, poiché Cor parla di due dimensioni di bicchieri, la moltiplicazione delle situazioni gli avrebbe offerto un’occasione per coordinarle e dunque modificare le sue risposte. In realtà ciò non avviene, e, a parte
un’esitazione al momento del travaso nei quattro bicchierini, il soggetto continua
ad affermare la non-conservazione facendo notare le differenze tra i recipienti.
Vef nel secondo post-test dà simultaneamente risposte operatorie e non-operatorie. Sin dall’inizio si riferisce all’identità (“non abbiamo rimesso nella bottiglia”) ma
nello stesso tempo si concentra sulle differenze di dimensioni che reputa causa di
ineguaglianza. Vef oscilla così tutto il tempo:
Spe: (A=AI poi versa A in C)
Vef:“è di meno in questo (C) perché non c’è più lo stesso bicchiere”
Spe:“ ce n’è lo stesso di sciroppo?”
Vef:“si”
Spe:“lo sciroppo da bere è di meno o è lo stesso?”
Vef:“meno!”
Spe:“c’è un bambino, prima di te, che mi ha detto che c’era lo stesso di sciroppo, aveva
ragione e si sbagliava?”
Vef:“aveva ragione perché c’è ancora lo stesso sciroppo dentro”.
Spe:“come sai che è lo stesso sciroppo?”
Vef:“perché non lo abbiamo rimesso nella bottiglia”
Spe:“non credi che ce ne sia di più quì (C)?”
Vef:“no”
Spe:“se hai molta sete, quale bevi?”
Vef:“quello (A)”
Spe:“perché?”
Vef:“ce ne è di più!”
Spe:“ma prima avevi detto che ce ne era lo stesso. Che cosa è giusto?”
Vef:“tutte e due!”
Spe:“rispiega perché io possa comprendere bene”
Vef:“non abbiamo messo sciroppo nella bottiglia allora è lo stesso, semplicemente questo
(C) è più grosso allora è di meno”. (...)
Spe: (A=AI poi versa AI in D)
Vef: “è lo stesso perché questo (D) è più sottile allora questo è di più” (...)
101
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Spe: (A=AI poi versa AI in D e A in C)
Vef: “in questo bicchiere (D) è più sottile e quì (C) è più grosso allora ce ne è di più quì
(D) e meno in quello (C)”.
Spe: “quando si ha molta sete dove bisogna bere?”
Vef:“bisogna bere in questo (D)”.
Spe:“ce n’è di più qui?”
Vef:“si”
Sop è conservatore al post-test 2 ed utilizza una spiegazione basata sempre sullo
stesso argomento (compensazione) proposto sin dal primo item:
Spe: (A=AI chiede a Sop di versare AI in C): “si ha lo stesso di sciroppo o no?”
Sop:“si, perché il bicchiere (C) è più largo e così prende più spazio per lo sciroppo”
Spe: (A=AI poi A viene versato in D)
(...)
Sop:“si perché è più sottile, c’è lo stesso ma è soltanto perché il bicchiere è più alto e più
piccolo”.
Spe:“ma ci sono bambini che dicono che ce ne è di più qui (D)”
Sop:“è giusto”.
Spe: (D viene versato nei 4 bicchierini.)
Sop:“ce n’è lo stesso perché i bicchieri sono più piccoli e più sottili e ce n’è di più”
Spe:“come sai che ce n’è lo stesso di sciroppo?”
Sop:“sono più sottili ed allora lo sciroppo sale più in alto”
(...)
Se anche Jeap, sin dalla prima situazione, rivela il suo livello di conservazione al
post-test 1, gli item successivi gli offrono semplicemente l’occasione di formulare
meglio i suoi argomenti.
Spe: (A=AI poi versa A in C)
Jeap:“è lo stesso perché quì (C) è più grosso allora deve per forza essere così”.
Spe:“gli propone la controsuggestione attirando la sua attenzione sull’altezza dei bicchieri”.
Jeap:“è più grosso (C). Si ne ha lo stesso perché prima si è versata la stessa cosa in questo
bicchiere (A)”
Spe: (A=AI poi AI viene versato in D)
Jeap riflette e dice: “è lo stesso, prima era lo stesso in quei due là (A ed AI) e ancora in
questi due (A e D). È più alto e più piccolo (D) e là più grosso (A) allora meno. Non
abbiamo aggiunto sciroppo”.
Spe: (versa D nei 4 bicchierini)
Jeap:“nei bicchierini ce n’è di più. No, lo stesso perché prima là (A ed AI) ce n’era lo
stesso”.
Le condotte di questi soggetti che, generalmente danno risposte della stessa natura,
durante tutta la prova, provano che il procedimento più breve dell’intervista della
102
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
prima ricerca ha permesso comunque di evidenziare, con una relativa certezza, lo
stadio operatorio dei bambini. Ciò ci consente dunque di ritrovare, nella seconda
ricerca, delle evoluzioni paragonabili ed un numero analogo di argomentazioni.
Effettivamente, come per la prima ricerca, abbiamo rilevato, per ogni soggetto che
progredisce a livelli I+ o C e per ogni gruppo sperimentale, le argomentazioni dei
loro partner, nella situazione collettiva, e quelle che essi stessi forniscono ai posttest. Questo confronto aveva permesso di constatare, nella prima ricerca, che la
maggior parte dei soggetti, progrediti ai post-test, propongono argomenti “nuovi”,
cioè diversi da quelli dei loro partner e perciò proposti spontaneamente. In questa
seconda ricerca, la maggior parte dei soggetti che hanno reggiunto la conservazione (C) o un livello molto prossimo (I+), si comporta allo stesso modo e queste
constatatazioni vengono a rafforzare la nostra ipotesi principale secondo la quale i
progressi rilevati nei bambini sono di natura certamente operatoria e non possono
essere attribuiti a semplice memorizzazione o imitazione che non permetterebbero
di spiegare l’apparizione di argomenti nuovi.
Qualcosa tuttavia ci sorprende nell’analisi di questi argomenti. Mentre per l’insieme delle condotte individuali dei soggetti le due ricerche danno risultati molto simili, nella prima, in situazione collettiva, vengono proposte molte più argomentazioni basate sulla nozione di identità, che nella seconda, obbligandoci a cercare
una spiegazione di tale fenomeno. Perché nella seconda ricerca i soggetti si accontentano di altre argomentazioni? Certo l’argomento di identità di tipo IDα (“prima era lo stesso dunque ora è lo stesso, abbiamo soltanto travasato”) è specifico poiché sostiene, nei conservatori, la maggior parte delle “dimostrazioni in azioni” (il
conservatore versa D in AI per constatare con un “ecco!” l’uguaglianza) ma perchè
sono solo i bambini della prima ricerca a ricorrervi con determinazione?
Alla ricerca di una spiegazione, abbiamo constatato come le due popolazioni non
fossero omogenee per provenienza scolastica: scuola elementare per i soggetti della
prima ricerca, scuola materna e scuola elementare per quelli della seconda e ci siamo chiesi quindi perchè questa differenza nel ritmo di acquisizione della nozione
dovrebbe riflettersi nella scelta delle argomentazioni? Perché dovrebbe essere una
particolarità dei “soggetti che esprimono giudizi di conservazione al pre-test”, in
situazione collettiva, mentre individualmente essi formulano questo tipo di argomenti? Gli argomenti di identità pongono quindi un problema.
Tuttavia per quel che concerne gli altri argomenti, le due ricerche danno risultati
paragonabili e, nei due casi, oltre a risposte di identità, i soggetti offrono spiegazioni che sono nuove in rapporto a quelle della fase di interazione.
2) Come è noto, l’ampliamento della prova di conservazione delle quantità di liquidi
in questa seconda ricerca, ha previsto, l’aggiunta di item di ineguaglianza. Abbiamo già rilevato precedentemente, per giustificare di averli proposti esclusivamente
ai soggetti “conservatori” negli item dell’uguaglianza, che questi item di ineguaglianza sembrano essere più difficili da risolvere.
Quali specifiche difficoltà pongono? Senza dubbio i contrasti tra la realtà e l’apparenza percettiva si rivelano più tenaci di quelli delle situazioni di uguaglianza: un
bicchiere D, più alto e più sottile di A, pur producendo un livello più elevato dei
103
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
liquidi che vi vengono travasati, la quantità di questi può essere tanto la stessa che
inferiore a quella contenuta nei bicchieri di riferimento.
Ad un’analisi dei protocolli ci sembra, inoltre, che una delle cause delle difficoltà
per l’ineguaglianza stia soprattutto nel fatto che i suoi item seguono quelli dell’uguaglianza e i soggetti cercano, per questa ragione, di mettere in rapporto i due
tipi di situazioni (prima consideravano i due bicchieri A ed AI, contenenti lo stesso
di sciroppo, ora, al contrario, si parte da due contenuti ineguali).
Essi menzionano talvolta il passaggio dall’una all’altra situazione (“perché voi avete rimesso dello sciroppo nella bottiglia”) rendendo più complesso l’universo nel
quale vengono loro poste le domande di conservazione; risulta più difficile esplicitare i giudizi ed argomentarli.
Questo è, ad esempio, il caso di Mag che, al post-test 1, finisce col confondere gli
stati di partenza con fasi successive:
Spe: (fa A=AI)“c’è lo stesso da bere nei due bicchieri o no?”
Mag:“si”.
Spe: (versa A in C) “ed ora c’è lo stesso da bere o no?”
Mag:“no”
Sper:“come lo sai?”
Mag:“è lo stesso perché AI è più sottile e C è più largo! (.....)”
Spe: (fa A>AI, aggiungendo del liquido)
Mag:“c’è più sciroppo qui (A)”.
Spe: (versa A in C) “ed ora ce n’è lo stesso di sciroppo?”
Mag:“si”.
Spe:“come lo sai?”
Mag:“perché prima c’era lo stesso in questo (A)”.
Spe: (travasa C in A), ecc...
Jeap, diversamente, è conservatore a tutti gli item del primo post-test ma argomenta le sue risposte di conservazione delle ineguaglianze riferendosi alle manipolazioni precedenti. Se la situazione di ineguaglianza gli fosse stata proposta prima egli
non avrebbe potuto spiegare la conservazione delle differenze allo stesso modo:
Spe: (A=AI poi AI viene versato in D)
Jeap: (riflette poi dice) “è lo stesso. Prima ce n’era lo stesso in quei due bicchieri là (A
ed AI) ed anche in questi due (A e D) è lo stesso. Qui (D) è più alto e più sottile e là
(A) è più grosso allora è meno (pieno). Non è stato aggiunto dello sciroppo”.
Spe: (versa il contenuto di D nei quattro piccoli bicchieri) “Ed ora?”.
Jeap:“nei bicchieri piccoli ce ne è di più. No, c’è lo stesso perché prima c’era lo stesso (si
riferisce ad A ed AI)”.
Lo sperimentatore versa lo sciroppo dei quattro bicchieri piccoli in AI e poi fa
A>AI. Lo sperimentatore versa una parte di AI nella bottiglia: A>AI. La diseguaglianza viene constatata, AI viene versato in D.
104
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
Jeap:“io ne ho di più perché è stato tolto”.
I soggetti manifestano evidenti difficoltà nell’esplicitare le loro argomentazioni
agli item di disuguaglianza. Come considerare allora l’apporto degli item di disuguaglianza alla procedura di intervista?
Se talvolta essi hanno permesso una verifica in più sul livello operatorio dei soggetti
o, al contrario, di coglierne i limiti. È, ad esempio, il caso di Med che, al post-test
1, manifesta comportamenti conservatori per l’uguaglianza ma non per la diseguaglianza, dando così prova di una strutturazione debole della nozione che potrebbe
spiegare, in parte, come Med non appaia che intermedio al secondo post-test. L’interesse di queste situazioni di diseguaglianza è comunque, soprattutto teorico.
In effetti esse presentano il vantaggio di non somigliare troppo alla prova che caratterizza la fase di interazione che, invece, propone ai soggetti di stabilire una
uguaglianza e la riuscita in questi item richiede dunque più di una semplice replica delle coordinazioni sviluppate al momento della spartizione con altri due
bambini denotando, nei casi di acquisizione delle condotte operatorie concrete,
una reale padronanza della nozione in gioco.
Come stabilire se questo è effettivamente ciò che accade ai nostri soggetti? Innanzittutto, in questa seconda ricerca constatiamo per 18 volte l’acquisizione della
conservazione e soltanto quattro episodi che vedono i soggetti fallire sulla disuguaglianza. Livello questo che concerne effettivamente condotte tipiche della costruzione della nozione di conservazione delle quantità di liquido.
2.2.1 L’evoluzione delle condotte operatorie dei soggetti nelle diverse prove utilizzate
Come ricordano Inhelder, Sinclair e Bovet (1974, p.298) le ricerche di Piaget e
Inhelder (1941) di Piaget e Szeminska (1941) di Piaget, Inhelder e Szeminska (1948)
hanno mostrato che le nozioni di conservazione delle quantità si acquisiscono secondo
un ordine cronologico costante: quantità discrete, quantità fisiche continue (liquido,
materia), lunghezze.
Queste nozioni si fondano sugli stessi sistemi operatori. Il problema degli scarti
temporali esistenti tra le acquisizioni di ciascuna di esse ha posto un problema psicologico legato a quello delle loro filiazioni e che è stato oggetto dello studio di Inhelder,
Sinclair e Bovet (1974, vedi soprattutto le loro conclusioni a questo riguardo alla pagina 298 e seguenti).
Diversi punti di questo lavoro ci consentono di chiarire la natura delle relazioni
tra i successi alle diverse prove utilizzate, permettendoci di verificare in che misura
l’apprendimento provocato dalla nostra fase di interazione corrisponda a quanto già
noto sulla genesi operatoria.
In particolare, da quanto emerge dalle ricerche di questi autori, ci attendiamo
di ritrovare l’ordine di acquisizione di queste nozioni descritto precedentemente. In
molti dei loro metodi per favorire l’apprendimento della conservazione della quantità
dei liquidi o della materia, Inhelder, Sinclair e Bovet (1974, capitoli I e III e p.304)
105
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
constatano che tutti i soggetti che progrediscono ampliamente, possedevano già la conservazione del numero.
Tuttavia “sembra non esistere filiazione diretta...crediamo di poter osservare, più che
una filiazione diretta, piuttosto un’evoluzione, a partire da una indifferenziazione generale, dall’estimazione del numero a quella della quantità di materia. In effetti, la procedura
ha rilevato innanzitutto dei processi di differenziazione che si evidenziano in momenti
diversi, necessari ad una quantificazione operatoria” (p.125).
Per quel che concerne la comparazione fra le condotte dei soggetti alle prove di
conservazione della quantità dei liquidi e della materia, questi autori confermano (in
particolare al capitolo III della loro opera) che la prima viene superata un pò più precocemente della seconda anche se lo scarto è lieve.
A proposito dell’acquisizione della nozione di conservazione della lunghezza, Inhelder, Sinclair e Bovet (1974, p.306) sottolineano “che non si tratta di una semplice generalizzazione di una conoscenza acquisita anteriormente ad un nuovo contesto, ma di
una vera ricostruzione, su di un nuovo piano. Questa ricostruzione è analoga a quella
che caratterizza la costituzione delle conservazioni di equivalenze numeriche e si sviluppa
parallelamente alla filiazione osservata tra conservazione del discreto e conservazione della
materia, tuttavia con un certo ritardo rispetto alla prima”.
Sembra dunque che, secondo queste analisi, in assenza di una filiazione lineare tra
queste nozioni, i soggetti non siano suscettibili di trasferire direttamente l’insieme dei
loro comportamenti da una nozione all’altra ma piuttosto di ricostruirle ogni volta sul
nuovo piano proposto. Diversamente ci si può aspettare di trovare un’evoluzione parallela delle condotte alle diverse prove, poiché l’elaborazione di una delle prove favorisce
l’intervento delle seguenti senza esserne necessariamente la causa.
Per questo uno stadio avanzato nella conservazione del numero può lasciar prevedere una possibilità relativamente maggiore di progresso nella prova di conservazione
della materia che, a sua volta, è verosimilmente connessa ad un’evoluzione. Inversamente i soggetti con un debole livello di acquisizione della nozione di conservazione
delle quantità di liquido non sarebbero affatto suscettibili di condotte avanzate nella
prova di conservazione della lunghezza.
Se i progressi dei nostri soggetti sono, come supponiamo, dovuti ad un’autentica
strutturazione operatoria dovremmo riscontrare uno sviluppo delle loro condotte dopo
la fase di interazione sociale ed in particolare, i risultati dei soggetti alle diverse prove di
conservazione dovrebbero corrispondere all’evoluzione che abbiamo fin quì descritto.
Le diverse parti della tabella 5, alla quale abbiamo già fatto riferimento, presentano
l’evoluzione di ciascun soggetto alla prova di conservazione delle quantità dei liquidi
fra il pre-test ed in secondo post-test, con l’indicazione anche dei livelli raggiunti nelle
altre prove operatorie. Ciò ci consente di esaminare i risultati prova per prova che metteremo in relazione con i progressi realizzati nella prova delle quantità di liquidi, considerando, infine, l’evoluzione globale dei nostri gruppi, sperimentali e di controllo.
1) Prova di conservazione del numero
Al pre-test, nell’insieme delle condizioni sperimentali e di controllo, risultano 37
soggetti non-conservatori nella prova di conservazione dei liquidi. Essi vengono tutti
106
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
sottoposti alla prova di conservazione del numero. Nove di questi raggiungono il livello
di conservazione in questa prova, quattro risultano intermedi e ventiquattro non-conservatori.
Questi risultati confermano che la riuscita nella prova di conservazione del numero
può precedere quella di conservazione delle quantità dei liquidi e ci suggeriscono di
verificare se quelli che manifestano un livello operatorio concreto alla prova del numero
saranno gli stessi che progrediranno maggiormente al post-test 1 nella prova dei liquidi.
In realtà fra i soggetti che progrediscono al primo post-test non tutti posseggono necessariamente al pre-test la conservazione del numero: ciò è vero solo per 6 casi su 12.
Tuttavia come si rileva chiaramente dalla tabella 7, ad una soglia di probabilità
statistica molto significativa6, i soggetti intermedi o conservatori nella prova di conservazione del numero sono suscettibili di progredire nell’una o nell’altra condizione sperimentale o di confronto (8 progressi su 13 soggetti) più dei soggetti non-conservatori
(4 progressi su 24 soggetti) alla stessa prova. Sembra possibile ritrovare quest’ordine di
fatti, considerando esclusivamente i soggetti delle condizioni sperimentali I e II, per
i quali la fase di interazione sociale, come si è visto precedentemente, favorisce una
evoluzione operatoria al post-test 1. Un certo numero di soggetti (4 su 11) progredisce
nuovamente, pur non avendo acquisito al momento del pre-test la conservazione numerica; e si ottiene di nuovo una proporzione elevata (5 su 6) nel caso di soggetti che
possiedono la conservazione numerica.
Tabella 7: Progressi al post-test 1 per la prova di conservazione delle quantità dei liquidi, in funzione del livello iniziale alla conservazione del numero (condizioni
sperimentali).
Post-test 1: Conservazione dei Liquidi
Pre-test:
conservazione del
numero
Progrediti
Non progrediti
Totali
Non-conservatori
4
20
24
Intermedi o
Conservatori
8
5
13
Totali
12
25
37
Considerando i progressi non più fra il pre-test ed il primo post-test, ma fra il pretest ed il secondo post-test 2, si evidenzia un analoga relazione fra le variabili.
La tabella 8 indica che 9 su 24 dei soggetti progrediti fra pretest e secondo posttest erano non-conservatori al numero; e, allo stesso modo, sono gli intermedi ed i
conservatori alla conservazione del numero che progrediscono in numero maggiore (9
su 13). Per le condizioni sperimentali I, II e III, che provocano una netta evoluzione tra
il pre-test e il secondo post-test, 7 dei 16 non conservatori al numero, progrediscono
come anche 8 dei 10 intermediari e tutti i conservatori.
Da questi risultati si evince come il livello del soggetto alla prova di conservazione
del numero al pre-test non permette direttamente di predirne l’evoluzione alla quantità
107
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
di liquido. Infatti, alcuni soggetti progrediscono nella conservazione dei liquidi pur
avendo un livello operatorio inferiore più basso al numero, altri, al contrario, non progrediscono pur con un livello superiore alla conservazione del numero.
Tabella 8: Progressi al post-test 2 per la prova di conservazione delle quantità dei liquidi, in funzione del livello iniziale alla conservazione del numero (condizioni
sperimentali).
Post-test 2: Conservazione dei liquidi
Pre-test:
conservazione del
numero
Progrediti
Non progrediti
Totali
Non-conservatori
9
15
24
Intermedi e
Conservatori
9
4
13
Totali
18
19
37
Noi comunque riscontriamo, tuttavia, nella direzione tracciata dei risultati di Inhelder, Sinclair e Bovet (1974), come un certo livello di elaborazione operatoria della
nozione della conservazione numerica renda più probabile il progresso nel campo della
conservazione delle quantità di liquido, sia per i gruppi sperimentali che per quelli di
controllo.
2) Prova di conservazione della quantità della materia
A tutti i 37 soggetti che al pre-test risultano non conservatori ai liquidi viene somministrata (al pre-test ed al post-test 1) la prova di conservazione della quantità della
materia.7 Abbiamo precedentemente visto come questa venga superata un pò più tardi
rispetto alla prima e ciò ci fa domandare se, potremo constatare che effettivamente i
soggetti più avanzati in questa prova sono quelli più suscettibili di progredire in quella
dei liquidi.
La messa in relazione del livello operatorio dei soggetti alla prova della conservazione delle quantità della materia al pre-test con il loro livello alla prova delle quantità
di liquido al post-test 1 mette in evidenza che, contrariamente alle nostre aspettative, i
due soggetti, conservatori nella prova della materia fanno registrare un livello operatorio più basso alla prova dei liquidi al primo post-test. Dei 5 intermedi, alla prova della
materia al pre-test, 2 si attesteranno su un livello inferiore e 3 su un livello superiore
alla prova dei liquidi. Diversamente 22 soggetti saranno non-conservatori nelle due
prove; 7 non-conservatori alla materia (pre-test) otterranno un livello più elevato ai
liquidi (post-test 1).
Può dunque accadere che la nozione di conservazione delle quantità di materia
sia acquisita prima di quella delle quantità di liquidi e che la sua eventuale padronanza
non permetta di predire un progresso per l’altra nozione.
108
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
Questo non stupisce poichè l’anticipo riferito dagli autori citati è ‘leggero’ e non
propende per un transfert diretto da una nozione all’altra. Tuttavia, conformemente all’ipotesi che una strutturazione operatoria già avanzata su di un piano renda più probabile una evoluzione su di un altro piano, si evidenzierebbe (ma la soglia di significatività statistica non viene raggiunta), dalla tabella 9, che i soggetti con un livello avanzato
(conservatore o intermedio) alla prova di conservazione delle quantità di materia, progrediscono maggiormente ai liquidi (4 su 7) di quelli che si situano allo stadio della
non-conservazione (7 su 29).
Tabella 9: Progressi al post-test 1 per la prova di conservazione delle quantità dei liquidi, in funzione del livello iniziale alla conservazione della materia (condizioni
sperimentali).
Post-test 1: Conservazione dei Liquidi
Pre-test:
conservazione
della malattia
Progrediti
Non progrediti
Totali
Non-conservatori
7
22
29
Intermedi e
Conservatori
4
3
7
Totali
11
25
36
Per quel che concerne i progressi attribuibili al nostro paradigma sperimentale
adottato nelle condizioni I e II, i risultati sono analoghi.
I due soggetti con livello avanzato al pre-test nella prova di conservazione delle
quantità della materia progrediscono entrambi al post-test 1 nella prova dei liquidi.
In effetti le loro condotte si inseriscono perfettamente nel quadro teorico che prevede
come un certo livello di strutturazione operatoria della nozione di conservazione delle
quantità di materia favorisca l’acquisizione della conservazione per i liquidi.
Se il décalage tra la riuscita in queste due prove si rivela effettivamente debole,
dovrebbe essere interessante, al di là della predizione del progresso per una nozione a
partire dal livello operatorio nell’altra, osservare se i livelli operatori si evolvano parallelamente nei due campi.
Evidentememente una simile constatazione per le due nozioni operatorie (una sola
delle quali coinvolta nella fase di apprendimento) fornirebbe un’ulteriore prova della
natura autenticamente operatoria dei progressi registrati.
Ci si domanda a questo punto se un progresso alla prova di conservazione dei
liquidi si accompagna ad un progresso nella conservazione della materia.
Le tabelle 10 e 11 riportano questi dati e l’effetto delle variabili è provato da una
soglia significativa di probabilità statistica. Ad eccezione di un soggetto della situazione
III, solo i soggetti progrediti alla prima prova progrediscono analogamente alla seconda. Sono 6 soggetti su 11 (6 su 9 se si considerano solo i soggetti delle condizioni sperimentali I e II) a manifestare questa acquisizione operatoria sui due piani; una propor109
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
zione relativamente elevata, visto che 4 di questi 11 soggetti avevano già, al momento
del pre-test un livello più elevato nella prova della materia che in quella dei liquidi.
Il fatto che per più della metà dei soggetti la conservazione, nelle due aree, venga
acquisita in modo parallelo ci induce a chiederci se ciò condurrà a livelli simili nelle
due prove o, al contrario, si riscontrerà un leggero anticipo nella prova di conservazione
delle quantità di liquidi. La messa in relazione dei livelli dei soggetti nelle due prove
(post-test 1) fa apparire, nell’insieme della popolazione, e anche nelle situazioni sperimentali I e II, che più di due terzi dei soggetti (26 su 36, cioè 72.2 % e 12 su 17, cioè
70.58 %) manifestano un livello simile nelle due prove.
Il décalage esistente negli altri soggetti, come previsto, si caratterizza per un anticipo nella prova di conservazione delle quantità di liquido per i soggetti dei gruppi
sperimentali I e II. Negli altri casi avviene l’inverso.
Tabella 10: Progresso al post-test 1, nelle due prove di conservazione delle quantità di
liquido e di materia (p = .0014)
Post-test 1: Conservazione dei Liquidi
Post-test 1:
conservazione
della materia
Progrediti
Non progrediti
Totali
Progrediti
6
1
7
Non progrediti
5
24
29
Totali
11
25
36
Tabella11: Progresso al post-test 1, nelle due prove di conservazione delle quantità di
liquido e di materia, per le condizioni sperimentali I e II p = .01, al test della
probabilità esatta di Fisher)
Post-test 1: Conservazione dei Liquidi
Post-test 1:
conservazione
della materia
Progrediti
Non progrediti
Totali
Progrediti
6
0
6
Non progrediti
3
8
11
Totali
9
8
17
Certamente ci si può chiedere come mai in tutte le condizioni, non venga ritrovata
la gerarchia registrata per queste due prove. In effetti, nei soggetti che progrediscono
nelle condizioni sperimentali, si evidenzia, ed è quello che più ci interessa, come l’evoluzione in queste due prove tenda ad essere parallela. Possiamo dunque accettare che
la maggioranza dei soggetti progrediscono nell’acquisizione delle due nozioni con un
110
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
leggero anticipo nella costruzione di quella della conservazione delle quantità di liquidi, così come lasciano prevedere gli studi sulla loro genesi.
I risultati ottenuti grazie alla prova di conservazione della materia, confermano
così l’analogia fra i progressi provocati dall’interazione sociale e quelli osservati altrove
negli studi evolutivi.
3) Prova di conservazione della lunghezza
Questa prova viene presentata, al pre-test, ai soggetti in possesso della nozione
della conservazione delle quantità di liquido ed, al post-test 1, a tutti i soggetti delle
condizioni sperimentali e di controllo8.
Abbiamo visto precedentemente, come tale prova venga superata un po’ più tardi
delle altre utilizzate in questa sede e quindi ci si aspetta che soltanto i soggetti che raggiungono un livello relativamente elevato di elaborazione delle altre nozioni superino,
a questa prova lo stadio della non-conservazione.
La tabella 12 mostra che 6 dei 12 soggetti, che al primo post-test progrediscono
nell’acquisizione della nozione di conservazione delle quantità di liquido, risultano
intermedi o conservatori alla prova della conservazione della lunghezza (soglia di probabilità statistica molto significativa) e sono 4 su 9 se si considerano solo i soggetti delle
condizioni sperimentali I e II.
Tabella 12:Comparazione dei livelli operatori dei soggetti nelle due prove di conservazione della lunghezza e delle quantità di liquido (post-test 1).
P = .0028, al test della probabilità esatta di Fisher, aggregando I e C.
Post-test 1: Conservazione dei Liquidi
Post-test:
conservazione
della materia
NC
I
C
Totali
Non-conservatori
23
4
2
29
Intermedi
1
0
1
2
Conservatori
0
1
4
5
Totali
24
5
7
36
Tutti i soggetti che risultano intermedi o conservatori nella prova di conservazione della lunghezza hanno ugualmente superato lo stadio della non-conservazione delle quantità della materia (vedi tabella 5). Ciò sembra confermare, sia per gruppi sperimentali I e II che per l’insieme della popolazione studiata, il ritardo delle condotte
relative alla nozione di conservazione della lunghezza ma contemporaneamente anche
una loro solidarietà con lo sviluppo delle nozioni della conservazione delle quantità di
liquido e della materia.
La tabella 13 presenta i livelli alle altre due prove del pre-test per soggetti che
hanno acquisito la conservazione della quantità di liquido. Mancano i dati per alcuni
111
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
soggetti poiché, solo qualche tempo dopo l’avvio di questa ricerca abbiamo compreso
l’interesse di confrontare, attraverso queste prove, i soggetti che risultano conservatori
sin dal pre-test con quelli che lo diventeranno nelle condizioni sperimentali. Presenteranno tutti lo stesso pattern di livelli? Per i soggetti delle quattro condizioni sperimentali, che diventano conservatori nella prova dei liquidi al post-test 1, la tabella 13 riporta
anche i livelli operatori alle altre prove.
Ad eccezione di un soggetto della condizione II, i due gruppi di bambini o raggiungono gli stessi livelli nelle due prove o un livello superiore a quello della materia.
Questi risultati corrispondono alla gerarchia nota. I soggetti dei due gruppi raggiungono livelli simili nella prova di conservazione della lunghezza. Diversamente, i
soggetti che hanno già acquisito la nozione della conservazione delle quantità di liquido al pre-test sono più frequentemente conservatori (11 volte su 12) nella prova della
materia rispetto agli altri (3 volte su 7). Se i pattern di riuscita sono dunque paragonabili nei due gruppi, è possibile che quella leggera inferiorità nella prova di conservazione
della materia sia dovuta alla recente strutturazione operatoria nei soggetti dei gruppi
sperimentali.
Tabella 13:Livelli alle prove di conservazione della lunghezza e delle quantità di materia
dei soggetti che superano la prova di conservazione delle quantità di liquido.
Liquidi
Conservatori
al pre-test
Conservatori
al post-test
(cond. sperim.)
112
Soggetti
Materia
Lunghezza
San
Mic
Nie
Ari
Phi
Ale
Deu
Pat
Val
Ant
Sad
Mai
C
C
C
C
C
C
C
C
C
C
NC
C
NC
I
C
C
IC
C
C
I
NC
NC
NC
C
Mag
Eti
Jeap
Mar
Ver
Med
Nata
C
C
NC
I
C
I
I
C
C
NC
C
NC
I
I
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
4) Conclusioni
Ai fini del nostro studio, dall’analisi dei risultati relativi all’evoluzione delle condotte dei soggetti nelle diverse prove operatorie utilizzate per questa seconda ricerca,
risultano due elementi fondamentali.
Il primo è la constatazione che in un numero importante di casi (più del 70%) la
strutturazione operatoria, che consegue alle interazioni sociali collettive si estende al di
là della costruzione della nozione di conservazione delle quantità di liquido coinvolgendo le operazioni relative alla quantità di materia. Questo conferma che i progressi
constatati nei nostri soggetti sono dovuti ad un’acquisizione ben più consistente della
semplice adozione di condotte riferiti ad un compito in particolare.
Il secondo elemento è l’osservazione che l’apparizione di progresso nei soggetti, a
seguito dell’interazione, si iscrive nel quadro di quanto già sostengono le leggi dello
sviluppo cognitivo a dimostrazione che, con il nostro intervento sperimentale, provochiamo qualcosa di più che apprendimenti specifici: uno sviluppo autentico.
Inhelder, Sinclair e Bovet (1974, p.295-297) si basano su tre categorie di fatti per
sostenere “l’interpretazione globale secondo cui gli apprendimenti si inseriscono fra i meccanismi generali dello sviluppo” che cercheremo di ritrovare nei nostri dati.
La prima di queste categorie concerne la dimostrazione della possibilità di favorire, e quindi di accelerare lo sviluppo cognitivo del soggetto. Questo risultato permette a
Inhelder, Sinclair e Bovet di scartare l’interpretazione maturazionista dello sviluppo e di
sottolineare il ruolo degli apporti dell’ambiente. Similmente possiamo scartare l’interpretazione del semplice fattore di maturazione, basandoci sulla comparazione tra l’evoluzione delle condotte dei soggetti dei nostri gruppi sperimentali e quella dei soggetti del
gruppo di confronto, confronto che mette in evidenza il ruolo delle interazioni sociali.
La seconda categoria riguarda il fenomeno, trattato nel secondo capitolo, dei progressi ottenuti al primo post-test che non soltanto si rivelano in generale stabili al secondo post-test ma che sono suscettibili anche di ulteriori evoluzioni. Inhelder, Sinclair e Bovet attribuiscono a processi di riorganizzazione interna questo prolungarsi dei
progressi cognitivi provocati dalla situazione sperimentale; questi autori rilevano ugualmente che la natura dei progressi, e la loro portata, sono sempre e in modo sorprendente funzione del livello iniziale dello sviluppo 9 del soggetto, in altri termini degli strumenti di assimilazione che gli sono propri. Nella maggior parte dei casi l’ordine gerarchico
delle condotte rilevato ai pre-test si ritrova nei due post-test. Questo fenomeno fondamentale è leggibile nell’assenza di incroci per maggioranza delle frecce utilizzate per
rappresentare l’evoluzione dei soggetti.
“Il dato che ci sembra particolarmente rivelatore sulle leggi dello sviluppo è che, alla
fine, lo scarto tra i livelli dei soggetti si accentua rispetto all’inizio con una chiara tendenza a accrescersi nel corso dell’apprendimento. Ciò sembra dimostrare che le situazioni sperimentali, gli scambi con lo sperimentatore, sono compresi diversamente a seconda dei livelli significativi di ogni soggetto, e questo anche quando le differenze tra loro sono minime”
(p.295). L’effetto dell’ambiente è dunque subordinato alle possibilità interne al soggetto di “appropriarsi e trasformare i dati esterni secondo leggi di organizzazione” (p.296).
Anche nella nostra ricerca riscontriamo questo fenomeno definito dalla mancata sovrapposizione della maggioranza delle frecce indicanti l’evoluzione (vedi tabel113
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
la 5); l’ordine gerarchico dei soggetti al pre-test ha inoltre tendenza a mantenersi e
lo scarto tra loro ad accentuarsi. Nella pianificazione di questa seconda ricerca cercavamo di studiare sistematicamnte il ruolo del livello iniziale di sviluppo sia con
l’analisi delle condotte dei soggetti nelle diverse prove operatorie al momento del pretest che con una gerarchizzazione delle loro condotte all’interno dello stadio della
non-conservazione delle quantità di liquido. Il primo approccio ha messo in rilievo
come un certo grado nell’elaborazione operatoria di altre nozioni agevoli i progressi
della nozione oggetto del metodo sperimentale. Quanto al secondo, come abbiamo
già discusso, esso non ha avuto successo, a causa delle difficoltà che abbiamo incontrato nel condurre una intervista clinica che fosse congruente con i criteri previsti.
Comunque, vista l’importanza del problema del livello iniziale nell’ottica di un approccio costruttivista dello sviluppo, esso verrà ripreso nella prossima ricerca illustrata nel capitolo IV.
2.3 L’osservazione delle modalità delle interazioni sociali in relazione
con l’ampiezza degli effetti conseguenti
Già la prima ricerca, che come abbiamo visto nel capitolo precedente ha cercato
di mettere in evidenza come certe forme di interazioni sociali possano indurre delle
evoluzioni nelle strutture cognitive dei loro attori, lascia senza risposta una serie di
interrogativi:
2.3.1 Ruolo del livello di sviluppo cognitivo dei partner
Il primo di questi quesiti concerne la composizione, rispetto ai livelli cognitivi,
delle coppie di partner della fase di interazione: in particolare ci si chiede se per rendere
efficaci delle interazioni sociali occorra che gli altri due partner siano conservatori,
ossia padroneggino la nozione in giuoco, oppure se sia invece sufficiente che lo sia uno
solo di essi o addirittura nessuno.
È per rispondere a questo quesito che la seconda ricerca pone i soggetti in condizioni sperimentali diverse, definite in funzione del livello dei partner di interazione
(determinati al pre-test). La tabella 14 ricorda quali sono queste condizioni e riassume
i dati della tabella 4, mettendo in risalto le proporzioni di soggetti che progrediscono
nei diversi casi.
Sembrerebbe che la situazione che oppone il soggetto non-conservatore a due partner conservatori sia più favorevole ad un’evoluzione sul piano operatorio di quella che
mette il non-conservatore di fronte ad un conservatore ed un altro non-conservatore
anche se lo scarso numero di soggetti esaminati nella prima ricerca impedisce la sicura
convalida di una simile ipotesi. Un paragone tra la seconda condizione della presente
ricerca e l’analoga condizione sperimentale del primo, permette di giungere a conclusioni analoghe.
Diversamente, da questi risultati emerge nettamente che la prima e la seconda
condizione sperimentale si differenziano sia dalla terza che da quella di controllo.
114
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
Qual è l’origine di queste differenze?
È ipotizzabile che trovino la loro origine nella qualità delle interazioni che caratterizzano la seduta collettiva?
Si potrebbe supporre che la funzione attribuita al soggetto nel lavoro di gruppo lo
induca a partecipare, più o meno attivamente, alla fase interattiva e proprio per questo
impegnare, in misura maggiore o minore la propria attività intellettiva.
Se fosse questa la risposta ai quesiti, i soggetti non-conservatori, ai quali viene
attribuita la funzione di spartire lo sciroppo tra i loro compagni, sarebbero più suscettibili di progredire di quelli che si limitano a ricevere gli esiti della loro azione; ciò spiegherebbe le differenze esistenti tra le condizioni sperimentali poiché nella condizione II
ciò riguarda solo la metà di questi soggetti, mentre nella III, un terzo.
Tabella 14:Numero di soggetti che progrediscono al post-test 1 (conservazione delle
quantità di liquido) nelle diverse condizioni sperimentali e di controllo.
Condizioni sperimentali
Progrediti
Non Progrediti
Totali
I
(1NC + 2C)
4
1
5
II
(2NC+ 1C)
5
7
12
III
(3C)
0
9
9
IV
(1I + 2 NC)
1
1
2
Controllo
(senza interazione)
2
7
9
Totali
12
25
37
La tabella 15 permette di confrontare, al primo post-test, l’evoluzione dei soggetti
delle condizioni II e III, in ordine alla funzione da loro svolta nella suddivisione.
Questo confronto non permetterebbe di supporre che la funzione di effettuare la
spartizione favorisca soprattutto i soggetti a cui essa viene attribuita. I dati del secondo
post-test confermano quest’analisi.
Rifiutando così le ipotesi che spiegherebbero le differenze tra condizioni sperimentali, attribuendole ad un effetto della funzione attribuita ai soggetti, si può formulare allora l’ipotesi che le condizioni sperimentali I e II siano più favorevoli ad un’evoluzione sul piano cognitivo delle condizioni III e di controllo poichè mettono i soggetti
in presenza di almeno un partner capace di padroneggiare la nozione di conservazione
necessaria per effettuare una suddivisione equa. La risposta a quest’interrogativo non
può comunque essere data tenendo conto dei livelli dei partner al pre-test. In effetti,
nel corso della sperimentazione, abbiamo rilevato che le condotte evidenziate nella se115
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
duta collettiva non sono sempre analoghe a quelle mostrate al pre-test e ciò ci ha indotti ad un’osservazione sistematica (sostenuta da videocassette, quando le possediamo)
delle condotte di bambini nella seduta collettiva.
Tabella 15:Progressi dei soggetti nelle condizioni sperimentali II e III al primo post-test
in ordine alla funzione svolta nel corso della spartizione.
Condizione II
(2NC+ 1C)
Condizione III
(3C)
Totali
Progrediti
Non
Progrediti
Totali
NC incaricati di
suddividere
3
3
6
NC non incaricati
2
4
6
NC incaricati di
suddividere
0
3
3
NC non incaricati
0
6
6
5
16
21
In tal modo si rileva che i soggetti conservatori non dimostrano sempre di padroneggiare la nozione di conservazione nelle interazioni con i partner. Alcuni oscillano
tra le affermazioni della conservazione e punti di vista non conservatori come i soggetti
intermedi; altri si concentrano sul livello che raggiunge lo sciroppo nei bicchieri, anche
se questi sono di larghezza diversa, adattandosi alle condotte dei bambini non conservatori. D’altronde, alcuni soggetti non conservatori al pre-test, nel corso delle interazioni, si mettono ad esaminare le quantità che essi travasano e ad affermare, di tanto
in tanto, la conservazione (o a ripetere le affermazioni dei loro partner) divenendo così
simili, nelle loro condotte, ai soggetti intermedi. Questo spiega perché alcune sedute
interattive (delle condizioni I e II per esempio), all’esame degli scambi tra bambini,
appaiano analoghe ad altre della condizione III. A partire da queste constatazioni, è
possibile fare una analisi interna dei dati per determinare quali siano le condotte dei
partner che favoriscono una evoluzione dei soggetti non-conservatori.10 A questo scopo
abbiamo distinto, nelle sedute collettive della seconda ricerca, cinque “costellazioni” di
partner:
– Costellazione A: i due partner hanno comportamenti che denotano padronanza
della nozione di conservazione delle quantià di liquido durante tutta la seduta
collettiva.
– Costellazione B: uno solo dei partner ha questo tipo di comportamento conservatore, l’altro si comporta come un non-conservatore, concentrandosi sui livelli e
considerando che le quantità cambiano nel corso dei travasi.
116
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
– Costellazione C: i due partner hanno comportamenti di tipo non-conservatore.
– Costellazione D: i due partner hanno comportamenti di tipo intermedio, alternando tra quelli dei conservatori e quelli dei non-conservatori.
– Costellazione E: uno dei partner ha comportamenti di tipo intemedio e l’altro di
tipo non-conservatore.
Queste “costellazioni” di condotte sono apparse, come segue, nelle diverse condizioni sperimentali:
Condizione I:
(1 NC + 2 CC)
4 soggetti in costellazione A
1 soggetto in costellazione C
Condizione II:
(2NC + 1 C)
6 soggetti in costellazione B
1 soggetto in costellazione D
5 soggetti in costellazione E
Condizione III:
(3 NC)
7 soggetti in costellazione C
2 soggetti in costellazione E
Condizione IV:
(2 NC + 1 I)
1 soggetto in costellazione D
1 soggetto in condizione E
La tabella 16 presenta il numero di soggetti che progrediscono al post-test 1 nella
prova di conservazione delle quantità di liquido per ogni “costellazione” di condotta
registrata nella fase di interazione.
Tabella 16: Numero di soggetti che progrediscono al primo post-test, alla prova di conservazione dei liquidi, in ordine alle costellazioni di condotte dei partner nelle situazioni collettive.
“Costellazioni”
durante la seduta collettiva
Progrediti
Non Progrediti
Totali
A
3
1
4
B
2
4
6
C
1
7
8
D
0
2
2
E
4
4
8
Totali
10
18
28
Possiamo tentare di rispondere all’interrogativo che è all’origine di questo tipo di
analisi paragonando le frequenze di progressi registrati, da una parte nei soggetti con
117
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
“costellazioni” che contenessero o un soggetto capace di padroneggiare la nozione di
conservazione delle quantità di liquido (“costellazioni” A e B) o un soggetto intermedio
(“costellazioni” D ed E) e, dall’altra quelle dei soggetti che non manifestano alcuna
condotta operatoria nel corso degli scambi (“costellazione” C).
Questo confronto mostra come i progressi appaiano più frequentemente nei soggetti che hanno vissuto interazioni sociali con partner che attualizzano condotte operatorie rispetto a quelli i cui partner sono apparsi, nell’interazione, come non-conservatori. È ugualmente interessante constatare come le “costellazioni” A e B o D ed E
provocano una stessa proporzione di progressi. Sembrerebbe così, che, per un soggetto
non-conservatore, l’interazione con un compagno con condotte di livello intermedio,
non sia meno favorevole di un’interazione con un partner che dimostri completa padronanza di una nozione operatoria. L’origine delle differenze di progressi al post-test
1, tra le condizioni sperimentali I e II e la condizione III, non consisterebbe allora nel
fatto che le prime mettono i soggetti in presenza di un partner conservatore, ma andrebbe attribuita alla minore probabilità che nella condizione III i soggetti siano confrontati con un punto di vista diverso dal loro. A questo punto, bisognerebbe chiarire
se l’esposizione ad una differente prospettiva sia condizione sufficiente per provocare
progressi operatori, senza la necessità di un confronto con un punto di vista più avanzato. I dati di questa ricerca non permettono di esplorare questa alternativa perché i
bambini non-conservatori tendono a difendere lo stesso punto di vista (concentrati sui
livelli raggiunti dallo sciroppo nei bicchieri) e non hanno alcun termine di paragone a
questo riguardo. Le ricerche presentate nei capitoli seguenti mirano sostanzialmente a
portare un contributo a questa problematica.
2.3.2 Ipotesi della pressione di un punto di vista maggioritario
Nel corso dell’analisi della prima ricerca abbiamo preconizzato l’eventualità che i
progressi dei soggetti non-conservatori, conseguenza alla seduta collettiva, fossero dovuti alla pressione esercitata dall’opinione maggioritaria dei due conservatori.
Fino a questo momento, dall’analisi dei dati emergono elementi favorevoli all’ipotesi che spiega i progressi non alla semplice adozione di una nuova opinione, ma come
segni autentici di una ristrutturazione operatoria.
Se tali progressi fossero effettivamente provocati da un processo di influenza, sarebbe coerente attendersi che essi appaiano connessi, come spieghiamo nel capitolo
II, alla consistenza delle condotte dei partner che esprimono un punto di vista diverso
da quello del soggetto. Per quel che concerne la consistenza intra-individuale i partner che, da soli o in due, difendono una diversa posizione con reale coerenza e senza
abbandonarla per tutto il tempo dell’interazione, sono i bambini conservatori delle
“costellazioni” A e B. Comunque, i risultati presentati nella tabella 16 permettono di
constatare che questa consistenza intra-individuale non sembra una condizione più
favorevole, per l’evoluzione dei soggetti, rispetto alle condotte oscillanti dei partner
di livello intermedio delle “costellazioni” D ed E. La consistenza inter-individuale, si
ritrova unicamente nella “costellazione” A, poiché nella “costellazione” D, i due soggetti intermedi non difendono un punto di vista coerente. Purtroppo il numero di
118
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
soggetti dovrebbe essere maggiore per essere certi della superiorità della situazione A.
Se l’efficacia di questa consistenza inter-individuale dovesse verificarsi in assenza di
una consistenza intra-individuale in almeno uno dei partner, ci sembrerebbe più pertinente darne conto più che in funzione di un processo di influenza evocando la consistenza inter-individuale che dà al diverso punto di vista un maggior spicco agli occhi del soggetto.
I processi di influenza sono certamente in atto nel corso della fase interattiva,
poiché possiamo costatare – ed è quello che ci induce a fornire una descrizione delle
“costellazioni” – che un certo numero di soggetti conservatori al pre-test ed al post-test
non attualizzano lo stesso tipo di condotte nell’interazione, e questo soprattutto nella
condizione II, quando sono in presenza di due non-conservatori. Nessuno dei risultati
riportati sembra comunque indicare che questi processi di influenza siano la causa dei
progressi cognitivi individuali. Al contrario, benché l’assenza di sostegni all’ipotesi dell’influenza non sia una prova della sua non-pertinenza, questa conclusione ci spinge a
ricercare altre spiegazioni.
2.3.3 Ruolo dell’accordo raggiunto durante la fase di interazione
La consegna che lo sperimentatore dà all’inizio della fase di interazione prevede
che i bambini si accordino per una spartizione equa: questa è la condizione richiesta
affinché essi possano bere ciascuno il proprio bicchiere di sciroppo. La consegna è la
stessa per tutte le interazioni, eccezione fatta per una, durante la quale non si è potuto
raggiungere nessun accordo.
Per ogni soggetto è stato annotato se l’accordo raggiunto con i propri partner si
basa sulla conservazione effettiva delle quantità travasate (“accordo conservatore”) o
se, al contrario, esso si fonda sui livelli che lo sciroppo raggiunge nei diversi bicchieri
(“accordo non-conservatore”).
La tabella 17 presenta, per ogni condizione sperimentale, l’esistenza o la non-esistenza di progresso nei soggetti, in funzione del tipo di accordo raggiunto dal gruppo
di cui fanno parte. Nell’ipotesi che una pressione esercitata dal gruppo sia suscettibile
di far evolvere i soggetti sul piano cognitivo, si potrebbe supporre che si possa evincere
la direzione del progresso dal tipo di accordo raggiunto e che, di conseguenza, i soggetti
che partecipano ad “un accordo conservatore” sarebbero più suscettibili di progresso di
coloro che vivono un “accordo non-conservatore”.
Simili risultati concorderebbero con quelli di Silverman e Stone (1972) e di Silverman e Geiringer (1973) che, in un quadro teorico diverso ma con ricerche che utilizzano un paradigma sperimentale vicino al nostro, tendono a mostrare come i nonconservatori che progrediscono al post-test, si siano sottomessi all’opinione del loro
partner conservatore nell’interazione. Questi autori riferiscono che, pertanto, nella
maggior parte dei casi l’opinione del conservatore prevale su quella del non-conservatore.
Dai dati della nostra ricerca si evidenzia che solo nelle condizioni sperimentali I
e II - che mettono in presenza dei non-conservatori almeno un partner conservatore
- i soggetti raggiungono “accordi conservatori”. Ma questi “accordi conservatori” non
119
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
sembrano essere correlabili, più degli “accordi non-conservatori”, all’evoluzione dei
soggetti che vi prendono parte. Al primo post-test, nel primo caso progrediscono 5 su
10 soggetti nel secondo 3 su 5.
Sembrerebbe dunque che, l’origine del progresso cognitivo nei soggetti, non sia il
fatto di essersi conformati all’opinione del (o dei) conservatore (i) dato che un certo
numero di soggetti che assumono questo atteggiamento non progrediscono mentre
altri che non si piegano alla pressione del partner, progrediscono. La presenza, nel
gruppo, di un bambino che possegga la nozione di conservazione delle quantità di
liquido fa sì che l’accordo si faccia a questo livello, ma non è l’accordo in sé la causa
del progresso.
Tabella 17:Tipo di accordo raggiunto nella seduta collettiva ed evoluzione dei soggetti
al post-test 1 nella prova di conservazione delle quantità di liquido.
Condizione I: (1 NC + 2C)
Progrediti
Non
Progrediti
Totali
Accordo conservatore
3
1
4
Accordo non-conservatore
1
0
1
Progrediti
Non
Progrediti
Totali
Accordo conservatore
2
4
6
Accordo non-conservatore
2
2
4
Progrediti
Non
Progrediti
Totali
Accordo conservatore
0
0
0
Accordo non-conservatore
0
9
9
Condizione II: (2 NC + 1C)
Condizione III: (3 NC)
Quest’analisi ci suggerisce, così, una reinterpretazione dei fatti citati da Silverman
e Stone (1972) e Silverman e Geiringer (1973) che constatano un nesso tra la posizione
conservatrice della coppia nell’interazione e l’evoluzione del soggetto non-conservatore
al post-test.
120
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
Si può supporre che, negli esperimenti citati da questi autori, soltanto le coppie il
cui partner conservatore si comporta effettivamente come un conservatore (nel senso
in cui ne parliamo nell’analisi delle “costellazioni”) raggiungono un accordo a questo
livello.
Negli altri casi il fatto che il soggetto non conservatore non si trova mai di fronte
a un punto di vista diverso dal suo sembrerebbe responsabile della sua assenza di progresso. Ciò si verifica comunque nella nostra ricerca: il soggetto della condizione I, che
partecipa ad un “accordo non-conservatore”, ha due partner conservatori che manifestano comportamenti di tipo non-conservatore nell’interazione e i quattro soggetti
della condizione 2 che si trovano in una situazione analoga hanno come partner dei
conservatori che si comportano come intermedi.
In una loro ricerca Miller e Brownell (1975) riprendono la problematica di Silverman (et al.) dell’accordo raggiunto durante l’interazione, al fine di capire perché la
maggior parte delle volte a dominare nell’interazione siano i soggetti conservatori: essi
si chiedono se questa sarebbe una caratteristica legata alla loro condotta cognitiva, quale che sia il compito, oppure un fenomeno specifico legato all’oggetto dell’interazione,
la conservazione.
Nell’esperienza che a questo proposito allestiscono, ritrovano i risultati di Silverman (et al.), dal momento che i non-conservatori, il più delle volte, si adeguano all’opinione del conservatore sui problemi di conservazione. Essi, però, constatano che
ciò non avviene nei compiti indipendenti dai livelli cognitivi dei soggetti. Nella nostra ricerca ritroviamo una tendenza dell’opinione dei conservatori a prevalere nell’interazione (10 dei 15 accordi ottenuti sono degli “accordi conservatori”) e, osservando le videocassette, possiamo constatare che effettivamente i conservatori prendono
l’iniziativa più spesso dei non-conservatori, affermano più spesso il loro punto di vista e sembrano detenere la leadership della situazione. Ciò che colpisce è che queste
condotte appaiono soltanto nei non-conservatori che non “regrediscono” a comportamenti di tipo non-conservatore nell’interazione. Il fatto dunque che Miller e Brownell
(1975, p. 995) trovino che i soggetti “sottomessi” si differenzino da quelli che “hanno
il sopravvento”, allo stesso modo in cui i non-conservatori si differenziano dai conservatori, ci porta a credere che i conservatori di Miller e Brownell che si sottomettono
ai non-conservatori non hanno assunto, nelle interazioni, le condotte tipiche dei conservatori, suscitando il progresso dei non-conservatori e l’affermazione del loro punto di vista “conservatore”.
La nostra interpretazione è che l’evoluzione dei soggetti non-conservatori non troverebbe la sua origine nella persuasione o nel dominio, propria dei conservatori, ma nel
confronto con un punto di vista diverso dal loro. E tale conclusione non ha bisogno di
essere particolarmente difesa visto che anche i soggetti conservatori, che si comportano
come intermedi, suscitano una evoluzione nelle condotte dei partner. Diversamente,
fra i cinque casi nei quali possiamo osservare che il soggetto conservatore domina l’interazione con sicurezza (utilizzando un tono aggressivo ed un atteggiamento sprezzante
nei confronti del non-conservatore le cui idee gli appaiono aberranti) in quattro di
questi i non-conservatori non progrediscono. È pensabile che, in simili relazioni, il
conflitto cognitivo che dovrebbe suscitare i diversi punti di vista venga mascherato
dalle caratteristiche socio-emotive dell’interazione?
121
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
2.3.4 Conclusioni
Questa seconda ricerca si poneva due obiettivi: confermare i risultati ottenuti nella
prima ricerca, valutandone con più esattezza la portata sul piano dello sviluppo operatorio del soggetto; permettere un’osservazione delle condotte dei bambini nella fase di
interazione, facendo variare le condizioni di questa, per studiare i processi che sottostanno alle interazioni sociali all’origine del progresso cognitivo.
I risultati della prima ricerca sembrano effettivamente confermati e l’analisi clinica
delle condotte dei soggetti mostra come l’evoluzione del soggetto conseguente alle interazioni sociali scaturisca da un processo di ristrutturazione operatoria che si inscrive
nel più generale quadro dello sviluppo. I soggetti che divengono conservatori lo dimostrano attraverso le argomentazioni caratteristiche che impiegano nelle giustificazioni.
D’altra parte, i progressi nell’elaborazione della nozione di conservazione dei liquidi
(oggetto della fase collettiva) si rivela solidale con lo sviluppo delle altre nozioni prossime; abbiamo visto come un progresso della nozione di conservazione delle quantità di
liquido renda più probabile un avanzamento sia sul piano della nozione di conservazione delle quantità della materia chesu quello della conservazione della lunghezza. Questa solidarietà si manifesta ugualmente in senso inverso: un certo numero di elementi
dei dati evidenziano l’importanza dei progressi suscitati in funzione del livello iniziale
di sviluppo del soggetto. Nella ricerca, che illustreremo nel capitolo IV, tenteremo di
verificare quest’asserzione, elemento fondamentale in favore di un approccio costruttivo dello sviluppo.
Attraverso la comparazione dei percorsi evolutivi dei soggetti nelle condizioni sperimentali e di controllo, abbiamo attestato il ruolo giocato dalla fase di interazione nelle ristrutturazioni cognitive constatate nei due post-test. Esiste tuttavia una netta differenza tra le condizioni sperimentali che comprendono bambini con un punto di vista
diverso e quelle che ne comprendono uno simile a quello del soggetto. Nel primo caso
(condizione I e II) i progressi appaiono già dal post-test 1, nell’altra (condizione III)
emergono solo al post-test 2. Ciò ci obbliga a domandarci se sia effettivamente legittimo supporre che i progressi della condizione III, che sembrano tardivi poiché si rivelano solo al secondo post-test, siano anch’essi frutto di ristrutturazioni provocate dalle
interazioni sociali della situazione sperimentale.
Altre ricerche, ed in particolare quelle di Inhelder, Sinclair e Bovet (1974) hanno
ugualmente constatato fenomeni di progresso differito su lassi di tempo analoghi ai
nostri (op. cit.p. 91, p. 115, p.246, p.265, p.283, p. 297) e possiamo ugualmente confrontare questi dati con altri lavori11 che mostrano come una modifica cognitiva, provocata sperimentalmente, può creare un progresso più ampio nei soggetti sperimentali
rispetto a quelli di controllo, stabile dopo quindici giorni (Cowan, Langer, Heavenrich
e Nathanson, 1969) anche dopo sei mesi (Glassco, Milgram e Youniss, 1975).
Se da una parte è noto che può prodursi una evoluzione cognitiva tra i post-test e
che, dall’altra, l’effetto differenziale delle condizioni sperimentali può manifestarsi anche sei mesi dopo l’intervento, ci sembra plausibile che la manipolazione sperimentale
possa plausibilmente essere la causa della differenza de livelli cognitivi emersi al posttest 2, fra la condizione III e quella di controllo. I dati sembrerebbero allora mostrare
che, se nelle tre condizioni sperimentali la coordinazione interindividuale di azioni
122
La conservazione delle quantità dei liquidi e l’effetto conseguente... Seconda esperienza
ha scatenato il progresso dei soggetti sul piano cognitivo, nella condizione III esso
si manifesta più lentamente. Probabilmente una metodologia di analisi più raffinata
permetterebbe di cogliere gli effetti di questo processo di strutturazione sin dal primo
post-test della condizione III. In assenza di tali mezzi ci vediamo indotti a fare i conti
con il problema psicologico già posto da Inhelder, Sinclair e Bovet (1974, p.265) “del
ritmo di integrazione” del soggetto che può “portare a progressi immediati, sin dal
post-test 1 o solo dopo un lasso di tempo che favorisca una lenta evoluzione tra il posttest 1 e 2”.
D’altra parte, visto che l’ipotesi degli apprendimenti per imitazione non permette
di spiegare né l’evoluzione generale del soggetto sul piano operatorio, nè la presenza
di argomenti nuovi al post-test, abbiamo ritnuto di doverla eliminare. L’analisi delle
condotte dei soggetti viene a corroborare quest’interpretazione nella misura in cui essa
mostra che l’influenza e la pressione esercitata dai partner come anche la sottomissione
ad un accordo di gruppo - eventuali cause di una spinta ad imitare - non sono connesse
ai progressi cognitivi constatati.
La nostra interpretazione dei risultati ci dice che le interazioni sociali che obbligano il soggetto a coordinare le sue azioni con quelle altrui, lo portano conducono cosi
ad un processo di decentrazione che lo impegna in un conflitto tra il suo punto di vista
e quello dei suoi partner. Questo conflitto lo spinge, già nelle coordinazioni realizzate
collettivamente, ad una ristrutturazione cognitiva che si rivelerà ai post-test. Noi formuliamo l’ipotesi -che occorrerà confermare in seguito- che le differenze nell’ampiezza
degli effetti delle interazioni sociali (nella nostra ricerca: le differenze tra condizioni
sperimentali) siano dovute a questo conflitto socio-cognitivo, più forte quando i soggetti si esprimono o agiscono in funzione di punti di vista diversi. Questo spiegherebbe
le differenze di “efficacia” delle condizioni I e II rispetto alla terza condizione, o delle
“costellazioni” C. Sarebbe ugualmente possibile che sia individuabile una superiorità
della condizione I (o della “costellazione” A) dovuta all’importanza che essa dà al punto di vista opposto a quello del soggetto, visto che i due partner difendono in modo
identico la diversa posizione.
Verificheremo e approfondiremo quest’interpretazione nei capitoli seguenti, cercando di definire quali tipi di conflitto socio-cognitivo provocano progressi nei soggetti. Nel capitolo IV studieremo il confronto di un non-conservatore con un intermedio - partner che non padroneggia ancora la nozione in gioco ma che è tuttavia
di un livello superiore al soggetto. In quel caso, formuleremo l’ipotesi che questo tipo di situazione susciterà ugualmente un progresso chiaro, sin dal primo post-test,
in virtù del conflitto che essa crea tra il punto di vista del soggetto e quello del suo
partner. Questo confronto potrebbe tuttavia rivelarsi meno fecondo di quello che si
determina dal confronto di un non-conservatore con un conservatore, per il fatto
stesso che l’opposizione tra i punti di vista può apparire meno forte nel caso in cui
il partner oscilla nelle sue posizioni, come avviene nel caso del bambino intermedio,
rispetto ai casi in cui vi sia affermazione chiara della conservazione. Nel capitolo V
continueremo quest’indagine ricorrendo a situazioni sperimentali destinate a verificare l’ipotesi che il conflitto socio-cognitivo sia fecondo anche se il punto di vista del partner è livello cognitivo inferiore o simile a quello del soggetto, ma diversamente centrato.
123
Note
1
In realtà un errore di classificazione dei protocolli ha introdotto incidentalmente nella nostra ricerca un trio
comprendente un soggetto intermediario creando così un quarto tipo di gruppo sperimentale non previsto.
I risultati ottenuti dai soggetti di questo trio verranno unicamente utilizzati per quelle analisi indipendenti
dal tipo di gruppo sperimentale.
2
Abbiamo scelto di classificare questi soggetti fra i conservatori assumendo come riferimento la prova di
conservazione dell’uguaglianza per adottare criteri comparabili fra la I e la II ricerca.
3
Il conteggio in sè non è argomento operatorio. Appare già al livello precedente (intermedio) quando il
problema della qualità è risolto correttamente. Includiamo tuttavia tra i “conservatori” i soggetti che usano
il conteggio per affermare l’evidenza della conservazione.
4
Le esigenze cliniche di questo lavoro non hanno permesso di raccogliere dati da un numero elevato di soggetti, come abbiamo già precisato, e ciò rende impossibile ogni comparazione quantitativa statistica.
5
Un soggetto assente non ha il secondo post-test
6
Quando il test statistico utilizzato non viene esplicitato si tratta della probabilità esatta secondo Finney et
al. (1963).
7
Purtroppo manca il pre-test a questa prova della conservazione della materia di uno di soggetti della situazione IV, il che spiega perché nelle tabelle relative a questa prova presentano appaiono solo 36 soggetti.
8
Un soggetto, per errore, non ha sostenuto questa prova di conservazione della lunghezza
9
In corsivo nel testo originale.
10
Come abbiamo già ricordato nel primo capitolo, il nostro obiettivo non è quello di studiare le condizioni
che potrebbero portare i soggetti a regredire sul piano cognitivo. Tuttavia, sin dall’esperienza I, abbiamo
voluto assicurarci - ed è questo il caso - che una interazione con un soggetto di livello operatorio inferiore
non faccia regredire il bambino conservatore. In questa seconda esperienza la condizione II presenta un
interesse particolare poiché il conservatore si trova di fronte a due partner non-conservatori nella seduta collettiva. Ecco perché sottoponevamo i conservatori della condizione II ad un post-test. Dai risultati si rileva
che non soltanto questi soggetti non regrediscono, anche se, nel corso della seduta collettiva, essi rivelano
comportamenti analoghi a quelli intermedi, ma inoltre quelli tra loro suscettibili di progredire ancora nelle
prove proposte, lo fanno realmente: il soggetto di livello C- diventa C; il soggetto non conservatore, nella
prova della conservazione della quantità della materia, acquisisce questa nozione e progredisce nella prova
di conservazione della lunghezza; un soggetto intermedio della condizione IV, confrontato a due soggetti di
livello inferiore, progredisce al post-test fino allo stadio della conservazione nella prova della conservazione
delle quantità della materia.
11
Ricordiamo che i lavori sulla stabilità degli effetti che siamo in grado di citare interessano i campi specifici
del giudizio morale.
CAPITOLO 4
La conservazione del numero e l’effetto
differenziale della competenza iniziale dei
soggetti
1. Pre-requisiti per una ristrutturazione cognitiva: la competenza minima
La nozione di competenza minima coinvolge due dimensioni del problema che ci
interessa. Si tratta, da una parte, della competenza nell’interazione sociale che il soggetto deve necessariamente possedere per poter comunicare con i suoi partner ed entrare
così in un processo interindividuale di coordinazione di azioni di cooperazione o di
confronto- cioè di un “pre-requisito” all’interazione sociale. D’altra parte viene sollevato il problema dei “pre-requisiti necessari per una ristrutturazione cognitiva” ossia il
livello di competenza che il soggetto deve aver già raggiunto perché la partecipazione
ad un’interazione sociale data provochi in lui un progresso cognitivo. La terza ricerca,
che presentiamo in questa sede, intende rispondere a questo quesito.
Se si considera che numerosi fattori concorrono allo sviluppo dell’individuo e che
il fattore sociale non è che uno di questi, deve essere possibile chiarire sperimentalmente come quest’ultimo non possa avere effetto senza che altre condizioni vengano
soddisfatte. L’approccio interazionista e costruttivista ha prodotto un certo numero di
fatti che mostrano come lo sviluppo non sia una semplice la copia di un modello o di
un esempio esterno ma piuttosto una ricostruzione attiva operata dal soggetto; così
ogni conoscenza è una costruzione continua che comporta un aspetto di nuova elaborazione. Per articolare la nostra tesi sul ruolo delle interazioni sociali con quanto è già
noto sullo sviluppo cognitivo, occorre dimostrare che l’interazione sociale non suscita
un’attività costruttiva del soggetto se questi non ha raggiunto un livello di competenza
sufficiente per beneficiare di tale interazione.
Già nelle precedenti ricerche abbiamo potuto mostrare come l’elaborazione della
nozione di conservazione dei liquidi, conseguente ad una fase di interazione sociale sia
125
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
solidale con sviluppo di altre nozioni; più specificamente, che un livello avanzato nella
conservazione del numero o della quantità di materia renda più probabile un anticipo
sull’acquisizione della conservazione delle quantità di liquido.
In questa sede ci proponiamo di riprendere, sistematicamente, questo tipo di studio, allestendo le metodologie per discernere i diversi livelli gerarchizzati di condotte
dello stadio di non-conservazione concerenti la nozione messa in giuoco nella fase collettiva. Quest’affinamento della scala di valutazione dovrebbe permetterci di stabilire
quali relazioni esistono tra il livello iniziale di sviluppo del soggetto e la sua eventuale
evoluzione cognitiva conseguente l’interazione.
Dai risultati della prima e seconda ricerca risulta che i progressi messi in luce nei
soggetti sin dal post-test 1, poco dopo la fase collettiva, sono verosimilmente provocati dal conflitto di punti di vista provocato dalle interazioni sociali. Quali sono le
condizioni da realizzare, a livello individuale, perché il soggetto sia sensibile a questo
conflitto? Occorre senza dubbio che egli possa discernere la sua posizione da quella del
suo partner e che possa allora tentare una composizione di tale differenza. Ciò spiega
perché noi formuliamo l’ipotesi che soltanto i soggetti non-conservatori, che hanno già
raggiunto un certo livello di elaborazione concettuale, avranno i mezzi cognitivi necessari per beneficiare del confronto e, di conseguenza, accedere ad una ristrutturazione
intellettuale.
La terza ricerca si propone di dimostrare l’esistenza di un livello minimo, precisando dove esso si situi.
2. Scelta del metodo sperimentale
Questa terza ricerca, tratta problematiche analoghe a quelle delle due esperienze
precedenti, ma ricorrendo ad una analisi più dettagliata dei livelli dei non-conservatori.
È stata l’occasione per verificare quanto i processi descritti in precedenza siano generalizzabili, e mostrare che effetti analoghi possono prodursi per nozioni diverse da quella
della conservazione delle quantità di liquido.
La nozione di conservazione del numero, oggetto di molteplici studi dopo i lavori
di Piaget e Szeminska (1941), si presta particolarmente allo scopo essendonnote le caratteristiche legate alla sua elaborazione. Ciò ci ha consentito di studiare efficacemente
l’effetto di un’interazione sociale in soggetti che si trovano alla soglia dello stadio delle
operazioni concrete, permettendoci di dare una risposta alla domanda sul sé si potrà
riscontrare l’effetto dell’interazione sociale anche ad un’età così precoce nella quale la
cooperazione (nel senso piagetiano di coordinazione di operazioni) è, chiaramente,
ancora poco sviluppata.
D’altro canto, ad una lettura attenta dei lavori di Gréco (1962) sull’elaborazione
evolutiva delle nozioni numeriche, sembrerebbe che, in una prova sulla conservazione
del numero, le condotte dei soggetti non-conservatori relativi alla valutazione percettiva, alla messa in corrispondenza biunivoca ed al conteggio siano sufficientemente
diversificate per permettere di distinguere più livelli gerarchizzati di non-conservazione.
126
La conservazione del numero e l’effetto differenziale della competenza iniziale dei soggetti
In effetti, l’analisi delle interazioni sociali delle fasi collettive sembrerebbe consentire di imputare gli effetti ad altri meccanismi piuttosto che, alla semplice influenza
maggioritaria. Se cosi fosse, dovrebbe essere sufficiente mettere il soggetto in presenza
di un solo partner. Perciò cercheremo con questa ricerca di ritrovare gli effetti studiati
non più utilizzando triadi ma coppie di bambini in interazione.
L’obiettivo di questa terza ricerca è stato, per dei soggetti non-conservatori, lo
studio degli effetti di un’interazione sociale con un partner di livello intermedio. In
realtà i capitoli che precedono hanno suggerito come il conflitto tra punti di vista diversi generi un processo intensivo di ristrutturazione cognitiva che si manifesta poco
dopo l’interazione (post-test 1). Ciò ci ha condotti ad ipotizzare che anche il confronto di un soggetto non-conservatore con un partner intermedio dovrebbe essere fonte di ristrutturazione intensiva. Per verificare quest’ipotesi abbiamo creato tre
condizioni sperimentali che si distinguono l’una dall’altra per il diverso livello del
partner d’interazione: conservatore, intermedio, non-conservatore. Per aumentare le
possibilità di differenziare gli effetti di queste tre condizioni per intensità dei processi di ristrutturazione scatenati, effettueremo il post-test tre giorni dopo la fase d’interazione invece di otto.
3. Lo svolgimento della terza ricerca: la conservazione del
numero
3.1 Metodo
3.1.1 Soggetti
I soggetti di questa ricerca sono bambini che frequentano il penultimo o l’ultimo
anno di due scuole materne della periferia di Ginevra (in una di queste due scuole era
stata condotta la seconda ricerca, sulla conservazione dei liquidi, precedentemente descritta). In una aula temporaneamente inutilizzata della scuola, i bambini sono stati interrogati, tra febbraio e marzo 1975, da due adulti; uno incaricato di seguire lo svolgimento della intervista, l’altro con il compito di annotare dettagliatamente quanto
accadeva.
Dei 140 soggetti esaminati al pre-test 65 sono bambini e 75 bambine; 68 sono nel
primo livello della materna, 72 nel secondo. La loro età, calcolata nel giorno del pre-test,
è compresa tra 4;0 anni e 7;0 anni, l’età media di 5;6 anni. I due gradi scolastici corrispondono a due gruppi di età, e la ripartizione dei soggetti si è rivelata regolare per età e
livelli scolastici dato che in questa fase dell’istruzione non esiste il problema del ritardo.
3.1.2 Materiali
Per il pre-test ed il post-test il materiale comprende due collezioni di gettoni in
plastica, di due diversi colori (giallo e verde) e di 1,5 cm. di diametro.
127
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Per la situazione di interazione tra bambini i gettoni vengono sostituiti con confetti di cioccolato rivestiti di zucchero (“smarties”), di identica dimensione (1,5 cm)
che offrono una gamma di 7 colori. Il materiale di questa fase comprende inoltre, una
serie di “piatti” di cartone sui quali sono disegnati dei cerchi di 1,5 cm. Questi “piatti”
sono, in realtà, delle strisce di cartone larghe 3 cm. Esse sono lunghe 9 cm o 17 cm,
con disegnati 5, 6 o 7 cerchi disposti secondo il seguente modello:
Cartone A: 9 cm, 5
Cartone B: 17 cm, 5
Cartone C: 17 cm, 7
Cartone D: 9 cm, 6
3.2.3 Consegne e procedure
I soggetti di questa terza ricerca hanno un’età più bassa di quelli delle ricerche
precedenti e, come si potrà constatare nella descrizione delle consegne, si sono dovute prendere delle precauzioni per entrare in contatto con i bambini, assicurarandosi la
loro cooperazione e verificando che comprendessero il significato del compito.
Pre-test
Lo sperimentatore (S) conduce il bambino dove avrà luogo la ricerca. Dopo una
breve familiarizzazione con il secondo adulto presente, con i luoghi ed il registratore,
lo sperimentatore si siede ad un tavolo, situa il bambino accanto a sé, gli presenta i
gettoni e procede all’intervista. Questa si snoda secondo i principi del metodo clinico e
segue procedure molto vicine a quelle descritte da Piaget e Szeminska (1941) nella loro
ricerca sulla corrispondenza spontanea e la determinazione del valore cardinale degli
insiemi, e riprese da Inhelder, Sinclair e Bovet (1974).
Qui di seguito presentiamo lo sviluppo standardizzato dell’intervista ma è ovvio
che esso viene adattato ai singoli bambini, tenendo comunque conto della sua utiliz128
La conservazione del numero e l’effetto differenziale della competenza iniziale dei soggetti
zazione in termini di quantificazione. A tutti i soggetti viene proposto l’insieme degli
item descritti quì di seguito, rispettando un ordine costante ma, in qualche caso, lo
sperimentatore provvede a qualche aggiustamento in funzione delle risposte (ritorno su
certi item, domande o controsuggestioni supplementari, ecc.).
Dopo essersi accordato con il bambino sulla denominazione del materiale (“gettoni”, “pulci”, “cerchi”, ecc.) lo sperimentatore lo invita a scegliere il colore che desidera attribuirsi. Se il bambino sceglie, per esempio, i gettoni verdi lo sperimentatore si attribuirà quelli gialli, prendendone cinque e disponendoli allineati sul tavolo.
A questo punto chiede al soggetto di comporre una collezione equivalente numericamente con i suoi gettoni verdi: “metti lo stesso dei tuoi gettoni... lo stesso numero...
tanti verdi quanti ne ho messi di gialli... non di più, non di meno, così che tutti e due
ne abbiamo lo stesso”. Quando il bambino sembra soddisfatto dell’esecuzione e afferma l’uguaglianza fra la sua costruzione e quella dello sperimentatore, questi procede
a delle modifiche della sua fila, avvicinando i gettoni che la compongono. “Ed ora?”
− chiede al bambino − “se tu giochi con i gettoni verdi ed io con i gialli ne abbiamo lo
stesso entrambi, oppure ce ne è uno che ne ha di più, cosa pensi?” “Come lo sai?”. Questo item viene, in generale, ripreso, modificando una seconda volta la configurazione percettiva della linea iniziale. Nel caso in cui il bambino ha stabilito correttamente
l’uguaglianza si cerca di capire come egli procede: se ricorre a condotte di conteggio,
se realizza una messa in corrispondenza globale che non necessariamente approdi ad
un’equivalenza numerica.
L’osservazione dello sperimentatore viene accompagnata da domande rivolte al
bambino per chiarire il suo metodo: “come hai fatto?” oppure “come lo sai?”. Se, al contrario, il bambino ha preteso di aver costruito due serie equivalenti, mentre non è così,
lo sperimentatore cerca di verificare se si tratti di errata comprensione della consegna
da parte del bambino o di un errore occasionale. Per gli item seguenti lo sperimentatore ammucchia i gettoni come all’inizio, ne prende 5, li dispone come i 5 punti del
domino dicendo: “vedi quello che ho preso; metti lo stesso dei tuoi gettoni... lo stesso numero così che io e te ne abbiamo né più né meno”. Lo sperimentatore osserva le condotte del bambino, gli chiede di spiegare quel che fa e quindi, quando il bambino ritiene
di aver stabilito l’equivalenza delle costruzioni, procede a modifiche nella disposizione (allarga o restringe la configurazione). In seguito lo sperimentatore trasforma la sua
configurazione costruendo una linea con i suoi 5 gettoni gialli. Dopo ognuno di questi cambiamenti egli procede ad una nuova intervista sull’equivalenza delle collezioni.
Lascia ugualmente il soggetto manipolare i gettoni, che è quanto desiderano generalmente fare quei bambini che attribuiscono alla modifica della configurazione l’annullamento dell’equivalenza.
Durante tutta la prima parte dell’intervista lo sperimentatore si sforzerà di non indurre il ricorso al conteggio ne la messa in corrispondenza termine a termine, per poter
osservare se il bambino utilizza tali condotte spontaneamente. Questa cautela permette
ugualmente di evitare di indurre nel bambino, qualora lo si induca al conteggio, la
scoperta di quello che si potrebbe definire “una conservazione verbale del numero” che
si manisfesta con delle affermazioni del tipo: “ce ne sono sei quì e sei lì: è lo stesso!”.
In questi casi, il bambino constata di poter utilizzare la stessa “etichetta” per ogni serie
mentre, allo stesso tempo, resta convinto che “ci sono più gettoni” nella linea più lunga
129
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
(o in quella che percepisce come più fitta). Senza precauzioni, dall’inizio dell’intervista,
si rischia di non distinguere opportunamente queste condotte di pseudo-conservazione
dalle reali condotte di conservazione.
Diversamente, nella seconda parte del pre-test, lo sperimentatore cercherà di sapere se il bambino è capace, dietro suggerimento, di capire ed utilizzare il collegamento
biunivoco o se sa numerare e contare. Allo stesso modo, lo sperimentatore contrasterà
le affermazioni del soggetto per cogliere la sua attività logica e comprendere la struttura
del suo ragionamento.
Per fare questo, lo sperimentatore allinea 6 gettoni gialli e 6 verdi, disponendoli in
corrispondenza termine a termine e si assicura che il bambino giudichi correttamente
l’equivalenza delle costruzioni, poi nasconde una delle due file e chiede al bambino se
può dire quanti gettoni contiene e spiegare come lo sa. Se il soggetto non vi riesce, lo
sperimentatore scopre la linea nascosta, riformula la domanda ed osserva se il bambino
si basa sulla corrispondenza percettiva o procede per conteggio delle due linee. In seguito lo sperimentatore procede ad un’intervista sull’equivalenza come sopra descritta
(eventualmente aggiunge o elimina uno o più gettoni dalla sua linea mettendo così il
bambino di fronte a situazioni di ineguaglianza). Se le risposte del bambino sono di
conservazione, lo sperimentatore attirerà l’attenzione del bambino sulla configurazione: “guarda come è lunga questa linea, secondo te non ci sono più gettoni?” se le risposte
sono di non conservazione egli richiamerà l’equivalenza iniziale con osservazioni del
tipo: “ma tu ricordi cosa abbiamo fatto prima? Avevamo messo lo stesso di gettoni. C’era la
stessa quantità di gettoni gialli e verdi...ora è cambiato? Cosa ne pensi?”. Lo sperimentatore richiama ugualmente la corrispondenza termine a termine: “ti ricordi come avevamo
fatto? Avevamo messo un gettone giallo davanti ad ogni gettone verde; ci sono bambini che
mi dicono che quando si dispone cosi, un gettone giallo davanti ad ogni gettone verde, allora
si ottiene lo stesso di gialli e di verdi. Tu, cosa ne pensi?”.
Quando l’equivalenza numerica tra due linee di gettoni viene stabilita e constatata
dal bambino, lo sperimentatore, nascondendo con la mano la sua linea, chiede al bambino: “quanti gettoni contiene la tua linea?” ed aggiunge, se necessario: “puoi contarli?”
Se il bambino riesce a numerare i gettoni della linea lo sperimentatore termina l’intervista chiedendogli: “e sotto la mia mano quanti credi che ce ne siano? Puoi indovinare?
Come lo sai”.
Criteri
In base al livello operatorio delle risposte al pre-test abbiamo diviso i soggetti in
“conservatori”, “intermedi” e “non-conservatori”. I criteri utilizzati sono quelli descritti
da Piaget e Szeminska (1941) e ripresi da Inhelder, Sinclair e Bovet (1974). Dopo un
sondaggio effettuato a questo scopo, abbiamo inoltre ricavato quattro livelli all’interno
dello stadio della non-conservazione.
Primo stadio: assenza di conservazione (NC)
Il bambino emette giudizi non-conservatori nelle diverse situazioni. Ossia egli si
preoccupa solo della somiglianza qualitativa delle costellazioni che valuta percetti130
La conservazione del numero e l’effetto differenziale della competenza iniziale dei soggetti
vamente, oppure stabilisce corrispondenze intuitive ma pensa che l’equivalenza si perda quando le configurazioni vengono modificate. Abbiamo distinto questo stadio in
quattro livelli:
Primo livello: non-conservatore che procede per valutazione percettiva globale
(NCg).
Il bambino si accontenta di valutazioni globali delle costruzioni, non stabilisce
alcuna corrispondenza termine a termine e si preoccupa unicamente della somiglianza qualitativa. Le sue valutazioni sono fondate sullo spazio occupato o sulla
densità degli elementi. Non sa numerare una costruzione di sei elementi.
Secondo livello: non-conservatore che ricorre alla messa in corrispondenza termine a termine ma che non sa numerare (NCt).
Il bambino procede per corrispondenza termine a termine ma giudica l’equivalenza persa se si modificano le configurazioni e viene così alterata la corrispondenza ottica e spaziale. Egli avvicina o allontana gli elementi per ristabilire l’uguaglianza percepita in precedenza. Non sa numerare.
Terzo livello: non-conservatori che sanno numerare (NCd).
Il bambino sa numerare, o procede talvolta per numerazione, ma non utilizza
la messa in corrispondenza termine a termine. Le sue condotte di numerazione si alternano a valutazioni percettive globali. Se alcune configurazioni vengono modificate, giudica necessario numerare di nuovo gli elementi e, in genere,
non è soddisfatto di trovare lo stesso numero (o la stessa etichetta numerica) per
delle file di dimensioni diverse. Se due file si trovano in corrispondenza termine a termine, ed egli non conosce il numero di gettoni di una fila, non necessariamente prende il numero di gettoni dell’altra. Questi soggetti sanno dunque numerare nel senso di stabilire una corrispondenza termine a termine tra le
parole (uno, due, tre, quattro, ecc...) ed i gettoni di una riga. Molto probabilmente essi sarebbero ugualmente capaci di stabilire una corrispondenza termine a termine tra i gettoni di due serie se la consegna glielo chiedesse esplicitamente, ma ciò non è previsto nella procedura descritta. Quello che quì ci interessa è
che i soggetti di questo livello non ricorrono spontaneamente alla messa in corrispondenza dei gettoni delle due costruzioni per rispondere alle domande dello
sperimentatore. Le condotte di enumerazione che non ancora rivelano una genuina numerazione, non permettono loro di stabilire in tutti i casi l’equivalenza delle costruzioni.
Quarto livello: non-conservatori che procedono con messa in corrispondenza termine a termine e che sanno enumerare (NC4).
Il bambino procede per corrispondenza termine a termine per verificare o per spiegare come le costruzioni così stabilite siano equivalenti. Oppure, inversamente,
utilizza, sin dall’inizio, il conteggio e non stabilisce chiaramente una messa in corrispondenza termine a termine se non per dimostrare allo sperimentatore che c’è
la stessa quantità di gettoni nelle due figure.Tuttavia quando le modifiche delle
configurazioni sono troppo ampie giudica necessario enumerare di nuovo oppure evita di affermare l’equivalenza anche se ammette che, tornando indietro, si potrebbe ritrovare l’uguaglianza.
131
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Secondo stadio: comportamenti intermedi (I)
C’è alternanza di condotte del primo stadio (NC4) e del terzo. Le collezioni di
gettoni sono costituite attraverso una corrispondenza termine a termine corretta. Accade che il giudizio del bambino è conservatore per certe situazioni e non lo è per altre,
oppure il bambino esita ed oscilla anche in una stessa situazione. Il bambino presenta
una pseudo-conservazione del “nome” del numero dei gettoni che è diversa da una conservazione autentica della quantità di gettoni; il bambino sa che il risultato dell’azione
di numerazione sarà sempre lo stesso qual che sia la modificazione della configurazione
ma pensa che la quantità di gettoni cambi.
Terzo stadio: conservazione (C)
Il bambino realizza la corrispondenza termine a termine senza necessità di corrispondenza percettiva. Egli pensa che il numero di gettoni non venga alterato dalla
modifica delle collezioni (afferma, per esempio: “c’è n’è lo stesso, non è cambiato! Avevo
contato. Ce ne sono ancora 6 là e 6 là ) . In tutte le situazioni egli esprime giudizi stabili
di conservazione. Egli giustifica le sue affermazioni con uno o più dei seguenti argomenti:
– identità: “ce n’è lo stesso di gettoni verdi e gialli perché prima ce n’era lo stesso e
non abbiamo né tolto né aggiunto gettoni, sono solo più accostati”.
– reversibilità: “si può metterli come prima e si vede che ce n’è lo stesso” oppure “se
voi allargate i gettoni di questa linea sarà come quì. Ce n’è lo stesso”.
– compensazione: “quì è più grande (la linea è più lunga) ma è meno fitta allora fa lo
stesso”.
Situazione di interazione sociale
Questa fase ha luogo da uno a quattro giorni dopo il pre-test. Due bambini vengono accompagnati nella sala dove si è svolto il pre-test. Qui seggono ad un tavolino,
l’uno di fronte all’altro. Dopo i primi contatti lo sperimentatore presenta loro il materiale, cioè una serie di confetti (“smarties”) dicendo che questi confetti sono destinati a
loro ma che potranno averli solo a condizione di riuscire a diverli equamente fra loro.
Lo sperimentatore prende allora le strisce di cartone e chiede ai bambini di immaginare
che siano dei piatti: “faremo finta che sono dei piatti” oppure “vedete questi cartoni che
ho ritagliato, possiamo far finta che sono dei piatti?” (i bambini hanno sempre accettato facilmente questo “far finta”, mentre, senza precisare che si tratta di un “gioco”, la
funzione di questi cartoni sembra disorientarli).
Lo sperimentatore, a questo punto, pone al centro del tavolo una quindicina di
confetti, dà ad uno dei bambini (S1) il “piatto” A ed all’altro (S2) il “piatto” B (i due
cartoni A e B hanno lo stesso numero di cerchi ma sono di lunghezza diversa). I due
bambini si vedono dunque attribuire “piatti” di dimensioni diverse e delle sagome con
uno stesso numero di cerchi. Lo sperimentatore spiega che i “cerchi” disegnati sui piatti
corrispondono a “posti per i confetti” ma che essi non sono obbligati a tenerne conto;
132
La conservazione del numero e l’effetto differenziale della competenza iniziale dei soggetti
poi dice: “voi potete prendere degli “smarties” e metterli sul vostro piatto ma a condizione che ne abbiate tutti e due lo stesso”. Bisogna che siate tutti e due contenti se nò,
non è giusto. Come farete?”. In certi casi uno dei due soggetti da vita ad una distribuzione, in altri casi ogni bambino si serve da sé. Una volta che i bambini hanno terminato la “presa di confetti”, lo sperimentatore si rivolge ai due soggetti chiedendo loro se ne
hanno lo stesso e come giustificano le loro affermazioni. In altri casi lo sperimentatore
li spinge a trovare un modo per accordarsi sull’uguaglianza. Concluso l’accordo, si invertono i piatti tra i due partner per mettere alla prova la consistenza dell’accordo. Poi
riprende la procedura sperimentale in modo analogo, con altri cartoni. “Ecco, avete
capito bene il gioco! Proveremo ancora con altri piatti. Poi mangeremo i confetti”. Le
coppie di piatti utilizzati successivamente sono: B e C (tutti e due di 17 cm di lunghezza ma con un numero diverso di cerchi) ed A e D (di 9 cm ma con numero diverso di
cerchi). Alla fine dell’ultima spartizione lo sperimentatore autorizza i bambini a mangiare i confetti e chiede loro se sono tutti e due soddisfatti della spartizione.
Post-test
Il post-test ha luogo, individualmente, due-quattro giorni dopo la situazione collettiva, utilizzando la stessa procedura del pre-test e lo stesso modo di valutare le condotte.
Condizioni sperimentali
Abbiamo distinto tre condizioni sperimentali in funzione del livello (definito dal
pre-test) dei partner presenti nella situazione collettiva:
– condizione α: uno dei bambini è risultato “conservatore” al pre-test, l’altro nonconservatore”
– condizione β: uno dei bambini è risultato “intermedio” al pre-test e l’altro “nonconservatore”
– condizione λ: i due bambini sono risultati “non-conservatori” al pre-test.
Nelle condizioni α e β il soggetto non-conservatore viene così confrontato ad un
partner il cui livello è superiore al suo. Nella condizione teta l’interazione avviene tra
due bambini dello stesso livello.
Raccolta dati
Ad ogni seduta lo sperimentatore viene assistito da una persona incaricata di prendere nota dello svolgimento della seduta e dell’insieme delle condotte e delle affermazioni del (o dei) soggetto (i). Una registrazione sistematica su cassetta permette di
verificare che i protocolli siano completi.
133
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
3.2 Risultati
3.2.1 Analisi quantitativa delle condotte osservate
Pre-test
Per i 140 bambini pre-testati, l’analisi qualitativa dei protocolli rivela che i soggetti
hanno comportamenti del tutto simili a quelli descritti da Piaget e Szeminska (1941).
I sottostadi che abbiamo determinato come sopra descritto, permettono di classificare
questi soggetti in quattro livelli distinti.
La tabella 18 presenta i livelli dei soggetti nei due gradi di istruzione interessati.
Questi dati mostrano che, senza che vi sia transizione brusca, è nel grado scolastico
superiore che i bambini raggiungono più spesso un livello elevato in questa prova di
conservazione.
Tabella 18: Grado scolastico e livello alla prova di conservazione del numero al pre-test
Livello al pre-test
Livello
scolastico
NCg
NCt
NCd
NC4
I
C
Totale
II anno materna
16
2
10
26
7
7
68
III anno materna
0
0
4
6
11
51
72
Totali
16
2
14
32
18
58
140
Questi risultati possono essere spiegati per il fatto che i due gradi scolastici interessati corrispondono a gruppi di età diversi e, in un continuum per constatare che
si tratta proprio, per una data popolazione, della ripartizione di livelli caratteristica
di una nozione la cui acquisizione è connessa allo sviluppo, come Piaget e Szeminska
(1941) avevano messo in evidenza. Sviluppo che ritroviamo attraverso gli stadi definiti
da questi autori ed ugualmente attraverso i livelli di non-conservazione che noi stessi
abbiamo fissato.
Fase collettiva
Al pre-test 64 bambini vengono diagnosticati “non-conservatori”. Di questi, 40 vengono immessi nel piano sperimentale, in una delle tre condizioni descritte. Gli altri 24
bambini ci hanno permesso di effettuare dei sondaggi per affinare le procedure del pretest o della fase di interazione, oppure per determinare i diversi livelli di non-conservazione. Fra questi, altri non sono rientrati nel piano sperimentale a seguito di contingenze
orarie o assenze che impedivano il rispetto degli intervalli di tempo tra le sedute. Nelle tre
condizioni, i soggetti “non-conservatori” provengono per la maggior parte dalla prima
classe della scuola materna. La loro età media è compresa tra 5 annie 4 mesi.
134
La conservazione del numero e l’effetto differenziale della competenza iniziale dei soggetti
Quanto allo svolgersi delle fasi collettive, in tutte le condizioni sperimentali si è
potuto registrare scambi tra i bambini: domande, commenti, dimostrazioni, ordini,
opinioni o spiegazioni. Per far rispettare la consegna e permettere alla seduta di aver
luogo secondo la procedura descritta, lo sperimentatore ha dovuto prevedere, secondo i
livelli dei partner, un certo numero di interventi, tendenti a spingere i soggetti a parlare
tra loro invece che con lui o, che, ad un certo punto dell’interazione, si accontentassero delle azioni svolte anche senza aver raggiunto un accordo definitivo. Come per il
primo e secondo esperimento si rileva, a proposito di un’altra nozione e con bambini
più grandi, che sono soprattutto le situazioni alfa e beta (che mettono insieme soggetti
di livelli diversi) a suscitare il maggior numero di conflitti e di scambi tra i partner e il
minor numero di interventi da parte dello sperimentatore.
Post-test
L’insieme della popolazione presenta al post-test condotte di natura simile a quelle
del pre-test, il che permette dunque, in questo terzo tempo del piano sperimentale, di
valutare di nuovo il livello di ciascun soggetto alla prova di conservazione del numero
secondo i criteri utilizzati precedentemente.
Evoluzione delle condotte tra il pre-test ed il post-test
Un gran numero di bambini modificano i loro comportamenti, progredendo, tra
il pre-test ed il post-test. Noi distinguiamo due tipi di progresso a seconda della loro
ampiezza:
a) “piccoli progressi” (pp): essi corrispondono ad un cambiamento di livello del
soggetto all’interno dello stadio della non-conservazione (per es.: NCd diviene
NC4).
b) “grandi progressi” (P): questi corrispondono ad un cambiamento di stadio (soggetti non-conservatori che diventano intermedi o conservatori).
Va notato che un solo bambino presenta al post-test comportamenti inferiori a
quelli del pre-test. Si tratta di un soggetto NC4 che si comporterà da NCg in quest’ultima seduta. Presentiamo in questa sede alcuni esempi tendenti ad illustrare i due tipi
di progressi definiti:
Esempi di “piccoli progressi” (pp):
Questo è l’esempio di Phi il cui livello è NCd al pre-test e NC4 al post test.
Pre-test
Lo sperimentatore allinea 5 gettoni verdi e dice a Phi: “prendi dei gettoni gialli per
avere lo stesso di me, così che ci siano tanti verdi e tanti gialli”.
Phi: allinea 9 gettoni gialli.
135
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Spe: “ci sono più gialli o più verdi o lo stesso dei due colori?”
Phi: “non è lo stesso”
Spe: “fai in modo che ci sia lo stesso di gialli e di verdi”
Phi: “bisogna togliere questo” (restano 6 gialli)
Spe: “ce ne è uno che ne ha di più o lo stesso?”
Phi: “uno ne ha di più”. (Ritira ancora un gettone. Restano 5 gialli)
Spe: “ce ne è uguale o uno che ha di più?”
Phi: “non di più”
Spe: (allontana i verdi per formare una riga più lunga) “C’è lo stesso di gettoni gialli
e gettoni verdi per giocare oppure c’è uno che ne ha di più?”
Phi: (distanzia i suoi gettoni gialli e ne aggiunge fino a comprendere 8 gettoni).
Spe: “ci sono più gialli, più verdi, o lo stesso dei due?”
Phi: “lo stesso”
Spe: (distanzia ulteriormente i 5 gettoni verdi della sua riga) “ed ora, per giocare, ci
sono più gialli, più verdi o lo stesso, che cosa ne pensi?”
Phi: “non è lo stesso”
Spe: “ce ne è uno che ne ha di più?”
Phi: “si, tu”
Spe: “come fare per averne lo stesso tutti e due?”
Phi: “sposto quello in basso, anche questo, e questo (...)” (disponendo diversamente i
5 gettoni verdi e gli 8 gettoni gialli)
(...)
Spe: (allinea 6 gettoni verdi) “Puoi fare in modo che se ne abbia lo stesso? Bisognerebbe che tu abbia tanti gettoni gialli quanti ne ho io di verdi”
Phi: (allinea 7 gialli)
Spe: “sai contare?”
Phi: “uno due tre quattro cinque e sei” conta i verdi)“uno due tre quattro cinque e sei”
(conta i gialli poi dice)“non è lo stesso”
Spe: “ci sono più gialli, più verdi o lo stesso?”
Phi: “bisogna togliere questo” (restano 6 gialli)
Spe: “ed ora?”
Phi: “ci sono più verdi,uno due tre quattro cinque e sei” (conta i verdi)
Spe: “ed i gialli?”
Phi: “uno due tre quattro cinque sei” (conta i gialli ed aggiunge due gettoni gialli alla
sua riga per darle una lunghezza simile a quella dei sei gettoni verdi)
Post-test
Spe: (prende 5 gettoni verdi e li allinea)“Prendine quanti ne ho preso io”
Phi: (allinea 4 gettoni gialli). “Ci sono più verdi”
Spe: “allora prendi così da averne lo stesso”
Phi: (aggiunge un giallo, manipola i gettoni tastando; cerca di aggiungere o togliere gettoni gialli ma non è soddisfatto. Sembra guardare la lunghezza delle righe e
gli spazi tra i gettoni)
Spe: “ed ora, per giocare, come sono?”
136
La conservazione del numero e l’effetto differenziale della competenza iniziale dei soggetti
Phi: (mette i gettoni in corrispondenza termine a termine, ci sono 4 gialli e 5 verdi). “Non è lo stesso, ne occorre ancora uno”. (Aggiunge un giallo) “Ecco!”
Spe: ( riavvicina i verdi).
Phi: “ci sono più verdi”
Spe: “come fare perchè ce ne sia lo stesso?”
Phi: (silenzio poi) “bisogna metterne uno in basso, uno in alto e uno in basso...” (Riavvicina i gialli, mettendoli in corrispondenza termine a termine)
(...)
Spe: (pone 6 gialli e 6 verdi in corrispondenza termine a termine. Il bambino ammette l’equivalenza. “se nascondo i verdi puoi dirmi quanti ce ne sono?”
Phi: (silenzio)
Spe: “e di gettoni gialli quanti ce ne sono?”
Phi: “uno due tre quattro cinque e sei”
Spe: “scopre i verdi”. “E di verdi?”
Phi: “uno due tre quattro cinque e sei”
Spe: (distanzia i verdi)
Phi: “ce ne è lo stesso”
Spe: “io, gioco con i gettoni verdi, e tu giochi con i gialli, ne abbiamo lo stesso?”
Phi: “no ci sono più verdi”
Esempi di “ampi progressi” (P)
Primo esempio: Dor il cui livello al pre-test è “non-conservatore” (NC4) e al posttest “intermedio” (I).
Pre-test
Spe: (dispone 5 gettoni verdi in riga, il bambino ne prende 5 gialli)
Spe: “ne hai presi come me?”
Dor: “si, questi bastano”
Spe: (allontana i 5 verdi) “se tu giochi con i gialli ed io con i verdi, abbiamo lo stesso,
oppure ce n’è uno che ne ha di più, cosa ne pensi ?”
Dor: “sono di più i verdi”
Spe: “e se io faccio questo?” (riavvicina i gettoni verdi affinché la riga dei verdi sia
più corta della riga dei gialli) “ci sono più verdi, più gialli o lo stesso?”
Dor: “sono pochissimi verdi e molti gialli”
Spe: “e se io gioco con tutti i verdi e tu con tutti i gialli, per giocare ne abbiamo uguale
oppure no?”
Dor: “io ne ho più di te e tu ne hai meno”
Spe: “come bisogna fare per averne lo stesso?”
Dor: “bisogna fare tutto stretto” (avvicina i gettoni, ne aggiunge) “così la riga sarà
simile”
Spe: “ed ora?”
Dor: “è lo stesso”
(I gettoni vengono riammucchiati, lo Sperimentatore prende 5 gettoni verdi e li
137
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
dispone come il cinque del domino, Dor ricopia la figura con 5 gettoni gialli)
Spe: “ora ci sono più verdi, più gialli o lo stesso dei due colori?”
Dor: “lo stesso”
Spe: (riavvicina i gettoni verdi)
Dor: “tu ne hai pochissimi, io ne ho molti”
Spe: “di che?”
Dor: “di gettoni”
(I gettoni vengono di nuovo riammucchiati, lo Sperimentatore allinea 5 gettoni
verdi, Dor prende 5 gettoni gialli)
Spe: (con la mano nasconde la riga dei verdi) “se nascondo i miei gettoni sai quanti
ne ho?”
Dor: (conta senza dubbio mentalmente ma facendo un errore) “6!”
Spe: “come lo sai?”
(silenzio)
Spe: “e tu, quanti ne hai?”
Dor: “6!”
Spe: “e se ne aggiungo ancora due verdi” (lo fa) “quanti ne ho?”
Dor: “8!”
Spe: “come lo sai?”
Dor: “perché tu ne hai presi ancora due”
(...)
Post-test
Spe: (allinea 5 gettoni verdi, Dor 5 gialli) “abbiamo la stessa quantità, di gettoni o
qualcuno ne ha di più?”
Dor: “io ne ho di più”. (Toglie un gettone giallo, ne restano 4)
Spe: “sei sicura?”
Dor: “si”
Spe: “come lo sai?”
Dor: “perché ho contato!”
Spe: “ah si, prosegui!”
Dor: “uno due tre quattro e...” (aggiunge un gettone giallo) “cinque! Non due perché
farebbe sei!”
Spe: (ci sono dunque due righe uguali di cinque gettoni, distanzia i gettoni verdi)
Dor: “tu ne hai di più!”
Spe: “quanti ne ho io?”
Dor: “tu sei ed io cinque” (in realtà ce ne sono 5 verdi e 5 gialli).
(...)
Spe: (visto che Dor ha affermato l’equivalenza di due file simili di 5 gettoni, riavvicina i gettoni verdi)
Dor: “i gialli sono di più”
Spe: (indicando i gialli) “qui c’è una riga lunga e qui” (indicando i verdi) “una riga
corta, ma ci sono più gettoni gialli, più verdi o la stessa quantità dei due tipi?”
Dor: “più gialli”
138
La conservazione del numero e l’effetto differenziale della competenza iniziale dei soggetti
Spe: “cosa fare perché ce ne siano uguale quantità, lo stesso per giocare?”
Dor: “non ho che da metterli fitti”
Spe: (riammucchia i gettoni, compone la figura cinque del domino con i gettoni
verdi e Dor la riproduce con i gialli)
Spe: “ne hai presi come me?”
Dor: “si”
Spe: (distanzia i suoi gettoni verdi che formano quindi una figura più larga)
Dor: “ci sono più verdi!”
Spe: “come lo sai?”
Dor: “perché è più grande il tuo e se io lo metto più grande allora è lo stesso”
(...)
Spe: (trasforma la sua figura in una riga)
Dor: “è lo stesso” (abbozza un gesto come per situare anche i gettoni gialli in riga)
Spe: “e se tu li lasci così a ‘fiorè ?”
Dor: “è lo stesso perché ne avevamo preso la stessa quantità, ognuno ne ha cinque”
Spe: (distanzia i suoi formando così una riga più allungata)
Dor: “tu ne hai di più perché è più largo”
Spe: “si ma se io gioco con tutti questi gettoni verdi e tu con questi gialli..”
Dor: “tu ne hai molti di più”
(...)
Spe: (visto che Dor considera come equivalenti le due righe comprendenti rispettivamente sette gettoni gialli e sette gettoni verdi egli riavvicina i verdi)
Dor: “io ne ho molti e tu pochi”
Spe: “quanti ne ho io?”
Dor: “ne ho anch’io sette”
Spe: “ne abbiamo lo stesso per giocare?”
Dor: “io ne ho di più perché sono distanziati”
Spe: “io ho una piccola riga e tu una grande, ma di gettoni, ne ho di più, di meno o la
stessa quantità di te?”
Dor: “lo stesso”
Spe: “ma perché?”
Dor: “perché ho contato”
Spe: “ma prima tu avevi detto che non c’era lo stesso”
Dor: “è lo stesso!”
L’analisi di questi protocolli mostra che al pre-test Dor si concentra essenzialmente
sulla configurazione dei gettoni nelle varie disposizioni. Nel corso dell’intervista si nota
poi che Dor ricorre alla messa in corrispondenza termine a termine per stabilire l’equivalenza delle due costruzioni. Sa calcolare la serie di gettoni e valuta correttamente anche il numero di gettoni della riga (costruita in precedenza in corrispondenza termine
a termine) nascosta dalla mano dello sperimentatore. In nessun caso Dor prevede che
una modificazione della configurazione possa lasciare inalterata la quantità di gettoni.
Diversamente, al post-test, si delinea l’evoluzione del soggetto e Dor emette giudizi di conservazione, in particolare nel caso della figura del domino dove propone un
argomento di identità (“è lo stesso perché ne avevamo preso lo stesso”). Altre condotte non
139
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
conservatorie si succedono, basate sulla lunghezza delle righe. Dor oscilla ugualmente
nelle operazioni di conteggio. Se queste possono servirle per stabilire l’equivalenza
numerica effettiva delle righe o a giustificare le sue affermazioni della conservazione,
non sembra tuttavia che la nozione venga solidamente costruita. In effetti, capita a
Dor di sostenere che una modifica della dipsosizione dei gettoni non lasci il numero
invariante, oppure di considerare che il numero resti inalterato ma che la quantità
vari.
Secondo esempio: Oli, il cui livello al pre-test è non-conservatore (NCd) e al posttest conservatore (C).
Pre-test
Lo sperimentatore allinea 5 gettoni verdi e dice ad Oli: “prendine molti, come me!”;
Oli costruisce una riga di 7 gettoni gialli che parte dall’estremità della riga dello
sperimentatore e forma con essa un angolo di circa 60 gradi (senza nessuna messa
in corrispondenza termine a termine).
Oli: “ecco. Abbiamo lo stesso”
Spe: (distanzia i gettoni verdi della sua riga)
Oli: “ci sono più verdi perché è messo così”
Spe: “ma se gioco con i verdi e tu con i gialli, siamo tutti e due contenti, oppure ce ne è
uno che è più contento, perchè ne ha di più? C’è la stessa quantità di gettoni oppure ci
sono più verdi o più gialli? Cosa credi?”
Oli: “ci sono più verdi”
Spe: (riaccostando i suoi 5 gettoni verdi) “se metto i miei gettoni così e lo fai anche
tu?” (i sette gettoni gialli vengono avvicinati a loro volta)
Oli: “ci sono più gialli”
(...)
Spe: (prende cinque gettoni verdi e li dispone come l’analoga figura del domino)
“Prendine lo stesso!”
Oli: (fa lo stesso con cinque gettoni gialli. Ottiene una configurazione più piccola)
Spe: “ci sono più verdi o più gialli?”
Oli: “lo stesso”
Spe: “come lo sai?”
Oli: “perché è lo stesso numero”
(...)
Spe: (costruisce due file di 5 gettoni in corrispondenza termine a termine)
Oli: (commenta) “sei!”
Spe: “come lo sai? spiegami”
Oli: “così!”
Spe: “come?”
Oli: “ho contato uno due tre quattro cinque” (in effetti ci sono 5 gettoni gialli o
verdi).
Spe: “conta ancora una volta”
140
La conservazione del numero e l’effetto differenziale della competenza iniziale dei soggetti
Oli: “uno due tre quattri cinque sei”
Spe: “e se è così” (allontana i gettoni verdi) “c’è la stessa quantità di gettoni gialli e
gettoni verdi?”
Oli: “ce ne sono di più verdi”
Spe: “quanti ce ne sono?”
Oli: “sempre sei”
(...)
Da questo protocollo risulta che Oli non si serve della messa in corrispondeza
termine a termine benché sappia attribuire lo stesso numero (“sei”, ma in realtà ci sono
cinque gettoni) alle due file costruite dallo sperimentatore. Egli ricorre al conteggio
ma non lo padroneggia: commette sistematicamente errori. Questa tecnica, spesso maldestra, del calcolo gli permette di risolvere il problema del domino (a meno che non
sia la conoscenza del domino in se che lo aiuta a stabilire che le due configurazioni di
dimensioni diverse siano “lo stesso”?) ma non gli permette mai, quale che sia la formulazione suggerita dallo sperimentatore, di affermare l’equivalenza dei gettoni di due
righe di lunghezza diseguale.
Post-test
Spe: (prende 5 gettoni verdi e li allinea dicendo) “prendine tanti così, prendine la
mia stessa quantità”
Oli: (costruisce mettendo in corrispondenza termine a termine una seconda riga di
cinque gettoni gialli; sembra contare mentalmente).
Oli: “ecco!”
Spe: “come sai che ce n’è lo stesso?”
Oli: “perché ho contato”
Spe: (distanzia i gettoni verdi) “se io gioco con i gettoni verdi e tu giochi con i gettoni
gialli, ne abbiamo lo stesso oppure uno di noi ne ha di più?”
Oli: “ne abbiamo sempre lo stesso”
Spe: “come lo sai?”
Oli: “è sempre sei” (in realtà ci sono 5 gettoni)
Spe: (riavvicinando i gettoni verdi) “lascia i tuoi così. Ecco. se io gioco con i verdi e tu
con i gialli, ci sono più verdi, più gialli o lo stesso dei due tipi?”
Oli: “lo stesso”
Spe: “come lo sai?”
Oli: “ce ne sono sempre sei”
Spe: “una bambina che è venuta prima di te mi ha detto che questa è una riga piccola
e ci sono meno gettoni qui, credi che abbia ragione e si è sbagliata?”
Oli: “si è sbagliata”
Spe: “come glielo spiegheresti?”
Oli: “le direi che sono sei”
(...)
Spe: (colloca i cinque gettoni come l’analoga figura del domino, Oli lo imita, con
qualche difficoltà, con i cinque gettoni gialli. Poi lo sperimentatore distanzia i suoi
141
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
gettoni verdi) “abbiamo la stessa quantità, di gettoni tutti e due oppure uno ne ha di
più?”
Oli: “nessuno ne ha di più”
Spe: “come lo sai?”
Oli conta mentalmente poi dice: “ce ne sono sei” (in realtà ce ne sono cinque)
Spe“per tutti e due?”
Oli: “si”
Spe: (distanzia i gettoni verdi)
Oli: “abbiamo lo stesso”
Spe: (li mette in riga)
Oli: “sempre lo stesso!”
Spe: (distanzia i gettoni della sua riga)
Oli: “sempre lo stesso!”
(...)
Spe: (costruisce due righe di 7 gettoni in corrispondenza termine a termine, dopo
aver constatato che il soggetto riconosce l’equivalenza, mette i 7 gettoni verdi in
un mucchio)
Oli li conta: “è lo stesso, è sempre lo stesso”
Spe: “anche per me questi fanno un mucchio?”
Oli: “si”
Spe: “si, quanti ne ho ?”
Oli: “sei” (in realtà ce ne sono 7)
Le condotte che Oli presenta al post-test si differenziano nettamente da quelli del
pre-test poichè, in questo secondo caso, afferma costantemente la conservazione, quale
che sia la deformazione presentata dallo sperimentatore. Sembra non dubitare mai o
oscillare tra punti di vista diversi e questo autorizza a dignosticare il superamento del
livello intermedio. Appare tuttavia - è questo il caso - che la sua acquisizione della nozione sia recente e denoti una costruzione operatoria che si sta completando, come si
vede dal fatto che Oli abbia difficoltà nell’argomentare le sue affermazioni. Egli le giustifica attraverso il calcolo operato (benché le sue condotte di conteggio siano sempre
maldestre, mentre sul piano nozionale, Oli sembra aver fatto progressi): “c’è lo stesso perché ho contato!”. Oli si riferisce ugualmente al conteggio per formulare un argomento
che sembra prossimo all’identità e alla domanda: “come sai che abbiamo sempre lo stesso?”
risponde “è sempre sei”, senza contare.
3.2.2 L’effetto conseguente l’interazione e il ruolo del livello iniziale del soggetto e del suo partner
Abbiamo visto precedentemente che l’analisi dei protocolli dei pre-test e post-test
permette di mettere in evidenza evoluzioni di maggiore o minore ampiezza a livello
della strutturazione cognitiva dei soggetti. Sarà comunque possibile ritrovare l’effetto
delle condizioni sperimentali sulle conseguenze delle interazioni che hanno avuto per
oggetto la conservazione delle quantità di liquidi? O, più precisamente, si evidenzierà,
142
La conservazione del numero e l’effetto differenziale della competenza iniziale dei soggetti
ancora una volta, che i soggetti non-conservatori sono più suscettibili di progredire se
confrontati con un partner di livello superiore di quanto non lo siano se interagissero
con un compagno ugualmente non-conservatore che assumesse lo stesso punto di vista
a proposito della nozione in questione? Abbiamo fatto l’ipotesi che si sarebbero registrati progressi quale che fosse il livello del partner, conservatore o intermedio (dunque
sia nella condizione α che β) ma ci aspettiamo che il conflitto sia più evidente nel
primo caso e dunque più efficace nella condizione che lo prevede.
La tabella 19 presenta i progressi registrati al post-test nelle diverse condizioni
sperimentali.
Tabella19: Progressi dei soggetti al post-test nelle diverse condizioni sperimentali della
terza ricerca, in funzione del loro livello iniziale al pre-test.
Livello al Pre-test
NCg
NCt
NCd
NC4
Totali
P
NP
P
NP
P
NP
P
NP
P
NP
α
NC+C
0
1
0
0
1
2
5
5
6
8
β
NC+I
0
1
0
0
1
3
1
4
2
8
λ
NC+NC
1
4
0
1
1
1
0
8
2
14
Totale
1
6
0
1
3
6
6
17
10
30
P = progressi
NP = non progressi
L’ordine atteso tra le tre condizioni sembra confermato nella misura i cui i soggetti non-conservatori tendono a progredire più frequentemente se confrontati a conservatori (condizione α: 6 progressi su 14 soggetti) che se confrontati ad intermedi
(condizione β: 2 progressi su 10); l’effetto di una interazione con un partner di livello
superiore (condizioni α e β: 8 progressi su 24) sembra più feconda di quella con un
altro soggetto di livello simile (condizione λ: 2 progressi su 16). Si tratta comunque di
tendenze, in assenza di differenze significative sul piano statistico.
La presente ricerca, inoltre, ha perseguito un secondo fine: cercare di stabilire quali
fossero, per i soggetti, i prerequisiti necessari affinchè apparissero gli effetti delle condizioni sperimentali. La tabella 20 presenta i dati relativi all’evoluzione delle condotte, tra
pre-test e post-test dell’insieme dei soggetti non-conservatori. Sono soprattutto i soggetti dei livelli più avanzati all’interno dello stadio della non-conservazione (gli NCd e
gli NC4) che progrediscono (9 su 32) mentre si trova un solo soggetto che progredisce
tra gli otto dei livelli inferiori NCg ed NCt. E, il soggetto NCt manifesta solo un “piccolo progresso”. Perché i soggetti non-conservatori dei livelli inferiori non beneficiano
143
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
delle interazioni sociali? Probabilmente perché non riescono a “entrare in argomento”
nello scambio con il loro partner di livello superiore.
Tabella 20: Evoluzione tra il pre-test ed il post-test delle condotte dei soggetti non-conservatori nella prova di conservazione del numero per le tre condizioni sperimentali.
Livello al Post-test
Livello al
pre-test
NCg
NCt
NCd
NC4
C
I
Totali
NCg
6
0
1
0
0
0
7
NCt
0
1
0
0
0
0
1
NCd
0
0
6
1
1
1
9
NC4
1
0
0
16
5
1
23
Tot.
7
1
7
17
7
2
40
In effetti si può osservare che i bambini di livelli superiori abbordano, sistematicamente, il compito presentato nella fase collettiva ricorrendo a comportamenti di calcolo
e di messa in corrispondenza termine a termine, sia per impostare delle costruzioni equivalenti di “smarties” nella suddivisione, sia per dimostrare l’equità di questa. Per il soggetto NCt che, nel pre-test, non ha saputo servirsi della tecnica del conteggio, le condotte
del suo partner sono diverse dalle sue, a due livelli: da una parte questo partner ricorre
al conteggio e dall’altra si riferisce a questa operazione per affermare (ciò avviene sempre
nei conservatori, a volte negli intermedi) che le quantità di “smarties” si conservano. Si
può suppore che, per un bambino NCt, sia particolarmente difficile cogliere la diversità
dal punto di vista del partner, a livello delle condotte di conteggio e del significato che
viene loro attribuito. A maggior ragione le difficoltà dovrebbero essere ancora maggiori
per un soggetto NCg che non soltanto affronta gli stessi ostacoli di un NCt, per capire
le condotte di conteggio, ma che incontra problemi analoghi con la messa in corrispondenza termine a termine. Così, le prime acquisizioni che questi soggetti debbono fare riguardano queste condotte (superiori alla valutazione percettiva globale) che permettono
la costruzione di due insiemi equivalenti anche se i soggetti, pur possedendole, non riconoscono l’equivalenza nel caso di configurazioni che presentano conflitti percettivi. Ora
il compito proposto durante le interazioni sociali mette specificamente in gioco queste
condotte elementari; permette agli attori di riferirvisi per costruire una suddivisione equa
in alcune configurazioni (reificate dai “piatti”) conflittuali. In tal modo, le interazioni
sociali non hanno per oggetto le condotte che gli NCg e gli NCt devono acquisire (da
cui la loro relativa “incapacità di acquisirle”) ma esse le presuppongono (da cui l’impossibilità nella quale si trovano gli NCg e gli NCt di prendere efficacemente parte a queste
interazioni sociali a proposito della nozione di conservazione del numero).
144
La conservazione del numero e l’effetto differenziale della competenza iniziale dei soggetti
Stando a questi risultati ed a quest’analisi appare chiaro che, per poter partecipare
ad una data interazione sociale - e trarne profitto - occorre che i soggetti abbiano già
acquisito un certo numero di condotte a cui fa appello l’interazione. In una prospettiva
costruttivista resta dunque da mostrare come questi prerequisiti possano essere elaborati nel corso delle interazioni sociali.
Abbiamo da poco visto che l’interesse della fase collettiva riguarda principalmente
il coordinamento di azioni che permettono la costituzione di costruzioni numericamente equivalenti nelle configurazioni percettive conflittuali; e che sono dunque queste sedute più idonee a favorire uno sviluppo sul piano della nozione di conservazione
del numero (“ampio progresso”) piuttosto che l’attivazione di condotte elementari di
messa in corrispondenza termine a termine e di conteggio in configurazioni semplici (“piccoli progressi”). Ecco perché ci sembra pertinente paragonare le tre condizioni sperimentali perché provocano progressi “ampi”. D’altro canto, limiteremo questa
comparazione ai soli soggetti non-conservatori, suscettibili, all’analisi precedente, di
una tale evoluzione cognitiva come conseguenza dell’interazione: gli NCd e gli NC4.
La tabella 21 presenta questi dati.
Tabella 21:Progressi dei soggetti al post-test in alcune condizioni sperimentali della
terza ricerca, in funzione del loro livello iniziale al pre-test.
Livello al Pre-test
NCd
NC4
NCd+NC4
Totali
P
NP
P
NP
P
NP
α
NC+C
1
2
5
5
6
7
13
β
NC+I
1
3
1
4
2
7
9
λ
NC+NC
0
2
0
8
0
10
10
Totali
2
7
6
17
8
24
32
P = progressi
NP = non progressi
Prima di tutto ritroviamo, per la conservazione del numero, il fenomeno già messo in evidenza nella seconda ricerca sulla conservazione delle quantità di liquidi: i soggetti non-conservatori tendono a progredire di più (6 volte su 13) se interagiscono con
un partner conservatore (condizione α) che con un non conservatore (condizione λ: 0
progressi su 10 soggetti). Questo risultato è significativo sul piano statistico (soglia di
probabilità di Fisher: .025). Ricordiamo che la condizione α di questa terza ricerca differisce dalla condizione corrispondente della seconda ricerca (condizione I), per il nu145
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
mero dei partner della fase collettiva (il non-conservatore viene confrontato non a due,
ma ad un solo conservatore). Questo mostra chiaramente che, come abbiamo precedentemente supposto, non è necessario che il non-conservatore sia messo in presenza di
una maggioranza di conservatori perché si realizzi l’effetto dell’interazione.
Abbiamo perciò formulato l’ipotesi che l’efficacia della situazione collettiva nel
suscitare una evoluzione cognitiva risieda nel fatto che essa confronta il soggetto nonconservatore ad un punto di vista diverso dal suo. Questo è il caso delle condizioni α
e β e che le differenzia dalla condizione λ: queste due condizioni α e β sono le sole a
dare luogo a progressi al post-test e appaiono, anche sul piano statistico, differenti dalla
condizione λ (probabilità esatta: .034).
Questi risultati tendono a verificare le nostre ipotesi e l’analisi specifica dell’evoluzione delle condotte dei soggetti della condizione beta mostra che esse vanno proprio
nella direzione prevista, pur non raggiungendo, purtroppo, la soglia di significatività
statistica: soggetti non-conservatori progrediscono dopo un confronto con un partner
intermedio, mentre ciò non avviene quando quest’ultimo è, anch’esso, non-conservatore; tuttavia i progressi registrati come conseguenza di una interazione con un soggetto intermedio sono meno frequenti di quelli che si originano dal confronto con un soggetto conservatore, senza dubbio perché il conflitto tra i punti di vista è meno deciso.
Alla lettura dei protocolli di questa terza ricerca, si può fare ancora un’annotazione
su di un punto che non è specificatamente oggetto del nostro studio: per delle ragioni
deontologiche, come nelle esperienze precedenti, abbiamo preso la precauzione di verificare con dei post-test che i soggetti conservatori della condizione α non regrediscano a
seguito dell’interazione sociale con i loro partner di livello inferiore. La stessa precauzione ci ha portati ad esaminare l’evoluzione dei 10 soggetti intermedi della condizione β.
La tabella 22 presenta i livelli al post-test dei soggetti intermedi, in funzione del
livello del partner al pre-test.
Tabella 22: Livelli al post-test dei soggetti intermedi, in funzione del livello del loro partner al pre-test.
Livello del partner al pre-test
Livello degli
intermediari al
post-test
NCg
NCd
NC4
Totali
NC4
0
0
1
1
I
0
3
1
4
C
1
1
3
5
Totali
1
4
5
10
È evidente che un solo soggetto intermedio regredisce (a livello NC4) e che la
metà di loro (5 su 10) beneficia dell’interazione con un partner inferiore diventando
conservatori. Non avendo, questa ricerca, assunto come oggetto di studio preliminare
146
La conservazione del numero e l’effetto differenziale della competenza iniziale dei soggetti
i progressi di soggetti che interagiscono con bambini di livello inferiore, manca un
gruppo di confronto che permetta una valutazione consistente degli effetti per i soggetti intermedi. In assenza di questi dati, possiamo semplicemente comparare i risultati
con quelli ottenuti precedentemente per un’altra nozione di conservazione (cfr tab.
n.1): nella prima ricerca, 7 dei 9 soggetti intermedi paragonati a partner conservatori
progrediscono.
È possibile fare l’ipotesi che, se un’interazione con un soggetto di livello superiore
si rivela proficua, lo sarà altrettanto un’interazione con un soggetto di livello inferiore?
Studieremo sperimentalmente questo problema nel prossimo capitolo.
3.3 Conclusioni
La terza ricerca, dedicata al problema dell’acquisizione della nozione di conservazione del numero, ci permette di ritrovare, in bambini più piccoli e in un campo
nuovo, l’effetto dell’interazione sociale, messo in evidenza dalle precedenti ricerche. Ci
mette, inoltre, in condizione di esplicitarne più precisamente le condizioni individuali
e sociali del suo manifestarsi.
Senza condividere necessariamente critiche come quelle di Lefebvre-Pinard (1976)
rivolte a taluni lavori sull’apprendimento, ci sembra importante sottolineare, dopo
averli analizzati, che si tratta, come per la nostra seconda ricerca, proprio di soggetti
di livello preoperatorio che si avvalgono della situazione di interazioni sociale proposta
nel corso di questa terza ricerca.
Nel capitolo precedente, in un passaggio terorico analogo a quella di Inhelder,
Sinclair e Bovet (1974), abbiamo iniziato a mettere in evidenza come i progressi riconducibili all’interazione si iscrivano nel quadro di quanto è già noto sulle leggi dello
sviluppo. In effetti i risultati ci hanno permesso di scartare una interpretazione semplicemente maturazionista che ricorre a spiegazioni in termini di processi di riorganizzazioni interne. Ci restava dunque da mostrare che l’effetto delle interazioni sociali è
subordinato alle possibilità intraindividuali del soggetto di procedere alle assimilazioni
ed accomodamenti necessari per appropriarsi dei coordinamenti realizzati sul piano
interindividuale: occorreva ancora mostrare sperimentalmente che la natura e l’importanza dei progressi è funzione del livello iniziale di sviluppo del soggetto.
Se dunque riscontriamo quì, come nelle due ricerche precedenti, che questo tipo
di interazioni sociali promuove progressi cognitivi, non soltanto in soggetti intermedi
ma ugualmente - ed è in questo il suo principale interesse - in soggetti non-conservatori, l’obiettivo principale di questa terza ricerca è stato dunque più preciso. Si voleva
verificare l’esistenza di un livello iniziale che i non-conservatori debbono aver raggiunto per poter beneficiare delle interazioni specifiche che noi proponiamo loro. A questo
proposito abbiamo distinto, nell’introduzione a questa terza ricerca (cfr primo paragrafo del presente capitolo), due tipi di competenza minima necessaria: i pre-requisiti
all’interazione sociale ed i pre-requisiti ad una ristrutturazione cognitiva.
La prima constatazione che si può ricavare, partendo dai risultati, interessa piuttosto questi ultimi: effettivamente solo i soggetti che manifestano fin dal pre-test uno dei
livelli superiori di non-conservazione si rivelano suscettibili, dopo le interazioni sociali,
147
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
di assumere, al post-test, comportamenti che denotano una ristrutturazione cognitiva.
Tali risultati non sono nuovi. Autori come Cowan, Langer, Heavenrich e Nathanson
(1969), e Murray, J.P.(1974) hanno già dimostrato, in un diverso quadro teorico, che
la sensibilità dei soggetti, all’effetto di modeling o di condizionamento è funzione del
loro livello iniziale di sviluppo. Comunque, questi dati ci indicano il livello di sviluppo
del soggetto, a partire dal quale le procedure specifiche scelte si rivelano suscettibili di
produrre effetti. Ci si potrebbe chiedere se analoghe procedure potrebbero essere verificate nei soggetti dei livelli inferiori. Ma abbiamo la sensazione che potrebbero rivelarsi
inutili, lunghe, e non interessanti per i soggetti più avanzati. Il problema che ci sembra
più pertinente è piuttosto quello di determinare quali siano le condizioni che suscitano
progressi nei soggetti inferiori tali da condurli al livello minimo per beneficiare delle
procedure scelte. Quanto al problema che ci concerne abbiamo potuto determinare un
livello a partire dal quale i soggetti appaiono suscettibili di trarre vantaggio dalle interazioni sociali alle quali li esponiamo. Pensiamo ugualmente di aver potuto precisare
perché la forma di interazione, che abbiamo prescelto, non si riveli suscettibile di far
progredire i soggetti dei livelli più bassi di non-conservazione. Formuliamo l’ipotesi,
che resta da verificare sperimentalmente, che altri tipi di interazioni sociali potrebbero contribuire al progresso di questi soggetti, nella misura in cui esse giungessero ad
interessare le condotte di livello immediatamente superiore a quello di questi soggetti,
nel rispetto dell’ordine genetico. Abbiamo visto come siano proprio quelle condotte
(messa in corrispondenza termine a termine e conteggio) i pre-requisiti alle interazioni
sociali della nostra situazione sperimentale.
I risultati ottenuti in questa terza ricerca confortano, in parte, quelli di Lefebvre
e Pinard (1972) e Miller (1973), ma soprattutto di Lefebvre e Pinard (1974). Questi
ultimi autori dimostrano, con un metodo minuzioso, che permette di evidenziare le
differenze di livello cognitivo che esistono fra i non-conservatori, che non basta costruire una situazione detta conflittuale perché essa sia percepita come tale dal bambino. Effettivamente, nella nostra ricerca, non basta porre un soggetto non-conservatore
di fronte ad un soggetto di livello superiore perché prenda coscienza della natura del
conflitto esistente tra i loro punti di vista e soprattutto perché comprenda a che livello
si situa l’opposizione tra loro. Sembra che egli non possa farlo senza ricorrere a condotte di messa in corrispondenza termine a termine e di conteggio con il suo partner, cioè
se il suo livello cognitivo non sia almeno quello degli NCd o NC4.
Uno di questi autori, Lefebvre-Pinard (1976, p.106) spiega allora: “se si vuole che un
bambino di livello preoperatorio, naturalmente sicuro di tutto quello che afferma e poco sensibile alla contraddizione, si avvantaggi di un metodo conflittuale, occorre innanzitutto impegnarsi a scuotere le certezze di questo bambino non-conservatore attraverso il conflitto che
si crea sul piano cognitivo. Ma questo soltanto in certe ben precise condizioni prestabilite”.
Le nostre investigazioni, rilevano che queste condizioni hanno una doppia natura,
esse sono, da una parte, sociali poiché l’interazione deve rispondere a certe caratteristiche ed in particolare comportare coordinamenti atti a suscitare le condotte che il
soggetto è pronto ad elaborare (dal punto di vista della sequenzialità delle acquisizioni
dello sviluppo). Dall’altra esse sono individuali poiché il soggetto non può prender
parte a questo scambio interindividuale se non nella misura in cui è capace “di entrare
in argomento” con il suo partner.
148
La conservazione del numero e l’effetto differenziale della competenza iniziale dei soggetti
Appare quindi che i due tipi di pre-requisiti, distinti inizialmente nella nostra esposizione siano, nei fatti, strettamente legati: data una modalità di interazione sociale è
necessario che il soggetto possegga certe competenze cognitive per potervi prendere
parte e che, di conseguenza, la modalità susciti in lui un processo di ristrutturazione cognitiva. L’evoluzione che ne deriverà permetterà poi al soggetto di partecipare ad altre
interazioni sociali, fonti, a loro volta, di nuovi progressi. Ritroviamo in questo il modello del progresso di sviluppo a spirale, come Piaget l’ha descritto altrove (1974, p. 86)
ma nel quale sottolineamo specificamente l’intrico degli elementi individuali e sociali.
Se questa terza ricerca ci permette di trovare, come abbiamo previsto nel quadro
di un approccio interazionista e costruttivista dello sviluppo, che i progressi suscitati
dall’interazione appaiono solo se i soggetti hanno già raggiunto un livello di competenza minima, i dettagli dei dati ci suggeriscono un certo numero di interpretazioni più
precise che potrebbero costituire l’oggetto di indagini sperimentali ancora da fare.
Questa terza ricerca, infine, rinforzerebbe la nostra ipotesi sul ruolo del conflitto
tra il punto di vista del soggetto e quello del partner: il confronto con un compagno
che padroneggi la nozione in gioco, è fonte certa di ristrutturazione cognitiva ma sembra ugualmente possibile che lo sia il confronto con un bambino solo di livello intermedio. Se è così e se degli indici1 concorrono effettivamente a dimostrare che, in certe condizioni, è sufficiente che i punti di vista siano diversi, il problema dei livelli dei
partner si pone allora in termini più generali. Le ricerche del capitolo seguente tenderanno a verificare, sperimentalmente, che i soggetti sono suscettibili di beneficiare di
una interazione sociale con altri, nella misura in cui essa mette in gioco centrazioni diverse da quelle che derivino da un livello superiore o, anche, da un livello cognitivo similare.
Se una tale dimostrazione può essere fatta, si potrà inquadrare il problema dell’effetto delle diverse condizioni di interazione (dai non-conservatori ai conservatori, degli
intermedi o ad altri non-conservatori) confermando la rilevanza del conflitto sociocognitivo, nei termini dello scarto esistente tra i livelli dei partner compresenti. Qual
è il ruolo di questo scarto? Secondo i dati della terza ricerca si potrebbe già formulare
l’ipotesi che uno scarto troppo grande impedisca al conflitto di punti di vista di apparire come tale - almeno agli occhi dei soggetti di livello inferiore - e dunque di essere
socialmente vissuto.
Note
1
Il progresso dei conservatori alle altre prove di conservazione della seconda ricerca e l’evoluzione degli intermedi dopo una interazione con soggetti di livello inferiore
149
CAPITOLO 5
Imparare con i novizi
Le ricerche riportate nei capitoli precedenti hanno evidenziato come, in certe condizioni, un’interazione sociale tra bambini possa suscitare, nei partecipanti, un progresso cognitivo di natura operatoria.
Tuttavia nelle prime tre ricerche, la nostra analisi si è concentrata soprattutto su
soggetti con livello cognitivo inferiore a quello dei partner di interazione; si tratta di
una riduzione del campo di osservazione che ha una duplice motivazione. La prima
è relativa alla natura della genesi delle nozioni studiate. Infatti, sia l’acquisizione della
conservazione delle quantità di liquido che del numero sono caratterizzate da tre stadi
che rappresentano i soli criteri teoricamente validi per una categorizzazione dei livelli
cognitivi dei soggetti. Ciò, implica, quindi che la sola scala possibile risulta composta
da tre livelli, pur esistendo, tuttavia, possibili differenziazioni all’interno dei singoli
stadi. D’altra parte, molti lavori sull’apprendimento hanno evidenziato la condizione
particolare dei soggetti dello stadio intermedio con la conseguenza che, in ricerche
come le nostre, sarebbe prudente concentrare lo studio degli effetti cognitivi attesi su
soggetti degli altri due stadi: i non-conservatori ed i conservatori. Ciò costituisce il secondo limite delle ricerche precedenti: infatti, solo i soggetti non-conservatori possono
progredire mentre i soggetti conservatori, che hanno raggiunto il plafond, il completamento della costruzione della nozione in questione, possono solo regredire. Ma è possibile, in altre situazioni sperimentali, concentrandosi sullo sviluppo di nozioni valutabili
con scale più estese, mostrare che soggetti di livello superiore beneficino ugualmente
dell’interazione sociale?
Anche se le teorie ispirate al social learning non consentirebbero di sostenerlo – prevedendo in questi casi addirittura un regresso dei soggetti confrontati ad un modello
che esibiscono condotte di livello inferiore al loro (Rosenthal e Zimmerman, 1972)
– le analisi dei dati presentati nei capitoli precedenti, apportano un certo numero di
elementi che lasciano invece supporre tale evntualità.
Già in soggetti non-conservatori, messi a confronto con bambini più evoluti, si è
evidenziato come le spiegazioni in termini di imitazione di modelli non permettano
di render conto dell’insieme di effetti osservati dopo l’interazione. Ne è un esempio la
produzione, da parte dei soggetti, di argomentazioni nuove per giustificare le risposte
151
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
di conservazione; anche la loro evoluzione tra i post-test che denota un processo di
ristrutturazione in corso.
D’altro canto, l’incidenza del livello del (o dei) partner e della composizione dei
gruppi sugli esiti di una interazione e la presenza delle “costellazioni” di comportamenti sviluppatisi in queste circostanze, ci ha indotti a formulare l’ipotesi che la causa
dei progressi cognitivi constatati, sia un conflitto di centrazione che i soggetti vivono
socialmente nel corso delle interazioni. Le interazioni inducono il soggetto a coordinare le sue azioni con quelle altrui, obbligandolo ad un processo di decentramento. Tale
processo lo confronta con punti di vista diversi, che riuscirà ad assimilare solo attraverso una ristrutturazione cognitiva.
Ma se all’origine delle evoluzioni cognitive constatate non sembrano esserci processi di imitazione bensì interazioni sociali attraverso il conflitto di centrazione che esse
implicano, sarebbe importante poter dimostrare che, per beneficiare dell’interazione
sociale, non sia necessario contrapporsi ad un partner più avanzato (per quel che concerne la nozione in esame). Alcuni episodi rilevati precedentemente sono a favore di
quest’ipotesi. In effetti, nelle nostre tre ricerche i soggetti di livello cognitivo superiore
a quello del partner, sia conservatori che intermedi, non regrediscono dopo un’interazione con quelli inferiori non-conservatori. E più specificatamente la seconda ricerca
indica che i conservatori sono suscettibili di dar prova, dopo l’interazione, di un progresso su nozioni collaterali che, al pretest non padroneggiavano; nello stesso senso la
terza ricerca presenta delle conquiste importanti negli intermedi che hanno interagito
con i non-conservatori.
L’oggetto di questo capitolo sarà quello di mettere in evidenza, in modo più specifico e con due nuove ricerche, la possibile fecondità di un’interazione con un partner di
livello cognitivo meno avanzato. Questo aprirà la via ad indagini che ci consentiranno
di analizzare il ruolo, che abbiamo visto emergere, del conflitto di centrazioni.
1. Il progresso conseguente ad un’interazione con un partner di livello meno avanzato: il disegno di figure geometriche
Come abbiamo annunciato, questa quarta ricerca solleva la necessità di classificare
i livelli cognitivi dei soggetti su di una scala sufficientemente estesa per poter individuare due categorie distinte, quella degli “inferiori” e quella dei “superiori”, e, allo stesso tempo, permettere, all’interno di questi due gruppi, agli individui di progredire ulteriormente. Affinché l’oggetto della misura risulti chiaro, occorre perciò che il campo
della nozione prescelta sia abbastanza ampio e al tempo stesso definito.
Proprio per questo abbiamo scelto di riferirci al dominio dei rapporti spaziali elementari nel disegno infantile, oggetto di contributi molto puntuali da parte di Piaget e
Inhelder (1948). Questo ambito di investigazione presenta, inoltre, il vantaggio di permetterci di analizzare le nostre ipotesi in un nuovo campo, che si differenzia dai precedenti e che concerne non più giudizi ma rappresentazioni, essendo la risposta dei soggetti non più mediata dalla lingua ma dalla grafica. L’età media dei soggetti sarà più o
152
Imparare con i novizi
meno la stessa di quella dei soggetti che hanno partecipato alla ricerca sulla conservazione del numero e corrisponde, grosso modo, all’inizio della costruzione delle operazioni concrete.
Nei lavori sulla rappresentazione dello spazio nel bambino, Piaget e Inhelder, hanno descritto l’evoluzione delle condotte infantili nella copia di diversi disegni geometrici. Basandoci sulla loro analisi abbiamo selezionato otto figure geometriche la cui
esecuzione, che implica diverse competenze, ha presentato difficoltà di grado diverso
per bambini dai 4 ai 5 anni. Grazie a questi autori, per ognuna delle figure, disponevamo dunque, di una descrizione dell’evoluzione genetica dei comportamenti che permette di valutare il livello delle prestazioni del soggetto ad un pre-test ed gli eventuali
progressi al post-test.
1.1 Metodo
Abbiamo preparato una prova che permettesse di valutare non la qualità grafica
ma le proprietà spaziali delle copie che i bambini fanno di queste otto figure geometriche. Tutti i soggetti vengono pre-testati individualmente quindi invitati, nella seduta
sperimentale, a riprodurre, sia soli, sia in due, un modello che presenta un certo numero di configurazioni geometriche (simili, ma non identiche a quelle del pre-test). Al
post-test, i soggetti rifaranno la stessa prova del pre-test.
1.1.1 Soggetti
I soggetti di questa ricerca sono bambini di età compresa fra 4.0 e 5.6 anni; frequentano l’ultima classe della scuola materna. La metà dei soggetti proviene da una
scuola privata di Ginevra, l’altra metà da una grande scuola pubblica della periferia di
questa stessa città. I bambini delle due zone, sono stati ripartiti equamente nelle diverse
condizioni sperimentali.
Ogni bambino viene scelto con procedura casuale dalla sua classe, senza tener conto né del sesso, né dell’età, né del suo rendimento scolastico. In media, tre bambini per
classe hanno opposto un rifiuto e non hanno preso parte alla ricerca.
1.1.2 Materiale
Per il pre-test ed il post-test il materiale comprende :
– una serie di otto schede di cartone bianco con le seguenti dimensioni: 10,5 cm di
lunghezza e 7,5 cm di larghezza. Con un pennerello nero vi è stata disegnata una
figura geometrica diversa: una croce in posizione “eretta”, una croce “inclinata”,
un rettangolo, due cerchi uguali che si intersecano, due cerchi uguali tangenti, un
quadrato con una diagonale (che unisce l’angolo a sinistra in alto con quello in
basso a destra), un triangolo equilatero iscritto in un cerchio, ed un quadrato in
153
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
diagonale (vedere i modelli riprodotti nella tavola I);
– una serie di fogli bianchi lunghi 15 cm e larghi 10,5 cm ;
– una matita con mina molto tenera.
Il materiale della seduta sperimentale comprende:
– un foglio di cartone verde di 22 cm x 31 cm sul quale sono incollate delle figure
geometriche (triangolo equilatero, quadrato, due cerchi uguali e tangenti, parallelogramma, losanga poggiata su un triangolo isoscele) ritagliate su carta adesiva
rossa (secondo la configurazione della tavola II),
– un foglio di carta bianco di 22 cm x 31 cm, un foglio di carta adesiva rossa, una
matita con mina molto tenera, forbici con punte arrotondate.
Tavola 1: Le otto figure del pre-test e del post-test
154
1
2
3
4
5
6
7
8
Imparare con i novizi
Tavola 2: Modelli per la fase di interazione
Consegne e procedure
Pre-test
Svolgimento
Lo sperimentatore invita il bambino a seguirlo, dalla sua aula a quella vicina, dove
si svolge la sperimentazione. Lo sperimentatore è attento nello stabilire il contatto con
il bambino, a prepararlo alla novità della situazione, a presentargli i luoghi e le persone
presenti (questa fase di primi contatti è essenziale per ottenere la fiducia e la collaborazione di bambini di questa età). Lo sperimentatore fa quindi sedere il bambino ad
un tavolo, accanto a sé. Una volta che questi è a suo agio, gli ripete quanto gli ha già
detto in classe e cioè: “Mi piacerebbe che tu mi facessi dei disegni. Io faccio una collezione
di disegni, perciò chiedo a tutti i bambini di farmi parecchi disegni e li conservo per la mia
collezione.Ti piacerebbe farmi dei disegni?”. Dà al soggetto un foglio di carta bianco ed
una matita. Il foglio viene appoggiato sul tavolo davanti al bambino e la prima scheda-modello (con la croce orizzontale) viene posta al di sopra del foglio. Lo sperimen155
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
tatore dice poi: “mi piacerebbe che tu mi facessi un disegno come quello che è su questo
cartone” evitando di nominare la forma o di descriverla. È talvolta necessario ripetere
la consegna più volte sotto diverse forme. Ad esempio: “vedi il disegno che sta quì su
questa scheda, puoi farlo uguale sul tuo foglio?” oppure “disegnami lo stesso sul tuo foglio”.
In genere il bambino esegue il disegno. Se esita, non traccia niente oppure abbozza il
disegno e si interrompe, lo sperimentatore può incoraggiarlo con delle osservazioni del
tipo “che cosa guardi?” oppure “come fai?” ) ma si astiene da ogni giudizio. Eventualmente propone al bambino – senza costringerlo – a ricominciare, offrendogli un altro
foglio bianco. Quando il bambino ha terminato la copia della figura, salvo se si mostra
da solo chiaramente soddisfatto, lo sperimentatore gli chiede: “ecco, va bene così?”, per
consentirgli di ricominciare se sembra voler apportare qualche miglioramento. Infine
lo sperimentatore ritira il disegno che appoggia, rivolto di spalle, sulla pila di disegni
della sua “collezione”; e dà al bambino un nuovo foglio bianco con la scheda modello,
procedendo allo stesso modo per le otto figure geometriche.
Criteri di valutazione delle performances grafiche del soggetto
Lo sperimentatore attribuisce un punteggio alla migliore riproduzione (di ogni
figura geometrica) fatta dal soggetto. I criteri di valutazione che seguono rappresentano
una scala ordinale di valutazione delle caratteristiche spaziali delle performances dei
soggetti nella riproduzione di ciascuna delle otto schede. Per ciascuna di queste schede si ottengono tre, quattro o cinque punti, a seconda della complessità del modello.
L’obiettivo è quello di permettere un ulteriore ed agevole confronto tra le performances
ai pre-test ed ai post-test di ciascun soggetto ad ogni item, rilevando la presenza (o non)
di progressi qualitativi nella realizzazione. In tal modo, meglio il soggetto padroneggia
le operazioni spaziali implicate nella riproduzione della figura, maggiore sarà il numero
di punti che gli vengono attribuiti. Indichiamo dunque, per le otto figure nell’ordine
di complessità psicogenetica, le differenti caratteristiche dei grafismi e, di lato, il punteggio attribuito:
1. 2. Croce in posizione “eretta”
Scarabocchio - 0
Incrocio non netto dei due tratti - 0,5
Incrocio netto dei due tratti - 1
Un tratto orizzontale, l’altro verticale - 2
Idem ed i tratti sono uguali- 3
Croce “inclinata”
Scarabocchio - 0
Incrocio non netto dei due tratti - 0,5
Incrocio netto dei due tratti1
I due tratti si incrociano ad angolo retto formando degli angoli di circa 45° con
l’orizzontale e la verticale - 2
Idem ed i tratti sono uguali- 3
3. Rettangolo
Scarabocchio - 0
156
Imparare con i novizi
Una figura chiusa - 1
Idem ed angoli indicati - 2
Poligono a quattro lati (anche se il loro tracciato è leggermente curvo) - 3
Rettangolo- 4
4 Due cerchi uguali intersecantisi
Scarabocchio - 0
Due figure chiuse - 1
Due figure secanti - 2
Due figure secanti, orientate correttamente (contrassegni fuori figura) - 3
Idem e relativamente uguali - 4
5 Due cerchi uguali, tangenti
Scarabocchi - 0
Due figure chiuse - 1
Due figure chiuse con:
– sia l’orientamento corretto
– sia latangenza indicata - 2
Due cerchi tangenti ed orietamento corretto - 3
Idem e cerchi relativamente uguali - 4
6 Quadrato con una diagonale
Scarabocchio - 0
Una figura chiusa conuntratto - 1
Rettangolo e diagonale (qualunque sia la direzione) - 2
Rettangolo e diagonale correttamente orientata ed aggiustata - 3
Quadrato e diagonale correttamente orientata ed aggiustata - 4
7 Triangolo equilatero iscritto in un cerchio
Scarabocchio - 0
Una figura chiusa - 1
Due figure chiuse - 2
Un cerchio ed un triangolo- 3
Triangolo tangente al cerchio in tre punti - 4
Idem e triangolo equilatero - 5
8 Quadrato sulla punta
Scarabocchio - 0
Una figura chiusa - 1
Una figura con quattro angoli e quattro lati - 2
Idem su una punta (segni fuori figura) - 3
Quadrato su punta- 4
Viene così attribuito al soggetto un punteggio per ognuna delle otto figure ed un
“punteggio totale”, corrispondente alla somma di questi otto punteggi. Notiamo che
in questo caso si tratta di scale di misura di livello non superiore a quello ordinale. Ne
terremo conto nell’analisi dei risultati che riferiremo al numero di figure per le quali sia
stato registrato un cambiamento di punteggio. Il “totale” rappresenta un indice globale,
che permette di classificare i soggetti in due livelli definendoli, di volta in volta, come
“inferiori” e “superiori”.
157
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Fase sperimentale
Al pre-test individuale, uguale per tutti, i soggetti vengono ripartiti in due diverse
condizioni sperimentali che verranno realizzate una settimana più tardi: nella prima
(situazione collettiva) il soggetto, interagendo con un partner, deve eseguire (con disegno o ritaglio) la riproduzione delle figure geometriche; la seconda condizione sperimentale richiede ai soggetti di effettuare lo stesso lavoro, individualmente.
Nel corso del pre-test i soggetti vengono assegnati, all’una o all’altra delle condizioni sperimentali, tenendo conto di due imperativi: mantenere equivalenti i due
gruppi rispetto ai livelli del pre-test (punteggi totali) e costituire delle coppie di livelli
eterogenei.
Condizione di interazione
Due bambini, uno “inferiore” (I) ed uno “superiore” (S) (sempre in relazione al
punteggio del pre-test), vengono condotti, insieme, nell’aula dove avrà luogo la ricerca
e fatti sedere l’uno accanto all’altro. Dopo i primi contatti e dopo averli messi a proprio
agio, lo sperimentatore presenta loro la situazione: “... siete venuti qua tutti e due perchè
mi piacerebbe che faceste insieme un lavoro un pò speciale. Vedete, su questo cartone verde,
ho incollato delle figure che ho ritagliato da questo foglio adesivo rosso. Ora vi darò questo
foglio bianco (lo sperimentatore lo dispone nel senso della larghezza, come il modello e poco
al di sotto di questo) e questo foglio adesivo rosso; voi ricopierete questo quadro per farne un
altro, come il mio. Lo farete insieme”.
Lo sperimentatore si rivolge quindi al soggetto classificato al pre-test come inferiore: “tu, disegnerai le figure con questa matita sul foglio adesivo. Poi darai il tuo disegno al
compagno che lo ritaglierà e insieme lo incollerete sul foglio bianco per fare un quadro come
il mio”. Lo sperimentatore riformula la consegna rivolgendosi al soggetto “superiore”
(S), quindi consegna la matita al soggetto “inferiore” (I) e le forbici ad S. “osservate bene
per fare lo stesso quadro. Se non va, ditelo e ricomincerete”.
I soggetti cominciano il lavoro. Il ruolo dello sperimentatore sarà quello di controllare che la consegna sia stata capita dai due bambini (talvolta questi se la spiegano
tra loro), e per ricordare, se necessario, che essi devono prendere entrambi parte alla
realizzazione. Lo sperimentatore può ugualmente intervenire per incoraggiare i bambini ad esprimere apertamente tutto ciò che vogliono con gesti o con la mimica. Lo
sperimentatore sarà talvolta indotto a fare dei commenti - tranne giudizi valutativi - per
sostenere i soggetti nel loro lavoro. Così, per esempio dirà: “Ecco! Che figura avete riprodotto? Ed ora quale figura intendete riprodurre? ecc.”. Quando il lavoro è stato portato a
termine, lo sperimentatore chiede ai bambini se sono soddisfatti, se è stato difficile, e,
se ne hanno voglia, lascia che commentino il proprio lavoro.
Nella fase collettiva il ruolo dello sperimentatore si è rivelato più delicato di quello
delle esperienze sulle nozioni di conservazione. In effetti nellle situazioni distributive
(tipiche della conservazione della quantità discreta) abbiamo potuto osservare che la
contraddizione che si evidenzia tra i punti di vista dei soggetti, li induce ad esplicitare
“le ragioni cognitive” delle loro affermazioni; e che i non-conservatori (gli “inferiori”, in quel tipo di situazione) generalmente non si rendono conto che i conservatori
158
Imparare con i novizi
offrono risposte più adeguate delle loro. Queste sembrano essere percepite piuttosto
come “diverse” e non come “migliori”. Diversamente, in questa ricerca, che richiedeva
una prestazione grafica, si constata, da una parte che i soggetti “inferiori” sono spesso
consapevolmente insoddisfatti dei loro risultati, ma soprattutto che i loro partner “superiori”, senza remore, esprimono valutazioni sfavorevoli recepite più per il loro valore
affettivo che cognitivo. Per tale ragione, il ruolo dello sperimentatore è stato quello di
cercare di evitare che simili giudizi vengano formulati, attirando l’attenzione dei bambini sulla realizzazione del lavoro e dunque su di uno scambio sulle caratteristiche delle
performances: “va bene il disegno che il tuo compagno ha fatto?” “perché ?” “Digli che cosa
deve cambiare, secondo te”. I bambini sembrano comprendere questa consegna.
Condizione individuale
In questa condizione sperimentale, sia il soggetto di livello “inferiore” sia quello
“superiore”, eseguoono individualmente il lavoro di disegno e di ritaglio che è stato loro descritto. Le consegne sono le stesse ma lo sperimentatore si rivolge ad un solo bambino e non deve dunque dissociare i ruoli di disegnatore e di ritagliatore.
Poiché compiono da soli l’insieme delle azioni di copia e di ritaglio, i soggetti di
questa situazione hanno una maggiore occasione di attività sul materiale di quelli della condizione collettiva. Data l’importanza del ruolo dell’attività del soggetto per lo sviluppo cognitivo, si può agevolmente supporre che, su questo piano, la condizione individuale offra più opportunità di progredire di quella collettiva. Questa prospettiva,
tuttavia, non nuoce alla nostra illustrazione sperimentale se non nella misura in cui essa
lascerebbe prevedere un attenuamento dell’ampiezza dei nostri risultati, poiché l’effetto
supposto le influenzerebbe nel senso contrario alla nostra ipotesi principale. Ipotesi che,
come abbiamo sostenuto precedentemente prevede, per quel che concerne le conseguenze, una superiorità della fase con interazione sociale rispetto a quella individuale.
Post-test
La fase sperimentale è seguita, dopo una settimana, da un post-test individuale il
cui svolgimento e l’analisi dei risultati dei risultati, seguono le stesse procedure di quelle
del pre-test.
1.2 Risultati
La tabella 23 presenta, per il pre-test ed il post-test, i punteggi ottenuti dai soggetti
che partecipano alla fase di interazione. Per ogni figura viene indicato un progresso (+), un
regresso (-) o una prestazione stabile (0). La tabella 24 dà le stesse informazioni per i soggetti della condizione individuale. Per la condizione collettiva, sulla base dei punteggi totali al pre-test, sono state costituite otto coppie presentate nella tabella 25, e si hanno così
otto soggetti “superiori” che partecipano alla condizione collettiva ed otto “inferiori”.
Alla condizione individuale partecipano tredici soggetti la cui gamma di livelli di
partenza è comparabile a quella dei soggetti della condizione collettiva.
159
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Tabella 23:Punteggi delle coppie della condizione collettiva della ricerca sul disegno,
con indicazione di progressi (+) regressi (-), stabilità (0).
Figure
Numero
della coppia
I
Il
III
Superiori
IV
V
VI
VII
VIII
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
Inferiori
pr
1
po
di
pr
2
po
di
pr
3
po
di
pr
4
po
di
3
2
2
1
1
2
2
2
3
3
2
2
2
2
2
2
0
+
0
+
+
0
0
0
2
3
2
2
1
2
2
2
3
3
2
2
2
2
2
2
+
0
0
0
+
0
0
0
4
4
3
3
3
2
3
3
4
4
3
3
3
2
3
3
0
0
0
0
0
0
0
0
4
4
2
1,5
1
2
2
1
4
4
1,5
2
3
3
2
2
0
0
+
+
+
0
+
1
2
1
1
2
2
0
2
2
1
1
1,5
2
2
2
1
+
0
+
0
0
+
-
1
0
1
0,5
1
1
0
1
1
0
2
1
0
2
0
1
0
0
+
+
+
0
0
4
3
3
3
1
3
2
1
4
3
3
3
3
4
3
1
0
0
0
0
+
+
+
0
3
3
1
3
3
1
1
1
3
3
3
3
2
3
3
0
0
+
0
0
+
+
Figure
I
Il
III
IV
V
VI
VII
VIII
pr
3
3
3
2
2
2
2
2
5
po
4
4
3
2
3
2
2
2
di
+
+
0
0
+
0
0
0
pr
4
3
3
3
3
2
2
1
6
po
4
4
3
3
3
3
3
1
di
0
+
0
+
0
+
+
0
pr
4
4
4
2
3
2
2
2,5
7
po
4
4
3
3
4
3
3
3
di
0
0
+
+
+
+
+
pr
3
3
1
3
2
2
2
4
8
po
4
3
1
3
2
2
3
3
di
+
0
0
0
0
0
+
-
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
2
3
2
3
2
2
2
2
4
3
3
3
3
2
2
2
+
0
0
0
0
0
2
0
1
0
1
1
1
1
3
3
2
1
1
1
1
1
+
+
+
0
0
0
0
3
2
2
2
2
3
2
2
3
3
3
2
2
3
2
2
0
+
+
0
0
0
0
0
2
3
2
2
1
1
1
1
2
3
2
1,5
1
2
1
1
0
0
0
0
+
0
0
Numero
della coppia
Superiori
Inferiori
Legenda: pr=pretest; po=post-test; di=differenza pre/post-test.
160
Imparare con i novizi
Tabella 24:Punteggi dei soggetti della condizione collettiva della ricerca sul disegno,
con indicazione di progressi (+), regressi (-), stabilità (0)
Figure
Numero
del
soggetto
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
1
pr
3
2
2
2
2
1
2
2
1
0,5
2
1
1
po
3
3
2
2
2
1
2
2
2
0
2
1,5
2
2
di
0
+
0
0
0
0
0
0
+
0
+
+
pr
3
2
2
2
2
2
1
1
1
0
1
0
1
po
3
2
2
2
2
2
0
1
2
0
1
2
1
3
di
0
0
0
0
0
0
0
+
0
0
+
0
pr
4
4
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
po
4
4
3
3
3
3
4
3
3
3
3
4
3
4
di
0
0
0
0
0
0
+
0
0
0
0
+
0
pr
3
3
2
2
2
2
2
1
3
3
1
1
1
po
3
3
3
3
2
2
2
1
2,5
2
1
2
3
di
0
0
+
+
0
0
0
0
0
+
+
Figure
Numero
del
soggetto
5
pr
6
7
po
di
pr
po
di
pr
po
8
di
pr
po
di
1
4
4
0
4
4
0
3
3
0
3
4
+
2
3
2
-
4
4
0
3
4
+
3
3
0
3
2
3
+
4
3
-
5
5
0
3
3
0
4
3
2
-
3
2
-
3
3
0
2
3
+
5
2
4
+
1
3
+
3
3
0
3
1
-
6
2
3
+
3
3
0
3
3
0
3
3
0
7
2
2
0
1
2
+
3
3
0
1
2
+
8
3
3
0
1
1
0
2
2
0
2
2
0
9
2
2
0
1
2
+
2
1
-
0
1
+
10
3
2
-
0
0
0
1
2
+
2
2
0
11
2
2
0
1
3
+
2
2
0
1
2
+
12
2
2
0
1
1
0
2
2
0
1
2
+
13
1
2
+
1
2
+
1
2
+
1
2
+
Legenda: pr=pretest; po=post-test; di=differenza pre-post-test.
161
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Avremmo desiderato poter stabilire, anche in questo caso, due gruppi di otto ed
evitare la sovrapposizione esistente tra le due categorie (“superiori” e “inferiori”) per i
soggetti i cui punteggi sono compresi tra 14 e 19 punti. Ciò non è stato possibile per ragioni organizzative, indipendenti dalla nostra volontà (assenze frequenti degli alunni).
Tuttavia non abbiamo pensato di comparare i tassi di progresso delle due categorie di soggetti “superiori” ed “inferiori” e ciò per più di una ragione precisa: la natura
della scala utilizzata per la valutazione del livello dei soggetti che ha prodotto un certo
numero di effetti plafond per i soggetti avanzati (un bambino che ottiene il punteggio
massimo nella copia di una figura al pre-test non potrà far registrare progressi ulteriori
a questo item al post-test) e anche per il fatto che le velocità di acquisizione variano
molto nei diversi punti di questa scala ordinale.
Con gli stessi soggetti procederemo ai confronti tra l’effetto della condizione d’interazione e quello della condizione individuale, in rapporto al livello del soggetto (“superiore” o “inferiore”).
(1): Numero di figure per le quali il soggetto ha manifestato progressi nel corso del
post-test. Da tale numero è stato sottratto il numero di figure per le quali si osservano
dei regressi. Il fatto che i soggetti 6, 7, 8 siano presenti nella parte superiore ed inferiore
della tabella è dovuto al fatto di aver riutilizzato dei soggetti, visto che non sono state
effettuate comparazioni fra i due gruppi.
La tabella 25 riassume i dati delle tabelle precedenti facilitando, per ciascuno dei
due livelli di soggetti, i confronti tra le due condizioni sperimentali.
Risulta che la maggioranza dei soggetti manifestano performances cognitivamente
più elaborate al post-test. Per i soggetti “inferiori” non c’è differenza tra la situazione
collettiva e quella individuale: i successi (1) al post-test sono in numero analogo per le
due condizioni. Diversamente i “superiori” riescono con più efficacia nella realizzazione
del compito interagendo con un partner “inferiore”, che lavorando individualmente (U
di Mann-Whitney: U = 11.5, con correzione, p < .05; bilaterale). Sembra dunque che
questa ricerca metta in evidenza il fenomeno che ipotizzavamo: l’interazione sociale può
essere fonte di progressi cognitivi anche se ha luogo con un partner meno avanzato.
Ma perché non riscontriamo lo stesso tipo di differenza tra le due condizioni sperimentali per i soggetti “inferiori”? Constatiamo innanzitutto che, per quel che li riguarda, l’interazione sociale non ha avuto alcun effetto nefasto visto che i loro punteggi al
post-test, nella situazione collettiva, sono comparabili a quelli dei loro coetanei che non
hanno preso parte alla situazione di interazione.
Si possono avanzare almeno tre ipotesi: sarebbe indispensabile possedere certi prerequisiti per beneficiare in modo specifico dell’interazione sociale che possono non
essere stati raggiunti; si è verificata una interferenza tra le dimensioni socio-emotive e
socio-cognitive delle relazioni, provocata dalla natura dal compito collettivo scelto per
questa ricerca. In effetti, come abbiamo già sottolineato, in questa ricerca -contrariamente alle precedenti- il soggetto “inferiore” percepisce, con maggiore immediatezza,
la superiorità del partner nel compito da realizzare e, in ogni caso, che il “superiore”
può manifestare tendenza a formulare giudizi svalutativi nei confronti del partner. La
risonanza affettiva di questi giudizi inibirebbe, forse, gli effetti positivi dell’interazione
sociale, pur non svalutando il ruolo dell’attività propria del soggetto. Una terza ipotesi,
infine, scaturisce dalle condizioni dell’interazione sociale, diverse per i soggetti dei due
162
Imparare con i novizi
livelli. In realtà, il piano sperimentale prevede, in questo caso, che il ruolo del bambino
che ritaglia sia sempre attribuito al “superiore”. In tal modo, soltanto i soggetti di questa categoria lavorano sul prodotto del loro partner, esperendo in modo più concreto
l’interazione per la realizzazione del compito: essi ricevono il prodotto dal loro compagno, si accontentano o prendono l’iniziativa di chiedergli di correggerla. In altri casi,
regolano le loro azioni di ritaglio per compensare i tracciati inadeguati. Gli “inferiori”,
in quanto responsabili del disegno, svolgono un’attività che, almeno nella fase iniziale,
è più indipendente dagli altri. Questo potrebbe ugualmente contribuire a spiegare l’assenza di differenza tra le condizioni individuale o collettiva per i soggetti “inferiori”.
Tabella 25:Comparazione dei progressi nelle due condizioni sperimentali, per i due livelli dei soggetti.
Condizione collettiva
Condizione individuale
N.
coppia
Punt.
totale
pre-test
Figure
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
27
26
19,5
17
16
16
17
17
3
3
-2
4
5
3
3
1
Totali
155,5
20
(1)
N.
soggetto
Punt.
totale
pre-test
Figure
1
2
3
4
5
6
7
8
27
24
22,5
19,5
18
19
15
14,5
1
1
1
0
1
11
2
0
159,5
7
(1)
U di Mann e Whitney (con correzione): U = 11.5 p<.05, due code.
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
18
16
13
14,5
13
14
8,5
11
3
1
5
2
0
3
3
0
Totali
108
17
6
7
8
9
10
11
12
13
15
14,5
19
13
12,5
13
11
10
2
0
1
2
-2
2
5
6
108
16
In questa ricerca, il ruolo dello sperimentatore è delicato poichè risulta impossibile
stabilire se i soggetti percepiscono gli interventi dell’adulto con lo stesso significato che
163
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
questi attribuisce loro. Malgrado l’attendibilità di tale supposizione, noi contiamo di
continuare le indagini con esperienze che permetteranno di mettere in evidenza tipi di
fenomeni analoghi, servendoci di altri compiti che, diversamente dal disegno, minimizzeranno il ruolo degli interventi dello sperimentatore.
2. Progresso cognitivo, conflitto, centrazioni
La ricerca relativa al disegno, fornisce risultati che appaiono conformi alle nostre
previsioni: l’interazione sociale può essere vantaggiosa per lo sviluppo cognitivo anche
se il partner possiede un livello psico-genetico inferiore: i “superiori” sembrano trarre
sistematicamente profitto da una attività coordinata con le azioni dei partner meno
avanzati.
Questi dati, come altri esposti in precedenza, si spiegano situandoli nel quadro generale di un approccio costruttivista dello sviluppo. I progressi cognitivi vengono fatti
derivare da processi di strutturazione connessi all’attività del soggetto. L’apporto specifico delle nostre esperienze sta nella rilevazione dell’importanza che riveste l’interazione
sociale in questi processi di strutturazione. L’analisi di questo fenomeno nelle diverse
situazioni sperimentali ci porta ad avanzare l’ipotesi che sia la dimensione conflittuale
dell’interazione sociale la fonte della sua efficacia.
In effetti, una situazione di interazione sociale può non soltanto offrire l’occasione
per imitare gli altri, entrando così in conflitto con il proprio modo di fare, ma può
essere, sovente, il luogo per elaborare con gli altri e coordinare azioni o punti di vista,
inizialmente diversi.
Questa divergenza diviene conflittuale per i soggetti quando viene percepita senza
poter essere immediatamente assimilata in un sistema di insieme. Pertanto, nella misura in cui il soggetto possiede i prerequisiti cognitivi che lo rendono sensibile al conflitto, la contraddizione non potrà essere elusa: né l’oblio, né la negligenza degli individui
- soprattutto quando essa si accompagna con comportamenti manifesti - impone una
co-presenza delle diverse centrazioni. Il soggetto è allora costretto, nell’hic et nunc, a
tener conto della sua azione e di quella del suo partner ed elaborare una strutturazione
che integri le divergenze presenti. Finché egli non padroneggerà le operazioni in gioco
nel compito, le contraddizioni dei suoi partner, quali che siano i loro livelli, contribuiscono ad evidenziare le differenti dimensioni cognitive, sollecitando un coordinamento
o un’elaborazione che permetta un superamento del conflitto.
Per questo tipo di analisi, ed in una simile prospettiva teorica, la nozione di conflitto occupa un posto essenziale: il conflitto cognitivo generato dall’interazione sociale
sarebbe il luogo privilegiato in cui lo sviluppo intellettuale trova la sua dinamica. La
nostra tesi apre allora la via a tutta una nuova serie di ricerche che studierebbero gli
effetti delle diverse modalità possibili di questo conflitto socio-cognitivo. Due interessanti direzioni appaiono meritevoli di un’esposizione sistematica. Da una parte il ruolo
del conflitto cognitivo in quanto tale: sarebbe possibile verificare sperimentalmente
che la causa dei progressi registrati non è da attribuire allo scarto esistente tra i livelli
psico-genetici dei soggetti, ma alle divergenze tra le centrazioni che ne derivano? Nella
164
Imparare con i novizi
discussione della ricerca sul disegno, abbiamo già sostenuto l’interesse di studiare l’influenza della natura del compito, delle relazioni sociali esperite nella situazione collettiva e sulle forme che il conflitto cognitivo assume e sulle sue ripercussioni.
Nella prima di queste due direzioni di ricerca abbiamo già realizzato e pubblicato
una ricerca (Mugny, Doise, Perret-Clermont, 1976). Adottando un nuovo paradigma,
incentrato sulla nozione di conservazione delle lunghezze, tentiamo di verificare l’ipotesi che il conflitto di centrazione possa essere una condizione sufficiente perché un
progresso cognitivo scaturisca da un’interazione sociale. Più specificamente cerchiamo
di verificare se dei soggetti non-conservatori possano progredire in modo apprezzabile
dopo essere stati contraddetti da qualcuno che risponda con argomenti simili ai loro
(cioè di tipo non-conservatore) ma differentemente centrati.
In quella ricerca, la prova di conservazione della lunghezza, ci è sembrata uno
strumento privilegiato per questa dimostrazione poiché, in modo non ambiguo, permette di dare due giudizi contraddittori, utilizzando un ragionamento simile. Così, per
esempio, nella seduta sperimentale, dopo che i soggetti hanno constatato l’uguaglianza tra due righelli accostati, ne verrà spostato uno e, di conseguenza, i soggetti nonconservatori sopravvaluteranno la lunghezza di una delle due bacchette (generalmente
quella che viene spostata) pensando che una che “superi” l’altra sia anche più “lunga”.
Il soggetto viene sistematicamente messo a confronto con un collaboratore dello sperimentatore “compare” che sopravvaluterà la lunghezza dell’altra bacchetta, con la stessa
motivazione prescelta della maggioranza dei bambini: “perché vedi quì questa supera
l’altra”. In questo caso la contraddizione non è l’espressione di un giudizio di livello
cognitivo superiore al suo e non permette che gli eventuali progressi scaturiscano da
imitazione dei comportamenti di un modello (cfr a questo riguardo Perret-Clermont,
Doise, Mugny, 1976).
Per studiare l’impatto di questo tipo di contraddizione il nostro piano sperimentale comprende tre condizioni che vengono proposte individualmente ai soggetti (età
media: 6;3 anni):
–
condizione di conflitto tra i punti di vista “similari” (CS): corrisponde all’esempio
fatto in precedenza (il “compare” esprime il giudizio dopo il soggetto, sistematicamente contraddittorio e centrato sulla sporgenza di lunghezza opposta a quella
indicata dal bambino).
– condizione di conflitto “maggiorante” (CM): il “compare” propone ogni volta un
giudizio corretto (di livello conservatore) che accompagna con un ragionamento
di conservazione formulato così: “questo sporge quì ma sporge anche questo, allora è
lo stesso”.
– condizione controllo: il “compare” non interviene, il soggetto si vede semplicemente presentare un certo numero di configurazioni relative agli spostamenti delle
bacchette e richiedere giudizi sull’uguaglianza eventuale di queste.
Ogni soggetto sostiene, immediatamente prima e dopo la seduta sperimentale, un
pre-test ed un post-test. Il primo comprende una prova di conservazione di lunghezze
uguali ed una di conservazione di lunghezze disuguali. Vengono selezionati soltanto i
soggetti non-conservatori. Il post-test è dell stessa natura, ma gli item vengono presen165
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
tati in ordine inverso. Un secondo post-test identico viene proposto dieci giorni più
tardi da uno sperimentatore che agisce senza che sia informato dell’appartenenza dei
soggetti alle diverse condizioni sperimentali.
La tabella 26 presenta i livelli dei soggetti ai due post-test, valutandoli secondo
tre stadi (non-conservatori, intermedi e conservatori). La tabella 27 evidenzia, nelle
diverse condizioni sperimentali, il numero di soggetti che progrediscono nei post-test,
sia per la conservazione dell’uguaglianza che dell’ineguaglianza.
Tabella 26:Livello dei soggetti ai due post-test della conservazione delle lunghezze
uguali e diseguali
Controllo
n = 13
Conflitto
similare
n = 20
Conflitto
maggiorante
n = 19
Livello dei soggetti alla prova di conservazione delle
lunghezze (ineguaglianza)
Livello dei soggetti
alla prova di conservazione delle lunghezze uguali
Post-test 1
Post-test 2
NC
I
C
NC
I
C
NC
I
C
NC
12
1
0
5
2
4
1
0
0
I
0
0
0
0
1
0
0
2
0
C
0
0
0
2
2
4
9
3
4
NC
10
2
0
4
7
0
1
0
1
I
0
0
1
0
0
2
2
2
0
C
0
0
0
1
1
5
5
4
4
Tabella 27:Frequenze di progresso al post-test 1 (P1) e al post-test 2 (P2) nelle differenti condizioni sperimentali per la conservazione delle lunghezze.
Condizioni sperimentali
Controllo
Prove
Confl.simil.
Confl.magg
P1
P2
P1
P2
P1
P2
Lunghezze uguali
0
1
9**
9*
18**
17**
Lunghezze ineguali
1
3
13**
15**
9*
11
Soglie di significatività rispetto alla condizione di controllo (test di Fisher): p< .05=*; p<0.01 = **
In modo conforme alle aspettative, emergono progressi (relativamente stabili e
spesso paralleli per le due prove) solo nei soggetti delle due condizioni sperimentali
a dimostrazione che, se il conflitto con un punto di vista cognitivamente superiore al
proprio può essere benefico, lo è anche il conflitto con un punto di vista opposto ma
dello stesso livello cognitivo. Questo confermerebbe dunque che la presenza di un conflitto è un elemento essenziale e l’evoluzione cognitiva, come conseguenza di un’intera166
Imparare con i novizi
zione sociale, non è unicamente connessa alla presenza dello scarto tra i livelli dei partner. L’evoluzione dei soggetti non è tuttavia identica per le due situazioni sperimentali
e questo lascerebbe supporre che i processi di ristrutturazione cognitiva sono caratterizzati da una dinamica diversa a seconda che l’interlocutore rappresenti un modello corretto o scorretto.
L’ipotesi relativa all’imitazione di modelli richiede una più dettagliata lettura dei
risultati. In effetti, si rileva che i soggetti della condizione CS (conflitto similare) hanno
tendenza a progredire più degli altri nelle prove di ineguaglianza. Ciò perché avrebbero
forse implicitamente creduto (imitando il partner) di dover affermare la disguaglianza delle bacchette in gioco? Se non è impossibile che una simile forma di comunicazione implicita ed erronea sia stata assunta da qualche soggetto, tale interpretazione
non permette nemmeno di spiegare i comportamenti di quei soggetti che, diventando conservatori, accompagnano la loro affermazione di disuguaglianza con una argomentazione operatoria; e quest’interpretazione non spiega affatto il progresso fatto registrare nella prova di conservazione della uguaglianza al post-test 1 (13 dei 20
soggetti) e al post-test 2 (15 soggetti). Inversamente si potrebbe eventualmente supporre che i soggetti della condizione CM (“maggiorante”), che hanno tendenza a progredire di più agli item di uguaglianza, avrebbero “appreso”, nella seduta sperimentale, ad imitare l’adulto presente dicendo: “è lo stesso”. Ma allora come dar conto del
fatto che sui 17 argomenti dati al primo post-test, per giustificare la conservazione
dell’uguaglianza, 12 siano argomenti “originali” (cioè diversi da quello di compensazione proposto dal compagno), e che sui 19 espressi al secondo post-test, 11 siano
“originali”? Anche in questo caso, una simile interpretazione non permetterebbe di
spiegare i progressi (9 su 19 al post-test 1, 11 su 19 al post-test 2) nella prova di conservazione della disuguaglianza.
La strada è aperta dunque al prosieguo delle ricerche sugli effetti delle diverse modalità di conflitto socio-cognitivo nello sviluppo intellettivo del bambino.
In realtà, agli interrogativi sollevati preliminarmente, questa ricerca ne aggiunge
altri: in quale misura lo statuto di un adulto che interagisce con un bambino potrebbe
essere considerato responsabile degli effetti ottenuti? Questo sembrerebbe poco verosimile considerando l’analogia tra i risultati attuali e quelli dei lavori precedenti. Ma
l’eventuale effetto di questo rapporto sociale particolare quale è la relazione adultobambino, merita di essere circoscritta ulteriormente, sia per la sua portata teorica che
per le sue implicazioni nei contesti pedagogici. Segnaliamo che i risultati di una ricerca
in corso, sempre nel campo dello sviluppo della nozione di conservazione della lunghezza ma questa volta sul conflitto di centrazioni tra bambini, indicano la presenza
di effetti analoghi.
Infine la nozione del conflitto socio-cognitivo, che permette l’interpretazione di
un gran numero dei nostri risultati, ci suggerisce ugualmente di prendere in considerazione le ricerche di Doise e Mugny (1975), che abbiamo già avuto l’occasione di menzionare nel secondo capitolo. Questi autori studiano i nessi esistenti tra performances
collettive ed individuali in un lavoro di coordinazione motoria (il “gioco cooperativo”),
e mostrano come, ad un certo livello psicogenetico, i gruppi producano risultati migliori dei singoli, durante la fase stessa di elaborazione delle operazioni necessarie alla
realizzazione del compito.
167
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Allo stato attuale della ricerca, a proposito dei meccanismi in gioco in questi risultati, possiamo avanzare la seguente interpretazione: nella fase di elaborazione delle
operazioni necessarie, i soggetti mal coordinano le azioni e la situazione sociale mette
le azioni degli uni e degli altri in conflitto. La necessità di risolvere questo conflitto dà
luogo da una parte alla superiorità delle performances dei gruppi, messa in evidenza da
Doise e Mugny, e dall’altra spiegherebbe la eventuale conseguente ripercussione di quest’interazione sociale sulle condotte individuali. Per una seria illustrazione sperimentale
di quest’interpretazione, sarà necessario procedere a nuove indagini.
Con la collaborazione di colleghi, abbiamo potuto già procedere ad un’estensione
del paradigma di Doise Mugny, adattando il loro materiale e proponendo ai soggetti
innanzitutto un pre-test individuale, poi coinvolgendo i bambini (gruppi di quattro
della stessa età) in una seduta di interazione sociale, a sua volta seguita da un post-test
identico al pre-test. I post-test consistono nell’interrogare i soggetti sulle rappresentazioni che si fanno dellle coordinazioni di azioni richieste dal compito. L’analisi delle
risposte ha permesso di attribuire ad ogni bambino un punteggio indicante il suo livello (punteggio massimo: 24 punti) e di constatare che i soggetti di 7-8 anni, che sono
quelli del livello più basso (livello I) nelle esperienze di Doise e Mugny, padroneggiano molto male la rappresentazione delle azioni da coordinare in questa situazione di
“gioco cooperativo”. Ora è proprio al livello I che questi autori rilevano una differenza
significativa tra le performances individuali e collettive. Se l’interpretazione che abbiamo avanzato è corretta, dovremmo poter riscontrare, in questi bambini di livello I, il
fenomeno del beneficio cognitivo individuale conseguente all’interazione. La tabella
28 presenta i dati che permettono di stabilire il confronto tra i risultati ai pre-test e
quelli ai post-test che differiscono significativamente (t di Student: 4.32; p >.01).
168
Imparare con i novizi
Tabella 28:Comparazione dei risultati dei pre-test e post-test dei soggetti di 7-8 anni
(livello I) della ricerca sulle attività motrici coordinate.
Numero del
gruppo
Numero del
soggetto
Punteggio
individuale
pre-test
Punteggio
individuale
post-test
Progresso
I
I
I
I
II
II
II
II
III
III
III
III
IV
IV
IV
IV
V
V
V
V
VI
VI
VI
VI
VII
VII
VII
VII
VIII
VII
VIII
VIII
IX
IX
IX
IX
X
X
X
X
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
3
0
6
3
0
0
0
0
0
0
3
3
0
0
0
0
3
0
0
0
0
6
0
3
6
9
0
0
0
3
3
3
0
0
0
3
3
0
0
0
6
6
9
0
12
3
0
0
12
0
0
3
9
0
0
6
6
3
3
3
9
6
0
0
0
6
3
0
0
15
9
9
15
0
0
9
3
0
3
6
3
6
3
-3
12
3
0
0
12
0
-3
0
9
0
0
6
3
3
3
0
9
0
0
-3
-6
-3
3
0
0
12
6
6
15
10
0
6
0
0
3
6
Totale
40
60
174
114
169
CAPITOLO 6
Per una prospettiva sociologica
Nell’esposizione dei risultati abbiamo avuto occasione di analizzare, nei dettagli, i
risultati di ognuna delle ricerche. Riprenderemo qui la discussione del loro significato
per inquadrarlo nella problematica generale presentata nel primo capitolo. Proseguiremo la discussione con la presentazione di elementi che suggeriscono l’interesse di
collocare questi contributi in prospettiva sociologica.
1. Interazioni sociali e sviluppo cognitivo
Quando una situazione di interazione sociale richiede ai soggetti di coordinare
tra loro le proprie azioni, oppure di confrontare i diversi punti di vista, si assiste, in
certe condizioni, al modificarsi della struttura cognitiva individuale. L’interesse principale delle ricerche presentate in questa sede è costituito sia dall’aver messo in evidenza, sperimentalmente, quest’effetto quanto dal fatto che i risultati ottenuti mostrano
chiaramente come l’evoluzione constatata sia un autentico progresso operatorio che si
verifica nel quadro dello sviluppo intellettuale del bambino.
Le ricerche, mettendo in gioco nozioni cognitive diverse (conservazione delle quantità di liquido, conservazione della lunghezza) e coinvolgendo bambini fra 4 ed i 7
anni, hanno prodotto, come conseguenza di interazioni sociali, progressi sotto forma
di processi di strutturazione cognitiva, peraltro già studiati (Inhelder, Sinclair e Bovet,
1974) nella spiegazione dello sviluppo mentale.
Quali sono le ragioni della fecondità delle interazioni sociali per lo sviluppo del
pensiero individuale e quali i meccanismi che vi presiedono?
I lavori presentati qui possono senz’altro contribuire a trovare una risposta a queste domande e, per tale ragione, prendere parte al dibattito sul ruolo dell’ambiente sociale nell’apprendimento. Molte sono le ipotesi a confronto su questo tema. In ricerche
pubblicate in lingua inglese noi distinguiamo due correnti principali che succedono
agli studi sul condizionamento operante: la prima sotto il nome di “apprendimento
sociale”, tenta di spiegare le acquisizioni di nuove condotte ricorrendo alla nozione di
171
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
imitazione e, più in particolare, di imitazione di modelli (modeling effect); la seconda
corrente, quella delle teorie di riequilibrio (equilibration model), sostiene che ogni cambiamento cognitivo dipende da un processo di ristrutturazione. Questo cambiamento
può essere indotto sperimentalmente presentando al bambino un modello i cui comportamenti sono di un livello psicogenetico superiore al suo, il che crea uno squilibrio
tra le attese del bambino, rispetto ai comportamenti del modello, e quelli che egli percepisce effettivamente (vedi per esempio Kuhn, 1972, p. 834). Quest’approccio si riferisce esplicitamente alla prospettiva piagetiana ma, la funzione accordata alla superiorità del modello rivela un’interpretazione troppo restrittiva del quadro offerto dall’ottica
interazionista e costruttivista dello sviluppo proposta dall’autore ginevrino.
Le acquisizioni comportamentali e cognitive provocate dall’esposizione ad un “modello superiore” (superiore rispetto al livello psicogenetico genetico del soggetto) sono
state oggetto di molti studi. Citiamo quelli di Turiel (1966) poi Mc Manis (1974) sul
giudizio morale; quelli di Rosenthal e Zimmerman (1972) già presentati nel primo
capitolo, da Zimmerman e Rosenthal (1972) e Zimmerman e Rosenthal (1974) che
studiano l’apprendimento di concetti; infine molti ricercatori si sono interessati in
modo specifico degli effetti del modello nell’acquisizione delle nozioni di conservazione: Waghorn e Sullivan (1970), Zimmerman e Lanaro (1974), Murray J. P. (1974),
Botvin e Murray (1975), Cook e Murray (1975). Se l’ipotesi del modeling effect può
essere suffragata dai tanti risultati riferiti da questi autori, tuttavia, adottando questa
prospettiva, alcuni aspetti delle loro ricerche resterebbero senza spiegazione. Cowan,
Langer, Heavenrich e Nathanson (1969) hanno già rilevato che un condizionamento di
comportamenti di livello psicogenetico superiore ha più effetti di un condizionamento
di comportamenti di livello inferiore. Risultati della stessa natura si ritrovano in Rosenthal e Zimmerman (1972) e Kuhn (1972) che mostrano come le regressioni ottenute
con procedure di modeling sono poco durevoli e quindi di debole ampiezza. Murray
J. P. (1974) e Cook e Murray (1975), rilevano persino un’assenza di effetto quando il
modello ha comportamenti di livello inferiore a quelle del soggetto. A questi dati evidenziati in ricerche basate sul paradigma della presentazione di modelli, si aggiungono
fenomeni analoghi messi in luce da lavori condotti in ambiti diversi: Silverman e Stone
(1972) e Silverman e Geiringer (1973) constatano che soggetti conservatori, che interagiscano con non-conservatori, non modificano il proprio livello cognitivo mentre
questi ultimi tendono a progredire.
Murray F. B. (1972), utilizzando una prova di conservazione, nota come bambini relativamente più avanzati dei loro partner, beneficino comunque dell’interazione
sociale con questi ultimi. Le nostre personali ricerche, più approfondite sul piano dell’indagine clinica delle strutture operatorie del soggetto, confermano pienamente questi dati, pur non faceno riferimento alla teoria dell’apprendimento sociale. In effetti,
anche se questa prospettiva dà molta importanza ai processi di imitazione essa non è
comunque in grado di spiegare perché non venga imitato il modello con comportamenti inferiori o comunque perché, quando l’imitazione ha luogo (sempre nel campo
del giudizio morale) i suoi effetti risultano di secondaria importanza, a breve ed a lungo
termine (Sternlieb e Youniss, 1975). D’altra parte i processi di imitazione sono inadeguati per spiegare la presenza di comportamenti originali (diversi da quelli del modello,
come nel caso della ricerca di Murray, del 1972, citata precedentemente, o anche nelle
172
Per una prospettiva sociologica
nostre ricerche dove dei non-conservatori acquisiscono i comportamenti operatori dei
loro “superiori” ma giustificando le operazioni in modo originale).
In che direzione cercare la spiegazione dell’insieme di questi risultati? Sembra opportuno analizzare in modo più specifico le condizioni di emergenza dei cambiamenti
comportamentali che ci interessano – ossia quelli che denotano una trasformazione
delle strutture cognitive. È ciò che fanno certi lavori che si ricollegano alle teorie del
riequilibrio.
Kuhn (1972), riprendendo il metodo di Rest, Turiel e Kohlberg (1969) e di Turiel
(1969) che studiano sperimentalmente l’evoluzione del giudizio morale nel quadro di
una teoria dell’equilibrazione, tenta, nel campo cognitivo, di mettere in evidenza, analogamente, come il modello sociale possa essere fonte di cambiamento nel soggetto non
perché esso determina una forma di pensiero da imitare, ma perché esso stimola l’evoluzione del bambino nel senso stesso dello sviluppo naturale. Una simile concezione
prevede allora che il modello sarà tanto più efficace nel suscitare progressi quanto più
lo scarto tra il suo livello e quello del soggetto sarà adeguato: sufficientemente piccolo
perché la differenza tra i comportamenti corrisponda all’acquisizione che il bambino
deve fare, e sufficientemente grande in modo che la contraddizione tra i comportamenti crei uno squilibrio cognitivo nel soggetto. Infatti è proprio il processo di riorganizzazione interna, attivato in tal modo, la causa del cambiamento operatorio. Questa
ristrutturazione, sempre alla ricerca di una maggiore stabilità dell’equilibrio cognitivo,
spinge il soggetto al passaggio ad uno stadio di sviluppo più avanzato. Ed è proprio
riferendosi a questa base teorica che Silverman e Geiringer (1973) mostrano come, a
seguito di un’interazione sociale tra non-conservatori e conservatori, i primi progrediscano e gli altri non regrediscano. Kuhn fa vedere come l’esposizione ad un modello
dello stadio immediatamente superiore a quello del soggetto sia più efficace rispetto ad
uno scarto di due stadi. La ricerca mostra anche, con spiegazioni analoghe a quelle di
Silverman e Geiringer, che i comportamenti di un modello “inferiore” o “dello stesso
livello” non influenzano affatto quelli del soggetto. Nella nostra ricerca sulla conservazione del numero (capitolo IV) abbiamo ugualmente sollevato il problema dello
scarto tra i livelli dei partner, e i risultati dimostrano che i non-conservatori dei livelli
più bassi (NCg ed NCt) non sono sensibili all’interazione con conservatori. Mettendo
in relazione il ruolo della diversa competenza iniziale del soggetto (illustrato anche da
Murray J. P. 1974) con il ruolo del livello del partner, abbiamo formulato delle ipotesi
relative alla distanza esistente tra le condotte dei soggetti, quelle che essi devono ancora
acquisire e quelle proposte dai conservatori. La sensibilità al conflitto avrebbe come
pre-requisito l’attitudine a (saper) circoscrivere ciò di cui trattasi (l’argomento) nello
scambio. Ma ciò implica effettivamente, come sostengono questi autori, che il modello
sia necessariamente di un livello superiore a quello del soggetto? O anche che il solo
risultato possibile, dopo la presentazione di un modello “inferiore”, sia una stabilità
del livello iniziale del bambino, o perfino una regressione? La loro posizione si fonda
sull’ipotesi dell’importanza che gioca il processo di imitazione; ciò non permette di
render conto dei progressi evidenziati a seguito dell’interazione con un modello “inferiore”. Noi proponiamo la seguente interpretazione: lo squilibrio cognitivo creato
nel soggetto non è dovuto al fatto che egli tenderebbe ad imitare il suo partner, ma al
conflitto che nasce tra i punti di vista diversi. Se lo scarto tra i livelli dei partner è trop173
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
po grande, il soggetto rischia di non risentire il conflitto o di non comprendere dove
questo si situi. Se i livelli sono simili o se il partner è “inferiore”, il soggetto non potrà
beneficiare dell’interazione se non quando questa è conflittuale, ossia se la diversità di
messa a punto e la natura del compito esigano, nel corso della situazione collettiva, una
riorganizzazione delle coordinazioni in gioco. È chiaro gli autori, di cui abbiamo in
precedenza discusso i lavori, non hanno condotto esperienze in questa prospettiva. Ciò
spiegherebbe perché non hanno registrato il tipo di effetto conseguente all’interazione
con un modello “inferiore” o “dello stesso livello”.
Questa interpretazione guida una ricerca del nostro collega Gabriel Mugny (Mugny e Doise, 1978). Riprendendo il paradigma di una ricerca già riportata nel secondo
capitolo (cfr ugualmente Doise, Mugny e Perret-Clermont, 1975) egli sottopone i soggetti ad un pre-test individuale, centrato sulle rappresentazioni spaziali e quindi, per
gruppi di due, chiede ai soggetti di eseguire, insieme, un compito di messa in relazione
di prospettive. Ai soggetti viene poi somministrato, individualmente, un post-test simile al pre-test. La scala di valutazione usata per i pre-test ed i post-test permette di
classificare i soggetti in tre categorie: il livello più debole (SC) corrisponde ai comportamenti dei bambini che agiscono senza compensare gli spostamenti dei quadri di riferimento; il livello medio (CP) raggruppa i bambini che fanno parziali compensazioni;
il livello più avanzato (CT) è quello delle compensazioni adeguate. Mugny prende in
esame quattro tipi di situazioni collettive caratterizzate da:
1.
2.
3.
4.
interazione tra: un SC ed un altro SC
interazione tra: un SC ed un CP
interazione tra: un CP ed un altro CP
interazione tra: un SC ed un CT
Notiamo che i soggetti CT, per definizione, non possono ulteriormente progredire
in questo compito, ed inoltre, non regrediscono. Sono quindi interessanti da studiare
gli SC ed i CP. L’analisi dei risultati mostra che, al livello meno avanzato dell’elaborazione delle nozioni in gioco (SC) l’interazione con un partner “superiore” è più vantaggiosa dell’interazione con un “simile” se, e soltanto se, lo scarto tra i livelli dei partner
non è molto grande: gli SC beneficiano sul piano cognitivo dell’interazione sociale se
avviene con dei CP, ma non progrediscono con i CT o altri SC.
Diversamente, i soggetti di un livello più avanzato, i CP, sembrano trarre profitto
da un’interazione con modelli “inferiori”. I progressi rilevati in questa ricerca non sono
dunque direttamente connessi al livello del partner. Per gli uni (i CP all’occorrenza)
un SC è il partner più adeguato, per gli altri (gli SC) è, inversamente, l’interazione con
un bambino CP a provocare l’evoluzione più marcata. Per le due categorie di soggetti
le situazioni collettive che li hanno confrontati a soggetti con punti di vista diversi dai
loro, sono le più stimolanti. Questi dati evidenziano ancora come non sia necessario né
sufficiente essere esposti ad un modello corretto per progredire. La principale caratteristica di una situazione di interazioni sociali feconda sembra quella di opporre dei punti
di vista diversi con un grado ottimale di divergenza. La fonte della contrapposizione
non è direttamente lo scarto tra i livelli psico-genetici in presenza ma le opposizioni tra
le messe a punto che ne derivano.
174
Per una prospettiva sociologica
2. L’approccio interazionista e costruttivista: il ruolo del
conflitto socio-cognitivo
Quest’ultima ricerca di Mugny e Doise viene a suffragare l’interpretazione avanzata a partire dalle ricerche precedenti, e permette di superare l’interpretazione restrittiva di alcune teorie del riequilibrio. Essa, in effetti, conforta un’impostazione
interazionista e costruttivista dello sviluppo e considera la genesi delle strutture cognitive come derivante non da un’appropriazione passiva da parte del soggetto di condotte esterne, ma da una attività strutturante sul reale e che si realizza in modo privilegiato attraverso coordinazioni inter individuali. Se l’imitazione, in quanto processo
di assimilazione, può rendere conto di certi aspetti dello sviluppo, è importante sottolineare che l’interazione sociale non offre solo una sorta di “nutrimento intellettuale”, da assimilare, ma soprattutto suscita un’attività di accomodamento che è fonte
del nuovo. Questo lo si osserva empiricamente: se il soggetto dovesse essere forgiato a partire dai comportamenti del suo ambiente sociale, la presentazione di modelli
di un livello cognitivo inferiore o l’interazione con questi dovrebbe comportare una
regressione; al contrario si constata che, in certi casi, il bambino resta impermeabile
a questo tipo di esposizione e, fatto ancora più importante, può trarne profitto cognitivo.
Quest’analisi apre perciò la strada ad una reinterpretazione di quei risultati che in
molti casi sono attribuiti ad un apprendimento per imitazione o modeling effect.
In effetti, i comportamenti di un modello di livello cognitivo superiore a quello
del soggetto non possono essere direttamente assimilati da quest’ultimo in quanto corrispondono - per definizione - ad una strutturazione mentale diversa e più complessa
della sua. Se in certe esperienze alcuni soggetti riescono a realizzare quest’assimilazione, producendo un’imitazione adeguata dei comportamenti del modello “superiore”
osservato, bisogna tuttavia sottolineare che quest’assimilazione - e l’atteggiamento da
imitare che essa comporta - non può realizzarsi se non attraverso una riorganizzazione
cognitiva dovuta alle attività di aggiustamento del soggetto.
Questo meccanismo è stato studiato da Piaget: “ogni regolazione è una reazione ad
una perturbazione” (Piaget, 1975, p.25) e la psicologia genetica ha mostrato il ruolo
del conflitto cognitivo alla base di questi squilibri che il bambino cerca attivamente di
superare. Perciò Piaget (idem, p.45), riferendosi ai lavori di Inhelder, Sinclair e Bovet
(1974), sottolinea come le ricerche di questi autori confermino “l’analisi teorica delle
nozioni di base (in particolare dei rapporti tra l’assimilazione e l’accomodamento) nel mostrare che i fattori di acquisizione più fecondi (sono) costituiti dalle perturbazioni che generano delle situazioni di conflitto...”. Ma ritorniamo ora alla problematica dell’effetto
della presentazione di un modello e chiediamoci quale possa essere - in questo casol’origine del conflitto cognitivo. In queste circostanze particolari, non si tratta né dell’effetto perturbatore della resistenza del reale alle azioni del soggetto o di un feed-back
relativo a queste azioni, né, almeno inizialmente, di un conflitto interno al soggetto tra
schemi o sotto-sistemi di schemi. Il bambino, in una simile esperienza, vive un conflitto tra i comportamenti che avrebbe sviluppato da solo in una data situazione e alle prese con un dato compito e quelli che gli si chiede di osservare. Il soggetto è posto dun175
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
que in una situazione di confronto tra le proprie reazioni e quelle altrui. Sarebbe questa
dimensione conflittuale dell’esposizione al modello a scatenare i meccanismi di riorganizzazione cognitiva che portano al progresso riscontrato, nella misura in cui il soggetto vi fosse esposto in una fase del suo sviluppo (abbiamo visto l’effetto differenziale
dei prerequisiti del soggetto) tale da permettergli di essere sensibile al conflitto stesso1.
L’origine del conflitto cognitivo sarebbe dunque sociale: essa si situa nel confronto inter-individuale proposto dalla situazione sperimentale.
In una prima ricerca, riprendendo l’ipotesi di Smedslund (1966) relativa al ruolo
del conflitto di comunicazione, Murray F. B. (1972, p. 4) interpreta i progressi cognitivi suscitati dall’interazione tra bambini definendo “il conflitto sociale o l’interazione
come dei mediatori importanti della crescita mentale”. Ma nell’esposizione di una ricerca
più recente (Botvin e Murray, 1975) egli tenta di ridurre l’effetto del conflitto di comunicazione ad un modeling effect senza rendere conto dei meccanismi soggiacenti.
Questo è senz’altro dovuto al fatto che le sue ricerche non siano state strutturate per
studiare specificamente il conflitto di cui pure egli parla ma di considerarne soltanto
le modalità possibili. Noi pensiamo di aver mostrato in questa sede come ci sembri più
adeguato adottare il metodo inverso e considerare l’effetto di imitazione del modello,
così come è stato operazonalizzato nelle ricerche citate, come un caso particolare degli
effetti del conflitto socio-cognitivo.
Discutendo dei risultati delle nostre esperienze abbiamo avanzato l’ipotesi che il
conflitto socio-cognitivo sarebbe tanto più idoneo a generare un’evoluzione del soggetto quanto più è “evidente” ai suoi occhi. Questa “evidenza” del conflitto cognitivo
inter-individuale sarebbe facilitata da alcune modalità di interazioni sociali (per esempio nelle “costellazioni” della seconda ricerca quando, non un solo partner, ma due,
presentano comportamenti conservatori); oppure, al contrario, sarebbe mascherata
quando altri elementi interferiscono (connessi per esempio alla natura del compito,
troppo difficile o che susciti giudizi di valutazione; oppure alla risonanza socio-emotiva
troppo forte degli scambi). A questo proposito sottolineiamo l’osservazione di Marion,
Desjardin e Braute (1974, p. 95): “le interazioni tra partecipanti crescono quando un
conflitto cognitivo diventa sensibile a tutti”.
La nozione di conflitto socio-cognitivo sembra dunque permettere, nello stesso
tempo, di interpretare i dati raccolti da diverse prospettive di ricerca che si sono dedicate allo studio dell’apprendimento in situazioni sociali, situandoli nel quadro di una
concezione interazionista e costruttivista dello sviluppo.
3. Elementi per una psicologia sociale genetica
Jean Piaget, in un commento ai nostri lavori e a quelli dei nostri colleghi (PerretClermont, Doise, Mugny, 1976) condotti da una prospettiva psicosociologica dello
sviluppo (1976, p. 226), individua due problemi: 1) quello della fonte o del meccanismo dal quale prendono origine le operazioni e la loro struttura; 2) e quello della facilità o rapidità di questo processo di elaborazione. Come il nostro oggetto di studio si
riconosce in questa distinzione?
176
Per una prospettiva sociologica
Il nostro obiettivo non è effettivamente il primo punto, anche se, prima di specificare meglio questa nostra affermazione, sottolineiamo subito che l’obiettivo non è
nemmeno il secondo punto. In effetti, noi non studiamo in questa sede il problema
del meccanismo formatore delle operazioni, la cui messa in luce resta uno dei grandi
contributi originali della psicologia di Piaget.
Piaget descrive questo meccanismo con precisione nella sua opera sull’equilibrio
delle strutture cognitive sottolineando come si tratti “di un processo indispensabile dello
sviluppo, e di un processo le cui manifestazioni si modificheranno di stadio in stadio nel
senso di un migliore equilibrio nella sua struttura qualitativa così come nel suo campo di
applicazione...” (Piaget, 1975, p. 23). Questi fatti sono definiti e se, come da molto
tempo ha suggerito Piaget, “le coordinazioni generali sono le stesse, sia che si tratti di azioni inter o intra-individuali”, sembra che ciò possa spiegarsi, come propone, tirando in
ballo la loro comune origine nelle regolazioni biologiche: “In altri termini la struttura
operatoria in gioco è di natura generale, o comune, dunque biopsicosociologica, e per questo
è logica nella sua origine” (Piaget, 1976, p. 226).
Non abbiamo cercato specificamente di ritrovare quest’identità simultanea del
cognitivo e del sociale in un momento dato dello sviluppo dell’individuo. Che vi sia
isomorfismo ad un certo livello tra “operazioni” e “co-operazioni” e che queste “si alimentino” reciprocamente non significa – e questo ci sembra importante – che l’interazione sociale non abbia alcun ruolo in altre tappe dell’evoluzione cognitiva. Pertanto
non ci siamo occupati di capire se le forme che l’interazione sociale riveste in un dato
momento (monologo o dialogo, co-operazione o “co-azione” in un rapporto di costrizione o di autorità) influenzino le forme del pensiero. Ci siamo limitati all’indagine
relativa allo sviluppo del pensiero operatorio ed all’incidenza che possono avere, su di
esso, certe modalità di coordinazione o di confronto inter-individuali. Notiamo tuttavia che la maggior parte delle modalità d’interazioni sociali osservate hanno una natura “co-operativa” e che pertanto il loro impatto sullo sviluppo cognitivo individuale è differente; notiamo ugualmente che effetti conseguenti all’interazione sociale sono
stati riscontrati in bambini relativamente giovani: nella ricerca sulla conservazione del
numero (capitolo IV), o in quella sul disegno (capitolo V), i soggetti hanno appena 4
- 5 anni e non sono che alle soglie dello stadio delle operazioni concrete, dunque prima ancora di padroneggiare quelle operazioni la cui struttura è isomorfa a quella degli scambi della “co-operazione” (vedere a questo riguardo Piaget, 1965, p. 143-171).
Sottolineamo che la nozione di “stadio delle operazioni concrete” è troppo globale per
definire le differenti dimensioni la cui pertinenza è stata dimostrata dai risultati della nostra ricerca: ricordiamo, per esempio, il ruolo del livello cognitivo del soggetto
in rapporto alle nozioni precise messe in gioco dal compito, la natura dei pre-requisiti
specifici per una data interazione sociale, l’influenza dei tipi di divergenza tra i punti
di vista co-presenti. La considerazione di queste diverse dimensioni dovrebbe permettere di superare certe difficoltà sorte in altri analoghi studi sullo sviluppo cognitivo e
sociale. Così ad esempio, il dibattito sull’“egocentrismo” infantile ed i processi di decentramento (Aebli, 1966; Huttenlocher e Presson, 1973; Eiser, 1974; Chaplin e Keller, 1974; Hoy, 1974; Hoy, 1975; Borke, 1975) dovrebbe poter essere superato proprio ricorrendo a concetti meno globali per definire i livelli di comportamento tanto
sociali che cognitivi.
177
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Riprendiamo ora il secondo dei problemi individuati nella distinzione precedente,
problema a proposito del quale Piaget afferma “che sembra dunque stabilito che il fattore
di scambio (o qui di comunicazione) dinamizza il lavoro cognitivo” (1976, p.226). Alcune
nostre ricerche, ed altre che qui abbiamo riferito, lo hanno dimostrato a più riprese.
Ci sembra comunque che gli sviluppi recenti delle nostre indagini sulla chiarificazione dei meccanismi in gioco, ci consentano, nell’interpretazione, di andare oltre. Alla
luce di questi risultati saremmo tentati di affermare che, se lo scambio collettivo può
certamente facilitare l’attività cognitiva e la formazione delle operazioni, il conflitto
socio-cognitivo può, in determinati momenti dello sviluppo dell’individuo e in certe
condizioni, suscitarle. Certo il conflitto socio-cognitivo non è, da solo, creatore di forme
ma scatena squilibri che rendono necessaria questa collaborazione. Per tale ragione, il
conflitto socio-cognitivo conferisce al fattore sociale, accanto agli altri fattori esplicativi
dello sviluppo, un ruolo specifico nella dinamica della crescita mentale. Si potrebbe,
a titolo esemplificativo, tracciare un’analogia tra il ruolo del conflitto socio-cognitivo
nello sviluppo e la funzione di un catalizzatore, in una reazione chimica, i cui elementi,
pur non entrando nella composizione finale del prodotto, si rivelano tuttavia indispensabili perché la reazione abbia luogo.
Nel porre il problema della presa di coscienza della contraddizione, Piaget (1974,
b, p.161-162) stabilisce, da una parte, che se essa si verifica, ciò avviene perché il soggetto è “capace di supararla” (noi abbiamo riscontrato questo problema mettendo in
evidenza nelle nostre esperienze il ruolo del livello iniziale del soggetto) e che, d’altra
parte, essa “è agevolata quando emerge tra una previsione ed un dato esterno che sconfessi tale previsione...” , poichè, sostiene ancora Piaget, “in questo caso la negazione non
viene costruita ma è imposta dall’esterno dal nuovo evento che appare e che quindi va situato in un referenziale allargato, il che costituisce un problema più o meno arduo di superamento, e non di presa di coscienza della contraddizione”. Altrove, Piaget (1975, p.
21) riferisce “che i soli casi in cui la negazione è precoce sono quelli in cui il soggetto non
deve costruirla, perché imposta dal di fuori: come ad esempio una smentita dei fatti in risposta ad una falsa previsione (o effettivamente un rifiuto, durante un conflitto con una
volontà di segno contrario)”. Ci piace sottolienare che Piaget, in quest’ultima parentesi, sostiene: “o un effettivo rifiuto”, poiché ci sembra che, nella vita quotidiana del
bambino ed in tutte le situazioni educative presenti nella nostra società, questo sia il
tipo più frequente di smentita a cui viene confrontato il soggetto. Se è possibile che
nella sua ricerca epistemica il soggetto possa, in certi casi, essere eventualmente confrontato individualmente ad un evento fisico esterno alle proprie azioni o ai loro risultati - come spesso pensa Piaget - si può tuttavia ampliare questo dibattito teorico
ponendo due quesiti:
a) condurrebbe il soggetto questa ricerca se non vi fosse spinto dalle relazioni sociali e
dagli scambi inter-individuali (e questi su contenuti connessi al contesto culturale)
che vive nella realtà quotidiana?
b) e, d’altra parte, è corretta la distinzione che talvolta si fa tra l’universo fisico degli
oggetti e l’ambiente sociale? Il bambino viene mai messo a confronto con il primo
in assenza totale di una presenza sociale? Questo non si registra mai nelle situazioni
sperimentali.
178
Per una prospettiva sociologica
Piaget stesso, altrove (1965, p. 155), ha avuto l’occasione di denunciare “l’artificio
che fa considerare come un sistema chiuso sia l’individuo che i suoi rapporti con l’ambiente
fisico”. Ma sono poi state tratte le dovute conseguenze di quest’affermazione? Poiché in
assenza (difficilmente realizzabile!) di situazioni sociali che incitassero per la loro stessa
natura ad una ristrutturazione cognitiva l’individuo, si può prefigurare che il soggetto
sia ciò nonostante suscettibile di risentire sufficientemente di squilibri cognitivi interni
ed essere capace di costruire, da solo, gli strumenti intellettuali che gli permettano di
adattarsi al suo ambiente (che si impone allora innanzitutto nelle sue dimensioni biologiche)? Nella ricerca di una risposta a quest’interrogativo sorgerebbe, senza dubbio, il
problema del ruolo degli scambi nella nascita di tutte le civiltà, e dunque nello sviluppo
di tutti i sistemi di comprensione e di tutti i campi della conoscenza.
Radicata nelle sue strutture biologiche, sviluppata e messa in azione dall’individuo, l’intelligenza, nella sua essenza, ci appare come il frutto di una comunità.
Per Piaget (1966, p. 249): “vi è una quantità di problemi mal districati proprio perché ci si rinchiude sin dall’inizio nell’alternativa ‘individuo o società’ dimenticando la prospettiva relazionale secondo la quale non esistono interazioni che non possono esser studiate
tanto globalmente alla maniera del sociologo che ontogeneticamente nel corso di ogni sviluppo individuale. Come nella biologia contemporanea, l’ontogenesi e la filogenesi sono collegate da circuiti o spirali dialettiche, allo stesso modo una collaborazione stretta tra psicologi
e sociologi sui problemi dello sviluppo sarebbe vantaggiosa per entrambe le discipline” (Piaget, 1966, p. 249). Le indagini sperimentali che abbiamo condotto nel nostro approccio psicosociologico dello sviluppo ci sembra possano iscriversi in questa prospettiva.
Ma hanno ancora bisogno, nel loro tentativo di articolare l’individuale ed il collettivo,
di spingersi sul piano più specificamente sociologico; è quanto tratteremo a grandi linee nel paragrafo seguente.
Smedslund (1966, p. 159) si dichiara a favore di una modificazione del quadro
concettuale delle ricerche di psicologia genetica “nel senso di una formulazione psicosociologica esplicita”. Tale processo è solo alle prime battute. Non riprenderemo in questa sede
i numerosi problemi sollevati durante tutta l’esposizione il cui chiarimento potrebbe
contribuire, come aveva previsto Smedslund, ad “una comprensione più profonda dei meccanismi e del contenuto dello sviluppo cognitivo e dell’apprendimento”. Come questo autore
aveva annunciato, si tratta solo “di una riformulazione di programma” che non promette
in alcun modo una semplificazione immediata di questi problemi“ (idem, p. 166) ma
mostra il contributo potenziale dalla psicologia sociale alla psicologia genetica.
Inversamente, la psicologia genetica, procura allo psicosociologo basi solide nella
conoscenza di uno dei poli del suo oggetto di studio: l’individuo. Essa gli offre ugualmente un metodo nell’approccio genetico, permettendogli di studiare i comportamenti sociali o collettivi come i comportamenti individuali, nella dinamica della loro
evoluzione. Questo obbliga lo psicosociologo a costruire una concettualizzazione dei
problemi tenendo conto non soltanto di un’analisi delle diverse modalità di interazione
sociale o di funzionamento dei gruppi, della natura del compito e delle rappresentazioni, dell’impatto di questi processi sulla produzione collettiva (vedere a questo riguardo
Moscovici e Paicheler, 1973) ma facendo ugualmente intervenire il livello di elaborazione che investe l’insieme di questi processi, la performance del gruppo così come i
loro effetti conseguenti a livello individuale.
179
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
“ ...Se la psicologia genetica può essere utile alla sociologia ciò si realizza nell’aiuto a differenziare i tipi di interazioni sociali che agiscono sull’individuo...” (Piaget, 1951, p. 37).
4. Elementi per una prospettiva sociologica
4.1 Dati empirici
La nostra prima ricerca sulla conservazione delle quantità di liquidi è stata realizzata in scuole del centro città. L’anno seguente, ragioni materiali ed amministrative ci hanno obbligati a condurre la seconda esperienza, sulla stessa nozione, in altre
classi scolastiche situate in una città satellite. In questo caso abbiamo notato come
la proporzione di alunni conservatori e non-conservatori al pre-test, di scuola materna e di prima elementare, fosse abbastanza diverso da quello dell’anno precedente. Nella scuola periferica, i conservatori sono apparsi più numerosi nei due gradi
scolastici.2
È forse la diversa età degli alunni di questi due gradi che spiega questi dati? Le
date di nascita dei soggetti, rilevate sui registri di classe ed i dati dell’Annuario statistico dell’istruzione di Ginevra (Servizio della Ricerca Sociologica, 1974) mostrano
che non è questa la spiegazione, il che non stupisce all’inizio della scolarizzazione.
Più esattamente queste informazioni confermano che i bambini delle diverse origini
socio-professionali, inegualmente ripartiti nelle diverse scuole, hanno delle età simili
all’ultimo anno della materna e in prima elementare, e che il sistema di deroghe relative all’età di ingresso nella scuola obbligatoria ha un’influenza trascurabile in rapporto
a poche classi.
I risultati di questi confronti, evidenziati con chiarezza dopo l’esame dei dati della
seconda ricerca, ci spingono quindi (a posteriori) ad analizzarli meglio introducendo
una nuova variabile: “l’apparenenza socio-professionale” del soggetto3.
I dati a disposizione riguardano la professione del padre (o del responsabile) del
bambino e poiché risultano abbastanza generici, ci accontenteremo di una ripartizione
in tre fasce sociali di origine, basandoci sulla classificazione proposta dal Servizio della
Ricerca Sociologica:
– ceto A: manovali, operai specializzati, operai qualificati, impiegati subalterni,
ecc...
– ceto B: impiegati qualificati, piccoli dipendenti, agricoltori, quadri medi, ecc.
– ceto C: libere professioni o intellettuali, quadri superiori, quadri medi e dirigenti.
Questa classificazione è certamente grossolana, ma per l’analisi che ci interessa,
la sua imperfezione rischia solo di diminuire l’ampiezza di eventuali differenze tra gli
ambienti sociali.
a) Analisi dei risultati della seconda ricerca (conservazione dei liquidi) in funzione dell’origine sociale dei soggetti
180
Per una prospettiva sociologica
La tabella 29 presenta i risultati al pre-test di conservazione dei liquidi in funzione
dell’origine sociale dei bambini interrogati4.
Tabella 29:Livello dei bambini al pre-test della prova di conservazione delle quantità di
liquidi nella seconda ricerca, in ragione delle diverse fasce sociali di provenienza dei soggetti.
NC
I
C
Totale
% di NC
Fascia sociale A
21
5
15
41
51%
Fascia sociale B
15
4
15
34
44%
Fascia sociale C
4
0
12
16
25%
Totali
40
9
42
91
È evidente come la proporzione di non-conservatori fra gli alunni dell’ultima classe della scuola materna e quelli della prima elementare risulti più modesta nella fascia
sociale C, composta da liberi professionisti e quadri (4 non-conservatori su 16 interrogati), rispetto alle altre fasce sociali (36 non-conservatori su 75 interrogati). La proporzione è leggermente inferiore nel ceto sociale medio B (15 non-conservatori su 34
interrogati) rispetto al ceto A (21 non-conservatori su 41 interrogati). Questa costatazione non è particolarmente nuova e, difatti, abbiamo menzionato, nel primo capitolo,
altri lavori che evidenziano simili disparità nelle performances dei bambini di diversi
ambienti, non soltanto ai test classici ma anche alle prove operatorie.
Dopo il pre-test, i bambini non-conservatori vengono sottoposti ad una delle condizioni previste nel piano sperimentale. Sono proprio le condizioni sperimentali I e
II quelle che si sono rivelate più suscettibili a promuovere un progresso cognitivo nei
soggetti, distinguibile al post-test 1.
È quanto evidenzia la tabella 30 che presenta i progressi dell’insieme dei soggetti
(di cui possediamo informazioni relative alla professione dei loro responsabili) nelle
diverse condizioni sperimentali.
La tabella 31 mostra la ripartizione dei soggetti dei diversi ambienti sociali nelle
situazioni sperimentali ed in quella di controllo, con i loro conseguenti progressi. Dall’analisi di questi dati si desume che nessuno dei soggetti del ceto sociale C (quadri superiori) progredisce mentre nelle situazioni sperimentali I e II, che ci interessano poiché sono le più propizie ad una interazione conflittuale sul piano cognitivo, 3 dei 6
soggetti del ceto B e 5 dei 7 soggetti del ceto A progrediscono al post-test.
Malgrado il modesto campione di soggetti (non prevedendo inizialmente un’analisi in funzione dell’origine sociale) sorprende la seguente constatazione: nelle condizioni
sperimentali I e II le proporzioni di soggetti che progrediscono – o tasso di “crescita
sperimentale” – differiscono in funzione dell’estrazione sociale colmando, al post-test,
lo scarto rilevato tra livelli sociali del pre-test (cfr per una illustrazione del significato di
questo tasso differenziale di “crescita sperimentale” in funzione del livello sociale di ori181
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
gine la 32). Data la solidità della teoria dello sviluppo cognitivo in base alla qual è stato
determinato il livello dei soggetti, ci sembra relativamente poco probabile che questi
risultati siano frutto del caso. Vedremo d’altronde che tendenze del tutto analoghe si
riscontrano nella ricerca che segue.
Tabella 30:Numero di progressi dei soggetti NC della seconda ricerca, nella prova di
conservazione delle quantità di liquidi (post-test 1) per le diverse condizioni
sperimentali.
Progressi
Non
progressi
Totali
Condizioni sperimentali I e II (1 NC +
2C o 2NC + 1C)
8
8
16
Condizione sperimentale III (3NC) e
condizione di controllo (senza interazione)
2
15
17
Tabella 31:Distribuzione dei soggetti dei diversi ambienti sociali nelle diverse condizioni della seconda ricerca, con l’indicazione dei progressi al post-test 1:
P=progressi; NP=assenza di progressi; T =totale.
Condizioni sperimentali
I e II
Fascia A
Condizione
controllo
III
Tot.
P
NP
T
P
NP
T
P
NP
T
5
2
7
0
3
3
1
3
4
14
Fascia B
3
3
6
0
5
5
1
3
4
15
Fascia C
0
3
3
0
0
0
0
1
1
4
Totali
8
8
16
0
8
8
2
7
9
33
b. Analisi dei risultati della terza ricerca sulla conservazione del numero in riferimento
all’origine sociale dei soggetti.
Rispetto alla definizione del piano sperimentale, come per la seconda ricerca, anche per la terza abbiamo proceduto solo a posteriori a questo tipo di analisi.
La tabella 33 presenta i risultati alla prova di conservazione del numero dei 140
bambini interrogati al pre-test.
Dalla tabella appare una disparità di performances in questa prova, a seconda degli
ambienti sociali. Per l’analisi che segue, elimineremo dalla tabella i soggetti meno avanzati (NCg e NCt), visto che non hanno raggiunto un livello di sviluppo tale da metterli
in condizione di beneficiare delle interazioni sociali delle situazioni sperimentali α e β.
182
Per una prospettiva sociologica
Gli altri soggetti, i non-conservatori NCd ed NC4, rappresentano il 40% del campione della fascia A (quello degli operai ecc...), il 41% della fascia B e il 23,8 % della fascia
C. Questi dati sono dello stesso ordine di quelli della precedente esperienza.
Tabella 32:Illustrazione del significato del “tasso differenziale di crescita sperimentale”
in funzione del ceto sociale di origine, messo in luce nella esperienza II (conservazione delle quantità di liquidi).
A titolo di esempio, si può immaginare ciò che accadrebbe se tutti i non-conservatori
del pre-test fossero stati inseriti nelle condizioni sperimentali I e II:
–
Al pre-test ci sono:
51,2% di NC per la fascia A
44,1% di NC per la fascia B
25,0% di NC per la fascia C
–
Dopo le fasi di interazione (condizioni I e II) i tassi di progresso sarebbero del:
71,4% per i NC per la fascia A
50,0% per i NC per la fascia B
00,0% per i NC per la fascia C
In tal modo (ipotizzando che tutti i soggetti si trovassero nelle condizioni sperimentali
I e II e che i tassi di progresso si mantenessero costanti) si osserverebbe una diminuzione della percentuale di non-conservatori, in modo da avere:
14,6% di NC per la fascia A
22,5,% di NC per la fascia B
25,0% di NC per la fascia C
Cio significherebbe un’annullamento dello scarto registrato al pre-test.
Tabella 33:Livello dei bambini al pre-test della prova di conservazione del numero nell’esperienza III, secondo la classe sociale di origine.
livello al pre-test
NCg + NCt
NCd+NC4
I+C
Totale
Fascia sociale A
7
18
27
52
Fascia sociale B
10
23
33
66
Fascia sociale C
1
5
16
22
Totali
18
46
76
140
183
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Dopo il pre-test i soggetti non-conservatori sono stati anche in questo caso ripartiti
in tre gruppi sottoposti rispetto a situazioni sperimentali diverse. Si vede, dalla tabella
34, come le condizioni α e β siano quelle più idonee ad innescare progressi nei soggetti al
post-test, non a caso le sole a mettere a confronto soggetti con punti di vista differenti.
Tabella 34:Progressi dei soggetti non-conservatori (NCd ed NC4) della terza ricerca
(conservazione del numero) al post-test secondo le condizioni sperimentali.
Progressi
Non
progressi
Totali
8
14
22
0
10
10
8
24
32
Condizioni sperimentali α e β (1 NC +
1C o 1NC + 1I)
Condizione sperimentale δ (2NC)
Totali
Probabilità esatta: p=.034
La tabella 35 presenta la ripartizione dei soggetti NCd ed NC4 nelle diverse condizioni sperimentali ed i loro progressi al post-test. Si può notare che anche in quest’esperienza nessun bambino della fascia sociale C (libere professioni, quadri superiori,
ecc...), progredisce, mentre si nota evoluzione nei soggetti degli altri livelli socio-economici: progrediscono, infatti, 3 degli 8 bambini della fascia A e 5 dei 12 della B.
Tabella 35:Ripartizione dei soggetti delle diverse fasce sociali nelle condizioni sperimentali della terza ricerca, con indicazione dei progressi al post-test.
Condizioni sperimentali
δ
αeβ
Tot
P
NP
T
P
NP
T
Fascia A
3
5
8
0
6
6
14
Fascia B
5
7
12
0
4
4
16
Fascia C
0
2
2
0
0
0
2
Totali
8
14
22
0
10
10
32
Questo fenomeno è analogo a quello constatato nella ricerca precedente: il tasso
di crescita dei soggetti, dopo i trattamenti sperimentali delle situazioni alfa a beta, dovrebbe permettere di colmare lo scarto che appare al pre-test, tra le performances dei
bambini dei diversi livelli sociali (soprattutto per i livelli NCd + NC4 e I + C, poiché
la situazione di interazione sociale proposta nella ricerca prevede il possesso di un certo
livello cognitivo iniziale, almeno NCd, per poter beneficiare dell’interazione).
184
Per una prospettiva sociologica
4.2. Il problema dell’interpretazione delle tendenze che emergono
da questi dati
Esaminiamo ora come si potrebbe affrontare il complesso problema della spiegazione di queste tendenze, constatate nella seconda ricerca, e ritrovate nella terza, qualora
venissero confermate da nuove indagini, che le definiscano con maggiore precisione.
Altri lavori, come quelli intrapresi nel quadro della corrente “educazione compensatoria”, di cui abbiamo discusso nel primo capitolo, hanno supposto che uno scarto
tra le performances di bambini di diversi ambienti sociali può venire in parte “compensato” da insegnamenti appropriati. Nello stesso tempo, dalla lettura dei rapporti di queste ricerche, si ricava un’inefficacia delle misure raccomandate nell’annullare,
in modo completo, le disparità costatate. Diversamente, noi ci troveremmo, nelle nostre ricerche, di fronte a situazioni che eliminano completamente queste disparità. A
seguito delle dimostrazioni di Campbell ed Erlebacher (1970), e di Campbell e Borouch (1975), dobbiamo considerare che l’efficacia delle pratiche pedagogiche “compensatrici”, che tentano di ridurre le disparità delle performances intellettuali o scolastiche,
viene spesso sottostimata da tecniche che non controllano gli effetti di regressione statistica. Una reinterpretazione dei dati relativi alle esperienze “di educazione compensatoria”, che tenga conto degli artefatti di regressione, rivelerebbe tendenze di ampiezza maggiore.
Tuttavia ci sembra che queste cautele verso le tecniche statistiche impiegate non
sarebbe, da sola, sufficiente a dimostrare che la riduzione della disparità si manifesti
analogamente in questi lavori e nei nostri. Quali sarebbero le ragioni per le quali il nostro metodo dovrebbe risultare più adeguato nell’eliminare le disparità constatate?
Nella ricerca di una spiegazione, le nostre prime considerazioni saranno di ordine
metodologico. In effetti ci sembra che il nostro metodo di valutazione delle condotte ci
abbia permesso di evitare una confusione teorica molto frequente tra la nozione di attitudine5 caratteristica dell’individuo e quella di padronanza, come appare da un intervento con una finalità precisa. Tale metodo ci ha permesso di tener conto delle strutture sequenziali di acquisizione delle condotte; e ci ha evitato di dover postulare che il
grado di sviluppo raggiunto dai soggetti vari in modo continuo nella popolazione. Un
simile postulato avrebbe significato già ricorrere ad un presupposto dubbio per il concetto di strumento usato al pre-test, ma, al post-test, la contraddizione sarebbe stata
ancora più evidente nell’ottica dell’intervento sperimentale che – come d’altronde ogni
intervento pedagogico – cerca di provocare un apprendimento specifico di tutti i bambini a cui si rivolge. Valutando il livello dei soggetti nel quadro di una teoria stadiale abbiamo potuto tener conto sia dei prerequisiti di sviluppo che ogni intervento pedagogico richiede (o qualunque altra situazione capace di provocare un’evoluzione del
soggetto), sia dei plafonds (o piani di equilibrio) che stabiliscono l’avvenuta acquisizione di una nozione o di una condotta. Le caratteristiche del nostro metodo da una parte, ed il fatto che noi abbiamo potuto, dall’altra, evitare i problemi sollevati da Campbell (1974, p. 37) quanto alla definizione dell’obiettivo da perseguire e da valutare6,
fondando la nostra indagine su una conoscenza precisa dei processi di apprendimento
in gioco, sono forse i due fattori che concorrono a rendere la nostra metodologia più
adeguata per lo studio comparativo di soggetti appartenenti a diversi gruppi sociali.
185
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
In altri termini, il trattamento sperimentale o pedagogico (nel nostro caso le interazioni sociali proposte) non rappresenta mai un solo insieme di condizioni (vedi il
problema dei prerequisiti) perché l’apprendimento o lo sviluppo che si cerca di suscitare abbia luogo. È necessario che un certo numero di fattori siano presenti, e sono
indispensabili gli strumenti relativi, cioè un metodo ed un modello, che possano tenerne conto. I risultati delle nostre ricerche condurrebbero perciò a due conclusioni: la
necessità di strumenti metodologici adeguati ed il ruolo delle interazioni sociali nello
sviluppo. Con tali strumenti e tenendo conto in modo specifico, al momento dell’intervento pedagogico o sperimentale, delle interazioni sociali, sarebbe allora possibile
ottenere performances simili in tutti i bambini quale che sia la loro origine sociale. E
ciò dimostra l’interesse di approfondire, in modo interdipendente, i diversi livelli della
ricerca: metodologica, psicologica e pedagogica.
Quest’analisi teorica suggerisce ugualmente una possibile reinterpretazione dei risultati dell’esperienza condotta da Varnava-Skours (1973) con bambini di ambienti
emarginati. Nella ricerca vengono comparati gli effetti sugli aspetti cognitivi di un programma di solecitazione a base linguistica con un programma a base operatoria, da lei
stessa messo a punto. Dai risultati si riscontra non soltanto che il secondo approccio è
superiore ma soprattutto che il ricorso ad esso registra un netto successo. Varnava-Skouras lo imputa alle caratteristiche dei compiti e del materiale che ha preparato. L’origine dei progressi operatori constatati si situerebbe nell’interazione del soggetto con un
“ambiente” fisico strutturato in modo adeguato per suscitare in lui dei conflitti di ordine cognitivo (con riferimento, soprattutto, alla nozione di “conflitto di schemi” presa in prestito da Inhelder, Sinclair e Bovet). Tuttavia al momento della descrizione dello
svolgimento delle fasi sperimentali del suo intervento pedagogico l’autrice afferma – ma
non ne terrà conto poi nella sua interpretazione dei risultati ottenuti – che durante tutta
l’applicazione del programma, i bambini vengono sempre posti in situazioni nelle quali essi devono giocare insieme con il materiale proposto, cioè in situazioni di interazione sociale. La domanda che sorge è se il materiale si sia rivelato appropriato sul piano
educativo per il modo in cui è stato strutturato o piuttosto perché fornisce l’occasione
per conflitti socio-cognitivi tra i bambini. Appare così che l’approccio di Varnava-Skouras appare, in due punti, analogo al nostro: esso adotta un metodo di valutazione fondato su una teoria stadiale ed assegna, ma senza avervi fatto troppa attenzione, un posto
importante all’interazione sociale tra i soggetti. Questo potrebbe spiegare ugualmente il
suo successo in bambini con i quali le esperienze pedagogiche sono fallite.
Poiché ci siamo riferiti a certi risultati dei lavori della corrente della “educazione
compensatoria” desideriamo, infine, proseguire la riflessione teorica facendo alcune
annotazioni relative a questa problematica psico-socio-pedagogica.
Visti i risultati delle esperienze che abbiamo condotto e analizzato, ed i problemi
teorici e metodologici che sono stati sollevati, quando si presenta l’ occasione, dal tentativo di articolare lo psicologico con il sociale; visto il successo di esperienze educative
come quelle di Cecchini et al. (presentate nel capitolo I) e basate su metodi pedagogici
che tengono conto dell’attività del bambino, del suo ritmo di sviluppo, e soprattutto
che intensificano le interazioni tra gli alunni, ci sembra che l’insieme di questi dati
spinga verso una riformulazione dei concetti relativi al ruolo possibile di una “pedagogia adeguata” ed all’abbandono dell’espressione: “pedagogia compensativa”.
186
Per una prospettiva sociologica
In effetti, le pratiche ancora correnti nelle classi iniziali della scolarizzazione, si
basano, per lo più, su un modo di insegnamento collettivo7 che si rivolge globalmente all’insieme degli alunni con esposizioni o presentazioni (modalità molto simili alle
“presentazioni di modelli” studiati sperimentalmente). Se già un simile approccio pedagogico incontra molte difficoltà nel motivare l’attenzione di tutti gli alunni, il loro
interesse e quindi la loro attività – comunque molto importante per lo sviluppo di tutti
i bambini – è impossibile che tenga conto, con efficacia, delle differenze inter-individuali del livello di sviluppo.
Secondo l’analisi dei dati sperimentali relativi al modeling effect sembra che questo
tipo di intervento pedagogico non abbia un impatto, in termini di evoluzione cognitiva
del soggetto, se non quando si crei un conflitto socio-cognitivo tra il punto di vista
del soggetto e quello esposto dal modello. Ciò non può essere ottenuto se non adattando, con precisione, la presentazione allo stadio di sviluppo cognitivo del bambino.
Purtroppo si tratta, in questo caso, di adattamenti che questo metodo pedagogico non
prevede di realizzare in un contesto collettivo. Ma, ci si chiede, non sono proprio le interazioni tra bambini la fonte dei progressi osservati nelle nostre ricerche? Ogni metodo
pedagogico che tenda ad individualizzare l’insegnamento dovrebbe allo stesso fondarsi
su una intensificazione delle interazioni sociali tra alunni. Abbiamo potuto osservare,
nelle nostre analisi dei dati sperimentali, l’interesse di una simile opzione.
È evidente allora che, agli inizi della scolarizzazione, quei metodi didattici orientati a presentazioni ed esposizioni collettive, instaurino una specie di vuoto sociale nella
relazione maestro-alunno, non offrendo le condizioni per una adeguata comunicazione
e privano, così, l’allievo di occasioni d’interazione sociale di ordine cognitivo a proposito
dei contenuti in oggetto. Anche se bisogna riconoscere che questi metodi sembrano, in
certa misura, raggiungere i loro obiettivi di insegnamento, con un relativo successo,
ma con bambini di certi ambienti sociali. Ci si potrebbe chiedere se ciò non avvenga
perchè le famiglie di questi alunni compensano sistematicamente l’inadeguadezza della
comunicazione implicita in questi metodi: la spiegazione forse andrebbe cercata nel
fatto che queste famiglie sono più attente ad intrattenersi con il bambino su contenuti
vicini a quelli studiati a scuola, a porre domande su ciò che si fa o si dice in classe,
a parlarne con lui, integrando così i contenuti presentati a scuola, in un contesto di
interazioni sociali vissute. Se l’efficacia di questo tipo di condotte, sul piano cognitivo,
non sempre è coscientemente considerata dai genitori che le adottano, essi sono, invece, esplicitamente preoccupati di non perdere, in nessun momento, il contatto con
la vita scolastica dei loro figli: sono note le reazioni dei genitori quando si è tentato di
sopprimere i compiti a casa, che costituiscono una fonte di informazione sui contenuti
del lavoro scolastico; è anche un’occasione per verificare che il bambino “non perda
terreno“; analoghe lamentele accompagnano l’adozione di nuovi programmi (come
è stato il caso della matematica moderna), verso i quali i genitori sentono che la loro
inadeguatezza nel comprenderli li renderà incapaci di seguire, da vicino, l’evoluzione
degli apprendimenti predisposta dalla scuola.
La nostra interpretazione del ruolo possibile di un’adeguata pedagogia è ottimista. Se non sta né nella funzione, né nelle possibilità della scuola, compensare da sola
le disuguaglianze della società (vedi a questo proposito le critiche di sociologi, ed in
particolare quella di Bernstein, 1973), ci sembra invece che essa possa ancora trovare i
187
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
mezzi per intervenire con maggiore successo nella sua funzione di far acquisire a tutti
i bambini, indipendentemente dal loro ambiente sociale di origine, le conoscenze e le
competenze di base. Noi formuliamo l’ipotesi che la scuola, basando le strategie pratiche pedagogiche su suggerimenti teorici che tengano conto, congiuntamente, del funzionamento di tutti i fattori dello sviluppo del bambino (ivi compreso il ruolo specifico
di certe interazioni sociali) potrebbe riuscire ad ottimizzare le sue funzioni di insegnamento, indipendentemenete dagli interventi delle famiglie.
Capire perché certe famiglie sembrano riuscire meglio di altre nel sostituirsi alla
scuola, è un problema che può ugualmente interessare lo psicologia, la sociologia e la
pedagogia ma che, tutto sommato, ci appare indipendente da ciò che qui sosteniamo.
Note
1
“ ...uno stesso dispositivo non è generatore di conflitti se non a certi livelli dati, per le strutture considerate,
cioè che esso non è perturbatore in sé stesso e per così dire in assoluto, ma al contrario è concepito come
una perturbazione oppure non lo è, a seconda degli elementi già o non ancora acquisiti della struttura in
formazione” (Piaget 1975, p. 45).
2
Piaget stesso ha dovuto senza dubbio fare questa costatazione, sin dai suoi primi lavori poiché nel suo libro
sul Giudizio morale nel fanciullo (1932) scrive in una nota a margine: “È importante cogliere questa occasione per annotare che (non abbiamo sufficientemente insistito su questo nelle nostre precedenti opere) la
maggior parte delle nostre ricerche riguardavano bambini dei quartieri poveri di Ginevra. In altri ambienti,
le medie di età sarebbero state certamente diverse” (p.28).
3
Designeremo “appartenenza socio-professionale” del soggetto la fascia social corrispondente alla professione
esercitata dal padre o dal responsabile del bambino.
4
Per 9 dei 100 bambini testati non abbiamo informazioni sulla professione del padre (l’assenza di questa
informazione è in genere da addebitare a recenti cambi di residenza dell’allievo). Per tale ragione la tabella
29 comprende solo 91 soggetti.
5
D’altronde, la nozione di attitudine è in sé stessa insoddisfacente. Essa ha sollevato numerosi dibattiti - da
quello sulla differenza tra “attitudini” e “capacità” e “facoltà”- nei quali si è posto con acutezza il problema
della sua natura. Non si tratta forse di una nozione troppo globale per permettere un progresso teorico
teorico nella conoscenza dei processi responsabili dello sviluppo?
6
Ad esempio il problema seguente: è accettabile, quando un programma pedagogico deve essere valutato,
che comprenda un addestramento nel rispondere ad item molto simili a quelli dei test di acquisizione. Nel
nostro campo, l’addestramento propriamente detto è riconosciuto efficace.
7
Notiamo che da qualche tempo vengono realizzate esperienze che cercano di trovare una alternativa a questo
tipo di insegnamento (soprattutto nelle “didattica” della matematica moderna).
188
CAPITOLO 7
Testiamo competenze cognitive?
con M. Nicolet e M. Grossen1
1. Introduzione
A seguito delle ricerche presentate nei capitoli precedenti, la nostra “avventura”
intellettuale si è prolungata in più di una direzione: una prima, che rientra nell’area
della psicologia sociale dell’educazione, ha esaminato l’apprendimento in situazioni
scolastiche, inducendoci ad un ampliamento dei nostri modelli teorici e consentendoci di cogliere, in qualche modo, quelle complesse determinanti della comunicazione che agiscono sull’elaborazione delle risposte degli alunni in simili contesti. È per
questo che abbiamo avviato studi sul ruolo dei contenuti scolastici (cioè del compito) e sui processi socio-cognitivi, mettendo a confronto gli effetti dell’interazione sociale, sia nella costruzione di nozioni operatorie piagetiane che nell’apprendimento
di nozioni elementari di scrittura aritmetica (Schubauer-Leoni e Perret-Clermont,
1980 e 1985). Abbiamo anche cercato di descrivere le modalità di interazione sociale
tra alunni in situazioni comunicative in classe (Perret-Clermont e Perret, 1978; Perret-Clermont, 1982; Perret-Clermont e Bell, 1987; Perret-Clermont e Pontecorvo,
1989; Schubauer-Leoni, 1986; Grossen e Pochon, 1988). Tutto questo ci ha messi di
fronte alla problematica dell’immagine di sé e dell’identità sociale che si costruiscono nel corso dell’esperienza scolastica, dei successi ed insuccessi nell’apprendimento (Doise, Meyer e Perret-Clermont, 1976; Bell e Perret-Clermont, 1985) e del caso
particolare di bambini scolarizzati in una cultura diversa dalla propria (Dinello e Perret-Clermont, 1987).
Una seconda direzione di indagine, da considerarsi come conseguenza diretta delle ricerche presentate nei capitoli precedenti, deriva dalla psicologia sociogenetica. La
problematica resta la stessa: studiare quali siano, nel bambino, le condizioni individuali e sociali che permettono l’elaborazione del pensiero e la sua comunicazione. Nell’esposizione che faremo qui di alcuni aspetti della continuazione di questa “avventura” intellettuale, il lettore ci vedrà impegnati nello studio di processi cognitivi, ma un
189
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
pò sorpresi - bisogna dirlo - di scoprirli molto più influenzati dalle regolazioni sociali
di quanto non avessimo immaginato inizialmente! D’altronde, in questa fase, il nostro
oggetto di studio si è trasformato sotto i nostri occhi, obbligandoci ad una ridefinizione della problematica: si è rivelata precaria la distinzione tra “sociale” e “cognitivo”,
che prima sembrava evidente, consentendoci di ipotizzare rapporti di “causalità” quasi meccanici fra loro. Questa distinzione, pertanto molto diffusa, è, il più delle volte, la
conseguenza di analisi e definizioni a priori delle condotte piuttosto che un riferimento alla realtà.
In effetti, l’osservazione del manifestarsi del pensiero nel corso di interazioni sociali rivela la presenza costante di interdipendenze tra determinanti sociali e determinanti
cognitive dei comportamenti e delle concettualizzazioni: la possibilità di capire dà senso alle relazioni sociali e queste aprono o chiudono il campo degli oggetti di interesse,
in una dinamica nel corso della quale gli interlocutori condividono un’intersoggettività
più o meno consistente!
Nelle pagine che seguono inviteremo il lettore a seguirci in questo percorso che è,
allo stesso tempo, teorico ed empirico. La problematica alla quale ci interessiamo costituisce, tuttora, la continuazione delle ipotesi formulate da Vygotsky e Piaget sull’interdipendenza fra regolazioni sociali e cognitive. In ogni caso, la constatazione empirica, ripetuta, dell’esistenza di correlazioni tra risultati psicologici (sia nei test classici
- del tipo Binet - che nelle prove operatorie piagetiane) e l’origine sociale dei soggetti, va al di là delle aspettative teoriche e resta da spiegare. È a questo scopo che ci dedicheremo ad un esame degli effetti delle condizioni sociali nell’enunciazione delle risposte e nell’attualizzazione delle competenze dei soggetti. Ci troveremo dunque ad
un bivio: luogo multidisciplinare in cui si ritrovano, intorno al concetto di “interazione sociale” e di “superamento dei conflitti socio-cognitivi”: quei processi descritti da
G. H. Mead, in termini di interazionismo simbolico; le “messe in scena” dei comportamenti, care a Goffman; i processi di costruzione sociale della conoscenza, più noti
agli antropologi delle scienze che agli psicologi epistemologici (vedi per esempio: Latour, 1984); le pratiche di interlocuzione descritte dalla linguistica contemporanea
(cfr Trognon, 1986).
Certamente il progetto non manca di ambizione: l’intento sarebbe quello di articolare la realtà e la variabilità delle condotte individuali con le dimensioni del campo
sociale nel quale esse assumono senso e ciò richiede un’innovazione di modelli e metodologie. Il contributo presentato quì è certamente ben più modesto: attraverso il
tentativo di interpretazione di qualche dato, esso può soltanto mettere in evidenza il
valore euristico di un allontanamento dalle concezioni relativamente fisse ed individualistiche dell’intelligenza. Un simile allontanamento permette, in effetti, di considerare le competenze cognitive come inscritte nella dinamica delle relazioni sociali e
delle coordinazioni gestuali e discorsive delle quali sembrano essere, di volta in volta,
l’elemento emergente e strutturante, in conflitto o non, con altri principi organizzativi del campo. L’oggetto di studio si trova, di conseguenza, trasformato: impossibile
decidere a priori se si tratti di competenze cognitive “pure”, poichè, nella realtà, si
rivelano, intrinsecamente, delle competenze sociali. Quando ci accingiamo a testare
delle competenze cognitive, siamo proprio sicuri di star misurando esattamente ciò
che pensiamo?
190
Testiamo competenze cognitive?
2. Interazioni sociali ed artifici della situazione di test 2
2.1 Misurare l’intelligenza, descrivere competenze cognitive
2.1.1 Correlazioni tra origine sociale e performances nei test classici
Ricordiamo che, in origine, quando i test di intelligenza furono sviluppati in Francia, da Binet, essi miravano a discriminare gli individui in funzione delle loro competenze, essendo queste considerate come delle caratteristiche proprie del soggetto (e in
grado di giustificare, ad esempio in ambito scolastico, orientamenti e trattamenti diversi). Binet, ed altri dopo di lui, più preoccupati di gestire schiere di alunni e organizzare l’insegnamento che di comprendere i meccanismi del funzionamento mentale,
hanno creduto, poco a poco, di potersi accontentare di una definizione tautologica dell’intelligenza, dipendente dall’affinamento dello strumento di misura in sé.
Ben presto autori (come Terman, 1916, p. 72; Strackan, 1926) osservano l’esistenza
di correlazioni tra le performance al test e l’origine sociale dei soggetti. Ma queste constatazioni vengono interpretate, grosso modo, in modi simili (etnocentrici e tautologici!):
“non è un caso che bambini di classi sociali superiori abbiano dei Q.I. superiori... perché
sono superiori!” Un fenomeno così “normale”, da non richiedere studi particolari...!
Tuttavia più tardi crescerà, fra gli autori di ricerche in questo campo, la coscienza dell’“abito” culturale dei test proposti ai soggetti e la consapevolezza della diversità
di accesso dei soggetti alla cultura dominante. In effetti i tentativi di costruire dei test
culture free falliscono e le misure dell’intelligenza fornite dai test vengono quindi interpretate in un senso più largo, come misure, non più delle “competenze” ma delle “capacità” intellettuali degli individui (essendo le capacità, in qualche modo, delle competenze individuali, determinate dall’“eredità culturale” o dall’“handicap socio-culturale”
che l’ambiente sociale trasmette al soggetto).
Ma allora il problema che si pone è il seguente: la dimensione socio-culturale incide sulle caratteristiche cognitive individuali? Le interpretazioni variano. I dati studiati restano essenzialmente delle configurazioni di correlazioni tra appartenenze categoriali
(età, sesso, classe sociale, gruppo etnico, habitat rurale o urbano, tipo di scolarizzazione, tradizione educativa, ecc.) e performance ai test. Certo, l’osservazione delle correlazioni non consente, a rigore logico, di concludere con l’esistenza di una causalità quasi meccanica fra le variabili, ma la tentazione di farlo è grande: questo induce alcuni
ricercatori a proporre delle spiegazioni in termini di ambienti sociali più o meno “ricchi”, “facilitatori”, “strutturanti”. In ogni modo, la concomitanza così spesso riscontrata richiede delle spiegazioni: quali le mediazioni? Si pensa ad artefatti metodologici
(Orne, 1962), al ruolo di chi fa le domande e alle sue caratteristiche (sesso, lingua, appartenenza etnica).
Ma ciò non basta per dar conto dei fatti. Noi pensiamo che occorra anche riesaminare in modo critico il ragionamento a monte del campionamento e della determinazione delle popolazioni di soggetti utilizzate. La maggior parte dei modelli statistici
utilizzati presuppongono, a torto, campioni omogenei ed inalterati dalle procedure di
misurazione (è interessante notare che la fisica contemporanea è più cosciente degli artefatti dovuti ai suoi strumenti di misura di quanto non lo sia la psicometria!).
191
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
2.1.2 Correlazioni tra origine sociale e livello operatorio nelle prove piagetiane.
Per un certo tempo, le prove operatorie piagetiane sono sembrate poter uscire indenni dal dibattito sulla natura delle misure prodotte dai test d’intelligenza, e
dalle critiche rivolte alle prove psicologiche classiche con la sistematica individuazione di nessi tra origine sociale e performance dei soggetti. In effetti, di fronte alle
difficoltà incontrate dalla psicologia differenziale per liberare da ogni incidenza sociale i suoi strumenti di misura, la psicologia piagetiana, assumendo come oggetto
di studio i processi generali di costruzione del pensiero, non ha cercato di determinare un Q.I. o un livello di performance, ma piuttosto di descrivere, clinicamente e
qualitativamente, lo stadio di sviluppo cognitivo di un bambino, mettendo in luce
un sistema di operazioni mentali soggiacenti al suo funzionamento intellettuale. In
questa prospettiva, i nessi tra origine sociale e livello operatorio non sono stati oggetto di osservazioni o di analisi, essendo i ricercatori piagetiani convinti che questa problematica si risolvesse da sé nel momento in cui la psicologia generale fosse
pervenuta, nel suo approfondimento, a cogliere i meccanismi fondamentali ed universali del pensiero.
Tuttavia, nel corso degli anni ‘60, studi comparativi condotti da Bruner, Olver e
Greenfield (1966) o direttamente promossi da Piaget (1966), diversificandosi in numerose ricerche, hanno messo in luce scarti importanti nei livelli raggiunti nelle varie
prove piagetiane da soggetti provenienti da ambienti sociali diversi. È l’inizio di una
fase critica per il modello genetico! Si sperava che esso riuscisse a spiegare processi fondamentali, certamente condizionati da un ambiente sociale più o meno “facilitatore”,
ma non ci si aspettava che questo ragionamento conducesse il ricercatore alla banale
conclusione che il migliore ambiente per facilitare lo sviluppo... fosse il suo! Che cosa
porta a simili risultati, ripetutamente accusati di etnocentrismo?
Anche noi, nei nostri lavori, abbiamo riscontrato, come già descritto nel capitolo
VI, correlazioni tra origine sociale e misura del livello operatorio. La tabella 36 presenta i risultati al pre-test di una ricerca (Grossen, 1988) condotto con 207 bambini di
Neuchâtel dai 6 ai 7 anni, interrogati secondo il procedimento abituale della prova piagetiana di conservazione delle quantità di liquido (Piaget e Szeminska, 1941) e ripresa
nelle nostre ricerche anteriori.
Come nel capitolo precedente, l’origine sociale degli alunni è stata determinata utilizzando la scala del Servizio della Ricerca Sociologica di Ginevra, che, in relazione alle professioni dichiarate dai genitori, definisce tre livelli socio economici, a partire
dalla classificazione delle professioni in 19 categorie socio-professionali4.
La tabella 36 mostra l’esistenza di un nesso significativo tra il livello operatorio
dei soggetti e la loro origine sociale (C>B>A: test di Johkheere: z = 4.23, p= < .00001;
Leach, 1979). Il livello operatorio dei soggetti decresce in funzione della loro origine
sociale C (quadri superiori), B (quadri medi), A (operai).
Una simile configurazione di dati si ritrova in uno studio comparativo di due popolazioni di bambini di 5-6 anni, gli uni di origine urbana, provenienti dai dintorni di
una città media della Svizzera romanda, gli altri, figli e figlie di contadini frequentanti
i giardini di infanzia di due località rurali delle montagne vicine (Nicolet, 1984). La ta192
Testiamo competenze cognitive?
bella 37 permette di evidenziare nuovamente l’attualizzazione di un più elevato livello
operatorio nei soggetti urbani rispetto ai rurali (urbani>rurali, z = 1.98, p> .04).
Tabella 36:Livello operatorio dei soggetti al pre-test in funzione della loro origine sociale
Origine sociale
Classe sociale A
(operai, impiegati, subalterni)
Classe sociale B
(quadri medi)
Classe sociale C
(quadri superiori)
Totale
NC
I
C
Totale
57
40
16
113
(50%)
(35%)
(15%)
(100%)
24
21
22
67
(36%)
(31%)
(33%)
(100%)
4
10
13
27
(15%)
(37%)
(48%)
(100%)
85
71
51
207
(41%)
(34%)
(25%)
(100%)
Tabella 37:Livello operatorio dei soggetti in funzione della loro origine rurale o urbana.
Provenienza
NC
I
C
Totale
Urbana
40
(71%)
9
(16%)
7
(13%)
56
(100%)
Rurale
18
(95%)
1
(5%)
–
19
(100%)
Totale
58
10
7
75
Questi risultati concordano con quelli di Mosheni (1966), Peluffo (1962) e sono
stati confermati da altri dati analoghi (Perret-Clermont e Schubauer-Leoni, 1981; Perret-Clermont e Mugny, 1985), ma non chiariscono comunque la natura dell’effetto
osservato. In che modo questo si produce? Se si tratta di un artificio della misurazione
che cosa potrebbe farlo scomparire? Quali sarebbero gli elementi mediatori tra origine
sociale e tipo di risposta a queste prove? Cercheremo questi elementi mediatori formulando l’ipotesi che, almeno in larga misura, siano già distinguibili, hic et nunc, nel cuore
stesso della situazione di test.
193
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Ma ricordiamo che altri autori si sono impegnati sulla strada di spiegazioni causali più “macroscopiche”, come se presumessero che un certo livello di realtà sociologica
potesse determinare, in modo quasi meccanico (anche se gli ingranaggi si suppongono
complessi), il piano delle performance psicologiche. Pertanto, in modo non esaustivo,
ma a titolo di esempio, possiamo ricordare l’indissociabilità, per Piaget (1947, 1965,
1966), delle operazioni cognitive dalle operazioni sociali (“due facce di una stessa realtà”); condizione che non gli permette di percepire il ruolo dell’ambiente sociale nello
sviluppo se non come “facilitatore”, in funzione delle esperienze che permette. In questa prospettiva, Lautrey (1980) formulerà ulteriori ipotesi che vedrebbero dipendere la
strutturazione del funzionamento mentale del bambino dalla strutturazione della vita familiare quotidiana. Ma, per questi due autori, i fattori sociali non sembrano influenzare la vera natura dell’intelligenza, non vengono considerati protagonisti nella sua definizione e non impongono forme particolari nel corso dello sviluppo. Del resto, queste non
potrebbero essere recepite visto che sono esclusivamente le forme logico-matematiche,
valorizzate nell’ambiente di questi ricercatori, ad essere postulate come fondamentali,
universali, a-culturali (culture free), e dunque uniche e necessarie ad un tempo.
Bernstein (1973) presenta delle ipotesi interessanti circa il ruolo, sullo sviluppo
del pensiero, delle modalità di socializzazione interpersonale, e del loro accesso alla
coscienza (rapporto con l’autorità, valore delle spiegazioni, campo di influenza sociale
ed intellettuale). Purtroppo i suoi studi empirici sono limitati, e le successive ricerche
condotte da altri in questo campo si limitano, dopo analisi di correlazione, ad invocare,
in maniera globale, l’effetto differenziale (ma senza specificare di cosa si tratti in realtà)
dei processi di socializzazione e dei modi di comunicazione con i quali il bambino è
venuto a contatto nel suo ambiente.
Altri autori ancora (ad es. Tort, 1974; Vial e Stamback, 1981), hanno avanzato la
tesi secondo la quale l’effetto della struttura sociale sui comportamenti è mediato dai
processi di socializzazione e dai modi di comunicazione dell’ambiente. La situazione
di test li riatteverebbe: l’esame psicologico viene visto come un rapporto sociale, analizzabile nei suoi rapporti di forza, nei poteri in gioco, nella sua specifica dinamica.
Il contenuto delle prove risulterà più o meno familiare in relazione all’origine sociale
del bambino. In questo prospettiva, le differenze di performance rimandano direttamente allo scarto esistente tra il soggetto (come rappresentante di un gruppo sociale)
e lo sperimentatore (appartenente ad un altro gruppo). Esse vengono esaminate come
conseguenza di rapporti di potere e di modi di socializzazione sulla conoscenza della situazione di test (o della situazione scolastica), delle sue regole di funzionamento e delle
realtà che evoca. Infine, la ricerca delle cause delle correlazioni osservate si situa a livello
delle operazioni in gioco nel compito proposto al bambino: esse sono considerate come
connesse a pratiche sociali ed educative più o meno abituali per il soggetto secondo la
sua origine socio-culturale (Lautrey, 1980).
Ci sembra importante far notare che molti tentativi di spiegazione che hanno lo
scopo di far comprendere come il successo scolastico non dipenda dal livello cognitivo
in quanto tale, non evitano per questo la trappola dell’etnocentrismo di classe. Il caso
più evidente è quello del ricorrere alla nozione di “handicap socio-culturale” che fa dei
bambini di classe sociale emarginata una categoria di alunni “a parte”, che continua ad
essere definita con una carenza rispetto ai bambini di classe sociale agiata. Haroche e
194
Testiamo competenze cognitive?
Pecheux (1972) e Bernstein (1973), tra gli altri, hanno mosso serie critiche a queste
posizioni. L’“ideologia della carenza” esercita un’influenza così forte che i ricercatori
(abitualmente identificati con i ceti sociali “superiori”) hanno difficoltà a descrivere
la realtà psicologica degli “altri” se non cercando di descrivere ciò che manca a questi
“altri” ... perchè divengano “simili”.
2.2 Il ruolo specifico delle modalità di interrogazione
2.2.1 Dati contraddittori
Come abbiamo ricordato, più volte sono state constatate delle correlazioni tra origine sociale e performance cognitive in situazione di test e noi ritroviamo questi effetti
nei nostri dati. Tuttavia, i risultati presentati nel capitolo VI sono in una certa misura
in contraddizione con le spiegazioni abituali: abbiamo visto che allorquando bambini non-conservatori affrontano il test di conservazione delle quantità di liquido dopo
essere stati coinvolti in un’attività di spartizione dello sciroppo con bicchieri dissimili,
(interazione sociale nel corso della quale il loro punto di vista si è scontrato con quello
dei compagni coinvolti), il loro livello di competenza operatoria è apparso più elevato e
sono scomparse le differenze riconducibili all’origine sociale. Altre ricerche hanno ribadito parzialmente o totalmente questo risultato (Perret-Clermont e Schubauer-Leoni,
1981; Perret-Clermont e Mugny, 1985) che rende inefficace ogni interpretazione in
termini di determinazione diretta del livello cognitivo a partire dell’origine sociale. Anche
il concetto di “handicap socio-culturale“ non è in grado di rendere conto di questo
fenomeno: un’esperienza di spartizione (che dura, in genere, da tre a dieci minuti) può
“compensare” le relazioni di potere, la disuguaglianza di accesso alla cultura, ed altre
caratteristiche, conseguenza delle posizioni relative dei diversi gruppi nella società!
Per progredire nella comprensione dei processi in gioco, abbiamo dovuto necessariamente spostare un pò il nostro campo di osservazione tenendo conto, non soltanto
del livello delle condotte operatorie dei soggetti ma anche delle condizioni dell’hic et nunc
in cui questi comportamenti operatori vengono prodotti.
2.2.2 Paradigmi sperimentali e variazione dei nessi tra origine sociale e
livello operatorio dei soggetti.
Una ricerca (Grossen, 1988), che aveva lo scopo di osservare l’effetto del modo di
presentazione del compito sull’attualizzazione della nozione di conservazione del numero (analoga a quella del capitolo IV) offre l’occasione di porre il problema. Al pre-test,
i bambini vengono subito ripartiti in due condizioni sperimentali: “favorevole” e “sfavorevole”. Nella condizione “favorevole” i gettoni vengono attribuiti in modo tale che
dopo ogni trasformazione di una delle file uguali, il bambino riceva la fila più lunga.
Se basa il suo giudizio sulla lunghezza della fila, il bambino avrà dunque l’impressione
soggettiva di aver più gettoni, e di essere avvantaggiato, benché, in realtà, le due file abbiano, naturalmente, un eguale numero di gettoni. Nell’altra condizione, “sfavorevole”,
195
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
l’attribuzione dei gettoni viene sempre fatta in modo tale che il bambino riceva la fila
più corta, inducendo così in lui la sensazione di avere meno gettoni dello sperimentatore
(il che non è affatto vero) e dunque di essere in posizione di svantaggio. La popolazione
sperimentale è formata da 50 alunni di una scuola materna dei dintorni di Neuchâtel.
Tabella 38:Livello operatorio dei soggetti secondo l’origine sociale per ciascuna condizione sperimentale
Livello operatorio
Condizione
favorevole
Condizioni
sperimentali
Condizione
sfavorevole
Origine
sociale
NC
I
C
Totale
A
3 (30%)
3 (30%)
4 (40%)
10 (100%)
B
1 (10%)
5 (50%)
4 (40%)
10 (100%)
C
–
1 (33%)
2 (67%)
3 (100%)
A
7 (44%)
6 (37%)
3 (19%)
16 (100%)
B
–
3 (33%)
6 (67%)
9 (100%)
C
–
–
2(100%)
2 (100%)
La tabella 38 indica che in condizioni “sfavorevoli”, il nesso tra il livello operatorio
e origine sociale è significativo, mentre in condizione favorevole, non lo è (condizione
sfavorevole: C>B>A; z =3.14, p=.008; condizione favorevole: C>B>A; z = 1.009, p=.15).
Di nuovo, un fenomeno di interazione tra l’origine sociale ed il contesto relazionale
della situazione si ritrova in una ricerca (Nicolet, 1984)5 (2), sull’effetto dell’introduzione di una fase di spartizione di sciroppo tra bambini (tempo 2), favorevole al progresso, soprattutto dei bambini di campagna.
Come si evince dalla tabella 39, il nesso tra il livello operatorio e origine sociale dei
soggetti non appare se non quando il trattamento sperimentale comprenda una connotazione sociale6; nel caso in cui, al momento della spartizione, non vi sia un esplicito richiamo alla norma sociale di equità (condizione senza connotazione sociale), non emergono
differenze in funzione dell’origine, rurale o urbana dei soggetti (condizione con connotazione sociale: rurali>urbani: z =1.97, p= .04; condizione senza connotazione: rurale/
urbano: z = 1.12, p=26). Si vede dunque come gli effetti del contesto nella presentazione
del compito (condizione di ripartizione, di attribuzione dei bicchieri o di evocazione di
una norma di uguaglianza) interagiscano con l’origine sociale dei soggetti.
Dati che ugualmente mettono in evidenza i nessi tra origine sociale, performance
e modalità di superamento della prova, si ritrovano anche nella ricerca di Perret-Clermont e Schubauer-Leoni (1981): in questo caso, la prova classica di conservazione delle
quantità di liquido viene presentata ai soggetti in due diverse condizioni sperimentali,
corrispondenti ad altrettante “messe in scena”. Nella prima condizione, lo sciroppo viene ripartito tra l’adulto sperimentatore e bambino. Nella seconda, la spartizione viene
effettuata fra due bambole che, si dice al soggetto, debbono fare “uno spuntino“ per la
196
Testiamo competenze cognitive?
qual cosa egli deve dar loro la stessa quantità di sciroppo. L’analisi del campione nel suo
complesso, mostra la superiorità delle performance dei soggetti della prima condizione
sperimentale (ripartizione tra adulto e bambino). Un’analisi divisa effettuata separatamente per i sottogruppi mostra che in realtà questa differenza raggiunge la soglia della
significatività esclusivamente nelle bambine e non per bambini. Si evidenzia inoltre
come l’effetto delle condizioni sperimentali non sia statisticamente significativo se non
nelle bambine di basso livello socio-economico.
Di conseguenza, appare inesatto considerare la popolazione come omogenea perché in realtà diverse “sotto-popolazioni” (definite a partire da variabili come il sesso e la
classe sociale di origine) sono differentemente sensibili alle variazioni delle condizioni
sperimentali di presentazione della prova.
Queste constatazioni ci hanno indotti ad interessarci di altri lavori, soprattutto
britannici, che esaminano gli effetti del contesto e della presentazione del compito sulle
performance cognitive dei soggetti.
Tabella 39:Livello operatorio dei soggetti in funzione della condizione sperimentale e
dell’origine sociale, urbana e rurale. (Tutti i soggetti sono non-conservatori
al pre-test).
Livello operatorio
Condizioni sperimentali
Origine
NC
I
C
Totale
Con connotazione
sociale
Rurali
7
(64%)
1
(9%)
3 (27%)
11
(100%)
Con connotazione
sociale
Urbani
16
(94%)
1
(6%)
–
17
(100%)
Senza connotazione
sociale
Rurali
4
(66%)
–
2 (33%)
6 (100%)
Senza connotazione
sociale
Urbani
16
(88%)
1
(6%)
1
(6%)
18
(100%)
2.2.3 Caratteristiche della situazione e performance cognitive
Perché tutti i bambini non riescono a fornire giudizi operatori concreti nelle prove
classiche di conservazione? Tutta una corrente di ricerche si è impegnata a rispondere a
questa domanda, facendo l’ipotesi che le difficoltà dei bambini nelle prove di conservazione non siano dovute alla mancanza di competenza, ma derivino dalle caratteristiche
stesse della situazione di test.
Una delle ricerche più note in questo campo è senza dubbio quella di McGarrigle
e Donaldson (1974). I risultati di questa ricerca indicano che quando la prova classica
di conservazione del numero viene variata, in modo che le modifiche nell’allineamento
di una delle file di gettoni appaiano come accidentali, i bambini manifestano un livello
operatorio più elevato, rispetto a quelle trasformazioni che appaiono con evidenza in197
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
tenzionale da parte dello sperimentatore. In questa seconda condizione, secondo questi
autori, lo sperimentatore, trasformando una delle file di gettoni, lascerebbe implicitamente credere al bambino che il numero di gettoni sia cambiato e indurrebbe in tal
modo un giudizio “falsamente” non-conservatore. Risultati simili sono stati riscontrati, soprattutto da Dockrell, Campbell e Neilson (1980), Hargreaves, Molloy e Pratt
(1982), Miller (1982), Parrat-Dayan (1982).
In un’altra ricerca sulla conservazione delle quantità discontinue, Light, Buckingham e Robbins (1979) mostrano che, quando il travaso della quantità venga motivato
dal fatto che uno dei bicchieri contenenti inizialmente la stessa quantità di liquido,
venga improvvisamente individuato come “scheggiato” (e sostituito con un altro di forma diversa: trasformazione “incidentale”), i bambini manifestano un livello operatorio
più elevato, rispetto allo svolgimento classico della prova di conservazione (nella quale
si operano travasi senza fornire al bambino spiegazioni esplicite). Miller (1982), Bovet,
Parrat-Dayan e Deshusses-Addor (1981) ritrovano gli stessi risultati.
Studiando gli effetti pragmatici dell’interrogazione nella prova della conservazione
del numero, Rose e Blank (1974) evidenziano che, quando la consegna di conservazione viene data una sola volta, dopo la trasformazione di una delle file di gettoni, i
bambini danno più spesso giudizi conservatori rispetto ad una condizione nella quale
la stessa consegna venga ripetuta prima della trasformazione, per verificare l’uguaglianza delle due file, e dopo la trasformazione di una delle file. Gli stessi risultati sono stati
ritrovati da Samuel e Bryant (1984).
Numerose ricerche, servendosi di tecniche diverse, hanno permesso di osservare
che il bambino, secondo le caratteristiche della situazione di test, può manifestare un
livello operatorio diverso. L’interpretazione di questi diversi risutati è stata lungamente
dibattuta. Se per gli alcuni (McGarrigle e Donaldson, 1974), le risposte del bambino
in situazione modificata rendono conto del suo vero livello operatorio, per gli altri
(Bovet et al., 1981), i risultati di queste ricerche non costituiscono che degli artefatti
metodologici che inducono i bambini a trascurare la trasformazione.
L’insieme di questi risultati (vedi a questo proposito Light e Perret-Clermont,
1986; Light, 1986; Grossen, 1987) suggerisce tuttavia che le condizioni in cui il bambino è portato ad attualizzare una risposta sono indissociabili dalle sue stesse risposte, e
che i significati attribuiti dal bambino alla situazione di test fanno parte integrante del
processo di costruzione della sua risposta. A partire da questo momento, si concretizza
un nuovo oggetto di studio, quello della situazione di test, considerata come una situazione sociale tripolare, nella quale uno sperimentatore ed un bambino interagiscono a
proposito di un compito definito dallo sperimentatore (Grossen, 1987).
Considerare la situazione di test come un’interazione sociale tra sperimentatore e
bambino, gestita da “regole di conversazione”, talvolta trasgredite, e che richiede delle
elaborazioni cognitive “congiunte”, apre la strada a nuove esplorazioni: come descrivere le competenze sociali che i soggetti mobilitano in situazione di test e quali sono
le poste in gioco, più o meno coscienti, per i partner a confronto? Il problema si pone
per l’intervista (Perret-Clermont e Rovero, 1987) come anche per la situazione di test
operatorio.
Gli studi discussi in questa sezione hanno evidenziato come, in certi casi, il contesto condizioni la performance, e questo in modo differenziato secondo le popolazioni.
198
Testiamo competenze cognitive?
La tappa seguente sarà quella di definire più avanti i processi mediatori analizzando
come si realizza quest’influenza: si possono individuare, esaminando le registrazioni
video e audio, indicatori del fatto che i soggetti prendono in considerazione diverse
interpretazioni nel corso delle interviste sperimentali? E ci sarebbe poi la possibilità, se
si constata che “attori” come lo sperimentatore ed il soggetto, attribuiscono significati
divergenti a dimensioni presunte identiche del “compito” e della sua “messa in scena”,
di dar conto di un più o meno incisivo “adattamento” della risposta dei soggetti alle
norme di riferimento piagetiane?
2.2.4 La situazione di test come situazione di incontro
Considerando la situazione di test come un incontro tra due attori sociali, ci si
rende conto che avrà luogo solo se il soggetto accetta di interagire (il che avviene in
genere, ma non sempre) a proposito di un compito proposto dall’altro partner, psicologo sperimentatore (definizione di ruolo che accusa una certa evanescenza). Così,
anche se l’adulto ha preparato la situazione e definito il compito in anticipo, il bambino non per questo affronta la situazione passivamente, ma cerca, in modo attivo,
di capire quale sia il suo ruolo effettivo, valuta le reazioni dell’adulto, cerca di dare
senso a quanto accade, e verifica (più o meno abilmente, e in una situazione di maggiore o minore dipendenza) se i significati che egli attribuisce all’avvenimento ed al
suo svolgersi vengano condivisi dall’adulto. Con i loro gesti, le parole e gli sguardi, i
due attori costruiscono una “intersoggettività” (nel senso che Rommetveit, 1984, dà
a questo termine), per pervenire ad una definizione comune del compito, della posta in gioco e delle sue finalità per permettere all’interazione di realizzarsi (Wertsch
1984; Grossen e Bell, 1988).
I metodi di osservazione che abbiamo fin qui adoperato non permettono di valutare i pesi delle diverse componenti della situazione di interazione; componenti che
sono descrittive e qualitative. Ma, dal momento che il nostro oggetto di studio ha
cambiato natura, nella fase attuale, non appare più così certa ed utile la ricerca di fattori causali, all’interno di un modello di “causalità meccanica”. Cercheremo perciò di
descrivere le interazioni come processi di interpretazioni reciproche e come azioni più
o meno coordinate, che assumono forme diverse, proponendo, in questa sede, una serie
di esempi ritrascritti da registrazioni video ed audio.
2.3 Processi di regolazione sociale e cognitiva
L’adulto sperimentatore mette in atto diversi processi di guida dell’attenzione, di
definizione dei gesti da compiere e delle domande a cui bisogna rispondere, tendendo
a realizzare il suo progetto nella situazione di test. Ma i suoi suggerimenti non sono necessariamente compresi o accettati dall’interlocutore sottoposto a test per il quale l’implicito semantico di gesti e parole è talvolta diverso da quello voluto dall’iniziatore. Gli
esempi seguenti, tratti dalla prova di conservazione delle quantità di liquido, illustrano
il modo in cui il soggetto tende ad interpretare le consegne dello sperimentatore.
199
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
La prima consegna dello sperimentatore concerne la fase di livellamento del liquido nei due bicchieri identici. All’inizio della prova lo sperimentatore chiede al bambino
di versare la stessa quantità di sciroppo nei due bicchieri. Per lo sperimentatore, questa
fase ha un valore di premessa al problema logico che porrà al bambino dopo il travaso
del liquido in un bicchiere diverso. Per lui, lo scopo di questa consegna si identifica
essenzialmente nel far riconoscere al bambino l’uguaglianza, affinché il giudizio nonconservatore che il bambino potrebbe fornire dopo il travaso, non possa essere attribuito ad una percezione di disuguaglianza iniziale delle quantità (vedi capitolo II).
Ciò nonostante, il bambino, che nel suo ruolo di soggetto non ha una visione di
insieme della prova, interpreta, talvolta, diversamente la domanda dello sperimentatore. Ed è proprio ciò che capita nell’esempio seguente:
Esempio 1:
Spe: “vorrei che tu versassi lo stesso di sciroppo come nel tuo bicchiere, non di più, non
di meno”
Sylvia: “devo prendere quella?” (mostra la brocca nella quale si trova lo sciroppo, la
sperimentatrice acconsente). “è pesante (versa). Ecco, credo che è giusto, ecco”
Spe: “abbiamo tutti e due lo stesso da bere?”
Sylvia: (guarda lungamente i bicchieri) “non so...no”
Spe: “è necessario che tutte e due abbiamo la stessa cosa da bere, puoi riversare nella
brocca?”
Sylvia: (versa dello sciroppo del suo bicchiere nella brocca) “non riesco a farlo”
Spe: “prova”
Sylvia: (versa dello sciroppo nel suo bicchiere e ne toglie più volte) “questa volta
va bene”
Spe: “abbiamo tutte e due lo stesso?”
Sylvia: “non ancora, una piccola goccia” (versa di nuovo)
Spe: “va bene?” (tono tra l’interrogativo e l’affermativo)
Sylvia: “ecco questa volta si”.
In quest’esempio, la bambina sembra interpretare ogni intervento della sperimentatrice come una richiesta implicita di livellamento dei livelli dello sciroppo nei bicchieri. Per la bambina la posta in gioco di questa fase non sembra essere quella di
stabilire l’uguaglianza, ma di fare un livellamento il più esatto possibile. Infine, la sperimentatrice le dà degli indizi mostrando (soprattutto con il tono di voce) che è soddisfatta della risposta della bambina e che desidera proseguire.
La consegna data al momento del travaso introduce un altro elemento per spiegare
il modo con cui il bambino interpreta la domanda dello sperimentatore. Per questi, la
consegna costituisce il punto nodale dell’interrogazione poiché la risposta del bambino a questa domanda gli permetterà di determinare il suo livello operatorio.L’enunciato della consegna (abbiamo tutte e due lo stesso di sciroppo da bere o qualcuno ne ha di più
da bere o qualcuno ne ha di meno?) riposa su due ordini di fatti: da una parte la quantità
di sciroppo da bere, dall’altra l’azione di bere lo sciroppo. Per lo sperimentatore va da
sé che la consegna verte sulla quantità: l’azione di bere lo sciroppo non viene evocata se
non per rendere la domanda più concreta agli occhi del bambino.
200
Testiamo competenze cognitive?
Per il bambino tuttavia, la distinzione tra ciò che costituisce la domanda propriamente detta e ciò che deriva da un semplice procedimento di concretizzazione della
domanda non si realizza di un colpo, ma si costruisce nel corso dell’interrogazione,
come si vede nel seguente esempio.
Esempio 2
Spe: “abbiamo tutte e due lo stesso di sciroppo da bere, c’è chi ne ha di più o chi ne ha
di meno?”
Véro: “è lo stesso”
Spe: “è lo stesso, come lo sai?”
Véro: “perché se si beve tutto e poi anche voi...”
Spe: “d’accordo, se si beve tutto, bene...”
Véro: “...non resta più niente”
Spe: “non resta più niente si. Ma quello che ti chiedo, è se tu bevi tutto questo e poi io
bevo tutto questo, beviamo lo stesso...”
Véro: “...si”
Spe: “oppure tu bevi più sciroppo o io ne bevo di più? com’è...”
Véro: “...si beve tutte e due la stessa cosa”
Spe: “come lo sai?”
Véro: “perché ne ho messo lo stesso”.
(il segno “...” indica che uno degli interlocutori toglie la parola all’altro)
Il primo giudizio di Véronique, apparentemente centrato sugli stessi presupposti della sperimentatrice, sembra fondarsi su di un malinteso: Véronique pensa che ci sia
uguale sciroppo da bere, perché “se si beve tutto, non resta più niente”. La sperimentatrice
sembra prima accettare questa definizione del problema, ma precisa poi la sua aspettativa: “si, ma quello che ti chiedo”. Véronique esprime allora lo stesso giudizio di prima, ma lo
giustifica in maniera accettabile per la sperimentatrice. Se la sperimentatrice sembra accettare (per ragioni relazionali) la prima definizione del problema data da Véronique, ella
in seguito, con la ripetizione della consegna e metacomunicando sulla sua richiesta, fornisce indizi circa le sue attese, guidando la bambina verso un giudizio accettabile per sé.
Quest’esempio mostra come certi tentativi dello sperimentatore per rendere la
situazione più familiare, più vicina all’universo di comprensione del bambino (all’occorrenza facendo riferimento all’azione concreta di bere lo sciroppo contenuto nei bicchieri), possano, talvolta, aiutare la comunicazione ed altre volte, al contrario, generare
un malinteso che modifica il senso dello sviluppo della prova.
Con la sua azione interpretativa delle attese dello sperimentatore, il bambino devia
talvolta il corso previsto dallo sperimentatore per lo svolgimento della prova, inducendo quest’ultimo ad abbandonare il copione previsto. L’esempio che segue ne è una
dimostrazione.
Esempio 3:
Script previsto: dopo il livellamento dello sciroppo nei due bicchieri identici, il
contenuto di uno viene travasato in un bicchiere di forma diversa. La sperimentatrice
chiede al bambino se, rimettendo lo sciroppo nei bicchieri uguali, la quantità resterebbe la stessa.
201
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Ciò che accade effettivamente:
Spe: “E dunque ora se prendo questo sciroppo e lo verso di nuovo in questo bicchiere,
si può sapere quanto sciroppo ci sarà là dentro? (silenzio di 8 secondi della bambina) “Eh! si può saperlo o non si può saperlo?” “Vedi, se io verso tutto questo là dentro,
così...” (silenzio di 10 secondi) “Hmm?” (pausa di 5 secondi) “Si può saperlo?” (silenzio di 5 secondi) “Lo facciamo?” (silenzio di 3 secondi) “Lo versiamo, eh?” (la
sperimentatrice travasa lo sciroppo in un bicchiere identico). “Ecco. Allora abbiamo
di nuovo tutte e due lo stesso, eh?”.
Di fronte alle pause di silenzio della bambina, la sperimentatrice ripete solo la parte
finale della consegna. Ella sembra tuttavia fare l’ipotesi che la bambina non abbia compreso su cosa verte la domanda e, davanti alla non-risposta della bambina, ripete la prima parte della domanda. Di fronte al nuovo silenzio della bambina, la sperimentatrice
rifà due tentativi infruttuosi per ottenere una risposta. Infine propone di effettuare il
travaso prima di aver ricevuto una risposta e, di fronte alla nuova esitazione della bambina, da essa stessa la risposta attesa.
Nel corso dell’interazione con lo sperimentatore, il bambino si trova poco a poco
a dover cercare di comprendere quali siano, fra l’insieme degli elementi presentati nella situazione di test, quelli sui quali verte l’interrogazione. Egli deve operare una categorizzazione degli elementi presentati nella situazione, ma sarà la stessa di quella che lo
sperimentatore presuppone? Comprenderà, per esempio, che non dovrà prestare nessuna attenzione a certi elementi quali: il tipo di liquido utilizzato (acqua, sciroppo, succo
di frutta, ecc.), la forma dei bicchieri, le gocce di liquido che scorrono sui lati del bicchiere al momento del travaso, ecc., elementi che non hanno nulla a che vedere con il
problema posto e la risposta attesa? In situazione di test, nel corso della sua interazione con lo sperimentatore, il bambino si impegna dunque in un lavoro di ricostruzione
(di co-costruzione) del problema posto. La prova non si svilupperà “in modo normale” se non quando i due interlocutori elaborano una definizione comune del compito che permetta al bambino di dare la risposta attesa dallo sperimentatore nel contesto definito.
Analisi qualitative di questo tipo, che vertano sullo svolgimento degli scambi tra
chi propone il test e chi lo affronta, ci hanno permesso di chiarire un po’ di più come
i processi di regolazione sociale dello scambio e le strategie per la definizione cognitiva
ma anche relazionale della situazione, influenzino il contenuto stesso del discorso e del
pensiero dei partner.
L’interazione tripolare (bambino-sperimentatore-compito) in situazione di test
non è interamente determinata dal livello di competenza cognitiva del soggetto e/o
dal tipo di rapporti sociali esistenti tra il gruppo sociale di riferimento del bambino e
quello dell’adulto. Al contrario, la situazione concreta nella quale il bambino e l’adulto
interagiscono contiene una possibilità di negoziazione interindividuale del rapporto fra
i due interlocutori. Per tale ragione non vi è, nella situazione di test, una riproduzione
integrale dei rapporti esistenti a livello macrosociale fra i gruppi sociali di origine dei
soggetti. La situazione di test in qualche modo li “rimette in scena” e, all’interno di essa,
vi si recita una “drammatizzazione” vera e propria.
202
Testiamo competenze cognitive?
Certo, il modo con cui il soggetto affronta la situazione dipende, in larga misura,
dalle cornici interpretative che ha acquisito nel suo ambiente e nell’arco della scolarizzazione, e dalle rappresentazioni sociali del suo gruppo sociale di origine. Ma nella
sua relazione con lo sperimentatore, il bambino non riproduce solo i rapporti sociali
pre-esistenti (rapporti di subordinazione, per esempio, con la loro distanza statutaria:
l’adulto detiene infatti il potere di gestire la relazione) egli sviluppa anche una attività
di interpretazione con la quale tenta di comprendere la definizione che lo sperimentatore dà del compito e della situazione. Ora questa attività gli conferisce un certo potere
di azione sulla situazione, quando, per esempio, tenta di imporre la sua propria definizione del compito allo sperimentatore (cfr. esempi 1 e 2), o quando, con i suoi silenzi
(cfr. esempio 3), egli pone implicitamente lo sperimentatore davanti alla necessità di
uscire dal copione previsto e fornirgli nuove informazioni, talvolta a costo di uno scarto
dalle norme di applicazione di un test!
La situazione di test non è un luogo “vuoto”, nel quale il bambino realizza una
risposta logica. È un luogo in cui si giocano delle interazioni tra attori che vi immettono, ognuno, qualcosa delle proprie storie sociali e individuali, e dove si creano
talvolta, nell’hic et nunc, attraverso la negoziazione tra gli attori, delle definizioni della
situazione e dei nuovi equilibri relazionali. Queste relazioni risultano “nuove” nella loro
duplice dimensione cognitiva e sociale: in prove come quella della conservazione delle
quantità di liquido, il soggetto viene spinto a livelli di performance “inabituali” per il
suo ambiente sociale.
Con l’analisi micro-sociale dei processi di negoziazione e di costruzione dell’intersoggettività tra sperimentatore e bambino, ci è sembrato possibile stabilire un certo
numero di relazioni tra cognitivo e sociale. Occorrerebbe approfondire ancora questo
studio che mostra come in seno alla stessa situazione di test gli attori negozino relazioni
sociali che non sono interamente determinate da fattori macro-sociali, ma che si creano, in parte, nella situazione stessa. La comprensione di come una situazione di test
possa essere, allo stesso tempo solo una semplice riproduzione di determinismi sociali
o, diversamente generare nuovi rapporti o nuove conoscenze, ci sembra possa aprire
orizzonti interessanti per la pratica clinica e pedagogica.
3. Per concludere: superare le concezioni individualiste e
rigide dell’intelligenza
La nostra avventura intellettuale, partita dalla ripetuta constatazione dell’esistenza
di correlazioni tra origine sociale e performance cognitiva nei test classici ed in quelli
operatori piagetiani, ci ha condotti ad osservazioni sempre più focalizzate sulle condizioni nelle quali vengono a manifestarsi le competenze intellettuali dei soggetti. Rifiutando di inferire le cause a partire da necessità statistiche, abbiamo tentato di affrontare
i meccanismi generatori delle performance osservate.
In antropologia delle scienze, alcuni autori (per esempio: Latour e Woolgar, 1979;
Latour, 1984) hanno potuto descrivere come le conoscenze scientifiche si elaborino
socialmente, attraverso la negoziazione di pratiche e di discorsi tra attori più o meno
203
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
pronti a fare astrazione di certi elementi della realtà per teorizzarne altri. Noi abbiamo
l’impressione che alcuni meccanismi, per certi versi analoghi, siano all’opera nelle situazioni di test: gli interlocutori negoziano al loro interno, in uno spazio di libertà più
o meno ristretto dagli “script” e dai “ruoli” previsti dalla prova (realtà tuttavia sempre
interpretate, perfino reinterpretate dagli attori) l’oggetto del loro discorso e le risposte
attese. Da tutto ciò risulta che per il bambino, aver successo ad un test, significa, grazie
ad una mobilitazione di competenze intellettuali, discorsive e relazionali, giungere a
scoprire la migliore risposta fra quelle che l’adulto si aspetta di ricevere.
La performance di un soggetto al momento di una prova come quella della conservazione delle quantità di liquido riflette dunque l’intersoggettività che ha potuto
stabilirsi fra lui e lo sperimentatore, e questa dipenderà sia dall’esperienza pregressa di
ciascuno sia dalla loro attività comune: l’elaborazione cognitiva necessaria alla attualizzazione della “buona” risposta attesa non si può realizzare se non quando l’interlocutore
raggiunge il bambino in quello che Vygotsky chiama la sua “zona di sviluppo potenziale”. La risposta da dare si scopre nell’interazione ma solo se i due attori a confronto
giungono a coordinare adeguatamente i rispettivi sistemi di interpretazione della situazione. Si tratta dunque di una competenza allo stesso tempo individuale e collettiva,
sociale e cognitiva.
Note
1
Questo capitolo costituisce la postfazione all’edizione russa.
A partire da questo paragrafo e fino alla fine del capitolo la redazione è stata condivisa con Michel Nicolet
e Michèle Grossen.
3
A partire da questo paragrafo e fino alla fine del capitolo la redazione è stata condivisa con Michel Nicolet
e Michèle Grossen.
4
Noi concentriamo la nostra analisi, in questa sede, sulla natura delle performance nelle prove operatorie. Ma
a questo proposito c’è un ulteriore problema, quello dello statuto epistemologico delle categorie che permettono di determinare questa “origine socio-culturale” dei soggetti che appare correlata alle performance.
In realtà, la maggior parte delle ricerche in psicologia, che cercano di osservare il nesso tra performance ed
origine sociale dei soggetti, riprendono le stesse categorie socio-professionali utilizzate in sociologia. Questa
procedura, oltre a generare confusione nei livelli di analisi (giustapponendo una analisi macro-sociale ad
una analisi dei processi psicologici) rischia di far dimenticare i criteri che hanno guidato la categorizzazione
dei soggetti e di indurre ad agire come se le categorie create corrispondessero ad una suddivisione del sociale imposta dal reale e dunque osservabile. Ora, se questa suddivisione può essere utile per l’analisi, e può
permettere di dar conto delle realtà osservabili, resta tuttavia il fatto che queste categorie costituiscono delle
costruzioni del ricercatore e che il loro rapporto con la realtà merita anch’esso un esame.
5
Nella ricerca Grossen, i soggetti sono d’emblée ripartiti in due condizioni sperimentali, l’effetto è studiato sin
dal pre-test. La presente ricerca (Nicolet, 1984) è organizzata secondo un altro paradigma sperimentale: le
condizioni di superamento del pre-test (tempo1) sono identiche per tutti, ma i soggetti vengono sottoposti,
una settimana dopo il pre-test, a trattamenti sperimentali diversi (tempo 2) che hanno luogo una settimana
più tardi.
6
Questo studio si iscrive nella corrente di ricerca della “marcatura sociale” che, dopo i lavori di Doise, Rijsman et al. (1981) e di Doise e Mugny (1981), ha cercato di mettere in luce il ruolo delle regolazioni sociali
sulle dinamiche cognitive: citiamo, in questo campo, i lavori di De Paolis e Girotto (1988), Gilly e Roux
(1984), Nicolet e Iannaccone (1988) e Zhou (1987).
2
204
CAPITOLO 8
L’adulto, il compagno e il compito: nuove
direzioni di ricerca
1
con Maria Luisa Schubauer Leoni e Michèle Grossen
In questo capitolo ci proponiamo di presentare due punti la cui importanza ci
appare sempre più centrale per capire come il bambino costruisce delle nuove competenze: da una parte il problema del ruolo dell’adulto nella costruzione delle competenze
nel bambino; d’altra parte il problema della specificità dell’oggetto sul quale il bambino
(e come vedremo, l’adulto) interagiscono.
1. Il ruolo dell’adulto
Per quel che concerne questo primo punto, il ruolo dell’adulto (che svilupperemo nella sezione II.1.) potrebbe sembrare paradossale che, dopo aver insieme ad altri concentrato le nostre ricerche sul ruolo, nello sviluppo cognitivo, delle interazioni
sociali fra bambini (vedi, ad esempio, Perret-Clermont 1976, Doise, Mugny e PerretClermont, 1979, Doise e Mugny, 1981, Perret-Clermont e Schubauer-Leoni 1981,
Rubstov 1981, Glachan e Light 1982, Gilly e Roux 1984, Mugny 1985), adesso ci dedicassimo al ruolo dell’adulto. È necessaria una veloce analisi per spiegare questo apparente paradosso; noi la riassumeremo in quattro punti che corrispondono a quattro
tappe importanti del nostro lavoro e della nostra riflessione:
1) Se, in un primo momento, le ricerche sul ruolo dell’interazione sociale fra bambini
hanno permesso di precisare le condizioni sociali che permettono al bambino di
trarre profitto da una fase di interazione fra pari (precisamente il ruolo del conflitto socio-cognitivo), esse, in un secondo momento, ci hanno permesso di interrogarsi sulla natura stessa dei progressi cognitivi osservati nei paradigmi sperimentali
messi a punto: tali progressi erano puramente cognitivi (nel senso che il bambino
205
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
giunge, ad esempio, a coordinare degli schemi logici) o potevano anche essere
spiegati per il fatto che il bambino acquisisce, nel corso dell’interazione con un
pari, una certa comprensione sociale della situazione e del problema al quale egli è
confrontato?
2) Le nostre riflessioni hanno trovato corrispondenza in quelle suscitate da un’altra
corrente di ricerca che aveva studiato gli effetti del contesto sociale nello sviluppo cognitivo (vedi ad esempio Donaldson 1978, Light 1986, Light e Perret-Clermont
1989): il contesto sociale è una semplice variabile nella costruzione delle competenze o è un elemento costitutivo dell’attività cognitiva del bambino? È così che
abbiamo costruito dei paradigmi sperimentali nei quali da una parte lo sperimentatore manipola il tipo di interazione fra bambini e dall’altra il tipo di contesto
sperimentale (vedi ad esempio, Perret-Clermont e Schubauer-Leoni 1981, Grossen 1988, Nicolet e Iannaccone 1988). I risultati di questi diversi lavori ci hanno
sensibilizzati al fatto che il modo in cui il bambino comprende ed interpreta la
situazione nella quale si trova a dover risolvere un problema fa parte integrante dei
processi di costruzione della sua risposta (Grossen e Perret-Clermont 1984, PerretClermont, Perret e Bell, 1991).
3) Emergeva così un nuovo oggetto di studio: la situazione, sia che si trattasse della
situazione di test (Bell, Grossen e Perret-Clermont 1985, Grossen 1988) che della
situazione didattica (Schubauer-Leoni 1986, Schubauer-Leoni et al. 1989); situazioni, che venivano considerate come episodi sociali nei quali l’adulto, in quanto
regista della situazione, gioca un ruolo fondamentale nell’interpretazione che il
bambino fa della situazione e del problema che gli viene presentato. I nostri lavori
si sono allora concentrati sullo studio della costruzione sociale dell’intersoggettività fra adulto e bambino in situazione didattica o in situazione di test e sul ruolo
che gioca il contratto di comunicazione implicito fra gli interagenti (SchubauerLeoni 1988 a e b, 1989, Schubauer-Leoni et al. 1992).
4) È per questo che noi oggi ci orientiamo verso la riflessione sulla natura delle situazioni sociali che noi creiamo facendo interagire dei bambini, verso una rilettura
delle prime ricerche (Perret-Clermont, 1991) e anche dando un posto esplicito al
ruolo dell’adulto nel nostro modello teorico (Light e Perret.Clermont 1989). È
quest’ultimo punto che svilupperemo qui di seguito.
2. La specificità dell’oggetto
Per quel che concerne questo secondo punto, la specificità dell’oggetto (noi lo
svilupperemo nella sezione II.2), è sufficiente qui dire che la psicologia cognitiva occidentale ha, in linea di massima accordato poca importanza all’oggetto stesso sul quale
l’individuo ragiona, interessata com’è allo studio dei processi cognitivi generali (universali) che ritiene, giustamente, sufficientemente generali da potersi applicare a qualunque contenuto e a tutte le situazioni.
Comunque le ricerche sul ruolo del contesto nello sviluppo cognitivo, e anche le
nostre ricerche (Schubauer-Leoni e Perret-Clermont 1980, 1985, Schubauer-Leoni et
206
L’adulto, il compagno e il compito: nuove direzioni di ricerca
al. 1984, Schubauer-Leoni, 1988, Perret-Clermont e Schubauer-Leoni, 1990, Schubauer-Leoni e Perret-Clermont, 1985) ci hanno condotti, poco alla volta, a considerare
che l’oggetto sul quale l’individuo ragiona, dal momento che è il frutto ed il rappresentante simbolico di una certa cultura, con una sua propria storia, non può essere ridotto
ad una forma semplice indipendente da ogni contenuto. In effetti la specificità delle
implicazioni culturali e relazionali proprie dei differenti oggetti culturali implicati in
ogni relazione influenza le operazioni cognitive. Quest’ipotesi si ricongiunge, attraverso un diverso cammino, a quella dei lavori di Vygotsky (1932) e di quei ricercatori che
hanno lavorato in questo quadro concettuale (Rubstov 1989, Wertsch 1984, Rogoff
1990). In questa parte del volume (e in particolare nella sezione II.2), ci sforzeremo
di mostrare che la natura dell’attività cognitiva messa in opera dal bambino è legata
alla specificità dell’oggetto, e in particolare al significato che esso assume in una certa
situazione sociale e in un certo contesto di interlocuzione.
Dopo aver esaminato questi due punti, noi riporteremo delle illustrazioni sperimentali che mostreranno, più in particolare l’effetto del ruolo e dello status (reale o
supposto) dell’adulto nella costruzione di competenze nel bambino, così come mostreremo l’effetto del luogo nel quale l’interazione si svolge (sez. III.1). Alla fine riporteremo (sez. III.2) delle analisi di interazione fra un adulto (insegnante o sperimentatore)
di fronte a un (o a dei) bambino (i) che mostreranno come, in funzione della natura
dell’oggetto e del luogo nel quale l’interazione si svolge, vengano a crearsi le condizioni
di intersoggettività fra adulto e bambino.
Ora ci dedicheremo all’esame di due dimensioni che attraversano gli studi sul
ruolo delle interazioni sociali fra bambini nello sviluppo cognitivo senza essere sempre
esplicitati: la natura delle interazioni dette “fra pari” così come la specificità degli oggetti implicati nelle interazioni fra un adulto e un (dei) bambino (i).
3. La natura delle interazioni dette “fra pari”
Nelle ricerche che si occupano del ruolo dell’interazione sociale fra bambini nello sviluppo cognitivo, le fasi di interazione fra i bambini si sviluppano in presenza
dello sperimentatore che, in quanto attore della messa in scena sperimentale, ha per
ruolo quello di fornire le diverse consegne e, se necessario, di fornire delle precisazioni che permettano ai bambini di eseguire la prova. Non è raro che egli debba incitare
i bambini ad interagire o a rispondere ad una domanda che lo obbliga ad uscire dalla schema previsto. Anche se queste ricerche hanno come finalità principale quella di
studiare le interazioni fra bambini ci sembra comunque necessario (ed euristicamente utile) considerare il ruolo dell’adulto e proporre, per rendere conto delle interazioni, un modello che includa esplicitamente l’adulto. Partendo da un modello generale delle interazioni fra un adulto e due bambini, presenteremo le diverse forme
che questo modello può assumere secondo la natura delle relazioni che si stabiliscono fra bambino e adulto.
La figura 1 presenta un modello generale delle interazioni fra un adulto e due bambini che illustra la possibile circolazione degli scambi.
207
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Figura 1: L’interazione fra un adulto e due bambini
adulto
bambino
bambino
La figura 2 presenta un caso particolare del modello generale. Questa forma interattiva si caratterizza da una parte per una serie di scambi paralleli fra il bambino 1 e
l’adulto e, dall’altra, fra il bambino 2 e l’adulto. L’adulto si indirizza, alternativamente,
ai due bambini che interagiscono prevalentemente con l’adulto. In questo caso, l’interazione fra bambini diviene dunque secondaria.
Figura 2: Interazioni parallele adulto-bambino 1 e adulto-bambino 2
adulto
bambino
bambino
La figura 3 rappresenta un’altra forma possibile del modello generale nella quale
l’adulto cerca di decentrare la sua posizione per permettere un’interazione orizzontale
fra i due bambini. Cerca così di agire sull’interazione fra pari, facendo per esempio
degli interventi che mirino a favorire il confronto fra i bambini.
Figura 3: Interazioni fra bambini favorite dall’adulto
adulto
bambino
bambino
Consideriamo ora il contesto nel quale si situano queste interazioni. Distingueremo due tipi di situazioni:
1) una situazione di ricerca nella quale uno sperimentatore interagisce con dei soggetti;
2) una situazione di insegnamento nella quale l’insegnante interagisce con i propri
allievi.
La figura 4 indica per ciascuna delle due situazioni il ruolo e lo statuto sociale degli
attori che interagiscono.
A proposito della figura 4 è bene fin da subito notare che i presupposti sottostanti
208
L’adulto, il compagno e il compito: nuove direzioni di ricerca
alla comunicazione dell’insegnante e a quella dello sperimentatore sono diversi. Non
soltanto a causa della loro rispettiva formazione, delle loro intenzioni, delle loro azioni
verso i bambini ma soprattutto per quegli elementi impliciti del “contratto didattico”
e del “contratto sperimentale” che, in ciascuna delle istituzioni, regolano la loro interazione con i bambini. In effetti, quale che sia la situazione d’interazione fra adulto e
bambino (faccia a faccia o situazioni nelle quali l’adulto cerca di “sparire” per favorire
le interazioni fra bambini) si sviluppano sempre delle attribuzioni di ruolo, delle negoziazioni di status, di gestione delle attese rispettive degli uni e degli altri, delle definizioni dell’oggetto (la prova in gioco e i comportamenti fattuali e discorsivi da assumere
rispetto ad essa).
Figura 4: Ruoli e status sociali di ciascuno degli attori in interazione in situazione di
ricerca e in situazione di insegnamento
Situazione di ricerca
Situazione di insegnamento
Sperimentatore
Insegnante
Soggetto
Alunno
Sperimentatore
Soggetto 1
Soggetto 2
Insegnante
Alunno 1
Alunno 2
Per gli obiettivi che persegue, per il suo status, per l’analisi che egli conta di fare
dei comportamenti dei bambini, l’adulto regola i contratti di comunicazione che si
vengono a stabilire fra lui e il bambino e fra i bambini. Tuttavia, poiché i partner dell’interazione non partono tutti necessariamente dagli stessi presupposti, dei malintesi
sono suscettibili di crearsi nel corso delle interazioni. Un’analisi di queste interazioni
dovrebbe allora poter rendere conto del modo in cui i partner gestiscono questi malintesi e del modo in cui pervengono a degli accordi. Per giudicare la “qualità” della
gestione dei malintesi bisognerebbe prendere in conto allo stesso tempo il modo in
cui la comprensione in atto che manifesta l’adulto rispetto al malinteso e quella della
quale fanno prova i bambini, essendo beninteso che questi si trovano, per definizione, in una posizione “bassa” in queste situazioni interlocutorie. Taluni equivoci non
vengono alla luce se non attraverso un’analisi dettagliata dei protocolli d’interazione
ed è allora che è utile cercare di comprenderli, riposizionando la gestione di questi
malintesi in un contesto di “urgenza” costituita dalla prosecuzione dell’atto interattivo fra i partner.
Il nostro proposito è quello di comprendere come, in queste circostanze, si venga
a stabilire un’intersoggettività fra i partner.
209
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
2. La specificità degli oggetti trattati nel corso delle interazioni adulto-bambino
Nel paragrafo precedente abbiamo presentato un modello (cfr. figura 4) che rappresentava un adulto (insegnante o sperimentatore) che pone delle domande a dei bambini (allievi o soggetti) e dai quali si attende una risposta. Noi ci siamo allora posti
nella prospettiva di un modello bipolare che considera da una parte la posizione di chi
interroga e dall’altra quella di chi è interrogato. Queste due posizioni sono asimmetriche
poiché, nel momento in cui l’adulto pone delle domande al bambino (o ai bambini) c’è sempre il ruolo (di insegnante o di sperimentatore) che lo pone in posizione
“alta” e che legittima la sua attività di interrogazione. Quanto al bambino, sia come
allievo, che come soggetto sperimentale, il suo ruolo e il suo statuto sociale in quei
contesti lo obbligano implicitamente sempre a rispondere (in assenza della risposta
egli rischia di essere immediatamente dichiarato incompetente o “inutilizzabile” per
la ricerca). Queste due posizioni sono allo stesso tempo complementari poiché, a livello
dell’interazione stessa, il ruolo dell’insegnante o dello sperimentatore non è definitivamente legittimato se il bambino non accetta di assumere il suo ruolo di allievo o
di soggetto.
Tuttavia questo modello bipolare trascura di prendere in conto l’oggetto stesso a
proposito del quale l’adulto e il bambino (o i bambini) interagiscono. La situazione di
ricerca, come quella di insegnamento hanno come caratteristica essenziale di svilupparsi attorno ad uno specifico oggetto di discorso2. Si tratta allora di ripensare fondamentalmente il modello bipolare proposto fin qui, passando a un modello tripolare che includa l’oggetto del discorso (vedi figura 5).
Figura 5: Modello tripolare di interazione adulto – bambino - oggetto del discorso
Intervistatore
(Sperimentatore o insegnante)
Intervistati
(Soggetto(i) o alunno(i))
Oggetto del dicorso
(Oggetto di test psicologico o
oggetto di insegnamento)
Al fine di classificare quello che diviene l’oggetto del discorso nel corso dell’interazione ci sembra euristicamente utile immaginarlo come esistente due volte: una
prima e indipendentemente dagli attori che gli danno vita nel corso dell’interazione e
una seconda volta così come è ripensato, ricostruito nel vivo dello scambio. Considereremo
allora che l’oggetto del discorso preesiste all’interazione e che può essere definito come
un “sapere” socialmente costruito e culturalmente disponibile.
210
L’adulto, il compagno e il compito: nuove direzioni di ricerca
Così, ad esempio, se si tratta di una prova operatoria ispirata alla teoria piagetiana,
l’oggetto intorno al quale il bambino e lo sperimentatore interagiranno è segnato dalla
cultura epistemologica e psicologica dell’adulto che conduce l’intervista. Lo sperimentatore l’avrà ricevuta dalla comunità scientifica che lo ha formato ed è ai suoi colleghi
ricercatori che egli conta di indirizzare i risultati dell’intervista.
Allo stesso modo dello sperimentatore che mette in scena la prova operatoria piagetiana, l’insegnante non è colui che concepisce la cultura dalla quale emerge l’oggetto
del discorso considerato. Egli è stato iniziato a questa cultura attraverso diverse esperienze: attraverso la sua personale esperienza di allievo e soprattutto attraverso la sua
formazione (iniziale e continua) alla professione di insegnante. Tuttavia, contrariamente allo sperimentatore l’insegnante si trova a gestire un “sapere insegnato” che prende
posto attraverso altri “saperi insegnati” previsti da un certo programma scolastico (Perret-Clermont et al. 1981, Chevallard 1985 e 1988). L’insegnante è, in questo caso, un
attore del processo di trasposizione didattica. È a lui che riviene la messa in scena di una
certa versione di questo sapere “scolarizzato” che altri, prima di lui, hanno approntato
sotto forma di prove nei manuali scolastici. Spesso l’insegnante, ispirandosi ad altri
approcci didattici al sapere, finisce per produrre la sua versione della prova scolastica
per i suoi allievi del momento. La produzione del “sapere scolastico” costituisce dunque
il risultato di un insieme di tentativi che vengono realizzati nei confronti dell’allievo a
monte dell’interazione tripolare che qui ci riguarda.
Quanto al rapporto dell’allievo con questi due oggetti di discorso è un po’ diverso
in un caso rispetto all’altro. In effetti, se egli è in generale cosciente dell’esistenza di
questi oggetti “da apprendere” che costituiscono la materia dei suoi manuali scolastici,
nel corso dell’esercizio quotidiano del suo “mestiere” di allievo, il bambino è iniziato
a rispondere “correttamente” (cioè in modo conforme alle attese dell’insegnante) alle
domande che gli vengono poste. Per fare ciò vengono posti in essere una serie di processi: gergo ad hoc, rituali di enunciazione, supporti mnemotecnici, ecc. Al contrario,
egli ignora tutto dell’origine e della funzione degli oggetti del test che gli sono proposti
da quest’adulto sconosciuto che è lo sperimentatore. L’allievo non è iniziato al percorso
della situazione sperimentale. Gli oggetti del test non hanno alcun senso per lui che
non ha né i riferimenti culturali, né le implicazioni professionali dell’adulto.
Quali differenze si rivelano allora agli occhi dell’osservatore fra l’elaborazione dell’intersoggettività adulto-bambino elaborata a proposito di una nozione operatoria in
una situazione sperimentale e l’elaborazione dell’intersoggettività fra insegnante ed allievo a proposito di una nozione insegnata a scuola? Il fatto che nella prima situazione il
bambino non possa fare appello a uno script conosciuto mentre nella seconda egli può,
al contrario, appoggiarsi su degli script appresi precedentemente in classe, modifica i
processi stessi attraverso i quali l’adulto e il bambino costruiranno quest’intersoggettività? In altre parole il tipo di situazione nella quale l’adulto e il bambino interagiscono
e l’oggetto di discorso che li vede insieme coinvolti modificheranno i processi stessi
attraverso i quali essi costruiscono l’intersoggettività? Come i diversi sistemi di ruolo, di status, di attese, genereranno la relazione tripolare “adulto-bambino-oggetto di
discorso” e come essi incideranno sulla messa in opera di un’attività sia cognitiva che
sociale che mira ad interpretare non solo la natura dell’oggetto, ma la situazione nel suo
complesso? Per quel che concerne quest’ultimo punto si osserva, in effetti, che i part211
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
ner di queste interazioni non solo s’ingaggiano nella risoluzione cognitiva dell’oggetto
(logica, matematica o altro) che è al centro del loro incontro ma essi, al tempo stesso
riflettono sulla maniera in cui i propositi che emettono vengono accettati dall’altro. La
loro riflessione si dirige simultaneamente sul piano cognitivo e sul piano sociale (interpersonale) ed è a partire dagli indici e dagli ostacoli posti da questi due ordini di realtà
che il bambino capisce ciò che “deve” o “può” fare e dire in quel particolare contesto.
3. Gli effetti del contesto sperimentale: il ruolo dichiarato
dello sperimentatore e il luogo dove si svolge l’interazione
Al fine di mostrare l’intreccio fra gli aspetti propri dell’interazione adulto-bambino che sono specifici degli oggetti in gioco, discuteremo i risultati di due ricerche
sperimentali (Schubauer-Leoni, Perret-Clermont, Grossen, 1991):
– La prima ricerca fa variare il ruolo dello sperimentatore nel corso della prova piagetiane di conservazione del numero. Nella prima condizione sperimentale l’adulto
si presenta al soggetto come una “maestra” che vuole informarsi su ciò che i bambini sanno. Nella seconda condizione sperimentale la stessa persona si presenta come
una “signora che vuole giocare con i bambini”.
– La seconda ricerca fa variare il luogo nel quale si realizza un esercizio di soluzione
di un problema additivo. Nella prima condizione sperimentale il luogo è la classe
scolastica e una sperimentatrice richiede ai bambini una risposta scritta individuale.
Nella seconda condizione sperimentale il luogo è l’esterno della classe dove la stessa
sperimentatrice da ai bambini (singolarmente) la stessa consegna.
3.1 La sperimentatrice “maestra” o “compagna di gioco”
In questa ricerca 99 bambini sono stati intervistati individualmente, di cui 49 (età
compresa fra 4/11 e 6 anni) frequentanti la scuola dell’infanzia (grado prescolare) e 50
(di età compresa fra 5/11 e 7/9) frequentanti il primo anno della scuola primaria. Il
test proposto secondo le due condizioni sperimentali descritte (condizione “maestra”
e “compagna di gioco”)3 consisteva nella prova di conservazione del numero di Piaget.
L’appartenenza socio-economica (basata sulla professione del capofamiglia) e il genere
sono stati accuratamente controllati nel corso della ripartizione dei soggetti nelle due
condizioni sperimentali.
Le tabelle 40 e 41 presentano la ripartizione dei livelli operatori mostrati dai soggetti di scuola dell’infanzia (tabella 40) e del primo anno di scuola di scuola elementare
(tabella 41) in relazione alle due condizioni sperimentali.
Questi dati mostrano l’interdipendenza fra la dimensione cognitiva e le dimensioni istituzionali ed interpersonali create sperimentalmente. In effetti, se noi osserviamo una proporzione nettamente più importante di risposte conservanti nei bambini
212
L’adulto, il compagno e il compito: nuove direzioni di ricerca
che frequentano il primo anno della scuola elementare rispetto quelli che frequentano
la scuola dell’infanzia la sensibilità manifestata alle condizioni sperimentali non è la
stessa: si osserva che i bambini di scuola dell’infanzia sono più numerosi a dare giudizi di conservazione quando sono assegnati alla condizione compagna di gioco, cioè
alla condizione che è a loro più familiare in quello specifico contesto (z=0.7; p>.24)4.
Quanto ai bambini del primo anno della scuola elementare essi sono in numero più
elevato a dare giudizi conservanti quando sono assegnati alla condizione insegnante, condizione che è conforme con il contesto istituzionale nel quale essi si trovano
(z=2.12; p>.01).
Tabella 40: Allievi di scuola dell’infanzia (5-6 anni). Prova di conservazione del numero
Sperimentatrice nel ruolo di
INSEGNANTE
Sperimentatrice nel ruolo di
COMPAGNA DI GIOCO
Non
conservanti
Intermedi
Conservanti
Totali
18
1
5
24
(75%)
(4%)
(21%)
(100%)
16
1
8
25
(64%)
(4%)
(32%)
(100%)
Tabella 41:Allievi di scuola del primo anno di scuola elementare (6-7 anni). Prova di
conservazione del numero
Sperimentatrice nel ruolo di
INSEGNANTE
Sperimentatrice nel ruolo di
COMPAGNA DI GIOCO
Non
conservanti
Intermedi
Conservanti
Totali
4
1
20
25
(16%)
(4%)
(80%)
(100%)
10
3
12
25
(40%)
(12%)
(48%)
(100%)
Questi risultati mostrano l’effetto strutturante dei ruoli che vengono attribuiti ai
partner in modo congruente o incongruente con il contesto istituzionale (di gioco o di
test) nel quale essi sono stati posti. Questa nozione di “ruolo” non è sufficiente tuttavia
a rendere conto della messa in opera dei processi cognitivi osservati. Per capire meglio
bisognerà ancora analizzare minuziosamente i protocolli di trascrizione di queste interazioni allo scopo di comprendere come si stabilisce l’intersoggettività fra adulto e
bambino e come la sperimentatrice, presentandosi come insegnante o compagna di
gioco, giunga ad ottenere certe attualizzazioni come quelle osservate.
213
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
3.2 La ricerca in classe o fuori dalla classe
In un’altra ricerca (Schubauer-Leoni 1990) condotta su 73 allievi di 8-9 anni
(quattro classi di seconda elementare) del Cantone di Ginevra, viene domandato agli
allievi di formulare, per iscritto, la soluzione di un problema additivo.
Si tratta per i bambini di codificare una situazione concreta che implica delle operazioni di addizione e sottrazione, cioè di rappresentare queste operazioni attraverso un
sistema di segni o di simboli scelti dal bambino stesso.
Gli allievi sono stati pre-testati, in classe e da uno sperimentatore non a conoscenza degli scopi della ricerca, sulle loro competenze nel dominio della scrittura aritmetica elementare (questo pretest è stato realizzata con il ricorso ad un esercizio di
calcolo a completamento, dello stesso tipi di quelli che in uso in quel momento nella
loro pratica scolastica. Sulla base dei risultati a questo pre-test, gli allievi sono stati
ripartiti nelle due condizioni sperimentali (in classe o fuori della classe); i due gruppi
sperimentali sono comparabili per quel che riguarda le modalità di espletamento della
ricerca.
Le produzioni scritte degli allievi sono state analizzate secondo il tipo di modalità
utilizzata dagli allievi per formulare la risposta al problema additivo. Tre modalità principali sono apparse: la scrittura aritmetica (con segni aritmetici e quantità espresse in
cifre), il linguaggio naturale e infine degli schemi grafici.
Tabella 42: Allievi di seconda elementare (8-9 anni). Esercizio di codifica di operazioni additive (dati apparsi in Schubauer-Leoni, Perret-Clermont e Grossen
1992)
In classe
Fuori dalla classe
Scrittura aritmetica
Es. 3+5-2=6
Disegno/linguaggio naturale
Totali
17
22
39
(44%)
(56%)
(100%)
3
31
34
(9%)
(91%)
(100%)
La tabella 42 mette in evidenza l’abbondanza di formulazioni sotto forma di disegno e di linguaggio naturale. Ciò farebbe pensare che, in seconda elementare, il bambino ricorre in modo spontaneo alla scrittura aritmetica appresa in classe per “tradurre”
su carta la soluzione di un problema additivo. Comunque quando di confrontano le
produzioni realizzate nei due contesti di somministrazione, si osserva che la realizzazione in classe da luogo ad un numero ben più consistente di risposte sotto forma
aritmetica. Fuori dalla classe, solo 3 allievi (su 34) ricorrono a questa modalità di rappresentazione tipicamente scolastica (z = 3.04; p < .001).
Il luogo nel quale le situazioni sperimentali vengono allestite non è quindi estraneo all’attività che il bambino mette all’opera per fornire la sua risposta. Il bambino,
214
L’adulto, il compagno e il compito: nuove direzioni di ricerca
a seconda del luogo nel quale viene interrogato, è spinto ad attribuire dei significati
differenti alla domanda che gli viene posta e a interpretare diversamente le attese dell’adulto che lo interroga. Anche se fa riferimento a contenuti scolastici abituali, la
prova può cambiare di significato per il bambino allorquando sia un adulto estraneo al
mondo della scuola a presentarla, al di fuori del quadro abituale.
Per meglio valutare la natura delle risposte fornite dal bambino bisogna seguire
passo-passo il modo in cui il bambino e l’adulto costruiscono un’intersoggettività a
proposito di un discorso particolare (vedi Saada & Brun 1984, Schubauer-Leoni &
Grossen 1984, Schubauer-Leoni 1988).
4. I processi di costruzione progressiva di un oggetto di discorso
Per selezionare la costruzione progressiva di un oggetto comune di discorso in diversi tipi di interazione, abbiamo analizzato dei corpus concernenti oggetti di discorso
che variano in riferimento a diversi sistemi di ruolo:
– In una prima serie di ricerche abbiamo studiato delle situazioni che vedevano presenti uno sperimentatore ed un soggetto intorno a delle prove operatorie piagetiane (Grossen 1988) o intorno a nozioni matematiche elementari (Schubauer-Leoni
1986);
– In una seconda serie di ricerche abbiamo studiato delle situazioni che vedevano
coinvolti uno sperimentatore, un soggetto al quale veniva affidato il ruolo dell’adulto e un bambino (Schubauer-Leoni 1986 et 1989, Grossen 1988, Grossen e
Bell 1988).
4.1 Analisi delle interazioni fra uno sperimentatore e un bambino a
proposito di un test o di un lavoro di tipo scolastico
L’analisi dettagliata dei protocolli mette specificamente in evidenza i malintesi che
si creano fra adulto e bambino, a volte fin dall’inizio dello scambio.
L’esempio di Natacha, impegnata in una prova piagetiana di conservazione dei
liquidi, illustra bene le differenze di centrazione fra l’adulto e il bambino che emergono
nella fase iniziale di egalizzazione delle quantità di sciroppo in due bicchieri identici A
e AI:
Esempio 1: Natacha (6 anni)
Spe: vorrei che tu versi la stessa quantità di sciroppo nel tuo bicchiere e nel mio in modo
da averne, sia io che tu, lo stesso, né di più, né di meno (Natacha versa dello sciroppo
nel suo bicchiere, ce n’è di più nel suo bicchiere) abbiamo lo stesso di sciroppo tutti
e due o ce n’è uno che ne ha di più?
Nat: ne ho messo un po’ troppo
215
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Spe: allora mi farebbe piacere se avessimo lo stesso di sciroppo, bisogna fare in modo da
avere proprio lo stesso.. come puoi fare?
Nat: (silenzio)
Spe: bisogna togliere se ce n’è troppo
Nat: bisogna bere?
Spe: no, ne abbiamo lo stesso di sciroppo, o qualcuno ne ha di più, o qualcuno ne ha
di meno?
Nat: (silenzio) ne abbiamo lo stesso
Spe: c’è lo stesso di sciroppo in quei due bicchieri?
Nat: no, nel mio ce n’è di più
Spe: allora bisogna che noi due si abbia lo stesso di sciroppo, come puoi fare perché se
ne abbia lo stesso?
Nat: bisogna versare
Spe: beh si…
Nat: a più riprese egalizza la quantità di liquido nei due bicchieri
L’esempio seguente, tratto da una ricerca (Schubauer-Leoni 1986) sulla codifica
di operazioni additive con una combinazione di dadi (i punti ottenuti rappresentavano
ogni volta una quantità da ottenere addizionando), è significativo, allo stesso modo,
della difficoltà di condividere un oggetto comune:
Esempio 2: Catherine (8 anni)
(lo sperimentatore e Catherine si sono appena incontrati. Fin a quel momento
Catherine era rimasta in classe a seguire una lezione sulla città di Ginevra)
Spe: Allora Catherine… passiamo dalla città di Ginevra… (si interrompe e domanda) è questo che stavi facendo? (poi prosegue senza aspettare la risposta del bambino)… a un gioco con i dadi… ti dice qualcosa?
Catherine: no
Spe: no?
Cat: ah si
Spe: Si? Facciamolo ed vedremo… io lancerò i dadi e poi…
In questo esempio, si vede che il modo in cui la sperimentatrice entra in materia
mobilizza in modo diverso, l’attenzione dei due interlocutori: ciascuno dei due deve
far fronte, per rispondere o formulare la domanda, del ruolo specifico e non intercambiabile nella costruzione della risposta. Così, allorché Catherine comincia a giocare il
suo ruolo con un intervento “negativo” (la sua prima parola è “no”) mette in evidenza una falla nella supposta intersoggettività. Di colpo la sorpresa (di disapprovazione?) dell’adulto (“no”?) obbliga l’allievo ad affermare una certa connivenza. Un tale avvio dello scambio lascia trasparire degli universi di riferimento che non coincidono in
modo completo.
216
L’adulto, il compagno e il compito: nuove direzioni di ricerca
4.2 Analisi delle interazioni fra uno sperimentatore e un bambino messo, rispetto ad un altro bambino, nel ruolo di adulto in una situazione di test e in una situazione di tipo scolastico
Per studiare il modo in cui il bambino decodifica le caratteristiche implicite nelle
situazioni di interazione nelle quali egli interagisce con uno sperimentatore in una situazione di test e in una situazione di tipo scolastico e per avere l’occasione di studiare
il bambino che ricostruisce, davanti ai nostri occhi, certi della situazione di interrogazione, abbiamo analizzato delle situazioni nelle quali un bambino è invitato a giocare il
ruolo del “piccolo sperimentatore” o il ruolo del “piccolo insegnante” con un compagno di classe. Attraverso queste situazioni di gioco di ruolo noi posizioniamo, temporaneamente, il bambino in una posizione “alta” rispetto ai compagni “interrogati” che
restano in posizione “bassa”. Creando simili situazioni noi tentiamo di cogliere gli universi di significati elaborati dal soggetto che sta per dare delle risposte nell’ hic et nunc
dell’atto di interrogazione. In tal modo, in questi giochi di ruolo i bambini sono invitati sia ed essere “sperimentatori” (dopo aver vissuto l’esperienza come soggetti) sia ad
essere “insegnanti” così come lo vedono fare a scuola. Dal punto di vista del tipo di interazione che si stabilisce fra lo sperimentatore, il bambino e l’oggetto ciò equivale al
seguente spostamento:
Figura 6: Posto dello sperimentatore e del bambino rispetto all’oggetto nel caso in cui
il bambino è in posizione di soggetto (A) e in quella di sperimentatore (B)
A
B
Sperimentatore
Sperimentatore
Soggetto X
Oggetto scelto dallo sperimentatore
Soggetto X
“piccolo sperimentatore” o “piccolo maestro”
Soggetto Y
oggetto
ricostruito da X
La creazione di queste situazioni di gioco di ruolo permette anche di osservare i
significati che i “piccoli sperimentatori” e i “piccoli insegnanti” attribuiscono a:
– La posizione dell’adulto che pone le domande, poiché sono essi, in queste situazioni, che mantengono una posizione “alta” rispetto ad un loro pari;
– La posizione del soggetto a cui sono poste le domande, poiché dopo averla temporaneamente occupata, essi avranno come compito di far occupare tale posizione ai
loro interlocutori;
– L’oggetto del discorso che essi pensano di dover trattare in questa situazioni di
interrogazione.
217
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Attraverso questa procedura noi possiamo osservare come i due bambini, a partire
dai loro presupposti rispettivi sulla situazione e sull’oggetto in questione perverranno, o meno, a definire un oggetto di discorso comune. Qui di seguito presenteremo
prima di tutto degli esempi tratti da situazioni nelle quali il bambino gioca il ruolo di
sperimentatore con un compagno al quale egli sottopone la prova di conservazione dei
liquidi, subito dopo, presenteremo dlle situazioni nelle quali il bambino gioca il ruolo
dell’insegnante sottoponendo un esercizio di matematica ad un suo compagno.
4.2.1 I “piccoli sperimentatori piagetiani” all’opera
Considereremo qui due estratti di protocolli (tratti da Grossen 1988) che illustrano bene la dinamica che si crea fra un piccolo sperimentatore ed il “suo” soggetto.
Nella ricerca in questione i bambini (di età compresa fra 6 e 7 anni e frequentanti la
prima classe elementare) affrontano, in condizione individuale, la prova di conservazione delle quantità di liquidi, prima di assumere il ruolo di piccoli sperimentatori con un
compagno della propria classe al quale la prova non è stata preliminarmente proposta.
Nell’esempio che segue, lo “sperimentatore”, Gaël, è un bambino che aveva mostrato condotte di conservazione alla prova preliminare di conservazione dei liquidi.
Esempio 3: Gaël (conservante) e Céline il “suo” soggetto:
(Ci troviamo nella fase iniziale dell’interazione: Gaël prende il bicchiere A, se lo
pone davanti e vi versa dello sciroppo. Subito dopo prende il bicchiere AI, identico ad
A, e lo posiziona davanti a Céline.)
Gaël: prendi lo stesso che ne ho io
Céline: (Versa dello sciroppo in AI. Il livello è più alto in AI)
Gaël: (Allo sperimentatore) Lei ha più sciroppo di me (Aggiunge dello sciroppo in
A)
Spe: fai come pensi (Gaël sembra valutare la altezza dei livelli)
Gaël: tu ne hai più di me?
Céline: no
Gaël: ne abbiamo lo stesso?
Céline: si, lo stesso
Gaël: si, (prende il bicchiere B, più alto e più sottile, lo mette davanti a lui e travasa
il contenuto di A in B) ne hai lo stesso tu?
Céline: no, (Gaël guarda lo sperimentatore)
Gaël: (allo sperimentare) non mi ricordo più
Questa sequenza mostra fino a che punto l’adulto continui a gestire l’insieme del
gioco. Nonostante l’attribuzione preliminare dei ruoli, il “piccolo sperimentatore” non
può impedirsi di cercare appoggio e approvazione dall’adulto, solo attore legittimato
in posizione “alta”. Identificata la posizione dell’adulto, è anche interessante osservare
l’integrazione parziale dello script da parte del giovane Gaël che ha effettivamente saputo riprodurre l’entrata in situazione, cioè nella fase di egalizzazione della quantità nei
218
L’adulto, il compagno e il compito: nuove direzioni di ricerca
due bicchieri identici. Ciononostante, dalla sua posizione di “conservante”, Gaël non
sa più che fare, in quanto persona che pone le domande, di fronte alla prima risposta
non conservante de Céline. Sembra che non possa assumere il suo ruolo se non con un
soggetto che la pensi come lui, un conservante. In altre parole, il comportamento di
Gaël ci indica che, per assumere il ruolo dello sperimentatore, è necessario dar prova di
una doppia decentrazione: sul piano relazionale, bisogna poter assumere una posizione
“alta” che non è, a priori, legittima fra pari (da ciò deriva il costante riferimento all’adulto presente); sul piano cognitivo, la posizione di “conservante” la si può assumere
in quanto soggetto al quale vengano poste delle domande, ma diviene scomoda quando
bisogna gestire la contraddizione sollevata dal dover porre domande.
Così tutto lascia pensare che Gaël si aspetti dalla suo compagna che dia delle
risposte, come le sue, conservanti e le risposte di altro tipo hanno come conseguenza
quella di farlo uscire dal solo script che conosce e alla fine lo spingono a confessare la
sua impossibilità di mantenere il suolo, fino ad abbandonarlo.
Nell’esempio seguente, Alessandro, che, interrogato dallo sperimentatore, aveva
manifestato delle condotte non conservanti, assume il ruolo di chi interroga con un
suo compagno José:
Esempio 4: Alessandro (non conservante) e José, il suo “soggetto”.
È l’inizio dell’interazione: Alessandro prende il bicchiere A e versa dello sciroppo
dentro. Egli domada poi a José de versare dello sciroppo nel bicchiere C, più basso e più
largo. José lo fa e il livello del liquido appare più alto in A rispetto a C.
Alessandro allora domanda:
Ale: allora il mio è più grande (bicchiere A) e quello (bicchiere C) è più piccolo, lo
vedi? (José approva). Allora quello (mostra il livello del liquido nel bicchiere C) è
diventato di meno, allora vieni, guarda (accosta i due bicchieri), vedi?
In seguito Alessandro propone di rendere uguali i due livelli di liquido in due
bicchieri uguali E e B, poi di travasare il contenuto del bicchiere E nel bicchiere B, più
alto e più sottile e dice:
Ale: allora questo era più grande (livello di B) bisogna mettere di più, è salito hai
visto ora, ah voilà.
In quest’esempio Alessandro assume il ruolo di chi pone le domande da perfetto
“non conservante”: la situazione è reinterpretata secondo la sua logica, cosa che non gli
impedisce di manipolare il suo materiale. Verosimilmente incapace di porre domande,
Alessandro mostra a José in quale bicchiere “è più alto”. Fatti tutti i conti, José non
può che approvare ed in tal modo assume la posizione di co-costruttore dell’oggetto
di discorso. Alessandro pensa di avere controllo sull’oggetto del discorso? Messo nella
posizione di detentore di un certo sapere, gioca bene il suo ruolo: cercare di mostrare
che egli è autorizzato a tenere il ruolo di “chi pone le domande” e, visto che Josè non
lo destabilizza dalla sua posizione egli continua la sua dimostrazione. Contrariamente
all’esempio di Gaël lo sperimentatore non viene sollecitato: è pensabile che Alessandro
219
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
sia talmente lontano dallo script di questo genere di scenario da non riuscire neppure
ad immaginare l’esistenza di uno scenario diverso? Tutto sembra accadere come se egli
si sentisse autorizzato ad improvvisare sul tema della sua fantasia e della sua… cognizione, posto che egli mantiene la sua posizione “alta”.
Questi due esempi mostrano come due bambini in una situazione di test, che dal
punto di vista dello sperimentatore è assolutamente identica, siano suscettibili di reinterpretare l’oggetto della domanda in maniere completamente diversa da quella prevista dallo sperimentatore e di posizionarsi in un diverso rapporto alla conoscenza: da
una parte una posizione nella quale il bambino (esempio di Gaël) è cosciente di essere
stato posto in una posizione “alta” dallo sperimentatore (considerato come l’autentico
autore dello scenario), dall’altra un bambino che si preoccupa soprattutto di mantenere
la sua posizione “alta” che gli è stata assegnata senza timore di costruire un suo scenario
(l’esempio di Alessandro).
Una dinamica interattiva dello stesso tipo si produrrebbe con una prova di tipo
scolastico? O la familiarità dell’oggetto favorirebbe uno scambio diverso.
4.2.2 I “piccoli insegnanti” all’opera
Gli esempi che seguono cercano di mettere in scena della situazioni nella quali
l’oggetto concerne una prova di tipo scolastico. Il primo esempio (tratto da SchubauerLeoni 1986) porta su una interazione fra due allievi del secondo anno di scuola elementare (7-8 anni): Vanna “piccola insegnante” e Lisa la sua “allieva”. Il secondo esempio
concerne un’allieva del sesto anno di scuola elementare5 (di 12 anni) e un piccolo gruppo di quattro allievi di seconda elementare. In quest’ultimo caso la “piccola insegnante”
occupa legittimamente la posizione di “grande” e dunque di “più competente” che le
viene conferita dal suo appartenere al gruppo di allievi di sesta rispetto ai “piccoli” di
seconda. Nei due casi la prova è un esercizio di matematica tipicamente proposto in
seconda elementare (calcolo aritmetico con posizioni da completare).
Esempio n. 5: la “piccola insegnante” Lisa (seconda elementare) e il suo “allievo”
Vanna (seconda elementare).
(Le due allieve si incontrano. Lisa comincia a introdurre la prova per la sua “allieva” Vanna)
Lisa: Là (mostra un foglio di carta) ci sono dei calcoli tu devi mettere dei numeri che
tu fai… delle volte ci sono dei meno
Vanna: (conta sulle dita e completa, sul folgio che le ha dato Lisa: 10 + 11 = 22)
Lisa: (allo sperimentatore) glielo detto? Debbo poi mettere “sbagliato”
Spe: come tu vuoi
Lisa: guarda (a Vanna mentre le fa vedere sulle sue dita) dieci undici dodici tredici
Vanna: quattordici quindici sedici diciassette diciotto diciannove venti e ventuno
Lisa: allora perché metti ventidue? Ora ventiquattro (mostra quattro sulle sue dita)
più quanto?
Vanna:…
Lisa: uno
220
L’adulto, il compagno e il compito: nuove direzioni di ricerca
Vanna: ventiquattro più uno fa… venticinque
Lisa: io ti ho molto aiutata… adesso fai da sola e io ti dico se è giusto
(…)
Spe: (a Lisa) correggi?
Lisa: se non sbaglio sei tu che correggi
Spe: e tu non lo sai fare?
Lisa: (non risponde e comincia a mettere dei segni a fianco delle risposte di Vanna)
Vanna: oh (ogni volta che Lisa mette un segno)
Lisa: io ti ho molto aiutata, sai
Vanna: andiamo, dai
Lisa: permetti, anch’io non lo so… e d’altra parte tu hai già due errori
Vanna: andiamo… è facile…(…)
Nel corso dell’interazione, prende forma un oggetto di discorso, ma l’oggetto di
“insegnamento” previsto da Lisa si rivela poco stabile e dipende direttamente dalla maniera in cui ella interpreta il suo ruolo di “piccola insegnante”. È in effetti assumendo
il ruolo dominante rispetto alla sua allieva, e non per la padronanza del sapere in gioco
che Lisa prende una posizione “alta”, del resto precaria dal momento che anch’ella è un
allieva di seconda elementare come la sua “allieva”.
A tal proposito va precisato che Lisa a scelta da sola la sua “allieva” nella persona di
Vanna, un’allieva che lei ha giudicato “debole” e che gli avrebbe permesso di mantenere
la posizione assegnatale nella situazione. È assumendo un ruolo dominante che Lisa si
crea le condizioni per funzionare come “insegnante” e legittimarsi come tale. Ma ecco
che Vanna riposiziona il sistema di posizioni alla prima debolezza dell’insegnante: di
fronte alla lentezza con la quale Lisa corregge il suo lavoro, lei si premette di sollecitare
la sua compagna (dai…).
È la coscienza dell’ignoranza di Lisa che mette in evidenza lo sforzo della “piccola
insegnante” per mantenere il suo statuto non autorizzato e questo a spese della… conoscenza!
L’esempio di Sandra e dei suoi “allievi” completa il quadro d’insieme. La prova
concerne un’attività di formulazione scritta di operazioni additive concepite dalla sperimentatrice e non tipiche delle attività matematiche comunemente realizzate in classe.
Esempio n.6: Sandra “piccola insegnante” di sesta classe elementare e i suoi quattro “allievi” di seconda.
Sandra: adesso vi farò una domanda, una specie di problema, allora per esempio c’è
una bambina che si chiama Michelle alla quale la mamma domanda di fare delle
commissioni. Sulla lista scrive 3Kg di carote, 4Kg di patate… no 4Kg di mele e 5Kg
di patate! 1 Kg di carote costa 2 franchi e 40, 1 Kg di mele verdi costa 3 franchi e 20 e
per finire 1 Kg di patate costa 2 franchi e venti... quanto costeranno 3Kg di carote…
tu farai cosa? (si indirizza ad uno dei componenti il gruppo).
Allievo:…
Sandra: bene tu farai .. guarda non hai bisogno di mettere la virgola tu fai 240 volte
tre (scrive su carta: 240 x 3) 0 volte 3?
221
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
Allievo: io penso…
Sandra: tu hai 0 mele tu fai volte 3 quanti fa?
Allievo: 0
Sandra: 3 volte 4
Allievo: 12?
Sandra: allora io tengo 1 poi 2 volte 3?
Allievo: …
Sandra: quanto?
Allievo: 6
Sandra: si e poi dal momento che c’è il resto fa più uno … 6 più 1?
Allievo: 7
Sandra: mmm fa 720 e poi tu metti la virgola
Allievo: …
Sandra: la (7,20) dato quello la (2,40) va là (7,20) e fa in totale 7 franchi e venti e
poi ora le mele verdi… (…)
Sandra mantiene il suo ruolo senza esitazioni, si sente perfettamente legittimata a
sottolineare le distanze oggettive che la separano dai “piccoli di seconda”. Si trova ad
occupare un doppio ruolo: lei “elabora” le domande e le risposte. In modo complessivo
lei si carica di ritagliare il problema in sotto-prove che egli fa svolgere decomponendo
ancora una volta l’algoritmo della moltiplicazione. Gli allievi si trovano così ad occupare le posizioni conversazionali che lascia loro la “piccola insegnante” rispondendo alle
domande puntuali e tacendo se necessario; Sandra si carica, in questi casi, di occupare,
lei stessa, gli spazi vuoti.
5. Apprendere nel corso del gioco simbolico
Avendo sostenuto che non può essere trascurato il ruolo dell’adulto nella costruzione di nuove competenze da parte del bambino, confermato anche dalle ricerche sul
ruolo delle interazioni fra pari, in questo capitolo ci siamo impegnati nella dimostrazione che la natura delle competenze che manifesta il bambino (che si tratti di una
situazione di test o di un lavoro di tipo scolastico) dipende strettamente:
a) dalla posizione che ciascun partner implicato nell’interazione (l’adulto e il/i bambino/i) occupa nella situazione di interazione e questa posizione dipende dal ruolo
reale e supposto e dallo status degli attori in compresenza;
b) dalla natura dell’oggetto a proposito del quale i partner interagiscono. A questo
proposito l’oggetto ci è apparso tanto come una costruzione culturale e sociale
che preesiste all’incotro fra attori sia come risultato dell’interazione fra gli attori.
I diversi esempi che noi abbiamo riportato ci hanno permesso di illustrare la costruzione di intersoggettività fra adulto e bambino; essi giungono a condividere gli
stessi presupposti impliciti circa l’oggetto in gioco e la situazione nella quale essi
interagiscono (Rommetveit 1976 e 1979, Hundeide 1988, Grossen 1988);
222
L’adulto, il compagno e il compito: nuove direzioni di ricerca
c) dal contesto generale nel quale gli attori interagiscono o altrimenti detto luogo
(fisico e simbolico). Abbiamo potuto dimostrare quanto il contesto istituzionale
sia suscettibile di modificare, agli occhi dei bambini, la natura dell’oggetto trattato, dello scopo stesso della prova proposta dall’adulto.
Da ciò ne deriva che la manifestazione di ogni tipo di competenza deriva non solo
dagli strumenti generali e specifici del pensiero di cui dispone l’individuo ma anche
dalla negoziazione degli status e delle identità sociali che i “soggetti” attivano in relazione al contesto simbolico nel quale essi credono di trovarsi e del potere che tali status
conferiscono loro nella gestione della conversazione (Perret-Clermont, Schubauer-Leoni e Trognon 1992).
Tali considerazioni aprono delle nuove prospettive di ricerca che toccano non solo
lo sviluppo di certe competenze, ma più in generale, la loro acquisizione nel seno delle
relazioni sociali e culturali date. In effetti i bambini, e in particolare gli allievi, si trovano a dover gestire, generalmente, delle prove assegnate dall’adulto in contesti istituzionali o sociali precisi. Numerose questioni sorgono a questo punto: in che cosa la modalità stessa secondo la quale un nuovo sapere (o una nuova competenza) viene acquisita
può modificare il rapporto del bambini con quest’oggetto? In altre parole, come le modalità di apprendimento e le loro possibilità di successo sono influenzate dal tipo di interazione nella quale i partner si trovano ad essere coinvolti, gli status dei partner compresenti (compresi quelli dei bambini fra di loro), il livello di competenza dei bambini
in interazione? In che cosa la maniera stessa con la quale i bambini raggiungono un certo livello di competenza rispetto ad un certo oggetto influenza la qualità delle interazioni e i benefici che essi ne possono trarre? Tali sono le domande dalle quali muovono
i nostri lavori attuali e ai quali ci permettiamo di rinviare il lettore… paziente (Nicolet
1994 e, Grossen, Iannaccone, Liegme Bessire e Perret-Clermont, 1994).
Note
1
Questo capitolo riprende ampiamente un testo apparso precedentemente nei Cahiers de Psychologie dell’Université de Neuchâtel, n. 29, aprile 1991, pp. 17-39 e una ulteriore versione dello stesso testo apparsa
nell’opera “Social representations and the social bases of knowledge” curata da M.von Cranach, W.Doise e
G.Mugny per i tipi di Hogrefe e Huber Publisher, Seattle, Toronto Bern Göttingen, 1992, pp. 69-77 che
noi ringraziamo per l’autorizzazione alla riproduzione.
Ringraziamo il Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica (contratto n. 1.372.086) per il sostegno
a questi lavori.
2
Utilizziamo qui il termine “discorso” e può sembrare troppo restrittivo. È chiaro che non si tratta di ridurre
tutta l’attività cognitiva a una forma di discorso ma è evidentemente che le diverse razionalizzazioni all’opera
nelle interazioni che noi studiamo sono prese in una rete di scambi discorsivi e che, nelle ricerche e nelle
classi alle quali noi ci riferiamo, le attività cognitive sono soventemente sollecitate o rivelate attraverso procedimenti discorsivi.
3
I dati sono stati raccolti nel Canton Ticino da Romana Poncioni che desideriamo qui ringraziare. La “scuola
materna” del Ticino ha una vocazione più marcatamente ludica rispetto alle altre regioni svizzere nelle quali
il prescolare è inizia molro precocemente i bambini ai giochi scolarizzati che comportano come è noto degli
esercizi di “pre-calcolo”. È possibile che i risultati eventualmente raccolti in altre regioni sarebbero differenti.
4
Test di Jonkheere a una coda (Leach, 1979).
5
Ci si riferisce naturalmente al sistema scolastico svizzero (ndt).
223
Bibliografia
AEBLI H. “Egocentrism” (Piaget) not a phase of mental development but a “substitude solution” for an insoluble task - Report delivered at the XVIIIth International Congress of Psychology, Moscow, 1966.
ALLEN, V. L., FELDMAN R. S. Learning through tutoring: low-achieving children as
tutors. The Journal of Experimental Education, 1973, 42, 1 - 5.
BANDURA, A. Theories of modeling. New-York, Atherton Press, 1971 (b).
BANDURA, A. & McDONALD, F. J. Influence of social reinforcement and the behavior of mode in shaping children’s moral jugments. Journal of abnormal and social Psychology, 1963, 67, 274 - 281.
BELL, N. & PERRET-CLERMONT, A.-N. The Socio-psychological impact of school
failure. International Review of Applied Psychology, 1985, 34, 149-160.
BERNSTEIN, B. A critique of the concept of compensatory education, In: Class, Codes
and Control. St. Albans, Herts, Paladin, 1973 vol. I, p. 214 -226.
BERNSTEIN, B. Social Structure, Language and learning. Educational Research, 163
- 176, 1961.
BERNSTEIN, B. Class, Code and Control (Vol. 1 et 2). London: Routledge & Kegan
Paul, 1973.
BORKE H. Piaget’s mountain revisited: changes in the egocentric landscape. Developmental Psychology, 1975, II, (2), 240 243.
BOTVIN G. J., MURRAY F. B. The efficacy of peer modeling and social conflict in
the acquisition of conservation. Child Development, 1975, 46 (3), 796 - 799.
BOVET M. Etudes suisses interculturelles du développement intellectuel. Revue de
Psychologie 1968, 27, 189 - 199.
BOVET M., OTHENIN-GIRARD C. Etude piagétienne de quelques notions spatiotemporelles dans un milieu africain. International Journal of Psychology. 10
BOVET, M., PARRAT-DAYAN, S., & DESHUSSES-ADDOR, D. Peut-on parler de
précocité et de régression dans la conservation? I. Précocité. Archives de Psychologie, 1981, 49, 191, 289-303.
BRUNER J.S., OLIVER R.R., GREENFIELD P. M., et al. Studies in cognitive growth.
New-York, J. Wiley, 1966.
C.R.E.S.A.S. Pourquoi les échecs scolaires dans les premières années de la scolarité?
Recherche sur les roles respectifs des caractéristiques individuelles des enfants, de
leur origine sociale et de l’institution scolaire. Recherches Pédagogiques no 68, INRDP, Paris, 1974.
CAMPBELL D. T. Assessing the impact of planned social change. In G. M. LYONS
225
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
(ed.). Social research and public policies. (The Darmouth OECD Conference), The
Public Affairs Center, University Press of New England, Hanover, New-Hampshire, 1975.
CAMPBELL D.T., BORUCH R.F. Making the case for randomized assignement to
treatments by considering the alternatives: six ways in which quasi-experimental evaluation in compensatory education tend to underestimate effects. In: C.A.
BENNET and A. A. LUMSDAINE (eds) Evaluation and experiment. Academic
Press, 1975.
CAMPBELL D.T., ERLEBACHER A. E. How regression artefacts in quasi-experimental evaluation can mistakenly make compensatory education look harmful.
In: J. HELLMUTH (ed.) Compensatory education: a national debate. (Vol. 3 - Disadvantaged child). New-York, Brunner Mazel, 1970.
CARUGATI, F., DE PAOLIS, P. & MUGNY, G. Conflit de centrations et progres
cognitifs. III: régulations cognitives et relationnelles du conflit socio-cognitif. Bulletin de psychologie, 1981, tome XXXIV, 352, 843-852.
CECCHINI M., PIPERNO F. Livello di aspirazione, età e classe sociale. I.P./ C.N.R.
Rapporto tecnico. Arch. di Psicol. Neurol. Psich., 1974
CECCHINI M., TONUCCI F. Méthode pédagogique et développement du langage quelques problèmes. Instituto di Psicologia, C.N.R., Roma, aprile 1974.
CECCHINI M., TONUCCI F., PINTO M.A., DUBS E. Teacher training, pedagogical method and intellectual development. Instituto di Psicologia, C.N.R., Roma,
1972.
CHAPLIN M. V., KELLER M. R. Decentering and social interaction. The Journal of
Genetic Psychology, 1974, 124, 269 - 275.
CIUTAT MONTSERRAT A., UDINA ABELLO M. Funcion de la escuela en la enesis de la nocion de candidades continuas. Annuario de psicologia, Departemento de
Psicologia, Universidad de Barcelona, 1974, 10, 119 - 133.
COLEMAN J. S., et al. Equality of educational opportunity. Washington, D. C., US
Goverment Printing Office, 1966.
COLL SALVADOR C., COLL VENTURA C., MIRAS MESTRES M., Genesis de la
clasificacion y medio socioeconomico. Genesis de la seriacion y medios socioeconomicos. Annuario de psicologia, Departemento di psicologia, Universitad de Barcelona, 1974, 10, 53 - 99.
Conférence des ministres de l’éducation des Etats d’Europe, membres de l’Unesco sur
l’accès à l’enseignement supérieur. Accès à l’enseignement supérieur en Europe.
Etudes et documents comparatifs. Rapport de la conférence Vienne, 20 - 25 novembre 1967.
COOK H., MURRAY F. B. The acquisition of conservation through the observation
of conserving models. Rapporto di ricerca, 1975.
COWAN P.A., LANGER J., HEAVENRICH J., NATHANSON M. Social learning
and Piaget’s cognitive theory of moral development. Journal of Personality and social Psychology, 1969, 11 (3), 261 - 274.
COX M. V. The other observer in a perspective task. British Journal of educational Psychology, 1975, 45 (1), 83 - 85.
DAMI C. Stratégies cognitives dans les jeux compétitifs à deux. Thèse de doctorat.
226
Bibliografia
Rapporto di ricerca, Genève, 1975.
DE PAOLIS, P. & GIROTTO, V. Asymétries sociales et relations spatiales: expériences de marquage social. In: A.-N. PERRET-CLERMONT, M. NICOLET (Eds).
Interagir et connaitre (1988).
DE VRIES R., KAMII C. Why group games ? A Piagetian perspective. Rapporto di
ricerca, 1974.
DEPARTMENT OF EDUCATION AND SCIENCE: CENTRAL ADVISORY
COUNCIL FOR EDUCATION (ENGLAND). Children and their primary
schools (Plowden Report). London, HM Stationery Office, 1967.
DESCHAMPS J. C., DOISE W., MEYER G., SINCLAIR A. Le sociocentrisme selon
Piaget et la différenciation catégorielle. Archives de Psychologie, 1976, 44 (171), 31
- 43.
DESCHAMPS J.C., DOISE W. Attribution intersexes dans des conditions de catégorisation simple et de catégorisations croisées. Rapporto di ricerca, Faculté de psychologie et des Sciences de l’Education, Genève, 1974.
DINELLO, R. & PERRET-CLERMONT, A.-N. (Eds). Psychopédagogie interculturelle.
Delval, Cousset-Fribourg, 1987.
DOCKRELL, J., CAMPBELL, R. & NEILSON, I. Conservation accidents revisited.
International Journal of Behavioural Development, 1980, 3 , 423-439.
DOISE W. Interaction sociale et développement cognitif. Version francaise d’un chapitre in: Die Psychologie des 20. Jahrhunderts. Zurich, Kindler Verlag, 1976 (b).
DOISE W. L’articulation psychosociologique et les relations entre groupes. Bruxelles, De
Boeck, 1976 a.
DOISE W. La structuration cognitive des décisions individuelles et collectives d’adultes
et d’enfants. Revue de Psychologie et des Sciences de l’Education, 1973, 8, 133 146.
DOISE W., MEYER G., PERRET-CLERMONT A.N. Etude psycho-sociologique
des représentations d’élèves en fin de scolarité obligatoire. Cahiers de la Section des
Sciences de l’Education, 1976, 2, (Enseignement et vie sociale), 15 - 27.
DOISE W., MUGNY G. Recherches socio-génétiques sur la coordination d’actions interdépendantes. Revue Suisse de Psychologie, 1975, 34 160 - 174.
DOISE W., MUGNY G., PERRET-CLERMONT A.N. Ricerce preliminari sulla sociogenesi delle strutture cognitive. Lavoro educativo, 1974 1 (1)
DOISE W., MUGNY G., PERRET-CLERMONT A.N. Social interaction and the
development of congitive operat ons. European Journal of social Psychology, 1975,
5 (3),
DOISE, W. & MUGNY, G. Le développement social de l’intelligence. Paris: Interéditions, 1981.
DOISE, W. Levels of explanations in the European Journal of Social Psychology. European Journal of Social Psychology, 1980, 10, 213-231.
DOISE, W., MEYER, G. & PERRET-CLERMONT, A.-N. Etude psychosociologique
des représentations d’éleves en fin de scolarité obligatoire. Cahiers de la section des
sciences de l’éducation. Université de Geneve, 1976, n° 2.
DOISE, W., RIJSMAN, J. et al. Sociale markering en cognitieve ontwikkeling. Pedagogische Studien, 1981, 58, 241-248.
227
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
DONALDSON, M. Children’s Minds. Glasgow: Fontana & Collins, 1978.
DOUGLAS J.W.B. The home and the school, London, Mc Gibbon & Kee, 1964.
EELLS K., DAVIS A., HAVIGHURST R.J., et al. Intelligence and cultural differences.
University of Chicago Press, 1951.
EISER C. Recognition and inference in coordination of perspectives. British Journal of
educational Psychology, 1974, 44, 309.
FERREIRO E. Les relations temporelles dans le langage de l’enfant. Librairie Droz,
Genève, 1971.
FINNEY D.J., LATSCHA R., BENNETT B. M., HSU P. Tables for testing significance
in a 2x2 continency table. Cambridge : CUP, 1963.
FLAVELL J. H. Role-taking and communication skills in children. In: W. HARTUP
N. SMORTHERGILL (eds). The young child. Washington D.C., National Association for the Education of young children, 1967.
FLAVELL J.H., BOTKIN P.T., FRY C.L., WRIGHT J.W., JARVIS P.E. The development of role-taking and communication skills in children. New-York, John Wiley
Sons, 1968.
GARTNER A., KOHLER M.C., RIESSMAN F. Children teach children: Learning by
teaching. New York : Harper and Row, 1971.
GARVEY C. Some properties of social play. Merill Palmer Quarterly of Behavior and
Development, 1974, 20 (3).
GARVEY C., HOGAN R. Social speech and social interaction. Child Development,
1973, 44, 528
GILLY, M. & ROUX, J.-P. Efficacité comparée du travail individuel et du travail en
interaction socio-cognitive dans l’appropriation et la mise en oeuvre de regles de
résolution chez des enfants de 11-12 ans. Cahiers de Psychologie Cognitive, 1984,
4, 2, 171-188.
GLASSCO J., MILGRAM N.A., YOUNISS J., Effects on intentionality of moral
jugment in children. Journal of Personality and social Psychology, 1970, 14, 360 365.
GOLDSCHMID M., BENTLER P.M. Dimensions and measurement of conservation. Child Development, 1968, 39, 787 - 802.
GOLDSCHMID M., BENTLER P.M. Manual : Concept assessment kit conservation. San Diego: Educational and Industrial Testing Service, 1968.
GONVERS J. P. Barrières sociales et sélection scolaire. Tesi di dottorato, Université de
Lausanne, 1974.
GRECO P. Quantité et qualité, nouvelles recherches sur la correspondance termeà-terme à la conservation des ensembles. In: P. Gréco et A. Morf. Structures
numériques et élémentaires, Etude d’épistémologie génétique, vol XIII, P.U.F., 1962,
p. 1 - 70.
GRECO P., PIAGET J. Apprentissage et connaissance. Etudes d’épistémologie génétique,
vol. VII, P.U.F., 1959.
GROSSEN, M. La construction sociale de l’intersujectivité entre adulte et enfant en
situation de test. Tesi di dottorato. Université de Neuchatel, Faculté des Lettres
(1988).
GROSSEN, M. Mise en scene de la situation de test: Les attentes réciproques de
228
Bibliografia
l’adulte et de l’enfant. In: R. DINELLO, A.-N. PERRET-CLERMONT (Eds).
Psychopédagogie interculturelle. Cousset: Editions Delval, 1987.
Grossen, M., Bell, N., Définition de la situation de test et élaboration d’une notion logique. In: A.N. Perret-Clermont & M. Nicolet (Eds), Interagir et connaitre,
Delval, Cousset (Fribourg), 1988, pp. 233-250.
GROSSEN, M. & NICOLET, M. Problèmes posés par l’étude des différences socioculturelles dans les épreuves opératoires de Piaget. In: A.N. Perret-Clermont & M.
Nicolet (Eds), Interagir et connaitre, Delval, Cousset (Fribourg), 1988, pp. 270298.
GURVITCH, G. (ed.). Traité de Sociologie, vol. II, Paris, P.U.F., 1958-60, p. 229254.
HAAN N., SMITH M., BLOCK J. Moral reasoning of young adults : political-social
behavior, family background, and personality correlates. Journal of Personality and
social Psychology, 1968, 10, 183 201.
HARAMEIN A. Perturbations scolaires. Delachaux et Niestlé, Neuchatel 1965.
HARGREAVES, D.-J., MOLLOY, C.-G. & PRATT, A.-R. Social Factors in Conservation. British Journal of Psychology, 1982, 73, 231-234.
HAROCHE, C. & PECHEUX, M. Facteurs socio-économiques et résolutions de
problèmes. Bulletin du C.E.R.P., 1972, 21, 101 - 117.
HAROCHE, C. & PECHEUX, M. Etude expérimentale de l’effet des représentations sur la résolution d’une épreuve logique a présentation variable. Bulletin du
C.E.R.P, 1971, XX, 2, 115-129.
HINDE, R., PERRET-CLERMONT, A.-N. & STEVENSON-HINDE, J. (Eds). Social relationships and cognitive development. Clarendon Press, Oxford, 1985.
HOLLOS, M. Logical operations and role-taking abilities in two cultures: Norway and
Hungary. Child Development, 1975, 46 (3), 638 - 649.
HOLLOS M., COWAN P.A. Social isolation and cognitive development: Logical operations and role-taking abilities in three social settings. Child Development, 1973,
44, 630 - 641.
HOY E.A. Predicting another’s visual perspective: A unitary skill? Developmental Psychology, 1974, 10, 462.
HOY E.A. The measurement of egocentrism in children’s communication. Developmental Psychology, 1975, 11 (3), 392.
HUNT J. Environment, development and scholastic achievement. In: M. DEUTSCH, I.
KATZ, A. R. JENSEN (eds). Social race and psychological development. New York,
Holt & Rinehart, 1968.
HUTMACHER W. Déviance et maladie: invitation a la collaboration interdisciplinaire. Revue suisse de sociologie, 1, 1976, 5 - 14.
HUTTENLOCHER J., PRESSON C. Mental rotation and the perspective problem.
Cognitive Psychology, 1973, 4, 277 - 299.
INHELDER B., SINCLAIR H., BOVET M. Apprentissage et structures de la connaissance P.U.F., 1974.
JENCKS C. Inequally, A reassessment of the effect of family and schooling in America. Basic Books, New York, London, 1972.
KAGAN J. Personality development. Harcourt Brace Jovanovich Inc., New York, 1971.
229
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
KAMII C. How to choose group games. In: R. DE VRIES, C. KAMII. Piaget for early education. Book 3: Group games. 1972.
KAMII C., DE VRIES R. La théorie de Piaget et l’éducation préscolaire. Rapporto di
ricerca, 1974.
KATZ I. P. WATSON (ed.). Psychology and race. Penguin Education, 1973, p. 256 266.
KOHLBERG L. Stage and sequence: the cognitive developmental approach to socialization. In : D. A. GOSLIN (ed.) Handbook of socialization. Theory and research.
Round McNally, Chicago, 1969, p. 347 - 480.
KUHN D. Mechanisms of change in the development of cognitive structures. Child
Development, 1972 43, 833 - 844.
LABORATORY OF COMPARATIVE HUMAN COGNITION. Cross-cultural psychology’s challenges to our ideas of children and development. American Psychology, 1979, 34, 827-833.
LABOV W. The logic of Non-Standard English. In: P. P. GIGLIOLI (ed.). Language
and social context. Penguin Education, 1972, (a), p. 179 - 215.
LABOV W. The study of language in its social context. In: P. P. GIGIOLI (ed.). Language and social context. Penguin Education, 1972 (b), p. 283 - 307.
LATOUR, B. & WOOLGAR, S. Laboratory life: the social construction of scientific
facts. Los Angeles: Sage, 1979.
LATOUR, B. Les microbes: Guerre et paix. Paris: Editions A.-M. Métailié, 1984.
LATSCHA R. Test of significance in a 2x2 contingency table: extension of Finney’s table. Biometrika, 1953, 40, 74 - 86.
LAUTREY J. Niveau socio-économique et structuration de l’environnement familial.
Psychologie Francaise, 1974, 19, (1 - 2).
LAUTREY, J. Classe sociale, milieu familial, intelligence. Paris: Presses Universitaires de
France, 1980.
LAUTREY, J. Classes sociales et développement cognitif. La Pensée, 1976, 190, 31-53.
LEACH, C. Introduction to statistics. A non parametric approach to the social sciences.
Chichester: John Wiley and Sons, 1979.
LEFEBVRE M., PINARD A. Apprentissage de la conservation des quantités par une
méthode de conflit cognitif. Revue canadienne des Sciences du Comportement, 1972,
4, 1 - 12.
LEFEBVRE M., PINARD A. Influence du niveau initial de sensibilité au conflit sur
l’apprentissage de la conservation des quantités par une méthode de conflit cognitif. Revue canadienne des Sciences du Comportement, 1974, 6, 398 - 413.
LEFEBVRE-PINARD M. Les expériences de Genève sur l’apprentissage: un dossier
peu convaincant (meme pour un piagétien). Canadian Psychological Review. Psychologie canadienne, 1976, 17 (2), 103 - 109
LIGHT, P. & PERRET-CLERMONT, A.-N. Social-construction of logical stru tures
or social construction of meaning? Dossiers de Psychologie, 1986, 27. Université de
Neuchatel.
LIGHT, P. Context, conservation and conversation. In: M. RICHARDS, P. LIGHT
(Eds). Children of Social Worlds. Development in a Social Context. Cambridge: Polity Press, 170-190, 1986.
230
Bibliografia
LIGHT, P., BUCKINGHAM, N. & ROBBINS, A. The conservation task as an interactional setting. British Journal of Educational Psychology, 1979, 49, 304-310.
LITTLE A., SMITH G. Stratégies de compensation. OCDE, 1971.
LORGE I., SOLOMON H. Two models of group behavior in the solution of Eurekatype problems. Psychometrika, 1955, 20, 139 - 148.
MAITLAND K.A., GOLDMAN J.R. Moral jíudgment as a function of peer group interaction. Journal of Personality and Psychology, 1974, 30, 699 - 704.
MARION A., DESJARDINS C., BREAUTE M. Conditions expérimentales et développement intellectuel de l’enfant de 5 - 6 ans dans le domaine numérique. In:
C.R. E.S.A.S. (ed.). Pourquoi les échecs dans les premières années de la scolarité ?
Recherches pédagogiques, no 68 INRDP, Paris, 1974.
MASANGKAY Z. S., McCLUSKE K.A., MCINTYRE C.W. VAUGHN B.E., FLAVELL J.H. Early development of inferences about visual others. Child Development, 1974, 45, 2, 357.
McDANIS D.L. Effects of peer-models vs adult-models and social reinforcement on
intentionality of children’s moral jugements. The Journal of Psychology, 1974, 87,
159 - 170.
McGARRIGLE, J. & DONALDSON, M. Conservation accidents. Cognition, 1974,
3, 341-350.
MILLER S.A. Contradiction, surprise and cognitive change: the effects of disconfirmation of belief on conservers and non-conservers. Journal of experimental Child
Psychology, 1973, 15,
MILLER, S.-A. On the generalisability of conservation: a comparison of different
kinds of transformation. British Journal of Psychology, 1982, 73, 221-230.
MOESSINGER P. Etude génétique d’échange. Cahiers de Psychologie. 1974, 17: 119
- 123.
MOHSENI, N. La comparaison des réactions aux épreuves d’intelligence en Iran et en
Europe. Tesi di dottorato. Université de Paris, 1966.
MOSCOVICI S., FAUCHEUX C. Social influence, conformity bias and the study of
active minorities. In: L. BERKOWITZ (ed.). Advances in experimental social Psychology, vol. 6, Academic Press, New York and London, 1972, p. 149 - 202.
MOSCOVICI S., PAICHELER G Travail, individu et groupe. In S. MOSCOVICI
(ed.). Introduction à la psychologie sociale, vol. II, Larousse 1973,
MOUNOUD P. Structuration de l’instrument chez l’enfant. Delachaux et Niestlé, Neuchatel, 1970.
MUGNY G., DOISE W., Socio-cognitive conflict and structuration of individual and
collective performance. European journal of psychology, 1978, 8, 2, 181-192.
MUGNY G., Gedeutung der Konsistenz bei der Beeinflussung durch eine ; konkordante
order diskordante, minderheitliche Kommunikation bei sozialen Beurteilungsobjekten. Zeitschrift fur Sozialpsychologie, 1975, 6 (4), 324 - 332.
MUGNY G., PERRET-CLERMONT A.N., DOISE W. Interpersonal coordinations
and sociological differences in cognitive development. In: G.M. STEPHENSON
et J. H DAVIS (Eds): Progress in Applied social Psychology, vol. 1, 1979.
MUGNY, G. & DOISE, W. Factores sociologicos y psicosociologicos del desarollo
cognitivo: nueva ilustracion experimental. Anuario de Psicologia, 1979, 21, 5-25.
231
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
MUGNY, G., DOISE W., PERRET-CLERMONT A.N. Conflit de centrations et
progrès cognitif. Bulletin de psychologie 1976, 29 (321, 4 - 7), 199 - 204.
MURRAY F. B. Acquisition of conservation through social interaction. Developmental
Psychology, 1972, 6, 1 - 6.
MURRAY, J.P. Social learning and cognitive development : modeling effects on children’s understanding of conservation. British Journal of Psychology, 1974, 65 (1),
151 - 160.
NICOLET M. & IANNACCONE A. Normes sociales et contexte relationnel dans
l’étude du marquage social. In: A.-N. PERRET-CLERMONT, M. NICOLET
(Eds). Interagir et connaitre, Cousset, Fribourg, Del Vol, 1988.
NICOLET M. Marquage social, caractéristiques de la situation et origine des sujets.
Rapport interne. Séminaire de Psychologie. Université de Neuchatel, 1984.
NICOLET M. Dynamiques relationnelles et processus cognitifs. Etude du marquage sociale chez des enfants de 5 à 9 ans. Delachaux & Niestlé, Lausanne, 1995.
NIELSEN R. Le développement de la sociabilité chez l’enfant. Delachaux & Niestlé,
Neuchatel, 1951.
NUTTIN J. M. Changement d’attitude et role playing. In: S. MOSCOVICI (ed.). Introduction à la psychologie sociale, vol. I, Larousse 1972, p. 13 - 58.
ORNE, M.-T. On the social psychology of the psychological experiment with particular reference to demand characteristics and their implications. American Psychologist, 1962, 17, 776-783.
PAICHELER G. Normes et changementS d’attitudes. De la modification des attitudes envers les femmes. Tesi di dottorato, Ecole Pratique des Hautes Etudes, Paris, 1974 (ronéO).
PARRAT-DAYAN, S. & BOVET, M. Peut-on parler de précocité ou de régression
dans la conservation? II. Archives de Psychologie, 1982, 50, 237-249.
PAZIENTI M., DUBS E., CECCHINI M. Influenza della classe sociale, dell’ambiente
sociale et del metodo pedagogico nell’acquisizione del linguaggio Scritto alla fine
della seconda elementare. Instituto di Psicologia, CNR Rome, Novembre 1972.
PELUFFO, N. Les notions de conservation et de causalité chez les enfants provenant
de différents milieux physiques et socio-culturels. Archives de Psychologie, 1962,
38, 275-291.
PERRENOUD P. Education compensatrice et reproduction des classes sociales. Esquisse d’une sociologie politique de la démocratisation de l’enseignement. Genève,
SRS, 1974.
PERRENOUD P. Stratification socio-culturelle et réussite scolaire. Les défaillances de
l’explication causale. Genève, Librairie Droz, 1970.
PERRET-CLERMONT A.N. Processos psicocociologicos e insucesso escolar. Analise
Psicologica, Lisbonne 1978, 2, 1, 69 - 81.
PERRET-CLERMONT A.N. Psychologie sociale experimentale, recherche pédagogique et pratique éducative. Cahiers de la section des Sciences de l’Education, Université de Genève, 1978, 6, 21 - 48.
PERRET-CLERMONT A.N., MUGNY G., DOISE W. Une approche psycho-sociologique du développement cognitif. Archives de Psychologie, 1976, 44 (171), 135
- 144.
232
Bibliografia
PERRET-CLERMONT, A.-N. & BELL, N. Learning Processus in Social and Instructional Interaction. In: E. DE CORTE et al., (Eds). Learning and Instruction. European Research in an International Context, vol. I, Lewen: Pergamon Press, 251257, 1987.
PERRET-CLERMONT, A.-N. & MUGNY, G. Effets sociologiques et processus didactiques. In: G. MUGNY (Eds). Psychologie sociale du développement cognitif.
Berne: Peter Lang, 251-261, 1985.
PERRET-CLERMONT, A.-N. & NICOLET, M. (Eds). Interagir et connaitre Cousset, Fribourg, Del Vol, 1988.
PERRET-CLERMONT, A.-N. & PERRET, J.-F. Contributions psycho-socio-pédagogiques. Cahiers de la Section des Sciences de l’Education. Université de Geneve,
1978, n° 6, 50.
PERRET-CLERMONT, A.-N. & PONTECORVO, C. (Eds). Social interactions and
transmission of knowledge. Dossiers de Psychologie, Université de Neuchatel n.37,
1989. Nuova edizione, l’Harmattan, 2001.
PERRET-CLERMONT, A.-N. & ROVERO, P. Processus psychologiques et «histoire
de vie». Travaux de l’Institut d’Ethnologie-de l’Université de Neuchatel, 1987,
113-129.
PERRET-CLERMONT, A.-N. & SCHUBAUEK-LEONI, M.-L. Conflict and cooperation as opportunities for learning. In: W.-P. ROBINSON (Eds). Communication in Development. London: Academic Press, 233-233, 1981.
PERRET-CLERMONT, A.-N. In: P. STRINGER (Eds). Confronting social issues. Academic Press, 97-122, 1982.
PERRET-CLERMONT, A.N. & NICOLET, M. (Eds), Interagir et connaitre, Delval,
Cousset (Fribourg), 1988a, pp. 41-54.
PIAGET J. Adaptation vitale et psychologie de l’intelligence. Selection organique et
phénocopie. Hermann, Paris, 1974 (a)
PIAGET J. Etudes sociologiques. Librairie Droz, Genève, 1965.
PIAGET J. Intellectual evolution from adolescence to adulthood. Human Development, 1972, 15, 1 - 12.
PIAGET J. L’équilibration des structures cognitives. Problème central du développement. Etudes d’Epistémologie génétique, vol. XXXIII, P.U.F., Paris, 1975.
PIAGET J. La psychologie de l’intelligence, Armand Calin, Paris, 1947/87.
PIAGET J. La psychologie, les relations interdisciplinaires et le système des sciences,
Bulletin de Psychologie, 1966, 242 - 254.
PIAGET J. Le jugement et le raisonnement chez l’enfant. Delachaux & Niestié, Neuchatel, 1924.
PIAGET J. Le jugement moral chez l’enfant, Paris, Presses Universitaire de France,
1932/73
PIAGET J. Le langage et la pensée chez l’enfant. Delachaux & Niestlé, Neuchatel et
Paris, 1923, 3e édition 1947.
PIAGET J. Postface. Archives de Psychologie, 1976, 44 (171), 223.
PIAGET J., INHELDER B. Le développement des quantités chez l’enfant, Delachaux
et Niestlé, Neuchatel et Paris, 1941.
PIAGET J. Psychologie et pédagogie, Denoel, 1969.
233
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
PIAGET J. Recherches sur la contradiction. Etudes d’Epistemologie génétique, vol. XXXII, P.U.F., Paris, 1974 (b).
PIAGET J., INHELDER B. La genèse des structures logiques élémentaires. Delachaux et
Niestlé, Neuchatel, 1959.
PIAGET J., INHELDER B. La psychologie de l’enfant. Paris, P.U.F., 1966.
PIAGET J., INHELDER B. La représentation de l’espace chez l’enfant. P.U.F., 1948.
PIAGET J., INHELDER B., SZEMINSKA A. La géométríe spontanée de l’enfant. Paris, P.U.F., 1948.
PIAGET J., SZEMINSKA A. La genèse du nombre. Delachaux et Niestlé, Neuchatel
& Paris, 1941.
PIAGET, J. Nécessité et signification des recherches comparatives en psychologie génétique. Journal International de Psychologie, 1966.
REST J., TURIEL E., KOHLBERG L. Level of moral development as a determinant
of preference and comprehension of moral judgments made by others. Journal of
Personality, 1969, 37, 225 - 252.
RIJSMAN, J.-B., ZOETEBIER, A.-J. & DOISE, W. Sociocognitief conflict en cognitieve ontwikkeling. Pedagogische Studien, 1980, 57, 123-133.
ROMMETVEIT, R. Language acquisition as increasing linguistic structuring of experience and symbolic behaviour control. In: J.-V. WERTSCH (Eds), Culture, Communication and Cognition: Vygotskian Perspectives. Cambridge: Cambridge University Press, 183-204, 1585.
ROMMETVEIT, R. The role of language in the creation and transmission ot social representations. In: R. FARR, S. MOSCOVICI (Eds). Social Representations.
Cambridge: Cambridge University Press, 1984.
ROSE S.A. Acquiescence and conservation. Child Development, 1973 44, 311 - 814
ROSE, S.-A. & LANK, M. The potency of context in children’s cognition: an illustration from conservation. Child Development, 1974, 5, 499-502.
ROSENTHAL T.L., ZIMMERMAN B.J. Modeling by examplification and interaction in training conservation. Developmental Psychology, 1972, 6, 392.
RUBIN K.H. The relationship between spatial and communicative egocentrism in
children and young and old adults. The Journal of genetic Psychology, 1974, 125,
295 - 301.
SAMUEL, J. & BRYANT, P. Asking only one question in the conservation experiment. Journal of Child Psychology and Psychiatry, 1984, 25, 315-318.
SCHUBAUER-LEONI, M.-L. & PERRET-CLERMONT A.-N. Interactions sociales dans l’apprentissage de connaissances mathématiques chez l’enfant. In: G.
MUGNY (Eds). Psycho]ogie sociale de l’apprentissage. Collection Exploration,
Ed. P. Lang, Berne, 1985.
SCHUBAUER-LEONI, M.-L. & PERRET-CLERMONT, A.-N. Interactions sociales et représentations symboliques dans le cadre de problèmes additifs. Recherches
en didactiques des mathématiques, 1980, 1, 3, 297-350.
SCHUBAUER-LEONI, M.-L., PERRET-CLERMONT, A.-N., GROSSEN, M.,
The construction of adult-child intersubjectivity in psychological research and in
school. In: M. VON CRANACH, W. DOISE, G. MUGNY (a cura di) Social Representation and the social bases of knowledge, Berne, Switzerland, Hans Huber Ver234
Bibliografia
lag, 1991.
SCHUBAUER-LEONI, M.-L. Maitres-éleves-savoir: analyse psychosociale du jeu et
des enjeux de la relation didactique. Tesi di dottorato, FAPSE, avril 1985.
SELMAN R. The relation of role-taking to the development of moral jugment in children. Child Development, 1971, 42, 79-91.
SERVICE DE LA RECHERCHE SOCIOLOGIQUE Annuaire statistique de
l’éducation. Genève, Département de l’Instruction Publique, 1974.
SICHES E., VIVES M. Funcion de la escuela en la genesis de la nocion de conservacion de cantitades discretas. Annuaria de Psicologia Departamento de Psicologia,
Universidad de Barcelona 1974, 10, 103 - 133.
SILVERMAN I.W., GEIRINGER E. Dyadic interaction and conservation induction :
a test of Piaget’s equilibration model. Child Development, 1973, 44,
SILVERMAN I.W., STONE J. Modifying cognitive functioning through participation in a problem-solving group. Journal of Educational Psychology, 1972, 63, 603
- 608.
SINCLAIR H. Langage et operations, Dunod, Paris, 1967.
SMEDSLUND J. Les origines sociales de la décentration. In: F. BRESSON, de
MONTMOLLIN (eds.). Psychologie et épistémologie génétiques. Thèmes piagétiens, Dunod, Paris, 1966, p. 159 - 167.
STERMLIEB J. L., YOUNISS J. Moral jugments one year after intentional or consequence modeling. Journal of Personality and social Psychology, 1975, 31 (5), 895 897.
STRACKAN, L. Distribution of I.Q. of 22’000 primary school children. Journal of
Educational Research, 1926.
TERMAN, L.M. The measurement of intelligence. London: George G. Harrap & Co
Ltd, 1916.
TORT M. Le quotient intellectuel. Cahiers Libres 266- 267, Maspero Paris, 1974.
TROGNON, A. Questionnaire et sédimentation des rapports sociaux: un exemple.
Bulletin de Psychologie, 1978, 31, 334, 413-420.
TROGNON, A. Un conflit déployé dans une conversation à trois. Psychologie et éducation, 1986, 10, 3-4, 75-92.
TURIEL E. An experimental test of the sequentiality of the developmental stages in
the child’s moral judgments. Journal of Personality and Social Psychology 1966, 3,
611 - 618.
TURIEL E. Developmental processes in the child’s moral thinking, In : MUSSEN
P.H., LANGER J., COVINGTON E.M. (eds.) New directions in developmental
psychology, Holt, Rinehart Winston, New York 1969.
TURNURE C. Cognitive development and role-taking ability in boys and girls from
7 to 12. Developmental Psychology, 1975, 2 (2), 202 - 209.
VARNAVA-SKOURAS E. Les apprentissages cognitifs chez des enfants de milieux défavorisés. Comparaison des effets d’un programme linguistique. Tesi di dottorato,
Université de Paris-Nanterre, 1973.
VIAL M., STAMBAK M., BURGVIERE E. Caractéristiques psychologiques individuelles, origine sociale et échecs scolaires. In : Pourquoi les échecs scolaires dans
les premières années de la scolarité ? Recherches pédagogiques n. 68, INRDP, Par235
La costruzione dell’intelligenza nell’interazione sociale
is, 1974.
VIAL, M. & STAMBAK, M. Le handicap intellectuel en question. In: CRESAS, Le
handicap socio-culturel en question. Paris: Editions Sociales Francaises, 1981.
VILLARONDA P., FERNANDEZ C., SERRA B. Funcion de la escuela en la genesis de la clasificacion : I. Cuantificacion de la inclusion. 2. Dicotomias. Annuario
de psicologia, Departamento de Psicologia, Universidad de Barcelona, 1974, 10,
137 - 151.
VINH-BANG La méthode clinique. In: F. BRESSON. M. de MONTMOLLIN (eds.).
Psychologie et épistémologie génétiques. Thèmes piagétiens, Dunod, Paris, 1966.
WAGHORN L., SULLIVAN E. The exploration of transition rules in conservation of
quantity (substance) using film mediated modeling. Acta Psychologica, 1970, 32,
65 - 80.
WERTSCH J.-V. The zone of proximal development: some conceptual issues. In: B.
ROGOFF, J.-V. WERTSCH (Eds). Children’s Learning in the Zone of Proximal Development. San-Fransisco: Jossey-Bass, 151-171, 1984.
WHITEMAL M., DEUTSCH M. Social disadvantages as gender development. In:
M. DEUTSCH, I. KATZ, A.R. JENSEN (eds.) Social class, race, and psychological development, Holt,
ZIMMERMAN B.J., LANARO P. Acquiring and retaining conservation of length
through modeling and reversibility cues. Merrill-Palmer Quarterly of Behavior and
Development, 1974, 20 (3), 145 - 161.
ZIMMERMAN B.J., ROSENTHAL T.L. Conceptual generalization and retention by
young children. Age, modeling and feedback effects. Journal of genetic Psychology,
1974, 125, 233.
ZIMMERMAN B.J., ROSENTHAL T.L. Observation, repetition and ethnic background in concept attainment and generalization. Child Development, 1972, 43,
605 - 613.
236
- LIBRI ed. Carlo Amore - FIRERA & LIUZZO GROUP Philip Graham (a cura di)
MANUALE DI TERAPIA COGNITIVO COMPORTAMENTALE
con i bambini e gli adolescenti
Hubert J. M. Hermans e Giancarlo Dimaggio (a cura di)
IL Sé DIALOGICO IN PSICOTERAPIA
Teoria, Ricerca e Applicazioni
- RIVISTE ed. Carlo Amore - FIRERA & LIUZZO GROUP RICERCA IN PSICOTERAPIA
Rivista scientifica semestrale
La rivista “Ricerca in Psicoterapia” è pubblicata da Edizioni Carlo Amore (Firera &
Liuzzo Group) ed è il periodico scientifico della sezione italiana della Society for
Psychotherapy Research. Ospita articoli di autori italiani e internazionali.
PSICOLOGIA SCOLASTICA
Rivista scientifica semestrale
La rivista “Psicologia Scolastica” è pubblicata da Edizioni Carlo Amore (Firera &
Liuzzo Group) ed ospita articoli su varie tematiche inerenti agli aspetti teorici ed applicativi della psicologia in ambito scolastico.
- SITI WEB - FIRERA & LIUZZO GROUP WWW.PSICOLOGI.TV
La televisione via web per l’aggiornamento degli psicologi
WWW.PSICOLOGIASCOLASTICA.IT
Il portale web italiano dedicato alla psicologia scolastica
WWW.FIRERALIUZZO.COM