Virginia (che è stata una vera B. S.)

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Virginia (che è stata una vera B. S.)
Virginia Sarotto - Considerazioni sul libro X delle “Confessioni”di Agostino d’Ippona
Agostino si propone, all’inizio del decimo libro, di comprendere colui che da sempre l’ha compreso
e lo conosce, ovvero Dio. La luce può essere totalmente portata in Agostino solo grazie all’amore
per Dio e quindi per la verità che Dio stesso rappresenta ed ama. Innanzitutto la ricerca che
Agostino vuole intraprendere, cioè quella di Dio, parte dalla confessione dei propri peccati e più
ancora del proprio disgusto verso di sé, che Agostino dichiara liberamente di fronte a Dio:
“Dunque, Signore, io ti sono noto comunque io sia”1. Uno dei punti cardine del pensiero
agostiniano è appunto questa prescienza di Dio nei confronti di Agostino; egli apre a Lui il suo
cuore poiché già il Signore lo conosce; il cambiamento radicale, ossia la conversione, può avvenire
solo se Agostino sceglie liberamente di guardare dentro se stesso. Il compito arduo dell’uomo è
infatti accettare che Dio lo riveli a sé stesso, come in seguito verrà precisato da Agostino stesso, e
come appunto in seguito spiegherà, la verità genera odio dal momento che implica un grande sforzo
da parte dell’uomo e un radicale cambiamento nella propria vita che spesso non è pronto a fare.
Il dialogo che Agostino vuole instaurare con Dio equivale quindi ad un colloquio con se stesso che
Agostino ha intrapreso, e che si protrae lungo i suoi giorni; egli infatti è ancora lontano dal sentirsi
del tutto “pieno di Dio”: “Udirti parlare di se stessi che altro è, se non conoscere se stessi?”2. Il
dialogo con Dio è fondamentale, poiché sebbene solo lo spirito di un uomo conosca quell’uomo,
Dio ne conosce un lato ancor più intimo e recondito, sconosciuto all’animo stesso dell’uomo preso
in considerazione. Proprio a questo punto delle Confessioni emerge precisamente la
contrapposizione con ciò che precedentemente Agostino aveva denominato abitudine: il dialogo con
Dio contrasta con qualsiasi forma di passività (e quindi di abitudine) poiché si rinnova ogni giorno,
quotidianamente; infatti Agostino si confessa a Dio e lo ama, ricreando il momento d’incontro e
dunque la stessa illuminante novità. Solo l’amore e la fiducia possono sostituirsi all’abitudine;
Agostino descrive questi due sentimenti nei confronti di Dio come impossibili da trascurare e
continuamente incitanti all’autoanalisi ed al rinnovamento.
La conversione di Agostino vuole essere da lui raccontata a tutti in modo da rendere manifesti agli
uomini la forza vitale e l’amore di Dio disponibili per chiunque,Dio che conosce profondamente
ogni essere umano e sempre lo invita ad unirsi a lui,e quindi a se stesso,nonostante i continui rifiuti
che la maggior parte degli uomini ostenta, inconsapevolmente o meno. L’uomo infatti non si rende
conto del privilegio donatogli da Dio, ovvero la capacità di poter ammirare la bellezza del creato e
comprenderla ponendo domande, associate all’abilità di giudicare: più spesso l’uomo si rinchiude
fuori da sé rifiutando se stesso, e per cui Dio.
Sebbene, nel decimo libro, Agostino ami già Dio (e quindi la parte più intima di se stesso) e abbia la
sicurezza di amarlo grazie alla conversione, questo amore non è ancora solido perché giovane e da
coltivare quotidianamente. Il grande passo avanti compiuto finora da Agostino è l’aver riconosciuto
la fede come premessa al ragionamento, e aver quindi compreso che la ricerca di Dio va oltre quella
ottenibile grazie alla forza fisica: ora Agostino deve cercare Dio con la forza della sua anima.
Da qui si dipana il lungo discorso di Agostino sulla memoria, fondamento della forza dell’anima di
cui lui necessita per arrivare a Dio.
Agostino dà quindi inizio a questo discorso giustificandolo tramite il fatto che ritiene la memoria la
sede di quella forza che gli serve per arrivare a Dio. La descrizione della memoria, tanto semplice
quanto inspiegabile componente dell’uomo,comincia con la serie di suoni, odori e gusti che la
nostra mente sa ricordare e quindi riconoscere, e richiamare quando vuole. Agostino constata anche
che nel momento in cui si ricorda, l’oggetto o comunque la fonte del ricordo non è davanti a noi ma
noi la possiamo riprodurre perfettamente in mente, e addirittura un momento triste può essere
successivamente ricordato senza provare tristezza e così via. Si possono poi pensare concetti
contrari al nostro attuale stato psico-fisico, ad esempio si può pensare il dolore pur stando bene o
immaginarsi il sole quando piove, e questo è dovuto al fatto che la memoria ha un potere in un certo
1
2
Agostino d’Ippona, “Confessioni”, edizione per Il Sole 24 ORE, 2006, pag.288
Idem, pag.289
senso inspiegabile. Proseguendo nell’analisi della memoria,essa si fa più profonda, e Agostino
afferma: “In realtà io non riesco a comprendere tutto ciò che sono”3. La consapevolezza di questo
misterioso vuoto nel proprio spirito porta Agostino ad un interesse maggiore nei confronti della
memoria. La prima deduzione logica sulla natura della memoria è che se noi, quando ricordiamo,
pensiamo ad un oggetto pur non avendolo davanti agli occhi, allora noi possiamo fare questo solo
perché abbiamo conosciuto quell’oggetto in qualche modo. Insomma, quell’oggetto è già dentro la
nostra memoria; proprio per questo è usato il verbo cogitare, letteralmente pensare, per indicare
l’azione della memoria: cogito indica un atto di raccoglimento, di ripescaggio di qualcosa che già
c’è nell’animo e nell’animo soltanto. Oltre a ricordare in senso vero e proprio, Agostino si rende
conto di poter anche ricordare di aver ricordato; e, cosa ancor più sconvolgente, Agostino sa di
poter in un certo senso ricordare l’oblio, ovvero nominarlo pur non sapendo cos’è proprio perché
oblio. Se la nostra mente sa riconoscere l’oblio è perché ha perduto qualcosa, e Agostino ritiene che
il vuoto del suo spirito, quel punto interrogativo dell’anima umana, sia proprio segno di un grande
oblio, ovvero quello di Dio. Quel “non conoscere del tutto se stesso”si traduce per Agostino nella
potenza sovrumana di Dio, che solo può conoscerci e che ci dà il compito di unirsi a lui e quindi a
noi stessi. Agostino quindi non può che cercare Dio nella propria memoria poiché Dio è quel
ricordo che ci sfugge, di cui ogni uomo sente la mancanza, pur non riconoscendolo: sulla base di
questo Agostino distingue un uomo sulla retta via da uno sulla cattiva strada. Infatti per Agostino
cercare Dio significa cercare quella felicità che ogni uomo cerca senza saperla definire: ecco perché
solo chi è consapevole di star cercando Dio per realizzare la propria felicità ha imboccato la giusta
strada. Chi pensa di raggiungere altre felicità sbaglia. La felicità che Dio consente a chi lo ama e lo
cerca consapevolmente è però anche la più ardua da raggiungere: ardua in senso morale e
psicologico, poiché Dio rivela l’uomo a se stesso, lo obbliga a porsi di fronte a tutti i suoi difetti e
peccati e quindi a confrontarsi con se stesso. Proprio questo è il motivo per cui la maggior parte
degli uomini fa finta di non accorgersi del richiamo di Dio.
Riguardo a questa particolare e fondamentale reminiscenza, Ricoeur esplica bene il pensiero di
Agostino: “Qui trovare significa ritrovare e ritrovare significa riconoscere,e riconoscere significa
approvare,dunque giudicare che la cosa ritrovata è proprio la medesima cosa che veniva cercata, e
dunque ritenuta a posteriori obliata”4.
Riconoscersi in Dio per cui è riconoscere se stessi e compiere questo viaggio di ricerca è tanto
difficile quanto di pieno godimento.
Per riassumere, Agostino fa coincidere Dio con felicità e con verità, e definisce questa triade sia
come verità che genera odio in quanto percorso astioso per l’uomo sia come unico gaudio della vita
umana, lo scopo ultimo. L’uomo cerca la felicità perché già la conosce, già l’ha provata, dal
momento che non si può cercare ciò che non si è conosciuto: questa è la tesi su cui Agostino fonda
l’affermazione che Dio sia l’unico a conoscere ogni uomo e a chiamarlo a sé continuamente in
nome dell’amore.
Inizia poi, concluso il discorso sulla reminiscenza, una parte in cui Agostino descrive le presenti
condizioni del suo animo. A questo punto del percorso, a preoccupare Agostino è l’inconscio,
ovvero quella parte di se stesso che egli dice uscire da sé di notte, quando la ragione dorme e non è
pronta a provvedere. Il discorso è incentrato sulle tentazioni: l’ultimo passo per staccarsi dalla
mondanità è abbandonare davvero del tutto i desideri del corpo. L’impotenza della razionalità, tesi
basilare della teologia agostiniana, emerge qui chiaramente: “Nessuno può essere continente se tu
non lo concedi”5. La grazia di Dio è il mezzo con cui l’uomo può effettuare il vero salto verso Dio,
da solo egli non ce la può fare, ’intervento divino è necessario. Un’attenzione particolare si posa
anche sul fatto che però la grazia di Dio non è l’unica cosa che Dio dona agli uomini. La
conversione infatti simboleggia prima di tutto, per Agostino, il dialogo con Dio e il continuo
3
Idem, pag. 296
P. Ricoeur, “Percorsi del riconoscimento”, Cortina, pag. 135-136
5
Agostino d’Ippona, Confessioni , pag. 314
4
rinnovamento della loro unione fedele, infatti dice: “..riferisco a te i miei turbamenti, poiché il mio
giudizio su questo punto non è ancora sicuro”6.
Agostino va avanti per alcune pagine descrivendo i vari tipi di tentazioni umane, delineando la vita
dedicata a Dio come difficile proprio perché continuamente soggetta ai richiami da parte delle
tentazioni e della curiosità che cerca anche ciò che sa non esser probabilmente cosa buona.
Particolar rilievo Agostino conferisce alla lode, tentazione dura da combattere, poiché ama essere
lodato. Chiede dunque a Dio scongiurandolo di rivelargli il suo animo in modo da poter interpretare
le lodi e aiutare i suoi fratelli a superare anche questa tentazione.
Nella conclusione Agostino riconosce di aver affrontato questo viaggio attraverso se stesso (e non
ancora concluso) grazie a Dio stesso ed alla forza che gli infonde in cuore man mano che prosegue.
Dio è l’unica sede sicura per l’anima di Agostino, dove egli trova serenità e accoglienza, dove egli
può aprirsi a se stesso ed essere amato da Dio.
6
Idem, pag. 314