17 - Ordine degli Avvocati di Trani

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17 - Ordine degli Avvocati di Trani
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
***
RASSEGNA STAMPA
17 gennaio 2008
Titoli dei quotidiani
Il Sole 24 Ore
Giudici e legali si allineano contro i processi-lumaca
Italia Oggi
Mastella indagato, si dimette
La mia Sandra è in ostaggio Io mi dimetto, ora ho paura
Il ministero della giustizia resiste al terremoto
Ordinamento, via libera dei legali
Riforma, cala il gelo del Cup
La Cassa al bivio sulle pensioni
Attentato alla specialità dei gdp
La Repubblica
Mastella lascia, indagato per concussione
Il Messaggero
“Lobby in Campania”: Mastella indagato, la moglie ai domiciliari
GIURISPRUDENZA
Il Sole 24 Ore
Droga, sanzioni ridotte dalla “Fini-Giovanardi”
Neocomunitari, il reato resta
Consiglio Nazionale Forense
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Italia Oggi
Espulsioni ante '07 Punibili i rumeni
Immobili, dai notai tutte le verifiche
FLASH
***
Giudici e legali si allineano contro i processi-lumaca
Rito ambrosiano nel processo penale, almeno nel caso degli appelli. E’ una alleanza tra
magistrati e avvocati per provare a restituire efficienza e velocità alle udienze penali. Il
protocollo firmato ieri nell’Aula magna, dall’Ordine degli avvocati di Milano, con il
presidente Paolo Giuggioli, da Camere penali e Procura, si qualifica come una
collaborazione in condizioni di emergenza tra operatori della giustizia. Il testo dell’accordo
tocca punti nevralgici come l’istituzione di una corsia preferenziale per alcuni tipi di
processo: la precedenza andrà accordata ai procedimenti con detenuti, a quelli di pronta
soluzione e a quelli cui le parti si rifanno a atti scritti, senza effettiva discussione orale. Per
cancellare poi i tempi morti, è prevista l’anticipazione in una data precedente all’udienza
delle richieste di patteggiamento, formulate sulla base dell’articolo 599 Del Codice di
procedura penale, al Procuratore generale e la comunicazione delle proposte di accordo
su un modulo specifico al presidente del collegio giudicante. Il protocollo si fa carico poi
dei maxiprocessi, con la previsione di una prima udienza riservata alla sola verifica della
regolare costituzione delle parti e quindi delle altre successive udienze, a una distanza di
tempo che permetta la rinnovazione delle eventuali notifiche nulle;l’udienza dovrà poi
essere precedente all’eventuale scadenza dei termini di custodia cautelare. Viene poi
introdotta la richiesta preventiva si un parere del Procuratore generale sui ricorsi per
incidente di esecuzione da depositare in cancelleria con un anticipo di 10 giorni per
consentire ai difensori il deposito di una memoria scritta, cui fare riferimento nel corso
dell’udienza. Numerosi anche i punti dedicati agli orari: le udienze non potranno iniziare
dopo le 9.15 e quelle di camera di consiglio saranno accorpate al termine della mattinata
per renderle compatibili con l’orario del personale di cancelleria. Previste poi l’istituzione di
un servizio di interpreti con turni quotidiani di reperibilità, la segnalazione da parte dei
difensori nella prima pagina dell’atto di impugnazione delle modifiche su nomine e
domicilio dell’imputato, un percorso agevolato per la liquidazione degli onorari per gratuito
patrocinio. A vigilare sull’attuazione e l’efficacia del protocollo sarà un Osservatorio con
rappresentanza mista avvocati-magistrati.
Giovanni Negri, Il Sole 24 Ore pag. 34
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Il Caso Mastella
Mastella indagato, si dimette
Insomma, la bordata è arrivata di prima mattina. E Mastella, proprio nel giorno in cui
avrebbe dovuto riferire al parlamento sullo stato della giustizia, ha deciso di fare un passo
indietro. Decisione che il premier, Romano Prodi, gli ha chiesto di ritirare. L'intervento del
presidente del consiglio è stato apprezzato da Mastella, che però ha detto di volerci
pensare su. Anche perché l'inchiesta condotta dai pm Alessandro Cimmino e Maurizio
Giordano, concentrata su un giro vorticoso di poltrone e appalti, ha un perimetro molto
ampio. E minaccia di travolgere tutto lo stato maggiore campano dell'Udeur. A dimostrarlo
inequivocabilmente c'è il fatto che anche il Guardasigilli è indagato dalla procura. Su di lui
è calata una scure molto pesante, con tanto di sette capi d'imputazione. A spiccare,
secondo l'ipotesi accusatoria, sarebbe il concorso in concussione ai danni del governatore
della Campania, Antonio Bassolino. Il ministro lo avrebbe costretto a nominare come
commissario dell'Asi di Benevento una persona da lui indicata. Ma a finire nella rete dei
pubblici ministeri è una trentina di persone (23 ordinanze di custodia). Tra quelle più vicine
al ministro dimissionario c'è il consuocero Carlo Camilleri. Il quale viene accusato di aver
partecipato alla concussione ai danni di Bassolino insieme a due assessori regionali della
Campania, sempre dell'Udeur: Luigi Nocera, responsabile dell'ambiente, e Andrea
Abbamonte, addetto al personale. A essere travolti dall'inchiesta, però, sono anche il
sindaco di Benevento, Fausto Pepe, e i consiglieri regionali Ferdinando Errico e Nicola
Ferraro (entrambi dell'Udeur). In più sono stati colpiti Ugo De Maio, giudice del Tar
Campania per il quale è scattata l'interdizione, Giuseppe Urbano, prefetto di Benevento,
anche lui interdetto, e il vigile urbano Luigi Treviso. Un'onda, in sostanza, che si sta già
trasformando in Tsunami. Sempre ieri, nel comunicare in parlamento le sue dimissioni,
Mastella ha accusato duramente la magistratura, in particolare quelle «frange estremiste»
che avrebbero ordito «una trappola scientifica, tesa in modo vile e ignobile» nei confronti
della sua famiglia. Di qui le dimissioni, perché tra l'amore per la famiglia e il potere, ha
detto Mastella, «scelgo il primo».
Stefano Sansonetti, Italia Oggi pag. 3
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La mia Sandra è in ostaggio Io mi dimetto, ora ho paura
Pubblichiamo ampi stralci dell'intervento del ministro della giustizia Clemente Mastella ieri
in aula alla camera.
Signor Presidente, alcune notizie, di quelle che tramano e sconvolgono la vita delle
persone, di poche ore fa, annunciate come al solito con battage pubblicitario dalla stampa
e finanche da qualche pamphlet editoriale che, nelle ultime pagine di un brillante
giornalista, aveva raccontato e profetizzato queste cose, mi fanno svolgere un discorso
certamente diverso da quello che avevo maturato per le mie convinzioni e per il tratto di
funzionalità istituzionale che mi ha accompagnato in questa mia esperienza come ministro
guardasigilli. Vi parlo però con il dolore nel cuore di chi sa che, a causa del suo impegno
pubblico, delle sue profonde convinzioni e delle sue idealità si trova ad essere colpito negli
affetti più profondi, incredulo ed impotente. Ho provato, ho creduto, ho sperato che la
frattura tra magistratura e politica potesse essere ricomposta attraverso la dialettica, il
confronto, il dialogo e l'incontro, ma devo prendere atto che, nonostante abbia lavorato
giorno e notte per dimostrare la mia credibilità e la mia buona fede di interlocutore
affidabile per il mondo della giustizia, oggi mi accorgo che sono stato invece percepito da
frange estremiste come un avversario da contrastare, se non addirittura come un nemico
da abbattere. Ho creduto, pur consapevole dell'estrema difficoltà di quella che alcuni
reputano una mission impossibile, di dover rifiutare la pericolosa tentazione di chi vorrebbe
indirizzare la giustizia italiana verso la palude della rassegnazione e dell'impotenza,
suggerendo l'ineluttabilità di un conflitto perenne e di disfunzionamenti ormai cronici.
L'illusione di poterci riuscire mi ha fatto fare ogni sforzo, con un parlamento mai così fragile
e incerto in tutta la mia trentennale esperienza di assemblea. Ho avuto l'illusione di poter
riformare l'ordinamento giudiziario in accordo con la magistratura e nell'interesse del
paese; ho avuto l'illusione che le soluzioni trovate per migliorare l'efficienza, motivare il
personale, ridurre i costi dell'esposizione debitoria, nonostante al mio arrivo a via Arenula
non avessi trovato né la benzina per le macchine, né la carta per i fax ai magistrati, ho
avuto l'illusione che tutto ciò potesse essere prova della mia onestà intellettuale e
dell'assenza di secondi fini. Ho avuto l'illusione di poter affermare, con convinzione,
fondamentale nel nostro assetto costituzionale, del principio dell'esclusiva soggezione del
giudice alla legge, soltanto alla legge, ma almeno alla legge. In mancanza di ciò credevo e
credo che è la base stessa su cui poggia l'autonomia e l'indipendenza della magistratura a
essere messa a rischio e in discussione. Queste mie convinzioni, purtroppo, oggi trovo
frantumate contro un muro di brutalità, di indisponibilità, di chiusura e di egoismi di parte.
Ho dedicato tutte le mie energie nell'ultimo anno per affermare e dimostrare che ci si
poteva riuscire e che, tra i poteri e le istituzioni, il dialogo avrebbe premiato, convinto come
sono, che solo nell'incontro e nella relazione con l'altro si trova la soluzione. Oggi qui le
mie certezze vacillano. Non si illudano però coloro che confidano nello sconforto, coloro
che credono che le ferite sul piano personale e sentimentale possano essere determinanti
per farmi cambiare idea e percorso. Lo sapevamo, ce lo ha insegnato Aldo Moro, che non
siamo chiamati a preservare un ordine semplicemente rassicurante. Mentre ero dedito a
questo lavoro è iniziato un tiro al bersaglio nei miei confronti, quasi un'ostinata caccia
all'uomo, un'autentica persecuzione umana. Sono state utilizzate centrali di ascolto con
corsie privilegiate, ogni qualvolta nei computer si accendeva la spia che segnalava il mio
nome o quello dei miei amici. Tutta la mia famiglia è stata in questo periodo intercettata. In
quel di Potenza, siamo così diventati, colleghi dell'Udeur, un partito di tale rilevanza,
quanto a intercettazioni subìte, da poter superare, colleghi della maggioranza e
dell'opposizione, agevolmente la soglia di sbarramento di qualsiasi percentuale elettorale.
Eppure, ho resistito a tutto questo, forte della mia passione politica. Ma per delegittimarmi
è bastato che un piccolo nucleo di magistrati, per alcuni dei quali l'integrità è contestata da
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altri magistrati dello stesso distretto (quelli che hanno operato in questa vicenda),
innescasse un congegno violento, privo di obiettivi riscontri nella realtà, confondendo ciò
che è tipico della politica, anche in maniera distorta ma che rivendico alla politica, ai
conflitti interni alla politica e ai riti della politica; è bastato tutto questo per puntare al cuore,
con un pregiudizio che desse l'idea di un mio sistema di potere in Campania da
combattere, travisando realtà e norme penali, per interrompere il mio lavoro. Avevo
resistito nel fortino personale a tutte queste scorribande corsare contro di me, contro la
mia vita personale e politica, con l'intento dichiarato di creare panico e terrore tra i miei
sostenitori, i cui ideali di ispirazione cristiana forse ancora, chissà, creano motivo di
preoccupazione politica. Ora però, rispetto a componenti di un ordine che disinvoltamente
hanno il vantaggio di poter fare e poter decidere i tuoi destini, prescindendo dalla tua
volontà e dai tuoi comportamenti, rispetto all'imprevedibile apertura di varchi che toccano i
miei affetti, la mia famiglia e mia moglie, getto la spugna. È la prima volta, lo confesso, che
ho paura. Ho combattuto la mia battaglia fin quando il combattimento era alla pari e leale e
non arrivavano colpi bassi ed imprevisti, perché dalla tua condotta politica nulla lasciava
presagire, nonostante il mio temperamento, i miei eccessi un po' barocchi, il mio stile
inconfondibile, forse eccessivo, lo riconosco. Oggi tocca a me, in precedenza è toccato ad
altri, tocca ai cittadini italiani per questo potere straordinario, che un ordine, rispetto ad
altri, ha stabilito per sé, non fosse per il fatto, onorevoli colleghi, che, patior, ergo sum,
soffro ontologicamente con me stesso. Rispetto a questo tutto mi appare e mi parrebbe
irreale e innaturale, fuori da ogni logica, che si compone con la vita politica fatta anche di
scontri, di rivalse, di umori, di indicazioni, di nomine. Ma perché quelle che fanno i politici
sono illecite e quelle che fanno i magistrati sono lecite? Non è possibile che il potere di vita
e di morte pubblica, di vita e di morte di un governo possa appartenere oggi a questo
pacchetto di mischia giudiziaria, in altre circostanze ad altri pacchetti di mischia, senza che
tutto questo avvenga, senza, come in questo caso della mia famiglia, essere ascoltati,
senza una controprova, senza una richiesta di spiegazioni, in attesa di un giudizio che non
si sa né come né quando arriverà. Questo piano di valutazione ideologica non è il mio e
appartiene, per fortuna, a una componente minoritaria della magistratura. Si tratta di un
giustizialismo che ho combattuto ma che ha fatto capolino negli ultimi tempi della storia
giudiziaria italiana nel nostro paese e che è soltanto intento a decretare l'umiliazione
umana, mediatica e politica di chi è contro di loro. E qualora questo pacchetto di mischia,
come in questo caso, si fosse sbagliato chi ripagherà un domani la mia famiglia e la mia
famiglia politica di questa umiliazione subita e le tante famiglie italiane, centinaia di
migliaia, che subiscono queste umiliazioni e queste ferite? E se eventualmente salissero in
quota responsabilità per un'opera di demolizione eterodiretta tesa a scardinare il presunto
sistema di potere, chi ne risponderà? E a chi costoro risponderanno? Oggi a me, ma in
questa giornata, confesso molto molto particolare, è dato solo prendere atto di questa
scientifica trappola che mi è stata tesa, mediaticamente prima e giudiziariamente dopo, in
modo vile e ignobile. Così come è altrettanto vile ed ignobile prendere in ostaggio mia
moglie voglio un mondo di bene e a cui rinnovo il mio affetto, e che si esalta in una vita in
comune e che sperimenta anche nella sofferenza il valore della famiglia. Per questo non
posso consentirmi, proprio per questo ostaggio, né torsioni né movimenti scomposti che
apparirebbero come irregolari e non in linea con il rispetto che si ha di un giudizio di cui si
è serenamente in attesa. Nessuno si illuda, però, da altre postazioni continuerò e
continueremo a combattere la nostra battaglia con un'esperienza e con delle ferite in più,
consapevoli di essere arrivati al vero nodo della democrazia, lo scontro sotterraneo e
violentissimo tra i poteri, avendo subito ora, da ministro della giustizia, quello che dopo
trent'anni di specchiata carriera politica non ho mai subito e non avrei mai immaginato. In
questi pochi mesi ho avuto il triplo di avvisi di garanzia che mai ho avuto in trent'anni di
vita parlamentare, politica e umana. Continuerò, però, insieme a tutti coloro che vorranno
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crederci e che avranno la speranza in chi, come me, è cresciuto ed ha imparato ad essere
certo del bene anche quando, colpito dall'ingiustizia e dalla violenza, lo si intravede molto
molto in lontananza ed appare opaco. Mi dimetto dunque, onorevoli colleghi, mi dimetto
perché tra l'amore per la mia famiglia e il potere scelgo il primo. Io, questo onnipotente
Mastella sceglie il primo. Avrei potuto operare sottili distinguo giuridici, restando al mio
posto. Mi dimetto per essere più libero umanamente e politicamente. Mi dimetto sapendo
che un'ingiustizia enorme è la fonte inquinata di un provvedimento perseguito con
ostinazione da un procuratore che l'ordinamento manda a casa per limiti di mandato e per
questo me ne addebita la colpa. Colpa che invece non ravvisa nell'esercizio domestico
delle sue funzioni per altre vicende che lambiscono suoi stretti parenti e delle quali è bene
che finalmente il Csm se ne occupi per dignità. Mi dimetto, riaprendo la questione delle
intercettazioni, assai spesso manipolate, a volte estrapolate ad arte, assai spesso
divulgate senza alcun riguardo per la riservatezza deiPag. 8cittadini e per la libertà della
persona umana. Mi dimetto, perché ritengo, anche dopo la mia dolorosa esperienza, che
vada recuperata la responsabilità per lo meno civile dei magistrati, sulla scorta della
giurisprudenza della Corte di giustizia di Lussemburgo. Riconosco che, nel corso di questa
mia attività istituzionale intensa, ho trovato una stragrande maggioranza di magistrati seri
ed imparziali, ma mi sono imbattuto anche in alcuni che fanno del pregiudizio, soprattutto
contro la politica e i politici, la ragione di vita della loro attività professionale. Come ci si
può difendere, però, da questi ultimi, il cui potere d'interdizione, di vita e di morte e di
delegittimazione appare senza confini? Mi dimetto per senso dello Stato e lo faccio senza
tentennamenti. In fondo, avrei potuto restare al mio posto; un ministro della giustizia che
non è in grado di difendere neppure la moglie dall'assalto violento e ingiusto di accuse
balorde e non riesce ad evitarne neppure l'arresto ai domiciliari non è certo in grado di
inquinare le prove, perché è talmente risibile il proprio potere che lo si può lasciare
tranquillamente al proprio posto. Mi dimetto, dunque, per aprire una questione
fondamentale di emergenza democratica tra la politica e la magistratura, anche perché,
come ha scritto Fedro: «gli umili soffrono quando i potenti si combattono».
Italia Oggi pag. 5
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Il ministero della giustizia resiste al terremoto
Certo, il terremoto si è sentito. Ma finché il ministro guardasigilli è in carica a Via Arenula si
fa mostra di normalità. I sottosegretari e i capi degli uffici sono con il fiato sospeso,
ovviamente, ma l'attività ordinaria del ministero continua. E nei corridoi del palazzone che
ospita i dipartimenti non c'è confunsione, tutto sembra normale. Negli uffici magari si
commentano gli eventi, ma le pratiche vanno avanti. Pochi sono riusciti a vedere il ministro
dopo il suo intervento alla camera, nel quale ha annunciato le dimissioni. Il suo passaggio
a via Arenula è stato fugace, prima di prendere la macchina per recarsi a Ceppaloni a dare
solidarietà coniugale alla moglie, Sandra Lonardo. E' andata bene a Daniela Melchiorre,
sottosegretario con delega alla giustizia minorile, voluta in quel posto da Lamberto Dini.
«Ho potuto esprimergli la mia solidarietà. Ora siamo in attesa delle sue decisioni».
«Abbiamo le deleghe e continuiamo a lavorare», taglia corto il sottosegretario che ha
seguito la riforma dell'ordinamento giudiziario Luigi Scotti. Per le attività che il ministro
tratta in proprio (per esempio le nomine per gli incarichi direttivi dei magistrati), si vedranno
gli eventi, anche se Scotti ricorda che «il premier Romano Prodi ha respinto le dimissioni
quindi il ministro è ancora in carica». «I tipi di intervento che stiamo conducendo hanno
una natura strategica, nascono da una visione strategica: vorrei che questa attività non si
interrompesse», commenta il sottosegretario dell'Idv Luigi Li Gotti, che nonostante la poca
simpatica che regna tra il suo segretario, Antonio Di Pietro, e il guardasigilli, si professa
«mastelliano». «L'attività ordinaria continua», assicura Arcibaldo Miller, e detto da lui che è
il capo dell'ispettorato, significa le ispezioni già avviate andranno avanti, non si
fermeranno. Un importante dirigente che preferisce l'anonimato parla della costituzione «di
un comitato di salute pubblica. Tra pochi giorni ci sarà l'inaugurazione dell'anno giudiziario.
Ciascuno di noi sarà in sedi diverse a rappresentare il ministero. Occorre darci una linea
unitaria. Certo, personalmente ritengo che questa situazione di limbo non possa
continuare al di là di 48 ore». E comunque, parlando con il ministro quest'utlimo gli
avrebbe rappresentato l'intenzione di non recedere dalla decisione. Ma si può sempre
cambiare idea. Il capo dell'ufficio legislativo, Gianfranco Manzo, ieri era a Milano e quindi
ha seguito come ha potuto per telefono gli eventi. «Mi risulta che tutto proceda
regolarmente. Il ministero è anche un apparato burocratico, come tale autorganizzato». Il
capo dell'Organizzazione giudiziaria, Claudio Castelli è chiaro sulla mission di queste ore:
«abbiamo l'obbligo amministrativo di continuare l'attività e fare in modo che la situazione
inevitabile di sbandamento non incida sulla gestione quotidiana degli uffici giudiziaria». Il
capo di gabinetto Stefano Mogini non ha voglia di commentare: «Si rivolga all'ufficio
stampa».
Claudia Morelli, Italia Oggi pag. 7
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Mastella lascia, indagato per concussione
Il ministro della Giustizia Mastella indagato per sette ipotesi di reato tra cui la tentata
concussione al Governatore della Campania Bassolino, si dimette e accusa con parole
durissime i magistrati che reagiscono indignati. Prodi respinge le dimissioni e il ministro si
prende qualche ora di riflessione per decidere, intanto lascia Roma per Ceppaloni dove la
moglie Sandra Lonardo, presidente del Consiglio regionale della Campania, è agli arresti
domiciliari nella villa di famiglia. Sull´Udeur si abbatte una valanga: 23 ordinanze di
custodia (19 ai domiciliari) emesse dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere per
amministratori e dirigenti dell´Udeur campano, il «nostro fortino elettorale», come lo
definisce Mastella. Ma anche per professionisti, docenti universitari e funzionari locali.
Interdetti anche il prefetto di Benevento, un magistrato del Tar della Campania e un vigile
urbano. I magistrati che hanno ordinato i clamorosi provvedimenti ipotizzano una cupola
che organizzava scambi di favori e pressioni per nomine e incarichi. Per Mastella le ipotesi
di reato sono sette: concorso esterno in associazione per delinquere, due episodi di
concorso in concussione e uno di tentata concussione, un concorso in abuso d´ufficio e
due concorsi in falso. Il secondo capo di imputazione è il concorso in concussione ai danni
di Bassolino per la nomina del commissario Asi di Benevento. Secondo gli inquirenti, per
compensare la mancata attribuzione all´Udeur della presidenza Iacp di Benevento, andata
a un ds, Mastella avrebbe deciso di «iniziare una strategia di pressione politica e
governativa sul governatore della Campania». Ma Bassolino ha smentito di essere stato
oggetto di pressioni. «Mi sono sentito stamattina (ieri mattina - ndr) con Sandra Mastella
per esprimere a lei e a suo marito la mia vicinanza in questo momento tanto difficile - ha
dichiarato ieri sera - . Apprendo che sarei parte offesa per una presunta concussione
commessa ai miei danni dal ministro Mastella per la nomina del commissario dell´Asi di
Benevento. Ma si tratta di una nomina legittima e avvenuta in piena trasparenza, sulla
base di una delibera di giunta». La giornata che mette a dura prova la resistenza del
governo e risveglia nel mondo politico il fantasma degli anni di Tangentopoli comincia ieri
mattina alle nove e mezza con la notizia degli arresti domiciliari per Sandra Lonardo.
Un´ora dopo il ministro avrebbe dovuto tenere un discorso alla Camera sullo stato della
Giustizia. Ma l´intervento si trasforma in un drammatico e accorato sfogo: «Getto la
spugna. Mi dimetto perché scelgo l´amore per la famiglia. Per la prima volta in vita mia ho
paura». Nel giro di qualche minuto arrivano al Guardasigilli gli attestati di solidarietà della
maggioranza di centrosinistra, dei ministri e del centrodestra. Per Berlusconi «quel che è
successo a Mastella e alla moglie è di una gravità inaudita». Casini parla apertamente di
«emergenza democratica», mentre Fini esprime solidarietà «umana e non politica a
Mastella» che critica per le accuse di «complotto» rivolte ai magistrati. La seduta alla
Camera viene sospesa e dopo una riunione con i parlamentari del Campanile e un
incontro con gli Udc Casini e Cesa, Mastella va a Palazzo Chigi: con le dimissioni del
ministro della Giustizia è in ballo la sorte del governo anche se l´Udeur ha garantito che
rimarrà nella maggioranza. Per il Pd la situazione è «difficile, complicata». Prodi respinge
immediatamente le dimissioni del ministro che però lascia il premier nell´incertezza: «Ora
vicino a mia moglie. Deciderò poi». Mentre Mastella è in viaggio per Ceppaloni arriva la
notizia che anche lui è indagato. Se confermerà le dimissioni, Prodi già oggi dovrebbe
riferire in Parlamento. Intanto Rosi Bindi va a Palazzo Chigi: potrebbe essere una
soluzione se Mastella lascerà.
Gianluca Luzi, La Repubblica pag. 2
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Clemente piange e accusa i pm: “per la prima volta ho paura”
«Clemente? Sei tu? Sì, sei indagato anche tu. Per concussione nei confronti di
Bassolino». Dall´altro capo del filo, mentre il capogruppo alla Camera Mauro Fabris gli dà
la notizia, il ministro della Giustizia Clemente Mastella scoppia in una risata che pare
sciogliere il dramma e la tensione di ore ed ore. Sta quasi per arrivare a Ceppaloni, dalla
moglie Sandra. Sulle spalle ha la giornata più pesante da quando è diventato Guardasigilli
e adesso si avvia a diventare un ex. Fabris chiosa ironico: «Era cominciato stamattina che
pareva una cosa seria, ma adesso sta finendo tutto in una burla. Mastella che commette
una concussione contro Bassolino? Ma ve lo immaginate? È del tutto irrealistico». Sarà
pure un «teorema tutto da dimostrare», come lo definiscono i colonnelli di Mastella, sarà,
come dicono loro, «il frutto avvelenato di un procuratore di parte, lo zio di un ex Udeur che
deve tutto a noi ma adesso è contro di noi», ma il botto giudiziario è tale da costringere
Mastella, proprio nel giorno in cui avrebbe dovuto leggere in aula una trionfalistica
relazione sullo stato della giustizia (80 milioni di euro in meno per le intercettazioni, 140
milioni in tutto risparmiati), a presentarsi dimissionario. Con le lacrime agli occhi e parole
accorate, che scatenano convinti applausi bipartisan. «Di fronte a un concertato volume di
fuoco per distruggere la tua persona, la tua dignità, i tuoi valori, di fronte a un ordine che
disinvoltamente ha il potere di decidere i tuoi destini, rispetto all´imprevedibile apertura di
varchi che toccano i miei affetti, la mia famiglia, mia moglie, io getto la spugna. Ed è la
prima volta, lo confesso, che ho paura». L´attacco alle toghe è durissimo. Tale da evocare
subito i fantasmi della Mani pulite del 1992. Tutti la temono in aula, a cavalcarla resta solo
l´aennino Fini («Gridate al complotto solo quando colpiscono voi di sinistra»). Mastella è
insinuante, lui non pronuncia la parola "complotto", che i suoi useranno abbondantemente,
ma la storia che racconta è quella di un agguato, quello che ha preso «in ostaggio» la
moglie. «Oggi tocca a me, in precedenza è toccato ad altri, tocca ai cittadini italiani per
questo potere straordinario che un ordine, rispetto ad altri, ha stabilito in sé. Non è
possibile che il potere di vita e di morte di un governo possa appartenere a questo
pacchetto di mischia giudiziaria». La destra, invitata a nozze, si spella le mani. Casini
entusiasta gli darà del tu. Maroni lo vuole ministro per qualsiasi decreto legge voglia
approvare. Bondi lo santifica «perché parla come Berlusconi». Lui, il Guardasigilli che
ancora si vanta di «essere l´uomo del dialogo, della fine dello scontro tra politica e
magistratura», rompe le righe. «Questo progetto appartiene, per fortuna, a una
componente minoritaria della magistratura. È un giustizialismo che ho combattuto ma che
negli ultimi tempi sta facendo capolino nella storia giudiziaria italiana per decretare
l´umiliazione umana, mediatica, politica di chi è contro di loro». Nessun dubbio, nessuna
autocritica, l´inchiesta di Santa Maria Capua Vetere è bocciata perché si fonderebbe «sul
pregiudizio di un mio sistema di potere in Campania confondendo ciò che è tipico della
politica» e che Mastella alla politica rivendica. "Solo" quattro cartelle, che il ministro ha
scritto di suo pugno di mattina presto, quando un´agenzia dell´Apcom gli ha portato a casa
la conferma di una notizia che ormai gli ronzava nelle orecchie sin dal giorno prima. Dopo
lo scontro con il pm di Catanzaro Luigi De Magistris, dopo quell´iscrizione sul registro degli
indagati dell´ottobre 2007 che ancora gli brucia, un´inchiesta che non solo gli entra in
casa, ma affonda tutto l´Udeur in Campania. Una «trappola scientifica», che arriva da un
magistrato, il procuratore Maffei, che Mastella attacca pesantemente in aula. Al ministero
lo ha incontrato più volte, perché l´ordinamento lo costringe a lasciare il posto e invece lui
vorrebbe restare. Raccontano i collaboratori del ministro: «Non faceva che venire qui per
sollecitarci un decreto». Sarà pure, ma Mastella è costretto a dimettersi lo stesso. E lo
decide sin dalla mattina. Ci aveva ragionato su anche il giorno prima quando fonti
confidenziali lo mettevano in guardia da un intervento pesante della magistratura. Nessun
dettaglio, ma quanto basta per non andare al ministero, far saltare appuntamenti pur
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importanti come la firma pubblica di un protocollo con il governatore Formigoni. Tutto
delegato ai sottosegretari. Che qualcosa sta andando storto lo capisce subito un suo
uomo di fiducia come Tommaso Barbato, capogruppo Udeur al Senato, quando martedì
pomeriggio gli sente dire: «Mi stanno attaccando sul piano personale, non è giusto,
adesso basta, bisogna che rifletta bene sul da farsi». Incontra Napolitano, forse gli confida
i suoi patemi. Ieri mattina i dettagli prendono forma, Sandra sta per finire agli arresti
domiciliari. Il dossier sullo stato della giustizia finisce agli atti del Parlamento, Mastella
prepara le dimissioni. Che formalizza alla Camera. Tra le nove e mezzogiorno sui suoi
telefonini piovono 300 messaggi di solidarietà, gli telefonano Cossiga, Andreotti, Ciampi.
Poi Prodi e Berlusconi. E D´Alema. Mancino chiama sia lui che la moglie. In aula è una
sfilata di pacche sulle spalle e strette di mano. Il Verde Boato gli ricorda che il fratello di De
Mita fu arrestato, ma poi scarcerato, quindi inutile temere «la giustizia a orologeria». E l´ex
dc Cirino Pomicino racconta dei suoi due fratelli ugualmente arrestati, ma poi prosciolti.
Perfino il segretario del Prc Giordato vuole che «continui a lavorare». E sia. Ma può un
ministro della Giustizia con la moglie agli arresti e un partito in manette restare al suo
posto e, la prossima settimana, inaugurare l´anno giudiziario in Cassazione e a Milano? Il
passo indietro è obbligato, anche se un´intera Camera lo invita a restare. Lo fa anche
Prodi, quando Mastella va da lui poco dopo l´una. Al premier confessa: «Romano, sono
sconvolto». Quasi si commuove di nuovo com´è avvenuto durante lo speech a
Montecitorio. Ma la risposta non può che essere un «mi riservo», se non altro per avere il
tempo di leggere le carte e ragionare a tu per tu con la moglie. Quando lascia palazzo
Chigi si ferma in via Arenula per firmare le cose più urgenti e incontrare l´avvocato della
famiglia Titta Madia. I magistrati del gabinetto, gli fanno quadrato intorno. Non hanno
dubbi: «In questi mesi non abbiamo mai avuto l´impressione di aver lavorato con un
malfattore». Arriva a Ceppaloni che è notte. Sandra è ai domiciliari da tre ore. Affida i due
cellulari a una voce cortese che liquida chi lo chiama: «Il ministro è impegnato, non può
rispondere». Parlerà stamattina a Benevento. Ed è molto probabile che confermi
definitivamente le dimissioni.
Liana Milella, La Repubblica pag. 3
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“Lobby in Campania”: Mastella indagato, la moglie ai domiciliari
Febbretta, mal di testa, raffreddore. Il computer acceso dopo la prima colazione; e un’idea
che cominciava a farsi strada: «Oggi me ne resto casa, a riguardarmi». Nella grande villa
di Ceppaloni, frazione San Giorno, Sandra Mastella è un po’ acciaccata ma serena
quando clicca su un sito di notizie e legge il suo nome con quella parolina da brivido:
"arrestata". E’ cominciata così, prima delle nove di mattina, una nuova giornata in bilico
per la Repubblica. E a sera non si era conclusa ancora, perchè da Santa Maria Capua
Vetere sono filtrate nuove indiscrezioni, stavolta sul Guardasigilli, Clemente Mastella.
Anche lui è indagato, per reati gravi. Anche lui, come la moglie, ha saputo dai media di
essere coinvolto in questa inchiesta su una presunta lobby affaristica in Campania, con
arresti reali e domiciliari, dove gli accusati devono rispondere di concussione per aver
contrattato le nomine ai vertici degli enti locali. Titta Madia, il legale storico di Mastella,
arriva a Ceppaloni in un soffio. E la liquida così: «Nasce tutto dai contrasti tra personalità
politiche sulle nomine di manager pubblici. Gli attriti dialettici che fanno parte della
normalità della politica sono stati catalogati come reati. Basti pensare che Mastella è
accusato di aver concusso Bassolino. E Bassolino lo ha chiamato per dargli la sua
solidarietà».Il colpo di maglio nella patria dell’Udeur lo piazza un magistrato che tra undici
giorni andrà in pensione: e sceglie una data che si sovrappone perfettamente a quella in
calendario alla Camera per la prima inaugurazione dell’Anno Giudiziario in Parlamento,
come prevede la riforma sulla giustizia per anticipare la cerimonia ampollosa e formale in
Cassazione. Si chiama Mariano Maffei, è il procuratore di Santa Maria Capua Vetere ed è
parente prossimo di un ex esponente dell’Udeur in Campania, De Francisci, che di recente
ha traslocato nella Margherita in aperta polemica con i coniugi Mastella.
E’ a lui che il Guardasigilli si riferisce in aula, quando invece di leggere la relazione sullo
stato della giustizia in Italia, getta la spugna e si dimette da ministro: «Subisco
un'ingiustizia enorme, per un provvedimento perseguito con ostinazione da un procuratore
che l'ordinamento manda a casa per limiti di mandato e di questo mi addebita la colpa.
Colpa che invece - aggiunge il Guardasigilli - non ravvisa nell'esercizio domestico delle
sue funzioni per altre vicende che lambiscono suoi stretti parenti e delle quali è bene che il
Csm si occupi». Maffei risponde a stretto giro: «Polemica assurda e disgustosa, Mastella
ha leso la reputazione di un servitore dello Stato che per ben 44 anni ha amministrato la
giustizia con altissima professionalità, con spiccato senso del dovere e ha dimostrato in
maniera tangibile all'intera Nazione che la legge è uguale per tutti». Maffei intanto, di quel
fascicolo se n’è già sbarazzato. Ha riconosciuto di non essere competente territorialmente,
tanto che l’ordinanza che riguarda Sandra Lonardo Mastella e altre 25 persone, si
conclude con la disposizione di inviare gli atti alla Procura di Napoli. L’avvocato Titta
Madia la legge e sbotta: «Sapevano di essere incompetenti e hanno fatto ugualmente gli
arresti: il codice di procedura prevede una cosa del genere solo in casi di assoluta
urgenza, quando ci sono reali pericoli di mandare a monte l’inchiesta se si attende qualche
giorno. Ma era questo il caso?». Il fascicolo passa di mano, quindi. E Sandra Lonardo, che
ieri si era detta prontissima a farsi interrogare anche stamane per chiarire tutto, dovrà
aspettare. Entro venti giorni, la procura di Napoli dovrà rinnovare l’ordinanza che la
riguarda, altrimenti perderà di efficacia.
Massimo Martinelli, il Messaggero pag. 2
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“E’ caccia all’uomo, mi dimetto”. Prodi Resta
Mai unito su nulla il Parlamento italiano. O magari qualche volta sotto sotto lo è stato come quando Craxi nel’93 gridò «alzi la mano chi non conosceva l’esistenza del sistema
delle tangenti!» e nessuno la alzò - ma non poteva dirlo e preferiva il silenzio imbarazzato
e gonfio di ambiguità. Ieri, invece, il terremoto abbattutosi su Mastella ha prodotto, ben al
di là della dolorosissima vicenda personale dovuta a «frange estreme della magistratura
che hanno preso in ostaggio mia moglie», una presa di coscienza bipartisan di un
problema fondamentale. Quello della malagiustizia come «profonda emergenza
democratica». E l’emiciclo di Montecitorio è diventato la barricata della politica che si sente
aggredita dall’«irresponsabilità civile dei magistrati». Così la chiama Mastella, fra le grida
d’incitamento e due standing ovation che si registrano nel settore di centro-destra e le
approvazioni provenienti dal centro-sinistra: ma che sono meno clamorose e più misurate.
Anzi imbarazzate, considerando le posizioni del passato per cui, agli occhi della sinistra, ”i
pm hanno sempre ragione”, specie quando colpiscono l’Uomo Nero di Arcore. Ma adesso
la «caccia all’uomo», come la definisce il Guardasigilli, riguarda il Sannita su cui si regge il
governo. E lo spettro che se cadono lui e l’Udeur (come sta avvenendo) viene giù tutto
l’edificio della maggioranza e del governo prodiano, spinge a fare quadrato intorno a
Clemente anche chi non vorrebbe affatto stare legato a lui, specie in questa fase. Ma la
realpolitik ha la meglio. Parla della sua famiglia («M’hanno colpito negli affetti più cari»),
del suo partito («sono state utilizzate centrali d’ascolto per perseguitarci a colpi
d’interecettazioni»), della politica sotto scacco dei pm che «hanno teso una scientifica
trappola, vile e ignobile», ma il discorso del Guardasigilli cerca di avere un’eco più ampia,
non limitata a Palazzi e Palazzetti ma capace di parlare all’insieme dei cittadini in un
Paese che ha bisogno di riforme ma anche le riforme avrebbero bisogno di un Paese. Che
non può più essere quello dell’«impazzimento» delle toghe descritto dal ministro mentre
getta la spugna. Ora con voce veemente, ora con voce rotta da un accenno di pianto, ora
con voce che gli si strozza in gola e serve un bicchiere d’acqua per farla uscire in tutta la
sua drammaticità, Mastella dentro l’Aula che sembra abbracciarlo come un martire e come
un eroe narra di un’Italia sulla quale aleggia la ghigliottina. E dunque «mi dimetto,
riaprendo la questione delle intercettazioni, assai spesso manipolate o estrapolate ad arte
o divulgate senza alcun riguardo per la riservatezza dei cittadini e per la libertà delle
persone umane». Ma mentre pronuncia queste accuse, circola un sussurro, a mo’ di
sfottò, dalle parti di Rifondazione: «Ma chi glielo ha scritto questo discorso, Previti o il
Cavaliere?». Se lo è scritto da solo, di prima mattina. Quando ha anche sentito Prodi per
annunciargli: «Vado via». E il Prof.: «Non farlo». «Devo». «No». «Rifletterò». Ecco, il
ministro lascia l’incarico ma mette sul piatto lo scandalo di un Paese che non sa darsi una
degna civiltà giuridica. Su questo il Parlamento, in un clima da ’92, lo applaude. E c’è chi
(più polisti che unionisti) alla fine del discorso va a congratularsi con il San Sebastiano e
lui ripete sussurrando le cose che ha appena gridato: «Per la prima volta in vita mia, ho
paura». Poi gli arriverà la notizia di essere a sua volta indagato, proprio dopo aver
incontrato Prodi a Palazzo Chigi («Resta». «Rifletterò») e mentre sta andando a
Ceppaloni per stare con la moglie. Gli telefona D’Alema e gli dice: «Resisti!». «Resistereresistere-resistere» fu lo slogan della procura milanese che si sentiva aggredita dalla
politica ed è diventato adesso l’urlo di battaglia che il governo rivolge al suo Guardasigilli
più che azzoppato, ma al quale è riuscito un ultimo (?) capolavoro degno della sua
istrioneria politico-mediatica. Farsi gridare dall’intero Parlamento: «Forza Clemente!».
Mario Ajello, Il Messaggero pag. 3
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Riforma professione
Ordinamento, via libera dei legali
Tirocinio più lungo, preselezione informatica all'esame di stato e incompatibilità con
l'esercizio di altre professioni: così il parlamento riforma la professione di avvocato,
tentando di sfoltire l'eccessivo numero di aspiranti principi del foro. Il vecchio mestiere
forense sarà modernizzato anche con la possibilità di creare società di persone con
colleghi o altri professionisti, farsi pubblicità e pattuire il compenso in base al risultato.
Sono alcune delle travi di volta della nuova impalcatura della professione forense. Il countdown per la riforma è già cominciato, con sei disegni di legge in queste ore all'esame della
commissione giustizia del senato, che conta di approvarli per l'aula entro febbraio.E con
un dato nuovo: questa volta le lobby dei professionisti non si asserragliano dietro i niet che
per anni hanno bloccato con successo le riforme professionali. Al contrario, come indica
l'audizione delle associazioni forensi del 10 gennaio in senato, vogliono una riforma che
adegui la professione ai tempi e agli standard europei. E che soprattutto renda meno
indiscriminato l'accesso, vista l'esplosione del numero di toghe, dalle circa 40 mila dei
primi anni 90 alle attuali 200 mila. Una preoccupazione condivisa dal parlamento, tanto
che cinque dei sei ddl presentati a palazzo Madama affrontano la questione (si veda
scheda). Tra le proposte, due ddl, cosiddetti Calvi e Manzione dal nome dei senatori
firmatari, contengono la riforma organica dell'ordinamento forense, e saranno
probabilmente accorpati in un testo unico, contenendo disposizioni spesso identiche.
Sembra dunque riuscita l'operazione alla quale puntavano gli avvocati fin
dall'approvazione in consiglio dei ministri del ddl Mastella sulle professioni, e cioè lo
stralcio della normativa sui legali e l'approvazione con corsia preferenziale di una riforma
ad hoc. Nel corso dell'audizione le associazioni hanno condiviso anche nel merito
l'impostazione dei ddl Calvi e Manzione, manifestando però alcune riserve su questioni
specifiche, sulle quali si attende ora la mediazione dei senatori. Vediamo i dettagli.
Accesso: La mancata previsione del numero chiuso nelle facoltà di legge, da un lato, e
della frequenza obbligatoria delle scuole forensi dall'altro, sono tra i motivi di scontento.
L'Aiga, per esempio, ritiene che l'unico rimedio contro l'accesso indiscriminato alla
professione forense e l'inesorabile caduta della qualità del servizio legale sia il numero
orientato per tutti gli indirizzi universitari, e non solo per «alcune facoltà di serie A. Non
basta poi una riforma meramente nominale del tirocinio, spiega il presidente
dell'associazione giovani avvocati, Valter Militi, per assicurare l'inserimento nel mondo
professionale di giovani preparati, ma occorre «la frequenza obbligatoria delle scuole di
specializzazione forense».Anche l'Oua sull'accesso reclama scelte più coraggiose.
«Chiediamo un sistema più selettivo, basato sulla frequenza obbligatoria delle scuole
forensi preceduta da una preselezione e accompagnata da verifiche periodiche e finali,
che facciano arrivare all'esame di abilitazione solo chi ha le qualità necessarie per entrare
nella professione», spiega Andrea Pasqualin, vicepresidente dell'Organismo unitario
dell'avvocatura. Favorevole al numero chiuso a giurisprudenza e alla frequenza
obbligatoria delle scuole di specializzazione anche Salvatore Grimaudo, presidente
dell'Unione camere civili. Società: Il modello proposto dal ddl Calvi è incentrato sulla
possibilità di creare società di persone e associazioni tra legali (o anche multi-disciplinari
purché in materie riconosciute compatibili dal Cnf). Escluse, quindi, le società di capitale.
Sulla stessa linea il ddl Manzione, che da risalto anche all'opportunità di costituire
un'associazione temporanea per partecipare a determinati affari, senza compromettere
l'autonomia del singolo associato.
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Un'impalcatura apprezzata dalle associazioni in linea generale, ma l'Oua vorrebbe «una
maggiore flessibilità» degli strumenti previsti, che dovrebbero contemplare tanto le
associazioni temporanee che le società di capitale a responsabilità limitata (riservate agli
avvocati, ndr), oltre che la società semplice. Secondo l'Aiga «rimane irrisolto il problema
della scarsa appetibilità del modello societario dal punto di vista fiscale e della forma
giuridica». Processo disciplinare: La novità è rappresentata dall'istituzione dei consigli
distrettuali di disciplina ai quali è attribuito il potere disciplinare, attualmente in mano ai
consigli dell'ordine. L' ipotesi soddisfa in linea di massima le associazioni, che
suggeriscono però, tra l'altro, il possesso di determinati requisiti e l'assenza di
incompatibilità per i componenti del nuovo organo di disciplina. Tariffe: I ddl salvano i
minimi tariffari, eccezion fatta per le controversie «aventi a oggetto il pagamento di una
somma di denaro per la quale può essere pattuito un compenso in misura percentuale al
risultato utile». Via libera, quindi, al patto di quota lite, a condizione che non si scenda mai
sotto il minimo fissato per lo scaglione di valore più basso relativo alla prestazione
compiuta. Le tariffe sono generalmente efficaci, comunque, in mancanza di un accordo tra
le parti ai sensi dell'articolo 2233 del codice civile. Un recupero del valore delle tariffe
valutato positivamente dalle associazioni, così come apprezzata è la «riserva di
consulenza» legale prevista per gli avvocati anche in materia stragiudiziale.
Teresa Pittelli, Italia Oggi pag. 17
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Riforma, cala il gelo del Cup
Cala il gelo degli ordini sul progetto di riforma delle professioni. La scelta della
maggioranza di avviare il dibattito adottando come testo base il Mantini-Chicchi senza le
correzioni annunciate dai due stessi relatori a dicembre scorso (si veda ItaliaOggi di ieri),
proprio non va giù al Coordinamento unitario delle professioni. Che proprio l'altro ieri
aveva esultato all'avvio dell'iter, alla camera, della proposta di legge di iniziativa popolare.
Al momento si è rivelato tutto inutile, però. E anche se da qui al 6 febbraio, termine ultimo
fissato per gli emendamenti, c'è tempo per apportare al Mantini-Chicchi tutte le modifiche
del caso, il commento del Cup è lapidario: «Il parlamento è partito molto male», ha detto il
presidente, Raffaele Sirica (architetti), «perché non ha tenuto conto di nessuna delle
nostre proposte. C'è una nostra legge che è arrivata fino alla camera, con 80 mila firme
raccolte e un lavoro intenso da parte del comitato promotore per chiudere tutto nei tempi
opportuni. Ovvio che ci aspettavamo quantomeno una sua valutazione, così è come se la
raccolta firme non avesse avuto senso». «Esprimiamo quindi un giudizio molto critico», ha
proseguito Sirica, «soprattutto sulla base del fatto che i relatori ci avevano richiesto un
contributo che abbiamo immediatamente fornito, e ci era stato detto che le nostre
osservazioni sarebbero state incardinate. Insomma, ci aspettavamo un testo di partenza
diverso». Getta acqua sul fuoco Giuseppe Chicchi, secondo il quale non sussiste nessun
tipo di polemica. «Abbiamo semplicemente deciso che il nostro testo sarà quello di
partenza», ha spiegato, «le altre proposte, comprese quelle del Cup, le abbiamo messe
sul tavolo per gli emendamenti che verranno presentati da qui al 6 febbraio». Fatto sta che
il comitato promotore della raccolta firme commenta molto duramente lo stralcio del ddl
Cup. «È grave», ha detto il coordinatore del comitato, Pietro De Paola (geologi), «che la
commissione della camera sottovaluti la legge di iniziativa popolare (ddl 3277) sottoscritta
da circa 80 mila professionisti». E se agli ordini non è piaciuta per nulla la mossa del
parlamento, critiche arrivano anche dal mondo delle associazioni. E in particolare dal
Colap, che rappresenta oltre 190 sigle. «Peggio di così, il testo, anche senza le correzioni
richieste dagli ordini, non potrebbe essere», ha dichiarato il presidente Giuseppe Lupoi,
«perché dà la possibilità agli ordini di emettere delle leggi, e questa è già di per sé una
cosa gravissima. Detto questo, anche se le osservazioni degli ordini non sono state
inizialmente recepite, tutto si può fare in fase di emendamenti. Speriamo in un intervento
del governo». Molto meno critica, invece, l'altra parte delle associazioni, rappresentata da
Assoprofessioni. «Il testo così com'è ci va bene», ha detto il presidente, Giorgio Berloffa,
«anche se restiamo convinti del fatto che prima si debba procedere al riconoscimento
delle professioni, poi delle associazioni. Altrimenti si rischia di vedere col bollino blu delle
associazioni di professioni totalmente sconosciute. Questa è una modifica fondamentale
che va fatta al Mantini-Chicchi, e presenteremo degli emendamenti in questo senso. Detto
questo, non rappresenta una conditio sine qua non».
Gabriele Ventura, Italia Oggi pag. 41
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Previdenza
La Cassa al bivio sulle pensioni
Riforma delle pensioni, la Cassa forense è al bivio tra un sistema retributivo strutturato o
un sistema di calcolo contributivo. Tre le proposte in campo e il 25 gennaio il comitato dei
delegati dovrà scegliere una di queste per articolare una riforma che integri o superi (a
seconda delle opzioni) quella varata il 17 marzo del 2006 basata tra l'altro sull'aumento dal
10 al 12% del contributo soggettivo e l'aumento dal 2 al 4% del contributo integrativo
(bocciato dai ministeri vigilanti). Il comitato dei delegati ha formato tre gruppi di lavoro al
fine di individuare gli ulteriori interventi da approvare rapidamente per garantire la
sostenibilità economico-finanziaria del sistema previdenziale forense nel lungo periodo,
individuato dalla Finanziaria 2007 in almeno 30 anni. Tutti gli interventi messi a punto dai
gruppi di lavoro presuppongono l'indispensabilità, ai fini di un sufficiente finanziamento,
dell'aumento del contributo integrativo nella misura dal 2 al 4%, già deliberata dal comitato
dei delegati nel 2006. Tutti i gruppi si muovono nell'ambito del sistema di finanziamento a
ripartizione. Il primo gruppo di lavoro propone di proseguire e portare a termine l'intervento
riformatore già intrapreso, rimanendo nell'ambito del sistema di calcolo retributivo della
pensione. La commissione ha quindi elaborato una proposta di allungamento sino a 70
anni dell'età pensionabile, correlativamente aumentando da 30 a 35 l'anzianità contributiva
necessaria, garantendo un forte risanamento dei conti sulla via del raggiungimento
dell'equilibrio nel lungo periodo e della sostenibilità del sistema sino al 2050. Nel proporre
un salto, apparentemente così ampio, la commissione ha considerato che una larghissima
percentuale degli avvocati ultra 65enni continua, con buon profitto, nell'attività sino almeno
a 70 anni e quindi un pur così cospicuo allungamento non dovrebbe trovare nella
categoria eccessive resistenze. Da altro punto di vista la commissione ha anche voluto
tener conto delle istanze di coloro che non se la fossero sentita di accettare un così
cospicuo allungamento della vita lavorativa predisponendo quindi un sistema flessibile che
consentisse agli avvocati, raggiunta l'età di 65 anni, di poter optare per il pensionamento
anticipato pur continuando a rimanere iscritti all'Albo. Tale prepensionamento dovrà
avvenire però senza maggiori oneri per la Cassa, applicando cioè una riduzione sul
trattamento pensionistico che l'Ufficio attuariale interno ha calcolato essere nella misura
del 5% annuo. La commissione ha poi regolamentato il periodo transitorio. Quanto alle
aliquote di riferimento, si è proposto un accorpamento delle quattro aliquote vigenti (1,75 1,50 - 1,30 - 1,15) riducendole a due: una all'1,50% fino ai del tetto e l'altra al 1,20% per il
restante . La commissione ha proposto un ulteriore ritocco al contributo di solidarietà da
versare da parte dei pensionati che restano iscritti pari al 5% contro il 4% già approvato
entro il tetto e al 3%, come gli attivi, oltre il tetto. È previsto un aumento del contributo
soggettivo minimo e del contributo integrativo minimo. Per la pensione di anzianità si è
elevato da 35 a 40 anni il numero di anni di anzianità contributiva necessari al
conseguimento. Il secondo gruppo di lavoro propone l'introduzione del metodo contributivo
di calcolo della pensione usufruendo del riferimento normativo di cui all'art. 3, comma 12,
della legge 335/95. Il gruppo ha previsto: l'aumento del contributo soggettivo attraverso
un'aliquota variabile, determinabile, a scelta dell'iscritto, fra un'aliquota minima del 12% e
una massima del 20%; contributo integrativo minimo con l'aliquota fissa del 2% ma con
previsione di una maggiorazione straordinaria temporanea al 4% destinata alla gestione
finanziaria della fase di transito al metodo contributivo, all'assestamento del relativo
equilibrio di bilancio e a interventi solidaristici in ottica di equità intra e intergenerazionale
per la stessa fase di transito; contributo transitorio di solidarietà, sul reddito eccedente il
massimale contributivo, a carico degli avvocati iscritti alla Cassa con conferma
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dell'aliquota del 3% per il periodo contributivo dall'1/01/2009 al 31/12/2018, con riduzione
dell'aliquota dell'1,50% per il periodo dall'1/01/2019 al 31/12/2028 da destinarsi a fini
solidaristici nella fase di transito dal sistema retributivo a quello contributivo. Quindi questo
3% non partecipa, in alcun modo, sino al 2028, alla formazione del montante contributivo.
Il terzo gruppo di lavoro, sul presupposto che sia raggiunta la stabilità di medio-lungo
periodo, introduce accanto alla pensione calcolata con il metodo retributivo una pensione
modulare che si presenta come un nuovo strumento previdenziale, che unisce al
versamento dei contributi obbligatori destinati alla pensione retributiva alcuni contributi
volontari, in misura determinata dall'iscritto, e che gli consente di costruirsi nel tempo un
trattamento pensionistico più adeguato alle singole esigenze e comunque personalizzato
attraverso un contributo soggettivo obbligatorio modesto, per esempio del 2%, e uno
volontario, più elevato. I vantaggi della quota modulare della pensione sarebbero: totale
deducibilità della contribuzione obbligatoria e volontaria; deducibilità immediata e
programmazione annuale delle fatture; possibilità di modulare il versamento del contributo;
nessun vincolo assoluto di continuità nei versamenti; erogazione della quota di
pensionamento modulare insieme a quella retributiva per rendimento minimo garantito
della Cassa di previdenza; trasparenza degli investimenti ed estratto conto personale;
nessuna spesa di erogazione per l'iscritto; esiguità delle spese di gestione assorbite in
quelle generali della Cassa; affidabilità della gestione alla stessa Cassa di previdenza.
Italia Oggi pag. 19
Soluzioni per i senza ordine
Il disegno di legge sulle casse sarà lo strumento per risolvere i problemi previdenziali dei
professionisti iscritti nel fondo della gestione separata dell'Inps. Sarebbe questa la
soluzione prospettata dal ministero del lavoro durante l'incontro di ieri con il presidente dei
tributaristi dell'Int, Riccardo Alemanno, delegato dal Colap alla previdenza obbligatoria.
«Da parte del ministero», ha dichiarato, «oggi più libero dagli impegni della riforma del
welfare, è emersa la disponibilità a porre rimedio normativo alla vicenda della mancata
separazione tra professionisti e parasubordinati, indicando nel ddl sulle casse previdenziali
professionali lo strumento per concretizzare le soluzioni. Inoltre, nel breve periodo,
saranno approfondite e affrontate le problematiche della doppia imposizione contributiva e
dell'indennità di maternità».
Italia Oggi pag. 41
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Legali e mercato
I legali con l'aspirina in tasca
Con il business nel settore farmaceutico, grazie alla sua Serono, Patrizio Bertelli ha vinto
per ben due volte la Coppa America con Alinghi. Di sicuro l'industria farmaceutica è uno
dei comparti più ricchi e spesso competitivi dell'intera economia internazionale. I player in
gioco sono giganti e multinazionali che investono miliardi di euro in ricerca e sviluppo di
nuovi farmaci e in medicinali che rappresentano la nuova frontiera della medicina.
Nonostante il mercato non sia dei più effervescenti dal punto di vista societario, sono molti
gli studi nazionali e internazionali che hanno tra i loro clienti alcune importanti aziende
farmaceutiche. Un esempio è quello dello studio Tonucci & Partners, guidato da Mario
Tonucci. Il dipartimento della law firm capitolina può vantare tra i suoi clienti la Amgen,
Reckitt Beckinser Healthcare, la Sigma Tau Industrie Farmaceutiche di Pomezia, Ucb
Pharma e le Officine Santa Maria Novella. Mario Tonucci può inoltre vantare una
collaborazione con lo studio Leone & Spadaro, con il quale vengono seguite le pratiche
relative a brevetti farmaceutici e biotecnologici sia in Italia sia all'estero. Tra le ultime
operazioni è da ricordare soprattutto la cartolarizzazione da oltre 290 milioni di euro di
crediti vantati dalle aziende farmaceutiche aderenti a Farmaindustria nei confronti della
Regione Lazio, dove Tonucci è stato coinvolto a fianco di Deutsche Bank. Tra le law firm
più attive nel comparto farmaceutico non può mancare Chiomenti. Nel 2007 Enrico
Giordano ha assistito la Sorin nel percorso di quotazione, mentre Corrado Grande e
Umberto Borzi sono stati al fianco di Biopharma in alcune delicate trattative. Manfredi
Vianini Tolomei, invece, è stato consulente di Newron Pharmaceutical nella quotazione
sullo Swiss Exchange, mentre Francesco Tedeschini e Antonella Brambilla sono stati gli
avvocati di Philogen per l'ottenimento del nullaosta da parte della Consob per la
pubblicazione del prospetto informativo per l'offerta pubblica di sottoscrizione e per
l'ammissione alla quotazione a Piazza Affari. Infine, Giorgio Cappelli e Giulia Battaglia
sono stati i consulenti di Farmafactoring in un'operazione di acquisition finance per
l'acquisizione da parte del fondo di private equity Apax del controllo di Confarma e
Farmafactoring. Da Bonelli Erede Pappalardo, invece, la supervisione del dipartimento di
diritto farmaceutico è affidata ad Andrea Carta Mantiglia. Recentemente lo studio ha
assistito Dompè Farmaceutica nell'intesa con Amgen, la multinazionale farmaceutica
californiana. Un team più strutturato è sicuramente quello di Clifford Chance. Il
dipartimento Healthcare and Life Sciences è guidato dai soci Cristina Martorana e Ian
Tully, basati a Milano, e da Aristide Police e Cristoforo Osti, che lavorano invece presso
l'ufficio di Roma. Nelle loro attività ad affiancarli c'è Monica Riva, senior associate dello
studio. Tra i clienti, Kci, Datascope, FujiFilm, Storz Medical System e Stryker,
specializzato nelle problematiche dei dispositivi medici. Presso lo studio legale Delfino e
Associati Willkie Farr & Gallagher LLP i deal importanti degli ultimi mesi sono
sostanzialmente due. Il primo è l'acquisizione, nel 2004, di Aventis SA da parte di Sanofi
Synthelabo SA, dove Willkie Farr assisteva l'acquirente; il valore dell'operazione
ammontava a 48,5 miliardi di euro. Il secondo riguarda invece l'acquisizione, stavolta nel
2005, della Ivax Corporation da parte di Teva Pharmaceutical Industries Ltd, assistita da
Willkie, per un valore di circa 9 miliardi di dollari. Altre operazioni in cui ha lavorato il
gruppo italiano sono quella che riguardano Merck Pharma Group acquisita da Merck
Pharma (2001), l'operazione su Esaote acquisita da Bracco Biomed (2002), NM Pharma
acquisita da Merck KgAA e venduta poi da Pfizer (2004), dove Willkie ha assistito gli
acquirenti. Il gruppo dei professionisti italiani che ha seguito queste operazioni è stato
guidato da Maurizio Delfino, e insieme a lui ne hanno fatto parte anche Stefano Fontanelli,
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Luca Taverna e Serena Ciampi, mentre gli aspetti fiscali sono stati seguiti da Guido Nori.
Negli uffici di Roma è Daniela Francesca Pistorio l'esperta di regolamentazione del settore
farmaceutico. Aurelio Giovannelli e Pierfrancesco Federici sono invece practice
coordinators dello studio Baker & McKenzie che ha assistito Hospira nell'acquisizione del
gruppo Mayne Pharma e la Abbott nell'acquisizione della divisione vascular del gruppo
Guidant. Tra gli avvocati di Baker & McKenzie in prima linea anche Pietro de Libero,
Francesco Pisciotta e Francesca Rubina Gaudino, che hanno seguito Elekta, leader
mondiale nella radioterapia avanzata, per i trattamenti oncologici e interventi invasivi di
patologie neurologiche con sede a Stoccolma, nell'acquisizione dell'italiana 3D Line
Medical System. Infine, la law firm Baker & McKenzie è stata coinvolta anche
nell'acquisizione del 51% di Thermax (Bayer) da parte della Merck Holding Gmbh. Lo
studio milanese Breveglieri Verzini e Soci segue molte società farmaceutiche tra cui
Gentium, la società di Villa Guardia (Como) guidata da Laura Ferro e quotata al Nasdaq.
Infine, il team italiano di life sciences di Simmons & Simmons, composto da una decina di
professionisti, è guidato da Paolo De Carlo, mentre le attività internazionali di questa
practice sono seguite da Charles Mayo, che guida oltre 100 professionisti, tra i quali 41
partners.
Roberto Nido, Italia Oggi pag. 20
Giudici di pace
Attentato alla specialità dei gdp
Tanto tuonò che piovve. Dopo mesi di inutili informazioni fornitrici dal ministero di giustizia
abbiamo potuto prendere visione del testo riforma della magistratura onoraria, riordino
degli uffici giudicanti di primo grado e interventi urgenti per la definizione del contenzioso
pendente, presentato al consiglio dei ministri il 21 dic.u.s. Il testo e la relazione
accompagnatoria
sono
state
pubblicate
nel
sito
del
ministero
e
su
www.magistraturadipace.it. Tutte le nostre critiche trovano conferma e rendono il disegno
di legge inaccettabile. Già nel titolo inizia il disaccordo. Dopo le numerose leggi che si
sono succedute da quella istitutiva n. 374/1991, non ha senso parlare di giudici onorari nei
confronti del giudice di pace. Lo stesso ministero non colloca i gdp tra i giudici onorari,
bensì tra i magistrati ordinari. Vedere per credere. La vicenda assume solo un aspetto
strumentale. Le leggi richiamate identificano una funzione autonoma, una giurisdizione
indipendente di primo grado in civile ed in penale. Nulla a che fare con i giudici onorari di
tribunale e i viceprocuratori onorari. Questi ultimi privi di indipendenza e autonomia, sono
posti al servizio di disposizioni impartite dai giudici di carriera. Posso ritenere che gli illustri
formulatori del ddl sappiano perfettamente la profonda inequivoca differenza tra un giudice
di pace e un got e un vpo. Ed allora? La riforma sia rivolta verso questi, ponendo fine ad
uno sfruttamento di stato ignobile del lavoro che non ha eguali nella pubblica
amministrazione. Questa situazione , già indegna per uno stato civile, la si vuole allargare
ai giudici di pace che per la legislazione post 1991 ha affrancato dalla onorarietà,
sopprimendo gli uffici e ponendoli anch'essi sotto la direzione dei magistrati di carriera,
che ne determineranno la continuità nell'incarico. Al di là del miraggio del servizio con
mandati rinnovabili sino a sessantacinquenni. E' chiaro che ogni nostra osservazione si è
scontrata con i nostri interlocutori, anche quelli che da sottosegretari dovrebbero ricoprire
un ruolo politico, tutti magistrati, ad eccezione di Mastella, che più volte ci hanno
rinfacciato «ma che volete parificarvi ai magistrati di carriera che hanno fatto i concorsi»?
A prescindere che la legislazione italiana non disciplina le modalità del concorso, anche
noi abbiamo fatto il concorso per titoli e con valutazione di professionalità, reiterata dopo i
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quattro anni. Non abbiamo mai inteso proporre il nostro ingresso in magistratura ordinaria,
ma sempre abbiamo richiesto quello che già è stato conferito ai giudici tributari: il mandato
quadriennale rinnovabile sino a 75 anni, previa verifica di professionalità. Questa è la
nostra posizione. A nessuno, anche ministro autorevole, è lecito stravolgerla. Volete che
singolarmente ve lo mettiamo per iscritto? Sarà fatto. Così toglieremo un presunto
ostacolo al buon senso ed alla buona giurisdizione, rappresentata dai giudici di pace. Che
non può essere ignorata, come stiamo già verificando in tutti gli uffici ove il problema si sta
discutendo tra migliaia di utenti della giustizia. E come i dati di produttività e operosità
confermeranno puntualmente il 24 p.v. allorché ascolteremo la relazione del Presidente
della Corte di cassazione. Da questa premessa, il disegno di legge, riordina gli uffici
giudicanti di primo grado. Un eufemismo per sopprimere l'ufficio del gdp e per annullare il
grado di giudizio del giudice di pace (civile e penale ) e farlo confluire in tribunale, unico
primo grado per tutte le materie. Prima conseguenza, gli appelli del giudice di pace
saranno giudicati dalle Corti d'appello, anche le sanzioni amministrative al codice della
strada. Conseguenza: intasamento e collasso delle corti. Sembra di assistere al gioco
delle tre carte. Con lo sfruttamento di altre migliaia di professionisti si presume di
alleggerire il lavoro dei tribunali. Pazienza se poi il problema si aggrava nelle corti
d'appello e poi in cassazione. Eh già. Anche la suprema corte sarà investita dall'onda
lunga. Interventi urgenti per la definizione dei procedimenti pendenti in tribunale. La nostra
proposta è semplice. Troppo semplice per essere accolta: è in discussione in parlamento
la riforma del codice di procura civile; si aumenti la competenza del gdp per valore e per
funzione e si trasferisca tutto quanto pendente in relazione a tale competenza aumentata.
Eppure la coalizione che ha vinto le elezioni aveva scritto nel programma tali idee. È
troppo chiedere il rispetto di un impegno assunto con gli elettori? Sfido chiunque a un
pubblico dibattito per smentire quanto ho affermato. Mi auguro che nel prosieguo i mezzi
di informazione facciano il loro mestiere, a partire da alcune trasmissioni televisive e
radiofoniche, che nate per fare informazione sono diventate solo megafoni di interessi
corporativi e politici. Inoltre rivolgiamo un appello pressante ai presidenti delle regioni
affinché facciano valere il loro potere organizzativo previsto dalla Costituzione per
segnalare alla presidenza del consiglio dei ministri quanto sta avvenendo, ai sindaci dei
comuni interessati che vedranno venir meno il giudice di prossimità, agli avvocati, il cui
lavoro verrà ulteriormente rallentato nei tribunali, ai movimenti dei consumatori che
vedranno allontanarsi una rapida ed autonoma definizione delle vertenze. Ed infine anche
ai colleghi got e vpo affinché escano dal limbo e lottino con noi per mettere fine al
magistrato-precario senza stipendi certi e senza previdenza e assistenza. Da parte nostra
diamo appuntamento a quanti hanno a cuore nel nostro paese la giustizia (con la «G»
maiuscola ) all'inaugurazione dell'anno giudiziario avanti la Corte di cassazione venerdì 25
gennaio e sabato 26 pv. presso le Corti d'appello per indicare che la giustizia è tale solo
se è posta al servizio del cittadino.
Francesco Cersosimo,Presidente Associazione nazionale Gdp, Italia Oggi pag. 24
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GIURISPRUDENZA
Cassazione
Droga, sanzioni ridotte dalla “Fini-Giovanardi”
Sorpresa. La legge “Fini –Giovanardi” approvata all’insegna della tolleranza zero nei
confronti del possesso e spaccio di stupefacenti ha come conseguenza la riduzione delle
pene. Almeno per chi detiene sostanze diverse come hashish e cocaina con riflessi
immediati anche sulle sentenze si patteggiamento, nelle quali non può essere contestato
un aumento di pena per il calcolo della continuazione, fondato sulla differente
considerazione da attribuire al possesso di droghe differenti. E’ quanto emerge dalla
sentenza della Cassazione n. 1735 depositata il 14 gennaio 2008. La Cassazione ha fatto
notare come prima della riforma del 2006, voluta dalla Casa delle libertà allora al Governo,
la giurisprudenza si era assestata nel considerare che la detenzione ai fini di spaccio di
sostanze appartenenti a due tabelle di classificazione configurava un concorso di due reati
e non l’assorbimento di uno nell’altro. Con la conseguenza che l’imputato avrebbe dovuto
rispondere di due delitti eventualmente unificati dal vincolo della continuazione. Quando
invece le sostanze appartenevano alla stessa tabella o a tabelle omogenee ricorreva un
solo reato. Dal 2006 , però, è intervenuta la legge “Fini –Giovanardi” dove a prevalere,
ricorda la Corte, è la considerazione che la detenzione ai fini di commercio di qualsiasi
droga ha la stessa efficacia lesiva dei beni tutelati dalla normativa “come reso evidente
anche dalla unificazione del trattamento sanzionatorio orami indifferenziato”. Ora la
Cassazione ritiene che l’unità della disciplina normativa ha fatto venire meno la base
giuridica sulla quale si fondava la distinzione tra “droghe pesanti” e “droghe leggere” con la
conseguente necessità della configurazione di un solo reato.
Giovanni Negri, Il Sole 24 Ore pag. 34
Neocomunitari, il reato resta
Le norme che hanno modificato lo status dei rumeni, facendoli diventare cittadini Ue, non
possono considerarsi integratrici della norma penale, e non sono neppure retroattive. Le
Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 2451/08 hanno cos’ risolto la questione
dell’estendibilità del principio dell’articolo 2 del Codice penale (successione di leggi penali
nel tempo) alle norme extrapenali, nel caso specifico integrative della legge sugli stranieri.
Secondo i giudici “la situazione di fatto e di diritto antecedente all’adesione (della
Romania) e quella successiva sono diver4se e richiedono quindi logicamente trattamenti,
anche penali, diversi”. L’allargamento della Ue del 1 gennaio 2007 – secondo i giudici non ha inciso sulla fattispecie dell’articolo 14 del Dlg 286/98, ma ha reso solamente lecita
la permanenza in Italia di rumeni da quel momento in poi.
Alessandro Galimberti, Il Sole 24 Ore pag. 34
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Espulsioni ante '07 Punibili i rumeni
Sono a tutt'oggi punibili i cittadini rumeni che, prima dell'ingresso in Europa, hanno violato
la Bossi-Fini rimanendo in Italia nonostante l'ordine di allontanamento disposto nei loro
confronti dal questore. A questa conclusioni sono pervenute le Sezioni unite penali con la
sentenza n. 2451 del 16 gennaio 2008. Nessun contrasto ha portato la questione sul
tavolo delle Sezioni unite ma solo il problema di risolvere un punto ancora molto delicato:
infatti non sono pochi i cittadini rumeni rimasti in Italia nonostante l'espulsione disposta
dalle nostre autorità. E tutti, ora, rischiano di incorrere in una condanna penale nonostante
la Romania abbia aderito all'Unione europea. Un problema di sicurezza che di fronte al
Collegio esteso ha preso la forma di un cavillo meramente giuridico di successione della
legge penale. Con 16 pagine di motivazioni i giudici di legittimità hanno concluso per la
linea dura: «deve escludersi», hanno messo nero su bianco, «che l'adesione della
Romania all'Unione Europea abbia determinato l'abolizione del reato previsto dall'art. 14
del dlgs 286 del 1998, commesso dai cittadini rumeni prima del 1 gennaio 2007, giorno di
entrata in vigore del trattato di adesione». D'altro canto, ha chiarito la Cassazione, la
soluzione opposta nel senso della non punibilità dei cittadini stranieri «in attesa di entrare
a far parte dell'Unione europea» sarebbe «paradossale»: verrebbero instaurati
procedimenti penali inutili «per reati destinato a venire meno nel momento in cui
diventerebbe efficace l'adesione». Non basta. «La consapevolezza dello straniero che di lì
a poco il proprio Stato entrerà nella Ce lo indurrebbe a trasgredire senza timore alcuno
l'art. 24 del dlgs 286 del 1998, confidando poi nella successiva abolizione del reato».
Debora Alberici, Italia Oggi pag. 34
Immobili, dai notai tutte le verifiche
Al notaio cui viene richiesto la preparazione e la stesura di un atto di trasferimento
immobiliare, la preventiva verifica della libertà e disponibilità del bene e delle risultanze dei
registri immobiliari attraverso la loro misura, costituisce un obbligo derivante dall'incarico
conferitogli dal cliente. Conseguentemente, l'inosservanza dei suddetti obblighi accessori
da parte del notaio dà luogo a responsabilità «ex contractu» per inadempimento
dell'obbligazione di prestazione d'opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge
professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale peculiare forma di
responsabilità. Lo mette nero su bianco la suprema Corte dei cassazione nel testo della
sentenza n. 24733/2007 con la quale ha sancito la responsabilità del notaio rogante che
non ha posto in essere tutte le cautele opportune affinché l'oggetto della prestazione fosse
garantito all'acquirente. È pacifico, ha ammesso il supremo collegio, che l'opera del notaio,
in tali casi, non può essere ridotta al mero compito di accertamento della volontà dei
contraenti, dovendosi necessariamente estendersi alle attività preparatorie e successive
necessarie affinché l'atto pubblico «attinga validamente al suo scopo». A nulla vale il
rilievo sollevato dalla difesa del professionista che il suo compito è solo quello di riprodurre
fedelmente la volontà dei contraenti, per cui se, com'è avvenuto nel caso di specie, uno
degli attori ha fornito una dichiarazione mendace in ordine alla libertà di un immobile da
vincoli di garanzia reale, ciò è condizione sufficiente per sollevarlo da qualsiasi
responsabilità. Infatti, ha rilevato il collegio, al notaio cui viene richiesto la preparazione e
la stesura di un atto di trasferimento immobiliare, la verifica preliminare sulla libertà e
disponibilità del bene costituisce, tranne nel caso in cui le parti espressamente ne
dispongano dispensa, un obbligo derivante dall'incarico conferitogli dal cliente. La sua
opera professionale deve assicurare, infatti, la serietà e la certezza dell'atto giuridico da
redigere. Ne consegue pertanto che, l'inosservanza dei suddetti obblighi accessori da
parte del notaio fa nascere responsabilità ex contractu per inadempimento
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dell'obbligazione della prestazione di opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge
professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale forma di responsabilità.
Antonio G.Paladino, Italia Oggi pag. 41
FLASH
Italia Oggi pag. 19-21-23-34
Rifondazione comunista si smarca dal dl Amato
Decreto-bis sulla sicurezza, ma tutto nuovo. La tesi della completa autonomia del decreto
249/2007 è l'unica che lo può salvare dalla censura di incostituzionalità per violazione del
divieto di reiterazione dei decreti legge. Il decreto in sintesi fa salve le misure
antiterrorismo contenute nel decreto Pisanu la cui applicabilità veniva meno al 31
dicembre 2007, e ne estendere l'applicazione anche ai cittadini comunitari. Il dibattito
parlamentare in commissione affari costituzionali ha visto già sollevare la questione della
legittimità del provvedimento d'urgenza che riproduce in alcuni articoli le medesime norme
già inserire nel decreto legge 181. E non solo. La maggioranza torna a dibattere sul testo
e Rifondazione comunista ha già presentato una serie di emendamenti che stemperano le
misure più drastiche nei confronti dei cittadini stranieri, riprendendo testi e norme del dlgs
che ha recepito la direttiva sulla libertà di soggiorno. La maggioranza, a difesa del decretobis, mette in evidenza diverse ragioni. Innanzitutto, il decreto risponde ad autonomi casi
straordinari di necessità e urgenza, e in particolare la necessità di introdurre una disciplina
a regime dell'espulsione degli stranieri per motivi di prevenzione del terrorismo, dato che la
precedente disciplina, contenuta nel cosiddetto decreto Pisanu (144/2005) si applicava
«fino al 31 dicembre 2007», così come la necessità di estendere l'applicabilità di tali
misure ai cittadini comunitari. Inoltre nuovi motivi d'urgenza sarebbero rappresentati dalla
necessità di introdurre una disciplina sull'allontanamento dei cittadini comunitari per motivi
imperativi di pubblica sicurezza. In secondo luogo il decreto-bis sarebbe nei contenuti
diverso dal precedente. Infine, parte della disciplina del decreto-bis sarebbe la
riproposizione di norme introdotte in fase di conversione (disciplina sostanziale
dell'allontanamento dei cittadini comunitari per motivi imperativi di pubblica sicurezza). Ci
si riferisce alle norme sulla convalida da parte del giudice delle misure di allontanamento,
a quelle sulla determinazione dei motivi imperativi di ordine pubblico. Nel contenuto il
decreto legge in commento introduce modifiche al decreto Pisanu, 144/2005, disciplinante
il decreto di espulsione degli stranieri per motivi di prevenzione del terrorismo,
introducendo per quest'ultimo l'istituto della convalida da parte del giudice (articolo 1) e
attribuendo la competenza per la convalida al tribunale in composizione monocratica in
questo come in tutti i casi di espulsione amministrativa (articolo 2). Il provvedimento,
inoltre, introduce l'istituto dell'allontanamento del cittadino dell'Unione europea per motivi
di prevenzione del terrorismo (articolo 3) e per motivi imperativi di pubblica sicurezza
(articoli 4, 5, 6 e 7), prevedendo, anche con riferimento a questi due istituti, la convalida da
parte del giudice e attribuendo la competenza per la convalida, anche in questo caso, al
tribunale in composizione monocratica. Nel dettaglio il decreto 249 rende immediatamente
esecutivo il decreto di espulsione dello straniero disposto per motivi di prevenzione del
terrorismo, anche se l'interessato ha proposto ricorso. Il provvedimento deve essere
convalidato da parte del tribunale in composizione monocratica, che subentra al giudice di
pace quale autorità giudiziaria competente in tema di espulsione di stranieri e di
allontanamento di cittadini europei. Anche nei confronti di questi ultimi si introduce la
regola dell'allontanamento immediato per motivi di prevenzione del terrorismo. In tale caso
a carico dell'interessato scatta il divieto di reingresso per una durata da cinque a dieci
anni. L'interessato non può fare ingresso nel territorio neanche nelle more del
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procedimento amministrativo di revoca, avviato su sua richiesta. L'allontanamento
immediato dei cittadini dell'Unione europea è previsto nel decreto anche per motivi
imperativi di pubblica sicurezza. In tale caso la motivazione è appunto quella dell'esistenza
di una minaccia concreta e attuale alla pubblica sicurezza, come la tenuta di
comportamenti che costituiscono una minaccia concreta, effettiva e grave alla dignità
umana o ai diritti fondamentali della persona o all'incolumità pubblica, i quali rendano
urgente l'allontanamento. L'articolo 5 del decreto prevede in caso di violazione del divieto
di reingresso conseguente all'allontanamento la reclusione fino a quattro anni. Il decreto,
infine, incardina nel Tar Lazio la competenza sui ricorsi contro i provvedimenti di
allontanamento dei cittadini comunitari per motivi di terrorismo e nel tribunale
territorialmente competente quelli relativi ai provvedimenti di allontanamento per motivi
imperativi di pubblica sicurezza.
Regioni, servizi ai detenuti
La regione Toscana ha deciso di investire 369 mila euro per i circa 3 mila detenuti ristretti
nelle proprie carceri. Sono ben 18 gli istituti penitenziari in Toscana e comprendono un
ospedale psichiatrico giudiziario (Montelupo Fiorentino), il più grande centro clinico d'Italia
(Pisa), due strutture isolane (Porto Azzurro e Gorgona). La regione ha infatti approvato
due bandi diretti a finanziare progetti di enti locali o del privato sociale in sostegno alla
popolazione detenuta o ex detenuta della regione. Il primo bando, per il quali sono stati
stanziati 249.000 euro, mira al «sostegno alle buone pratiche e alle politiche di inserimento
sociale dei detenuti e dei detenuti scarcerati italiani e stranieri». I progetti finanziati, se
riguardanti ex detenuti, dovranno avere un impatto su almeno due province; qualora rivolti
a persone attualmente detenute, dovranno essere indirizzate alla popolazione carceraria
di almeno due case circondariali toscane. Tre gli obiettivi fissati per i progetti: 1)
l'inclusione sociale e l'inserimento lavorativo; 2) la formazione professionale diretta
all'acquisizione di qualificazioni professionali con effettive possibilità di inserimento
lavorativo; 3) l'effettuazione di azioni di sostegno che diffondano presso detenuti ed ex
detenuti la conoscenza dei propri diritti. Potranno presentare progetti gli enti locali aventi
sede in Toscana, oppure organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale
e cooperative sociali iscritte ai rispettivi albi e sempre aventi sede sul territorio regionale. Il
finanziamento per ciascun progetto non potrà superare i 30 mila euro. Le domande
dovranno essere recapitate entro il 29 febbraio 2008. Il secondo bando, per il quale la
regione stanzia 120 mila euro complessivi, riguarda il «sostegno alle buone pratiche e alle
politiche di rete educativa volte al sostegno sociale dei detenuti e dei detenuti
neoscarcerati italiani e stranieri». Esso prevede che siano presentati progetti di rete che
prevedano la creazione sul territorio di nuove idonee figure educative capaci di dialogare e
di fare da raccordo fra il personale socio-educativo della struttura penitenziaria e quello
socio-educativo del territorio di riferimento. L'obiettivo è quello di costituire progetti di
reinserimento sociale che accompagnino i soggetti dalla fase di prima entrata nella
struttura penitenziaria sino all'uscita sul territorio. Anche qui i soggetti destinatari sono gli
enti locali, le organizzazioni di volontariato, le associazioni e le cooperative sociali.
L'ammontare massimo del finanziamento per ciascun progetto è pari a euro 24 mila. Le
proposte di progetto dovranno essere presentate entro il 29 febbraio 2008.
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Personale, intesa Mingiustizia-Lombardia
Mobilità volontaria e reciproco scambio temporaneo di personale a scopo di arricchimento
professionale fra il ministero della giustizia e la regione Lombardia. È il contenuto del
protocollo d'intesa, della durata di due anni, siglato a via Arenula martedì dal
sottosegretario alla giustizia Luigi Li Gotti, in rappresentanza del ministro Clemente
Mastella, e dal presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni. Sede dell'intesa gli
uffici giudiziari del tribunale e della Corte d'appello di Milano. In termini di «mobilità
volontaria», si legge nel protocollo, è previsto un periodo di formazione non superiore a tre
mesi superato il quale si procederà al trasferimento, mentre per chi vorrà fare
un'esperienza di arricchimento professionale, ci sono stage formativi per un periodo di sei
mesi, prorogabili non più di una volta. Il lavoro per raggiungere la sottoscrizione di questa
intesa, alla quale ha assistito a via Arenula anche il presidente del tribunale di Milano,
Livia Pomodoro, è iniziato nel luglio 2007, la convenzione durerà due anni e l'avvio è
previsto entro 90 giorni. A darne il senso Claudio Castelli, capo del dipartimento
dell'organizzazione giudiziaria: «Il protocollo dà la possibilità di mobilità del personale dalla
regione all'amministrazione giudiziaria e viceversa per incentivarla e sopperire ai problemi
di carenza nell'organico della giustizia. La Lombardia, in particolare, è la regione che
soffre di più questa scopertura di organico». «Nell'immediato si tratterà di una dozzina di
persone distaccate», quantifica Formigoni ricordando come già in passato la Lombardia
sia venuta in aiuto agli uffici giudiziari con stampanti, computer, arredamento da ufficio e
mobilità del personale. «Ottime esperienze», ricorda, «sulla cui base firmare un accordo
dalle molte finalità positive: razionalizzazione di risorse, collaborazione istituzionale e
procedure semplificate per uno scambio di esperienze. Si applica così quanto previsto
dalla Finanziaria 2008 per sopperire alla carenza di personale nell'amministrazione della
giustizia, la cui tempestività, efficienza e serenità sono tra gli elementi più richiesti oggi dal
cittadino». E proprio quello della mobilità è l'aspetto più importante, sottolinea Li Gotti a
ItaliaOggi: «Avverrà su richiesta delle amministrazioni e su base volontaria; quanto
all'individuazione delle categorie e delle aree, non viene stabilito nessun numero e la
stessa richiesta, avvenendo sulla base delle esigenze, sarà indifferenziata. Viceversa»,
distingue, «lo scambio in stage è previsto per la fascia alta, il livello funzionale». Una
situazione positiva anche a fronte dell'esigenza di mobilità interna, sbloccatasi dopo anni
solo quest'anno con l'accordo dei sindacati, che però porterà a un impoverimento del
personale nelle regioni del Nord Italia perché i flussi di richieste di trasferimento o
riavvicinamento sono verso il Sud. Ma vediamo un po' i numeri dell'amministrazione
giudiziaria italiana: «900 persone vanno in pensione ogni anno per cessati limiti di età»,
enumera il sottosegretario, «la scopertura è di circa 6 mila unità ma ultimamente siamo
stati autorizzati ad assumere 230 laureati da una vecchia graduatoria e poi c'è anche il ddl
dell'ufficio per il processo, che divenuto legge, contempera l'assunzione di 2.800 laureati».
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Magistrati di collegamento Italia-Romania
Si stringe la cooperazione giudiziaria fra l'Italia e la Romania. Grazie agli scambi di
magistrati di collegamento. Il ministero della giustizia e l'omologo romeno hanno siglato un
accordo grazie al quale intendono migliorare l'efficacia della cooperazione giudiziaria tra i
due paesi, soprattutto per prevenire e contrastare le forme gravi della criminalità
transnazionale. Nell'attuazione dell'Azione congiunta del 22 aprile 1996 adottata dal
Consiglio ai sensi dell'articolo K.3 del Trattato sull'Unione europea, relativo alla creazione
di un quadro per lo scambio di magistrati di collegamento. In particolare sarà compito dei
magistrati di collegamento adempiere alle attività che favoriscono e accelerano,
specialmente tramite i contatti diretti con i servizi competenti e con le autorità giudiziarie
dello stato ospitante, tutte le forme di cooperazione giudiziaria civile e penale. I magistrati
di collegamento potranno dunque svolgere anche attività mirate a garantire le funzioni di
scambio di informazioni e statistiche, al fine di favorire la conoscenza reciproca dei sistemi
giuridici dei due paesi, delle banche di dati giuridiche, nonché i rapporti fra le professioni
giuridiche tra i due paesi. Il paese ospitante metterà perciò a disposizione del magistrato di
collegamento inviato tutte le agevolazioni, che includono l'uso dello spazio e dei servizi di
telecomunicazioni, nonché tutto il sostegno per qualsiasi azione destinata a raggiungere
gli obiettivi dell'accordo di cooperazione. Secondo il ministro per la giustizia romeno, Tudor
Chiuariu, «entrambi i governi hanno affrontato il problema con la serietà e concretezza
necessarie. Sono stati avviati molti contatti bilaterali, sfociati nel lancio di questo progetto
comune di cooperazione giudiziaria che prevede, tra l'altro, un interscambio anche di forze
di polizia tra i due paesi». Altro frutto importante sottolineato da Chiuariu «è l'accordo sul
trasferimento delle persone condannate». In questo modo la cooperazione giudiziaria tra i
due paesi dovrebbe scattare in avanti in termini di efficacia. «Ciò che conta di più è
lavorare insieme», ha aggiunto Chiuariu. «Per quanto riguarda l'integrazione dei rom, i
nostri due capi di governo si sono già mossi istituendo anche un gruppo di lavoro
bilaterale». I progressi della riforma giudiziaria avviata in Romania, comunque, procedono
in maniera non del tutto spedita. Chiuariu ha presentato al Consiglio dei ministri il disegno
per i nuovi codici di procedura penale e civile, con l'obiettivo di sanare uno dei problemi
più pesanti, quello della durata media dei procedimenti giudiziari. L'intenzione è quella di
distinguere tra casi più e meno gravi, in modo da agevolare e rendere più efficiente il
lavoro dei magistrati, in particolare nei processi d'appello. C'è anche il progetto di
eliminare la «sospensione in via cautelativa» in attesa del giudizio della Corte
costituzionale, dando ai magistrati la facoltà di scegliere se sospendere o meno il
procedimento in corso. In termini di collaborazione con altri paesi dell'Ue, quella con l'Italia
sembra la migliore come stato d'avanzamento. Gli unici paesi con i quali la Romania
partecipa a indagini congiunte, infatti, risultano la stessa Italia e la Francia.
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Vaticano, più cooperazione
Puntare su maggiore cooperazione giudiziaria internazionale. Questa, in sintesi, la
posizione espressa dalla più alta carica giudiziaria del tribunale più piccolo del mondo,
quello della Città del Vaticano, al fine di garantire più sicurezza allo stato pontificio anche
in relazione alle minacce terroristiche. Il promotore di giustizia Nicola Picardi, omologo al
procuratore generale nell'ordinamento italiano, ha sottolineato l'esigenza di maggiore
cooperazione giudiziaria internazionale in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario
2008 del Tribunale vaticano. «In un mondo globalizzato caratterizzato da una crescita
esponenziale dei rapporti e degli scambi», ha dichiarato Picardi, «le cause assumono una
maggiore complessità e travalicano, sempre più spesso, i confini statuali. Oggi non è
possibile affrontare realisticamente il problema della giurisdizione senza tenere conto dei
vincoli di interdipendenza fra i sistemi giudiziari dei diversi stati e senza un'efficace
collaborazione tra le rispettive autorità giudiziarie». Constatazione, quest'ultima, tanto più
valida per un Tribunale come quello vaticano, che ha giurisdizione su uno stato con
caratteristiche di enclave e su controversie per lo più transnazionali. Tra i casi di proficua
collaborazione giudiziaria citati da Picardi, quello con la Procura di Torino sulla rogatoria
riguardante Igor Marini, coinvolto nella vicenda Telekom Serbia, quello con l'ex
procuratore generale svizzero Carla Del Ponte per dirimere la questione sulla competenza
per il caso del duplice omicidio e suicidio in cui il 4 maggio 1998 persero la vita il
comandante delle guardie svizzere Aloys Estermann, la moglie Gladys e il vicecaporale
Cedric Tornay, quello riguardante una truffa a carico di un cardinale scomparso e quello di
un professore universitario americano che sottrasse dalla Biblioteca Vaticana un
manoscritto del Tetrarca (poi recuperato e restaurato a spese del colpevole). Picardi ha
quindi invitato a «intraprendere la via delle convenzioni internazionali e degli accordi
sull'assistenza giudiziaria internazionale che, quanto meno nel contesto europeo,
appaiono oggi diretti a favorire i rapporti diretti fra i magistrati di diversi stati e il
riconoscimento reciproco, se non addirittura, l'esecuzione dei rispettivi provvedimenti». La
cooperazione internazionale, tra l'altro, «non può limitarsi all'ambito processuale, ma
dovrebbe estendersi sempre più a quello informativo, investigativo e di polizia giudiziaria»,
soprattutto perché «il fenomeno del terrorismo internazionale sembra richiedere forme
nuove di cooperazione finalizzate al perfezionamento di misure a tutela della sicurezza». A
tale proposito, Picardi ha ricordato anche l'imminente adesione della Gendarmeria
vaticana a Interpol. Per il resto il resoconto sull'attività 2007 del Tribunale contiene numeri
che non possono essere paragonati con la giustizia di altri paesi, specie l'Italia: la durata
media delle cause civili è passata in un anno da 18,8 a soli 8,4 giorni, quella delle cause
penali da 365 a 489,9 giorni, le istruttorie sommarie da 177,9 a 256,9 giorni. Il carico dei
procedimenti è di 582 cause civili e 472 penali. Trattati in tutto 1.510 fascicoli, portati a
termine 1.250. Picardi ha poi sollecitato le autorità vaticane a emanare una legge speciale
sulla droga poiché l'ordinamento penale del piccolo stato (basato sul codice Zanardelli del
1882) non prevede come reato il possesso e spaccio di stupefacenti: tanto che per la
prima condanna inflitta in Vaticano, quattro mesi a un ex dipendente del Governatorato,
trovato in possesso di 87 grammi di cocaina, è stato applicato l'art. 23 della legge sulle
fonti del diritto, che prevede al massimo l'arresto a sei mesi, «sanzione del tutto
inadeguata alla gravità del reato e non in linea con la legislazione degli altri Stati». Il
Tribunale, però, ha sottolineato Picardi, ha evitato così «che una carenza legislativa
potesse trasformare lo Stato della Città del Vaticano in una zona franca per detentori e
spacciatori di droghe». Alla cerimonia erano presenti per l'Italia il vicepresidente della
Consulta Giovanni Maria Flick, gli ex presidenti Annibale Marini e Piero Alberto Capotosti,
il prefetto di Roma Carlo Mosca, il capo della Dia Cosimo Sasso, e vari magistrati.
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Accesso e prestiti le eredità dell'Uic
Nel passaggio di competenze dall'Ufficio italiano cambi all'Unità di informazione finanziaria
(Uif) della Banca d'Italia resta in piedi la vecchia disciplina dell'accesso. Il governatore
dell'Istituto, Mario Draghi, con il provvedimento del 21 dicembre 2007, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 12 del 15 gennaio scorso, distribuisce competenze e poteri prima
spettanti all'Uic all'Uic, lasciando operative alcune tra le previgenti disposizioni relative
all'Ufficio cambi. Secondo il provvedimento (in vigore dal 1° gennaio scorso), alla
neoistituita Unità d'informazione (decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, articolo 6),
saranno applicate le disposizioni dell'Uic, limitatamente ai casi di esclusione del diritto di
accesso con riferimento alle categorie di documenti connessi alle attività istituzionali,
trattamento dei dati sensibili e giudiziari, determinazione dei termini di conclusione e delle
unità organizzative responsabili dei procedimenti amministrativi e modalità del diritto di
accesso. Intatti restano anche alcuni tra gli atti normativi dell'Ufficio cambi, in particolare
quelli concernenti gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco generale, i soggetti non
operanti nei confronti del pubblico iscritti nell'apposita sezione dell'elenco generale, le
agenzie di prestito su pegno, i confidi, i cambiavalute, i soggetti diversi dalle banche che,
senza fini di lucro, raccolgono somme in ambito locale di modesto valore, i mediatori
creditizi, gli agenti in attività finanziaria e gli esercenti di prodotti in oro. Tra le competenze
attribuite all'Uif, come previsto dal decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, spiccano
l'analisi dei flussi finanziari, individuando e prevenendo fenomeni di riciclaggio di denaro o
di finanziamento del terrorismo, la ricezione e la segnalazione di operazioni sospette,
l'acquisizione di dati e informazioni finalizzati allo svolgimento delle proprie funzioni,
l'analisi e lo studio su singole anomalie riferibili a ipotesi di riciclaggio o di finanziamento
del terrorismo e l'elaborazione di modelli e schemi rappresentativi di comportamenti
anomali sul piano economico e finanziario riferibili a possibili attività di riciclaggio o di
finanziamento del terrorismo.
Antiriciclaggio, la riservatezza non si tocca
Il dlgs 231 di recepimento della terza direttiva antiriciclaggio non modifica in alcun modo il
regime di riservatezza tipica dell'attività delle società fiduciarie in quanto l'identità del
soggetto per conto del quale la società fiduciaria agisce non può mai essere resa pubblica.
È quanto sostiene il sottosegretario del Minieconomia Alfiero Grandi che ha risposto ieri in
sesta commissione Senato a una interrogazione di Giorgio Benvenuto. I dati relativi
all'identità del cliente della società fiduciaria devono essere acquisiti e trattati
dall'intermediario, dalla banca, dal notaio, ecc. nel rispetto del segreto bancario e
professionale, al fine di valutare se l'operazione presenti o meno profili di sospetto
riciclaggio o finanziamento del terrorismo. La nuova normativa antiriciclaggio obbliga
banche, sim e sgr ad acquisire informazioni sul cosiddetto titolare effettivo per tale
intendendosi la persona o le persone fisiche per conto delle quali l'operazione o il contratto
viene concluso. Nel raccogliere tali informazioni sul titolare effettivo la banca dovrà quindi
prestare particolare attenzione alla puntuale osservanza di quanto previsto dal decreto
antiriciclaggio in termini di trattamento riservato del dato che dovrebbe essere conosciuto,
sulla falsariga di quanto avviene per i conti cifrati svizzeri, soltanto da poche persone
all'interno dell'intermediario. È importante ricordare che la violazione della citata speciale
riservatezza comporta sanzioni in capo alla banca o al professionista sia di tipo penale che
di tipo civile. Il richiamo fatto dalla nota in commento all'osservanza da parte di chi viene a
conoscenza del nominativo del cliente della società fiduciaria del segreto bancario e
professionale fa chiaramente intuire, infatti, che la responsabilità in caso di comunicazione
a terzi del nominativo del cliente della società fiduciaria, ed in genere del titolare effettivo,
è quella prevista dall'art. 622 cp che sanziona la rivelazione del segreto professionale.
Banche e intermediari, in attesa dell'emanazione dei regolamenti con le modalità per
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trattare tali informazioni, dovranno pertanto adottare soluzioni organizzative (fascicolo
separato, database accessibile solo al direttore della banca, ecc.) che consentano di
assicurare un più elevato e comprovato livello di protezione.
Il Messaggero pag. 5
I giudici: no alla condanna del Parlamento
Secco no dell’Anm alla «condanna unanime espressa dal Parlamento» nei confronti delle
toghe. Anche se il sindacato dei magistrati mostra di apprezzare il gesto del ministro,
ovvero la decisione di Mastella di rassegnare le dimissioni appresa la notizia degli arresti
domiciliari inflitti alla moglie. A riassumere la posizione ufficiale della Anm, in queste poche
concise parole, è stato il segretario generale della Giunta, Luca Palamara, che ha poi
sottolineato come sia «necessario riprendere il dialogo tra politica e magistratura
richiamandoci anche alle parole del Capo dello Stato su coesistenza e reciproco rispetto
tra i poteri dello Stato». Palamara non è voluto entrare nel merito della vicenda, anzi ha
sdrammatizzato la portata di alcune dichiarazioni del Guardasigilli: «Molte affermazioni
sono state fatte a titolo personale e sono frutto del diretto coinvolgimento emotivo nella
vicenda». Ma mette in guardia dai rischi che possono scaturire dalla delegittimazione della
magistratura: «Il processo resta il luogo dove tutte le doglianze devono essere riportate e
anche questa vicenda deve definirsi nell'ambito processuale. I problemi della giustizia
devono essere separati dalle vicenda giudiziarie».Il vicepresidente del Csm, Nicola
Mancino, dal canto suo ha preferito scindere la solidarietà personale dall’auspicio «che gli
sviluppi della vicenda chiariscano al più presto le responsabilità...è un momento di
difficoltà». Il numero due di Palazzo dei Marescialli era stato tra i primi a telefonare a
Mastella e, durante il plenum, avendo appreso delle sue dimissioni subito ne aveva dato
notizia all’assemblea. Ma, replicando al Guardasigilli, che aveva puntato l'indice contro il
procuratore di Santa Maria Capua Vetere, aveva precisato:«Perchè il Csm possa
intervenire dovrebbe arrivare un esposto, non abbiamo alcun potere di intervenire d'ufficio,
l'azione disciplinare è di competenza del pg della Cassazione o del ministro della
Giustizia». Secondo Mastella il Csm avrebbe dovuto occuparsi del magistrato, verificando
«l'esercizio domestico delle sue funzioni per vicende che lambiscono suoi stretti parenti».
Dura invece la reazione del presidente e del segretario dell'Unione Camere penali Oreste
Dominioni e Renato Borzone: «E’ grave, scandaloso, incomprensibile- affermano- che
un'iniziativa giudiziaria nei confronti di personalità istituzionali determini attacchi alla
magistratura da parte del mondo politico quasi senza distinzioni di schieramento. Le
garanzie nel processo sono credibili quando valgano per tutti ».
Il Corriere della Sera pag. 2-3-6
Mastella indagato: dimissioni e va all’attacco dei giudici
Il ministro della Giustizia clemente Mastella indagato per concussione, falso e concorso
esterno in associazione a delinquere. Sue moglie, Sandra Leonardo, presidente del
Consiglio regionale della Campania agli arresti domiciliari. Sono sette i capi d’imputazione
nei confronti del Guardasigilli. “Scorribande corsare, un tiro al bersaglio, un’ostinata caccia
all’uomo, una scientifica trappola”. Mi dimetto “perché ho paura, perché venga recuperata
per lo meno la responsabilità civile dei magistrati”. Così la giornata di Mastella che si
congeda con Prodi che respinge le dimissioni. A Mastella arriva la solidarietà della
stragrande maggioranza del mondo politico.
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Il Sole 24 Ore pag. 2-3-32-34
Mastella indagato, la moglie ai domiciliari
Concorso esterno in associazione a delinquere, un doppio concorso in falso,abuso
d’ufficio, tentata concussione e concorso in concussione ai danni di Antonio Bassolino
nell’ambito della nomina del commissario Asl di Benevento. Con queste accuse risulta
indagato il ministro (dimissionario) della Giustizia Clemente Mastella nell’ambito di
un’inchiesta più ampia della Procura di santa Maria Capua Vetere, guidata da Mariano
Maffei. Per la moglie del Guardasigilli vengono contestati i reati di associazione a
delinquere, falso in atto pubblico, corruzione, concussione, turbativa d’asta. “tra l’amore
per la mia famiglia e il potere scelgo il primo, ha detto Mastella nell’Aula di Montecitorio,
riferendosi alla moglie presa in “ostaggio” da “frange estremiste” della magistratura “che mi
hanno reso una trappola scientifica in modo vile e ignobile”. La decisione delle dimissioni,
ce Prodi ha respinto, è maturata martedì quando la notizia degli arresti domiciliari per
Sandra Leonardo è cominciata a filtrare. Il ministro parla di “persecuzione umana”. “mi
dimetto per essere più libero umanamente e politicamente e per aprire una questione
fondamentale di emergenza democratica per la politica e la magistratura”. Nel mondo
politico la solidarietà è unanime. L’Associazione nazionale magistrati reagisce e respinge
le condanne unanimi che si sono levate dalle Camere dopo l’annuncio delle dimissioni del
ministro della Giustizia. Il Segretario generale dell’Anm, Luca Palamara dichiara:
“Apprezziamo il gesto del ministro e altresì ribadiamo che è necessario riprendere il
dialogo tra politica e magistratura, richiamandoci anche alle parole del Capo dello Stato su
coesistenza e reciproco rispetto”.
La giustizia-zavorra nel discorso non letto
“ A testa alta” e “con l’animo sereno”, il ministro della Giustizia avrebbe chiesto
“un’assunzione collettiva di responsabilità” perché “l’intera classe politica non può
permettersi che la Giustizia continui ad essere una pesante zavorra per la crescita del
Paese”. “Chiedo espressamente che alla Giustizia sia riservata un’apposita sessione
parlamentare, dando priorità all’esame dei provvedimenti proposti dal Governo”, avrebbe
detto Mastella alle Camere a conclusione della “Relazione sullo stato della giustizia in
Italia”. Tutto questo, però Mastella non lo ha detto. La Relazione è stata solo allegata al
resoconto dell’Aula della Camera, dove ha pronunciato un discorso assai diverso da quello
che si era preparato nei giorni scorsi, in vista dell’ appuntamento dell’inaugurazione
dell’anno giudiziario. Le sue 37 cartelle sono perciò destinate a rimanere negli archivi di
Stato. £7 pagine in cui c’è tutto quello che Mastella e i suoi uffici hanno fatto da venti mesi
di attività di Governo: disegni di legge presentati per accelerare i processi civili e penali,
per garantire la sicurezza e la certezza della pena, per aumentare la produttività dei
Tribunali (con la creazione dell’ufficio per il processo), per limitare le invasioni della privacy
dei cittadini (specie se non indagati) a causa delle intercettazioni; ci sono i risparmi
realizzati, a partire proprio dalle intercettazioni (da 308 a 229 milioni di euro); c’è il
recupero , nelle carceri italiane, di 426 nuovi posti grazie all’attività di ristrutturazione dei
penitenziari; la scoperta delle somme confiscate e sequestrate (! Miliardo e 660 milioni di
euro al 30 novembre 2007) e la richiesta al ministro dell’Economia di poterle gestire per
esigenze di Giustizia. Ma nella Relazione c’è anche la fotografia di una macchina
giudiziaria che stenta a recuperare efficienza. A dicembre 2006, si contavano più di
5milioni di cause civili pendenti, con una durata di 980 giorni in primo grado e 1.405 in
appello; processi del lavoro che viaggiano a una media di 758 giorni in primo grado e di
814 in appello. Quanto basta per far concludere a Mastella che il problema della
“ragionevole durata” non è più rinviabile. Anche perché nel 2006 vi sono state 20.514
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richieste di indennizzo per eccessiva durata dei processi: il 14,43% del carico di lavoro
delle Corti d’Appello. E nel 2007 sono già in aumento.
Bracciali elettronici, sperimentazione al via
Partirà su tutto il territorio nazionale la sperimentazione dei 400 braccialetti elettronici che
assicureranno la localizzazione della persona interessata sul luogo di detenzione e
renderanno impossibile i comportamenti elisivi. Né da notizia il Sindacato autonomo della
polizia penitenziaria.
Ricorsi non decisi e posta censurata sul “41-bis” condanna per l’Italia
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per violazione degli articoli 6
(diritto che la causa sia esaminata) e 8 (rispetto della vita privata) della Convenzione
Europea in relazione al ricorso presentato da un detenuto per ‘ndrangheta, Santo Asciutto,
condannato all’ergastolo e in regime di 41 bis. L’Italia dovrà solamente versare 5mila euro
per le spese di difesa perché “la constatazione delle violazioni costituisce una
soddisfazione equa sufficiente per il danno morale”. In particolare, la Corte ha dichiarato
fondata la doglianza sull’inerzia dei tribunali di sorveglianza sui ricorsi contro l’applicazione
del regime speciale, e quella sull’apposizione del visto di censura sulla corrispondenza per
comunicazioni verso la Corte. Giudicato incede inammissibile il ricorso sul trattamento
presunto inumano del 41-bis e sulla violazione della difesa per un’udienza in
videoconferenza.
Magistratura, riaperti i termini dei concorsi per onorari
Sono prorogati fino al prossimo 31 gennaio i termini per la presentazione delle domande
per partecipare al concorso per ricoprire le funzioni di viceprocuratore e giudice onorario di
tribunale. La riapertura p contenuta nel decreto firmato ieri dal ministro della Giustizia,
Clemente Mastella,che ha procrastinato l’originaria scadenza che cadeva proprio nella
giornata di eiri. Il parere favorevole alla riapertura era stato sollecitato dal Csm.
( a cura di Daniele Memola )
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