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Remo Ceserani Messa a fuoco 5 Psicologia evolutiva (Immagine da «Playgirl») Negli Stati Uniti abbondano gli studiosi di psicologia evolutiva nutriti di determinismo e behaviorismo positivistici e fiducia cieca nei rilevamenti e nelle risultanze medie delle statistiche. Ne è un buon esempio Robert Wright, un divulgatore di solida fama che in The Moral Animal. Why we are the way we are (L’animale morale. Perché noi siamo come siamo, New York, Vintage Books, 1995) ha ricostruito i comportamenti della specie umana (gli animali morali), soprattutto nel campo della sessualità, dell’accoppiamento e del matrimonio, mettendo a confronto l’epoca vittoriana con quella attuale. Per l’epoca vittoriana egli si è basato sugli esempi di comportamento forniti dalla vita di Charles Darwin (la scelta della moglie, la lunga fedeltà matrimoniale, il rapporto con la progenie). Per l’epoca attuale si è affidato alle statistiche. Come spiegare, per esempio, la lunga fedeltà di Darwin verso la moglie? Circostanze particolari e specifiche della coppia: una scelta ragionata e a lungo soppesata da parte di Charles, un carattere molto positivo di Emma Wedgwood, la sua buona salute e capacità riproduttiva (parecchi figli), la costituzione fragile e soggetta a frequenti malattie di lui che lo portano ad appoggiarsi alle cure di lei, e così via. Ma anche circostanze ambientali e sociali tipiche del momento storico, fra cui la casa isolata in cui sono andati a vivere (in campagna, a due ore di viaggio in carrozza da Londra) e la conseguente scarsa possibilità per Charles di «vedere» altre donne. Infatti, secondo la psicologia evolutiva, i desideri e le fantasie erotiche del maschio umano reagiscono principalmente a stimoli visivi, mentre quelle della femmina umana principalmente a stimoli tattili, possibilmente dolci e gentili, a discorsi e musiche sommesse e ad altri segni che promettono un buon futuro investimento. Nella società vittoriana la visione, reale o per immagini, di bellissime donne avrebbe suggerito al maschio un’alternativa geneticamente vantaggiosa alla monogamia e l’avrebbe spinto a cambiare oggetto d’interesse. Ma i Darwin vivevano in ambiente isolato e la fotografia non era ancora molto diffusa. Le statistiche pubblicate da alcuni scienziati sul «Journal of Experimental Social Psychology» confermerebbero l’ipotesi di Wright. I maschi dei giorni nostri a cui sono state mostrate fotografie di modelle di «Playboy» confessano di sentirsi d’improvviso meno innamorati delle loro mogli, mentre le donne a cui sono state mostrate fotografie di modelli di «Playgirl» non mostrano nessun cambiamento nel loro atteggiamento verso i mariti. Vorrei raccontare a Robert Wright questo aneddoto, sperando che non ne tragga conclusioni troppo generalizzate sui comportamenti dell’animale morale nell’epoca post-pillola. Siamo in Italia, nella grande casa di famiglia di un noto scienziato, una specie di lontano discendente di Charles Darwin. Lui e la moglie trascorrono le vacanze estive in villa e verso la fine dell’estate vi accolgono ogni anno, per tradizione, tutti i figli, le figlie, i generi, le nuore, i fidanzati, le fidanzate. All’ora del te in un pomeriggio di settembre la matrona di casa riunisce attorno a sé in una grande tavolata tutte le donne della famiglia. C’è anche l’ultima figlia, diciassettenne, che è appena tornata da un campeggio con amici. La signora a un certo punto affronta il problema dell’amore e del sesso e quello, delicatissimo, della scelta del partner. Con grande sicurezza si lancia nel discorso: «Diciamo la verità, il sesso è molto importante, non tuttavia importante come l’amore. Tutte noi prima ci siamo innamorate dei nostri uomini, poi è venuto il sesso». Da un angolo del grande tavolo si alza la vocina dell’ultima arrivata, con un’improvvisa rivelazione: «Nel caso mio è stato l’incontrario».