RACCONTI PICCOLE STORIE DI VIOLENZA URBANA Città.

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RACCONTI PICCOLE STORIE DI VIOLENZA URBANA Città.
RACCONTI
PICCOLE STORIE DI VIOLENZA URBANA
Città.
Triste, fuggitiva.
Una giornata bigia, scivolava via, scorrendo viscida sulla pelle. Il selciato
umido, intriso di millenarie inutili presenze, trasudava la malinconia
autunnale o forse soltanto la puzza di fogna e gli escrementi di cane.
Volgarmente bella, eccitante, imprevedibile.
Un ammasso d’affascinanti assurdità, ove uomini insulsi e macchine
rumorose si contorcono indistinti alla ricerca di spazio, di aria per
respirare. È un formicaio: c’è un interstizio per tutti e dignità per
nessuno.
M. era uno di loro, uno qualsiasi, senza storia. Uno perbene, come tutti del
resto...
Fin dal mattino una sensazione di malessere: indefinita, scomoda,
irritante, appiccicosa. Come la pioggia nelle grandi città che fa sempre
schifo. Era un sentimento sporco, lurido come le frustrazioni accumulate
giorno dopo giorno, anno dopo anno.
Neppure masturbarsi in bagno era servito: stessa ansia, stessa fobia,
stessa angoscia, anche dopo.
Meglio starsene a casa! A non far niente.
Gli capitava sempre più spesso. Passare il tempo a menarsi il cazzo; in tutti
i sensi.
Primo pomeriggio.
La televisione blaterava da circa cinque ore, programmi insulsi, pubblicità
idiote, veline stupide e seminude, politici bugiardi.
È la melma oscura della banalità. Niente di nuovo. Come tutti i giorni.
DVD visti e rivisti, una noia opprimente che neppure le sigarette
mandavano in fumo.
Vestirsi, uscire, incontrare gli amici. E poi?
Sempre i soliti discorsi, le solite stronzate, la solita scoglionatura...
No, oggi no! Giù per strada, con la morsa della monotonia che lo tallonava.
Il respiro breve, affannato. Giocare a calcio con l’immondizia, abbondante
ovunque in quel cesso di posto.
Che bella città la sua!
©
Sabrina Caregnato
www.sabrinacaregnato.com
Come tutte le città del mondo. Alienante. Arida. Anonima.
M. si blocca. Ancora quel sentimento di nausea, vago, confuso. E poi la
pioggia: fastidiosa, lubrica, che ti entra dappertutto, anche nelle mutande.
M. si siede e sputa. Forse ha la febbre, forse no.
Si guarda attorno. La piazza gremita dai soliti turisti.
Troppi! Colori, voci, fotografie, gli immancabili finti sorrisi! Che schifo!
Dentro di se la voglia di prendere tutti a calci.
Fuori dai coglioni, teste di cazzo! Tornatevene a casa vostra! Stranieri di
merda.
Un “vu cumprà” si avvicina: “Amico.. Amico regalo..”, M. si alza di scatto e
lo spinge via “Negro di merda!” gli dice, o forse lo pensa soltanto. Ma lo
pensa talmente forte che le parole gli esplodono in testa.
Sta di nuovo male: un’indisposizione... un bisogno indistinto che gli rode il
cervello e gli cola addosso. Piano piano scende, vizioso. Come una serpe che
gli si annida propio lì, fra le gambe.
M. sorride, l’idea gli piace. Gode. Già, in mezzo a tutti. Nessuno gli fa caso:
tanto in città c’è posto per tutti. Per tutti sei un niente, un ostacolo a quel
sordido brulicame, un germe invisibile ma sempre in agguato.
Bella città! Ci facciamo tutti i cazzi nostri... tranne i rompicoglioni
ovviamente, quelli che stanno sempre a chiedere qualcosa. Loro stanno
sempre tra le balle: vischiosi, inutili, deiezioni di un mondo minore.
M. è eccitato, gli si è indurito di colpo. Pensa alla sua donna: i suoi capelli,
quel profumo, seni un po’ flosci e una fica umida...
Ha voglia di farsela ma non sa amarla. Stringe i denti: il suo cuore è
impazzito, le mani irrigidite, un risucchio nella testa.
M. si alza di scatto e barcolla: c’è qualcosa di estraneo fra le sue gambe.
Una bisogna maligna e insidiosa che deve sfogarsi.
M. cammina a occhi bassi, rasentando i muri grigi, poi intravede due
ginocchia. Calze in lana nera, stivali. Come un ratto alza il muso e annusa.
Una bestia affamata, inferocita... in città se ne nascondono tante, stanno
in agguato nei meandri del male.
M. è una persona per bene, insospettabile. Giubbotto firmato, jeans di
marca. La ragazza non ha paura né dubbi. Lo ha visto: uno normale. Lei va
per la sua strada che magari sta per finire dietro l’angolo. Il cul-de-sac
dell’esistenza!
M. l’abborda. Una domanda banale, educata, logica, squarcia la nebbia delle
assurdità. “Scusi..” Esitazione, poi l’afferra.
La violenza gli viene facile; improvvisamente ci pensa, ma è tardi gli è già
sopra.
Un vicolo cieco, come i passanti, come il futuro.
©
Sabrina Caregnato
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Vigliacco!
Un urlo: schegge impazzite nel suo cervello. Non ascolta. M. gode
tuffandosi in quegli occhi vicini, profondi, increduli come il terrore.
Non lo fare!
M. non vuole coscienza: una pianta d’ortiche che gli brucia dentro, che gli
riempie la gola di spine. No, non la vuole! Con la mano la stritola, la sbatte
sul selciato, la pesta. Non vuole sentirla.
Taci! Taci!
Intanto lei si dibatte, scalcia, graffia. Il dolore non fa che eccitarlo di più.
I suoi sensi urlano inebriati. L’altra mano corre veloce. Vorrebbe
strapparle l’anima oltre ai vestiti, alla pelle, all’innocenza. La tensione tra
le sue gambe è insostenibile. Ma M. aspetta: un’attesa perversa. La fruga,
la spoglia, la guarda. Pochi attimi; la serpe è libera, corre, morde. M.
l’affonda sempre più dentro, sempre più rapidamente. Così il suo orgasmo
è più intenso e si sente finalmente uomo. Lei però non capisce, lotta
ancora.
Stà ferma troia!
L’ultimo sforzo si coagula in uno spasmo che lo fa irrigidire. Un collo
giovane, liscio, sottile e fragile. Lo stringe ed è finita.
Sul selciato: merda, cartaccie e silenzio. Nient’altro.
M. però vede una faccia contratta, sangue, membra contorte. Due occhi
immobili, vitrei... Rumori, gorgogli confusi, ossessioni. Il fiato fetido della
città lo investe.
“Scusi?... Scusi non sta bene..?” M. la guarda, rimette a fuoco la realtà.
Tutto come prima! Lei è lì. Fresca, pulita, lo guarda preoccupata.
L’incubo tace, la bestia si è assopita, svanita nei meandri del male.
“Ha bisogno d’aiuto?” Una voce sconosciuta, dimenticata, cassata dai
ricordi.
Non mi aiutare! Ti prego vattene!
M. piange. La testa fra le mani, piange. Si sente prigioniero e piange.
Il vuoto dentro...
M. vorrebbe scappare, ma la città è troppo grande: un labirinto senza
uscite in cui si è perso molto tempo fa.
Non si può fuggire dal nulla.
M. si allontana. Fa un cenno con la mano e si allontana. La ragazza lo guarda
stupita: un’ipotesi di pietà, un’unica smorfia di sconcerto sulle labbra. Poi
sparisce anche lei.
Lontano ormai, più lontanto degli angoli proibiti della memoria. Quella che
più nessuno sa capire.
©
Sabrina Caregnato
www.sabrinacaregnato.com