Digital Rights Management Nuovi modelli di business e punti

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Digital Rights Management Nuovi modelli di business e punti
Digital Rights Management
Nuovi modelli di business e punti ancora da
risolvere
di Valeria Tonella
In collaborazione con
Destinazione >> ....
Tavola dei contenuti
Premessa ......................................................................................................................... 3
1.
L’inizio della storia: il caso Napster ........................................................................... 5
2.
Le potenzialità del nuovo media digitale ................................................................... 6
3.
Il fenomeno Podcasting: qualche dato del successo ................................................ 9
4.
Copyright, copyleft e open content.......................................................................... 11
5.
Quale formato scegliere? ........................................................................................ 12
6.
La distribuzione dei contenuti sui mobile device ..................................................... 14
7.
La regolamentazione in Italia e in Europa............................................................... 16
8.
Conclusioni.............................................................................................................. 17
9.
Glossario ................................................................................................................. 19
Tavola delle figure
Figura 1 – La catena del valore del media digitale .......................................................... 8
Figura 2 – Evoluzione della diffusione del podcasting: numero utenti........................... 10
Figura 3 – Evoluzione della diffusione del podcasting: numero utenti settimanali ........ 10
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Premessa
Alcuni fatti del mondo virtuale impongono di fare il punto sul tanto dibattuto tema del
Digital Rights Management (DRM, sinonimo per alcuni anche di Digital Restrictions
Management): la banda larga (o almeno abbastanza larga) che sta sempre più
prendendo piede anche in Italia è stata una premessa importante per rendere sostenibili,
in termini di tempo e di continuità del collegamento, download di file di dimensioni
sempre più importanti.
La facilità di diffusione di contenuti, anche in netta violazione ai diritti d’autore, è stata
una delle fasi della rete libera, dove il termine free aveva assunto connotati di vangelo e
di sinonimo con tutto quanto si era via via reso disponibile attraverso Internet. Il
problema inizia a farsi sentire nel 1999, quando nasce Napster, da una semplice idea di
uno studente: scrivere un software per la condivisione di file musicali mp3 tra tutti gli
utenti della rete a livello mondiale. Probabilmente è il programma che ha avuto la
maggior diffusione nella storia dell’informatica. Ma tanto successo aveva una ragione: la
condivisione (e quindi acquisizione) di file musicali a costo zero, con la totale evasione
dei diritti d’autore. Sono le case discografiche e gli artisti autori dei brani la parte lesa,
che non manca di reagire: nel 2001 Napster viene chiusa, ma ormai la cultura del filesharing, attraverso sistemi peer-to-peer, ha preso piede e – fatto più grave – si è ormai
diffusa l’idea, soprattutto tra gli utenti più giovani del patrimonio musicale, che la musica
è una commodity disponibile gratis in rete.
La vicenda di Napster è una pietra miliare nella ricerca di modalità di gestione dei diritti
d’autore nel mondo digitale (il DRM, appunto), che deve tener conto, e quindi tutelare, i
diritti dell’artista, del produttore (non necessariamente una major discografica) e, non da
ultimo, dell’utente finale. Questa puntualizzazione è necessaria, in quanto, con il
proliferare dei supporti per la riproduzione dei brani musicali, chi è legittimato a
riprodurre un brano acquistato, deve poterlo fare sulle diverse piattaforme in suo
possesso (PC, iPod, altri lettori di mp3).
I problemi connessi alla tutela dei diritti degli attori in gioco sono stati oggetto di un
Manifesto1, che ha poi dato origine al Digital Media Project2, una organizzazione senza fini
1
The Digital Media Manifesto, scaricabile dal sito www.chiariglione.org
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di lucro, il cui obiettivo principale è la creazione di linee guida a livello politico e
legislativo da un lato e tecniche e tecnologiche dall’altro lato, per lo sviluppo di modelli di
business sostenibili nella Digital Media Economy.
Secondo la WIPO3, come emerge da uno studio condotto nel 2005:
1) il 10% del materiale scaricato con file sharing è legale, questo significa che la
stragrande maggioranza del materiale scaricato elude i diritti d’autore;
2) le imprese che hanno appoggiato alle tecnologie di file sharing l’offerta di un
valore aggiunto (accordi per il pagamento forfetario di quanto scaricato, pubblicità
commerciale, registrazione a pagamento, ecc.) ne hanno sempre tratto profitto, a
dimostrazione che esistono, già oggi, modelli di business sostenibili nella
distribuzione di contenuti digitali.
Altri dati interessanti sono pubblicati da XTN Data, secondo la quale il file sharing (di file
musicali) in Rete non accenna a diminuire, ma al contrario è in crescita, nonostante le
azioni legali da parte delle major discografiche. Secondo la ricerca, negli USA due
intervistati su tre che condividono illegalmente contenuti soggetti a copyright non
sembrano preoccupati da possibili azioni legali e le 3.500 battaglie vinte nei tribunali
sono un dato significativo, ma molto piccolo rispetto ai 52 milioni di americani (quindi
senza contare il resto del mondo) che utilizza sistemi di condivisione di contenuti in rete.
Sempre secondo la ricerca citata, il 58% degli intervistati ritiene troppo costosi i sistemi
legali di distribuzione di contenuti musicali, mentre la mancanza dei brani ricercati
nell’offerta legale a pagamento è una delle motivazioni per il 43% del campione. Il dato
interessante riguarda un punto critico che dovranno affrontare i nuovi sistemi di DRM: il
41% ritiene infatti troppo complicati e difficili da usare gli attuali sistemi e non mancano
testimonianze in questo senso in blog e chat in rete.
Se la musica è stata al centro dell’attenzione finora per far avanzare lo stato del DRM ed
evolvere un’offerta che finalmente inizia ad essere significativa anche per i contenuti leciti
e a pagamento, lo stesso non vale per i contenuti video, la cui domanda sta crescendo,
ma ai cui bisogni l’offerta stenta ad adeguarsi (anche se le cause intentate da Holliwood
non si sono fatte attendere).
2
http://www.dmpf.org/, contiene tutte le attività fin qui svolte dal Digital Media Project, di
seguito abbreviato come DMP. A tale organizzazione fanno capo oltre 20 aziende a livello
internazionale.
3
World Intellectual Property Organization, Geneva.
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Per quanto riguarda l’Italia, è appena stato pubblicato un dato4 che riguarda il
coinvolgimento del nostro paese nell’inchiesta mondiale sul file sharing: salgono a otto le
nuove azioni penali su utilizzatori illegali dei maggiori sistemi P2P, portando a 126 i
soggetti denunciati dal 2004 ad oggi per violazione della legge sul diritto d’autore tramite
l’utilizzo abusivo di programmi di file sharing.
Obiettivo del presente dossier è di fare il punto della situazione del DRM e del mDRM
(contenuti per la telefonia mobile), attraverso una preliminare definizione del problema,
l’analisi di qualche dato di mercato significativo per inquadrare il fenomeno, i formati ad
oggi disponibili per i brani musicali e l’analisi del modello di business dei due principali
competitor e una panoramica sulla situazione da un punto di vista legislativo.
1. L’inizio della storia: il caso Napster
Napster nasce nel 1999 come servizio di file sharing, creato da uno studente
universitario, Shawn Fanning. Questo programma ha portato alla ribalta il peer-to-peer
fornendo la possibilità di scambiare file in formato MP3 direttamente tra utenti. Il
successo è confermato dai numeri: oltre 60 milioni di utenti hanno utilizzato il servizio
prima che iniziassero le battaglie legali, battaglie scatenate dal fatto che il materiale
condiviso era soggetto a copyright.
Napster è stato il primo strumento di file sharing, specializzato esclusivamente nell’MP3
(a differenza di altri sistemi), che ha reso popolare e noto il file sharing alla massa di
utenti allora ancora potenziali. Proprio le vicende legali, e la conseguente “pubblicità”
attraverso i media, ha contribuito a diffondere rapidamente la conoscenza e ne ha
accelerato la diffusione. Il fatto di archiviare liste (dei sistemi connessi e dei file
disponibili) su server centrali non permette di classificare Napster tra i sistemi peer-topeer puri, come invece è stato per i successori di Napster, Kazaa e Gnutella e questo
fatto ha reso più agevole l’interruzione del servizio attraverso lo spegnimento di un
server centrale.
La possibilità di scaricare brani singoli (invece di acquistare interi CD, molto costosi) e di
compilare CD secondo i propri gusti, sono stati i principali fattori di successo, ma la totale
evasione
dei
diritti
d’autore
ha
sollecitato
le
major
discografiche
a
prendere
provvedimenti seri. Così già nel 1999 prende il via il primo procedimento legale contro
4
IT News del 15 novembre 2005.
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Napster, perso nel 2000. Napster non chiude, ma attraverso un’alleanza con Bertelsmann
(colosso dell’editoria e legato a BMG) trasforma il proprio modello di business,
sviluppando un servizio a pagamento, con un abbonamento a costi ragionevoli, che
avrebbe permesso di pagare le royalty ai titolari dei diritti d’autore. Mancando però un
accordo con le principali case discografiche, il business non si poté sviluppare e nel 2002
si avviò il procedimento fallimentare (il cd chapter 11).
Nel 2003, dopo diverse vicende societarie, Napster rinasce come fornitore di musica a
pagamento (in accordo con quanto prescritto sul diritto d’autore) e con l’obiettivo
strategico di competere con altri fornitori di musica a pagamento, tra cui principalmente
iTunes e emusic. Con il lancio di un abbonamento mensile del valore di 14,95 dollari, che
permette di scaricare un numero illimitato di brani su un numero massimo di 3 PC e un
numero illimitato di lettori mp3 (Napster To Go è la denominazione commerciale),
lanciato a fine 2004, Napster ritenne di poter vincere la sfida, anche perché i file scaricati
da Napster sono compatibili con tutti i device mp3 per la loro riproduzione. Ma i numeri
non sono ancora così favorevoli a Napster: nel 2004 sono circa 5,4 milioni di download
dal sito (ricordiamo però che il lancio avvenne a fine anno), contro i circa 75 milioni di
brani scaricati da iTunes.
Quindi il futuro di Napster appare quanto mai incerto. Raggiungere la massa critica per
rendere sostenibile il modello di business, ancora soggetto alla concorrenza di siti free ai
limiti della legalità, è la sfida. Anche se l’accoglienza di un modello di fruizione dei
contenuti, basato su un canone mensile, ha avuto una buona accettazione da parte dei
principali opinionisti e della stampa statunitense, sarà la prova degli utenti finali a dare
ragione o meno a questa importante evoluzione.
Ma il significato della vicenda va ben al di là dei fatti legali e delle alterne fortune del
servizio: Napster rappresenta i primi passi della storia, che ha scardinato violentemente
le regole distributive tradizionali, rendendo urgente la definizione di modelli innovativi per
la distribuzione dei contenuti attraverso il mezzo digitale.
2. Le potenzialità del nuovo media digitale
L’elemento
principale
che
si
è
modificato
con
l’era
digitale
è
il
legame
contenuto/contenitore, vale a dire: prima del mezzo digitale nessun contenuto poteva
essere agevolmente duplicato in quanto il supporto fisico non ne permetteva una
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riproduzione sufficientemente fedele all’originale tale da produrre copie di valore5. Con il
digitale, il legame tra il contenuto e il supporto fisico che lo racchiude è venuto meno,
mettendo in crisi modelli di business, politiche e inquadramenti legislativi, modificando in
modo radicale i diversi aspetti del problema.
I pricipali modelli di business che si sono affermati a partire da Napster, si sono
dimostrati poco o per nulla profittevoli quando non sono stati portati nei tribunali per
violazioni sulla regolamentazione del diritto d’autore.
La una nuova catena del valore, che si è venuta a creare, non ha ancora trovato
soluzione soddisfacente per i diversi attori che, per diversi aspetti, sono oggetto del
Digital Media Manifesto e del conseguente DMP. I punti chiave (o meglio la vision, come
definita nel documento stesso), del DMP sono:
•
Le tecnologie digitali sono un patrimonio dell’umanità;
•
I creatori, gli intermediari e gli utenti finali devono tutti trarne profitto;
•
Per fare ciò è necessaria una standardizzazione dei protocolli, idonei a supportare le
funzioni che ciascun attore esercita all’interno della catena del valore.
Ne consegue che la Digital Media Experience deve diventare globale ed essere migliorata
a tutti i livelli.
Pare a questo punto necessario fornire una definizione di DRM, per la quale si riprende
quanto indicato dal NIST6: “il DRM è un sistema di componenti e servizi IT, unitamente a
leggi, politiche e modelli di business coerenti, che si adoperano per distribuire e
controllare la proprietà intellettuale e i diritti connessi”.
Nella figura di seguito è rappresentata la catena del valore del media digitale. Come si
vede, non vi sono solamente processi lineari, ma in alcune fasi l’attore ha la possibilità di
intervenire con modificazioni relative alla creazione, alla distribuzione, alla aggregazione
e infine alla fruizione dei contenuti. Ciascuna di queste fasi risulta particolarmente critica,
e pertanto va regolamentata da regole chiare e condivise, e di semplice applicazione per
l’utente finale.
5
Il primo caso “analogo” si ebbe con la tecnologia Betamax, per la riproduzione di contenuti
video su cassetta, per una fruizione differita dei contenuti. La sentenza, in quel caso, fu
favorevole a Betamax, e portò ad uno sviluppo importante del settore, anche in termini di
fatturati per tutti gli autori coinvolti. Alla base della sentenza c’era il concetto di fair use, vale a
dire l’uso consentito senza violare i diritti d’autore, per la riproduzione domestica e senza fini
di lucro.
6
NIST: National Institute for Standard and Technology, www.nist.gov.
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Il creatore di contenuti deve infatti definire a quali condizioni concedere la propria opera
e quali azioni sono consentite a fronte del riconoscimento di quali diritti.
Il fornitore di contenuti deve aggregare un’offerta coerente, sia per modalità di fruizione,
sia per standard di accesso. Il distributore poi funge da puro intermediario, rendendo
accessibile i contenuti agli utenti finali a fronte della gestione dei diritti derivanti dal tipo
di utilizzo concordato con i fornitori e dell’effettiva fruizione da parte dei clienti.
Figura 1 – La catena del valore del media digitale
Fonte: DMP – Architecture, 2005
Ultimo anello della catena è il consumatore finale, la cui fruizione di una digital media
experience dipende dalla semplicità di accesso ai contenuti e dalle diverse modalità
attraverso le quali potrà suonare (nel caso di brani musicali) i brani scaricati su diversi
strumenti (PC, lettori mp3).
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3. Il fenomeno Podcasting: qualche dato del successo
Il termine "podcasting" nasce dalle parole "iPod" (il popolare riproduttore di mp3 di
Apple) e "broadcasting"7. Un podcast è molto simile alla sottoscrizione di un magazine
audio: l'abbonato riceve regolarmente programmi audio trasmessi via internet, e può
ascoltarli nelle modalità che preferisce.
Monitorare lo sviluppo del podcasting è certamente uno dei modi più significativi per
comprendere l’evoluzione del fenomeno della fruizione di contenuti digitali (in particolare
di quelli a pagamento).
Secondo un recentissimo studio8 condotto da una società specializzata nelle rilevazioni
dell’audience radiofonica, il podcasting sta vivendo uno sviluppo straordinario, con circa 5
milioni di persone che hanno scaricato almeno un brano musicale nel corso del 2005, con
una crescita esponenziale rispetto al 2004, quando i download sono stati 820mila. Tra i
portali, è iTunes quello che registra il maggior numero di accessi e download, con oltre
75 milioni di brani scaricati nel 2004.
Sempre secondo le previsioni di Bridge Ratings, la crescita del podcasting sarà sempre
più sostenuta, in seguito alla rapida accettazione delle nuove tecnologie digitali da parte
delle emittenti radio e della diffusione di iTunes di Apple. Come illustrato nelle figure di
seguito, le previsioni indicano una audience tra i 45 e i 75 milioni di utenti nel 2010, dei
quali circa 18 milioni utilizzeranno il servizio con frequenza settimanale. Ad oggi, infatti,
gli utenti che scaricano e ascoltano podcast con frequenza almeno settimanale sono circa
il 20%, con un download medio di sei brani a settimana e un tempo medio di ascolto di 4
ore. Sempre secondo i risultati dell’analisi citata, meno del 20% ascolta i brani scaricati
su un lettore MP3.
7
Benché l'iPod sia probabilmente il player mp3 scelto da molti dei primi utilizzatori del
podcasting, non è necessario utilizzarlo per usufruire di questo metodo di distribuzione di
contenuti. Per l'ascolto, infatti, è sufficiente disporre di un qualsiasi apparecchio (lettore mp3,
telefonino, palmare...) in grado di riprodurre questi file audio. Il podcasting è funzionalmente
simile ai videoregistratori digitali capaci di registrare contenuti per una visione successiva.
8
Fonte: studio realizzato da Bridge Ratings sulla base di 10 mercati radiofonici regionali negli
USA, pubblicato il 12 novembre 2005 su www.bridgeratings.com.
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Figura 2 – Evoluzione della diffusione del podcasting: numero utenti
Fonte: Bridge Ratings & Research2005
Figura 3 – Evoluzione della diffusione del podcasting: numero utenti
settimanali
Fonte: Bridge Ratings & Research 2005
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Altri dati che confermano il trend positivo del podcasting vengono da Forrester Research:
secondo un recente studio sul “Future of Digital Audio”9 negli Stati Uniti saranno 12,3
milioni i nuclei famigliari che faranno uso di lettori MP3 per ascoltare i podcast audio nel
2010 e oltre 20 milioni (di famiglie) ascolteranno canali radio digitali.
Per quanto riguarda i modelli di business, Forrester Research prevede che si
diffonderanno modelli basati sulla sottoscrizione di abbonamenti, sulla scia di quanto
avviato da Napster (si veda il box dedicato), podcast on-demand e, per i canali radio, la
definizione di strategie di comunicazione targettizzate, che uniscano il canale online e la
tradizionale trasmissione via etere. In particolare, le radio online raggiungeranno una
penetrazione del 30% delle famiglie americane, pari a circa il 50% di quelle che sono
collegate con la banda larga, mentre le radio via satellite hanno registrato una crescita
del 150% nel numero di abbonati tra il 2003 e il 2004, raggiungendo, negli USA, i 4,5
milioni di utenti paganti. Per mantenere tassi di crescita sostenuti, e raggiungere l’85%
degli utenti nei prossimi 5 anni, dovranno essere adottate attente politiche di pricing e di
comunicazione.
4. Copyright, copyleft e open content
Dopo il fenomeno di Linux, la prassi dell’open source si sta diffondendo anche ai
contenuti disponibili in particolare attraverso la rete. Si sente parlare sempre più spesso
di termini come copyright, copyleft, pubblico dominio, movimento open access. E spesso
tali termini vengono confusi e usati in maniera impropria. Il copyleft riguarda la sfera dei
diritti economici ed è contrapposto al copyright che riguarda la tutela delle opere. Il
pubblico dominio si riferisce invece a quei lavori fuori tutela, o a quei lavori i cui diritti
sono scaduti; per tale ragione il pubblico dominio non va confuso con il copyleft. L'Open
Access riguarda in particolare il mondo della comunicazione scientifica ed è un
movimento che mira a esplorare nuovi modi di comunicare la conoscenza attraverso
"archivi aperti" e nuovi modelli di editoria elettronica detta anche essa "aperta
9
Fonte: Forrester Research, Press Release del 12 aprile 2005.
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L’esempio più eclatante di open content è wikipedia.com10, l’enciclopedia libera a cui
contribuiscono su base gratuita e volontaria decine di migliaia di persone in tutto il
mondo e dalla quale si è attinta proprio la definizione di open content – contenuto aperto.
Il termine open content è stato coniato in analogia con l’open source del mondo del
software a sorgente aperto, e descrive ogni tipo di contenuto (testuale, fotografico, audio
e video) che venga pubblicato in formati che esplicitamente ne consentano la copia, o
meglio l’uso del contenuto per ogni scopo, copiarlo, modificarlo e ridistribuire versioni
modificate. I contenuti possono essere di dominio pubblico, oppure sottoposti a licenza
simile a quella di GNU Free Documentation Licence. Open Content identifica anche un
contenuto che può essere modificato da chiunque. Anche nel caso di open content, però,
l’autore ha diritto di decidere quali interventi possono essere fatti e a quali condizioni, La
condizione più frequentemente posta riguarda l’output di ulteriori “sviluppi” su materiale
open: questo deve comunque restare open e non può essere venduto11.
Per quanto riguarda la musica, il sito www.omsonline.com, open source music, promette
di essere online a breve, ma già sono state indicate le linee guida concernenti l’utilizzo, la
modifica e la riproduzione di ogni contenuto open source.
5. Quale formato scegliere?
Ad oggi un consumatore che deve scegliere il formato in cui scaricare i contenuti digitali
(in particolare contenuti audio) si trova di fronte ad alcune scelte e – purtroppo – a livelli
di compatibilità che non ne garantiscono una user experience soddisfacente.
I due casi più emblematici, ad oggi, sono iTunes e – ancora – Napster:
•
iTunes Music Store, il leader di settore, offre ai propri clienti la possibilità di
acquistare per $1 un brano musicale, che può essere masterizzato su CD infinite
10
Wikipedia è un’enciclopedia online a contenuto libero, redatta in modo collaborativo da
volontari e sostenuta dalla Wikimedia Foundation, un'organizzazione no-profit creata grazie ai
contributi collaborativi multilingue. Il sito è un “wiki” (dall’hawaiano: veloce, rapido, ma anche
accelerare), ma che in realtà significa che ognuno può inserire nuovi contributi semplicemente
ciccando il link “modifica” all’interno delle singole pagine.
11
I criteri sottostanti la open content licence sono disponibili sul web all’indirizzo
http://opencontent.org/opl.shtml, anche se esistono altri tipi di licenza per i contenuti aperti.
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volte, ma che non è compatibile con molti device diversi dall’iPods, per il quale AAC è
il formato nativo: iPod inoltre è l’unico in grado di leggere file protetti.
La licenza di iTunes Music Store (iTMS) per la gestione del DRM è FairPlay. FairPlay
consente all’utente, verso il pagamento di $ 0,99 per brano musicale scaricato, di
copiarlo sull’iPod senza limitazioni di volte, mentre i brani possono essere suonati su
un massimo di cinque PC autorizzati (in origine erano tre) e masterizzati su CD senza
limitazioni.
Il processo di fruizione dei brani tramite FairPlay, per ascoltarli da PC, risulta poi
particolarmente complicato, perché ogni brano acquistato deve essere abilitato su
quello specifico PC, che dovrà poi essere disabilitato nel momento in cui intendo
utilizzarne un altro.
•
Un modello di diffusione differente è rappresentato da Napster: a fronte di un
abbonamento mensile, l’utente ha l’accesso ad una libreria di brani con la possibilità
di ascoltare un numero illimitato di brani (oltre un milione). Tale accesso è
subordinato al pagamento del canone mensile (9,95$), per cui – appena interrompo i
pagamenti – perdo i diritti di ascoltare la musica. L’utente inoltre deve pagare un
supplemento di 5$ mensili per poter ascoltare i brani musicali su device mobili
(diversi dal PC). Inoltre un importo di 0,99$ è richiesto per poter salvare su CD i
brani scaricati. E – non ultimo – i brani scaricati attraverso Napster non possono
essere suonati sull’iPod (per una precisa scelta di Apple). La complicazione del
modello sta nell’aggiornare mensilmente i device mobili, per fornire i dati relativi al
pagamento del successivo canone.
Al di là del fornitore dal quale posso acquistare il brano da suonare, i formati più diffusi
sono e rimangono tre: MP3, AAC (Advanced Audio Coding) e WMA (Windows Media
Audio). Il tema di fondo, che riguarda lo standard che si affermerà in futuro, è che
ciascuno produttore di hardware (e del relativo software) deve acquistare la licenza dai
possessori della tecnologia.
MP3 ad oggi è il formato più ampiamente compatibile: ad eccezione di qualche Sony, tutti
i lettori sono in grado di riconoscerlo. iPod legge anche AAC, un numero rilevante di altri
lettori è in grado di gestire sia il WMA, sia l’MP3.
Oltre al formato, che tende a legare il fornitore di contenuti a quello di hardware, non
sempre i diritti acquisiti presso un fornitore sono paragonabili a quelli offerti da altri (si
veda, per tutti, il confronto tra Napster e iTunes).
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La conseguenza è che ancora manca quella user experience auspicata dal Digital Media
Manifesto e da altri sostenitori di una politica e un insieme di standard tecnologici chiari e
di facile utilizzo, che permettano una effettiva tutela dei diritti di tutte le parti in causa.
La gestione dei diritti digitali è quindi anche una battaglia per il predominio di uno
standard e quindi per l’affermarsi di un nuovo “monopolio” che potrebbe venirsi a creare
quanto uno degli standard si dovesse imporre sugli altri.
6. La distribuzione dei contenuti sui mobile device
Un altro aspetto della distribuzione dei contenuti riguarda il mondo della telefonia mobile.
Stime sulla dimensione del mercato del mobile entertainment indicano una previsione di
circa 37 miliardi di dollari nel 2010, un valore che si potrà realizzare se si troveranno
anche qui i giusti modi di tutela dei diritti d’autore12. Anche il mondo dei contenuti per la
telefonia mobile si sta interrogando su quali siano le soluzioni migliori e quale una
corretta definizione del problema. Dato importante è il numero di device per la telefonia
cellulare attuali e futuri: se oggi si stima in un miliardo il numero di apparecchi
funzionanti, le previsioni per il futuro indicano un raddoppio nei prossimi 3-4 anni.
Nel luglio 2005, il MEF13 ha pubblicato un White Paper che vuole essere la guida per il
mobile Digital Rights Management (mDRM), del quale si riportano i punti principali, per
evidenziare come l’industria dell’intrattenimento attraverso il telefono cellulare – ormai
sempre di più potente e sofisticato strumento che incorpora tecnologie relative a musica,
fotografia, TV, giochi e PC – stia operando per garantire la Digital Customer Experience,
nel rispetto e valorizzando i diritti di tutti gli attori coinvolti.
Il principio base, enunciato nel citato documento, riguarda la tutela dei diritti d’autore
come premessa per poter offrire contenuti di qualità secondo modelli sostenibili per tutti
gli attori lungo la catena del valore e vede nel mDRM l’abilitatore per lo sviluppo di tali
assunti.
12
Stime di Informa Telecoms & Media a livello globale.
13
Mobile Entertainment Forum, che rappresenta i leader nell’entertainment mobile, tra cui
numerosi operatori di telefonia mobile.
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Il MEF14 favorisce l’adozione di standard non proprietari, che garantiscano al consumatore
il cd fair use e l’interoperabilità sui diversi device, e che favoriscano lo sviluppo di
un’industria di produzione dei contenuti sana e vitale.
Il primo punto del libro bianco riguarda il significato del mDRM per i proprietari dei
contenuti e per i distributori: una direttiva per la gestione dei diritti digitali è il
presupposto per lo sviluppo di contenuti di qualità, per i quali il consumatore sarà
disposto a pagare e dai quali deriveranno redditi soddisfacenti per le parti in gioco. La
disponibilità di contenuti di qualità sarà poi una fonte di reddito addizionale per l’offerta e
agirà positivamente sulla fedeltà del cliente al proprio fornitore di telefonia mobile.
Il secondo punto motiva la necessità di un mDRM: anche qui, come visto in generale
per i contenuti digitali, viene riconosciuto il diritto dell’autore di sfruttare le proprie opere
per averne un beneficio e del distributore a vedersi remunerato per un accesso legale ai
contenuti. Questo è fondamentale per fugare i timori che la telefonia diventi il prossimo
canale per un file sharing illegale e per la distribuzione incontrollata di materiali protetti
da diritti d’autore.
Gli obiettivi principali del mDRM (punto 3) riguardano due aspetti chiave del mercato
dei contenuti mobili:
•
La protezione del valore del contenuto, attraverso la creazione di un ambiente
operativo idoneo, che non esponga il contenuto stesso a possibili attacchi che
potrebbero comprometterne il valore. Questo implica la presenza di reti e di
apparecchi che non siano facilmente attaccabili (aspetto tecnologico, sia hardware sia
software).
•
La massimizzazione del valore del contenuto, da un punto di vista commerciale.
Entrano perciò in gioco fattori di marketing per la massimizzazione dei profitti
attraverso un corretto pricing, il raggiungimento di determinati volumi di vendita e
politiche di accesso e fruizione dei contenuti-
Ma nei fatti, che cosa è stato finora raggiunto? Il capitolo 4 del libro bianco fa il punto
della situazione: la Open Mobile Alliance (OMA), un organismo incaricato di definire gli
standard tecnici per apparecchi e reti delle generazioni attuali e future, ha sviluppato
una serie di standard conosciuti come OMA DRM versione 1 e 2. La versione 1 è oggi
installata sulla maggior parte dei telefoni cellulari, mentre la versione 2, che offre livelli di
sicurezza superiori e caratteristiche più avanzate per sviluppare nuovi modelli di business
14
Vedi nota 8.
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di distribuzione dei contenuti, è stata approvata nel luglio 2004 e sarà immessa sul
mercato in un futuro prossimo.
Il lavoro da fare sugli standard, anche per quanto riguarda la telefonia mobile, è ancora
molto, a tutti i livelli della catena: dagli operatori di telefonia, che devono implementare
le misure di mDRM, ai produttori di apparecchi, che devono decidere quali funzioni
supportare e quali ignorare, ai proprietari dei contenuti stessi, che devono decidere il
livello di protezione da applicarsi a quale contenuto, a quali condizioni e a quale costo
cederlo, fino ai fornitori di tecnologie di mDRM, che permetteranno di accelerare lo
sviluppo dei mobile content.
Chi ci guadagnerà è sicuramente l’utente finale. Sempre di più emerge da ricerche e
sondaggi la volontà di pagare per contenuti di qualità sul cellulare e altri device
mobili. Una testimonianza viene dai numeri: secondo il MEF il fatturato del mobile
content ha superato quello del download da Internet. L’utente è disposto a pagare a
condizione di ottenere contenuti personalizzati, in tempo reale e nel contesto più adatto.
La consumer experience ne trarrà beneficio, e con essa tutti gli attori nella catena del
valore della produzione e distribuzione dei contenuti mobili, la cui cooperazione è
fondamentale affinché ciò avvenga.
7. La regolamentazione in Italia e in Europa
A livello comunitario è in vigore la Direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 22 maggio 2001, sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e
dei diritti connessi nella società dell'informazione, alla quale si dovrà uniformare anche il
legislatore italiano nel rivedere la legge sui diritto d’autore15. E sulla gestione collettiva
dei diritti è stata pubblicata di recente anche la raccomandazione della Commissione
Europea del 30.9.2005 che inizia ad affrontare il complesso problema della concessione di
licenze in ambito multinazionale per lo sfruttamento dei diritti d’autore e della
competenza per la musica online (ma applicabile anche ad altri contenuti) delle società di
gestione collettiva dei diritti.
15
Legge 22 aprile 1941 n. 633, che necessita di aggiornamenti anche in merito al funzionamento
della SIAE, per la quale è stata recentemente istituita una commissione di studio per adeguarne il
funzionamento alle nuove necessità.
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A livello legislativo, vale la pena di citare brevemente anche la legislazione statunitense,
con la Digital Millenium Copyright Act (DMCA del 2001), per evidenziarne le differenze nel
trattamento dei diritti in particolare del consumatore, attraverso la regolamentazione del
cd fair use, vale a dire i casi in cui la duplicazione di contenuti soggetti a diritto d’autore
è considerata lecita e pertanto ammessa dalle due impostazioni.
Entrambe le norme hanno stabilito un equilibrio tra gli interessi contrapposti dei titolari
dei diritti e degli utilizzatori dei contenuti e ne è derivata nei due casi una legislazione che
punisce le infrazioni al sistema di DRM. Negli Stati Uniti, non sono considerate violazioni
del diritto d’autore gli utilizzi di contenuti per finalità connesse alla critica, commento e
reportage, nonché l’utilizzo a fini didattici. In maniera differente si comporta il legislatore
Europeo, che fornisce una lista di circostanze nelle quali il titolare dei diritti non può farsi
valere. Nella maggior parte dei paesi sono previste le eccezioni seguenti: copie private o
altro utilizzo privato, citazioni, utilizzo di un contenuto per scopi scientifici ed educativi,
diffusione dell’informazione16.
8. Conclusioni
Il tema del DRM e del mDRM è ancora lontano da una soluzione, in relazione ai diversi
aspetti normativi e tecnologici che sono coinvolti.
Le potenzialità del mercato digitale – e ancor di più di una corretta gestione dei diritti
d’autore attraverso media che non richiedono la materialità dei supporti e pertanto
riducono notevolmente i costi di accesso al pubblico di potenziali clienti – non sono
ancora sfruttate appieno: si pensi alla possibilità di diffondere opere autoprodotte, con la
possibilità di trarne un reddito, anche per utenti non professionisti, come in parte sta
avvenendo con l’utilizzo dei blog.
È chiaro che una regolamentazione precisa e puntuale, unita ad infrastrutture
tecnologiche
che permettano una corretta gestione e tutela dei diritti d’autore, potrà
andare solamente a vantaggio del consumatore finale, che potrà fruire legalmente di
16
Si veda per maggiori dettagli, tra gli altri, il documento “Current Developments In The Field Of
Digital Rights Management” redatto dallo “Standing Committee On Copyright And Related
Rights” - Tenth Session - Geneva, November 3 to 5, 2003 - scaricabile dal sito del WIPO
http://www.wipo.int/meetings/en/doc_details.jsp?doc_id=29478
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numerosi contenuti e sicuramente vedrà incrementarsi nel tempo un’offerta di qualità,
stimolata da modelli di generazione di reddito e pertanto modelli di business sostenibili e
interessanti ai vari livelli della catena.
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9. Glossario
AAC
Advanced Audio Coding. Attualmente il formato Mpeg-2 AAC rappresenta lo stato
dell’arte della codifica audio, superando il più diffuso MP3, ormai considerato obsoleto.
DRM
Digital Rights Management.
MP3
MPEG Layer-3 è uno schema di codifica audio di tipo percettivo che analizza i segnali ed
applica dei modelli piscoacustici, tenendo in considerazione come obbiettivo principale la
conservazione della qualità del suono.
MPEG
Il comitato MPEG (Motion Pictures Experts Group) è stato fondato dall’International
Standardization Organization con il preciso intento di fornire mezzi efficaci per la
memorizzazione ed il trattamento dei dati audio/video.
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Documento reperibile, assieme ad altre monografie, nella sezione Dossier del sito
http://www.sanpaoloimprese.com/
Documento pubblicato su licenza MATE s.r.l.
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