Colui che crede in se stesso vive coi piedi
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Colui che crede in se stesso vive coi piedi
Colui che crede in se stesso vive coi piedi fortemente poggiati sulle nuvole. E. Flaiano L’incidente I nervi tesi allo spasmo avevano gettato Antonio in uno stato di frenesia. Credeva di essere lui a impazzire ormai, dopo quell’assurda, folle serata. Si alzava dal letto e si ricoricava, accendeva una sigaretta dopo l’altra e non smetteva di bere, vuotò la bottiglia di Seagram’s e passò a quella del Ballantine’s. Provando a coordinare i propri pensieri, voleva capire come mai avesse finito per trovarsi con quel gruppo così eterogeneo di persone, con nessuna delle quali sentiva la minima affinità – a parte Sandrine, naturalmente, che quando gli veniva in mente gli portava un attimo di distensione. Ma tutti gli altri! Un ingegnere geloso, probabilmente proprio per questo divenuto psicopatico, un esaltato, e con una moglie bella ma sciocca e frivola, scostumata; e la sorella di lei, intelligente ma dura, irrispettosa di tutto. E poi un giovanotto privo di carattere, salvo essere violento, nei panni ridicoli di un dandy, stupido rampollo di quella società milanese benestante e vacua... Cosa ci stava facendo qui, lui, Antonio Forese, il rispettato ingegnere, in mezzo a quest’accozzaglia di squilibrati? Suonò la sveglia, e Antonio si mise a sedere sul letto, stentando ad alzarsi. Ma quando uscì, singolarmente non dimenticò di passare dal garage a prendere la sacca da golf che aveva promesso a Marisa. Marisa lo aspettava già sotto casa di Sandrine. Aveva anche lei i tratti tirati. “Non ti sei nemmeno rasato?” 13 emilio biamonte In macchina, nessuno dei due parlò per i primi dieci minuti, poi fu Marisa a rompere il silenzio. “Antonio, stai tremando, che notte hai passato?” Antonio non rispose. “Io,” continuò Marisa, “non ho quasi dormito, hai notato quanto i miei occhi sono pestati? Neanche il rimmel è servito a qualcosa.” Gli appoggiò la mano sulla gamba ma Antonio reagì con un gesto d’intolleranza, per sottrarsene, e lei la ritirò. “Ma ce l’hai anche con me, adesso? Guarda che sei tu ad avermi mollata... per quella brace coperta di mia sorella. E sei tu a fare l’offeso?” “Sta’ zitta,” urlò Antonio, spaventandola. E, gridando più forte: “Ti rendi conto che fino a quando non mi hai telefonato a Roma la prima volta, io stavo benissimo? E adesso fai tu la commedia...” “Stavi benissimo, ma poi una bella scopata non l’hai mai rifiutata, anzi, l’hai cercata correndomi dietro con la lingua fuori, come un cane... Attento!” urlò Marisa. “E calmati, o andiamo a sbattere contro un muro. Vittorio è impazzito, d’accordo, ma anche tu non scherzi.” “E tu chiudi la bocca se devi blaterare con la lingua di una sgualdrina da bassifondi.” Non si parlarono più fino al parcheggio del golf. Antonio scaricò la sacca delle mazze, la fissò al carrello, e disse seccamente a Marisa: “Ora cammina fino in fondo al sentiero, lì chiedi dov’è il percorso scuola. E per tornare, chiamati un taxi.” Marisa era pronta a piangere, ma obbedì e Antonio la seguì con lo sguardo. Cercando di calmare i propri nervi e di dimenticare la profonda infelicità che lo invadeva, camminò su e giù per il parcheggio, quasi vuoto in quella mattina di un giorno lavorativo, e con il tempo grigio che si stava ulteriormente guastando. Voleva ragionare, ma i pensieri gli si accavallavano nella testa, una testa eccitata, 14 l’ingegner antonio fuori controllo, da non sapere nemmeno più dove fosse. Per quanto tempo rimase lì, mentre provava inutilmente a ritrovare un minimo di equilibrio, di logica? Glielo avrebbero chiesto poco dopo, ma non avrebbe saputo rispondere. “Salve! Si ricorda di me? Ci siamo già visti, con Sandrine. È qui anche lei?” Antonio si scosse, si girò e, nonostante il proprio stato, e sebbene avesse visto quella persona una sola volta, parecchio tempo prima, la riconobbe e ne ricordò perfino il nome. Era Michel Tertullian. Non gli rispose nemmeno, si rimise subito in macchina e partì accelerando rumorosamente. Uscendo dal parcheggio, con una fine pioggerellina che cominciava a cadere, rialzò il vetro e accese la radio. C’era ancora la registrazione che stava ascoltando il giorno prima, e spinse a pieno volume quella voce tanto dolce, che ora diceva... es dunkelt schon die Luft... e l’aria diventa più scura. Un presagio? Prendendo la direzione di Ginevra accelerò ancora, era come se cercasse di scaricare i propri nervi spingendoli tutti contro il pedale del gas. Sull’incrocio, a un centinaio di metri dal posto di dogana, sopraggiungeva un camion del CERN proveniente da Meyrin. Era diretto al sito sperimentale dell’acceleratore, quello detto Area Nord, e l’autista allargò un po’ per prendere a destra in direzione di Prevessin. A quella velocità, con l’asfalto già scuro e luccicante di umidità, Antonio, annebbiato dalla stanchezza, dall’alcol e dalla concitazione, non riuscì ad evitarlo. Lo schianto fece sbandare su un fianco la spider, che andò a urtare contro un albero sul bordo della strada e, fatto un mezzo giro, cessò finalmente la sua corsa nel campo adiacente. Mezz’ora più tardi, sul tratto parzialmente ostruito dal camion coinvolto nell’incidente, si era formata una lunga colonna di macchine. Due auto con luce lampeggiante sostavano ai lati opposti dell’incrocio, e alcuni poliziotti 15 emilio biamonte segnalavano agli automobilisti come avanzare. Antonio era già stato portato, incosciente, alla clinica La Tour, dal lato svizzero poco oltre la frontiera. Era miracolosamente in vita, e la visita medica confermò che non c’erano ferite gravi, solo qualche escoriazione. Ma era nettamente in stato confusionale e gli fu misurato nel sangue un tasso alcolico anormalmente elevato. La polizia non fu autorizzata dai medici a parlargli fino al giorno seguente, e di domande ne avrebbe avute parecchie. Nel frattempo, infatti, era stata informata di un altro evento, un fatto di sangue apparentemente connesso all’incidente. Questo è, in forma abbreviata, il contenuto del rapporto che la polizia francese aveva trasmesso a quella svizzera, all’inizio del pomeriggio dello stesso giorno: Intorno alle ore 10:30 di oggi, mercoledì 16 giugno 1982, sul percorso scuola di golf del Club Avenir a SaintGenis Pouilly (Dipartimento dell’Ain), il signor Michel Tertullian, cittadino francese di anni 28 residente a Bellegarde s. Valserine (Dipartimento dell’Ain) ha scoperto, casualmente a suo dire, il corpo inanimato di una donna occultato dal fogliame di alcuni arbusti sul lato destro del fairway, a un centinaio di metri dal tee di partenza della buca n. 3. I primi rilievi hanno evidenziato una profonda ferita da oggetto contundente alla nuca della vittima, il cui viso era sfigurato. La donna vestiva pantaloni gialli, maglia verde pastello attillata e scarpe da città bianche con rifiniture in coccodrillo. I documenti contenuti nella borsetta che la vittima portava a tracolla hanno permesso di identificarla come Marisa Marini, cittadina italiana di anni 42, coniugata, residente a Milano. A venti metri circa dal luogo del ritrovamento, si trovava un carrello con sacca da golf, dalla quale mancava il 16 l’ingegner antonio ferro n. 5, poco dopo recuperato dal fondo melmoso dello stagno adiacente. Sulla sacca, una targhetta d’identificazione portava il nome dell’Ing. Antonio Forese, cittadino svizzero di origine italiana, di anni 45, celibe, residente a Ginevra. A seguito del ritrovamento del cadavere, il signor Tertullian era stato interrogato per quasi due ore dalla polizia francese, senza che emergessero elementi probatori di un suo coinvolgimento. Nelle stesse ore, non avendo indicazioni che permettessero d’informare del suo ricovero la famiglia di Antonio, l’ufficio della clinica telefonò alla M&E, la sua vecchia società ancora scritta nei documenti che portava su di sé, ma non risultò che avesse alcun parente in Svizzera – anzi, la segretaria di direzione Françoise tenne a precisare, con una punta di malignità, che di famiglia l’ingegnere non aveva mai parlato, come se questa non fosse per lui di alcun interesse. La notizia dell’incidente fece il giro degli uffici alla velocità di un lampo, e Sandrine, agitata, prese la borsetta e corse alla sua Mini. Un quarto d’ora dopo era a La Tour, ma non le permisero di parlare con Antonio. La polizia francese aveva invece cercato di raggiungere il marito della vittima al suo ufficio di Milano: non c’era, spiegarono che si trovava a Ginevra da alcuni giorni ma che doveva essere già ripartito, avrebbe dovuto essere di ritorno da un momento all’altro. 17