Leggi la nostra dispensa

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Leggi la nostra dispensa
Conoscere per scegliere.
Strategie per scelte alimentari consapevoli
Giusi D’Urso, Biologa Nutrizionista
www.giusidurso.it
18 aprile 2013
ISTITUTO COMPRENSIVO
Scuola dell’Infanzia, Primaria e Secondaria di I°
“I. O. Griselli” - Montescudaio (PI)
Via Roma, 55 - 56040 MONTESCUDAIO (PI)
Introduzione
L’epoca in cui stiamo vivendo ci pone quotidianamente di fronte a scelte complesse
che richiedono agilità intellettiva ed accesso alla corretta informazione. La scelta
alimentare, però, rimane al margine della vita frenetica e carente di tempo. Come se
fosse quasi superflua, come se si potesse prescindere dall’attenzione a ciò che
portiamo a tavola ogni giorno.
Sappiamo da molto tempo che “Siamo quello che mangiamo” e che, quindi, il cibo di
cui ci nutriamo può fare la differenza fra stare bene e stare male, per noi e per le
generazioni future. Sappiamo anche che la scelta alimentare individuale pesa sulla
salute del pianeta e si ripercuote sul clima e sulla disponibilità di risorse naturali.
Questa “conversazione” rappresenta un tentativo di riordinare idee e concetti, al fine
di fornire ad insegnanti e genitori qualche informazione immediatamente fruibile,
perché la scuola e la famiglia siano fabbriche di cambiamento; perché gli adulti di
domani possano essere consumatori consapevoli.
Il cibo e l’uomo, una storia che inizia da lontano
Per diventare consumatori consapevoli è necessario rendersi conto di quanto il cibo
sia, e sia stato, importante per l’essere umano nel corso della sua evoluzione.
Mentre all’inizio esso rappresentava esclusivamente uno strumento essenziale di
sopravvivenza, dopo la scoperta del fuoco cominciò ad assumere significati più
profondi e variegati, divenendo uno dei più importanti fattori socializzanti mai esistiti
ed utilizzati dall’uomo.
L’antropologo francese Claude Lévi-Strauss sosteneva che la scoperta del fuoco è ciò
che ha reso “umano” l’uomo, volendo sottolineare l’importanza della possibilità di
cuocere e condividere il cibo con i propri simili. Le prime comunità si svilupparono
lungo le rive dei corsi d’acqua ed attorno a focolari accesi per cuocere, scaldarsi e
difendersi dagli animali selvatici.
Il cibo, dunque, si arricchì di significati che andavano la di là della pura
sopravvivenza. In questo senso, esso divenne nel corso delle varie epoche un vettore
di tradizioni, l’espressione di stati sociali, un ottimo catalizzatore delle relazioni
umane; fino alle epoche recentissime, in cui il cibo diventa anche, e a buona ragione,
fattore primario di prevenzione.
Il cibo, fattore preventivo
I dati del programma Okkio alla salute (OKkio alla Salute è un sistema di
sorveglianza sullo stato ponderale dei bambini delle scuole primarie (6-10 anni), le
loro abitudini alimentari e sull’attività motoria svolta e i comportamenti a rischio
collegati) dimostrano che il sovrappeso e l’obesità rappresentano fra i nostri bambini
una vera e propria emergenza.
L’eccesso di peso espone, come sappiamo, a molte patologie, prima fra tutti il diabete
di tipo 2 la cui insorgenza si manifesta sempre più precocemente. Ma, in generale,
l’eccesso ponderale è inevitabilmente legato a problemi metabolici vari, quali
l’ipertensione, l’aumento di colesterolo e trigliceridi, problemi cardiovascolari,
problemi scheletrici, disagio psicologico. Tutto questo, oltre ad inficiare la qualità
della vita individuale, si ripercuote negativamente sulla spesa collettiva. Un obeso,
nel corso della sua vita, costa al Sistema Sanitario Nazionale 100 mila euro in più
rispetto a una persona di peso normale e in media un caso di infarto oggi circa 3000
euro.
La letteratura scientifica più accredita indica da anni lo stile di vita sano quale fattore
preventivo principale; nell’ambito dello stile di vita, quello alimentare svolge
sicuramente un ruolo fondamentale.
In ogni fase della nostra esistenza, dalla nascita alla terza età, l’assunzione di cibo è
un atto quotidiano, frequentissimo, incisivo e, per questo, ad altissimo valore
preventivo, quando esso è ponderato e mosso da scelte consapevoli.
La prevenzione inizia dalle scelte quotidiane
Quando decidiamo di acquistare un oggetto, un capo d’abbigliamento o un
elettrodomestico, in genere, ci informiamo sulle sue caratteristiche, ne prevediamo la
durata, leggiamo su internet le prestazioni, le alternative; facciamo anche un giro per i
negozi, perché vogliamo essere sicuri di spendere bene i nostri soldi.
Questo non sempre si verifica riguardo alla scelta del cibo. Spesso, quello che accade
in un supermercato è tutto il contrario del processo di “scelta”. In genere, riempiamo
il carrello automaticamente, senza chiederci da dove proviene quel cibo, quanto è
sano, quanto rappresenta il territorio in cui viviamo, quanto ha viaggiato prima di
arrivare nel nostro carrello, ecc.
Ma riflettiamo un momento sull’atto del mangiare.
Nutrirci è un’azione molto frequente che ci accomuna tutti. Siamo abituati a mangiare
tutto quello di cui abbiamo voglia in qualsiasi periodo dell’anno ed una delle poche
cose che ci interessano quando acquistiamo il cibo è il prezzo. Nutriamo i nostri
bambini con alimenti che non somigliano a nulla di ciò che mangiavano le nostre
nonne, ma tutto questo ci sembra talmente normale che continuiamo ad acquistarli e a
farne scorta nelle nostre case, condizionati dalla paura di rimanere senza e di
ritrovarci a dover improvvisare una merenda, magari affettando del pane e ungendolo
con olio extra vergine d’oliva.
Non credo di esagerare affermando che mangiare è diventata un’attività poco
partecipata, molto automatica e decisamente scollegata dal resto della nostra
esistenza.
Eppure, fino a qualche decennio fa,
sedersi attorno a un tavolo e
condividere ciò che con passione e
fatica qualcuno aveva prodotto nel
campo
poco
normalità.
Così
distante
come
era
la
lo
era
relazionarsi agli altri condividendo le pietanze di un pranzo o di una cena.
Oggi, sembra che il frastuono del marketing e la fretta che incombono costantemente
sulla quotidianità, abbiano offuscato, se non addirittura cancellato, i significati
molteplici, vari e profondi, che il cibo ricopre per ognuno di noi.
C’è, inoltre, una prevenzione a lungo termine che inizia dalla nostra lista della spesa e
finisce dall’altra parte del mondo; potremmo chiamarla “attenzione all’impronta
ecologica”. Ogni nostro atto alimentare, infatti, ha un impatto sull’ambiente e questo
si ripercuote, indirettamente ma inesorabilmente, sulla salute del pianeta e quindi
sulla nostra.
Basti pensare che per produrre 1 kg di carne bovina occorrono 15.500 litri di acqua
contro i 1300 litri necessari per 1 kg di cereali.
Allora, se riflettiamo sul “peso” ecologico della produzione di carne e su quanto il
consumo eccessivo di questo
alimento
pesi
sulla
nostra
salute, ci rendiamo conto che la
salute
individuale
indissolubilmente
legata
è
a
quella del pianeta e che ogni
nostra scelta alimentare può
fare la differenza.
Cosa ci stiamo perdendo…
C’è una altro aspetto che dovrebbe farci riflettere. E cioè cosa si cela dietro ogni
azione che ruota intorno al cibo.
Offrire il cibo significa prendersi cura dell’altro, mescolando i propri stati d’animo e
le proprie attenzioni ad ogni pietanza. La buona tavola, come sanno bene gli anziani,
rinsalda i rapporti e stimola il raccontarsi, facilitando l’atteggiamento di apertura e di
curiosità verso chi ci sta accanto. La cucina è, dunque, importante luogo
d’espressione; essa svela, non nasconde, enfatizza le qualità di ogni relazione.
E se in cucina arrivano materie prime locali con cui preparare il buon cibo da
condividere, essa diviene anche il luogo elettivo di identificazione con il proprio
territorio, la sua storia e le sue tradizioni. Il cuore della casa, l’ambiente fisico intorno
al quale ruota la vita della famiglia, è come un grembo accogliente in cui il cibo della
terra accresce ed amplifica il suo valore quale strumento d’identificazione e socialità.
Per questo, e molto altro ancora, mangiare dovrebbe implicare una scelta, anzi molte.
Acquistando
un
cibo
dovremmo
conoscerne la provenienza e la qualità;
chiederci se è sano o meno, qual è il suo
effetto sulla nostra salute, quale l’impatto
ambientale del suo percorso produttivo;
sapere se è stato o meno trattato e
adulterato,
decidere
in
che
modo
cucinarlo e con chi condividerlo. Insomma, comprando il nostro cibo dovremmo
essere animati da spirito critico, istinto e consapevolezza; fare lo sforzo, quindi, di
porci domande, di trovare risposte, di pretendere che esso sia il migliore per noi e per
le persone che amiamo.
Così, mettendo al centro la relazione profonda e reciproca fra gli uomini e quella fra
gli uomini e il lavoro della terra, il cibo non sarebbe oggetto di acquisti automatici e
superficiali, ma diverrebbe una ragione più che valida per difendere e valorizzare il
contesto in cui esso viene prodotto, poiché da questo dipende la salubrità e la bontà
dei prodotti alimentari; da questo dipende la nostra vita.
Chi ci insegna a scegliere bene il cibo?
Oggi l’educazione alimentare è uno degli argomenti più gettonati. Essa è ritenuta
necessaria per far fronte all’epidemia di obesità (Globesity), importante per
strutturare buone abitudini nutrizionali nei bambini e negli adolescenti, insostituibile
per imparare a leggere le etichette e a fare scelte alimentari consapevoli. Eppure, in
realtà, questa disciplina così utile ed interessante viene spesso affrontata in modo
frammentario e contraddittorio. E ancora più spesso, affidata a soggetti che ne
forniscono una visione parziale, se non addirittura fuorviante.
È quello che accade attualmente in molte scuole italiane, nelle quali spesso è
Federalimentare a condurre progetti educativi sul cibo, grazie al protocollo d’intesa
firmato con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Rimango
perplessa, se penso all’influenza che l’industria alimentare ha sul comportamento dei
nostri bambini.
Il marketing delle multinazionali alimentari ci condiziona in maniera profonda, ci
invia messaggi che omologano le nostre scelte e le rendono funzionali solo a chi
produce determinati prodotti.
Si creano così dinamiche innaturali che
minano non solo il rapporto con il cibo,
ma anche e soprattutto quello fra le
persone. Sto pensando ad esempio al nag
factor (letteralmente “fattore assillo”),
cioè il potere che un bambino ben
condizionato dalla pubblicità esercita sui suoi genitori (o sui nonni) affinché
acquistino per lui un determinato prodotto. La pubblicità costringe ad un lavoro
educativo supplementare, spesso snervante per l’adulto, in quanto il nag factor
incrina il rapporto genitori-figli, sottrae sicurezza ed autorevolezza ai genitori nel
momento in cui, per stanchezza e senso di colpa, cedono alle richieste del proprio
figlio. I bambini, d’altro canto, si abituano a sentirsi gratificati dall’acquisto di cibo
industriale reclamizzato ovunque e costantemente e imparano inevitabilmente a
mangiare rispondendo a stimoli esterni, piuttosto che all’istinto e all’autoregolazione
della fame e della sazietà.
Dunque, questo fa l’industria alimentare: produce cibo innaturale e ci insegna a
mangiarlo!
L’educazione alimentare, in realtà, sarebbe ben altra cosa. Essa è una disciplina
trasversale. Essa assume una collocazione importantissima, sia come prezioso
strumento di socializzazione che come efficace via di prevenzione, a condizione che
sia rigorosamente esperenziale, cioè che apporti all’esperienza del bambino nuovi
strumenti e nuove competenze. Il cibo, del resto, è il luogo simbolico, che perdura per
tutta la vita, in cui convergono vissuti, esperienze ed emozioni. Pertanto, l’educazione
e la comunicazione alimentare non possono prescindere dall’individuo, dal contesto
in cui vive, dalla cultura di cui è intriso.
La scuola e la famiglia sono i luoghi preferenziali per fare educazione alimentare. Gli
strumenti, numerosi e tutti importanti, comprendono principalmente il buon esempio:
molto studi sostengono che in una famiglia in cui il buon cibo viene gustato con
serenità dai genitori, soprattutto dalla madre, i bambini sono più propensi all’assaggio
e all’accettazione di alimenti nuovi.
Ma è educazione alimentare anche quella proposta agli adulti, in incontri di questo
tipo, in cui le domande e le risposte costruiscono piccoli ma importanti punti fermi
che possano indicarci la strada verso le scelte consapevoli.
Per questo, considero ottima ogni occasione in cui si parla di consapevolezza
alimentare e virtuoso ogni tentativo di mettere in pratica suggerimenti e strumenti
dedicati alla cultura del cibo.
Se è vero che siamo quello che mangiamo, allora vale davvero la pena investire un
po’ del nostro tempo e parte delle nostre energie sulla consapevolezza alimentare.
Perché si tratta della nostra salute, di quella dei nostri figli e del nostro pianeta. Cosa
c’è di più importante?
Qualche consiglio pratico
• Fare la spesa a stomaco pieno e con la lista
• Scegliere sempre prodotti stagionali e del proprio territorio
(meglio se acquistati direttamente dal produttore)
• Evitare cibi precotti e confezionati
• Consumare cinque pasti al giorno: 3 principali e 2 spuntini
• Preferire i carboidrati complessi (pasta, pane, schiacciata) a
quelli semplici (bevande dolci, dolciumi vari, gelati)
• Consumare le fonti di carboidrati in forma integrale oppure
insieme a una fonte di fibra (verdura, frutta, legumi)
• Evitare i bis a tavola e contenersi con le porzioni
• Ridurre il consumo di carne conservata (affettati, insaccati)
• Ridurre il consumo di alimenti ricchi di grassi saturi (carni fresche o
conservate, formaggi, dolci)
• Aumentare il consumo di frutta e verdura di stagione
• Non usare, o ridurre il più possibile, grassi nelle cotture
• Prediligere metodi delicati di cottura (vapore, pentola a pressione, microonde)
• Riflettere sul senso di fame e sazietà, sforzandosi di riconoscerli e rispettarli
• Dormire a sufficienza
• Fare quotidianamente attività fisica moderata (è sufficiente una camminata
quotidiana di 30’ a passo sostenuto)
• Tenere il proprio peso sotto controllo, ricordando che il peso ideale è quello al
quale ci sentiamo bene e ci accettiamo.
Per approfondire
• Alimentazione, cultura e società. J. P.
Poulain. Il Mulino
• The China Study. T. C. Campbell e T. M.
Campbell. Macro Edizioni
• Prevenire i tumori mangiando con gusto. A. Villarini e G. Allegro. Sperling
Paperback
• Il cibo. Una via di relazione. M. L. Savorani. Fernandel
• Ragazzi a tavola. J. Juul. Feltrinelli
• Buono da mangiare. M. Harris. Einaudi
• Il dilemma dell’onnivoro. M. Pollan. Adelphi
• Mangiando in allegria. G. D’Urso e P. Iacopetti. Felici Editore
• Spunti di nutrizione ed altro. G. D’Urso. Manidistrega Editrice
Sitografia utile
https://www.okkioallasalute.it/
http://www.pediatrianutrizionale.it/
http://lamezzaluna.org/
http://www.dietamed.org/medidiet/?page_id=5
http://www.giusidurso.com/
http://www.barillacfn.com/
http://www.fao.org/index_en.htm