Il Giallo - unitrepiombino

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Il Giallo - unitrepiombino
Perché il GIALLO?
Le ragioni di una scelta
Il “Giallo” è un genere letterario al quale, di solito, si dà pochissimo peso perché lo si considera
un genere di “seconda categoria”; in realtà, se analizziamo i meccanismi che lo regolano, i processi
di identificazione che suscita, gli stimoli che offre, vediamo che questo giudizio è affrettato e va
rivisto e ridimensionato.
In che cosa consiste quel particolare “gusto” che hanno i libri gialli? Quali sono gli elementi che
attraggono il lettore e lo stimolano a continuare nella lettura?
Il fascino della letteratura poliziesca consiste, principalmente, nell’investigazione: da questo
tipo di storie scaturisce un impulso allo studio di un problema, all’indagine, alla scoperta. In termini
psicologici, si potrebbe parlare di “condizione di Ulisse”, a proposito di questa spinta a ricercare la
verità o il meccanismo di un fatto criminoso. Il lettore, come il detective, percorre una strada
disseminata di tracce e di informazioni implicite, di segni a volte ambigui, che generano perplessità
sul loro reale significato, e spesso sono gli indizi più impensati che portano a conseguire un risultato.
A volte questa spinta alla ricerca e alla scoperta si accompagna al rigore logico e alla razionalità
che caratterizzano quello che viene definito il giallo del mistero, a volte si unisce all’elemento
dell’avventura che caratterizza il giallo d’azione.
Quindi è importante cogliere gli elementi-base del “giallo”, penetrare nei suoi meccanismi,
analizzarli, capirli e formarsi un’opinione su questo genere ormai così diffuso sia nel romanzo che
alla televisione o al cinema, anche se non dobbiamo dimenticare che si tratta pur sempre di un gioco,
di una piccola commedia intorno al tema della giustizia e dell’ingiustizia umana.
È evidente che anche il romanzo giallo deve rispondere, comunque, a tre requisiti essenziali:
avere
 un certo livello formale, cioè un minimo di dignità letteraria;
 un certo livello di credibilità
 un buon livello di contenuti, cioè la proposta di modelli comportamentali umanamente validi.
Infine, lo studio dei “gialli” mette in luce una struttura facile da riprodurre, che può costituire un
utile punto di riferimento per chi voglia imparare ad organizzare un racconto, orale o scritto che sia.
Infatti, le tecniche narrative del giallo si riassumono in una serie di abilità che aiutano a
costruire una trama ricca di suspence e di mistero e a far muovere personaggi caratteristici secondo
linee di azione collaudate.
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Punto di partenza: una situazione di mistero
Tutti i romanzi gialli prendono l’avvio da una situazione misteriosa, da un fatto
inspiegabile che stimola a cercare una soluzione.
Questa situazione iniziale è un intreccio di paura e ragionamento.
Paura nei confronti dell’elemento incomprensibile che crea una rottura rispetto alla
“routine” consueta, che mette in crisi le sicurezze, la fiducia in se stessi e negli altri e
nell’ordine che circonda i personaggi. Di qui lo stimolo al ragionamento, all’indagine, alla
ricerca di una soluzione, anche attraverso difficoltà e peripezie: dalla soluzione ci si aspetta
che il mistero sia svelato, l’ordine ricostituito e la vita riprenda il suo corso tranquillo.
Il mistero da cui il giallo prende avvio e intorno alla cui soluzione si impernia, ci affascina
perché costituisce per noi un esercizio stimolante di “problem solving”, una soluzione di un
problema che diventa una sfida per la nostra intelligenza. Così l’investigatore che cerca e
scruta nella sua ricerca della verità siamo noi che cerchiamo e scrutiamo, e qui sta il fascino
che il giallo esercita sui lettori. La stessa paura che nasce dalla situazione di mistero, l’ansia,
la trepidazione, l’indignazione, il timore confluiscono nella curiosità, nel desiderio di svelare
il volto di una realtà che si intuisce essere ben diversa da quello che abbiamo creduto in un
primo momento.
Il meccanismo è sempre lo stesso: un progredire verso il finale liberatorio (perché
chiarificatore del mistero) malgrado le insidie, i tranelli, i pericoli e, più genericamente, le
ignote minacce sempre in agguato
Articolazioni del genere “giallo” o poliziesco
Un giallo si articola sostanzialmente secondo questo modello:
1. Esistenza di rapporti umani ordinati regolati dalle leggi
2. Delitto che infrange l’ordine e crea una situazione di grave squilibrio (il delitto non è
necessariamente un omicidio, può essere anche un ricatto, un furto, un rapimento o
un altro reato grave)
3. Indagine e scoperta del colpevole
4. Riparazione del delitto e ricostituzione dell’ordine (con la pena stabilita dalla legge, o
con la morte del colpevole, o con la restituzione dell’oggetto rubato, la liberazione
della persona sequestrata o il pentimento del colpevole, ecc.)
Se il delitto è posto all’inizio e tutta la vicenda non è che un procedimento di indagine
per la scoperta del colpevole, si ha il giallo ad enigma.
Quando, invece, il crimine, compiuto o solo minacciato, è posto alla fine del caso e la
narrazione si sostiene sull’aspettativa o sul timore dell’evento, allora si ha il giallo a suspense.
Enigma e suspense di solito sono distinti; ma a volte convivono nella stessa vicenda: ad
esempio quando l’indagine che deve sciogliere l’enigma è accompagnata dalla suspense per
misteriose uccisioni che la complicano.
Quindi si possono distinguere, anche se non in maniera netta, più sottogeneri
accorpabili in tre grandi categorie:
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


Il Giallo ad enigma, legato al romanzo poliziesco di scuola anglosassone (A. Conan
Doyle, Agatha Christie, etc.). Il delitto è posto all’inizio e tutta la vicenda non è che un
procedimento di indagine per la scoperta del colpevole la cui identità, le sue
motivazioni e le circostanze dell'atto criminoso, vengono svelate solo alla fine.
L'accento è posto soprattutto sull'intreccio e sulla capacità d'intuizione e deduzione di
chi investiga.
Il Giallo-noir, legato al romanzo poliziesco di scuola statunitense (Raymond Chandler,
Dashiell Hammett, etc.), In questo caso, può anche esistere un enigma da svelare, ma
l'accento è posto sull'ambiente, quasi sempre moralmente corrotto e degradato, che
fa da sfondo alla vicenda, e sulle psicologie dei personaggi.
Il Giallo-suspence, privo di illustri riferimenti letterari e creazione prevalentemente
giornalistica e cinematografica. Il crimine, compiuto o solo minacciato, è posto alla fine
del caso e la narrazione si sostiene sull’aspettativa o sul timore dell’evento; tanto più
che viene svelata subito, o quasi, l'identità del colpevole, determinando un forte
sentimento di apprensione nello spettatore relativo a ciò che di criminoso egli può
ancora compiere o di incertezza relativo alla sua sorte finale (verrà assicurato alla
giustizia o la farà franca?).
Trasformazione del genere dalle origini ai nostri giorni
Il Positivismo
Nella seconda metà dell’ottocento, quando Il genere cosiddetto “giallo” nasce e si
afferma tra un pubblico sempre più vasto, la civiltà occidentale è profondamente influenzata
dal Positivismo, una corrente di pensiero che ritiene valido solo ciò che si fonda
sull’esperienza e sui fatti concreti.
Questa tendenza prende impulso dallo sviluppo della scienza e della tecnica che, nel
corso dell’Ottocento, progrediscono sempre più rapidamente e trasformano la vita degli
uomini.
Nella seconda metà del secolo, comincia ad avere larga diffusione la macchina a vapore,
applicata ai trasporti marittimi e su rotaie; la scoperta dell’elettricità viene sfruttata con le
invenzioni del telegrafo, del telefono, del motore elettrico, della lampadina; alla macchina a
vapore si affiancano i motori più leggeri diesel e a benzina.
Contemporaneamente si perfezionano invenzioni antiche come le macchine per la
stampa che consentono una diffusione sempre più vasta di giornali e libri.
Tutto questo favorisce una mobilità straordinaria delle persone, delle idee, delle merci
e, insieme, mette a disposizione comodità prima sconosciute che, via via, possono essere
raggiunte da masse sempre più vaste.
Modi di vita e tradizioni che si erano rinnovati con estrema lentezza nel corso di millenni
ora scompaiono in breve tempo.
A ogni aspetto della società si tende ad applicare i principi della scienza e della tecnica,
che si fondano su elementi concreti e positivi come l’osservazione e l’esperimento: da qui
deriva il nome di POSITIVISMO.
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Perché il termine “Giallo”?
Il termine "giallo" per indicare il romanzo poliziesco si usa solamente nella lingua italiana
e deriva dal colore delle copertine di una collana di romanzi polizieschi , “I Libri Gialli”, ideata
da Lorenzo Montano e pubblicata in Italia dalla casa editrice Mondadori a partire dal 1929.
Oggi, la parola “giallo” viene usata non solo per indicare il genere di romanzo ma spesso,
nel linguaggio giornalistico, anche per riferirsi a fatti di cronaca delittuosi o comunque
misteriosi.
Nelle altre nazioni i romanzi che appartengono a questo genere sono indicati con i
termini: “Roman policier” in Francia, “Mistery Story” o “Detective Story” in Gran Bretagna,
“Kriminalroman” in Germania, ecc.
Le origini del giallo
Benché esistano in letteratura numerosi esempi di storie in cui sono presenti elementi
assimilabili al giallo (si veda, ad esempio, il romanzo Delitto e Castigo di F. Dostoevskij),
tradizionalmente la data di nascita del genere viene fatta coincidere con la pubblicazione, nel
1841, de I delitti della Rue Morgue di Edgar Allan Poe,
(Boston 1809 – Baltimora 1849)
racconto capostipite del genere poliziesco (profondamente impregnato di mentalità
positivistica) in cui compare il personaggio di Auguste Dupin, un investigatore criminologo
con una spiccata capacità di analizzare scientificamente i fatti, dotato di lampi di genio e
acutezza intuitiva, che, tra tante soluzioni, gli consentono di trovare l’unica esatta. Il
personaggio Dupin diventa un modello al quale si ispireranno quasi tutti i più importanti
autori degli anni successivi: il più celebre sarà Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle,
protagonista del romanzo Uno studio in rosso del 1887.
Poeta, narratore e critico, E.A. Poe, rimase orfano all'età di due anni di entrambi i
genitori, attori di una compagnia teatrale, e fu adottato da John Allan, un mercante di tabacco
di Richmond, in Virginia, e da sua moglie Francis. Dopo un lungo soggiorno (1815-20) in
Inghilterra e in Scozia, proseguì gli studî a Richmond, compose le prime poesie, e frequentò
per un anno l'Università.
In seguito agli screzî col padre adottivo si recò a Boston, dove, si arruolò nell'esercito,
pubblicò la prima raccolta di poesie,”Tamerlane and other poems” (1827). Due anni dopo si
trasferì a Baltimora, presso la zia paterna (madre di Virginia Clemm che Poe sposerà, appena
quattordicenne, nel 1836). Qui pubblicò il lungo poema “Al Aaraaf” ed entrò nell'Accademia
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militare di West Point, da cui fu espulso dopo pochi mesi per insubordinazione. Rotti
definitivamente i rapporti con J. Allan, pubblicò i suoi primi racconti e, nel 1835, fu assunto
come giornalista al Southern literary messenger, attività destinata a rimanere la sua maggiore
fonte di sostentamento. Nel 1838 pubblicò il suo unico romanzo, “The narrative of Arthur
Gordon Pym”, fantastica ricostruzione di un avventuroso viaggio al polo Sud, mentre
apparivano su riviste alcuni dei suoi più famosi racconti, da Ligeia (1838) a The fall of the
house of Usher (1839). Intanto cresceva la sua fama di critico e scrittore grazie a penetranti
saggi su autori quali Dickens, Longfellow, Cooper e Hawthorne, e a racconti divenuti poi
famosissimi, tra cui The murders of the rue Morgue (1841), The masque of the red death e
The pit and the pendulum (1842), e The purloined letter (1844). L'anno successivo la sua
produzione si arricchì di una seconda raccolta di racconti e del celeberrimo brano di poesia
The raven, cui farà seguito il suo saggio critico più famoso, The philosophy of composition
(1846). Dopo la morte della moglie (1847) il suo stato di salute peggiorò rapidamente e se
questo non gli impedì di completare Eureka (1848), summa del suo pensiero filosofico,
tuttavia lo condusse ad una morte precoce, durante un giro di conferenze, nel 1849.
Più complesso e indiretto è invece il rapporto che lega all’età del Positivismo e delle
macchine l’altro grande maestro della letteratura gialla, Wilkie Collins
Nuove invenzioni nel settore della stampa hanno reso possibile la produzione di
quotidiani e periodici a prezzi accessibili per gruppi sempre più vasti di persone. A questo
pubblico interessano particolarmente fatti di cronaca nera che i giornalisti forniscono con
toni sensazionali e abbondanza di dettagli.
Così, per soddisfare le esigenze dei propri lettori, qualche editore ha l’idea di pubblicare
fatti immaginari narrati con la tecnica della cronaca nera; successivamente ci si accorge che
l’accoglienza è ancora più calorosa se le vicende sono narrate in più numeri successivi, a
puntate. Nascono così racconti polizieschi non più di enigma ma di suspense, necessaria per
mantenere costantemente tesi l’interesse e l’aspettativa del pubblico che, ad ogni nuovo
numero del giornale o della rivista, attende sempre più
ansioso lo sviluppo delle indagini: Wilkie Collins è il primo
tra i più famosi autori di queste storie (“La donna in
bianco”, “La pietra di luna”).
W. Collins fu una mente versatile, studiò legge ma
l’incontro nel 1851 con Charles Dickens lo convinse a
dedicarsi completamente alla carriera letteraria. Con
Dickens ebbe un interessante scambio di lettere e
collaborò alla sua rivista “Household Words” e a “All the
Year Round” con “The Woman in White” (1860), il romanzo
che lo rese famoso.
Anche i suoi scritti successivi furono pubblicati a
Wilkie Collins (Londra 1824 – 1889) puntate e, del romanziere d'appendice, egli ebbe il
metodo e le qualità. Concepiva il romanzo come un
dramma, concentrava tutto l'interesse nell'intreccio sensazionale destinato a tenere in
sospeso il lettore con misteriose complicazioni; studiava accuratamente i caratteri, alcuni dei
quali, furono tratteggiati con eccellenti doti umoristiche; la sua narrazione era ancorata alla
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realtà quotidiana ed appariva sempre verosimile. Utilizzava un metodo documentario: si
serviva di diari immaginari, pro-memoria, lettere dei suoi personaggi, per spiegare una
situazione, e, per presentava il carattere dei suoi personaggi per mezzo delle impressioni di
altri un metodo indiretto.
Il romanzo si concentrava sulla ricerca della soluzione di un mistero, di solito un delitto;
per questo, Collins rappresenta la fase intermedia tra il romanzo sensazionale dei primi
romanzieri d'appendice e l'odierno romanzo poliziesco: The Moonstone (La pietra di Luna)
(1868) è già un romanzo poliziesco nel senso moderno.
I primi gialli italiani
Il primo esempio di romanzo italiano che presenta molte caratteristiche del poliziesco è
Il mio cadavere, pubblicato nel 1852, del napoletano Francesco Mastriani (il suo romanzo
più famoso è “La cieca di Sorrento”). Nel romanzo appare la figura del dottor Weiss, un
medico investigatore che anticipa di trentacinque anni il dottor Watson, l’aiutante di Sherlock
Holmes. Quasi contemporanea all'esordio di Sherlock Holmes (1887) è la pubblicazione
(1888) de Il cappello del prete, romanzo giallo scritto da Emilio De Marchi e ambientato a
Napoli.
Poe e Collins vengono indicati come primi “maestri del giallo”, non perché avessero
coscienza di dare vita ad un nuovo genere narrativo, ma perché a loro si ispirarono, in seguito,
i maggiori autori di letteratura poliziesca.
Dopo di loro, operarono alcuni scrittori che prepararono la grande “esplosione” del
genere nel secolo successivo: l’uno, Arthur Conan Doyle, perché, con le sue narrazioni,
stabilisce le regole del giallo d’enigma; gli altri perché ne contestano la rigidità e la ripetitività
e aprono la strada a successivi ampliamenti e a nuovi percorsi.
A.C. Doyle, il creatore di Sherlock Holmes e della
sua “spalla”, il dottor Watson, scrisse il suo primo
romanzo poliziesco, “Uno studio in rosso”, nel 1887,
ma acquistò grande popolarità solo con la
pubblicazione delle celebri Avventure di Sherlock
Holmes, che uscirono per la prima volta a puntate sullo
Strand Magazine nel 1891. Grande ammiratore di Poe
Arthur Conan Doyle
e del suo investigatore, Dupin, Conan Doyle porta a
(Edimburgo 1859 – Crowborough 1930) perfezione i procedimenti scientifici del giallo
d’enigma.
Il personaggio di Sherlock Holmes diventa, fin dagli esordi, un modello destinato ad
esercitare un'influenza decisiva su tutta la futura letteratura gialla: per molti decenni, almeno
fino agli anni trenta del novecento, i più famosi investigatori usciti dalla penna di autori
americani ed europei possono essere tutti considerati discendenti diretti del "modello
Holmes”.
Ma Sherlock Holmes, eroe della scienza investigativa e della logica, è una macchina per
le indagini che finisce per stancare il suo stesso creatore: nel 1893 Conan Doyle lo fa morire
in un precipizio fra le montagne della Svizzera. Ma il pubblico si ribella e, a furor di popolo,
Doyle è costretto a riportarlo in vita per avventure sempre più monotone e noiose.
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Però, mentre la gran massa dei lettori di avventure poliziesche non mostra intolleranza
per la meccanica ripetitiva del giallo d’enigma, le persone più colte cominciano a mostrare
insofferenza e rifiuto. In questo filone si inseriscono i racconti di due scrittori: Antòn Cechov
e Gilbert Keith Chesterton.
Cechov, con la novella “Il fiammifero svedese”, scrive insieme un giallo e la parodia del
giallo d’enigma. Un uomo scompare e tracce inquietanti come tracce di sangue e uno stivale
della vittima abbandonato in giardino, insieme con altri indizi, convincono gli inquirenti ad
accusare due persone; finché un fiammifero svedese non indirizza gli investigatori verso la
casa del commissario di polizia, dove la presunta vittima sta ronfando completamente
ubriaco. Inoltre, Cechov espone con il racconto “Un fatto accaduto” la sua proposta per un
nuovo tipo di romanzo poliziesco, secondo il modello del giallo di suspense di Wilkie Collins.
Scrittore, giornalista e aforista, Chesterton, inventa il
celebre sacerdote-detective padre Brown, modellato su
quello di padre O'Connor, un sacerdote che ebbe grande
parte nella sua conversione al cattolicesimo, nel 1922.
Autore molto prolifico (scrisse romanzi che spaziano
dall’umorismo al paradosso), è uno dei maggiori
rappresentanti cattolici della letteratura inglese del XX
secolo. Fu anche un critico letterario attento e equilibrato.
Gilbert Keith Chesterton
Scrisse saggi su Stevenson (1902), Browning (1903), Dickens
(Londra 1874 - Beaconsfield 1936)
(1906), e due studi “L’età vittoriana in letteratura” (1913) e
“Breve storia dell’Inghilterra” (1917).
Padre Brown è un pretino sempliciotto e sprovveduto dotato però di capacità logiche
non inferiori a quelle di Sherlock Holmes; in più possiede una profonda conoscenza
dell’animo umano e dei suoi misteri ed è capace di immedesimarsi col criminale ("Io sono
dentro un uomo. [...] aspetto di essere dentro un assassino [...] finché penso i suoi stessi
pensieri, e lotto con le sue stesse passioni, [...] finché vedo il mondo con i suoi stessi biechi
occhi [...]. Finché anch'io divento veramente un assassino."). È anche un uomo buono,
consapevole che ogni uomo contiene in sé sia il bene che il male ("Io non ho proprio ucciso
quegli uomini materialmente. Intendo dire che ho pensato e ripensato come un uomo possa
diventare così, finché non mi resi conto che ero simile a lui, in tutto, eccetto che nella volontà
di compiere l'azione finale"). Ma, soprattutto, questo originale investigatore è un amante
della verità, un acuto osservatore della realtà, e non ha timore a guardare il male negli occhi
perché è sicuro che il bene sia sempre più grande del male e che l’uomo, se vuole, sia sempre
in grado di affrontarlo e sconfiggerlo.
Con Chesterton, dunque, le figure del delinquente e dell’investigatore si umanizzano e
insieme diventano simbolo di peccato e di redenzione.
Cechov e Chesterton gettano i semi per la trasformazione del giallo ma sono
assolutamente ininfluenti: la gran massa dei lettori continua a preferire le infinite variazioni
sugli schemi di Poe e di Conan Doyle che giallisti bravi o meno bravi continuavano a imitare
con poche innovazioni.
Intanto, con l’inizio del nuovo secolo, entra in crisi la cultura del Positivismo e, mentre
crescono le tensioni politiche, economiche e sociali che poi causeranno le tragedie della
prima e della seconda guerra mondiale, viene meno la cieca e ingenua fiducia nel progresso
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della scienza e si rivela illusoria la speranza di un periodo di benessere, giustizia e tranquillità,
garantita, come in una ideale “età dell’oro”, dallo sviluppo tecnologico.
Contemporaneamente, anche i lettori cominciano ad avere esigenze diverse
pretendendo sia la continuità che il rinnovamento del romanzo giallo nel suo meccanismo
stantio e ripetitivo.
Il problema sembra di difficile soluzione ma alcuni autori geniali riescono a trovare una
risposta ad entrambi i bisogni del pubblico.
Il primo è Edgar Wallace,
Cominciò a lavorare giovanissimo; a
diciott’anni si arruolò nell’esercito; nel 1899 fu
congedato. Fu corrispondente di guerra per diversi
giornali nella campagna contro i Boeri,
corrispondente del Daily Mail dall'Africa del Sud,
lavorò in seguito all'Evening News. Ottenne il suo
primo successo come scrittore con “I quattro
giusti”, nel 1905. Da allora scrisse, in ventisette
anni, circa 150 opere narrative e teatrali di
successo, rimanendo sempre squattrinato e pieno
di debiti. Tra i suoi romanzi più noti: “Il mistero
Edgar Wallace
della candela ritorta” (1918), “Il cerchio rosso”
(Greenwich, Londra 1875 – Hollywood 1932)
(1922), “L’arciere fantasma” (1923), “Il pugnale di
vetro”(1925), e la sceneggiatura del celeberrimo King Kong. È stato definito “il re del giallo”.
Questo autore modifica profondamente il modello di Conan Doyle inserendo tra la
preparazione del crimine e la punizione del colpevole avventure complicate e vicende
commoventi e operando così una prima “contaminazione” del genere poliziesco con il genere
avventuroso e con il genere sentimentale. I suoi intrecci sono piuttosto complicati, i suoi
personaggi molto simili tra loro e i sentimenti che esprimono sono a volte sdolcinati e un po’
superficiali, però Wallace è un grande scrittore, ha una fervida fantasia, una grande umanità
e un fine umorismo; inoltre, sa padroneggiare con abilità l’intreccio del racconto, la trama
sempre avvincente, i colpi di scena che si susseguono, la suspence che avvince il lettore fino
all’ultima pagina e lo coinvolge in avventure piacevoli e divertenti. Egli ha subito l’adesione
di quel pubblico di lettori che cerca qualcosa di più e di
diverso rispetto al giallo d’enigma.
Per i tradizionali appassionati di letteratura poliziesca
c’è una nuova scrittrice, Agatha Christie.
La scrittrice che, in realtà, si chiamava Agatha Mary
Clarissa Miller, è diventata una giallista di fama mondiale
(e l’autrice inglese più tradotta in tutto il mondo, anche di
Shakespeare, con due miliardi di copie vendute e 20
milioni di sterline incassati!) grazie alla sua grande abilità
Agatha Christie
nel creare atmosfere intriganti e coinvolgenti, di cui
(Torquay, 1891 - Wallingford, 1976)
forniva descrizioni accurate, realistiche e dettagliate, e
personaggi ben delineati quali Hercule Poirot o la simpatica vecchietta miss Jane Marple.
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Figlia di padre statunitense e madre britannica, Agatha cresce in una famiglia borghese,
non frequenta alcuna scuola ma viene istruita dalla madre, Clara Boehmer. Nel 1914, sposa
il colonnello Archibald Christie e da questo matrimonio, nel 1919, nascerà la sua unica figlia,
Rosalind.
Durante la prima guerra mondiale, lavora presso l'ospedale di Torquay, e lì impara molto
sui veleni e sui medicinali, cosa che le tornerà molto utile quando le verrà l’idea di inventare
un personaggio abile come lo Sherlock Holmes di Conan Doyle ma che non gli somigliasse
troppo, sia nell'aspetto che nella conduzione delle indagini.
Il suo primo romanzo è “The Mysterious Affair at Styles” (Poirot a Styles Court) del 1920.
Nel 1926 la vita della scrittrice è sconvolta da due fatti dolorosi: muore sua madre e suo
marito chiede il divorzio. E Agatha improvvisamente scompare dalla sua casa, vagabondando
in stato confusionale (qualcuno però malignerà che potrebbe essersi trattato di una
montatura pubblicitaria); verrà ritrovata dopo circa dieci giorni in una località termale del
nord dell’Inghilterra, Harrogate, in un albergo, registrata con il nome dell'amante del marito,
e senza essere in grado di dare alcuna spiegazione. (Nel 2001 è stato scoperto un documento,
secondo il quale la scrittrice era scappata e si era nascosta volontariamente affinché il marito
fosse incolpato dell'omicidio e dell'occultamento del cadavere della moglie; il tutto perché
lui la tradiva con la sua segretaria). Poco dopo, parte per le isole Canarie con la figlia Rosalind.
Dopo il divorzio Agatha conserverà comunque il cognome del marito, ma solo per ragioni
commerciali.
Nei tre anni successivi la sua produzione letteraria subisce un arresto e scade
qualitativamente; poi, durante un viaggio in Oriente, mentre è sul treno verso Bagdad, trova
l'ispirazione per scrivere “Assassinio sull'Orient Express”, considerato uno dei suoi capolavori.
Sempre durante lo stesso viaggio conosce l'archeologo Max Mallowan, di molti anni più
giovane, che sposerà nel 1930.
Sempre nel 1930 nasce il personaggio di Miss Marple, con il romanzo “La morte nel
villaggio”.
Nel 1949 comincia a circolare la notizia che la Christie scriva anche romanzi “rosa” con
lo pseudonimo di Mary Westmacott, ma sono romanzi più scadenti e sicuramente meno
importanti dei 66 romanzi polizieschi che ha scritto in tutta la sua carriera fra i quali i più noti
sono “L’assassinio di Roger Ackroyd” (1926), “Assassinio sull’ Orient- Express” (1934), “Poirot
sul Nilo”(1937), “10 piccoli indiani” (1939), “C’è un cadavere in biblioteca” e “Il terrore viene
per posta”(1942), “Poirot e la salma”(1946) o dei 153 racconti oppure dei diciotto lavori
teatrali tra i quali spiccano “Dieci piccoli indiani” o “Trappola per Topi” (The Mousetrap), dal
racconto “Tre topolini ciechi”, commedia che, dal novembre del 1952, viene
ininterrottamente rappresentata in teatro.
Infine, l'ultimo romanzo che ha come protagonista Hercule Poirot (Sipario) venne
pubblicato poco prima della morte dell'autrice; proprio in quel romanzo Agatha fa morire il
suo famoso investigatore.
La Christie mantiene, anzi rende più rigida, la struttura esterna del giallo d’enigma
inserendo, però, all’interno di questo schema immutabile, alcuni elementi profondamente
innovativi. I suoi investigatori si muovono con metodi diversi da quelli di Sherlock Holmes,
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non seguono più “indizi materiali”, tracce lasciate dai criminali, ma “indizi psicologici” come
la mentalità, il carattere e i desideri, le reazioni dei sospettati.
Questo procedimento appare già in alcune investigazioni condotte da Hercule Poirot,
un ex funzionario di polizia che, nel romanzo “Poirot e la salma”, dichiara esplicitamente di
non credere alle indagini fondate sugli indizi materiali come “la cenere delle sigarette o il
fango sotto le suole”.
Hercule Poirot è il protagonista di più di 30 gialli. Fisicamente è piccolo, calvo,
grassoccio, con un paio di baffetti neri, impomatati, un po’ anziano, con la testa a forma di
uovo. Ex ispettore della polizia belga, si trasferisce in Inghilterra, come profugo di guerra, nel
1914, e qui inizia l’attività di investigatore privato. È un omino preciso, con la mania
dell’ordine, è molto intelligente, con un cervello pieno di “piccole celluline di materia grigia”,
come afferma lui stesso. È esageratamente dedito alla cura della propria persona, in
particolare, cura in modo quasi maniacale i suoi baffetti, tanto che porta sempre con sé uno
specchietto per poterli sistemare, e di notte mette sempre l’arricciabaffi e una retina in testa.
È egocentrico, spesso intrattabile, molto presuntuoso con una sconfinata fiducia in se stesso
e nella propria intelligenza; si veste in modo impeccabile. Questa sua mania per la perfezione
e per l’ordine si riflette anche sulla sua tecnica investigativa: le sue indagini si basano
sull’ordine e sul metodo. È pronto all’osservazione (non solo degli indizi ma anche degli
aspetti psicologici e della psicologia dei personaggi), alla deduzione e alla conclusione.
Ma l’importanza degli indizi psicologici appare con evidenza nelle inchieste nelle quali
gli investigatori sono Parker Pyne e Miss Marple: il primo è uno psicologo, l’altra è una mite
vecchietta che vive in un villaggio isolato della campagna inglese, St. Mary Mead, un borgo
in apparenza ordinato e tranquillo. Fragile di aspetto, ma esperta di criminologia, attenta
osservatrice della natura umana e acuta indagatrice, estremamente lucida e intelligente,
nonostante l’età avanzata, Jane Marple ama il giardinaggio e i buoni libri e alterna l'attività
investigativa al lavoro a maglia. Nel suo piccolo villaggio è conosciuta e benvoluta da tutti. Ha
molti amici e parenti che le offrono casi da risolvere. Conosce tutto quello che accade intorno
a lei e spesso si serve dei pettegolezzi per capire alcuni casi intricati di ricatto, furto e omicidio
che risolve grazie alla sua conoscenza del mondo e dell’animo umano, pur stando seduta
nella poltrona di casa sua. “Antenata” della moderna Jessica Fletcher.
Ai suoi detectives la Christie fa risolvere gli enigmi più svariati, presentati in un abile
intreccio.
Tutti gli altri personaggi sono piuttosto schematici e disegnati solo a grandi linee; di loro
si dicono il nome, l’estrazione sociale (abbondano i colonnelli in pensione), gli hobby, qualche
tic.
Tutti sono funzionali alla trama del romanzo, come gli ambienti. L’azione si svolge spesso
in ambienti delimitati e circoscritti:
una nave da crociera (Poirot sul Nilo)
un aereo in volo (Un delitto in cielo)
un treno (Assassinio sull’Orient Express – Il mistero del treno azzurro)
e soprattutto ville di campagna, piccole cittadine inglesi, alberghetti puliti e rispettabili.
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Queste ambientazioni permettono di limitare la cerchia dei possibili colpevoli e di
avviare un gioco, secondo la principale regola del giallo classico, in cui tutti i personaggi,
tranne il detective, sono sospetti e fra loro il colpevole è quello meno sospetto.
Contenuti: Il bene è sempre di scena e si identifica con i valori dell’epoca vittoriana; sono
esaltate le buone maniere e le sane abitudini di compassati gentlemen e di anziane signore
o signorine o dame della nobiltà inglese di campagna.
Gli avvenimenti, anche i più drammatici, sono presentati con tono leggero e distaccato.
I crimini sono sempre fatti con “educazione” e signorilità, senza truculenze o compiacimenti.
Prevale l’uso dei veleni, di cui la Christie era una vera esperta per i suoi trascorsi di infermiera.
Talvolta, però, l’autrice diventa più severa: è quando vuol comunicare con forza il suo
concetto di vita, i suoi principi e il suo senso di giustizia. Allora il tono diventa cupo e
apocalittico e l’autrice, con severità e intransigenza, diventa insieme poliziotto, giudice e
boia.
Apparentemente, nell’ideare la struttura dei suoi gialli, la scrittrice segue le regole del
poliziesco classico. Però, contesta il metodo esclusivamente scientifico di Holmes e fa
prevalere l’osservazione di tipo più psicologico (attenzione alla psicologia dei sospettati).
Costruisce trame intricate, servendosi di personaggi semplici che uniscono virtù vittoriane
con il buon senso, le astuzie e le analisi del detective esperto.
Alcuni fra i suoi libri sono stati portati sullo schermo o ridotti per il palcoscenico. Tra gli
attori che hanno interpretato i personaggi di Poirot e di miss Marple ricordiamo Albert
Finney, Peter Ustinov e Margareth Rutheford.
Gli investigatori Hercule Poirot e Miss Marple di Agatha Christie pur nel tentativo di
introdurre elementi nuovi, di stile o di contenuto, hanno ancora moltissimi elementi in
comune con Sherlock Holmes.
Ugualmente, anche altri dello stesso periodo come Philo Vance di S. S. Van Dine, Lord
Peter Wimsey di Dorothy L. Sayers, ed Ellery Queen, sono tutti abili deduttori e dotati della
capacità di cogliere il vero significato di indizi apparentemente marginali che, analizzando
segni e tracce lasciate sul luogo del delitto, sono in grado di ricostruire la soluzione di ogni
"rompicapo" su cui devono investigare, come ad esempio i cosiddetti "delitti perfetti" oppure
i complicati "delitti della camera chiusa".
Altri elementi accomunano questi investigatori: quasi sempre sono dei ricchi borghesi o
aristocratici, che indagano non per mestiere o per denaro, ma per il semplice piacere di
risolvere un enigma. Non rappresentano la legge, ma solo il desiderio di arrivare alla verità.
Anche gli ambienti in cui si verificano i delitti sono quasi sempre altolocati e raffinati, lontani
dai luoghi in cui avvenivano realmente i fatti criminali della cronaca.
Infine, in questi gialli c’è una grande componente etica: la scoperta (e conseguente
punizione) del colpevole ad opera dell'investigatore mette in risalto il trionfo della giustizia,
il ristabilimento delle regole, il ripristino dell'ordine sociale e morale violato dal delitto, ma
anche un processo catartico (di purificazione) del colpevole. Procedimento quasi
indispensabile, per la società dell'epoca, ancora fortemente permeata dal rigore moralistico
di derivazione vittoriana (1838 – 1901).
Philo Vance è un personaggio immaginario, protagonista di dodici romanzi gialli scritti
da S. S. Van Dine e pubblicati negli anni venti e anni trenta.
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Van Dine era lo pseudonimo dietro cui si nascondeva Willard
Huntington Wright, scrittore e critico d'arte nato nel 1887 a Charlottesville
(Virginia) e morto prematuramente nel 1939 a New York per problemi legati
al suo stile di vita sregolato che lo portarono, all'apice del successo, a
rituffarsi nella droga e nell'alcol.
Van Dine è un autore di gialli basati largamente sulla razionalità e su
quello che è stato definito un "gioco intellettuale", quello appunto di
risolvere enigmi servendosi della semplice logica (in questo caso prettamente deduttiva). Nei
suoi ultimi romanzi, invece, lo scrittore inizia a distaccarsi da questa impostazione per offrire
sempre più spazio alle scene di pura e semplice azione alla maniera di Dashiell Hammett,
autore che peraltro Wright disprezzava profondamente anche perché, nel 1925, era stato
l'unico recensore sfavorevole, su un periodico letterario, di “La strana morte del signor
Benson”.
Il personaggio di Vance divenne estremamente popolare, fu ripreso in libri, film e
trasmissioni radiofoniche. È ritratto come un dandy molto attento alla moda, tanto da
sembrare quasi vanesio, con un'acuta intelligenza. I romanzi sono scritti sotto forma di
resoconti dei fatti narrati dal suo amico Van Dine.
«Vance era quella che molti avrebbero definito una persona frivola e superficiale, ma
una simile definizione sarebbe ingiusta. Era un uomo dotato di una straordinaria cultura e di
una mente brillante. Aristocratico per nascita e istinto, teneva se stesso rigorosamente
distaccato dal mondo in cui vivono le persone comuni. Nel suo modo di fare era presente
un'indefinibile forma di disprezzo per l'inferiorità in qualsiasi sua manifestazione.»
“Era un uomo dall'aspetto insolitamente bello, anche se la sua bocca era austera e
crudele... nel suo modo di alzare le sopracciglia si notava una fierezza che sfociava quasi nella
derisione del prossimo... la sua fronte era ampia e declinante, una fronte da artista più che
da studioso. I suoi occhi grigi e freddi erano ben separati l'uno dall'altro. Il suo naso era diritto
e sottile e il suo mento stretto ma prominente, con una fossetta molto profonda... Vance era
alto un po' meno di un metro e ottanta, aggraziato, e dava l'impressione di possedere sia
forza muscolare che tenuta nervosa.” (da “La strana morte del signor Benson”)
Lord Peter Wimsey è un investigatore dilettante inventato dalla scrittrice Dorothy L.
Sayers e apparso per la prima volta nel 1923.
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È il protagonista di 12 romanzi e 21 racconti. Rappresenta il tipico investigatore
gentiluomo inglese; infatti, appartiene a una famiglia di antica nobiltà.
Orfano di padre, viene cresciuto dalla madre e dallo zio. Studia a Eton e Oxford,
partecipa alla Prima guerra mondiale ma viene ferito dallo scoppio di una granata e
congedato. Tornato a Londra, si stabilisce in una casa nella zona di Piccadilly insieme al suo
ex sergente Bunter, che diviene il suo maggiordomo e collaboratore. Wimsey comincia ad
occuparsi di investigazioni e diventa amico di Charles Parker, ispettore capo di Scotland Yard.
Nel corso delle sue indagini si innamora della scrittrice di gialli Harriet Deborah Vane, che
infine sposerà (nel romanzo Un'indagine romantica). Peter e Harriet si stabiliranno a Talboys,
nell'est Hartfordshire, e avranno tre figli maschi. Dopo aver messo su famiglia, Peter si ritira
dall'attività investigativa.
La Sayers concluse le vicende dell’investigatore Wimsey con il racconto “Talboys” nel
quale Peter e Harriet si godono con i tre figli la quiete di un borgo rurale dove "non c'erano
altri crimini che il furto di pesche dall'albero del vicino". In pratica la scrittrice si era stancata
del personaggio, ma anziché farlo morire (come tentò di fare Conan Doyle con Sherlock
Holmes) lo fece ritirare in un'esistenza tranquilla e felice
Figlia di un professore di Oxford, la Sayers fu una
delle prime donne a laurearsi in quella università in lingua
e letteratura francese. Oltre a romanzi gialli, ha scritto
drammi e vari saggi di argomento religioso, il più famoso
dei quali è The Mind of the Maker(1941) (La mente del
Creatore) che esamina l'analogia fra un creatore umano
(in particolare lo scrittore di racconti ed opere teatrali) e
la Creazione Divina. Molto apprezzata è inoltre la sua
traduzione in inglese dell'Inferno (1949) e del Purgatorio
(1955) di Dante.
Dorothy Leigh Sayers
Nel 1930, scrisse, a quattro mani con Robert
(Oxford 1893 – Witham, Essex 1957)
Eustace, un romanzo poliziesco a carattere epistolare “Il
dossier Harrison” (The Documents in the Case), nel quale
inserisce,per la prima volta, l'investigazione scientifica in
senso moderno, sulla scia dei romanzi di Richard Austin
Freeman, il padre fondatore del giallo scientifico.
Nato e vissuto nel quartiere di Soho, Freeman si
laurea in medicina ed esercita la professione di medico
chirurgo prima in Inghilterra e poi in Africa. Lì si ammala di
una grave malattia che lo costringe, nel 1904, ad
abbandonare la sua attività medica per ritirarsi nelle
campagne del Kent, a Gravesend, luogo in cui trova
Richard Austin Freeman
ispirazione per suoi romanzi. Il primo risale al 1902, periodo
(Londra, 1862 – Gravesend, 1943)
in cui pubblica i suoi primi racconti, ma solo cinque anni
dopo raggiunge il successo e il grande pubblico con il poliziesco, L'impronta scarlatta in cui
compare il personaggio del Dr. John Thorndyke, il primo investigatore scientifico letterario,
professore di medicina legale che risolve i casi più intricati utilizzando impronte digitali,
cadaveri riesumati e analisi chimiche.
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Ellery Queen
è lo pseudonimo dei due cugini statunitensi, di origine ebraica, Frederic Dannay (New
York 1905 – 1982), e Manfred Bennington Lee (New York 1905 – Connecticut 1971), scrittori
di letteratura poliziesca e creatori del personaggio che porta lo stesso nome del loro
pseudonimo.
Il personaggio di Ellery Queen nacque nel 1929, in occasione di un concorso per la
miglior opera prima poliziesca. Dannay e Lee inviarono un lavoro firmato con lo stesso nome
dato al loro personaggio “La poltrona n. 30” (The Roman Hat Mystery), e vinsero.
Ellery è un giovane investigatore dilettante dalla mente lucida e analitica, laureato
all'Università di Harvard e interessato al crimine solo per curiosità
(infatti non guadagna nulla dalla sua attività di investigatore). Suo padre Richard Queen, di
origine irlandese, è ispettore capo della squadra Omicidi della polizia di New York. In
moltissimi casi, è proprio Ellery ad aiutare suo padre nelle indagini sui delitti che la squadra
di polizia deve affrontare.
“La poltrona n. 30” definì subito lo schema dei lavori successivi: un crimine insolito,
prove spesso contrastanti, la presenza di Richard Queen e del suo assistente, il sergente Velie;
la messa a disposizione del lettore di tutti gli elementi utili a scoprire il colpevole e la
conseguente “sfida al lettore” che precedeva la soluzione del caso. Venne inaugurata anche
la formula base del titolo (in inglese), che seguiva lo schema The + aggettivo di nazionalità +
sostantivo + Mystery [come omaggio ai titoli dei romanzi di S. S. Van Dine con Philo Vance,
che seguivano lo schema The + sostantivo + Murder Case (caso di Omicidio) ]. Infatti il
secondo libro della coppia fu “The French Powder Mystery” (Sorpresa a mezzogiorno, 1930).
All’inizio del Ventesimo secolo il genere poliziesco acquista un successo sempre più
grande, dapprima soprattutto tra il pubblico e poi di critica. Però, malgrado i numerosi
tentativi per superare gli schemi meccanici del giallo ad enigma e per dare uno spessore
meno freddo e più umano alla figura del detective e alle storie narrate, bisognerà attendere
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la metà degli anni trenta perché alcuni autori comincino a sviluppare un vero superamento
di questi schemi.
È, appunto, in quegli anni che cominciano a delinearsi le due strade che, parallelamente
e quasi contemporaneamente, in Europa e in America, segnano l'allontanamento dal modello
di giallo "alla Sherlock Holmes".
Negli Stati Uniti…
tra gli anni venti e gli anni trenta, si fa strada un nuovo genere di giallo che verrà poi
definito hard boiled (oppure noir, anche se i due termini non possono essere considerati
sinonimi), caratterizzato da storie dove il delitto è solo uno degli elementi della narrazione,
mentre grande risalto viene dato alla descrizione psicologica dei personaggi, con toni a volte
fortemente negativi, e alla caratterizzazione dell'ambiente spesso degradato e corrotto: le
grandi metropoli americane segnate dalla terribile crisi del 1929, dove si muove una società
dominata dal potere e dal denaro, un mondo dove i deboli e i buoni sono fatalmente destinati
a soccombere. In questi romanzi lo stile si fa più tagliente, e spesso anche il linguaggio messo
in bocca ai personaggi è più crudo, talvolta al limite della volgarità, anche con espressioni
mutuate dal gergo della malavita. Veramente molto distanti dagli investigatori raffinati e
aristocratici della scuola classica del giallo, i detective di questo filone sono quasi sempre dei
"duri", personaggi disillusi dalla vita, spesso alcolizzati, che non credono più in niente e in
nessuno, e forse nemmeno in se stessi, specchio di un'America disincantata, in grande
fermento, ma dura e violenta.
È il caso dei celebri investigatori come Sam Spade, ne Il falcone maltese di Dashiell
Hammett, o Marlowe di Raymond Chandler (1888-1959), (entrambi interpretati sullo
schermo da Humphrey Bogart). Il genere avrà poi un largo seguito nel cinema americano
anche nel dopoguerra: ne sono discendenti diretti personaggi come quello di Gene Hackman
in Il braccio violento della legge, di Clint Eastwood nei panni dell'ispettore Callaghan, di Jack
Nicholson in Chinatown, e così via.
In Europa…
proprio a partire dai primi anni trenta, qualcosa sta ugualmente cambiando, anche se i
toni si mantengono meno duri che in America. In quegli anni Augusto De Angelis creava il
personaggio del commissario De Vincenzi, una sorta di commissario Maigret italiano, che
non ebbe grandissima fortuna, forse per la chiusura, anche culturale, da e verso il resto del
mondo che il fascismo aveva generato, e per lo scarso gradimento che il regime aveva nei
confronti del genere letterario poliziesco. Finalità propagandistiche e di ordine pubblico
spinsero infatti il regime fascista a far "scomparire" il crimine dalle cronache dei giornali e
dalla letteratura, tanto che nel 1943 si arrivò addirittura ad imporre il sequestro in Italia di
"tutti i romanzi gialli in qualunque tempo stampati e ovunque esistenti in vendita", con la
chiusura della famosa collana dei gialli Arnoldo Mondadori Editore, visti con sospetto come
una sorta di istigazione a sovvertire l'ordine costituito, e perché in contrasto con l'immagine
positiva e integra della società italiana che il regime intendeva veicolare.
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Ma nel resto dell'Europa il genere continua a svilupparsi, e a metà degli anni trenta ad
imporsi all'attenzione del grande pubblico è Georges Simenon che, con il suo commissario
Maigret, cambierà definitivamente l'idea di indagine e il concetto stesso di romanzo
poliziesco, introducendo ambienti, personaggi e situazioni lontanissimi da quelli proposti dal
giallo classico. In quel periodo la letteratura europea, di fronte al definitivo declino del mondo
aristocratico, inizia ad occuparsi, sempre più spesso e sempre più da vicino, dell'uomo
comune, del piccolo borghese, con una ricerca che si spinge verso tematiche esistenziali,
psicologiche e filosofiche. Così, anche la letteratura poliziesca abbandona via via le
ambientazioni mondane e rarefatte per scendere nelle strade, fra le inquietudini della gente
comune e il romanzo poliziesco, poco alla volta, comincia ad uscire dal ristretto ambito di una
letteratura "di genere", innalza il suo spessore stilistico e contenutistico e finisce per
mescolarsi sempre più spesso con una letteratura di più ampio respiro.
Con Simenon, e il suo Commissario Maigret, arriva la Parigi delle "brasserie", dei
quartieri popolari, ma anche della provincia francese. In questa atmosfera opera la profonda
umanità di Maigret che, con le sue indagini, approda spesso ad una verità crudele e dolorosa.
Gli assassini di Simenon non sono raffinati geni del male, sono persone qualunque, che
magari, pochi giorni prima, fino a che la loro comunissima esistenza non viene sconvolta da
un imprevisto, non immaginano neanche lontanamente di essere capaci di uccidere.
Maigret, al contrario dei suoi predecessori letterari, è un grosso signore, freddoloso e
tranquillo, con l’eterna pipa in bocca, amante della casa, che nulla ha dell'eroe, è un piccolo
borghese, uno stipendiato dallo stato. Sul lavoro è burbero e brusco ma anche molto sensibile
e attento all’aspetto umano dei delinquenti più che al crimine che questi hanno commesso.
Imponente e massiccio, ha capelli ispidi di un castano scuro, con qualche striatura bianca
sulle tempie. Mangia panini imbottiti e beve birra e pernod. È sposato, senza figli, e, quando
si rivolge a sua moglie, la chiama, affettuosamente, “signora Maigret”.
I romanzi di Simenon sono caratterizzati da suggestive analisi di ambienti, dalla
solitudine, dal disagio esistenziale, dal vuoto interiore, dall'ossessione che arriva al delitto; il
colpevole viene spesso sospettato, se non individuato, relativamente presto nel corso della
storia. Le inchieste di Maigret sono in realtà la paziente ricostruzione della verità umana, per
arrivare all'antefatto che ha causato il dramma, e con esso alle prove per poter incastrare il
colpevole: l’attenzione dell'autore non è più centrata, come in altri autori di romanzi gialli,
sulla costruzione di un meccanismo perfetto, di un enigma apparentemente insolubile che si
sciolga magicamente nella sorpresa finale. Importante per Simenon è raccontare una vicenda
umana, attraversata da un dramma, da un delitto, anche se ricostruita attraverso i passi che
deve muovere un poliziotto per scoprire alla fine che il dramma è tale non solo per la vittima,
ma anche per l'assassino.
In tal senso Simenon già dagli anni trenta imprime una svolta irreversibile nella storia
del romanzo giallo: con lui inizia il romanzo poliziesco moderno, che rompe con il romanzoenigma o il romanzo-mistero. Con Simenon la domanda che ci si pone, che si pone
l'investigatore e, di conseguenza, il lettore, si sposta ormai definitivamente dal chi è stato?
del giallo classico all'inglese al cosa è successo? e perché è successo? nell'esistenza di una
persona per portarla fino alla soglia irreversibile del delitto.
Quindi, viene cancellata la logica del ragionamento e la priorità è data all’atmosfera (i
romanzi si svolgono in una Parigi livida di pioggia, sotto un cielo grigio, o di notte) e all’analisi
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della crisi psicologica che spinge i personaggi al dramma (follia, disperazione, suicidio,
omicidio).
Simenon affermava che tra lui e il suo personaggio c’erano molti tratti in comune e da
questa affermazione dello scrittore, numerosi critici e tutti i comuni lettori hanno sempre
identificato il celebre commissario con il suo inventore, ritenendo quest’ultimo un borghese
equilibrato, solido e bonario. In realtà, alcune recenti biografie ci rivelano, invece, un
Simenon molto inquieto, amante della ricchezza e del lusso eccessivo, tormentato dalle
passioni. Cosicché il commissario Maigret non appare più come il “fratello di carta” del suo
autore ma l’ideale di vita a cui Simenon ha sempre aspirato e forse ha raggiunto solo nella
sua lunga e tranquilla vecchiaia.
Nato a Liegi, in Belgio, nel 1903,
Simenon, ancora giovane, emigrò a Parigi.
Fece esperienze di vario tipo e, infine, si
dedicò alla professione di scrittore, da cui
ebbe ricchezza e successo. A partire dal
1918, scrisse circa 300 romanzi, firmando
con vari pseudonimi, tra questi anche
“Sim”, [uno pseudonimo è un nome
fittizio di persona, diverso da quello
anagrafico, utilizzato da scrittori,
Georges Simenon
Gino
Cervi
(Liegi 1903 – Losanna 1989)
cantanti, artisti, sportivi, personaggi
politici o altri personaggi pubblici. Si può chiamare anche nome d'arte o, con la locuzione
latina, alias (da alias vices che vuol dire altre volte) o ancora a.k.a., dall'acronimo inglese also
known as ("anche conosciuto come"); nel caso degli scrittori è talvolta usata l'espressione
francese nom de plume (lett. "nome di penna")]. Solo nel 1930 esordì col suo vero nome nel
primo dei romanzi polizieschi, “Pietr il Lettone”, che hanno come protagonista il commissario
Maigret. Da allora scrisse 76 romanzi e 26 racconti dedicati alle inchieste di questo celebre
commissario. Fra i più famosi ricordiamo i romanzi: “Il carrettiere della Provvidenza”,
“Maigret si commuove”, “L’affaire Saint-Fiacre”, “L’uomo che guardava passare i treni”, ecc.
e le raccolte di racconti: “Maigret ritorna”, “Le nuove inchieste del commissario Maigret”
Morì a Losanna nel 1989. In Italia il più famoso interprete televisivo di Maigret è stato Gino
Cervi.
Rex Stout
Rex Todhunter Stout, figlio di una
coppia quacchera dell’Indiana, John
Wallace e Lucetta Elizabeth Todhunter, fu
intelligentissimo e precoce (si dice che a
tre anni avesse già letto tutta la Bibbia).
Dopo aver fatto svariati mestieri, da
sottufficiale sul Mayflower, lo yacht del
presidente Roosvelt, alla guida turistica, e
poi venditore di sigari, stalliere…, nel 1912
Rex Stout (Noblesville, Indiana 1886 – Danbury 1975) comincia a scrivere per riviste e
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settimanali e pubblica romanzi psicologici che, però, non hanno una gran fortuna, finché, nel
1934, pubblica un romanzo poliziesco “Fer-de-Lance” (in italiano “La traccia del serpente”),
nel quale unifica due fra i generi, tradizionalmente separati, della narrativa poliziesca: il giallo
d'azione americano (hard boiled) ed il giallo all'inglese, più intellettuale (giallo deduttivo).
Questi due aspetti si incarnano nei suoi personaggi più famosi, l'obeso detective Nero Wolfe,
gastronomo e appassionato di orchidee, e il suo estroverso aiutante Archie Goodwin. Il
successo, immediato, si ripeté regolarmente per tutti i 47 successivi volumi, tra romanzi e
raccolte di racconti sfornati al ritmo di circa uno all'anno.
Rex Stout presenta numerosi punti di contatto e anche di distacco da Nero Wolfe. Da un
punto di vista fisico, Rex era longilineo, agile, energico; Wolfe tutto il contrario, obeso, pigro,
sedentario, abitudinario. Wolfe curato e pulito, Rex spesso con barba lunga e trasandato.
Wolfe è misogino, Rex era molto innamorato della seconda moglie. Le somiglianze si
accentuano quando si esaminano le idee e i gusti: entrambi amanti della buona cucina, delle
orchidee, della lettura e abili e infervorati parlatori. Entrambi odiano i politici, i maneggioni,
gli ottusi, il cinema e la televisione.
Dagli anni cinquanta agli anni settanta
Il giallo perde, almeno in parte, la funzione catartica e consolatoria che aveva nei primi
anni, dominati dal modello inglese. Con il genere hard boiled americano, ma anche con
Simenon, il giallo si fa improvvisamente meno ottimista, manifestando anche quella fallibilità
della giustizia umana che in Friedrich Dürrenmatt, qualche anno dopo, verrà portata alle
estreme conseguenze. Per Dürrenmatt lo stesso romanzo giallo è una costruzione artificiosa
degli autori, poiché è spesso la casualità a decidere il successo o il fallimento di una trama
investigativa, come intende dimostrare ad esempio con il suo La promessa - Un requiem per
il romanzo giallo.
Per l'autore svizzero tutta la macchina della giustizia, a partire dalla indagine poliziesca
fino ai meccanismi giudiziario-processuali, è sostanzialmente incapace di cogliere la verità
umana più autentica che si nasconde dietro al delitto.
La strada aperta troverà nei decenni seguenti numerosi seguaci in tutta Europa. Per
l'Italia va ricordato Giorgio Scerbanenco, il maestro ideale di tutti i giallisti, anche attuali,
italiani. I suoi romanzi, oltre ad essere dei piccoli gioielli del noir, riletti oggi appaiono anche
come uno spaccato umanissimo e amaro dei nostri anni sessanta, che rivelano un’ Italia
difficile, persino cattiva, ansiosa di emergere ma disincantata, certo lontana dall'immagine
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edulcorata e ottimista del boom economico di quegli anni che ancora oggi viene riproposta
dai media.
Nel mondo del giallo degli anni settanta è sempre più presente il tema della
prevaricazione del potere, dei suoi complotti e misfatti, e il relativo scacco delle investigazioni
ha costituito un percorso fondamentale della vanificazione novecentesca del giallo. Non a
caso, la denuncia delle responsabilità criminali delle istituzioni contraddistingue anche
moltissimi dei gialli italiani dell'epoca, pubblicati a partire dagli anni quaranta: da Giorgio
Scerbanenco a Fruttero & Lucentini, parecchi commissari protagonisti sono caratterizzati
come perdenti. Il giallo si tinge allora dei colori della cronaca e assume in modo crescente le
caratteristiche del noir. Non più l'ordine ristabilito con l'intervento risolutivo delle
istituzioni e il cambiamento sociale, ma il disordine e il caos senza ritorno.
Dagli anni ottanta ad oggi
Il giallo in epoche più recenti si è intrecciato sempre di più con tematiche a volte
esistenziali, ma più spesso sociali e persino storiche e politiche. Basti pensare ad autori come
Massimo Carlotto, Carlo Lucarelli, Andrea Camilleri, lo spagnolo Manuel Vazquez
Montalban (Pepe Carvalho) e Daniel Pennac, o Stieg Larsson, per citarne solo alcuni: in una
società sempre più caratterizzata dai soprusi e dalla violenza, non avrebbe senso costruire
una storia classica all'inglese sganciata dal contesto. Come ha scritto Massimo Siviero, il
romanzo d'evasione diventa allora romanzo d'invasione delle coscienze addormentate: deve
scuotere più che divertire.
Su questa scia non può essere trascurato in particolare il grande successo riscosso in
Italia, a partire dagli anni novanta, dalla serie di gialli di Andrea Camilleri che hanno come
protagonista il commissario Montalbano, successo poi replicato e amplificato dalla fortunata
serie televisiva tratta dai suoi romanzi. La inconsueta ma suggestiva ambientazione nella
piccola provincia siciliana (i romanzi stessi sono caratterizzati dall'uso di un italiano
fortemente contaminato da elementi di siciliano), l'ironia sottesa nel testo e l'umanità dei
personaggi, oltre ai raffinati intrecci polizieschi, che tuttavia non perdono mai di vista uno
sfondo sociale ben delineato, sono certamente gli elementi che determinano il successo della
serie.
Camilleri è scrittore, sceneggiatore e regista. Dal 1959 a
tutti gli anni sessanta, tra le molte produzioni RAI di cui
si occupa come delegato alla produzione, hanno molto
successo gli sceneggiati Le avventure di Laura Storm, con
Lauretta Masiero, e le fiction con il tenente Sheridan,
protagonista Ubaldo Lay, ma anche Le inchieste del
commissario Maigret, protagonista Gino Cervi. Cura
anche numerose messe in scena di opere teatrali. Nel
1977 gli viene affidata la cattedra di regia all'Accademia
Andrea Camilleri
(Porto Empedocle, Ag, 1925, vivente) Nazionale d'Arte Drammatica che manterrà per
vent'anni.
Nel 1978 esordisce nella narrativa con Il corso delle cose, scritto dieci anni prima. Nel 1980,
pubblica con Garzanti Un filo di fumo, primo di una serie di romanzi ambientati
nell'immaginaria cittadina siciliana di Vigata a cavallo fra la fine dell'Ottocento e l'inizio del
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Novecento. Nel 1994 pubblica La forma dell'acqua, primo romanzo poliziesco con il
Commissario Montalbano. E arriva il grande successo. Dal 1995 al 2003 si amplia il fenomeno
Camilleri, che di fatto esplode nel 1998. Titoli come Il birraio di Preston (1995) (quasi 70.000
copie vendute), La concessione del telefono e La mossa del cavallo (1999) vanno a ruba,
mentre la serie televisiva su Montalbano, interpretato da Luca Zingaretti, ne fa ormai un
autore cult.
Attualmente sono in onda su Rai 1 gli episodi de “Il giovane Montalbano” con Michele
Riondino.
Salvo Montalbano è un commissario di polizia che svolge le sue funzioni nell'immaginaria
cittadina di Vigata, sulla costa siciliana. in provincia di Montelusa (due nomi di fantasia che
corrispondono nella realtà rispettivamente a Porto Empedocle e Agrigento). In una località
vicina a Vigata, Marinella, il commissario affitta una villetta sul mare, che poi acquisterà, dove
abitualmente vive solo, salvo quando viene a visitarlo la fidanzata Livia, che vive a
Boccadasse, un quartiere di Genova. Il nome Montalbano venne scelto da Camilleri in
omaggio allo scrittore spagnolo Manuel Vázquez Montalbán, ideatore di un altro detective
famoso, Pepe Carvalho: i due personaggi hanno molte cose in comune, l'amore per la buona
cucina e le buone letture, i modi piuttosto sbrigativi e non convenzionali nel risolvere i casi,
una storia d'amore controversa e complicata con donne anch'esse complicate.
I più stretti collaboratori di Montalbano sono il suo vice Domenico Augello, amico che
Montalbano chiama con il diminutivo di Mimì, l'ispettore Giuseppe Fazio, solerte,
efficientissimo e di grande aiuto nella ricerca di indizi, il medico legale, dott. Pasquano,
l’agente Agatino Catarella, il simpatico centralinista tonto ma abile nell'uso del computer,
fortemente caratterizzato per il suo linguaggio contorto e stralunato, con cui storpia il più
delle volte i nomi degli interlocutori e per la porta dell'ufficio che sbatte con il fragore di una
bomba scalpellando l'intonaco della parete ("Scusassi dottori, ma la mano mi scappò")
quando entra nell’ufficio del commissario.
Montalbano è un commissario sui generis, «maturo, sperto, omo di ciriveddro e d'intuito»
(in La luna di carta), molto abile nel dipanare intrighi complicati e difficoltosi. Sebbene il suo
mestiere glielo permetta, rifugge dall'uso delle armi anche se, quando è costretto ad usarle
lo fa con capacità e precisione. Ha un carattere introverso e scontroso. Ama la buona cucina,
soprattutto quella a base di pesce, e pretende assoluto silenzio durante il pasto. Odia parlare
in pubblico e quando è costretto a farlo appare impacciato. Non ama mettersi in primo piano
di fronte ai media. Assolutamente privo d'ambizione giunge al punto di rifiutare le
promozioni e fa di tutto per evitarle. Vuole fare solo il suo lavoro, che sa di far bene, e non
vuole avere contatti con la classe politica che apprezza ben poco; serve lo Stato con grande
lealtà, non lesinando critiche feroci ai suoi colleghi per comportamenti poco onorevoli. Ha
quindi una personalità complessa: da un lato l'irreprensibile funzionario di Pubblica Sicurezza
e dall'altro l'uomo, con i suoi vizi e le sue virtù, che talora applica una sua personale giustizia,
elemento questo che lo accomuna all'altro grande commissario della letteratura gialla: il
commissario Maigret di Georges Simenon.
A partire dagli anni novanta del novecento, si è imposta anche una schiera di giallisti
scandinavi, quali Stieg Larsson,Henning Mankell, Jo Nesbø, Camilla Läckberg, Per Wahlöö,
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Liza Marklund, autori le cui opere sono accomunate dalle ambientazioni nordiche (nelle quali
il freddo, la neve, le lunghe notti invernali sono spesso dominanti), da investigatori in varia
misura "anomali" sul piano umano e investigativo, e da strette relazioni dei fatti criminosi e
delle relative indagini con tematiche di forte impatto sociale. I gialli di autori scandinavi
hanno avuto spesso grandissima diffusione in tutto il mondo, e in molti casi dai romanzi
originali sono state tratte versioni cinematografiche di successo.
Infine, un cenno a Patricia Highsmith (1921-1995) americana, il cui primo romanzo
“Sconosciuti in treno”, fu scelto da Alfred Hitchcock come soggetto del film “Delitto per
delitto”.
Le trame dei suoi libri descrivono la vita di uomini e donne comuni e perfino quella di
animali domestici, nel momento in cui uno scricchiolio preannuncia che qualcosa sta per
rompersi. Ma il fatto che si parli di gatti, di madri di famiglia, di viaggiatori su un treno ci
regala un brivido in più: è il brivido della possibilità, del “potrebbe succedere anche a me”,
cioè dell’identificazione con il personaggio del racconto non in quanto eroe che possiede le
qualità che vorremmo avere, ma in quanto davvero personaggio simile a noi. E le situazioni
e gli ambienti familiari della Highsmith non servono tanto a farci vivere un’avventura, ma
semmai a compiere un’esplorazione nell’intricato mondo delle colpe, nostre e altrui, e quindi
dei colpevoli.
Leggendo le sue storie ci si sente stimolati a scriverne altre, a “tramare” a voler provare
anche noi…
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